Indice
“L’erogazione dei servizi pubblici e la tutela dell’utente”
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1 I CONTRATTI DI UTENZA PUBBLICA 3
2 LA TUTELA DELL’UTENTE/CONSUMATORE: LE INFORMATIVE 7
5 LE TUTELE PROCESSUALI DEI CONSUMATORI: CONCILIAZIONE E CLASS ACTION 14
1 I contratti di utenza pubblica
L’erogazione dei servizi pubblici è sempre stata caratterizzata da dispute dottrinali e giurisprudenziali determinate dall’assenza di un preciso quadro di riferimento sistematico sul piano legislativo.
Le difficoltà non sono solamente di carattere teorico, ma anche sotto il profilo pratico, poiché si è sempre avvertita una scarsa tutela dell’ordinamento nei confronti dell’utente.
La giurisprudenza distingue la fase di organizzazione dalla fase di gestione del servizio pubblico. Nella prima fase viene individuata una posizione di interesse legittimo, mentre nella successiva fase di erogazione del servizio viene attribuita all’utente una posizione di diritto soggettivo.
È stato affermato, attraverso la sentenza della Cassazione, Sez. Unite, 27 luglio 1998, n. 7343, il principio in base al quale, nel caso di gestione di un servizio pubblico in forma di impresa, al privato che intende beneficiare di un determinato servizio, non è possibile attribuirgli un diritto soggettivo nella fase in cui il gestore esercita poteri di imperio, sia con riguardo alle scelte inerenti a mezzi e modalità per far fronte a detto servizio, che ai criteri di ripartizione tra i destinatari del servizio offerto.
Solo successivamente, il soggetto gestore del servizio pubblico agisce sul piano privatistico, mediante rapporti negoziali con gli utenti.
Solamente in tale fase è possibile riconoscere al privato un diritto soggettivo, tutelabile davanti al giudice ordinario, volto ad ottenere la stipulazione del contratto in base alle condizioni determinate.
Tra utente e soggetto gestore, nella fase di erogazione del servizio, può essere individuato un rapporto contrattuale che può essere ricondotto al contratto di somministrazione, mentre, secondo altra opinione, può essere qualificato come contratto di utenza pubblica.
Lo studio di questi due contratti ha dato luogo ad altrettante teorie: quella soggettiva e quella oggettiva.
- la teoria soggettiva si basa sulla natura giuridica del soggetto gestore, per cui è pubblico quel contratto in cui il servizio sia imputabile direttamente o indirettamente allo Stato;
- la teoria oggettiva, invece, è qualificabile come servizio pubblico quell’attività caratterizzata dalla pubblica utilità o dal pubblico interesse per la collettività; il tutto a prescindere dalla natura pubblica o privata del soggetto che assume il compito di esercitare il servizio.
Una caratteristica che contraddistingue il servizio pubblico, può essere individuata nella necessità che lo stesso sia erogato nel rispetto del principio di imparzialità.
Tale principio si traduce in una serie di obblighi a carico del gestore, come quello di esercizio e tariffario, principi questi finalizzati alla realizzazione della continuità, regolarità, capacità e qualità.
Questi principi trovano un’esatta corrispondenza in materia di servizio pubblico nell’ambito comunitario e, in particolare nel c.d. servizio di interesse economico generale.
L’art. 86 del trattato istitutivo la Comunità europea sancisce la generale sottoposizione alla disciplina del Trattato delle imprese pubbliche e delle imprese cui gli Stati membri riconoscono diritti speciali ed esclusivi e prevede l’applicazione delle norme sulla concorrenza alle “imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio”, nei limiti in cui non ostacoli l’adempimento della specifica missione loro affidata e purché non risultino compromessi gli interessi della Comunità.
La nozione di servizio di interesse economico generali, viene gestita in base ad un formale atto di incarico, con un regime che deroga alle regole in materia di concorrenza, il quale comporta, da un lato, una serie di obblighi a carico del soggetto erogatore e, dall’altro, il controllo pubblicistico sulle modalità di erogazione del servizio.
Se l’erogazione del servizio ha luogo in una situazione di monopolio legale, è necessario individuare quale possa essere lo strumento più idoneo per la tutela dell’utente.
