SOMMARIO
I CONTRATTI•ANNO XV
SOMMARIO
GIURISPRUDENZA
Parte I - Contratti in generale
ECCEZIONE D’INADEMPIMENTO E MANCATA FRUIZIONE DELLA PRESTAZIONE
Cass., sez. I, 2 maggio 2006, n. 10138
Commento di Xxxxxx Xxxxx 5
TRANSAZIONE E OBBLIGAZIONE SOLIDALE
Cass., sez. III, 18 aprile 2006, n. 8946
Commento di Xxxxxxx Xxxxxx 10
RASSEGNA DI LEGITTIMITÀ 17
Parte II - I singoli contratti
VENDITA DI COSA FUTURA E APPALTO: CRITERI DISTINTIVI
Cass., sez. trib., 20 aprile 2006, n. 9320
Commento di Xxx Xxxxxxxxx 21
MANCANZA DEL TIPO DI FRAZIONAMENTO CATASTALE, DETERMINABILITÀ DELL’OGGETTO E CONTRATTO PRELIMINARE
Cass., sez. II, 20 marzo 2006, n. 6160
Commento di Xxxxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxxxx 25
ORDINAMENTO SPORTIVO E CONTRATTO «IMMERITEVOLE» DI TUTELA
Trib. Udine 16 gennaio 2006, n. 55/06
Commento di Xxxx Xxxxxxxx Xxxxxxxx 31
RASSEGNA DI LEGITTIMITÀ 45
RASSEGNA DI MERITO
sentenze esposte da Xxxxxxx Xxxxx 51
PANORAMA FISCALE
A cura di Xxxx Xxxxxxx e Xxxxxxxxx Xxxxxxx 65
ARGOMENTO
L’OPPONIBILITÀ DELLA CLAUSOLA DI RISERVATO DOMINIO AL FALLIMENTO DEL CONCESSIONARIO NEL CONTRATTO DI CONCESSIONE DI VENDITA
di Xxxxx Xxxxxx 67
CLAUSOLE INIQUE E TUTELA INIBITORIA
di Xxxxxx Xxxxxxxx 74
CONTRATTI E UNIONE EUROPEA
OSSERVATORIO COMUNITARIO
a cura di Xxxxx Xxxx, Studio legale De Xxxxx, Jacchia, Xxxxxxxxx, Forlani - Bruxelles 83
I CONTRATTI•ANNO XV
MODELLO CONTRATTUALE
IL CONTRATTO DI ENDORSEMENT
di Salvo Dell’Arte 89
INDICI 97
La redazione segnala che sul numero 12/2006 il contributo «Al via il mercato della conciliazione societaria» a pag. 1156 era a firma dell’Avv. Xxxxxxxxxxxxx Xxxxxxxxxxxx.
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Eccezione d’inadempimento
Eccezione d’inadempimento
e mancata fruizione della prestazione
Cassazione Civile, sez. I, Sentenza 2 maggio 2006, n. 10138
Pres. De Musis - Est. Cappuccio - P.M. Uccella - Ric. Finconsulting s.r.l. in liquidazione - Res. Università commerciale Xxxxx Xxxxxxx Milano
Contratti in genere - Scioglimento del contratto - Risoluzione del contratto - Per inadempimento - Eccezione d’inadempimento - Nozione - Eccezione di recesso o di impossibilità sopravvenuta - Distinzione - Conseguenze - Fattispecie
L’eccezione, sollevata nel giudizio di merito, di mancata fruizione della prestazione della controparte, come la mancata partecipazione ad un corso di formazione ed istruzione tenuto da un istituto univer- sitario, non coincide né in fatto né in diritto con l’eccezione di mancato adempimento, ovverosia di mancata esecuzione del corso, in quanto, mentre la prima si riferisce ad un comportamento del credi- tore - e si configura come una eccezione di recesso o di impossibilità sopravvenuta -, la seconda at- tiene ad un comportamento del debitore - e si configura come un’eccezione di inadempimento - .
I
Svolgimento del processo
l tribunale di Milano, dopo aver dichiarato l’inef- ficacia, perché tardivamente notificato, del decre- to ingiuntivo 23 marzo 1993, affermava la propria
competenza, per territorio e per valore, a giudicare sulla domanda proposta dalla Università Commer- ciale Luigi Bocconi nei confronti della Finconsulting
S.r.l. in liquidazione, che condannava al pagamento di L. 4.522.000 per il corso svolto dalla Bocconi, con- siderando irrilevante la mancata partecipazione al corso - in quanto non dipendente da fatto imputabi- le all’Università - e vincolante il contratto, non avendo la Finconsulting dato tempestiva disdetta. Appellava la società, censurando la sentenza di primo grado in punto di competenza, e, nel merito, per aver ri- gettato l’eccezione di prescrizione annuale del credito, per aver ritenuto sussistente l’obbligazione nonostante che l’Università non avesse erogato alcuna prestazione, per aver considerato efficaci le clausole 3.2 e 3.3. che, quantunque vessatorie - limitavano il diritto di recesso e fissavano il risarcimento in misura eccessiva - erano pri- ve di specifica approvazione per iscritto.
Per quanto più in particolare interessa in questa sede, sosteneva infine la società che il contratto non poteva ritenersi concluso perché nel modulo era previsto che l’iscrizione al corso si intendeva perfezionata al momen- to della sottoscrizione del modulo stesso in ogni sua par- te, mentre mancava la doppia sottoscrizione richiesta. La C.d.A. di Milano, con sentenza 28 marzo/25 set- tembre 2001, rigettava l’appello rilevando, in partico- lare, che il proponente poteva considerare il contratto concluso anche se l’accettazione era stata data in forma
diversa da quella richiesta, perché il requisito era posto nel suo interesse, ed era quindi libero di non avvalerse- ne: come, in effetti, era avvenuto nel caso in esame.
Con ricorso notificato l’8 novembre 2002, la Finconsul- ting S.r.l. in liquidazione censurava la sentenza d’appello per due motivi.
L’Università intimata non ha svolto attività difensiva.
C
Motivi della decisione
ol primo motivo, si deduce violazione dell’art. 1326 Codice civile, comma 4, e correlato vizio di motivazione. Espone la ricorrente che la clausola
del modulo di partecipazione al corso «il commercialista e l’azienda» («in ogni caso l’iscrizione si intenderà perfezio- nata al momento del ricevimento, da parte della SDA della presente scheda compilata e sottoscritta in tutte le sue parti») comportava l’apposizione di due distinte firme: una nello spazio «firma per l’accettazione» e l’altra nello spazio «firma per la specifica approvazione delle clausole
3.2 e 3.3», mentre il legale rappresentante della Fincon- sulting s.r.l. aveva apposto solo la firma per accettazione, limitandosi ad apporre il timbro della società, senza firma- re, nello spazio destinato alla specifica approvazione. In conseguenza, il contratto non si era perfezionato e la sen- tenza, disattendendo tale eccezione, era incorsa in viola- zione del principio che ravvisa la conclusione del contrat- to solo quando proposta ed accettazione siano conformi, nonché in erronea interpretazione dell’art. 1326, quarto comma, Xxxxxx civile, che non prevede una rinuncia alla forma richiesta né prevede che la conclusione possa avve- nire senza che l’accettante possa aver contezza dell’inten- zione del proponente di ritenere comunque valida l’accet-
tazione, ancorché priva della forma richiesta. Tale effetto, secondo la dottrina, presuppone che sia accertato se l’ac- cettante, non ponendo in essere la forma richiesta dal pro- ponente, intenda fare una dichiarazione che valga come accettazione della proposta e che sia acclarata, inoltre, la sua conoscenza del valore che il proponente ha dato alla accettazione, sia pure, al limite, dandone avviso all’accet- tante, conformemente a quanto prevede, per la tardiva ac- cettazione, l’art. 1326, terzo comma, Codice civile. Nono- stante le ferme contestazioni svolte dalla società, la sen- tenza impugnata aveva omesso tali verifiche. Ulteriore ar- gomento a sostegno della tesi esposta poteva trarsi dall’art. 1352 Codice civile, norma che prevede la nullità del con- tratto per inosservanza della forma predeterminata con- venzionalmente. Il motivo va rigettato. Anzitutto, gli ele- menti sui quali la parte ricorrente basa la propria ricostru- zione non sono idonei a suffragarla. La approvazione spe- cifica - prevista, dall’art. 1341 Codice civile, per le clauso- le vessatorie predisposte dal contraente «forte» - non inci- de sulla formazione del consenso, ma soltanto sulla effica- cia delle clausole non sottoscritte che, in caso di mancata approvazione specifica, si considereranno non apposte. La previsione, nel modulo, che l’iscrizione al corso didattico
«si intenderà perfezionata al momento del ricevimento ... della scheda compilata e sottoscritta in tutte le sue parti» non implica che per la conclusione del contratto sia indi- spensabile una doppia sottoscrizione, perché rimane indi- mostrato che l’intento del proponente fosse quello di non ritener valido il contratto se carente dell’approvazione specifica di alcune clausole (oltretutto, secondo l’incensu- rata interpretazione della Corte d’appello, non vessatorie e quindi già impegnative con la sottoscrizione dell’intera proposta per accettazione). Né è possibile stabilire analo- gie con quanto dispone l’art. 1352 Codice civile. Perché quest’ultima norma provvede su una ipotesi nella quale le parti hanno convenzionalmente stabilito, mediante un contratto preliminare, che tutti i loro futuri rapporti do- vranno soggiacere a determinati requisiti di forma per es- sere validamente conclusi e la forma è quindi convenuta e non meramente proposta.
È vero che la sentenza impugnata sembra aver accettato l’interpretazione che, della proposta, ha offerto la ricorren- te perché, per rigettarla, ha affermato: «all’eccezione ex art. 1326 Codice civile, comma 4, si deve replicare osservando che tale norma è posta a tutela del proponente («qualora il proponente richieda ...») che è libero di non avvalersene considerando, come nella specie, concluso il contratto an- che se l’accettazione è stata data in forma diversa da quella richiesta» ma anche seguendo questa impostazione, il mo- tivo di ricorso va rigettato. In primis, perché quanto ha de- ciso la sentenza d’appello è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 406/2004; n. 12344/2003; n. 13277/2000; n. 1306/1990; n. 499/1988; n. 5839/1982); in
secondo luogo perché i rilievi della ricorrente - circa la ne- cessità di una indagine sulle intenzioni di chi ha accettato senza osservare la forma proposta e circa la necessità che, dell’intenzione di ritenere idonea l’accettazione in forma
diversa, il proponente dia tempestiva ed adeguata notizia - costituiscono nuove eccezioni basate su circostanze di fat- to non dedotte dinanzi al giudice del merito, al quale la ri- corrente avrebbe dovuto chiedere di accertare che, dopo la restituzione del modulo sottoscritto, l’università non aveva in alcun modo mostrato di aver accettato l’iscrizione.
Col secondo motivo, la sentenza viene censurata per vio- lazione dell’art. 1453 Codice civile, dell’art. 115 Codice procedura civile e art. 2697 Codice civile, e per correlato vizio di motivazione. L’Università non aveva dato, nel corso del giudizio, alcuna prova dell’adempimento della obbligazione a suo carico: non aveva cioè dimostrato di aver tenuto il corso di formazione e istruzione oggetto del contratto, nonostante l’eccezione - che nessuna prestazio- ne era stata eseguita o comunque erogata a favore della Finconsulting - sollevata sia in primo che in secondo gra- do dalla società. La motivazione della sentenza, che nel caso di contratto avente ad oggetto l’effettuazione di un corso, a nulla rileva che l’iscritto non vi abbia partecipato, avendo la controparte già sopportato il relativo costo, as- sumeva quindi come dimostrato lo svolgimento del corso, senza che nessuna prova in tal senso fosse stata fornita dal- la università, sulla quale incombeva l’onere, data la conte- stazione da parte della Finconsulting, che aveva, sin dalle prime battute del giudizio, eccepito di non aver ricevuto alcuna controprestazione per la somma pretesa ed aveva, a più riprese, dedotto di non aver mai usufruito delle pre- stazioni per cui l’università chiedeva il pagamento.
Anche il secondo motivo è infondato. L’eccezione di mancata fruizione, sollevata dalla società nel giudizio di merito, non coincide, né in fatto né in diritto, con l’ec- cezione di mancato adempimento - ovverosia, di man- cata esecuzione del corso - sulla quale si imposta il moti- vo di censura, riferendosi la prima ad un comportamen- to del creditore e la seconda ad un comportamento del debitore, configurandosi la prima come una eccezione di recesso o di impossibilità sopravvenuta e la seconda co- me una eccezione di inadempimento. A fronte della de- cisione del tribunale - che, come riportato in narrativa, considerava irrilevante la mancata partecipazione al cor- so dedotta dalla Finconsulting in quanto non dipenden- te da fatto imputabile all’Università- era onere della ap- pellante segnalare che la sua eccezione era stata frainte- sa dal giudice di primo grado e provare che il corso non aveva avuto luogo o, se aveva avuto luogo, che non ne aveva avuto notizia (S.U. n. 28498/2005) anziché limi- tarsi a ribadire la mancata fruizione.
Esattamente, perciò, la sentenza impugnata ha conside- rato che i termini della contestazione non involgevano la esecuzione del corso, ma solo l’obbligo del pagamento, anche se la società non aveva potuto - o voluto - fre- quentare le lezioni.
Poiché l’intimata università non ha svolto attività difen- siva, non v’è luogo a provvedere sulle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
IL COMMENTO
di Xxxxxx Xxxxx
richieda per l’accettazione una forma determinata,
La pronuncia in rassegna, dopo aver chiarito la porta- ta del principio sancito dall’art. 1326, quarto comma, Codice civile, analizza la natura e le caratteristiche dell’eccezione d’inadempimento, tracciando il confine rispetto ad istituti solo apparentemente analoghi. L’autore esamina le tesi dottrinali e gli orientamenti giurisprudenziali formulati in materia.
Il caso
Una società a responsabilità limitata rifiuta il paga- mento per la partecipazione ad un corso organizzato da un istituto universitario, ritenendo che il contratto non possa essere considerato concluso perché «nel modulo era previsto che l’iscrizione al corso si intendeva perfe- zionata al momento della sottoscrizione del modulo stes- so in ogni sua parte», mentre il rappresentante legale della società, aveva omesso di apporre la doppia sotto- scrizione richiesta. La società, peraltro, solleva eccezione di inadempimento, in quanto, sostiene che nessuna pre- stazione sarebbe stata eseguita o comunque erogata in suo favore.
La soluzione
La prima Sezione civile della Cassazione respinge le doglianze sollevate dalla società ricorrente chiaren- do, innanzitutto, che la mancata specifica approvazio- ne delle clausole vessatorie prevista dall’art. 1341 Co- dice civile non ha alcun riflesso sulla stipulazione del contratto, generando esclusivamente l’effetto di consi- derare le clausole in questione come non apposte. L’in- serimento, nel modulo di iscrizione al corso, di una clausola che richiede, per la valida conclusione del contratto, il ricevimento da parte dell’istituto universi- tario «della scheda compilata e sottoscritta in tutte le sue parti» non rende indispensabile la doppia sottoscri- zione ai fini del perfezionamento del contratto, giac- ché, non è stato dimostrato l’intento del proponente di non considerare valido l’accordo privo della specifica approvazione delle clausole di che trattasi, specialmen- te se si considera che il giudice di merito ha escluso la natura vessatoria delle clausole contestate, per cui le stesse sono da considerare vincolanti a seguito della semplice sottoscrizione dell’intera proposta contrattua- le per accettazione. Non è, peraltro, proponibile l’ap- plicazione al caso di specie dell’art. 1352 Codice civile,
può, tuttavia, non avvalersi della forma pretesa, consi- derando perfetto il contratto anche quando l’accetta- zione sia stata espressa in forma diversa da quella ri- chiesta, poiché la norma citata nello stabilire che «l’ac- cettazione non ha effetto se è data in forma diversa», prevede una forma di tutela a favore del solo propo- nente (1). L’accettante, pertanto, non si può avvalere di questa disposizione per far valere le sue pretese.
Riguardo alla sollevata eccezione di mancato ri- cevimento di alcuna controprestazione, la Cassazione ha precisato che, l’eccezione di mancata fruizione avanzata dalla società ricorrente non può essere rite- nuta, né in fatto né in diritto, come una forma di ec- cezione di inadempimento, cioè di mancata esecuzio- ne del corso, poiché l’eccezione di mancata fruizione si riferisce al comportamento del creditore, mentre, l’ec- cezione di mancato adempimento si riferisce al com- portamento del debitore. La prima si configura, per- tanto, come recesso o impossibilità sopravvenuta, la seconda, invece, come eccezione di inadempimento. Conclude la Cassazione ritenendo che, in fase di ap- pello, la società avrebbe dovuto precisare che la sua eccezione si basava sulla circostanza che il corso non aveva avuto luogo o, quantomeno, che la società non ne aveva avuto notizia e non limitarsi a sollevare la mera mancata fruizione.
Quando la proposta prescrive oneri formali a carico dell’oblato
Proposta e accettazione esprimono la volontà con- trattuale delle parti. Xxxxxx, pertanto, essere idonee a manifestare il consenso che dà vita al contratto. Sono di regola manifestate espressamente o tacitamente e de- vono eventualmente rivestire la forma necessaria per la validità del contratto. Se il contratto non è formale, la proposta e l’accettazione possono essere espresse in for- ma libera. Un particolare onere formale può essere im- posto dal proponente a carico dell’accettante. Questa possibilità è prevista dall’art. 1326, quarto comma, Co- dice civile, in base al quale «qualora il proponente ri- chieda per l’accettazione una forma determinata, l’ac- cettazione non ha effetto se è data in forma diversa». Secondo una prima tesi, invero minoritaria, nel caso in cui l’accettante non rispetti l’onere formale imposto dal proponente ex art. 1326, quarto comma, Codice civile,
in quanto quest’ultimo disciplina ipotesi di forme con-
venzionali da rispettare per la valida conclusione di un certo numero di contratti intercorrenti fra le parti. Nel caso analizzato la forma non è stata preventivamente concordata, ma semplicemente proposta. Ancora sulla forma, la Cassazione precisa che, ove il proponente, av- valendosi dell’art. 1326, quarto comma, Codice civile,
Nota:
(1) Conformemente Cass., sez. lav., 14 gennaio 2004, n. 406, in Giust. civ. Mass., 2004, 1; Cass., sez. II, 22 agosto 2003, n. 12344, in Giust. civ. Mass., 2003, 7-8; Cass., sez. I, 5 ottobre 2000, n. 13277, in Giust. civ. Mass., 2000, 2095; Cass., sez. I, 22 febbraio 1990, n. 1306, in Giust. civ. Mass., 1990, 2; Cass., sez. lav., 22 gennaio 1988, n. 499, in Giust. civ. Mass., 1988, 1.
l’accettazione assume il valore di nuova proposta con la conseguenza di poter essere a sua volta accettata dall’o- riginario proponente. La tesi maggioritaria, sia in dottri- na che in giurisprudenza, invece, ritiene che quando il proponente esige che l’accettazione venga manifestata attraverso una forma prestabilita e, nonostante ciò, la stessa sia espressa mediante una forma diversa, l’accet- tazione non ha effetto. Tuttavia, il proponente può co- munque considerare concluso il contratto, giacché l’o- nere formale previsto dall’art. 1326, quarto comma, è posto nell’esclusivo interesse del proponente che può, pertanto, rinunciarvi (2). Tale rinuncia può essere an- che tacita, tuttavia, la rinuncia tacita del patto di forma genera la necessità di provare la sussistenza di atti in- conciliabili con la volontà di mantenere il requisito for- male originariamente previsto.
Nel caso affrontato dalla pronuncia in rassegna, il contratto si è certamente perfezionato poiché il propo- nente, nell’esigere la controprestazione, ha chiaramente dimostrato di non considerare essenziale la forma attra- verso cui il consenso è stato manifestato. Questo atteg- giamento può essere spiegato solo ritenendo che il pro- ponente abbia rinunciato alla forma originariamente imposta all’oblato. La facoltà di rinunciare, come preci- sato, è del tutto legittima, in quanto l’onere formale di cui all’art. 1326, quarto comma, è previsto nell’esclusivo interesse del proponente, come tale è rimesso alla sua di- sponibilità.
Eccezione d’inadempimento e mancata fruizione della prestazione
I contraenti possono rifiutare l’adempimento qua- lora l’altra parte non esegua la prestazione, o dichiara di non voler adempiere, o non offre di adempiere con- temporaneamente, salvo che siano stati stabiliti termi- ni diversi per l’adempimento. In questo senso si espri- me l’art. 1460, primo comma, Codice civile. Lo spirito della norma è evidente. Ove le prestazioni debbano es- sere eseguite, l’una contro l’altra, come succede gene- ralmente nei contratti corrispettivi, ciascuno dei con- traenti può esigere che l’altro, nel richiedere l’adempi- mento altrui, offra di eseguire anche la propria presta- zione (3). L’obiettivo è quello di prevenire i possibili danni derivanti da eventuali futuri inadempimenti del- la parte che ha già conseguito la controprestazione. Autorevole dottrina considera questo istituto come una forma di autotutela che è possibile esercitare tra- mite un’eccezione, senza che sia necessario l’interven- to d’ufficio del giudice (4). La dottrina maggioritaria ha osservato che l’eccezione di inadempimento (art. 1460 Codice civile) abbia un ambito applicativo che differi- sce dalla sospensione dell’adempimento per mutamen- to delle condizioni patrimoniali dell’altro contraente (art. 1461 Codice civile), in quanto la prima, presup- pone prestazioni da adempiersi contemporaneamente, mentre la seconda richiede che le prestazioni siano da eseguire in momenti diversi.
Xxxxxxxx all’eccezione d’inadempimento, il con- flitto tra le parti può essere risolto con una sentenza che condanni il convenuto ad adempiere, subordinata- mente all’adempimento da parte dell’attore. Se en- trambe le parti si avvalgono dell’eccezione, competerà
Note:
(2) X. Xxxxxxxx, Xxxxxx del proponente e conclusione del contratto, in Giust. civ., 1992, II, 555; X. Xxxxxxxxx, Clausole unilateralmente predisposte e proce- dimento di formazione nella logica contrattualistica, Quadrimestre 1992,169;
A. M. Xxxxxxxxx, Accettazione «condizionata» e principio di conformità (no- ta a Cass., sez. II, 24 ottobre 2003, n. 16016, P.R.A. c. U.T.K.E.G. & C.) in Xxxxxxxxx, 2004, I, 223; E. Bergamo, Conclusione del contratto e produzio- ne in giudizio di scrittura privata non sottoscritta (nota a Xxxx., sez. II, 19 feb- braio 1999, n. 1414, Sirizzotti x. Xxxxxx), in Giur. it., 1999, 28, 2020; D. Xxxxx, Consensualità e realità nella formazione dei contratti, in Contratto e impresa, 1997, I, 980; Id., La formazione del contratto tra realità e con sen- sualità, Padova, 1998; X. Xxxxxxxx, Atto ricettizio: volontarietà della tra- smissione e degli effetti (nota a sent. Cass., sez. un., 5 novembre 1981, n. 5823, Comune Avezzano c. C. Di P.), in Giur. it., 1983, I, 1, 1733; M. Co- stanza, La dichiarazione di accettazione fra regola di forma e principio di confor- mità (nota a sent. Cass., sez. I, 19 maggio 1996, n. 4400, Soc. Biraghi c. AMSA) in Giust. civ., 1997, I, 1068; X. Xxxxx, Considerazioni sulla forma- zione progressiva del contratto, in Riv. dir. comm., 1997, I, 67; X. Xxxxxx, Considerazioni sulla clausola «salvo approvazione della casa», sul contratto concluso mediante esecuzione e sulla proposta irrevocabile senza la prefissione di un termine (nota a Giudice pace Perugia 21 marzo 2000, C. c. Soc. Co- smetici per farmacie) in Rass. giur. umbra, 2000, I, 420; X. Xxxxxxxxxxxxx, La formazione progressiva del contratto, in questa Rivista, 1993, I, 144; X. Xxxxxx, Questioni in tema di contratto (nota a sent. Cass., Sez. I, 6 giugno 1983, n. 3856, C. c. B.), in Riv. dir. comm., 1984, II, 190; X. Xxxxxxxx, Xx- xxxxx, nell’ottica del proponente l’acquisto, su alcune clausole contenute nelle
c.d. «proposte di acquisto», in Riv. notar., 1994, I, 61; X. Xxxxxxxxxx, Dis- senso e formazione del contratto, in Rass. dir. civ., 1989, 454; I. Xxxxx, I pro- blematici confini tra le trattative e la conclusione del contratto (nota a Xxxx., sez. II, 13 maggio 1998, n. 4815, P. c. Soc. Ferretti Craft) in Corr. giur., 1999, 28, 470; X. Xxxxxxxxx, Osservazioni sulla formazione progressiva del contratto (nota a sent. Cass., sez. I, 30 marzo 1994, n. 3158, Soc. Italco- struzioni Il Baricentro c. Banca cattolica pop. Molfetta) in Foro pad., 1995, I, 155; X. Xxxxxxxxx, Gradualità dei vincoli a carico dell’alienante e conclusione del contratto, in Riv. notar., 1994, I, 35; X. Xxxxxxxxx, I rappor- ti giuridici preparatori, Milano, 1996; M. Roma, Xxxxx considerazioni in tema di conclusione del contratto (nota a sent. App. Bari 2 dicembre 1981, B. c. I.), in Giur. it., 1983, I, 2, 239; X. Xxxxxxx, Conclusione del contratto, in Riv. dir. civ., 2000, II, 899; X. Xxxxxxx, Legittimazione rappresentativa e re- quisiti di forma scritta ad substantiam nella compravendita immobiliare (nota a Cass., sez. III, 9 luglio 2001, n. 9289, B. c. A.), in questa Rivista, 2002, I, 247; X. Xxxxx, Il fatto, l’atto, il negozio, in Trattato di Diritto Civile, diret- to da X. Xxxxx, Torino, 2005, 236 ss.; X. Xxxxx, Conclusioni del contratto, in Riv. dir. civ., 1995, II, 201; X. Xxxxx, Conclusione del contratto, in Riv. dir. civ., 1981, II, 523; X. Xxxxx, Conclusione del contratto, in Riv.dir.civ., 1989, II, 707.; X. Xxxxx, La conclusione del contratto, in Riv. dir. civ., 1984, II, 618; M.R. San Giorgio, Il d.lg. n. 185 del 1999, recante attuazione della direttiva n. 97/7/Ce relativa alla protezione dei consumatori in materia di con- tratti a distanza, in Gazz. giur., 1999, 28, 6; X. Xxxxxx, Formazione del con- senso e strumenti informatici, in questa Rivista, 1997, I, 89; X. Xxxxx, Au- tonomia privata e struttura del consenso contrattuale, Milano, 2000; X. Xxx- xxxxxxx, I vincoli unilaterali nella formazione progressiva del contratto, Mila- no, 1991; X. Xxxxxxxxx, Xxxxx proposte di acquisto al preliminare: analisi di una prassi immobiliare, in Riv. notar., 1994, I, 49; X. Xxxx, Brevi note in tema di vincoli contrattuali preparatori a trasferimenti immobiliari (nota a sent. Trib. Genova 7 settembre 1993, A. c. T. e altro) in Giur. it., 1995, I, 2, 529; X. Xxxxx, Proposta, in Digesto, Pubbl., XII, Torino, 1996, 100; P.M. Vecchi, Il principio consensualistico. Radici storiche e realtà applicativa, Torino, 1999, 128 ss.
