Contratti di collaborazione: bocciato il progetto fittizio
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Contratti di collaborazione: bocciato il progetto fittizio
Il Giudice di Milano riconosce la subordinazione
Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 822 del 23 marzo scorso, intende, per mancata individuazione del progetto, non solo la sua assenza formale, ma anche quella sostanziale
Senza progetto non può esistere la collaborazione: lo dice la legge. II passo in più che il Tribunale di Milano ha fatto, con la sentenza n. 822 del 23 marzo scorso, è quello di intendere, per mancata individuazione del progetto, non solo la sua assenza formale ma anche quella sostanziale, laddove l'attività effettivamente svolta dal lavoratore non corrisponda a quanto descritto dal contratto.
Così recita la sentenza: “Per la mancala individuazione del progetto si deve intendere sia la mancata indicazione formale del contenuto del progetto o programma nel contratto, sia la mancanza, in concreto, di questi ultimi per mancata corrispondenza dell’attività di fatto svolta e quanto previsto dal contratto ”.
Questa nuova sentenza sulle collaborazioni, che si conclude con il riconoscimento di un rapporto di subordinazione, si muove nel solco delle cinque precedenti (Torino, Ravenna, Milano, Modena, ancora Torino; per quest’ultima si veda «II Sole 24Ore» del 16 maggio scorso) e dimostra ancora una volta il rigore dei giudici nell'applicare il lavoro a progetto facendo riferimento all'articolo 69 del decreto legislativo 276/03, laddove prevede che “i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’art 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto ”
In questo caso il giudice si è trovato di fronte a un contratto che prevedeva un progetto meramente fìttizio: «tracciare le linee guida di un progetto di riorganizzazione della zona Milano/Vigevano al fine di acquisire nuova clientela e mantenere in essere quella vecchia». In realtà, l’attività svolta dal lavoratore era quella di autista, con tanto di orario regolare di lavoro, tutte le sere da lunedì a venerdì, iniziando tra le 20 e le 22 e terminando verso le 7/8 del mattino.
In assenza di un valido e specifico progetto, che deve essere effettivo e non una mera copertura di forma, la norma assiste il lavoratore: spetta cioè al datore di lavoro (rimasto però contumace in questo caso) provare che il rapporto non fosse riconducibile all’articolo 2094 del codice civile.
C'è poi un secondo punto intorno al quale si sviluppa la sentenza. Il lavoratore in questione è stato raggiunto da un avviso di recesso per il quale chiede al giudice l’accertamento della giusta causa. Il tribunale definisce illegittimo il licenziamento, per la violazione della procedura prevista dal l'articolo 7 dello Statuto dei lavoratori.
Ma qui si ferma e dichiara che “non possono derivare invece le conseguenze di cui all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori poiché in ricorso non viene neppure dedotta la sussistenza dei presupposti numerici per l’applicazione della norma”. Le tutele dell’Art. 18 non sono applicate perché il ricorrente non avrebbe dimostrato il requisito dimensionale, nonostante la Cassazione dica che l’onere della prova spetti all’impresa e non al lavoratore.