Una prima forma di tutela deriva dalla parità di trattamento sancita dall’art. 2597 c.c., in base al quale è fatto obbligo di contrattare a carico del monopolista legale con chiunque richieda le prestazioni, che formano oggetto dell’impresa.
La tutela dell’utente si attua utilizzando uno strumento di derivazione privatistico, che pone limitazioni alla libertà dell’impresa monopolistica erogatrice del servizio.
Nonostante la natura pubblicistica del soggetto, è applicabile l’art. 2597 c.c., in quanto, laddove si è in presenza di un ente pubblico, per la sua applicazione è necessario che l’ente gestisca il servizio in forma di impresa e svolga la sua attività in regime di monopolio.
L’applicazione dell’art. 2597 c.c. induce a ritenere che l’offerta del servizio è regolato da disposizioni di carattere codicistico e che, nel momento dell’offerta, sono riconosciuti all’utente diritti soggettivi.
La seconda forma di tutela dell’utente è la responsabilità civile del gestore del servizio; anche questo strumento interviene nella fase di erogazione.
Appare evidente che, in materia di erogazione di servizi pubblici, vige un regime misto pubblico-privato, in quanto è possibile individuare una fase preliminare di organizzazione e di programmazione del servizio, integralmente pubblicistica e una fase relativa alla concreta erogazione governata esclusivamente dal diritto privato.
Altra fonte di tutela deriva dall’istituzione dell’Autorità di regolazione istituita con la legge n. 481/1995.
All’Autorità di regolazione viene demandata la determinazione dei contenuti del rapporto di utenza, quali tariffa base, parametri e altri elementi di riferimento ed emanazione delle direttive sui livelli di qualità dei servizi, che costituiscono modifica o integrazione del regolamento di servizio predisposto dall’erogatore.
L’Autorità è tenuta a dare notizia, con forma ritenuta idonea, dell’avvio delle attività dirette alla predisposizione di tali atti, fissando nella deliberazione di avvio il termine entro il quale sia possibile far pervenire osservazioni e memorie scritte.
Inoltre, l’utente oppure le associazioni degli utenti continuano a disporre della forma di tutela consistente nell’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo, vantando in materia interessi legittimi.
L’Autorità ha anche un potere di controllo dello svolgimento dei servizi e della congruità delle misure adottate dai gestori, al fine di assicurare la parità di trattamento tra gli utenti e la qualità e l’efficacia delle prestazioni e di verifica che ciascun soggetto esercente predisponga e presti osservanza alla carta di servizio pubblico.
L’Autorità può imporre modifiche alle modalità di esercizio dei servizi o può procedere alla revisione del regolamento di servizio, a seguito della valutazione dei reclami, istanze e segnalazioni; può ordinare, inoltre, al gestore la cessazione di comportamenti lesivi nei confronti degli utenti, imponendo l’obbligo di corrispondere un indennizzo, nel caso di erogazione del servizio a livelli qualitativi inferiori a quelli stabiliti.
Infine, nei casi di controversie tra utenti e gestori, può esperire procedure di conciliazione o di arbitrato, con la possibilità di adottare provvedimenti temporanei diretti a garantire la continuità
dell’erogazione del servizio, ovvero a far cessare forme di abuso o di scorretto funzionamento da parte del gestore.
L’Autorità può adottare sia modifiche che integrazioni nei regolamenti di servizio, sia sanzioni amministrative pecuniarie o misure inibitorie, imponendo anche l’obbligo di corrispondere un indennizzo.
In definitiva, l’obbligo di contrarre nei mercati liberalizzati ha attualmente per destinatario solo il soggetto gestore della rete ed è concepito a vantaggio del soggetto erogatore del servizio, al quale devono essere garantiti l’interconnessione e l’accesso alle infrastrutture secondo “criteri di non discriminazione”.
Inoltre, nel caso di mancato accordo tra le parti, non è più il giudice a concretizzare l’obbligo, bensì l’Autorità di regolazione e, ciò sia con riferimento ai settori dell’energia elettrica e del gas, sia per quanto attiene al settore delle telecomunicazioni.
In conclusione l’obbligo legale di contrarre risulta, quindi, una forma di tutela dell’utente tipica del passato, pertinente ad una situazione di monopolio pubblico.