(3) Xxxxxxxxx-Xx Xxxxxx, Lo studio e la redazione del parere di diritto civile,
Rimini, 2005, 239 ss.
(4) X. Xxxxxxx, Manuale di diritto privato, Napoli, 2005, 1106 ss.
al giudice stabilire quale dei due inadempimenti sia più grave e possa come tale giustificare l’eccezione, avuto anche riguardo alle obbligazioni secondarie ritenute, però, essenziali dalle parti. L’eccezione può anche para- lizzare una domanda di risoluzione del contratto essen- do sia giudiziale che stragiudiziale. Va precisato che il contraente non può rifiutare l’esecuzione della presta- zione se il rifiuto è contrario alla buona fede. Perciò, la fondatezza dell’eccezione deve essere valutata secondo un criterio di proporzionalità tra l’adempimento richie- sto è quello che non è stato eseguito. Per questo, un inadempimento di scarsa importanza non legittima l’eccezione. Il suo fondamento, in ogni caso, deve esse- re dimostrato dalla parte che se ne avvale (5). Sul pun- to, la pronuncia in rassegna evidenzia come la parte creditrice abbia erroneamente eccepito l’inadempi- mento. Così come formulata dalla società creditrice, infatti, la vicenda pare più correttamente inquadrabile nell’ambito del recesso o dell’impossibilità sopravvenu- ta. Opportunamente, la prima Sezione della Cassazio- ne sottolinea che «era onere dell’appellante segnalare che la sua eccezione era stata fraintesa dal giudice di primo grado e provare che il corso non aveva avuto luogo o, se aveva avuto luogo, che non ne aveva avuto notizia anziché limitarsi a ribadire la mancata fruizio- ne». La giurisprudenza richiamata dalla sentenza in commento, aveva già chiarito che in materia di onere della prova in fase di gravame, essendo l’appellante te- nuto a fornire la dimostrazione della fondatezza delle singole censure mosse alle singole soluzioni offerte dal- la sentenza impugnata, il cui riesame è richiesto per ot- tenere la riforma del capo decisorio contestato, l’appel- lo da lui proposto, in mancanza di tale dimostrazione, deve essere respinto, con conseguente conferma dei ca- pi di sentenza appellati (6).
Centrale, oltre che condivisibile, è il punto della sentenza in rassegna in cui si afferma che l’eccezione di mancata fruizione, eccepita dalla società nel giudizio di merito, non può essere considerata come una forma di eccezione di inadempimento, cioè di omessa esecuzio- ne del corso oggetto del contratto. Infatti, l’eccezione di mancata fruizione della prestazione, sollevata dalla società, si riferisce ad un comportamento del creditore, configurabile come un’eccezione di recesso o di impos- sibilità sopravvenuta, mentre l’eccezione d’inadempi- mento è riconducibile ad un comportamento del debi- tore che manca di eseguire la prestazione dovuta, così giustificando l’atteggiamento di autotutela del credito- re (7).
Il comportamento di mancata fruizione della pre- stazione da parte del creditore, non è dovuto alla negli- genza del debitore per cui, a quest’ultimo non possono essere addossate le conseguenze nefaste che ne derivano. La responsabilità dell’Università debitrice sarebbe stata, invece, inevitabile qualora la società creditrice avesse di- mostrato che il corso non era stato organizzato o, se or- ganizzato, che l’Università non aveva provveduto ad
informare i corsisti, onde consentire loro la frequenza. In mancanza di tale dimostrata responsabilità, la sollevata eccezione di inadempimento non poteva che essere re- spinta.
Note:
(5) C.M. Xxxxxx, Diritto civile. Le obbligazioni, vol. 4, Milano, 2000, 324 ss.; X. Xxxxxxxxx, L’eccezione d’inadempimento: tra dottrina e giurisprudenza, in Rass. avv. Napoli, 2000, II, 17; X. Xxxxxxxx, Integrazione del contratto ed eccezione di inadempimento in tema di spazi destinati a parcheggio (nota a Cass., sez. II, 12 giugno 1998 n. 5870, P. e altro c. I. e altro), in Nuova giur. civ., 1999, I, 372; G.P. Xxxxxxx, Negozi collegati ed eccezione di inadempimen- to (nota a sent. Cass., sez. II, 11 marzo 1981, n. 1389, C. c. Xxxx’x), in Xxxx.xx., 1982, I, 1, 377; X. Xxxxxxx, Xxxxx ammissibilità della «eccezione par- ziale di inadempimento» (nota a Trib. Cagliari 27 luglio 2000, n. 1673, Soc. Ar.Te.Cos c. M.), in Riv. giur. Sarda, 2002, I, 107; P.E. Xxxxxxx, In tema di prova dell’adempimento nei contratti con prestazioni corrispettive (nota a sent. Trib. Cagliari 23 luglio 1990, soc. Plasmetalegno c. P.), in Riv.giur.Xxxxx, 1992, 74; X. Xxxxxxxx, Buona fede ed eccezione di inadempimento (nota a sent. Cass., sez. II, 21 febbraio 1983, n. 1308, Azienda foreste demaniali regione siciliana c. G.), in Giust.civ., 1983, I, 2389; X. Xxxxxxxx, Onere della prova spettante al venditore a fronte dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 Codice civile sollevata dall’acquirente (osservaz. a Cass., sez. II, 16 novembre 2000 n. 14865, Soc. Modulo 80 c. Soc. Step), in Corr. giur., 2001, 6, 765; X. Xxxxxxx, Sull’«exceptio inadimpleti contractus» (nota a sent. Trib. Cagliari 26 giugno 1996, Soc. Scavi c. Soc. X.Xxx.Xx.)in Riv. giur. Sarda, 1998, I, 115; X. Xxxxxxxxxx, L’eccezione di inadempimento nel con- tratto di riporto (rif. a Cass., sez. I, 26 maggio 2000, n. 6934), Dir. e prat. soc., 2001, 6, 64; X. Xxxxxxx, Eccezione di inadempimento, in Riv.dir.civ., 1985, II, 635; X. Xxxxx, Pericolo di inadempimento ed «exceptio inadimpleti contractus» (nota a Cass., sez. III, 14 marzo 2003, n. 3787, Soc. A. c. Fall. soc. S.), in Xxxxxxxxx, 2004, II, 447; X. Xxxxx, Adempimento parziale ed «ex- ceptio non rite adimpleti contractus» (nota a Trib. Perugia 30 maggio 2000, Ass. umbra lotta cancro c. Soc. Arca), in Rass. giur. umbra, 2001, I, 81; X. Xxxxxxx, Eccezione di inesatto adempimento e denunzia dei vizi della cosa loca- ta (nota a Xxxx., sez. III, 7 marzo 2001, n. 3341, Z. c. P.) in Contratti, 2001, 6, 995.
(6) In questo senso Cass., sez. un., 23 dicembre 2005, n. 28498, 2005.
(7) X. Xxxxxxxxx, L’eccezione d’inadempimento: tra dottrina e giurisprudenza, in Rass. avv. Napoli, 2000, II, 17; X. Xxxxxxx, Xxxxx ammissibilità della «ecce- zione parziale di inadempimento» (nota a Trib. Cagliari 27 luglio 2000, n. 1673, Soc. Ar.Te.Cos x. Xxxxx), in Riv. giur. Sarda, 2002, I, 107; P.E. Cor- rias, In tema di prova dell’adempimento nei contratti con prestazioni corrispetti- ve (nota a sent. Trib. Cagliari 23 luglio 1990, soc. Plasmetalegno c. P.), in Riv.giur.Xxxxx, 1992, 74; X. Xxxxxxxx, Buona fede ed eccezione di inadempi- mento (nota a sent. Cass., sez. II, 21 febbraio 1983, n. 1308, Azienda fore- ste demaniali regione siciliana c. G.), in Giust.civ., 1983, I, 2389.
Transazione
Transazione e obbligazione solidale
Cassazione civile, sez. III - 18 aprile 2006, n. 8946 - Pres. Xxxxxxx - Est. Durante - P.M. Ceniccola - Ric.
D.A.A. - Res. R.F.
Obbligazione solidale - Transazione - Transazione novativa - Mancata partecipazione e dichiarazione di volerne profittare da parte di un condebitore - Effetti nei rapporti esterni con il creditore - Inefficacia - Effetti nei rapporti interni tra condebitori - Inefficacia
L’inefficacia della transazione, sia essa conservativa o novativa, nei confronti dei condebitori che non vi hanno partecipato e non hanno dichiarato di volerne profittare riguarda sia i rapporti esterni fra co- storo ed il comune creditore sia quelli interni fra il debitore che ha stipulato la transazione e gli altri debitori. In particolare, se la transazione ha ridotto o aumentato l’ammontare del debito originario, la misura del regresso va determinata applicando le percentuali delle quote interne all’ammontare origi- nario e non a quello ridotto o aumentato.
R
Svolgimento del processo
.
F. convenne innanzi al pretore di Roma D.A. A. per ottenerne la condanna al pagamento in xxx xx xxxxxxxx xx X. 00.000.000 xxxx’assunto che si
era obbligata solidalmente con la convenuta nei confron- ti della s.n.c. De Angelis mobili al pagamento di L. 10.500.000; che aveva successivamente stipulato transa- zione con la quale si era obbligata a pagare la maggiore somma di L. 22.000.000, che aveva adempiuto quest’ulti- ma obbligazione.
Nella resistenza della convenuta il tribunale di Roma (medio tempore era stato soppresso l’ufficio del pretore) respinse la domanda che, viceversa, la corte di appello di Roma accolse in parte, condannando la D.A. al paga- mento di Euro 3.506,66 oltre accessori, con sentenza resa su gravame principale della R. ed incidentale della D.A. In motivazione la corte ha considerato quanto segue.
Con scrittura privata in data 4 marzo 1989, rispetto alla quale si è verificato riconoscimento tacito a norma del- l’art. 215 Codice procedura civile da parte della D.A., costei e la R. hanno assunto l’obbligazione solidale di pa- gare L. 11.000.000; con atto di transazione in data 9 marzo 1995 la sola R. si è obbligata al pagamento di L. 22.000.000; tale atto non produce effetti nei confronti della D.A. che non ha dichiarato di volerne profittare, sicché la medesima è tenuta in via di regresso nei limiti dell’obbligazione originaria.
Avverso tale sentenza la D.A. ha proposto ricorso per Cassazione, deducendo due motivi sostenuti con memo- ria; la R. ha resistito con controricorso.
C
Motivi della decisione
on il primo motivo la ricorrente lamenta viola- zione e falsa applicazione dell’art. 1304 Codice civile in relazione all’art. 360 Codice procedura
civile, nn. 3 e 5; avuto riguardo alla somma pretesa, il
contratto di transazione deve essere considerato la «cau- sa petendi» della domanda; in base ai criteri di ordinaria applicazione la transazione ha natura novativa con l’ef- fetto che il precedente rapporto obbligatorio si è estinto e ad esso se ne è sostituito un altro che in tanto sarebbe stato efficace nei confronti della condebitrice solidale in quanto essa avesse dichiarato di volere profittare della transazione.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 112 Codice procedura civile in relazione all’art. 360 Codice procedura civile, nn. 3 e 5; sia in primo che in secondo grado è stato chiesto il pagamento della som- ma di L. 11.000.000 corrispondente all’esatta metà del- l’obbligazione assunta con la transazione, mentre la cor- te di merito ha condannato al pagamento di L. 6.944.740 pari ad Euro 3.506,66 e, cioè, della metà del- l’obbligazione originaria; si è, pertanto, verificato muta- mento della «causa petendi» e del «petitum» o quanto meno ultrapetizione;
la corte di merito non si è inoltre pronunciata sul moti- vo dell’appello incidentale secondo il quale nella specie difetta il rapporto di solidarietà; rapporto in effetti esclu- so alla stregua della documentazione prodotta.
I motivi sono connessi e possono essere esaminati con- giuntamente.
La Corte di merito ha ritenuto che nella specie la R., condebitrice solidale, ha proposto azione di regresso nei confronti dell’altra condebitrice, la D.A., chiedendo la quota di debito rapportata non già all’obbligazione origi- naria, ma a quella assunta con la transazione.
Secondo la corte la transazione non vincola la condebi- trice che non vi ha partecipato e non ha dichiarato di volerne profittare tanto nei rapporti interni che in quel- li esterni, rimanendo essa obbligata sia negli uni come negli altri per l’obbligazione originaria.
Sostiene la ricorrente che la transazione intervenuta
nella specie ha natura novativa con l’effetto che l’obbli- gazione originaria si è estinta e la nuova non vincola la condebitrice che non l’ha stipulata e non ha dichiarato di volerne profittare.
Va rilevato in proposito che l’art. 1304, primo comma, Codice civile («La transazione fatta dal creditore con uno dei debitori in solido non produce effetto nei con- fronti degli altri, se questi non dichiarano di volerne pro- fittare») disciplina gli effetti della transazione stipulata da uno solo dei debitori solidali e si riferisce alla transa- zione concernente l’intero debito solidale; quando, inve- ce, è limitata alla quota interna del debitore che la stipu- la, la transazione riduce il debito originario dell’importo corrispondente alla quota transatta e scioglie il vincolo solidale fra lo stipulante e gli altri condebitori senza in- terferire sulla quota interna di essi, che rimangono ob- bligati verso il creditore nei limiti della loro quota (Cass. 27 marzo 1999, n. 2931; Cass. 19 dicembre 1991, n.
13701).
L’inefficacia della transazione nei confronti dei debito- ri che non vi hanno partecipato e non hanno dichiara- to di volerne profittare riguarda sia i rapporti esterni fra costoro ed il comune creditore che quelli interni fra il debitore che ha stipulato la transazione e gli altri debi- tori.
In particolare, se la transazione ha ridotto o aumentato l’ammontare del debito originario, la misura del regresso va determinata applicando le percentuali delle quote in- terne all’ammontare originario e non a quello ridotto o aumentato.
Se la transazione è novativa della originaria obbligazio- ne solidale, come quando non si limita a ridurre l’am- montare della prestazione controversa, ma la sostituisce con un’altra, in caso di solidarietà passiva, secondo un orientamento dottrinale, non si applica l’art. 1304 Co- dice civile, bensì l’art. 1300, primo comma, Codice ci- vile, con la conseguenza che i condebitori sono auto- maticamente liberati nei rapporti con il creditore senza bisogno che dichiarino di volere profittare della transa- zione, salva l’ipotesi di un effetto novativo limitato «pro quota» che comporta solo una proporzionale riduzione del debito solidale degli altri condebitori; nei rapporti interni, invece, i condebitori non rimangono necessa- riamente liberati, a questo fine occorrendo che il con- debitore che stipula la transazione rinunci al regresso; ciò perché la liberazione avviene mediante il sacrificio al quale esso si sobbarca per un ammontare superiore al- la sua quota.
Secondo altro orientamento l’art. 1304 Codice civile si applica in quanto transazione e novazione non sono fat- tispecie identiche o assimilabili, cosicché la disciplina dell’una non si comunica a quella dell’altra.
A questo secondo orientamento aderisce il Collegio, considerando che l’estinzione dell’obbligazione solida- le in conseguenza della transazione novativa ha un co- sto nelle concessioni fatte dal condebitore che la sti- pula e non è possibile imporre questo costo ai conde-
bitori che non lo accettino mediante adesione al ne- gozio transattivo, ritenendolo sproporzionato o non conveniente rispetto all’estinzione; in questo caso si applica la regola generale, secondo la quale la transa- zione è inefficace nei confronti del condebitore che non vi ha partecipato e non ha dichiarato di volerne profittare per quanto concerne sia i rapporti esterni che quelli interni.
Nella specie la natura novativa della transazione risulta dedotta per la prima volta in questa sede ed, implicando il relativo accertamento valutazioni di fatto (Cass. 19 maggio 2003, n. 7830), i motivi sono inammissibili per la parte che la concernono; è appena il caso di aggiunge- re che, se non fossero inammissibili, sarebbero infondati in quanto, come già detto, la transazione anche se nova- tiva non vincola i debitori solidali che non la stipulino o non dichiarino di volerne profittare, come la D.A., se- condo quanto incensuratamente ritenuto dalla corte di merito.
In questa prospettiva risulta palese l’infondatezza delle censure mosse alla corte di merito per avere mutato
«causa petendi» e «petitum», dovendosi riconoscere che la corte stessa si è limitata a qualificare la domanda ed in- dividuare la disciplina giuridica, facendone corretta ap- plicazione, senza travalicare i limiti fissati alla sua atti- vità.
La censura di omessa pronuncia sull’appello incidenta- le trova smentita nella sentenza impugnata, nella qua- le si legge «la scrittura 4 marzo 1989, sottoscritta anche dalla D.A., non è stata tempestivamente e ritualmente disconosciuta dalla parte, sicché, operando il principio del riconoscimento tacito ex art. 215 Codice procedu- ra civile, l’atto ha acquistato l’efficacia di prova legale sulla questione dell’esistenza dell’obbligazione solidale delle acquirenti per il pagamento del saldo del prezzo»; mentre non risulta dedotto come vizio di motivazione, bensì corno omessa pronuncia e, perciò, inammissibil- mente il fatto che alla luce della documentazione ver- sata in atti non può ritenersi provata l’obbligazione so- lidale.
I motivi sono, pertanto, infondati ed il ricorso è rigetta- to con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pa- gamento delle spese (Omissis).
IL COMMENTO
di Xxxxxxx Xxxxxx
Il caso
Due soggetti sono obbligati solidalmente per il paga- mento di una fornitura di beni mobili. Uno dei due con- debitori, dopo aver concluso con il comune creditore una transazione con cui, a fronte di non meglio precisati be- nefici, ha riconosciuto e pagato una somma superiore ri- spetto a quella oggetto della obbligazione originaria, in- tende agire in regresso nei confronti del condebitore per il recupero del cinquanta per cento dell’importo così co- me individuato per effetto della intervenuta transazione. Riformando la sentenza di primo grado del Tribuna-
le di Roma, la Corte d’appello accoglie la domanda del condebitore che ha perfezionato la transazione, preci- sando però che l’azione di regresso è limitata alla quota dell’importo previsto dall’obbligazione originaria.
Il condebitore, condannato al pagamento in via di regresso, propone quindi ricorso in Cassazione, deducen- do in particolare che, poiché la transazione intervenuta nella specie sarebbe da qualificare come novativa, il pre- cedente rapporto si sarebbe estinto, con la conseguente propria liberazione non solo nei rapporti esterni con il creditore, ma anche in quelli interni con il condebitore. La Cassazione in commento, confermando il giudi-
zio d’appello, ritiene invece legittima la condanna del condebitore al pagamento in via di regresso, ribadendo che il relativo importo deve essere quello previsto nell’o- riginario contratto e non quello convenuto in transazio- ne, e ciò indipendentemente dalla natura novativa o conservativa della transazione.
La sentenza, di cui non constano precedenti in ter- mini, seppure argomentata in termini generici, appare condivisibile nelle conclusioni e comunque fornisce l’occasione di esaminare l’interessante dibattito, avutosi specialmente in dottrina, su di una materia che presenta
Sotto quest’ultimo profilo, la generica formulazione dei due articoli, apparentemente chiara, non consente infatti una interpretazione univoca, anche se, come si tenterà di dimostrare, la diversità fra le diverse ipotesi teoriche connesse a tale disciplina tende a svanire in se- de di applicazione concreta della stessa.
Preliminarmente è opportuno precisare che il dibat- tito in questione ha come presupposto che la transazione riguardi l’intero debito. È cioè da escludere il caso in cui la transazione sia limitata alla parte del solo soggetto del gruppo solidale che la stipula. In quel caso, la transazione, utilizzando le parole della sentenza in commento, «ridu- ce l’intero debito dell’importo corrispondente alla quota transatta con il conseguente scioglimento del vincolo so- lidale fra lo stipulante e gli altri condebitori, i quali ri- mangono obbligati nei limiti della loro quota» (1).
Sempre in via preliminare, occorre quindi accenna- re brevemente alla distinzione tra le ipotesi di transazio- ne conservativa e novativa.
Transazione conservativa e novativa: criteri distintivi
In linea generale, si potrebbe affermare che la tran- sazione è conservativa quando si affianca al precedente rapporto, integrandolo e convivendo con esso, mentre è novativa quando riassorbe il precedente rapporto, rima- nendo unica fonte regolatrice del nuovo (2).
Tale generica definizione deve però fare i conti, in sede applicativa, con le innumerevoli casistiche concre- te che rendono difficile l’individuazione di un criterio chiaro ed univoco.
Ebbene, l’orientamento più risalente nel tempo è quello che dà rilievo preponderante al profilo soggettivo (3), nel senso che, per qualificare la transazione come
profili di indubbio rilievo pratico.
Note:
Il dato normativo
Le disposizioni di rilievo in materia sono sostanzial- mente due: l’art. 1304 Codice civile, secondo cui «la transazione fatta dal creditore con uno dei condebitori in solido non produce effetto nei confronti degli altri, se questi non dichiarano di volerne profittare», nonché l’art. 1300 Codice civile il quale dispone che «la nova- zione tra il creditore e uno dei debitori in solido libera gli altri debitori».
Le questioni interpretative affrontate dalla dottrina e dalla giurisprudenza riguardano quindi la portata appli- cativa delle due norme (se cioè l’art. 1304 ricomprenda ogni ipotesi di transazione o se, nel caso di transazione novativa, si debba applicare l’art. 1300) nonché, in ogni caso, l’individuazione degli effetti che la transazione ab- bia sui rapporti interni tra i condebitori e sui rapporti esterni di questi con il comune creditore.
(1) In questo senso, Xxxx. 27 marzo 1999, n. 2931, in Mass. Foro it., 1999, secondo cui in quel caso viene meno la solidarietà tra lo stipulante e gli altri consorti, con la conseguenza che qualora, ad esempio, un debitore paga l’intero al creditore, non ha azione di regresso nei confronti del con- debitore stipulante, ma solo un’azione per indebito verso il creditore. Co- sì pure cfr. Cass. 5 luglio 2001, n. 9071, in Giust. civ. Mass., 2001; Cass. 3 luglio 2001, n. 8991, in Giust. civ. Mass., 2001; Cass. 19 dicembre 1991,
n. 13701, in Corr. giur., 1992, 425, con nota di X. Xxxxxxxxxxx. Si noti poi che, laddove non sia chiara la volontà dello stipulante, deve presumersi che la transazione sia conclusa per l’intero debito (cfr. Cass. 3 marzo 1997,
n. 1873, in questa rivista, 1997, 485 con nota di F. Delfini).
(2) X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, Transazione, in Enc. giur., Xxxx, 0000, 9.
(3) X. Xxxxxx, Il riconoscimento e la transazione nel problema della rinnova- zione del negozio e della novazione dell’obbligazione, in Raccolta di scritti, 1980, 464 e Id., Transazione e Novazione, in Raccolta di scritti, 1980, 1319. In giurisprudenza, la presenza dell’animus novandi è usualmente ritenuta necessaria al pari dell’oggettivo contenuto della transazione. In tal senso: vedi Cass. 26 luglio 1974, n. 2256, in Nuovo dir. agr., 1975, 375; Cass. 21 marzo 1969, n. 913, in Rep. Xxxx xx., 0000, xxxx Xxxxxxxxxxx, x. 00; App. Roma 13 gennaio 1987, in Giust. Civ., 1987, I, 956.
novativa o conservativa risulta determinante l’indagine della effettiva volontà (animus novandi) delle parti volta, o meno, ad estinguere il rapporto controverso e a sosti- tuirlo con uno nuovo.
A tale tesi, che può ritenersi minoritaria, ha fatto seguito quella secondo cui rilievo determinante deve es- sere attribuito al profilo oggettivo e quindi alla verifica dell’esistenza di un rapporto oggettivamente diverso da quello precedente (4).
La transazione sarebbe novativa «quando la situa- zione preesistente, essendo interamente dedotta in lite, è pure interamente sostituita dalla situazione giuridica che origina dalla transazione», mentre sarebbe conservativa quando «la situazione preesistente non è interamente dedotta in lite, e quindi non è totalmente sostituita, ma integrata da quella creata con la transazione» (5).
Su tale presupposto, la giurisprudenza prevalente ha precisato che la transazione è lato sensu sempre novativa, ma stricto sensu lo è solo quando «incompatibile» con la prestazione originaria (6).
Più nel dettaglio, è stato giudicato che per potersi ravvisare una transazione novativa, occorre che «i rap- porti giuridici tra le parti, id est quello preesistente sul quale ha operato la transazione e quello dalla transazio- ne costituito, siano tra loro incompatibili, nel senso che all’esame della comune intenzione delle parti quale de- sumibile dalle clausole contrattuali risulti - per la natura ed entità dell’intervento, recettivo di presupposti ed esteso ad effetto estranei al precedente rapporto - che il nuovo regolamento negoziale non possa in concreto es- sere altrimenti fondato se non su di un diverso assetto d’interessi introdotto con la transazione stessa, di guisa che da questa sorga un complesso di obbligazioni ogget- tivamente difforme ed autonomo rispetto al preesistente cui venga a sostituirsi» (7).
Da ciò non può che emergere, in definitiva, che per identificare la natura della transazione occorrerà valuta- re ogni specifica fattispecie caso per caso.
D’altra parte, come è stato affermato in dottrina (8), un’indagine caso per caso, è proprio ciò che «la giu- risprudenza sistematica compie, del tutto indifferente ri- spetto alle sottili argomentazioni dottrinali sulla natura e sull’efficacia del contratto di transazione, ogni volta che si trova a giudicare la domanda di risoluzione per ina- dempimento proposta da uno dei transigenti».
Sicché, ad esempio, con specifico riferimento alla fattispecie sottoposta all’esame della Suprema Corte (che non prende posizione sul punto ritenendo che ciò non sia determinante, ai fini della definizione del giudi- zio), sembrerebbe trattarsi di un tipico caso di transazio- ne conservativa, permanendo l’identità del titolo e mu- tando unicamente l’entità della prestazione in denaro di una delle parti (probabilmente a fronte della rinuncia da parte del condebitore di opporre talune eccezioni).
Il caso della transazione conservativa
Ciò premesso, come già accennato, l’art. 1304 Co-
dice civile «specifica che la transazione fatta dal credito- re con uno dei condebitori in solido non produce effetto nei confronti degli altri, se questi non dichiarano di vo- lerne profittare».
La transazione è un contratto che comporta «reci- proche concessioni» secondo quanto espressamente pre- visto dall’art. 1965 Codice civile e, quindi, un «mutuo sacrificio che le parti accettano di sopportare» (9).
Sicché il principio è chiaro: non avendo i condebi- tori partecipato alla negoziazione della transazione, non devono subire le conseguenze delle scelte del debitore che ha stipulato la transazione, a meno che non ne con- dividano l’oggetto e quindi dichiarino di volerne profit- tare (10), nel qual caso è agevole concludere che i con-
Note:
(4) Per una disamina delle due posizioni vedi X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, Transazione, in Enc. giur., Xxxx, 0000, 9 e A. Palazzo, Transazione, in Di- gesto delle discipline privatistiche, Sez. Civile, Vol. XIX, Torino, 1999, 412, e in Trattato Xxxxxxxx, vol. XIII, Torino, 1985; X. Xxxxxxx, Transazione, in Giur. Sistematica civ. e comm., Torino, 1980, 393; X. Xxxxxx - X. Xxxxxxx, La transazione, in Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di X. Xxxxxx, Transazione arbitrato e risoluzione alternativa delle controversie, Milano, 2006, 53.
(5) Si tratta di una tesi autorevolmente sostenuta da X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, La transazione, Napoli, 1975, 79. In dottrina aderisce espressamente X. Xxxxxxx, Transazione, in Giur. Sistematica civ. e comm., Torino, 1980, 396 che riferisce di qualche rara decisione: Xxxx. 19 ottobre 1947, n. 1537, in Giur. Cass. Civ., 1947, III, 232; cfr. anche X. Xxxxxxxx Xxxxxxx, La transa- zione nella prassi interna ed internazionale, Padova, 2000, 240, secondo cui la transazione di regola non è novativa. Nello stesso senso anche X. Xxxxx, Natura della transazione e disciplina dell’errore e della risoluzione, in Riv. dir. civ., 1982, I, 266 e 269.
(6) Fra le tante pronunce in questo senso, vedi Xxxx. 15 novembre 1997,
n. 11330, in Giust. civ. Mass., 1997; Cass. 9 dicembre 1996, n. 10937, in Giur. it., 1998, 932; Cass. 9 dicembre 1996, n. 8264, in Giur. it., 1998, 675; Cass. 12 maggio 1994, n. 4647, in Riv. not., 1995, 953; Cass. 5 mar- zo 1986, n. 1400, in Foro. it., 1987, I, 196 e in X. Xxxxxxx, La transazione nella giurisprudenza, Milano, 1993, 38 e 188; Cass. 29 novembre 1979, n. 1779, in Rep. Xxxx xx., 0000, xxxx Xxxxxxxxxxx, x. 00; Cass. 20 novembre 1970, n. 2460, in Rep. Xxxx xx., 0000, xxxx Xxxxxxxxxxx, x. 0; Xxxxx Xxx. Xxxxxxxx 00 febbraio 1988, in Riv. giur. sarda, 1989, 621.
(7) Esattamente in termini, Cass. 5 marzo 1986, n. 1400, in Foro. it., 1987, I, 196; vedi anche Xxxx. 19 maggio 2003, n. 7830, in questa Rivista, 2003, 1085.
(8) X. Xxxxx, L’oggetto della transazione, Milano, 1999, 198, secondo cui an- cora «l’efficacia novativa della transazione deve essere ricostruita secondo una valutazione casistica, e perciò necessariamente ex post, sulla base de- gli indici legali fissati dalla disciplina di cui agli artt. 1230 ss. Codice civi- le».
(9) X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, La transazione, Napoli, 1975, 26; X. Xxxxxxxxx, Del- la transazione, in Comm. D’Xxxxxx-Xxxxx, Libro delle obbligazioni, II, Dei con- tratti speciali, Firenze, 1949, 448; X. Xxxxxxxx, La transazione, Padova, 2001, 289. In giurisprudenza, con esplicito riferimento al cd. aliquid datum e aliquid retentum, cfr. Cass. 12 luglio 1967, n. 1726, in Rep. Foro it., 1968, voce Obbligazione e contratti, n. 68.
(10) La dichiarazione non è soggetta ad alcuna forma particolare (può es- sere espressa o tacita). Sul punto, vedi Cass. 16 aprile 1992, n. 4660, in Mass. Foro it., 1992; Cass. 29 agosto 1995, n. 9101, in Mass. Foro it., 1995; Cass. 15 maggio 2003, n. 7548, in Giust. civ. Mass., 2003; Cass. 29 gennaio 1998, n. 884 in Mass. Foro it., 1998 che qualifica la dichiarazio- ne come diritto potestativo cui non si oppone un corrispondente o con- trapposto diritto del creditore di eccepire l’avvenuta transazione ovvero di
(segue)
debitori sono obbligati alle nuove condizioni convenute in transazione. Sicché, sotto questo profilo, si può dire che l’art. 1304 Codice civile non deroga alla regola del- la relatività degli effetti del contratto, indicata dall’art. 1372 Codice civile (11).
L’ipotesi che è stata oggetto di discussione interpre- tativa riguarda il caso in cui i consorti rimasti estranei al- la transazione, non dichiarino di volerne profittare (12). Secondo la dottrina prevalente, in questo caso la transazione sarebbe totalmente improduttiva di effetti sia nei rapporti esterni sia in quelli interni (13) e ciò è anche quanto sostenuto dalla giurisprudenza in com- mento, secondo cui: «l’inefficacia della transazione nei confronti dei debitori che non vi hanno partecipato e non hanno dichiarato di volerne profittare riguarda sia i rapporti esterni fra costoro ed il comune creditore che quelli interni fra il debitore che ha stipulato la transazio-
ne e gli altri debitori».
Parte della dottrina, però, ancorando il principio a specifiche ipotesi applicative, ha messo in discussione la validità del predetto principio in termini assoluti, evi- denziando quindi la necessità di tenere in considerazio- ne alcune importanti precisazioni.
Segue: nei rapporti esterni
Se è vero infatti che la transazione è totalmente im- produttiva di effetti, si dovrebbe intendere che i conde- bitori rimangono in ogni caso obbligati per la quota ori- ginaria nei confronti del creditore. Sicché, essi non ver- rebbero in alcun modo liberati dall’obbligo di dover ot- temperare alla eventuale richiesta del creditore di otte- nere la quota ulteriore rispetto a quella oggetto di tran- sazione.
Sul punto è stato però condivisibilmente sostenuto in dottrina (14) che ciò porterebbe di fatto alla neutra- lizzazione degli effetti della transazione.
Non si vedrebbe infatti, precisa la stessa dottrina, che senso avrebbe stipulare una convenzione, che per definizione deve comportare un sacrificio per colui che la pone in essere, se poi, di fatto, il creditore transigente riesce egualmente a soddisfare per intero le sue pretese. La variazione del credito sarebbe puramente virtuale e la transazione perderebbe la sua funzione tipica per trasfor- marsi in un fatto produttivo di soli vantaggi per il credi- tore che, infatti, vedrebbe moltiplicate le chances di ot- tenere l’adempimento.
Così pure, dal punto di vista del condebitore transi- gente, questi verrebbe a perdere il beneficio della transa- zione, per effetto del legittimo regresso da parte degli al- tri condebitori estranei alla transazione. Immaginiamo un’obbligazione solidale di pagare 1000, ed un pagamen- to di 400 da parte del debitore transigente. Se il credito- re chiedesse i restanti 600 agli altri condebitori, questi ultimi chiederebbero l’importo di 100 in via di regresso (con la conseguenza che il debitore che ha concluso la transazione avrebbe comunque pagato 500, ovvero la sua quota del debito originario).
Xxxxxx, appare corretto concludere che, nel caso in cui sia stata pagata la somma convenuta con la transa- zione, il creditore non avrebbe più titolo per chiedere la restante parte agli altri condebitori (15).
In altre parole, la transazione, pur in mancanza del- la dichiarazione di volerne profittare, produrrebbe co- munque un effetto nei confronti degli altri condebitori: il loro obbligo nei confronti del creditore si estinguereb- be pur a fronte di un pagamento di un importo diverso da quello da loro originariamente previsto e rimasto, nei loro confronti, immutato (16).
L’inefficacia della transazione nei confronti dei con- debitori che non hanno partecipato alla transazione ri- marrebbe quindi limitata all’ipotesi in cui, a transazione perfezionata, ma non ancora eseguita (per ipotesi, a cau- sa di inadempimento del debitore), il creditore chiedes- se loro il pagamento dell’importo originario.
Segue: nei rapporti interni
Con riferimento alle conseguenze del principio di- sposto dall’art. 1304 Codice civile sui rapporti interni fra i condebitori, vi è una sostanziale univocità di opinioni in dottrina e giurisprudenza.
L’inefficacia della intervenuta transazione nei con- fronti dei condebitori che non vi hanno preso parte e non ne vogliano profittare comporta che, in sede di re-
Note:
(segue nota 10)
vietare che la dichiarazione possa essere emessa o possa produrre i suoi ef- fetti. Ovviamente, il condebitore che ha stipulato la transazione ha il do- vere di comunicarlo anche oralmente agli altri consorti, al fine di con- sentire a questi ultimi di avvalersi della facoltà di profittare. La violazio- ne di questo dovere può comportare, nei limiti dell’interesse contrattua- le negativo, il risarcimento dei danni che i consorti hanno subito.
(11) X. Xxxxxx, L’obbligazione in generale, in Le obbligazioni, a cura di X. Xxxxxxxx, vol. II, Torino, 2004, 1268; Moscarini-Xxxxx, Transazione (di- ritto civile), in Enc. Giur., XXXI, Roma, 1994, 7; X. Xxxxxx - X. Xxxxxxx, La transazione, in Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di X. Xxxxxx, Transazione arbitrato e risoluzione alternativa delle controversie, Milano, 2006, 64.
(12) Può anche sussistere l’ipotesi che i condebitori non possano dichia- rare di volerne profittare. Si è infatti ritenuto che «nella transazione tra il creditore ed uno o più dei condebitori sociali è perfettamente legittimo che sia inserita una clausola che escluda la possibilità per gli altri conde- bitori, che non hanno partecipato alla transazione, di profittare della stes- sa» (Cass. 19 aprile 1991, n. 4257, in Giur. it., 1991, I, 1, 1320).
(13) X. Xxxxxx, Obbligazioni alternative, obbligazioni solidali, obbligazioni di- visibile ed indivisibili, in Commentario Scialoja-Branca, Delle Obbligazioni, vol. IV, Bologna- Roma, 1968, 271; X. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, La transazione, 1975, 303.
(14) X. Xxxxxxxx, Obbligazioni solidali e transazione, Milano, 1978, 24 ss.;
X. Xxxxxxxxx, Gioco e scommessa. La transazione, in Trattato Cicu Messineo, XXXVII, 2, Milano, 1954, 316.
(15) D’altra parte, l’adempimento effettuato da uno dei condebitori libe- ra anche gli altri coobbligati ai sensi dell’art. 1292 Codice civile.
(16) Come afferma X. Xxxxxxxx, Obbligazioni solidali e transazione, Mila- no, 1978, 27, «se è pur vero cioè che vale l’applicabilità del principio ge- nerale della relatività del contratto, ciò non significa che qualche in- fluenza, sia pure indiretta o riflessa del contratto non si riverberi nei ri- guardi dei soggetti diversi dagli stipulanti».
xxxxxx, il debitore che ha concluso la transazione possa chiedere sempre ai condebitori la quota relativa al debi- to originario e non quella relativa al diverso importo del- la transazione (17). E ciò è anche sostenuto dalla giuri- sprudenza in commento, secondo cui «se la transazione ha ridotto o aumentato l’ammontare del debito origina- xxx, xx xxxxxx xxx xxxxxxxx xx determinata applicando le percentuali delle quote interne all’ammontare originario e non a quello ridotto o aumentato».
Secondo i sostenitori di tale conclusione, questo sa- rebbe l’unico meccanismo che consente al soggetto transigente di non vedere vanificati gli effetti della con- venzione posta in essere, in quanto conserva il vantaggio economico derivatogli dal contratto di transazione, qua- le corrispettivo della rinuncia a procrastinare contesta- zioni e litigi, mentre la conservazione per intero degli oneri debitori in capo al condebitore rimasto estraneo alla transazione è conseguenziale sia all’enunciato legi- slativo sia ai principi generali del nostro ordinamento.
Ci si è posti però la questione di come vadano rego- lati i rapporti interni in un’ipotesi particolare, ma del tutto verosimile.
Potrebbe verificarsi il caso che il creditore rivolga la richiesta di pagamento direttamente agli altri condebi- tori, malgrado l’esistenza della transazione. Seppur vero, come si è detto, che quando il transigente ha pagato, il creditore non può più avanzare ulteriori richieste agli al- tri condebitori, è infatti altrettanto vero che, finché ciò non è accaduto, il creditore ha invece facoltà di sceglie- re a chi rivolgere la richiesta economica.
L’inefficacia della intervenuta transazione nei con- fronti dei condebitori che non vi hanno preso parte e non ne vogliano profittare implicherebbe, in questo ca- so, che questi ultimi possano chiedere al condebitore transigente, in sede di azione di regresso, la quota riferita all’obbligazione originaria.
In altre parole, se il creditore, malgrado l’esistenza della transazione, chiedesse il pagamento della somma originaria agli altri condebitori, questi ultimi dovrebbero pagare tutta la somma originaria e potrebbero agire in regresso per la quota originaria nei confronti del transi- gente, vanificando per quest’ultimo i benefici e quindi neutralizzando l’effetto della transazione.
La dottrina sembra aver correttamente affermato che il debitore che ha concluso la transazione non possa in effetti sottrarsi dall’obbligo di pagare in via di regresso la quota riferita al debitore originario agli altri condebi- tori (proprio perché la transazione è inefficace nei con- fronti di questi ultimi), ma, considerato che ciò è dovu- to al comportamento del creditore, il transigente potreb- be chiedere il risarcimento del danno al creditore (18).
Il caso della transazione novativa
Come già accennato, vi sono diverse opinioni circa la disciplina applicabile in caso di transazione novativa conclusa da uno dei condebitori di una obbligazione so- lidale (19).
Secondo una parte della dottrina, cui espressamen- te si allinea la sentenza in esame, e che in effetti sembre- rebbe preferibile, anche alla transazione novativa si ap- plicherebbe l’art. 1304 Codice civile.
Non rileverebbe, in particolare, la specifica disposizio- ne riferita alla novazione, ovvero l’art. 1300 Codice civile secondo cui «la novazione tra il creditore e uno dei debito- ri in solido libera gli altri debitori. Qualora però si sia volu- to limitare la novazione ad uno solo dei debitori, gli altri non sono liberati che per la parte di quest’ultimo» (20).
Secondo tale orientamento, infatti transazione e novazione non sono fattispecie assimilabili, neppure nel caso in cui la transazione sostituisca in toto il rapporto precedente (21).
Note:
(17) X. Xxxxxxxx, Obbligazioni solidali e transazione, Milano, 1978, 31; ep- pure, anche in questo caso, qualche pronuncia di merito ha statuito che malgrado i condebitori non avessero dichiarato di voler profittare della transazione, le quote di regresso dovute sarebbero quelle calcolate sull’im- porto convenuto in transazione (Trib. Udine 29 dicembre 1960, in Giust. civ., 1961, I, 338; Trib. Reggio Xxxxxx 4 marzo 1966, in Foro it., 1966, 1604).
(18) X. Xxxxxxxx, Obbligazioni solidali e transazione, Milano, 1978, 33, se- condo cui «i diritti o quanto meno le aspettative del transigente non pos- sono essere vanificate dalle manovre e dagli espedienti dalla controparte per conseguire la piena soddisfazione delle sue pretese e dei suoi interessi».
(19) In generale, per una rassegna delle diverse posizioni, meglio richia- mate infra, vedi X. Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxx, La transazione nelle obbligazio- ni solidali, in Studium Iuris, 1997, 798; X. Xxxxxxx, Le obbligazioni solidali, in Enciclopedia, collana diretta da X. Xxxxxx, Padova, 2001, 180 ss.
(20) X. Xxxxxxxx, La transazione, Padova, 2001, 292; C.M. Xxxxxx, Diritto civile, l’obbligazione, IV, 1993, 740; X. Xxxxxxxx, Obbligazioni solidali e tran- sazione, Milano, 1978, 20 ss. la quale osserva che se A e B sono debitori so- lidali di C a seguito di un contratto di compravendita, se fra A richiesto del pagamento del prezzo e C sorga una controversia e C ed A compon- gano la lite transattivamente, stabilendo di trasformare il precedente rap- porto in locazione, ciò comporterebbe l’estinzione della obbligazione soli- dale tra A e B e l’instaurazione di un nuovo rapporto tra A e C. Se in que- sto caso si applicasse l’art. 1300, non vi sarebbe possibilità di profittare e ciò sarebbe iniquo perché B potrebbe avere interesse anch’egli a divenire conduttore insieme ad A dell’immobile; vedi anche X. Xxxxx, L’oggetto del- la transazione, Milano, 1999, 363, in nota n. 58. In giurisprudenza, Cass. 16 dicembre 1982, n. 6934, in Mass. Foro it., 1982, secondo cui la transa- zione «non estende automaticamente gli effetti estintivi dell’obbligazione originaria (sia questa novata o non) nei riguardi dei debitori solidali rima- sti ad essa estranei, occorrendo all’uopo che costoro dichiarino di volerne profittare».
(21) In proposito occorre precisare che, secondo autorevole dottrina,
«l’art. 1976, quando parla di novazione, si riferisce in realtà ad un feno- meno che, quanto meno, non coincide con la novazione in senso tecnico (art. 1230 ss. Codice civile). La novazione è ristretta alle obbligazioni e si verifica quando un rapporto obbligatorio viene sostituito con un nuovo rapporto, anch’esso obbligatorio, rimanendo in conseguenza estinto. L’art. 1976, invece, comprende ogni ipotesi in cui, per effetto del negozio che compone transattivamente la lite, si determinano l’estinzione e la sostitu- zione del rapporto preesistente, obbligatorio o reale che sia, e più in gene- re della situazione preesistente, anche se non consistente in un rapporto fra le parti in lite. Già per questa ragione, la transazione prevista dall’art. 1976, anziché novativa, dovrebbe dirsi piuttosto innovativa, nel senso che dà vita ad una situazione giuridica la quale sostituisce integralmente quella prima esistente. (…) La transazione innovativa provoca l’assorbi- mento e la scomparsa della fonte e della situazione anteriore, la cui esi- stenza e consistenza non rilevano di regola sulla validità della transazione
(segue)
Ciò detto vediamo però quali conseguenze compor- terebbe più in concreto l’adesione alla teoria contraria (22). In verità, come anticipato, salvo le dovute precisa- zioni, non si tratta necessariamente di conclusioni diver- se da quelle raggiunte in caso di transazione conservativa. Da un punto di vista dei rapporti esterni, appare evidente che non vi è possibilità di dichiarare di voler profittare della transazione, ma i condebitori sarebbero automaticamente liberati nei rapporti esterni con il cre-
ditore.
Senza dubbio, è una differenza di rilievo con il caso della transazione conservativa, anche se tale differenza verrebbe in concreto attenuata considerando, come più sopra detto, che una volta eseguita la transazione con- servativa, i condebitori che non vi hanno partecipato sa- rebbero comunque liberati nei confronti del creditore.
Con riferimento ai rapporti interni, è solo dottrina minoritaria, seppur autorevole, (richiamata dal ricorren- te nel giudizio in questione), a ritenere che il debitore che ha novato non avrebbe un diritto di regresso da eser- citare nei confronti degli altri consorti, in quanto non sussisterebbe il presupposto dell’estinzione satisfattiva del credito (23).
Secondo l’orientamento prevalente, i condebitori che non hanno preso parte alla transazione rimangono invece comunque obbligati in via di regresso, salvo espressa rinuncia da parte del debitore che ha stipulato la transazione che compirebbe, in tal modo, «una donazio- ne indiretta ai propri consorti» (24).
Sicché, anche sotto questo profilo, non vi sarebbe una sostanziale differenza con la disciplina applicabile alla transazione conservativa.
Nell’ambito di tale orientamento, si è piuttosto di- scusso se l’azione di regresso riguardi il debito originario o quello oggetto di novazione.
In questo caso, secondo opinione che non risulta aver sofferto contrasti, il debitore che ha stipulato la transazione avrebbe azione di regresso nei confronti dei consorti per la minor prestazione tra quella originaria e quella novata (25).
In particolare, tale dottrina osserva che nel caso la transazione preveda una riduzione dell’originaria presta- zione, le quote del regresso andrebbero calcolate sul nuo- vo ammontare complessivo, perché, in caso contrario, il debitore novante conseguirebbe un ingiustificato arric- chimento nei confronti dei propri originari consorti.
Così pure, nel caso in cui con la novazione si sia completamente sostituita l’originaria prestazione con un’altra, occorre verificare se le quote di regresso risulti- no maggiori se calcolate sulla nuova prestazione; se così, gli altri condebitori avrebbero diritto di vederle calcola- te sulla originaria prestazione, per evitare un pregiudizio dal fatto unilaterale del proprio consorte, cioè da un at- to cui non hanno partecipato.
In tal quadro si potrebbe quindi affermare che, nel caso sottoposto all’esame della Cassazione, qualora si fos- se ritenuta novativa l’intervenuta transazione, come so-
stenuto dal ricorrente, e la Corte avesse aderito alla tesi dell’applicabilità dell’art. 1300 Codice civile, si sarebbe giunti alle stesse conclusioni e cioè alla condanna del condebitore che non ha partecipato alla transazione al pagamento in regresso della quota relativa alla obbliga- zione originaria (nella specie, inferiore rispetto a quella dedotta in transazione).
Note:
(segue nota 21)
(articoli 1969, 1972). Viceversa la novazione è caratterizzata dalla distin- zione della situazione anteriore e di quella successiva, suppone l’esistenza dell’obbligazione precedente, richiede soggettivamente l’animus novan- di, ed oggettivamente l’aliquid novi (articoli 1230, 1234)» (X. Xxxxxxx Pas- sarelli, La transazione, Napoli, 1975, 83); sul concetto di transazione «in- novativa» vedi anche E. del Prato, Transazione (dir. priv.), in Enc. dir., Mi- lano, 1992, 830; sui caratteri distintivi fra transazione novativa e nova- zione, vedi X. Xxxxxxxx Xxxxxxx, La transazione nella prassi interna ed inter- nazionale, Padova, 2000, 214; X. Xxxxx, Natura della transazione e discipli- na dell’errore e della risoluzione, in Riv. dir. civ., 1982, I, 273; X. Xxxxxxxx, La transazione, in Biblioteca dei contratti, raccolta da X. Xxxxxxxxx, Padova, 2001, 171 ss; X. Xxxxxx - X. Xxxxxxx, La transazione, in Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di X. Xxxxxx, Transazione arbitrato e risoluzione alter- nativa delle controversie, Milano, 2006, 55.
(22) X. Xxxxxx, L’obbligazione solidale, Milano, 1959, 203; X. Xxxxxx, Obbligazioni alternative, obbligazioni solidali, obbligazioni divisibile ed indivisi- bili, in Commentario Scialoja-Branca, Delle Obbligazioni, vol. IV, Bologna- Roma, 1968, 271 ss.; Xxxxxxx, Le obbligazioni solidali ed indivisibili, in Trat- tato Xxxxxxxx, X, 9, Torino, 1984, 591.
(23) M. Xxxxxx, Diritto civile, L’obbligazione, vol. IV, Milano, 1993, 728, nota 109.
(24) X. Xxxxxx, Obbligazioni alternative, obbligazioni solidali, obbligazioni di- visibili ed indivisibili, in Commentario Scialoja-Branca, Delle Obbligazioni, vol. IV, Bologna- Roma, 1968, 258.
(25) X. Xxxxxx, op. cit., 258.
Rassegna di legittimità: contratti in generale
Clausola penale
Cassazione Civile, sez. Lavoro, 4 aprile 2006, n. 7835
Pres. Mattone - Est. Di Cerbo - P.M. Gaeta - L.L. c. Xxxxxxxx Xxxxx s.r.l.
Contratti in genere - Clausola penale - Riduzione - Criteri - Fattispecie in tema di violazione di patto di non concorrenza
Il criterio cui il giudice deve porre riferimento per esercitare il potere di riduzione della penale non è la valuta- zione della prestazione in sé astrattamente considerata, ma l’interesse che la parte ha, secondo le circostanze, all’adempimento della prestazione cui ha diritto, tenendosi conto delle ripercussioni dell’inadempimento sul- l’equilibrio delle prestazioni e della sua effettiva incidenza sulla situazione contrattuale concreta. (Nella spe- cie, la S.C. ha confermato la decisione del giudice di merito che aveva rigettato la domanda di riduzione della penale proposta da lavoratori incorsi nella violazione del patto di non concorrenza, rilevandone la conformità ai suddetti parametri, essendo stato osservato, nell’inerente motivazione, che l’inadempimento era stato totale ri- spetto all’obbligazione assunta, essendo iniziato dal giorno successivo alla risoluzione del rapporto e protraen- dosi per l’intero periodo).