Per questi motivi attualmente per la tutela dell’utente si è fatto ricorso ad un ulteriore strumento, tratto anch’esso dalla disciplina privatistica e cioè quello fornito in materia di clausole vessatorie.
2 La tutela dell’utente/consumatore: le informative
L’utente/consumatore ha, innanzitutto, il diritto di ottenere speciali informazioni. Le informative generalmente hanno per oggetto:
1) Condizioni contrattuali;
2) Particolari garanzie stabilite dalla legge a favore dell’utente/consumatore;
3) Modalità per l’esercizio dei diritti.
Una caratteristica generale dell’informativa è rappresentata dalla fruibilità effettiva delle informazioni. L’adempimento posto a carico dell’impresa è sostanziale e non formale.
L’art. 5 del Codice del consumo sancisce il diritto ad una adeguata informazione al consumatore.
Sempre l’art. 5 del Cod. cons. stabilisce che costituiscono contenuto essenziale degli obblighi informativi la sicurezza, la composizione e la qualità dei prodotti e dei servizi.
Si parla, invece, di prescrizione formale, quella per cui le informazioni al consumatore, da chiunque provengano, devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore.
L’art. 6 del Cod. cons. individua una serie di prescrizioni minime per i prodotti e le confezioni.
In primo luogo i prodotti o le confezioni dei prodotti destinati al consumatore, commercializzati sul territorio nazionale, devono riportare chiaramente visibili e leggibili, le seguenti indicazioni:
a) denominazione legale o merceologica del prodotto;
b) nome o ragione sociale o marchio e sede legale del produttore o di un importatore stabilito nell’Unione europea;
c) Paese di origine se situato fuori dell’Unione europea;
d) eventuale presenza di materiali o sostanze che possono arrecare danno all’uomo, alle cose o all’ambiente;
e) materiali impiegati ed i metodi di lavorazione ove questi siano determinanti per la qualità o le caratteristiche merceologiche del prodotto;
f) istruzioni, eventuali precauzioni e destinazione d’uso, ove utili ai fini di fruizione e sicurezza del prodotto.
Le indicazioni minime devono essere evidenziate sulle confezioni o sulle etichette dei prodotti nel momento in cui sono posti in vendita al consumatore.
Le indicazioni relative ai materiali impiegati ed ai metodi di lavorazione, possono essere riportate, anziché sulle confezioni o sulle etichette dei prodotti, anche su altra documentazione illustrativa che viene fornita in accompagnamento dei prodotti stessi.
Relativamente alle prescrizioni, che si trovano a metà tra aspetti formali e sostanziali, l’art. 9 cod. cons. impone la lingua italiana per tutte le informazioni destinate ai consumatori e agli utenti.
L’art. 14 cod. cons. stabilisce che al fine di migliorare l’informazione del consumatore e di agevolare il raffronto dei prezzi, i prodotti offerti dai commercianti ai consumatori devono recare, oltre alla indicazione del prezzo di vendita, secondo le disposizioni vigenti, l’indicazione del prezzo per unità di misura.
Il prezzo per unità di misura non deve essere indicato quando è identico al prezzo di vendita. Per i prodotti commercializzati sfusi è indicato soltanto il prezzo per unità di misura.
È ammessa l’indicazione del prezzo per unità di misura di multipli o sottomultipli, decimali delle unità di misura, solo nei casi in cui taluni prodotti sono generalmente ed abitualmente commercializzati in certe quantità.
3 Il recesso
Il consumatore può vantare una forma particolare di tutela rappresentata dalla possibilità di recedere dal contratto sottoscritto.
Al consumatore, una volta formalizzato il contratto, viene concessa la possibilità di fare un passo indietro, annullando il contratto.
Al consumatore, cioè è fornita la possibilità di ripensarci e cambiare idea.
Dall’altra parte, il professionista o l’impresa che hanno contrattato con il consumatore sono esposti al rischio che il consumatore possa tornare indietro e possa revocare la propria volontà contrattuale.
Il consumatore, è in posizione di debolezza al momento della stipulazione del contratto, poiché quando egli è chiamato a stipulare è mosso da un bisogno, proprio per questo può essere che non abbia soppesato a sufficienza la propria determinazione di obbligarsi al pagamento del prezzo di un bene o di un servizio che, a posteriori, si scopre non confacente.