Formazione
Cassazione Civile, sez. II, 27 aprile 2006, n. 9647
Pres. Corona - Est. Xxxxx - P.M. Xxxxx - A.O. c. F.D. O D.
Contratti in genere - Contratto preliminare (compromesso) - Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il con- tratto - Difformità dello stato dei luoghi rispetto alle risultanze catastali in difetto di concessione o di sanatoria - Man- canza di dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà attestante l’anteriorità delle opere al 1 settembre 1967 - Possi- bilità di emettere sentenza costituitva ex art. 2932 Codice civile - Esclusione
Non può pronunciarsi sentenza sostitutiva dell’obbligo di concludere il contratto definitivo di compravendita di immobile, ex art. 2932 Codice civile qualora sia giudizialmente accertata la difformità tra le risultanze ca- tastali e l’effettiva consistenza dei beni immobili al momento del trasferimento, in mancanza di concessione edilizia o di successiva regolarizzazione di esse ex art. 40 della L. n. 47 del 1985, e qualora il promittente ven- ditore non abbia provveduto, con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà - prevista dalla legge, che in materia non ammette equipollenti - ad attestare che le relative opere fossero state eseguite prima del 1 set- tembre 1967.
Cassazione Civile, sez. II, 27 aprile 2006, n. 9646
Pres. Pontorieri - Est. Bucciante - P.M. Scardaccione - P.G. c. Mait s.p.a.
Contratti in genere - Requisiti (elementi del contratto) - Accordo delle parti - Condizioni generali di contratto - Ne- cessità di specifica approvazione scritta - In genere - Contratto per adesione - Clausola relativa alla previsione di in- teressi eccedenti la misura legale - Specifica approvazione ex art. 1341 Codice civile - Necessità - Insussistenza
La clausola del contratto per adesione, che prevede la corresponsione di interessi in misura superiore a quella le- gale, non rientra tra quelle che debbono essere specificamente approvate per iscritto a norma dell’art. 1341 Codi- ce civile, stante la tassatività dell’elencazione di tali clausole contenuta nel secondo comma della medesima di- sposizione normativa e l’impossibilità di ricondurla nel novero delle clausole vessatorie in via di interpretazione
estensiva, non sussistendo in questa ipotesi l’esigenza di tutelare il contraente per adesione in una situazione per lui particolarmente sfavorevole.
Cassazione Civile, sez. II, 19 aprile 2006, n. 9040
Pres. Xxxxx - Est. Trecapelli - P.M. Xxxxxxxxx - S.C. c. P.A.
Contratti in genere - Caparra - Confirmatoria - Funzione - Parte non inadempiente - Recesso - Facoltà di ritenere la caparra in funzione liquidatoria del danno - Sussistenza - Esercizio dell’azione di risoluzione - Facoltà di trattenere la caparra solo in funzione di garanzia del risarcimento del danno ove provato - Fattispecie
La caparra confirmatoria ai sensi dell’art. 1385 Codice civile assume la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento qualora la parte non inadempiente abbia esercitato il potere di recesso conferito- le dalla legge che, in tal caso, è legittimata a ritenere la caparra ricevuta o ad esigere il doppio di quella versa- ta. Qualora, invece, detta parte abbia preferito domandare la risoluzione o l’esecuzione del contratto, il diritto al risarcimento del danno rimane regolato dalle norme generali, onde il pregiudizio subito dovrà in tal caso es- sere provato nell’an e nel quantum, giacché la caparra conserva solo la funzione di garanzia dell’obbligazione ri- sarcitoria. (Nella specie, la S.C. ha riformato la sentenza di merito che, pur accogliendo una domanda di accer- tamento dell’intervenuta risoluzione di diritto del contratto, dichiarativa dell’avvenuta cessazione del vincolo contrattuale fin dalla scadenza del termine di cui alla diffida, aveva ciò nonostante consentito alla parte non inadempiente di trattenere la somma recepita a titolo di caparra confirmatoria, ancorché non avesse provato il danno).
Cassazione Civile, sez. II, 19 aprile 2006, n. 9039
Pres. Xxxxx - Est. Trecapelli - P.M. Xxxxxxxxx - S.V. c. Xxxx Xxxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx & C s.n.c.
Contratti in genere - Requisiti (elementi del contratto) - Accordo delle parti - Conclusione del contratto -Proposta
- Accettazione - In genere - Proposta completa degli elementi essenziali del contratto - Formulazione in un docu- mento predisposto dalla parte - Sottoscrizione del documento da parte del destinatario - Perfezionamento del con- tratto - Configurabilità - Condizioni
In tema di conclusione del contratto, qualora, con la proposta formulata in un documento, la parte, indicando gli elementi essenziali del negozio, abbia manifestato la volontà di concludere il contratto alle condizioni ivi stabili- te, la sottoscrizione del documento apposta dalla controparte senza alcuna modifica o integrazione, essendo espressione della volontà di aderire alla proposta, vale come accettazione.
Cassazione Civile, sez. II, 7 aprile 2006, n. 8212
Pres. Calfapietra - Est. Correnti - P.M. Xxxxxxxxx - G.V. c. B.M.
Contratti in genere - Contratto preliminare (compromesso) - Esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il con- tratto - Di compravendita - Domanda relativa e contrapposta domanda di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento - Adempimento della prestazione corrispettiva o offerta di essa - Obbligo del promissario acquirente che agisce - Sussistenza - Limiti - Inadempimento - Conseguenze - Fattispecie
Il contraente che chiede, a norma dell’art. 2932 Codice civile, l’esecuzione specifica di un contratto preliminare di vendita è tenuto ad eseguire la prestazione a suo carico o a farne offerta nei modi di legge se tale prestazione sia già esigibile al momento della domanda giudiziale, mentre non è tenuto a pagare il prezzo quando, in virtù delle obbligazioni nascenti dal preliminare, il pagamento dello stesso (o della parte residua) risulti dovuto all’atto del- la stipulazione del contratto definitivo. In tale ipotesi, al rapporto originato dalla sentenza costitutiva di accogli- mento della domanda di esecuzione in forma specifica, è applicabile l’istituto della risoluzione per inadempimen- to, con la conseguenza che il mancato pagamento del saldo del prezzo, al quale è subordinato l’effetto traslativo della proprietà, può portare alla risoluzione del rapporto. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di meri- to, che aveva escluso detto inadempimento in considerazione del fatto che il prolungato rifiuto di parte venditrice di addivenire alla stipulazione aveva cagionato al promissario acquirente la perdita dei canoni di locazione dell’im- mobile per importi largamente superiori a quelli dovuti).
Interpretazione
Cassazione Civile, sez. I, 14 aprile 2006, n. 8876
Pres. Proto - Est. Napoleoni - P.M. Xxxxxxx - Fallimento Enopuglia s.p.a. c. Regione Puglia
Contratti in genere - Interpretazione - Interpretazione complessiva delle clausole - Considerazione «atomistica» delle singole clausole - Ammissibilità - Esclusione - Possibilità di interpretazione sulla base del «senso letterale delle parole» - Irrilevanza - Atti amministrativi e atti unilaterali a contenuto patrimoniale - Estensibilità del principio
Alla luce del principio enunciato dall’art. 1363 Codice civile, il giudice non può, nella interpretazione dei contrat- ti - e, dunque, anche degli atti amministrativi (la cui interpretazione soggiace, nei limiti della compatibilità, alle regole di ermeneutica contrattuale) e degli atti unilaterali a contenuto patrimoniale (art. 1324 Codice civile) - ar- restarsi ad una considerazione «atomistica» delle singole clausole, neppure quando la loro interpretazione possa essere compiuta, senza incertezze, sulla base del «senso letterale delle parole», poiché anche questo va necessa- riamente riferito all’intero testo della dichiarazione negoziale, onde le varie espressioni che in essa figurano van- no coordinate fra loro e ricondotte ad armonica unità e concordanza.
Invalidità
Cassazione Civile, sez. II, 27 aprile 2006, n. 9642
Pres. Pontorieri - Est. Trecapelli - P.M. Xxxxx - Osma Organizzazione Scenografica s.r.l. c. Coop Agricola le Fon- ti del Giano s.r.l.
Contratti in genere - Invalidità - Nullità del contratto - Azione di nullità - In genere - Rilevabilità di ufficio della nul- lità - Limiti - Preclusione derivante da giudicato interno - Fattispecie
Allorquando sia impugnata la sentenza del giudice di merito che abbia dichiarato risolto il contratto preliminare di vendita di un immobile per recesso della promittente venditrice giustificato dall’inadempimento, nel pagamento delle dovute rate di prezzo, da parte del promissario acquirente, e questi abbia per la prima volta dedotto, come motivo di ricorso, la nullità del contratto, in quanto sottoposto a condizione, per indeterminatezza dell’oggetto, ai sensi dell’art. 1354, secondo comma, Codice civile, sostenendo che, pur in mancanza della relativa eccezione, la nullità può essere rilevata di ufficio, deve affermarsi che, al di là della novità dell’eccezione di nullità del prelimi- nare, mai avanzata nel xxxxx xxx xxxxxxxx xx xxxxxx, xxx xxxxx xx è formato un giudicato implicito proprio perché la decisione del primo giudice, che pure aveva dichiarato risolto il contratto, presuppone l’esistenza di un contratto geneticamente valido e divenuto non valido per fatti successivi funzionali. Di conseguenza, dovendosi coordinare il principio della rilevabilità di ufficio della nullità del contratto con le regole fondamentali del processo, tra cui quello della preclusione derivante dal giudicato interno, il predetto principio non può essere applicato quando vi sia stata pronuncia, non impugnata, sulla validità del contratto.
Cassazione Civile, sez. II, 20 aprile 2006, n. 9253
Pres. Spadone - Est. Xxxxxxxxx - P.M. Apice - D.A. x. X.X.X.
Contratti in genere - Invalidità - Annullabilità del contratto - Per vizi del consenso (della volontà) - Dolo - In gene- re - Dolo omissivo - Causa di annullamento del contratto - Configurabilità - Sussistenza - Condizioni - Fattispecie
Il dolo omissivo, pur potendo viziare la volontà, è causa di annullamento, ai sensi dell’art. 1439 Codice civile, so- lo quando l’inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento, adeguatamente preordinato, con mali- zia o astuzia, a realizzare l’inganno perseguito, determinando l’errore del deceptus. Pertanto, il semplice silenzio, anche in ordine a situazioni di interesse della controparte, e la reticenza, non immutando la rappresentazione del- la realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione della realtà alla quale sia pervenuto l’altro contraente, non costituiscono di per sé causa invalidante del contratto.(Nella specie è stato escluso che potesse integrare il dolo omissivo in ordine alle effettive condizioni dell’immobile compravenduto la circostanza che l’alienante avesse ta- ciuto all’acquirente la pendenza, al riguardo, di un’azione di danno temuto proposta da terzi).
Scioglimento
Cassazione Civile, sez. II, 28 aprile 2006, n. 9941
Pres. Spadone - Est. Bertuzzi - P.M. Fedeli - Isotecno s.r.l. c. Fall. Centromoquettes s.r.l.
Contratti in genere - Scioglimento del contratto - Risoluzione del contratto - Per inadempimento - Rapporti tra do- manda di risoluzione e di adempimento - Mutamento della domanda di adempimento in risoluzione - Giudizio di op- posizione a decreto ingiuntivo - Richiesta in via monitoria della prestazione - Successiva domanda di risoluzione nel giudizio di opposizione - Ammissibilità
La regola posta dall’art. 1453, secondo comma, Codice civile, in forza della quale la parte può sostituire la doman- da di adempimento del contratto con quella di risoluzione, trova applicazione anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, comportando la possibilità che il creditore che abbia chiesto in via monitoria la prestazione pat- tuita domandi, nel successivo giudizio di opposizione, la risoluzione del contratto per inadempimento.
Cassazione Civile, sez. III, 11 aprile 2006, n. 8425
Pres. Giuliano - Est. Di Nanni - P.M. Scardaccione - M.P. c. M.D.A.B.
Contratti in genere - Scioglimento del contratto - Risoluzione del contratto - Per inadempimento - Eccezione d’ina- dempimento - Presupposti - Reciproci inadempimenti - Proporzionalità - Locazione - Vizi della cosa locata - Conti- nuazione del godimento del conduttore - Sopressione del pagamento del canone - Proporzionalità - Insussistenza
In tema di inadempimento contrattuale vale la regola che l’«exceptio non rite adimpleti contractus», di cui all’art. 1460 Codice civile, si fonda su due presupposti: l’esistenza dell’inadempimento anche dell’altra parte e la propor- zionalità tra i rispettivi inadempimenti, da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano, bensì in relazione alla situazione oggettiva. In applicazione di tale principio, qualora un conduttore ab- bia continuato a godere dell’immobile locato, pur in presenza di vizi, non è legittima la sospensione da parte sua del pagamento del canone, perché tale comportamento non sarebbe proporzionale all’inadempimento del locatore.
Simulazione
Cassazione Civile, sez. III, 11 aprile 2006, n. 8428
Pres. Fiduccia - Est. Spirito - P.M. Schiavon - P.M. c. T.V.
Contratti in genere - Simulazione - In genere (nozione) - Accertamento - Individuazione della causa simulandi - Ne- cessità - Esclusione
In tema di simulazione, l’individuazione della causa simulandi, cioè del motivo concreto per il quale le parti ab- biano posto in essere un contratto in realtà non voluto, dando vita ad una mera apparenza, resta rilevante solo per fornire indizi rivelatori dell’accordo simulatorio, ma non è indispensabile ai fini della pronuncia di accertamento della simulazione medesima.
Cassazione Civile, sez. II, 7 aprile 2006, n. 8210
Pres. Elefante - Est. Piccialli - P.M. Xxxxx - T.I. c. G.A.
Contratti in genere - Simulazione - Prova - Testimoniale - Ammissibilità - Limiti - Principio di prova scritta - Prove- nienza - Dalla parte che chiede la prova o da un terzo - Esclusione - Fattispecie
Il documento che può costituire principio di prova per iscritto (art 2724, n. 1 Codice civile), sì da consentire l’ammis- sione della prova testimoniale per accertare, tra le parti, la simulazione assoluta (art 1417 Codice civile) di un con- tratto con forma scritta ad substantiam, deve provenire dalla controparte, e non dalla parte che chiede la prova, né da un terzo. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva escluso la rilevanza, quale principio di prova, di un bonifico bancario successivo al contratto simulato, relativo ad un’operazione compiuta dalla parte dedu- cente e da un terzo, la banca, e non proveniente dalla controparte, indicata quale beneficiaria del pagamento).
Appalto
Vendita di cosa futura e appalto: criteri distintivi
Cassazione Civile, sez. Trib. - Sentenza del 20 aprile 2006, n. 9320 - Pres. Favara - Est. Papa - P.M. Macca- rone - M.F. c. Amministrazione delle Finanze
Appalto (contratto di) - In genere (nozione, caratteri, differenze con la vendita, il contratto d’opera ed il contratto di lavoro subordinato, distinzioni) - Distinzione tra i contratti di appalto e di vendita - Criteri - Fattispecie in tema di determinazione dell’aliquota Iva
Ai fini della differenziazione tra i contratti di appalto e di vendita (di cosa futura), costituisce crite- rio fondamentale quello della prevalenza o meno del lavoro sulla fornitura della materia, mentre il ri- ferimento alla comune intenzione delle parti rappresenta criterio suppletivo. (Sulla base dell’enun- ciato principio, la S.C. ha ritenuto quindi immune da censura l’apprezzamento del giudice di merito, che - agli effetti della determinazione dell’aliquota Iva - aveva qualificato le operazioni imponibili co- me vendite e non come appalti, sul duplice rilievo che i corrispettivi pattuiti per la messa in opera dei materiali risultavano sensibilmente inferiori a quelli per la loro cessione e che nelle relative fatture le stesse parti avevano qualificato i negozi come vendite).
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Svolgimento del processo
Xxxxxxx Xxx di Verona, all’esito di verifica esegui- ta il 19 novembre 1992, rettificò, per gli anni 1988 e 1989, le dichiarazioni della S.n.c. F.lli
Marini, esercente produzione e commercializzazione al- l’ingrosso di listelli in legno, mattonelle e scale in legno, recuperando l’imposta secondo l’aliquota (allora) del 9%, in luogo di quelle minori (del 2% o del 4%), assolte dalla contribuente sul presupposto della qualificazione delle operazioni imponibili come appalti e non come vendite, definizione, quest’ultima, ritenuta invece cor- retta dall’Ufficio, il ricorso della contribuente fu accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Verona, che qualificò appalti le operazioni medesime.
Accogliendo il gravame dell’Ufficio, la Commissione tributaria regionale del Veneto, ha, con la sentenza indi- cata in epigrafe, ritenuto che «le fatture agli atti parlano di compravendite e, quando fanno riferimento a lavori di messa in opera dei materiali venduti, indicano prezzi anche inferiori a quelli relativi al venduto, per cui non si può desumere che si sia voluto mettere in atto contratti di appalto».
Per la cassazione ricorre la contribuente, con due motivi, cui l’Amministrazione finanziaria resiste con controri- corso.
D
Motivi della decisione
educendo «violazione e falsa applicazione del
D.P.R. n. 633 del 1992, artt. 21, 28 e 41, anche in relazione agli artt. 1655, 1350 e 2729 e 2697 Co-
dice civile e art. 360 Codice di procedura civile, comma
1, nn. 3 e 5», la Società ricorrente censura la sentenza, nel punto più sopra riportato, sul rilievo che il giudice del merito ha compiuto la propria scelta «esclusivamen- te sulla in base ad una analisi del valore economico».
Dopo avere richiamato le differenze tra appalto e vendi- ta e sottolineato i punti di contatto tra i due negozi al- lorquando l’assuntore assume l’obbligo di fornire la ma- teria necessaria al compimento dell’opera, evoca la L. n. 771/1941, dichiarandola non più attuale, e la Circolare Ministeriale del 27 dicembre 1960, n. 58/65240, in ma- teria di i.g.e., per inferirne che il richiamo ai principi ci- vilistici resta tuttora attuale, con la conseguenza che la prevalenza dell’elemento lavoro va accertata non sulla scorta del valore «economico» dell’obbligo di fare rispet- to a quello di dare, xxxxxxx con riguardo alla intenzione dei contraenti, riferita alla causa del contratto.
Col secondo mezzo deduce la «violazione dell’art. 360 Codice di procedura civile, comma 1, n. 5, circa la do- manda di applicazione dell’art. 8, D.Lgs. n. 546 del 1992», dolendosi che il giudice del gravame abbia igno- rato la relativa richiesta, rappresentata in sede di contro- deduzioni, stanti «l’oggetto della controversia ed il labi- le confine tra contratto di appalto e di compravendita». L’Amministrazione resiste col rilevare che - prescinden- do dal (non rilevante) richiamo alla L. n. 771 del 1941 - la sentenza impugnata appare «fondata su una corretta interpretazione del contratto, eseguita in base ad un’e- satta individuazione del criterio da seguire (prevalenza del dare o del facere), nonché su un’altrettanto corretta indagine in fatto sulla volontà comune delle parti, peral- tro non censurabile - quest’ultima - nella presente sede».
Il ricorso non è fondato.
Circa il motivo di fondo dell’impugnazione, si premette che la prevalenza dell’elemento lavoro su quello inerente alla fornitura della materia costituisce criterio fondamen- tale di distinzione tra appalto e vendita (di cosa futura), mentre il riferimento alla comune intenzione delle parti costituisce criterio suppletivo di differenziazione. Tali astratti criteri di valutazione - la cui inosservanza integra falsa applicazione della legge - risultano entrambi consi- derati dal giudice a qua, che ha affermato, da un lato, i corrispettivi relativi alla «messa in opera» come «anche sensibilmente inferiori al venduto»; ed ha sottolineato, dall’altro, «che le fatture agli atti parlano di compraven- dita», così, mostrando di considerare entrambi i criteri valutativi, per individuare la causa effettiva dei negozi posti in essere. E l’apprezzamento di queste circostanze di fatto, immune da vizi di carattere giuridico (potendosi del tutto prescindere dalla L. n. 771 del 1941, ritenuta non applicabile alla fattispecie sulla scorta di Xxxx. 2679/1958), è incensurabile in sede di legittimità.
Pure da disattendere è il secondo motivo, formulato in via del tutto gradata.
Premesso che non si configura l’omessa pronuncia in
ipotesi di censura relativa ad un errore di diritto, si rile- va come la inapplicabilità delle sanzioni sia, nella nor- ma invocata, fatta dipendere «da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce», mentre, nel ca- so in esame, non risulta dedotto alcun elemento positi- vo di confusione, derivante da equivocità di singole pre- scrizioni (Cass., nn. 11233/2001, 13482/2001, 12067/2002, 17515/2002, 14476/2003 e 6251/2003). Il
richiamo, da parte della ricorrente, all’oggetto della controversia ed al «labile confine tra contratto di ap- palto e contratto di compravendita» attiene, infatti, non ad una obiettiva difficoltà interpretativa, ma alla mera possibilità di una diversa valutazione degli ele- menti di fatto.
Di qui, per ogni verso, il rigetto del ricorso.
Nella natura della causa e nelle diverse valutazioni, in sede di merito, si ravvisano giusti motivi di compensa- zione delle spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; compensa le spese del giudizio di Cas- sazione.
IL COMMENTO
di Xxx Xxxxxxxxx
di differenziazione» e conferma, nel caso de quo, il ri-
L’Autore esamina alcune fattispecie che si pongono sul confine tra vendita di cosa futura e appalto e, dopo aver richiamato i criteri distintivi elaborati dalla giu- risprudenza, commenta in senso critico la sentenza in rassegna, la quale, pur dichiarando di condividere i criteri suddetti, ne fa un’applicazione concreta del tutto anomala e non condivisibile.
La questione
Un’impresa che commercializza all’ingrosso listel- li di legno, mattonelle e scale di legno si obbliga nei confronti del cliente a mettere in opera i materiali for- niti: è vendita di cosa futura o appalto? Nel caso deci- so dalla Corte Suprema (con esposizione troppo sinte- tica del fatto per capire con precisione le particolarità della fattispecie in discussione) la questione assumeva rilievo ai fini fiscali (aliquota Iva applicabile), ma im- portanti sono soprattutto i risvolti civilistici di essa (1).
La sentenza in commento, risolvendo la contro- versia nel senso della vendita, dà rilievo primario al cri- terio della prevalenza del valore economico della forni- tura del materiale rispetto al valore economico dell’ob- bligo di fare, e aggiunge che «il riferimento alla comu- ne intenzione delle parti costituisce criterio suppletivo
sultato a cui si perviene sulla base del criterio della pre- valenza.
La questione non è nuova, e neppure è nuova, in dottrina e in giurisprudenza, la rilevanza decisiva data al criterio della prevalenza della prestazione di dare rispet- to a quella di fare o viceversa. Non è invece univoco il modo in cui intendere ed applicare questo criterio della prevalenza (2).
Le fattispecie
L’operazione economica che solleva il dubbio circa la sua qualificazione come appalto ovvero come vendita di cosa futura può presentarsi con numerose varianti, ta- li da indurre un Autore ad affermare che «non si posso- no preordinare criteri generali tassativi; un buon margi-
Note:
(1) Cfr. De Nova, La distinzione tra vendita e appalto (un problema di quali- ficazione), in Foro pad., 1967, 982 ss.
(2) Mentre la giurisprudenza verrà citata più avanti, si vedano in dottrina: Xxxxxx, L’appalto, 4a ed., a cura di X. Xxxxxxx, Torino, 1980, 35 ss.; Xxxxxxxxxxxx, L’appalto, 2a ed., Milano, 1977, 28 ss.; Xxxxxx, La vendita e la permuta, 2a ed., I, Torino, 1993, 47 ss.; Xxxx- xxxxx, Il tipo e l’appalto, Padova, 1996, 41 ss.; Xxxxx, Xxxxxxx e appal- to: criteri distintivi, in questa Rivista, 2001, 55 ss.; Forchino, Contrat- to di appalto e vendita di cosa futura: criteri distintivi, in Giur. it., 2001, 2240 ss.
ne deve essere lasciato al prudente apprezzamento del giudice» (3).
Queste varianti operative possono essere delineate partendo da quella che si colloca ad un estremo della ca- tena per giungere a quella che si pone all’estremo oppo- sto.
In un primo caso l’operazione economica ha per og- getto cose che non rientrano nella produzione di serie del fornitore, ma sono completamente diverse e devono essere costruite sulla base di un progetto o di un disegno redatto dal destinatario del bene. Ad esempio, un xxxxxx- cante di biciclette s’impegna a fornire una particolare carrozzina destinata ad una persona disabile: si tratta di un pezzo unico nell’intera produzione del fornitore.
Un secondo caso è quello in cui il bene da costruire non rientra nella produzione di serie del fornitore, ana- logamente al caso precedente, e deve essere fabbricato sulla base di un progetto redatto dal fornitore stesso se- condo le indicazioni ricevute dal destinatario del bene. Può valere l’esempio fatto sopra.
In un terzo caso il bene rientra in sostanza nella pro- duzione di serie del fornitore, ma deve essere fabbricato con alcune modifiche o alcuni adattamenti richiesti dal destinatario. Si pensi ad un’autovettura che deve essere costruita con specifiche modifiche per essere adattata ad una persona disabile, oppure si pensi ad una bicicletta da corsa che il cliente ordina con un telaio costruito su mi- sura o a dei mobili di cucina da fabbricare su misura per un determinato cliente.
Infine, in un quarto caso si tratta di beni che rien- trano nella normale produzione del fornitore, che sono già stati fabbricati, ma che devono subire dei lavori di adattamento per poter essere utilizzati dal destinatario. Si pensi a dei mobili di cucina già fabbricati e giacenti nei magazzini del fornitore, che devono subire dei lavori di adattamento all’ambiente nel quale vengono messi in opera.
La qualificazione
La fattispecie tra quelle sopra delineate che offre minori problemi è la quarta. Si tratta di casi in cui i la- vori di adattamento presentano natura accessoria rispet- to alla fornitura del bene di serie (già esistente nei ma- gazzini del fornitore) e il fatto che il fornitore abbia as- sunto l’impegno di eseguirli, o di farli eseguire, dimostra che tali lavori rientrano nella normale attività del forni- tore. In questa fattispecie la prestazione a carico del for- nitore è una prestazione complessa, perché si compone di due parti ben distinte tra loro, e cioè di un dare e di un fare, il che porta sul terreno del contratto misto. Preva- lendo la prestazione di dare, la teoria dell’assorbimento conduce a qualificare il contratto come vendita di cosa esistente, ma la Corte Suprema dà rilevanza alla presta- zione secondaria (di fare) applicandole per analogia le norme del tipo corrispondente (4). Peraltro, se venissero concordati corrispettivi distinti per la fornitura dei beni e per la loro messa in opera con i lavori accessori, si sa-
rebbe in presenza di due contratti collegati dalla volontà delle parti (vendita e contratto d’opera), con applicazio- ne diretta delle norme dei due tipi contrattuali.
Altrettanto certa deve ritenersi la qualificazione in termini di contratto di appalto della prima e della secon- da fattispecie, caratterizzate entrambe dal fatto che il be- ne non rientra nel genus normalmente prodotto dal for- nitore, ma è completamente diverso e viene fabbricato appositamente per un determinato cliente (su progetto di quest’ultimo ovvero su progetto del fornitore redatto secondo le indicazioni del cliente). In questi casi la ma- teria è solo strumentale e lo scopo perseguito da entram- bi i contraenti è l’elaborazione della stessa, cioè il fare e il risultato di esso (5). Lo dimostra il progetto ad hoc re- datto dallo stesso cliente oppure redatto dal fornitore ma su specifiche indicazioni e istruzioni provenienti dal cliente.
La fattispecie critica è invece la terza, nella quale il bene rientra in sostanza nell’ambito del genus normal- mente prodotto dal fornitore, ma viene prodotto apposi- tamente per un determinato cliente con delle modifiche o degli adattamenti - talora effettuati nel corso della stes- sa fabbricazione - che lo differenziano dal bene tipico ap- partenente al genus. Occorre ora soffermarsi su tale fatti- specie.
La fattispecie critica
Nella fattispecie menzionata da ultimo (la terza tra quelle delineate) la Corte Suprema ha ripetutamente ri- posto nella comune intenzione della parti (sotto l’aspet- to dell’intento empirico perseguito) il criterio distintivo tra vendita di cosa futura e appalto. E precisamente: è appalto se nella comune intenzione delle parti la presta- zione del materiale è un semplice mezzo per la produzio- ne di un opus perfectum, che rappresenta lo scopo essen-
Note:
(3) Xxxxxx, op. cit., 38.
(4) Merita giusto rilievo Cass. 2 dicembre 1997, n. 12199, la quale - in una fattispecie di fornitura di mobili di cucina con montaggio e adatta- mento al locale del cliente - ha riconosciuto la prevalenza della prestazio- ne di dare rispetto a quella di fare e ha di conseguenza applicato a questo contratto misto la teoria dell’assorbimento, ma ha poi aggiunto: «Siffatto criterio, tuttavia, non vale certamente ad escludere ogni rilevanza giuri- dica agli elementi del contratto non prevalente che pur sono voluti dalle parti e concorrono a fissare il contenuto e l’ampiezza dell’intero negozio dacché, altrimenti, si verrebbe a frustrare lo stesso principio di atipicità; seguendo rigorosamente la regola della prevalenza, infatti, contratto ati- pico e contratto misto finirebbero per ridursi a contratto tipico con evi- dente lesione dell’autonomia contrattuale che è libertà di concludere contratti diversi da quelli aventi una disciplina particolare (art. 1322, se- condo comma, Codice civile). Nel caso in cui vi siano elementi del con- tratto non prevalente regolabili con norme proprie non incompatibili con quelle del contratto prevalente deve accedersi, pertanto, al criterio della integrazione delle discipline relative alle diverse cause che si combi- nano entro il contratto misto, suggerito dal codice allorché all’art. 1677 prevede che se l’appalto ha per oggetto prestazioni continuative o perio- diche di servizi si osservano, in quanto compatibili, le norme dell’appalto e quelle relative al contratto di somministrazione».
(5) Cfr. Cass. 29 ottobre 1976, n. 3941; Cass. 28 ottobre 1965, n. 2288.
ziale del negozio e costituisce perciò la prestazione prin- cipale; è invece vendita di cosa futura se è la fornitura del materiale a costituire la prestazione principale, mentre la prestazione lavorativa di adattamento del bene alle spe- cifiche esigenze del cliente assume valore meramente strumentale ed accessorio, che non snatura le caratteri- stiche del bene fornito (6).
Al criterio basato sulla volontà delle parti si può op- porre che esso, se non viene ricollegato ad elementi og- gettivi, appare poco praticabile. Invero, il cliente vede sempre nei lavori chiesti al fornitore un aspetto essenzia- le dell’operazione economica, indipendentemente dal ruolo che essi giocano nell’ambito della fornitura e quin- di senza distinguere tra scopo essenziale e prestazione ac- cessoria e strumentale. Anche chi acquista dal costrutto- re una bicicletta da corsa, prodotta in serie, facendovi fa- re dei semplici lavori di adattamento del telaio alla pro- pria statura, vede in questi lavori marginali un aspetto per lui essenziale dell’acquisto e strumentale per il soddi- sfacimento del proprio interesse.
Quanto sopra osservato è tanto vero che la stessa giurisprudenza della Corte Suprema, pur prestando osse- quio formale alla comune intenzione delle parti, finisce in realtà - ben vedere - con il desumere questa comune intenzione da elementi oggettivi, come si evince da un’attenta analisi della motivazione delle varie sentenze. Tali elementi oggettivi risultano da un’indagine di- retta a verificare se i lavori chiesti al fornitore rientrino agevolmente nell’ordinaria produzione di quest’ultimo (nel senso che possono essere eseguiti con l’uso dei nor- mali mezzi di produzione a disposizione dell’impresa di quest’ultimo), oppure se tali lavori richiedano, per la lo- ro complessità, particolari competenze professionali e particolari strutture organizzative che vanno al di là di quanto dispone ordinariamente il fornitore (7), sì da rea- lizzare quel risultato (opus perfectum) voluto dal cliente.
Nel primo caso l’operazione economica rientra nella vendita di cosa futura, nel secondo rientra nell’appalto.
Tra questi elementi oggettivi non si suole invece dare rilievo al mero confronto quantitativo tra il valore della materia e il valore della prestazione d’opera (8).
Conclusioni
La sentenza in commento pare ignorare i preceden- ti della stessa Corte e, pur facendo un richiamo formale
xxxxx rappresentato dalla volontà delle parti, peraltro qualificato come «criterio suppletivo» mentre la giuri- sprudenza suole considerarlo il criterio principe. Senon- ché la volontà delle parti viene desunta dalla sentenza semplicemente dal fatto che «le fatture agli atti parlano di compravendita». Anche sotto questo aspetto si tratta di un unicum nella giurisprudenza di legittimità, che fa un uso radicalmente diverso del criterio in questione. In contrario va rilevato che il nomen iuris dato dalle parti al contratto può avere una qualche rilevanza come ele- mento da prendere in considerazione nel procedimento di interpretazione della comune intenzione dei con- traenti ai fini della qualificazione, ma certamente non può essere di per sé elemento sufficiente per costituire una corretta applicazione del criterio distintivo tra ven- dita e appalto fondato sulla comune intenzione delle parti.
al criterio distintivo fondato sulla prevalenza dell’ele-
mento lavoro su quello inerente alla fornitura o vicever- sa, desume tale prevalenza semplicemente e unicamente dal rapporto di valore tra le due prestazioni: prevalendo il valore dei materiali venduti rispetto ai lavori di messa in opera dei materiali, l’operazione economica di cui è causa viene qualificata come compravendita. Questo modo di intendere il criterio della prevalenza rappresen- ta un unicum nella giurisprudenza di legittimità ed è de- cisamente avversato dalla dottrina (9).
La sentenza in commento corrobora la sua motiva- zione con il richiamo all’ulteriore criterio di differenzia-
Note:
(6) Cfr. ex multis Cass. 17 dicembre 1999, n. 14209; Cass. 27 dicembre 1996, n. 11522; Cass. 30 marzo 1995, n. 3807; Cass. 9 giugno 1992, n. 7073; Cass. 2 giugno 1993, n. 6171.
(7) Cfr. Cass. 6 maggio 1988, n. 3375; Cass. 29 aprile 1993, n. 5074; Cass. 8 agosto 1994, n. 7697; Cass. 8 settembre 1994, n. 7697, in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 999, con nota di Xxxxxxxxxxxx; Cass. 17 maggio 2001, n. 6925, in Giur. it., 2001, 2240 ss.
(8) Cass. 17 maggio 2001, n. 6925, cit., 2242; Cass. 30 marzo 1995, n.
3807; e già prima Cass. 10 giugno 1966, n. 1527.
(9) Cfr. Xxxxxxxxxxxx, op. cit., 28; Xxxxxx, op. cit., 37; Xxxxxx, op. cit., 47, nota 2.
Vendita
Mancanza del tipo di frazionamento catastale, determinabilità dell’oggetto e contratto preliminare
Cassazione Civile, sez. II - Sentenza del 20 marzo 2006, n. 6160
Pres. Spadone - Rel. Trecapelli - P.M. Fuzio - Ric. C.G. ed altro - Res. F. ed altro
Vendita - Singole specie di vendita - Di cose immobili - A corpo - Contratto preliminare avente ad oggetto immobile da frazionare - Formalità previste dall’art. 5, D.P.R. n. 650/1972 - Necessità - Esclusione
Le formalità previste dall’art. 5 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 650, in tema di revisione del sistema catastale, per il caso in cui il trasferimento di immobili comporti il frazionamento di singole particel- le, si riferiscono ai soli atti di trasferimento definitivo e non anche ai contratti preliminari di com- pravendita di immobili da frazionare; ne consegue che, con riferimento a questi ultimi, la loro even- tuale mancanza non incide minimamente sulla validità ed efficacia del contratto, con riguardo al re- quisito della determinatezza del suo oggetto.
C
Svolgimento del processo
on atto di citazione notificato il 27 febbraio 1992 F.L.M. e M.E. - premesso che avevano sti- pulato il 15 giugno 1990 con C.G.F., prelimina-
re di compravendita relativamente ad una porzione di terreno in (Omissis), meglio identificato nella scrittura; che avevano contestualmente versato il prezzo conve- nuto di 30.000.000; che il trasferimento con atto notari- le era stato convenuto entro il mese di ottobre 1990, e, comunque, una volta effettuato il frazionamento del ter- reno; che a seguito del decesso di C.G.F. tale trasferi- mento non era potuto avvenire; che invano alla stipula- zione erano stati invitati gli eredi di questa - convenne- ro in giudizio davanti al Tribunale di Vigevano C.G.G. e P.E., chiedendo la condanna degli stessi a trasferire ai sensi dell’art. 2932 Codice civile, il terreno oggetto del contratto preliminare individuato nel frazionamento in- tervenuto dopo la stipula del contratto preliminare al fg. (Omissis), mapp. (Omissis) di are (Omissis), RD (Omis- sis), RA (Omissis), con ordine di trascrizione della sen- tenza dichiarativa del trasferimento di proprietà. Chiese- ro inoltre condanna dei convenuti al risarcimento dei danni (per spese di frazionamento, registrazione scrittura e altro).
In giudizio si costituirono i convenuti chiedendo il riget- to della domanda sostenendo trattarsi non di un con- tratto preliminare ma di compravendita. All’esito dell’i- struttoria il Tribunale di Vigevano, con sentenza del 19 aprile 1999, accogliendo parzialmente la domanda di- spose il trasferimento di proprietà del terreno ai sensi dell’art. 2932 Codice civile, dando atto che il prezzo era stato già corrisposto, dichiarò trascrivibile la sentenza ai
sensi dell’art. 2652 Codice civile, n. 2, e rigettò la do- manda di risarcimento danni.
Avverso tale decisione hanno proposto appello i soc- combenti chiedendo declaratoria di nullità della senten- za impugnata per indeterminatezza dell’oggetto del con- tratto redatto inter partes.
In giudizio si sono costituiti gli appellati chiedendo la conferma della decisione impugnata.
All’esito dell’istruttoria, la Corte d’appello di Milano, con sentenza in data 23 ottobre 2001, rigettava il grava- me avendo ritenuto che l’oggetto del contratto era de- terminabile attraverso il frazionamento cui le parti han- no fatto riferimento nella scrittura.
Per la Cassazione di tale decisione C.G.G. e P.E. propo- nevano ricorso sulla base di tre motivi.
F.L.M. e M.E. hanno resistito con controricorso.
C
Motivi della decisione
ol primo motivo i ricorrenti denunciando - vio- lazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 650, art. 5 (presentazione dei tipi di fra-
zionamento) si duole che la Corte d’appello di Xxxxxx non ha tenuto conto del fatto che la promettente vendi- trice C.G.F. non aveva sottoscritto l’atto di frazionamen- to del terreno redatto dai tecnici solo su incarico dei pro- missori acquirenti.
Precisano, inoltre, i ricorrenti che ai sensi della L. n. 77/1901, art. 4 e del X.X. 0 ottobre 1931, n. 1572, art. 57, il frazionamento per acquisire efficacia deve essere sottoscritto dalla parte che non ha provveduto a farlo re- digere e che la sentenza, erroneamente, si è basata su una presunzione di un accordo della defunta C. sul fraziona-
mento ma che tale presunzione, non poteva operare, im- ponendo la normativa la sottoscrizione davanti al pub- blico ufficiale rogante.
Il motivo non merita accoglimento in relazione ad alcu- na delle formulate censure in quanto il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 650, richiamato dai ricorrenti, che riguarda il perfezionamento e la revisione del sistema catastale, a modifica e parziale integrazione del precedente X.X. x. 0000/0000, xx riferisce ai soli trasferimenti immobiliari che comportano il frazionamento e non certo alle pro- messe di vendita di immobili da frazionare.
A ben vedere le formalità di legge di riordino del catasto sono imposte con riguardo ai trasferimenti definitivi e non si giustificano per gli atti che non sono tali e quindi non ha alcuna rilevanza che il frazionamento non sia stato sottoscritto dalla C.F.
Ugualmente è infondato il profilo della censura relativa al dedotto mancato accordo delle parti sul frazionamen- to, risultando dalle emergenze istruttorie (cfr. testimo- nianze di R.F. e C.M. che si occuparono del frazionamen- to) che tale operazione fu eseguita su indicazione della
C.F. che indicò, finanche i confini del lotto da frazionare. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono «violazio- ne e falsa applicazione dell’art. 1346 Codice civile e art. 1418 Codice civile» e si dolgono che la Corte Territo- riale abbia ritenuto determinabile l’oggetto del contrat- to sebbene l’individuazione del bene fosse rinviata al successivo frazionamento.
Lamentano poi i ricorrenti che tra le parti doveva essere raggiunto un ulteriore accordo mediante la sottoscrizione del frazionamento e che per il bene oggetto della compra- vendita non erano indicati i confini mentre era indicata approssimativamente l’estensione che poi fu aumentata a 995 metri dai circa 800 metri oggetto della scrittura.
La censura è infondata e va dunque respinta in quanto, co- me evidenziato dalla Corte d’appello, la determinabilità del contratto è stata desunta dalla presunta indicazione del terreno dal quale doveva distaccarsi la superficie oggetto del preliminare, senza contare poi che la censura risulta ini- doneamente formulata non risultando specificatamente sviluppata alcuna questione di diritto in ordine alla pretesa violazione e falsa applicazione degli artt. 1346 e 1418 Co- dice civile in relazione al contratto preliminare stipulato. Invero, attraverso il frazionamento cui le parti avevano fat- to riferimento nella scrittura, ben poteva essere determina-
ta la superficie di terreno oggetto del contratto prelimina- re, frazionamento richiamato nella scrittura e concordato dalla C.F. che fu presente alle operazioni ed indicò la parte del fondo oggetto del preliminare ed anche i relativi confi- ni. Nella specie, quindi, la Corte d’appello come già ac- cennato ha fornito ragioni del tutto logiche ed esaurienti all’adottata decisione avendo ritenuto provato dall’assunte deposizioni testimoniali l’accordo raggiunto tra le parti per individuare la parte del fondo oggetto del preliminare.
Motivazione svolta secondo un iter argomentativo, nel- l’ambito dei poteri discrezionali del giudice di merito, in- suscettibili di sindacato in sede di legittimità se esaurien- temente e logicamente motivati. Con il terzo motivo i ricorrenti denunziano - contraddittoria motivazione cir- ca un punto decisivo della controversia - e si dolgono che la Corte Territoriale prima ha affermato che le parti avevano in maniera piuttosto precisa individuato la por- zione di terreno oggetto del preliminare, riservando al- l’esito del frazionamento la stipulazione dell’atto pubbli- co (pag. 10 della sentenza), e poi che l’oggetto del con- tratto era determinabile attraverso il frazionamento cui le parti si erano riferite (pag. 14 della sentenza).
Anche questa censura è infondata e non merita accogli- mento in quanto non si ravvisa contrasto fra quanto la sentenza afferma a pag. 10 e quanto a pag. 14 poiché il frazionamento viene sempre richiamato come elemento di precisa individuazione del bene e presupposto della stipulazione del contratto definitivo.
Gli altri profili della censura poi, non sono altro che ri- petizione di quelli formulati nel primo e secondo motivo e basta qui richiamarli evidenziando, ancora una volta, che trattasi non di motivi intesi a censurare la ratio deci- dendi ma a prospettare una diversa interpretazione degli accertamenti di fatto. Le censure, inoltre, non risultano, adeguatamente specificate in ordine alle risultanze istruttorie (testimonianze dei tecnici) delle quali però denunciano l’erronea valutazione senza specificare con esauriente esposizione il contenuto impedendo, quindi, a questa Corte di adempiere al suo istituzionale compito di controllo sulla decisività di un eventuale riesame.
Per quanto sin qui rilevato, nessuno degli esaminati moti- vi merita accoglimento ed il ricorso va, dunque, respinto. Sussistono giusti motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese del giudizio.
(Omissis)
Il caso
IL COMMENTO
di Xxxxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxxxx
anche se abbastanza sbrigativamente, sul tema della de-
Con la sentenza in commento la Cassazione si pro- nuncia sulla questione delle conseguenze che reca, nei confronti del contratto preliminare, l’assenza del tipo ca- tastale di frazionamento, soffermandosi con l’occasione,
terminabilità dell’oggetto del preliminare di vendita im- mobiliare.
Il provvedimento annotato costituisce quindi l’oc- casione per una breve riflessione su di un argomento non
privo di rilevanza applicativa, com’è quello suddetto, pur non distinguendosi, nella sua estrema sinteticità e bre- vità di contenuti, per una particolare finezza argomenta- tiva né per un grado elevato di approfondimento moti- vazionale.
Molto semplici, per vero, sono anche i fatti da cui è originata la controversia poi approdata al vaglio di legit- timità della Suprema Corte.
Tra le parti era stato concluso un preliminare di compravendita relativamente ad una porzione di terre- no, ma il trasferimento del terreno non era potuto avve- nire perché dopo il frazionamento del bene, a seguito del decesso del promittente la vendita, gli eredi erano poi stati invitati, invano, alla stipula del definitivo, e pertan- to erano stati convenuti in giudizio per l’esecuzione for- zata in forma specifica ex art. 2932 Codice civile, relati- va al terreno oggetto del contratto preliminare indivi- duato nel frazionamento intervenuto dopo la stipula del contratto preliminare e per il risarcimento dei danni.
In primo grado, era stata accolta la domanda e di- sposto il trasferimento di proprietà del terreno ai sensi dell’art. 2932 Codice civile, dando atto che il prezzo era stato già corrisposto.
Era stato quindi proposto appello avverso tale deci- sione, chiedendo che fosse dichiarata la nullità della sen- tenza impugnata per indeterminatezza dell’oggetto del contratto.
La Corte d’appello di Milano aveva rigettato il gra- vame ritenendo che l’oggetto del contratto fosse deter- minabile attraverso il tipo di frazionamento cui le parti avevano fatto riferimento nella scrittura intercorsa tra le medesime.
Il preliminare di vendita immobiliare
e la determinabilità dell’oggetto di vendita
L’istituto del contratto preliminare trova nella con- trattazione immobiliare il suo campo elettivo di applica- zione, rappresentando uno strumento di impiego assai diffuso e fungendo da momento determinante nella in- dividuazione, tra le parti, dei termini economico-giuridi- ci dell’operazione che le stesse intendono concludere.
È ben vero che dopo l’eventuale stipula del succes- sivo contratto definitivo, è questo contratto che assorbe il preliminare, in quanto costituisce l’unica fonte dei di- ritti e delle obbligazioni inerenti al negozio posto in es- sere (1), ma d’altro canto qualora al preliminare non se- gua il definitivo, anche grazie all’efficace rimedio della eseguibilità in forma specifica dell’obbligo a contrarre as- sunto dalle parti con il preliminare - che consente di su- perare, in caso di inadempimento alla predetta obbliga- zione, la mancata stipula del contratto definitivo con una sentenza costitutiva che tenga luogo del consenso traslativo non intervenuto - è il preliminare stesso a rap- presentare il momento negoziale centrale dell’intera se- quenza, e nel quale diventa fondamentale individuare in modo più preciso possibile gli elementi essenziali della futura contrattazione.
Del resto, anche l’attuale prassi immobiliare proce- dimentalizza la formazione del consenso in modo tale da esaurire sostanzialmente nel contratto preliminare l’in- dividuazione dei termini essenziali dell’affare, e, pure non escludendo in nuce la possibilità di modificare suc- cessivamente alcune delle determinazioni assunte, ten- denzialmente, e di norma, affida al preliminare la cristal- lizzazione quasi definitiva dei confini sostanziali dell’o- perazione. Ed infatti la giurisprudenza pacificamente ammette che il contratto preliminare, pur lasciando alle parti la possibilità di concordare eventuali marginali pat- tuizioni, deve contenere l’individuazione degli elementi essenziali della futura convenzione, tra i quali quello del- la determinatezza o della determinabilità dell’oggetto, tema sul quale si sofferma, pur nel suo scarno argomen- tare, la sentenza in oggetto, con specifico riguardo al ti- po di frazionamento (2).
Proprio con riguardo all’oggetto del contratto, an- che in considerazione della questione di diritto affron- tata dalla annotata sentenza, si deve ricordare che in ge- nerale, ed in riferimento proprio al contratto prelimina- re, ai fini della validità di tale contratto non viene rite- nuta indispensabile la completa e dettagliata indicazio- ne di tutti gli elementi del futuro contratto, risultando sufficiente che le parti raggiungano l’accordo almeno sugli elementi essenziali. In particolare, nel preliminare di compravendita immobiliare, per il quale è richiesto ex lege l’atto scritto come per il definitivo, è sufficiente che dal documento risulti, anche attraverso il riferi- mento ad elementi esterni ma idonei a consentirne l’i- dentificazione in modo inequivoco, che le parti abbiano inteso fare riferimento ad un bene determinato o deter- minabile, la cui indicazione pertanto, attraverso gli or- dinari elementi identificativi richiesti per il definitivo, può anche essere incompleta o mancare del tutto, pur- ché, appunto, l’intervenuta convergenza delle volontà
Note:
(1) Trattasi di principio riaffermato costantemente dalla giurisprudenza. Si vedano ad esempio Cass. 29 aprile 1998, n. 4354, in Mass. Giur. it., 1998; Cass. 9 luglio 1999, n. 7206, in Mass. Giur. it., 1999; Cass. 26 ottobre 2001,
n. 13267, in questa Rivista, 2002, 437, con nota di Xxxxxxxx. Non a caso, in presenza di un contrasto tra il contenuto del contratto preliminare e il con- tenuto del contratto definitivo, è a quest’ultimo che occorre aver riguardo come esclusiva fonte regolatrice del rapporto costituitosi tra le parti (Cass. 29 novembre 2002, n. 16959, in Guida dir., 2003, 3, 60.
E, però, qualora il definitivo «non esaurisca gli obblighi a contrarre previ- sti nel contratto preliminare, non trova applicazione il principio giuridi- co in virtù del quale soltanto il definitivo costituisce l’unica fonte dei di- ritti e delle obbligazioni, inerenti al particolare negozio voluto, con la conseguenza che, in presenza di una diversa volontà ancorché tacita del- le parti, il contratto preliminare non determina soltanto un mero obbligo a contrarre, ma si pone come «normativa quadro» grazie alla quale si può verificare se gli impegni siano stati onorati attraverso la stipulazione di un unico contratto definitivo e, di conseguenza, realizza un serio punto di ri- ferimento per interpretare ed eventualmente integrare le successive sti- pulazioni definitive» (Trib. Terni 5 marzo 2001, in Rass. Giur. Umbra, 2001, 181, con nota di Reali).
(2) Si vedano ad esempio Xxxx. 27 giugno 1987, n. 5716, in Mass. Giur. it., 1987; Trib. Macerata 28 febbraio 1994, in Gius, 1994, 16, 78, con no- ta di Taormina.
sia comunque, anche aliunde o per relationem, logica- mente ricostruibile (3).
Insomma, la giurisprudenza ritiene che nel preli- minare di vendita immobiliare l’indicazione della res oggetto della futura alienazione possa anche non esse- re completa, circa gli elementi individuativi del bene. Ciò non significa però che l’oggetto non debba essere individuato con un certo minimum di precisione, ed infatti, quanto meno, deve risultare in modo certo che le parti abbiano inteso riferirsi a un bene determinato o, quantomeno, determinabile (4). E, qualora (come nel settore immobiliare), necessiti la forma scritta, può considerarsi determinabile, benché non indicato spe- cificamente, solo se sia con certezza individuabile in base agli elementi prestabiliti nello stesso atto scritto (5), o comunque attraverso atti e fatti storici anche successivi alla sua conclusione e persino in base ad ele- menti del mondo esterno ad esso estranei o per relatio- nem (6). Ciò viene affermato sulla base di una fonda- mentale constatazione, ossia che il preliminare ha per oggetto esclusivamente l’obbligo di prestazione del consenso in sede di futuro contrahere (che va distinto dall’oggetto del definitivo, costituito invece dal bene da trasferire), con la conseguenza che, ai fini della sua validità è sufficiente l’accordo delle parti sugli elemen- ti essenziali.
Ed allora, sulla scorta di tali argomentazioni, si ritie- ne che, nel preliminare di vendita immobiliare, si possa omettere l’inserimento dei dati catastali e degli altri spe- cifici elementi individuativi del bene, pur ferma restan- do la necessità che risulti l’intenzione delle parti di rife- rirsi ad un bene determinato od almeno determinabile (7).