Elemento essenziale del recesso è rappresentato dal termine entro il quale il consumatore può recedere dal contratto.
Il legislatore fissa un termine abbastanza breve (alcuni giorni a partire dalla conclusione del contratto). Pur tuttavia, tale termine può essere dilatato in senso sanzionatorio: la mancanza di informazioni inidonee sulla possibilità di recedere allunga i tempi del recesso stesso.
Viene posta una differenza in relazione alla fattispecie di contratto concluso a distanza e di contratti conclusi fuori dai locali commerciali.
Per i contratti o le proposte contrattuali negoziati fuori dei locali commerciali, il termine per l’esercizio del diritto di recesso decorre:
- dalla data di sottoscrizione della nota d’ordine contenente l’informazione oppure, nel caso in cui non sia predisposta una nota d’ordine, dalla data di ricezione dell’informazione stessa, per i contratti riguardanti la prestazione di servizi ovvero per i contratti riguardanti la fornitura di beni, qualora al consumatore sia stato preventivamente mostrato o illustrato dal professionista il prodotto oggetto del contratto;
- dalla data di ricevimento della merce, se successiva, per i contratti riguardanti la fornitura di beni, qualora l’acquisto sia stato effettuato senza la presenza del
professionista ovvero sia stato mostrato o illustrato un prodotto di tipo diverso da quello oggetto del contratto.
Relativamente ai contratti a distanza, il termine per l’esercizio del diritto di recesso decorre:
- per i beni, dal giorno del loro ricevimento da parte del consumatore ove siano stati soddisfatti gli obblighi di informazione di cui all’art. 52 o dal giorno in cui questi ultimi siano stati soddisfatti, qualora ciò avvenga dopo la conclusione del contratto purché non oltre il termine di tre mesi dalla conclusione stessa;
- per i servizi, dal giorno della conclusione del contratto o dal giorno in cui siano stati soddisfatti gli obblighi di informazione di cui all’art. 52, qualora ciò avvenga dopo la conclusione del contratto purché non oltre il termine di tre mesi dalla conclusione stessa.
I termini sono dilatati nell’ipotesi in cui il professionista non abbia soddisfatto, per i contratti e le proposte contrattuali negoziati fuori dai locali commerciali gli obblighi di informazione e anche per i contratti a distanza.
In tali casi il Codice del consumo stabilisce che il termine per l’esercizio del diritto di recesso è, rispettivamente, di sessanta o di novanta giorni e decorre, per i beni, dal giorno del loro ricevimento da parte del consumatore, per i servizi, dal giorno della conclusione del contratto.
L’allungamento dei termini si applica anche nel caso in cui il professionista fornisca una informazione incompleta o errata che non consenta il corretto esercizio del diritto di recesso.
La sanzione contrattuale scatta, dunque, anche in caso di informazione inidonea.
Altra prerogativa assicurata al consumatore è quella per cui le modalità di recesso devono essere semplificate al massimo e non devono essere eccessivamente onerose.
La comunicazione del recesso può avvenire anche a mezzo di vettori come il servizio postale e in questo caso per il recesso è sufficiente avere consegnato la comunicazione al vettore.
Il recesso può essere formulato anche attraverso la restituzione della merce ricevuta.
In materia di contratti a distanza e di contratti fuori dai locali commerciali l’art. 64 Cod. consumo fissa le seguenti modalità:
- il diritto di recesso si esercita con l’invio di una comunicazione scritta alla sede del professionista mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento;
- la comunicazione può essere inviata, entro lo stesso termine, anche mediante telegramma, telex, posta elettronica e fax, a condizione che sia confermata mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento entro le quarantotto ore successive;
- la raccomandata si intende spedita in tempo utile se consegnata all’ufficio postale accettante entro i termini previsti dal Codice del consumo o dal contratto, ove diversi.
- l’avviso di ricevimento non è, comunque, condizione essenziale per provare l’esercizio del diritto di recesso;
- se espressamente previsto nell’offerta o nell’informazione concernente il diritto di recesso, in luogo di una specifica comunicazione è sufficiente la restituzione della merce ricevuta.
4 Le clausole vessatorie
Particolare tutela viene attribuita al consumatore/utente, sul piano contrattuale, attraverso l’individuazione di una serie di clausole inefficaci, in quanto espressione di un significativo squilibrio dell’equilibrio negoziale.