Ancora più in concreto, spigolando nei repertori, si legge che l’oggetto di un preliminare non può essere considerato determinato né determinabile se non è pos- sibile individuare con sufficiente certezza il bene immo- bile promesso in vendita né dalla lettura della scrittura privata, né dall’esame dell’allegata planimetria (qualora non risultino indicati i dati catastali, i confini, e la via di ubicazione del bene) (8).
Per altre pronunce è da ritenersi nullo per indeter- minabilità dell’oggetto il preliminare di permuta di cosa presente con cosa futura che contenga unicamente l’in- dicazione delle dimensioni minime del bene futuro, sen- za che siano determinati ulteriori criteri per la sua indi- viduazione (laddove si preveda lo scambio di una costru- zione da demolire con un appartamento edificando nel- la stessa area oltre ad un conguaglio in denaro, essendo stata stabilita solo la superficie minima dell’appartamen- to rinviando ad un successivo accordo per la sua deter- minazione) (9).
E, in caso di vendita di una porzione di un edificio multipiano, l’indicazione del piano in cui essa è ubicata costituisce, in mancanza di dati relativi ai confini, il ne- cessario elemento identificativo (10).
Il discorso però muta qualora si abbia riguardo alla
evoluzione patologica del contratto preliminare, ossia al- l’eventualità in cui sia necessario ottenerne l’esecuzione forzata in forma specifica ex art. 2932 Codice civile.
In tale ipotesi, la giurisprudenza ribadisce frequen- temente il principio per cui la sostanziale identità del be- ne oggetto del trasferimento costituisce elemento indi- spensabile di collegamento tra contratto preliminare e contratto definitivo, con la conseguenza che la sentenza ex art. 2932 deve necessariamente riprodurre, nella for- ma del provvedimento giurisdizionale, il medesimo as- setto di interessi assunto dalle parti quale contenuto del contratto preliminare, senza possibilità di introdurvi modifiche (11).
In altre parole, la possibilità che l’oggetto di un contratto preliminare sia determinato attraverso atti e fatti storici esterni al negozio ed anche successivi alla sua conclusione trova un limite nel caso in cui l’identi- ficazione del bene da trasferire non attenga all’ipotesi di conclusione consensuale del contratto definitivo su base negoziale, bensì afferisca ad una pronuncia giudi- ziale ex art. 2932 Codice civile, caso nel quale l’esatta individuazione del bene, con l’indicazione dei confini e dei dati catastali, per certe pronunce dovrebbe necessa- riamente risultare dal preliminare, in quanto, siccome la pronuncia giudiziale dovrebbe corrispondere esatta- mente al contenuto del preliminare stesso, l’individua- zione del bene oggetto del trasferimento dovrebbe av- venire in base a dati non attingibili da altra documen- tazione (12).
D’altro canto, e sempre su questa stessa lunghezza d’onda, pacificamente si afferma che le previsioni di cui alla vigente legislazione in materia urbanistica, ed in particolare di cui all’art. 18, secondo comma, L. 28 feb- braio 1985, n. 47 e successive modifiche (che commina la nullità degli atti relativi a trasferimento d’immobili, ove agli stessi non sia allegato il certificato di destinazio- ne urbanistica o qualora non contengano la dichiarazio- ne concernente la regolarità della situazione dell’edificio di cui trattasi rispetto alla disciplina urbanistica, si appli- ca con esclusivo riguardo ai contratti con effetti reali,
Note:
(3) Cass. 30 maggio 2003, n. 8810, in Mass. Giust. civ., 2003, 5.
(4) Sul tema si vedano: Xxxxxx, Xxxxx note sulla nullità del contratto prelimi- nare di vendita per indeterminatezza dell’oggetto (nota a Trib. Cagliari 26 maggio 1997, n. 810), in Riv. giur. sarda, 1998, 724.
(5) Cass. 25 ottobre 2002, n. 15053, in Guida al dir., 2003, 1, 86
(6) Cass. 27 giugno 1987, n. 5716, cit.
(7) Cass. 23 agosto 1997, n. 7935, in Mass. giur. it., 1997.
(8) Trib. Ferrara 24 gennaio 2001, in Studium juris, 2002, 247.
(9) Trib. Cagliari 27 febbraio 2001, in Xxx. xxxx. xxxxx, 0000, 000, xxx xx- xx di Di Fortunato.
(10) Cass. 16 gennaio 1996, n. 300, in Riv. giur. edil., 1996, I, 491.
(11) Cass. 25 febbraio 2003, n. 2824, in Mass. Giust. civ., 2003, 392.
(12) Cass. 7 agosto 2002, n. 11874, in Giur. it., 2003, 1798 con nota di Bergamo.
non anche a quelli con effetti obbligatori, come i con- tratti preliminari di vendita (13).
Non si può non cogliere una certa apparente discra- sia tra le affermazioni giurisprudenziali che hanno ri- guardo al preliminare nella fase fisiologica, molto più permissive, nell’individuare il grado di minima necessa- ria determinatezza dell’oggetto contrattuale, rispetto a quelle che affrontano lo stesso problema con riguardo al- la fase patologica della esecuzione forzata in forma speci- fica, molto più rigorose.
In realtà, a ben guardare, si rileva con facilità come la necessaria completezza degli elementi documentali e/o delle indicazioni obbligatorie relative all’oggetto, si riferiscono alla sola sentenza da pronunciarsi ex art. 2932, in esito ad un procedimento giudiziale nell’ambito del quale ben potrà essere integrata la documentazione necessaria e/o supplite le eventuali carenze contenutisti- che del preliminare, naturalmente nei limiti delle pre- clusioni procedimentali di cui agli articoli 183 e 184 Co- dice procedura civile e nei limiti del principio per cui la sentenza deve riprodurre nella sostanza lo stesso assetto di interessi assunto nel contratto preliminare (14), ferma restano la possibilità di integrazioni marginali o formali. Non a caso, la giurisprudenza ha avuto modo di pre- cisare che la sentenza ex art. 2932 non può essere emes- sa ove non risultino gli estremi della concessione edilizia relativa all’immobile oggetto del contratto preliminare ed è necessario, ai fini dell’accoglimento della domanda provare compiutamente la regolarità urbanistica dell’im- mobile medesimo (15), oppure che il certificato di desti- nazione urbanistica sia prodotto in tempo (processual-
to del contratto sia determinabile in base alle altre clau- sole del contratto medesimo (18). E in tale ottica giusta- mente è stato ritenuto indeterminato l’oggetto, qualora dell’appartamento promesso in vendita non siano stati indicati i dati catastali, né i confini, né il numero civico dell’edificio di cui fa parte (19).
In linea di massima, quindi, non è necessaria l’indi- cazione dei dati catastali esatti del bene promesso in vendita, che infatti nella prassi immobiliare spesso ven- gono omessi, sul presupposto che una descrizione circo- stanziata del bene, anche in quanto ad ubicazione, nu- mero civico, piano e via dicendo, basta a renderlo deter- minato.
Per quanto attiene, poi, al tipo di frazionamento ed alla sua rilevanza nell’ambito della contrattazione im- mobiliare, la pronuncia in commento si è limitata a ri- badire, in perfetta linea con un non lontano suo prece- dente, che qualora un suolo a destinazione edificatoria costituisca oggetto di un contratto preliminare di com- pravendita, la stipulazione del rogito pubblico di vendi- ta non è impedita dalla mancata predisposizione da par- te del promittente venditore del tipo di frazionamento, trattandosi di attività marginale e complementare, che può esser disposta da ciascuna delle parti e che peraltro è riferita soltanto alla fase del trasferimento definitivo del diritto (20).
Nella fattispecie, peraltro, risultava che il tipo di frazionamento fosse stato redatto e presentato (anche se ad opera del solo promittente l’acquisto, ma su indica- zione della parte promittente la vendita circa il posizio-
mente) utile per l’emissione della sentenza di esecuzione
specifica dell’obbligo di concludere il contratto definiti- vo (16), od ancora che qualora oggetto del contratto sia un immobile che il promittente venditore abbia garanti- to essere destinato ad uso commerciale, il promissario acquirente può esperire l’azione di cui all’art. 2932 Codi- ce civile, solo qualora il promittente venditore abbia presentato la denunzia di cambio di destinazione del- l’immobile da uso artigianale-industriale ad uso com- merciale, alla quale abbia fatto seguito il silenzio assenso del Comune che non si sia dotato della disciplina in ma- teria di rilascio della relativa autorizzazione (17).
La rilevanza giuridica degli estremi catastali dell’immobile e del tipo di frazionamento
Rispetto a quanto esposto nel paragrafo precedente, l’annotata sentenza nel suo parco argomentare non sem- bra apportare significative innovazioni. Essa si pone so- stanzialmente in linea con il principio, sovente afferma- to dalla giurisprudenza, per cui in linea di massima il re- quisito della determinatezza o determinabilità dell’og- getto di un contratto preliminare immobiliare non po- stula la necessaria indicazione dei numeri del catasto o delle mappe censuarie e di tre almeno dei suoi confini, necessarie invece per la trascrizione del definitivo, pur- ché, anche in mancanza delle dette indicazioni, l’ogget-
Note:
(13) Si vedano ad esempio Xxxx. 2 aprile 1996, n. 3028, in Foro it., 1996, I, 2036; Cass. 3 settembre 1993, n. 9313, in Giust. civ., 1994, I, 1323, con nota di Sala. Analogamente, con riferimento alle dichiarazioni fiscali fi- no a poco tempo fa obbligatorie per il definitivo, ha di recente ritenuto la Cassazione che «la mancanza nel preliminare della dichiarazione del pro- mittente venditore dalla quale risulti che il reddito fondiario dell’immo- bile è stato inserito nell’ultima dichiarazione dei redditi per la quale il ter- mine di presentazione è scaduto alla data dell’atto, ovvero dell’indicazio- ne del motivo per cui lo stesso non è stato dichiarato (art. 3, comma 13 ter, D.L. n. 90/1990, convertito nella L. n. 165/1990 ed abrogato dall’art. 23, L. n. 229/2003), non impedisce la pronuncia della sentenza costituti- va ex art. 2932 Codice civile, in quanto siffatto adempimento è stabilito esclusivamente per gli atti pubblici tra vivi e le scritture private formate o autenticate, di trasferimento della proprietà di unità immobiliari urbane o di costituzione o trasferimento di diritti reali sulle stesse» (Cass., 15 ot- tobre 2004, n. 20310, in Giust. civ. Mass., 2004, 10).
(14) Cass., 25 febbraio 2003, n. 2824, in Giust. civ. Mass., 2003, 392.
(15) Trib. Verbania, 9 aprile 2001, in questa Rivista, 2002, 234, nota di Xxxxxx. Per approfondimenti si veda Radice, Azione di adempimento del preliminare ex art. 2932 codice civile e regolarità urbanistica dell’immobile (no- ta a Trib. Verbania, 9 aprile 2001), ivi.
(16) Cass. 9 luglio 1994, n. 6493, in Giust. civ. Mass., 1994, 944.
(17) Cass. 22 novembre 2004, n. 22041, in questa Rivista, 2005, 671.
(18) Cfr. ad esempio Xxxx. 22 giugno 1995, n. 7079, in Giust. civ. Mass., 1995, 6.
(19) App. Firenze 14 settembre 1985, in Vita not., 1986, 1285.
(20) Cass. 13 luglio 1996, n. 6354, in Giust. civ. Mass., 1996, 984.
namento ed i confini del lotto da frazionare), e la Cassa- zione ha colto l’occasione per notare come il documen- to in questione possa invece avere una sua autonoma ri- levanza anche in rapporto al contratto preliminare, qua- lora risulti, come nel caso in questione, che le parti ab- biano fatto riferimento nel contratto al tipo di fraziona- mento da redigere successivamente.
Infatti, tale documento costituisce uno strumento utile per consentire all’interprete la reale volontà delle parti.
Il medesimo, infatti, va innanzi tutto ad integrare il contenuto dispositivo dell’atto concluso dalle parti, di- venendo quindi essenziale, come nel caso di specie, al fi- ne di una miglior e più precisa individuazione dell’ogget- to del contratto anche in riferimento agli artt. 1346 e 1418 Codice civile, dato che la determinabilità dell’og- getto stesso, se questo sia indeterminato nel testo con- trattuale approvato dai contraenti, può anche essere ri- cavata dal frazionamento richiamato nella scrittura e concordato dalle parti anche successivamente (come è
siano allegati all’atto e controfirmati dalle parti, oppure come nel caso di specie richiamati espressamene nel contratto, costituiscono strumenti fondamentali per l’interpretazione del contratto di compravendita immo- biliare, dal momento che a quei documenti le parti han- no fatto espresso riferimento (21).
In sostanza, come ha precisato la Cassazione, sebbe- ne i tipi di frazionamento siano meri documenti redatti per le opportune variazioni catastali conseguenti agli at- ti di trasferimento della proprietà immobiliare, e ad essi, di regola, possa attribuirsi solo valore sussidiario ed ac- cessorio per l’individuazione dei beni oggetto del con- tratto e per la determinazione dei loro confini, tuttavia tali documenti, quando siano assunti come parti inte- granti dell’atto contrattuale cui sono allegati, assumono il valore di espressione della volontà dei contraenti circa l’oggetto del negozio, non essendo a tale scopo sufficien- te che i tipi di frazionamento siano sottoscritti dalle par- ti, ma occorrendo un espresso richiamo ai medesimi nel contratto stesso (22).
accaduto nel caso di specie, in cui la superficie del terre-
no oggetto di vendita è stata individuata solo in sede di frazionamento).
Oltre a ciò per la giurisprudenza lo stesso tipo di fra- zionamento, come anche la piantina catastale, quando
Note:
(21) Cass. 19 ottobre 1999, n. 11744, in Riv. not., 2000, 483; Cass. 7 giu-
gno 1993, n. 6356, in Giust. civ. Mass., 1993, 997.
(22) Cass. 7 maggio 1991, n. 5016, in Giust. civ. Mass., 1991, 5.
Diritto dello sport
Ordinamento sportivo e contratto
«immeritevole» di tutela
Tribunale di Udine - Sentenza del 16 gennaio 2006, n. 55/06
G.U. Grisafi - Xxxxxxxxxx x. Xxxxx.
Contratto di mandato - Ordinamento sportivo - Violazione di norme federali - Ordinamento dello Stato - Prestazione giuridicamente «impossibile» - Invalidità - Inefficacia
Dev’essere dichiarato invalido ed inefficace il contratto di mandato tra un procuratore sportivo (ora agente dei calciatori) ed un calciatore professionista, stipulato in contrasto con le regole formali e so- stanziali espressamente previste dalla federazione sportiva di appartenenza (F.I.G.C.) poiché, realiz- zando una violazione di norme dell’ordinamento sportivo che incidono necessariamente sulla funzio- nalità del negozio giuridico concluso, inibisce la realizzazione di un interesse meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 cpv. Codice civile.
Svolgimento del processo
(Omissis)
L
Motivi della decisione
a domanda attorea ad avviso del giudicante non può trovare accoglimento.
L’attore a fondamento della sua pretesa, ha posto il contratto di mandato stipulato tra le parti in data 24 giu- gno 1999, specificando in atto di citazione che «il calcia- tore professionista S.A. aveva conferito all’avv. L.S., che svolgeva anche l’attività di consulenza e assistenza in ma- teria sportiva ed è iscritto nell’apposito albo, l’incarico in via esclusiva e per la durata di anni cinque, di rappresen- tarlo ed assisterlo nell’attività diretta alla definizione della durata e del compenso del contratto di prestazione sporti- va con società di calcio professionistico, all’assistenza nel rapporto con la società, alla cessione, anche a favore di soggetti diversi dalle società di calcio, dell’utilizzo dell’im- magine, del nome o di quant’altro consimile del predetto calciatore professionista e, comunque, alla redazione e sti- pula di tutti i relativi contratti». Sostenendo quindi che, nonostante l’attività prestata, non gli era stato corrisposto (tranne un anticipo di lire 40.000.000 ad opera della so- cietà Hellas Verona F.C. S.p.a.) il compenso maturato per l’intervenuta stipula in data 21 luglio 1999 di un contrat- to di prestazioni sportive tra il convenuto e la società Hel- las Verona F.C. S.p.a. xx assumendo inoltre che il conve- nuto si era reso inadempiente, in quanto nel 2002, prima della scadenza del mandato in esclusiva, a sua insaputa aveva stipulato un contratto di prestazioni sportive con la società Brescia Calcio S.p.a. alle cui dipendenze si era tra- sferito, ha chiesto la condanna del convenuto al paga- mento della complessiva somma di circa euro 480.000,00 a titolo di adempimento del contratto e penale.
A fronte dell’eccepita inefficacia e/o nullità del contrat- to di mandato per contrasto con le «forme» imposte da
«Regolamento dell’attività di procuratore sportivo», l’attore precisa, da un lato, di aver ricevuto l’incarico professionale, e di aver conseguentemente agito, non quale «procuratore sportivo» bensì quale «avvocato» regolarmente iscritto all’«Albo»; dall’altro lato, che, in ogni caso, al procuratore sportivo non sarebbe applica- bile la L. 23 marzo 1981, n. 91, sia in quanto soggetto non qualificabile quale «sportivo professionista» (in ba- se all’art. 2 della medesima legge), sia perché lavoratore autonomo e non subordinato: da tale ultimo assunto de- riverebbe che non sussistendo alcun rinvio formale del- la dello Stato alle norme emanate dalla Federazione sportiva per i «procuratori sportivi», il regolamento fe- derale dell’attività di procuratore sportivo e la sua viola- zione sarebbero irrilevanti in quanto non applicabili nel presente giudizio.
Xxxxxx, in primo luogo, va osservato che l’oggetto del mandato professionale conferito dal convenuto all’atto- re coincide nella sostanza con l’attività tipica del «pro- curatore sportivo», così come veniva definita dal «Rego- lamento per l’esercizio dell’attività di procuratore sporti- vo» vigente all’epoca della stipula del contratto. L’art. 1 del Regolamento infatti così recitava: «È procuratore sportivo la persona fisica che, avendo ricevuto incarico in conformità al presente Regolamento, presta opera di consulenza a favore e nell’interesse del calciatore profes- sionale nell’attività diretta: a) alla definizione della du- rata, compenso ed ogni altra pattuizione del contratto di prestazione sportiva, nonché di assistenza del calciatore per tutto il periodo di efficacia del rapporto; b) alla ces- sione, se prevista dall’incarico, a favore di persone fisiche o giuridiche diverse dalle società di calcio, dell’utilizzo
dell’immagine, del nome e di quanto consimile del pro- fessionista». Il nuovo regolamento, emanato nel novem- bre del 2001, si limita ad ampliare e a specificare l’atti- vità del procuratore (denominato ora «agente di calcia- tori»), senza modificare la sostanza della figura.
Il «contratto di mandato» oggetto di causa riproduce quasi testualmente il citato art. 1 del Regolamento. Nel dettaglio, infatti, nel punto b) 1) del contratto si legge:
«il calciatore conferisce incarico, in via esclusiva all’avv. S., affinché lo rappresenti e lo assista nell’attività diretta alla definizione della durata e del compenso del contrat- to di prestazione sportiva con società di calcio professio- xxxxxxx; all’assistenza del calciatore professionista nel rapporto con le società; alla cessione, anche a favore di persone fisiche o giuridiche diverse dalle società di calcio professionistico, dell’utilizzo dell’immagine, del no- me…».
Premesso che l’attività per la quale l’attore chiede il compenso nel presente giudizio rientra nella previsione della prima parte del punto b) 1) del contratto, ovvero- sia quella relativa alla «definizione della durata e del compenso del contratto di prestazione sportiva con so- cietà di calcio professionistico», appare evidente che vi è un’assoluta coincidenza di contenuto tra l’attività pro- fessionale svolta dall’attore e quella propria del «procu- ratore sportivo». Si è trattato infatti di un’attività di con- sulenza prestata ad un calciatore professionista che ha condotto alla conclusione con società sportiva di un contratto di prestazione sportiva, destinato ad operare, o meglio ad esplicare i suoi «effetti», nell’ambito dell’ordi- namento sportivo, e quindi con uno scopo pratico iden- tico a quello perseguito dai modelli predisposti dalla F.I.G.C.
Risulta inoltre pacifico che, non solo il convenuto è un calciatore professionista tesserato alla Federazione Italia- na Giuoco Calcio (F.I.G.C.), ma anche che l’avv. S., ol- tre ad essere iscritto all’albo degli avvocati e procuratori, è iscritto nell’apposito albo dei procuratori sportivi, te- nuto dalla F.I.G.C. e ciò a far data dal 26 novembre 1992.
Tenuti presenti questi elementi di fatto della fattispecie, ad avviso del giudicante appare evidente che la circo- stanza che l’attore nel contratto di mandato in questio- ne sia qualificato quale «avvocato» che «nella sua qua- lità professionale è abilitato ad assistere ed a rappresen- tare terzi in ogni atto legale e giuridico» e l’invocare nel giudizio tale qualità, sono evidentemente solo espedien- ti «tecnici» che mirano ad eludere (ed a evitare in tal modo le conseguenze della loro violazione) le specifiche disposizioni dell’ordinamento sportivo, obbligatorie per i soggetti che operano al suo interno in quanto poste non solo a tutela dell’ordinamento pubblico alla trasparenza dell’attività «economica» svolta dalle società sportive, ma anche a tutela dei calciatori professionisti. Il dato meramente formale, rappresentato dalla circostanza che nel caso concreto il «procuratore sportivo» è iscritto an- che all’albo degli avvocati, non può consentire che nel-
la specifica attività svolta dall’attore a favore del conve- nuto rimanga sottratta alle regole dell’ordinamento sportivo, regole che - si ripete - entrambi i soggetti si so- no impegnati a rispettare, l’uno tesserandosi alla F.I.G.C. e l’altro iscrivendosi all’apposito e specifico Albo dei Procuratori, iscrizione quest’ultima che oltre a tutto sola consentiva al calciatore di rivolgersi a lui legittimamen- te, in base all’art. 12 del Regolamento vigente all’epoca. Né appare rivestire rilievo determinante, al fine di rico- noscere o negare la soggezione dell’attività oggetto di causa alla disciplina dettata dal «Regolamento dell’atti- vità di procuratore sportivo», la questione se il «procura- tore sportivo» (oggi «agente di calciatori») sia effettiva- mente - come contesta l’attore - un vero e proprio «sog- getto» dell’ordinamento sportivo.
Come si è osservato in dottrina, anche se per giungere ad altre conclusioni, in realtà non può essere negata una sorta di «soggettività riflessa» al procuratore sportivo. La disposizione dell’art. 12 del Regolamento (sopra citato), norma per così dire di chiusura dalla quale si ricava la ra- tio dell’intera disciplina, faceva divieto ai calciatori di farsi assistere nella loro attività, così come faceva divieto
«a tutti gli altri soggetti dell’ordinamento federale» di svolgere trattative o di intrattenere rapporti ai fini della conclusione di un contratto, da e con soggetti che non fossero «procuratori sportivi» ai sensi dell’ordinamento federale allora vigente. Il procuratore sportivo (oggi agente dei calciatori), soggetto che fa parte di un vero e proprio ordine professionale cui si accede superando un esame e prestando una garanzia, pur non essendo iscritto alla Federazione, per il fatto di essere volontariamente iscritto all’albo dei procuratori sportivi, non può non es- sere costretto - ogni qualvolta presta la tipica attività di procuratore sportivo, come definito dal Regolamento - al rispetto delle regole dell’ordinamento sportivo nel cui ambito opera. Né, ad avviso del giudicante, appare con- testabile la potestà dell’ordinamento sportivo, nell’eser- cizio della potestà organizzativa riconosciuta alle federa- zioni sportive dall’art. 14, secondo comma, L. 23 marzo 1981, n. 91, di prevedere con regolamento che il procu- ratore dell’atleta sia dotato di una specifica preparazione professionale sia giuridica che sportiva e che lo stesso sia soggetto alla potestà disciplinare per le prestazioni pro- priamente sportive fornite in contrasto con il Regola- mento. Del resto a tale riguardo non privo di rilievo era proprio la previsione dell’art. 10 del Regolamento il qua- le disponeva che «Nei rapporti con i colleghi, i calciato- ri, ed i tesserati in genere, il procuratore sportivo deve os- servare le norme federali e regolamentari…». A conclu- sioni non diverse si perviene se trovasse applicazione il nuovo Regolamento dell’«agente di calciatori» (non ap- plicabile alla fattispecie in quanto emanato in data suc- cessiva al contratto di mandato de quo). Se è vero infatti che, a differenza del previgente regolamento, oggi è con- sentito ai calciatori e alle società sportive di avvalersi dell’opera di un agente non iscritto nell’albo apposito nell’ipotesi in cui si tratti di un «avvocato iscritto nel re-
lativo albo» e per un’attività conforme alla normativa professionale vigente, anche l’avvocato iscritto nel rela- tivo albo qualora svolga un’attività corrispondente a quella dell’agente di calciatore (curando e promuovendo i rapporti tra un calciatore ed una società sportiva in vista del- la stipula di un contratto di prestazione sportiva, ovvero tra due società per la conclusione del trasferimento o la cessione di contratto di un calciatore) è tenuto, a norma dell’art. 12 dello stesso Regolamento, all’osservanza delle norme fe- derali statutarie e regolamentari della F.I.G.C. «garan- tendo che ogni contratto di prestazione sportiva conclu- so, a seguito della propria attività, sia conforme alle so- praccitate norme…».
Xxxxxx, ciò premesso e rilevato, il giudicante ritiene che sia nella sostanza condivisibile la giurisprudenza, anche di recente confermata (Cass. 23 febbraio 2004, n. 3545; Cass. 28 luglio 1981, n. 4845; Cass. 05 gennaio 1994, n. 75), che ha ritenuto che il contratto di cessio- ne di un calciatore che contrasti con le prescrizioni det- tate dall’art. 9 (ora art. 10) del regolamento determina l’invalidità e l’inoperatività del contratto stesso in rela- zione al disposto del secondo comma dell’art. 1322 Co- dice civile. Ha rilevato infatti la Corte che «Le viola- zioni di norma dell’ordinamento sportivo non possono non riflettersi sulla validità di un contratto concluso tra soggetti sottoposti alle regole del detto ordinamento an- che per l’ordinamento dello Stato, poiché se esse non ne determinano direttamente la nullità per violazione di norme imperative, incidono necessariamente sulla funzionalità del contratto medesimo, vale a dire sulla sua idoneità a realizzare un interesse meritevole di tute- la secondo l’ordinamento giuridico; non può infatti ri- tenersi idoneo sotto il profilo della meritevolezza della tutela dell’interesse perseguito dai contraenti, un con- tratto posto in essere in frode alle regole dell’ordina- mento sportivo, e senza l’osservanza delle prescrizioni formali all’uopo richieste e, come tale inidoneo ad at- tuare la sua funzione proprio in quell’ordinamento spor- tivo nel quale detta funzione deve esplicarsi».