Si tratta delle clausole vessatorie.
L’inefficacia è limitata alla clausola e non all’intero contenuto del contratto.
Il contratto, eliminate le clausole vessatorie, mantiene la sua utilità economica per il consumatore.
L’art. 33 del Cod. cons. fornisce una definizione generale di clausola vessatoria: nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determina a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
La vessatorietà della clausola deriva da una violazione del principio di buona fede e contemporaneamente da uno squilibrio delle posizioni contrattuali.
Il principio vigente è quello del raggiungimento dell’equivalenza delle prestazioni dedotte in contratto.
La vessatorietà o meno della clausola non è un connotato specifico e strutturale di una determinata condizione dei contratti, ma si misura sul piano dei rapporti contrattuali e viene ad esistenza quando è presente una condizione di inferiorità del consumatore rispetto al professionista.
L’art. 34 del cod. cons. stabilisce che non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge ovvero che siano riproduttive di disposizioni o attuative di principi contenuti in convenzioni internazionali delle quali siano parti contraenti tutti gli stati membri dell’Unione europea o l’Unione europea.
Infine, è possibile ricordare due regole di chiusura per l’accertamento della vessatorietà delle clausole:
1) occorre tenere conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto, è necessario fare riferimento alle circostanze soggettive e oggettive esistenti al momento della conclusione e anche alle altre clausole del contratto o di un altro collegato o da cui dipende;
2) la valutazione del carattere vessatorio non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto, né all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi. In quest’ultima ipotesi, però, tali elementi devono essere individuabili in modo chiaro e comprensibile.
5 Le tutele processuali dei consumatori: conciliazione e class action.
La tutela del consumatore/utente viene esercitata anche sotto un profilo processuale che contribuisce a integrarne la speciale posizione giuridica, attraverso due istituti: azione collettiva e conciliazione obbligatoria.
L’art. 140 cod. cons., prevede la “conciliazione in forma collettiva”, attribuisce alle associazioni dei consumatori la possibilità di citare davanti al giudice imprenditori e produttori, affinché inibiscano comportamenti contrari ai diritti dei consumatori.
Lo scopo della legge si basa sul tentativo di recuperare forza processuale a favore del soggetto debole del rapporto contrattuale. Il consumatore/utente, parte debole, attraverso l’associazione che lo rappresenta, può affrontare il contraddittorio nei confronti del proprio interlocutore parte forte.
L’importanza di tali procedure sta nella particolare efficacia erga omnes, ovvero nei confronti di tutta la platea di consumatori e utenti della pronuncia del giudice.
Le associazioni dei consumatori sono, quindi, legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi.
La tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti si esercita richiedendo al tribunale:
- di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti;
- di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate;
- di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate.
Con il provvedimento che definisce il giudizio, il giudice fissa un termine per l’adempimento degli obblighi stabiliti e, anche su domanda della parte che ha agito in giudizio, dispone, in caso di inadempimento, il pagamento di una somma di denaro.
Nei casi in cui ricorrano giusti motivi di urgenza, l’azione inibitoria si svolge con lo speciale rito previsto dal codice di procedura civile.
Le associazioni rappresentative dei consumatori, ma anche le associazioni rappresentative dei professionisti e le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, possono agire in giudizio contro il professionista o l’associazione di professionisti che utilizzano, o che raccomandano, l’utilizzo di condizioni generali di contratto e richiedere al giudice competente che inibisca l’uso delle condizioni di cui sia accertata l’abusività.
La legge prevede la procedura di conciliazione presso la camera di commercio con garanzia di costi più bassi e tempi brevi di definizione.
Prima di avviare la procedura giudiziaria innanzi al giudice, le associazioni dei consumatori possono attivare la procedura di conciliazione dinanzi alla camera di commercio competente per territorio, oppure davanti ai diversi organismi di composizione extragiudiziale per la composizione delle controversie in materia di consumo.
La procedura di cui all’art. 140, deve essere definita entro sessanta giorni. Deve essere redatto e sottoscritto dalle parti e dal rappresentante dell’organismo di composizione extragiudiziale, un processo verbale di conciliazione, e deve essere depositato per l’omologazione nella cancelleria del Tribunale del luogo nel quale si è svolto il procedimento di conciliazione.
Il Tribunale dichiara, con decreto, esecutivo il verbale, una volta accertata la validità dello
stesso.
Il verbale di conciliazione omologato costituisce titolo esecutivo.
Nell’ipotesi di mancato adempimento degli obblighi risultanti dal verbale di conciliazione le
parti possono chiedere al Tribunale competente, che decide in camera di consiglio, l’accertamento dell’inadempimento e la disposizione del pagamento delle somme di denaro.
La procedura di conciliazione è attivabile anche dall’imprenditore.
La conciliazione anche in forma individuale è regolata dall’art. 141 Codice del consumo, sulla composizione extragiudiziale delle controversie.
In base al primo comma dell’art. 140-bis, i diritti individuali omogenei dei consumatori e degli utenti sono tutelabili anche attraverso l'azione di classe. A tal fine ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l'accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni.
La class action tutela:
a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile;
b) i diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale;
c) i diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali.
L'adesione comporta rinuncia a ogni azione restitutoria o risarcitoria individuale fondata sul medesimo titolo.
L'atto di adesione, contenente, oltre all'elezione di domicilio, l'indicazione degli elementi costitutivi del diritto fatto valere con la relativa documentazione probatoria, è depositato in cancelleria, anche tramite l'attore.
La domanda si propone con atto di citazione notificato anche all'ufficio del pubblico ministero presso il tribunale adìto, il quale può intervenire limitatamente al giudizio di ammissibilità.
All'esito della prima udienza il tribunale decide con ordinanza sull'ammissibilità della domanda, ma può sospendere il giudizio quando sui fatti rilevanti ai fini del decidere è in corso un'istruttoria davanti a un'autorità indipendente ovvero un giudizio davanti al giudice amministrativo.
La domanda è dichiarata inammissibile quando è manifestamente infondata, quando sussiste un conflitto di interessi ovvero quando il giudice non ravvisa l'identità dei diritti individuali tutelabili.
L'ordinanza che decide sulla ammissibilità è reclamabile davanti alla corte d'appello nel termine perentorio di trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione se anteriore.
Sul reclamo la corte d'appello decide con ordinanza in camera di consiglio non oltre quaranta giorni dal deposito del ricorso. Il reclamo dell'ordinanza ammissiva non sospende il procedimento davanti al tribunale.
Con l'ordinanza con cui ammette l'azione il tribunale fissa termini e modalità della più opportuna pubblicità, ai fini della tempestiva adesione degli appartenenti alla classe.
Con la stessa ordinanza il tribunale:
a) definisce i caratteri dei diritti individuali oggetto del giudizio, specificando i criteri in base ai quali i soggetti che chiedono di aderire sono inclusi nella classe o devono ritenersi esclusi dall'azione;
b) fissa un termine perentorio, non superiore a centoventi giorni dalla scadenza di quello per l'esecuzione della pubblicità, entro il quale gli atti di adesione, anche a mezzo dell'attore, sono depositati in cancelleria.
Copia dell'ordinanza è trasmessa, a cura della cancelleria, al Ministero dello sviluppo economico che ne cura ulteriori forme di pubblicità, anche mediante la pubblicazione sul relativo sito internet.
Se accoglie la domanda, il tribunale pronuncia sentenza di condanna con cui liquida, ai sensi dell'art. 1226 c.c., le somme definitive dovute a coloro che hanno aderito all'azione o stabilisce il criterio omogeneo di calcolo per la liquidazione di dette somme.
In caso di accoglimento di un'azione di classe proposta nei confronti di gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, il tribunale tiene conto di quanto riconosciuto in favore degli utenti e dei consumatori danneggiati nelle relative carte dei servizi eventualmente emanate.
La sentenza diviene esecutiva decorsi centottanta giorni dalla pubblicazione. I pagamenti delle somme dovute effettuati durante tale periodo sono esenti da ogni diritto e incremento, anche per gli accessori di legge maturati dopo la pubblicazione della sentenza.
La sentenza che definisce il giudizio fa stato anche nei confronti degli aderenti.
È fatta salva l'azione individuale dei soggetti che non aderiscono all'azione collettiva.
Non sono proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti e nei confronti della stessa impresa dopo la scadenza del termine per l'adesione assegnato dal giudice.