Con l’adesione alle varie federazioni o, nel caso del «pro- curatore sportivo», con l’iscrizione nell’apposito albo, i soggetti manifestano la volontà di rispettare anche tutte quelle regole che disciplinano i futuri contratti esplican- ti effetti nell’ambito sportivo ed il mancato rispetto di queste norme se non comporta la nullità dei contratti per violazione di norme imperative, rileva comunque sotto il profilo della meritevolezza.
Nel caso in esame il contratto di mandato non ha ri- spettato nella forma e nella sostanza alcune fondamen- tali regole poste dall’ordinamento sportivo.
Quanto alla «forma» in senso lato, a norma dell’art. 9 del Regolamento previgente (l’attuale art. 10 non si discosta sul punto) dispone infatti che ogni incarico del tipo di quello conferito dal convenuto all’attore a pena di nullità, oltre a dover essere conferito per atto scritto, utilizzando i moduli predisposti per ciascuna stagione sportiva dalla F.I.G.C., deve essere conforme alle prescrizioni del mo-
dello-tipo allegato B al Regolamento e poi entro venti giorni dal conferimento deve essere depositato presso la F.I.G.C.
La sanzione per tale inosservanza è radicale, in quanto:
«Gli incarichi non depositati o non spediti sono irrile- vanti nell’ordinamento federale» e non hanno giuridica efficacia nell’ordinamento federale.
Già un tanto basterebbe a ritenere il contratto di man- dato in questione privo di idoneità a realizzare un interes- se meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico se- condo l’espressione contenuta nel secondo comma del- l’art. 1322 Codice civile.
Ma anche nella sostanza il contratto è in palese contra- sto quanto meno con due fondamentali prescrizioni, os- sia quella relativa alla durata dell’impegno di «esclusi- vità» per il calciatore e quella relativa al compenso.
Mentre nel mandato sottoscritto dal convenuto la dura- ta del contratto è di cinque anni, rinnovabili tacitamen- te se non inviata una disdetta tre mesi prima della sca- denza con penale (di ben lire 500.000.000) in caso di violazione; nel Regolamento, invece, a tutela evidente- mente della libertà contrattuale del calciatore, è previsto che «gli incarichi hanno durata dal 1° aprile al 31 marzo e si rinnovano di anno in anno in mancanza di disdetta da inviare entro il 20 febbraio». Quanto al compenso, a fronte di un compenso pattuito dall’attore nella misura del 10% del corrispettivo (lordo!) risultante dal contrat- to, l’art. 11 del Regolamento prevede una misura massi- ma del 5%. Da notare poi che mentre nel Regolamento non è previsto alcun compenso per il procuratore nell’i- potesi di stipula diretta del contratto da parte del calcia- tore, nel contratto di mandato predisposto dall’avv. S. il calciatore per la durata di ben cinque anni era vincolato a non stipulare, senza la presenza o autorizzazione scritta dell’avv. S., alcun contratto.
Va solo rilevato, per quanto concerne il contenuto delle pattuizioni, che il Regolamento prevede, per l’ipotesi di contrasto con le disposizioni del Regolamento (art. 9, comma 6), che «le clausole degli incarichi non conformi al presente Regolamento sono sostituite di diritto dalle clausole del modello-tipo». Nel caso in esame non vi è spazio per tale inserimento automatico, peraltro neppu- re richiesto dall’attore, in quanto trattasi per l’ordina- mento federale di contratto privo di giuridica efficacia.
È noto al giudicante che nei più recenti indirizzi dottri- nali è oggetto di notevoli critiche il ricorso al giudizio di meritevolezza le quali suggeriscono una sostanziale di- sapplicazione dell’art. 1322, secondo xxxxx, Codice ci- vile. Tali critiche non si condividono ma nella fattispe- cie in esame, in ogni caso, è determinante la circostanza che il contratto de quo è stato stipulato tra soggetti che volontariamente, l’uno con il tesseramento e l’altro con l’iscrizione, si sono obbligati a stipulare i futuri contratti rispettando forme determinate e si tratta di contratto che, come detto, è assolutamente privo di efficacia pro- prio nell’ordinamento sportivo, riconosciuto dall’ordi- namento giuridico statale, ove è destinato ad esplicare i
suoi effetti. Ne consegue che non può essere meritevole di tutela nell’ordinamento statale ciò che non è efficace nell’ordinamento sportivo per i soggetti che alle regole di quest’ultimo hanno accettato di assoggettarsi. A tale riguardo si è anche osservato che, trattandosi di negozio idoneo ad operare all’interno dell’ordinamento sportivo, si potrebbe anche parlare di «impossibilità» giuridica della prestazione. Si tratterebbe cioè di un contratto con oggetto giuridicamente impossibile in quanto, pur non essendo illecito non è suscettibile di tutela. Trattasi co- munque di un contratto invalido e comunque privo di effetti anche nell’ordinamento statale.
Non si passa all’esame delle restanti eccezioni e doman- de riconvenzionali proposte dalla parte convenuta (pe- raltro fondate come quelle relative alla violazione del
c.d. patto di quota lite e della violazione delle tariffe pro- fessionali), in quanto da ritenersi assorbite.
Viene pertanto accolta la prima domanda riconvenzio- nale proposta dal convenuto di accertamento dell’inva- lidità ed inefficacia del contratto di mandato del 24 giu- gno 1999 stipulato tra le parti.
L’attore, nella memoria autorizzata ai sensi dell’art. 180 Codice procedura civile di data 26 giugno 2003 (non in citazione), per l’ipotesi in cui il contratto fosse ritenuto invalido e/o inefficace, ha rilevato nella parte espositiva dell’atto che avrebbe in ogni caso diritto al riconosci- mento di un «indennizzo» ai sensi dell’art. 2041 Codice civile per arricchimento senza causa da parte del conve- nuto. Tale pretesa subordinata, non è stata però forma- lizzata né nell’atto introduttivo del giudizio, né in al- cun’altra memoria successiva, né in sede di precisazione delle conclusioni. Trattasi di una domanda nova e co- munque diversa da quella di adempimento e risarcimen- to proposta in citazione, sotto il profilo del «petitum» e della «causa pretendi», che non può in alcun modo rite- nersi implicita in quella proposta e che, quanto meno, avrebbe dovuto essere espressamente formulata in sede di precisazione delle conclusioni.
La domanda deve ritenersi quindi inammissibile. Passando alle restanti domande riconvenzionali propo- ste dal convenuto, ritiene il giudicante che non sia fon- data la domanda di rimborso ai sensi dell’art. 2033 Co- dice civile di 300.000 (vecchi) marchi tedeschi, asseri- tamene versati dal convenuto all’attore senza titolo. In primo luogo non vi è alcun elemento che consenta di ritenere che tale versamento sia stato effettuato in adempimento del contratto di mandato che qui viene dichiarato nullo. Anzi tale circostanza risulta piuttosto inverosimile considerando che il versamento è avvenu- to quattro mesi prima della stipula del contratto di man- dato di cui dovrebbe rappresentare parziale esecuzione. Ciò escluso, va rilevato che il convenuto non ha nep- pure fornito la prova dell’inesistenza o del venir meno della «causa debendi» di tale versamento. Va infatti os- servato che se è vero che vi è prova, anche per stessa ammissione dell’attore in sede di interpello, che l’avv.
X. ebbe ricevere dal convenuto nel marzo del 1999, tra-
mite trasferimento bancario all’estero, l’importo di mar- chi 300.000, il teste M.D.V., sentito in istruttoria, ha confermato la giustificazione che l’attore ha fornito di tale versamento, ossia che si è trattato in realtà e nella sostanza di un pagamento effettuato «fuori busta» dal giocatore stesso, per il tramite dell’avv. S. che agiva qua- le garante (in quanto non doveva risultare un paga- mento diretto da parte del S.A.), al dirigente della so- cietà calcistica croata che aveva acconsentito al trasfe- rimento del calciatore al Parma A.C. S.p.A. Il teste ha confermato di essere stato presente, appena fuori della banca dove risultavano essere stati trasferiti i soldi, al momento in cui l’avv. X. consegnò il danaro in mani del sig. S.I., dirigente per l’appunto della società calcistica HNK Hjduk.
Non può trovare neppure accoglimento la domanda di risarcimento danni ex art. 89, comma 2, Codice proce- dura civile, in quanto tale pretesa (pur richiamata nella comparsa conclusionale) non è stata riprodotta in sede di precisazione delle conclusioni ed è pertanto da rite- nersi abbandonata.
La domanda di risarcimento ex art. 96 Codice procedura civile pur potendosi ravvisare gli estremi per un accogli- mento dell’«an», va respinta non essendo stato fornito dal convenuto alcun elemento che consenta di ritenere sussistente un danno risarcibile ed alcun elemento per valutarne, pur in via equitativa, l’entità.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, in assenza di nota spese, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale di Udine, definitivamente pronunciando tra le parti, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, così provvede:
1) Respinge ogni domanda attorea;
2) Accerta e dichiara l’invalidità ed inefficacia del con- tratto di mandato stipulato tra le parti in data 24 giugno 1999 per le ragioni di cui in motivazione;
3) Respinge la domanda riconvenzionale di pagamento di cui al punto 3.2 delle conclusioni di parte convenuta;
4) Respinge la domanda riconvenzionale di condanna
ex art. 96 Codice procedura civile;
5) Condanna l’attore al pagamento delle spese proces- suali a favore del convenuto, (Omissis).
IL COMMENTO
di Xxxx Xxxxxxxx Xxxxxxxx
Dalla lettura della sentenza in epigrafe, l’autore ha tratto spunto per analizzare le conseguenze giuridiche alle quali va incontro un accordo intercorso tra sog- getti appartenenti all’ordinamento sportivo, stipulato in violazione delle norme regolamentari ivi previste dando conto, altresì, degli esiti dell’indagine conosci- tiva effettuata dall’Autorità Garante per la Concorren- za ed il Mercato, in ordine alle alterazioni della con- correnza presenti nel settore degli agenti dei calciato- ri (già procuratori sportivi).
Viene, infine, avanzata una suggestiva ipotesi di ine- sistenza del negozio giuridico concluso, a fronte di un ragionamento che tiene conto di alcune recenti pro- nunce della Suprema Corte e di un rinnovato interesse per il c.d. giudizio di meritevolezza degli interessi.
Il caso
L’avv. L.S. ed il calciatore professionista S.A., stipu- larono il 24 giugno 1999 un contratto in virtù del quale il primo assunse l’incarico di rappresentare ed assistere il secondo, in via esclusiva e per la durata di cinque anni, nell’attività diretta alla definizione della durata e del compenso del contratto di prestazione sportiva con so- cietà di calcio professionistico, all’assistenza nel rapporto con la società, alla cessione, anche a favore di soggetti diversi dalle società di calcio, dell’utilizzo dell’immagine, del nome o di quant’altro consimile del predetto calcia- tore professionista e, comunque, alla redazione e stipula di tutti i relativi contratti.
Il corrispettivo (comprensivo di ogni spesa), venne pattuito tra le parti nelle misure percentuali massime del 10% per i contratti di prestazione sportiva e del 25% dei contratti di cessione dell’utilizzo dell’immagine, del no- me o di quant’altro consimile. Le parti, inoltre, stabiliro- no di inserire nel contratto una penale di 500 milioni di lire a carico del calciatore qualora lo stesso avesse sotto- scritto un qualsiasi documento, contratto, compromes- so, senza la presenza o l’autorizzazione scritta dell’attore. Il 21 luglio 1999, per mezzo dell’opera prestata dal- l’attore (provvigione corrisposta parzialmente), il con- venuto stipulò un contratto di prestazioni sportive con la società Hellas Verona S.p.a. per quattro stagioni (dal 1999 al 2003). In seguito il convenuto, a detta dell’atto- re, in violazione degli accordi, stipulò il 31 agosto 2002 un contratto di prestazioni sportive con la società Bre-
scia Calcio S.p.a.
L’avv. L.S., quindi, con atto di citazione notificato il 10 gennaio 2003 conveniva dinnanzi al Tribunale di Udine il calciatore S.A., chiedendone la condanna al pa- gamento sia del saldo del compenso spettantegli per la conclusione del primo contratto concluso con la H.V.
S.p.a. grazie alla sua opera di mediazione, che della pena- le prevista nel contratto del 24 giugno 1999. Si costituiva il convenuto contestando la fondatezza della pretesa at- torea richiamandosi, in linea di diritto, alle norme del- l’ordinamento sportivo ed in particolare a quanto previ- sto dall’allora vigente «Regolamento dell’attività di pro- curatore sportivo», all’interno del quale erano previste, a pena di nullità, specifiche norme formali e procedimen- tali per il conferimento di un mandato valido ed efficace al procuratore sportivo. Il convenuto osservava, inoltre, che sebbene la nullità fosse prevista non da una legge, bensì da un mero «contratto normativo» (1) vincolante per entrambe le parti, in quanto appartenenti all’ordina- mento sportivo, tali formalità costituivano forme con- venzionali regolate dall’art. 1352 Codice civile; che inol- tre, in base alle successive norme del regolamento, che imponevano formalità di deposito, gli incarichi non de- positati o non spediti dovevano considerarsi irrilevanti e privi di giuridica efficacia per l’ordinamento federale e quindi anche per l’ordinamento statale.
Ciò premesso il convenuto rilevava che il contratto sul quale l’attore aveva fondato le sue pretese di condan- na, pur essendo stato stipulato tra soggetti dell’ordina- mento sportivo, e pur perseguendo lo scopo pratico dei modelli predisposti dalla F.I.G.C., era stato stipulato in dispregio sia della «forma in senso stretto» che della
«forma in senso lato», nonché conteneva una serie di clausole in contrasto con i regolamenti federali (quella relativa al compenso, la durata e la penale) e che per questi motivi il contratto non era idoneo a realizzare in- teressi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuri- dico ex art. 1322, comma 2, Codice civile. Osservava an- cora il convenuto che entrambe le parti (il calciatore col tesseramento e l’attore con l’iscrizione nell’apposito al- bo), si erano obbligate a stipulare i futuri contratti (nel- l’ambito considerato), rispettando le forme previste dal- l’ordinamento sportivo cui avevano spontaneamente aderito e quindi al «contratto normativo» che quest’ul- timo aveva predisposto e che vincolava i soggetti di ap- partenenza. Il convenuto concludeva chiedendo la reie- zione della domanda attorea per la radicale inefficacia ed invalidità del contratto «azionato».
A fronte dell’eccepita inefficacia e/o nullità del contratto di mandato per contrasto con le «forme» im- poste dal «Regolamento dell’attività di procuratore spor- tivo», l’attore precisava, da un lato, di aver ricevuto l’in-
Nota:
(1) Col termine «normativo» si fa riferimento alla circostanza che sono le parti stesse a dettare le regole (norme) da valere in una serie di rapporti futuri. (X. Xxxxxxxxxxxx, Contratto normativo, in Enc. giur, Roma, 1988, vol. IX, 1 ss., ove anche per la distinzione tra contratto normativo bilate- rale ed unilaterale).
carico professionale, e di aver conseguentemente agito, non come «procuratore sportivo», bensì in veste di «av- vocato» regolarmente iscritto all’«Albo» (2); dall’altro lato che, in ogni caso, al procuratore sportivo non sareb- be stata applicabile la L. 23 marzo 1981, n. 91, sia in quanto soggetto non qualificabile «sportivo professioni- sta» (in base all’art. 2 della medesima legge), sia perché lavoratore autonomo e non subordinato. Per tali motivi, l’attore concludeva sostenendo l’inesistenza di un rinvio formale della legge dello Stato alle norme emanate dalla Federazione sportiva per i «procuratori sportivi», con la conseguenza che il regolamento federale dell’attività di procuratore sportivo e la sua violazione sarebbero irrile- vanti in quanto non applicabili nel giudizio de quo. Il Tri- bunale è stato di diverso avviso, vediamo perché.
Ordinamenti giuridici a confronto
e posizione soggettiva delle parti in causa. Questione di giurisdizione
Al fine di inquadrare correttamente le posizioni soggettive dell’attore e del convenuto, è opportuno pre- cisare il ruolo occupato dalle parti in causa all’interno di quella particolare «formazione sociale» (art. 2 Cost.) chiamata ordinamento sportivo nazionale, in relazione ai diritti soggettivi riconosciuti dall’ordinamento giuridi- co dello Stato. Da lungo tempo, ormai, dottrina (3) e giurisprudenza (4) dibattono in ordine ai rapporti cor- renti tra i suddetti ordinamenti. In passato, prima che lo sport (5) (in particolare il calcio) diventasse importante non solo da un punto di vista socio-culturale, ma soprat- tutto economico, lo Stato sembrò quasi disinteressarsi del fenomeno, salvo che per un generale inquadramento della materia, realizzatosi ad opera della L. n. 426/1942, istitutiva del C.O.N.I. (6), con la quale si introdusse il principio della giustizia endoassociativa. Soltanto con la
L. n. 91/1981 si è assistito alla promulgazione di una ve- ra e propria legge sul professionismo sportivo.
Dal 1995 in poi, dopo la sentenza Xxxxxx (7), il cal- cio in particolare, ma tutto il movimento sportivo in ge- nerale, ha cominciato a connotarsi degli elementi della
«sopranazionalità» e della «piena imprenditorialità» (8). Il X.Xxx. n. 242/1999 (il c.d. decreto Melandri), co- me modificato dal D.Lgs. n. 15/2004, ha abrogato la suc- citata L. n. 426/1942 e l’art. 14 della L. n. 91/1981. Le di- sposizioni richiamate costituiscono in questo momento (salvo imminenti riforme legislative e regolamentari de- rivanti dall’affaire intercettazioni) il nuovo perimetro normativo (statale), all’interno del quale il movimento sportivo nazionale rappresentato dalle Federazioni spor- tive nazionali (associazioni con personalità giuridica di diritto privato; cfr. art. 15 D.Lgs. 242/1999), dovrà me- diare tra la propria naturale tendenza all’autodichia (os- sia la potestà regolamentare delle Federazioni e l’indi- pendenza dei relativi organi di giustizia) e la soggezione alla sovranità dello Stato.
Con l’emanazione del D.L. n. 220/2003, convertito con modificazioni nella L. n. 280/2003, è stata infine ri-
conosciuta «[…] l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell’ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico In- ternazionale.[…]» (art. 1, primo comma, L. cit.).
Sempre in materia di principi generali, è previsto dal legislatore che «[…] I rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento della Repubblica (siano) rego- lati in base al principio di autonomia, salvi i casi di rile- vanza per l’ordinamento giuridico della Repubblica di si- tuazioni giuridiche soggettive connesse con l’ordina- mento sportivo.[…]».
La L. n. 280/2003, nonostante la sua essenzialità (appena quattro articoli), riesce a definire chiaramente le differenti competenze per materia attribuite agli orga- ni di giustizia sportiva (art. 2, legge cit.), alla magistratu-
Note:
(2) Presso il Consiglio dell’Ordine di appartenenza.
(3) Cfr. per tutti X. Xxxxxxxx, Rapporti tra ordinamento sportivo e ordina- mento giuridico, in Xxx.xxx.xxxxx., 1979, 28 ss.; X. Xxxx, L’ordinamento spor- tivo, in Nuova giur.civ.comm., 1986, II, 321 ss.; X. Xxxxxx, A. De Xxxxxxxxx,
X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxxx, Diritto dello Sport, Mila- no, 2004; X. Xxxxxx, Il lavoro sportivo tra codice civile e norma speciale, Riv. It. Dir. Lav., 2002, 1, 39; X. Xxxxxxx, L’ordinamento giuridico del giuoco cal- cio, xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xxx/0-xxxxxxx.xxxx, 2004; X. Xxxxxxxxxxx, Profili evoluti del diritto dello sport, Napoli, 2001; X. Xxxxxxx, Lo sport e il di- ritto. Profili istituzionali e regolamentazione giuridica, Napoli, 2004; X. Xxxx- si, Autonomia privata ed autodisciplina sportiva. Il CONI e la regolamentazio- ne dello sport, Milano, 2000.
(4) Cfr. per tutte: Xxxx. 23 febbraio 2004, n. 3545, in questa Rivista, 2005, 865, con nota di Xxxx; Cass. n. 2228/1968, in Foro pad., 1968, I, 627; Cass. n. 625/1978, in Foro it., 1978, I, 862; Cass., sez. un., n. 2725/1979, in Riv. dir. sport. 1979, 136; Cass. n. 4845/1981, in Giust. civ., 1982, I, 2411; Cass. n. 3218/1987, in Giust. civ., 1987, I, 1678; Cass. n. 7856/1994, in Giust.civ. Mass., 1994, 1148; Cass. n. 75/1994, in questa Rivista, 1994, 264; Cons. St., sez. IV, n. 1050/1995, in Foro it., 1996/ III, 275; Trib. Pe- rugia 10 aprile 1996, in Giur. merito, 1996, 864; Cass., sez un., n. 7132/1998, in Giust.civ. Mass., 1998, 1563; Cass. n. 1855/1999, in Giu- st.civ. Mass., 1999, 495; Cass. n. 2836/2004, in Giust.civ. Mass., 2004, 2.
(5) Il termine deriva dal francese désport ed il suo significato corrente è
«Attività intesa a sviluppare le capacità fisiche ed insieme psichiche, e il complesso degli esercizi e delle manifestazioni, soprattutto agonistiche, in cui si realizza, praticati nel rispetto di regole codificate da appositi enti, sia per spirito competitivo, sia[…]per divertimento differenziandosi così dal gioco in senso proprio[…]senza quindi il carattere di necessità, di obbli- go[…]». Cfr. Vocabolario della lingua italiana, IV, Roma, 1994, 528.
(6) Il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, è la «confederazione» na- zionale delle Federazioni Sportive e delle Discipline Associate, avente personalità giuridica di diritto pubblico (art. 2, comma 1, D.Lgs. n. 242/1999, come modificato dal D.lgs. n. 15/2004). Esso costituisce diret- ta emanazione territoriale del C.I.O. (Comité International Olympique), or- ganizzazione non governativa creata da Xxxxxx xx Xxxxxxxxx a Parigi nel 1894, per far rinascere i Giochi Olimpici dell’Antica Grecia attraverso un evento sportivo quadriennale dove gli atleti di tutti i paesi potessero com- petere fra loro, con sede in Svizzera, a Losanna. Il C.O.N.I. oggi è presen- te in 102 Province e 19 Regioni, riconosce 43 Federazioni Sportive Na- zionali, 17 Discipline Associate, 17 Enti di Promozione Sportiva Nazio- nali e 1 territoriale, 18 Associazioni Benemerite. A questi organismi ade- riscono circa 65.000 società sportive per un totale di circa 8 milioni di tes- serati. (xxx.xxxx.xx).
(7) Cfr. X. Xxxxxxxxx, Xxxxxx, il calcio e il diritto comunitario, in Foro it., 1996, 3 ss.
(8) Cfr. X. Xxxxxx, X. De Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxx- xxxxx, X. Xxxxx, op. cit., 9 ss.
ra ordinaria o, in via residuale, a quella amministrativa (art. 3, legge cit.). La Costituzione italiana, inoltre, affer- mando la libertà d’associazione (art. 18 Cost.) e la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo anche nelle «formazioni sociali» (art. 2 Cost.), da ingresso al c.d. «principio plu- ralistico» (9) del diritto, riconoscendo l’autonomia delle formazioni sociali. In questo modo si è permesso di evi- denziare il carattere della relatività di ciascun ordina- mento rispetto all’altro, sottolineandone l’esclusività, ossia l’esigenza di avvalersi unicamente dei propri criteri valutativi fino ad estromettere i criteri eteronomi, an- corché dello Stato sovrano (salvo espresso richiamo) (10).
Prima della legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001, il fenomeno sportivo in generale non è mai stato esplicitamente contemplato all’interno della Costituzio- ne repubblicana, tuttavia, dall’esame del combinato di- sposto di cui agli artt. 2, 18 e 32 Cost., i diritti fonda- mentali ad esso inerenti, risultavano indirettamente contemplati e tutelati. Con la modifica del Titolo V del- la Costituzione, ad opera della legge di cui sopra, sono state elencate tutte le materie attribuite alla legislazione concorrente delle Regioni, compreso il riferimento all’«ordinamento sportivo» (art. 117, terzo comma, Co- st.). Pertanto, la potestà legislativa (11) in tema di «or- dinamento sportivo» è stata attribuita a due soggetti pubblici, rispettivamente lo Stato, per quanto concerne la determinazione dei principi fondamentali della mate- ria e le Regioni, relativamente alla potestà legislativa di dettaglio (12).
Tale attribuzione costituzionale di competenze, ha posto fortemente in dubbio le tesi avanzate da autore- vole dottrina (13), che (in mancanza di qualunque di- sposizione costituzionale direttamente contemplante lo sport), ha individuato, nell’ordinamento sportivo, i profili tipici e costitutivi dell’ordinamento giuridico, consistenti nella coesistenza di tre requisiti fondamen- tali: «la plurisoggettività, l’organizzazione e la norma- zione». In virtù dell’articolato normativo sopra richia- mato sembrerebbe, quindi, improprio considerare quello sportivo un ordinamento giuridico autonomo, visto che è proprio la Costituzione, all’art. 117, terzo comma, ad affidarne regolamento e disciplina alla potestà di sogget- ti pubblici, quali Stato e Regioni. L’ordinamento sporti- vo costituirebbe, piuttosto, un ordinamento settoriale nell’ambito del più generale ordinamento giuridico del- la Repubblica, ove allo Stato competerebbe la diretta ed imperativa regolamentazione degli aspetti dell’attività sportiva costituzionalmente rilevanti, residuando alle singole Federazioni sportive, affiliate al C.O.N.I. (co- munque soggetto pubblico), la definizione delle regole dell’organizzazione sportiva, in via generale direttamen- te ed in via particolare, oltre alla gestione della giustizia sportiva. (14)
Per quanto concerne l’inquadramento delle posizio- ni soggettive afferenti alle parti in causa, non essendoci alcun dubbio sull’inclusione del calciatore professionista
tra i soggetti sottoposti alle regole dell’ordinamento sportivo, qualche dubbio è stato sollevato dall’attore in merito alla posizione del procuratore sportivo (oggi agente dei calciatori). In particolare è stato sostenuto che al procuratore sportivo non sarebbe stata applicabi- le la L. 23 marzo 1981, n. 91, sia in quanto soggetto non rientrante nella categoria dello «sportivo professionista» (in base all’art. 2 della medesima legge), sia perché lavo- ratore autonomo e non subordinato. La tesi potrebbe avere una sua fondatezza se, oltre alla norma richiamata, ci limitassimo alla semplice lettura di quanto previsto dall’art. 36 delle N.O.I.F. (Norme Organizzative Interne della Federazione) ove sono elencati i soggetti tesserati F.I.G.C., ossia: i dirigenti federali, gli arbitri, i dirigenti e collaboratori nella gestione sportiva delle società, i tec- nici ed i calciatori. A questo punto, saremmo portati ad escludere gli agenti dal novero considerato.
La discussione circa la competenza o meno degli or- gani dell’ordinamento sportivo a giudicare sulle even- tuali violazioni di norme e regolamenti speciali commes- se da parte procuratori sportivi, è giunta all’attenzione della Corte Federale (15) che, con provvedimento del 16 maggio 2002, ha cassato una decisione della Com- missione Disciplinare (impugnata dal Procuratore fede- rale), con la quale si dichiarava l’inammissibilità del de- ferimento di un agente per carenza di giurisdizione, argo- mentando che la giurisdizione della Commissione Agenti dei Calciatori non è esclusiva, ma concorrente rispetto a quella degli altri organi della giustizia sportiva. In particolare, la C.A.F. ha ritentuo che gli agenti sareb- bero soggetti alla giurisdizione della Commissione Agenti soltanto nel caso in cui «si [rendano] responsabi- li di violazioni dei doveri strettamente inerenti all’esple-
Note:
(9) Cfr. anche X. Xxxxxxx, L’ordinamento giuridico del giuoco calcio, Roma, 2004, 26, ove si fa risalire all’opera di Xxxxx Xxxxxx: «L’ordinamento giu- ridico» del 1918, l’utilizzabilità della concezione pluralistica del diritto per la spiegazione del fenomeno sportivo. Infatti, secondo tale autorevole dottrina, la pluralità degli ordinamenti giuridici sarebbe il naturale corol- lario del concetto di ordinamento giuridico come «istituzione» e dell’in- contestabile presenza, all’interno dello Stato, di molteplici gruppi sociali qualificabili come «istituzioni».
(10) Cfr. A. Xx Xxxxxxxxx, Il contenzioso tra pari ordinati nella F.I.G.C., Xxx.xxx.xxxxx., 2000, 503-581.
(11) Cfr. X. Xxxxxx, X. De Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxx- xxxxx, X. Xxxxx, op. cit., 20.
(12) Ad esempio, nel Titolo II (Compiti e Finalità), dello Statuto della Regione Puglia, all’art. 12 è espressamente previsto l’impegno dell’Ente pubblico territoriale a sostenere, tra le altre discipline, anche lo sport.
(13) M.S. Xxxxxxxx, Prime osservazioni intorno agli ordinamenti giuridici sportivi, in Xxx.xxx.xxxxx., 1949, 10-28; M.S. Xxxxxxxx, Ancora sugli ordina- menti giuridici sportivi, in Xxx.xxx.xxxxx., 1996, 671-677; X. Xxxxxxxx, op. cit., 29-45.
(14) Cfr. X. Xxxxxx, X. De Xxxxxxxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx, X. Xxxx- xxxxx, X. Xxxxx, op. cit., 27-28.
(15) Organo della giustizia sportiva che, tra le competenze riservatele dal- l’art. 22 N.O.I.F. interpreta, altresì, le norme statutarie e regolamentari e giudica sulla legittimità delle norme federali in rapporto allo Statuto.
tamento professionale del mandato»; per ogni altro tipo di violazione, si applicherebbero le sanzioni previste dal Codice di Giustizia Sportiva. Con l’attribuzione di una giurisdizione speciale alla Commissione ed una residua- le-generale alla giustizia sportiva ordinaria, la Corte Fe- derale ha attribuito la «cittadinanza sportiva» anche agli Agenti dei calciatori. D’altro canto, anche se quello che in passato veniva chiamato procuratore sportivo, non poteva essere ricompreso stricto sensu nel novero dei tes- serati né, in genere, fra i soggetti dell’ordinamento fede- rale, egli vi rientrava lato sensu, in quanto comunque chiamato ad «osservare le norme federali» (art. 10, quar- to comma, abr. Regolamento dei procuratori sportivi), con rinvio a quanto previsto in proposito dal Codice di giustizia sportiva (16). Appare, quindi, corretto il ragio- namento seguito dal Tribunale di Udine in risposta alle eccezioni formulate in proposito dall’attore, secondo cui il L.S. avrebbe agito in veste di avvocato e non già di procuratore sportivo (sottraendosi, così, alle norme e re- golamenti dell’ordinamento sportivo), non rientrando nel novero degli «sportivi professionisti».
Infatti, rinviando a quanto sopra rassegnato in or- dine alle conclusioni raggiunte dagli organi di giustizia sportiva circa la soggezione del procuratore-agente al- l’ordinamento sportivo, nel caso di specie, l’avv. L.S., con la stipula del contratto di mandato, ebbe ad assu- mere un’obbligazione «sostanzialmente coincidente» con quella propria del procuratore. (art. 1, Reg. abr.), spingendo il giudice a parlare di «un’assoluta coinci- denza di contenuto tra l’attività professionale svolta dall’attore e quella propria del procuratore sportivo. Si è trattato infatti di un’attività di consulenza prestata ad un calciatore professionista che ha condotto alla conclusione, con società sportiva, di un contratto di prestazione sportiva, destinato ad operare, o meglio ad esplicare i suoi «effetti», nell’ambito dell’ordinamento sportivo, e quindi con uno scopo pratico identico a quello perseguito dai modelli predisposti dalla F.I.G.C.». Il Tribunale giudicante ha individuato il dato
«meramente formale», in base al quale, la semplice iscri- zione del legale nell’albo degli avvocati (17), avrebbe le- gittimato ex se l’applicazione delle regole proprie dell’or- dinamento sportivo. Tali regole, costituenti il «contrat- to normativo» (18) al quale spontaneamente si sotto- pongono i soggetti operanti in quell’ordinamento, porte- rebbero il procuratore-agente a godere di una «soggetti- vità riflessa» all’interno dell’ordinamento di settore, pur in mancanza di una sua espressa inclusione tra i veri e propri «tesserati federali».
Regolamento dell’attività di procuratore sportivo-agente dei calciatori.
Indagine conoscitiva dell’Antitrust (19)
Il Regolamento agenti attualmente vigente in Italia è stato adottato dalla F.I.G.C. il 22 novembre 2001. Al pari della F.I.F.A. (20), anche la F.I.G.C. rappresenta un’associazione d’imprese e, pertanto, il Regolamento
emanato da quest’ultima configura una decisione di as- sociazione di imprese, rilevante ai sensi dell’art. 2 della L.
n. 287/1990 e dell’art. 81 del Trattato. Ne consegue che le previsioni del Regolamento F.I.G.C. che esorbitano l’obiettivo di salvaguardare la regolarità delle competi- zioni, in quanto costituiscono lo strumento tramite il quale gli agenti italiani coordinano il loro comporta- mento sul mercato, sono suscettibili di essere sindacate a norma del diritto antitrust.
Si rileva, inoltre, che il Regolamento F.I.G.C., ben- ché consenta all’agente di organizzare la propria attività imprenditorialmente, prevede tuttavia che soltanto le persone fisiche possano assistere il calciatore. Alla luce di tali previsioni, gli agenti che si raggruppano in forma societaria sono comunque da considerare, ai fini antitru- st, come associazioni di imprese, le cui attività si presta- no ad essere valutate ai sensi delle previsioni sopra ri- chiamate. In Italia, il primo regolamento destinato a di- sciplinare l’attività degli attuali agenti di calciatori (ini- zialmente denominati procuratori sportivi) fu adottato nel 1989, mentre, in ambito F.I.F.A., un’omologa nor- mativa viene introdotta (21) solo nel 1996, attraverso la regolamentazione dei trasferimenti internazionali.
Allo stato, l’esercizio dell’attività degli agenti di cal- ciatori è disciplinata da due normative: un regolamento di fonte F.I.F.A., che stabilisce le guidelines a cui tutte le federazioni sportive nazionali devono attenersi, ed un re- golamento emanato in ambito nazionale dalla F.I.G.C., che contiene delle ulteriori previsioni, ancor più restrit- tive rispetto a quelle delineate dalla federazione interna- zionale. In ambito nazionale l’attività dell’agente di cal- ciatori gode di una tutela estremamente «pervasiva»
Note:
(16) TAR Toscana Firenze, sez. I, 13 maggio 1999, n. 293 (www.mondo- xxxxxx.xx).
(17) Per una completa disamina del problema legato alla contemporanea iscrizione di una soggetto all’albo degli avvocati ed a quello degli agenti dei calciatori e della valutazione in concreto del conflitto d’interessi, si rinvia a quanto scritto in X. Xxxxxxxx, Avvocato ed agente calcistico: in- compatibile la contemporanea iscrizione titolo, Nota al parere del C.N.F. del 5 ottobre 2005, in Riv. dir. econ. Sport, vol. I, 3, 2005 e Xxxxxxxxx, Osservazio- ni sul tema del conflitto di interessi, Xxxx, 0000.
(18) V. nota 1.
(19) Il documento è consultabile per intero sul sito xxx.xxxxxxx.xx/Xx- vernoInforma/Dossier/calcio_agcm/indagine.pdf.
(20) La Fédération Internationale de Football Association è stata costituita a Parigi il 21 maggio 1904, su iniziativa dei seguenti entiassociativi: Union des Sociétés Françaises de Sports Athlétiques USFSA (Francia); Union Belge des Sociétés de Sports UBSSA (Belgio); Dansk Boldspil Union DBU (Danimarca); Nederlandsche Voetbal Bond NVB (Paesi Bassi); Madrid Football Club (Spagna); Svenska Bollspells Förbundet SBF (Sve- zia); Association Suisse de Football ASF (Svizzera). Per una completa re- trospettiva sulla storia della FIFA, si rinvia al sito istituzionale www.fi- xx.xxx.
(21) Il primo regolamento sugli agenti fu adottato il 20 maggio 1994 dal- la FIFA, in seguito modificato l’11 dicembre 1995 ed entrato in vigore de- finitivamente il 1° gennaio 1996. Successivamente la FIFA adottava un nuovo regolamento per l’attività di Agente di calciatori, entrato in vigo- re il 1° marzo 2001, emendato il 3 aprile 2002.
(22), considerato che per poterla esercitare occorre aver conseguito una licenza rilasciata dalla F.I.G.C., con la conseguente impossibilità di esercitare tale professione per i soggetti non iscritti all’albo di cui all’art. 2, primo comma, lettera a) del regolamento agenti (ad eccezione di alcuni parenti e/o del calciatore e di coloro che eserci- tano la professione di avvocato), ma anche e soprattutto di una considerevole tutela di natura contrattuale nel- l’ambito del rapporto di mandato intercorrente con i calciatori, specificamente prevista dalle norme contenu- te nel citato regolamento federale.
Il Regolamento F.I.F.A. del 1996 ha formato ogget- to di un procedimento della Commissione europea a norma dell’art. 81 del Trattato, nel corso del quale la
F.I.F.A. ha modificato il Regolamento nella versione at- tualmente vigente. Per effetto di tali modifiche la Com- missione, in data 15 aprile 2002, ha archiviato il caso ri- tenendo che, in ragione dell’abrogazione da parte della FIFA delle disposizioni più restrittive del Regolamento, non sussistesse più un interesse comunitario sufficiente a dar seguito al procedimento. La decisione della Com- missione è stata impugnata dinanzi al Tribunale di prima istanza che, con sentenza del 26 gennaio 2005, pur riget- tando il ricorso, ha tuttavia respinto le argomentazioni della FIFA intese a negare la propria natura di associa- zione di imprese ex art. 81 del Trattato e la conseguente qualificazione del Regolamento sugli agenti come deci- sione di associazione di imprese ai sensi della medesima norma. Tale sentenza è stata, a sua volta, impugnata di- nanzi alla Corte di giustizia comunitaria che, con ordi- nanza del 23 febbraio 2006, ha ritenuto inammissibili o manifestamente infondate le questioni sottopostegli.
Con la sentenza del Tribunale di primo grado (c.d. sentenza Piau, causa T-193/02), i giudici comunitari hanno rilevato che gli agenti dei calciatori svolgono un’attività soltanto «periferica all’attività sportiva», qualificabile, pertanto, come «un’attività economica di prestazione di servizi e non … un’attività peculiare al mondo dello sport» (23). Ne discende che l’attività di tali soggetti rientra a pieno titolo nell’ambito di applica- zione del diritto della concorrenza e che, quindi, le rego- le che disciplinano tale attività devono risultare compa- tibili con i principi antitrust. In altri termini, le peculia- xxxx proprie del settore dello sport possono rilevare in ta- le ambito solo nella misura in cui l’attività degli agenti si presta ad interferire con principi e prassi prettamente sportive che, benché suscettibili di restringere la concor- renza, risultino necessarie a garantire il corretto ed equi- librato funzionamento delle competizioni sportive.
Si aggiunga che, nella medesima sentenza, il Tribu- nale di primo grado si è altresì interrogato sulla questio-
peculiarità del mondo dello sport, né la libertà di orga- nizzazione interna delle associazioni sportive, da parte di un organismo di diritto che non ha ricevuto nessuna de- lega in tal senso dall’autorità pubblica, come appunto è la FIFA, non può essere prima facie ritenuto compatibi- le con il diritto comunitario, visto che è questione se- gnatamente di rispettare libertà civili ed economiche». Ciò in quanto «una regolamentazione siffatta, che disci- plina un’attività economica toccando libertà fondamen- tali, compete in linea di principio alle autorità pubbli- che». Il Tribunale ha, tuttavia, osservato di non poter verificare la competenza normativa esercitata dalla
F.I.F.A. se non nei limiti in cui la stessa collide con le re- gole di concorrenza. Le considerazioni sul fondamento giuridico dell’esercizio di un’attività regolamentare da parte della F.I.F.A., «per quanto importanti», non pote- vano, infatti, formare oggetto di giudizio, atteso che il giudizio in esame verteva sulla legittimità di una decisio- ne adottata dalla Commissione in materia antitrust. Le perplessità sollevate dal giudice comunitario sul potere della F.I.F.A. a disciplinare un’attività economica, com’è quella degli agenti dei calciatori, si estendono, evidente- mente, anche alle Federazioni nazionali, ivi inclusa la F.I.G.C., la quale si è arrogata un potere normativo an- che più esteso di quello della F.I.F.A., determinando si- gnificative ingerenze nella libertà di scelta economica dei singoli agenti. In particolare, si registrano norme più pervasive sotto il profilo dell’accesso al mercato, delle modalità di offerta dei propri servizi, dei vincoli posti al- l’erogazione degli stessi. L’indagine svolta dall’AGCM (24), ha permesso di accertare come, a fronte di un ec- cesso di regolamentazione dei comportamenti economi- ci degli agenti, le norme del Regolamento F.I.G.C. che disciplinano i x.x. xxxxxxxxx di interessi in capo all’agente (che, in principio, dovrebbero essere preordinate ad xxx- xxxx che il soggetto su cui grava un siffatto conflitto pos- sa svolgere attività di assistenza del calciatore) risultino, invece, formulate in modo da consentire l’esercizio del- l’attività di agente di calciatori anche in presenza di si- tuazioni di conflitto di interessi. Per quanto concerne il profilo soggettivo dell’agente di calciatori, l’attuale rego- lamento F.I.G.C. in materia lo definisce come la «perso- na fisica che, avendo ricevuto a titolo oneroso l’incarico in conformità al (presente) regolamento, cura e pro- muove i rapporti tra un calciatore ed una società in vista della stipula di un contratto di prestazione sportiva, ov- vero tra due società per la conclusione del trasferimento o la cessione di contratto di un calciatore», specificando inoltre che «l’agente cura gli interessi del calciatore che gli conferisce l’incarico secondo le modalità indicate nel
ne della compatibilità con i principi di diritto comunita-
rio del potere normativo che si autoattribuisce un’orga- nizzazione privata come la F.I.F.A. (avente come scopo statutario preminente la promozione del calcio), rile- vando come «il principio medesimo della regolamenta- zione di un’attività economica non concernente né le
Note:
(22) n. 15477 del 24 maggio 2006 - Chiusura indagine conoscitiva.
(23) Cfr. sentenza del Tribunale di primo grado del 26 gennaio 2005,
Piau, causa T-193/02 (in GU C-219 del 14 settembre 2002).
(24) Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
(presente) regolamento, prestando opera di consulenza a favore dello stesso nelle trattative dirette alla stipula del contratto, assistendolo nell’attività diretta alla definizio- ne, alla durata, al compenso e ad ogni altra pattuizione del contratto di prestazione sportiva» (art. 3, secondo e terzo comma, reg. cit.). Nell’ipotesi in cui il conferimen- to dell’incarico provenga da una società sportiva, il cita- to regolamento prevede che l’agente svolga la sua atti- vità di assistenza «per favorire il tesseramento o la ces- sione di contratti di calciatori», anche in relazione ad
«uno o più affari determinati», purché tale attività non determini conflitto d’interesse con quella di agente di calciatori (art. 3, quarto comma, reg. cit.).
Sotto il profilo giuridico, pertanto, l’attività posta in essere dall’agente di calciatori non appare inquadrabile nella figura della mediazione di cui agli artt. 1754 ss. Co- dice civile, tenuto conto del fatto che il mediatore è de- finito come «colui che mette in relazione due o più par- ti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipen- denza o di rappresentanza» (art. 1754 Codice civile). Il mediatore, in sostanza, è un soggetto terzo e neutrale ri- spetto alle parti, che si limita a svolgere una funzione di mera intermediazione tra le stesse, senza tutelare la posi- zione dell’una o dell’altra e, per tale motivo, avendo di- ritto a ricevere la c.d. provvigione «da ciascuna delle parti, se l’affare è concluso per effetto del suo interven- to» (art. 1755, primo comma, Codice civile).
Diversamente dal mediatore, l’agente di calciatori svolge la sua attività nell’esclusivo interesse di una sola parte (un calciatore o una società di calcio) e, per tale motivo, ha diritto ad essere retribuito solamente dal sog- getto nel cui specifico interesse ha ottenuto e svolto il re- lativo incarico. Tale valutazione giuridica è ulteriormen- te confortata dal fatto che, nell’ipotesi in cui l’incarico in questione provenga da una società sportiva, il citato re- golamento consente all’agente di prestare la propria atti- vità di assistenza «per favorire il tesseramento o la ces- sione di contratti di calciatori», purché tale attività non determini conflitto d’interesse con quella di agente di calciatori (art. 3, quarto comma, reg. cit.); previsione, questa, espressamente ribadita anche dal Codice di con- dotta dell’agente di calciatori (che costituisce parte inte- grante del Regolamento agenti F.I.G.C.), in cui è evi- denziato che «l’agente deve evitare qualsiasi situazione in cui possa ravvisarsi un conflitto di interessi», con ciò escludendosi la possibilità per un agente di calciatori di rappresentare contemporaneamente e per il medesimo affare sia il calciatore che la controparte, ovvero la so- cietà sportiva. In tale contesto, l’attività svolta dall’a- gente di calciatori è pertanto sostanzialmente inquadra- bile nell’ambito di una prestazione d’opera professionale (art. 2229 Codice civile) basata su un mandato senza rappresentanza di carattere speciale (all’agente di calcia- tori, infatti, viene conferito dal calciatore-mandante il potere di agire per suo conto, ma non in suo nome, per il compimento di un determinato e specifico atto). Tale
attività è svolta nell’ambito di una specifica tutela rico- nosciuta dall’ordinamento sportivo, consistente nel fat- to che, per poter svolgere l’attività in questione, è co- munque necessario (fatte salve le eccezioni previste per gli avvocati e per i parenti o affini del calciatore ai sensi dell’art. 5, secondo comma, reg. cit.) essere iscritti al re- lativo albo (art. 5, primo comma, reg. cit.), dopo aver conseguito, previo superamento di una prova d’idoneità, l’apposita licenza rilasciata dalla Commissione agenti di calciatori istituita presso la FIGC.
Inoltre, l’attività posta in essere dall’agente di cal- ciatori è identificabile con una prestazione d’opera pro- fessionale di tipo personale non solo perché è incentra- ta sul carattere tecnico della prestazione nonché sulla totale discrezionalità ed autonomia dell’agente stesso nell’ambito del suo operato, ma anche perché, essendo basata su un conferimento di procura da parte del cal- ciatore secondo un atto conferito intuitus personae, non delegabile ad un altro agente, né più in generale a terzi o ad eventuali collaboratori. Infine, la natura di presta- zione d’opera professionale da parte dell’agente di cal- ciatori è ulteriormente avvalorata dal suo oggetto, co- stituito da un’obbligazione di mezzi e non di risultato: l’agente, infatti, non assume alcun obbligo giuridico ai fini della conclusione di un contratto con una specifica società di calcio ad una retribuzione predeterminata, potendo esclusivamente assicurare al soggetto che gli ha conferito l’incarico il conseguimento della stipula di un contratto di ingaggio con una società sportiva alla mas- sima retribuzione possibile. In questo senso, tuttavia, difformemente dalla disciplina civilistica in tema di mandato (art. 1722, n. 1, Codice civile), la definitiva stipula del contratto di ingaggio tra un calciatore e la so- cietà sportiva (il «compimento dell’affare» in tema di mandato) non comporta comunque il venir meno del- l’incarico affidato dal calciatore all’agente, incarico la cui durata massima è comunque stabilita in un biennio, rinnovabile per espressa volontà delle stesse parti (art. 10, secondo comma, reg. cit.). In conclusione, si può af- fermare che il rapporto giuridico conseguente all’incari- co affidato da un calciatore ad un agente sia inquadra- bile nella fattispecie del mandato senza rappresentanza, con la conseguenza che tale soggetto agisce per conto del proprio assistito, impegnandosi giuridicamente me- diante un’obbligazione di mezzi e non di risultato e svol- gendo la sua attività secondo le caratteristiche di una prestazione professionale di carattere fiduciario assimi- labile alla disciplina civilistica della prestazione di ope- ra intellettuale.
Per quanto concerne la definizione, sotto un profilo più strettamente concorrenziale, dell’attività dell’agente di calciatori è opportuno infine ricordare che, in occa- sione della citata sentenza Piau delle Comunità europee, il Tribunale di primo grado CE ha rilevato che «[…] l’at- tività di agente di giocatori consiste […] nel presentare dietro compenso e sulla base di regole fisse […] un cal- ciatore ad una società in vista di un impiego oppure […]
due società l’una all’altra in vista di concludere un con- tratto di trasferimento[…]».
Si tratterebbe, quindi, di un’attività economica di prestazione di servizi e non di un’attività peculiare al mondo dello sport nel senso definito dalla giurispruden- za (25). Riteniamo si possa sostenere la stessa conclusio- ne attraverso una lettura intermedia e meno tranchant. Così, se da un lato l’oggetto immediato dell’attività del procuratore-agente consiste nella cura degli interessi economici del calciatore, dall’altro comunque l’oggetto mediato non può prescindere dal sistema di regole pre- senti nell’ordinamento «di settore» all’interno del quale i negozi giuridici conclusi devo esplicare la loro efficacia. L’agente, quindi, non è sportivo in senso stretto, ma lato sensu, come sopra specificato.
I risvolti legati all’accesso alla professione ed ai pe- ricoli di eventuali intese restrittive della concorrenza o abusi di posizione dominate, hanno portato l’Autorità garante per la Concorrenza ed il Mercato ha deliberare (31 marzo 2005), ai sensi dell’art. 12, secondo comma, della L. n. 287/1990, ad avviare un’indagine conosciti- va sul calcio professionistico, con particolare riferi- mento alle previsioni normative e regolamentari di set- tore, all’individuazione dei mercati rilevanti, alla rile- vanza concorrenziale dei comportamenti tenuti dagli operatori attivi in tale settore. Obiettivo prioritario dell’indagine è consistito nella verifica della rispon- denza a criteri di proporzionalità delle regole che disci- plinano il settore. L’Autorità (26), già nel provvedi- mento d’avvio dell’indagine, aveva evidenziato come alcune anomalie nel funzionamento del settore del cal- cio professionistico risultassero in parte favorite da pre- visioni regolamentari di settore volte a disciplinare l’at- tività degli operatori attivi nel mondo del calcio pro- fessionistico. In particolare, si era rilevata la necessità di verificare l’esigenza e la proporzionalità delle regole adottate dalla F.I.G.C. per disciplinare l’attività d’agente di calciatori al fine di accertare se le previsioni contenu- te nel «Regolamento per l’esercizio dell’attività di agen- te di calciatori» si prestano ad incidere sulle dinamiche concorrenziali del settore, con riferimento sia al trasferi- mento dei calciatori che al più ampio contesto dell’an- damento delle competizioni calcistiche.
Le conclusioni raggiunte dall’A.G.C.M., sono rias- sumibili nei seguenti dieci punti (27):
9) Divieto per l’agente di rappresentare contempo- raneamente calciatori allenatori;
10) Eliminazione delle c.d. norme che «ingessano» il mercato.
In particolare l’ultimo punto elencato, si segnala per la sua particolare attualità, riferendosi ad una di quel- le situazione di mercato tristemente nota col termine
«calciopoli» caratterizzata, da un lato da una certa stabi- lità delle quote di mercato degli operatori e, dall’altro, dalla presenza, tra i primi di essi, di soggetti connotati da specifici rapporti di parentela con esponenti di rilievo di società di calcio professionistiche. Tale contesto è in lar- ga parte riconducibile sia a quelle disposizioni regola- mentari che rendono vischiose le dinamiche concorren- ziali tra i soggetti attivi sul mercato (quali la previsione di un sistema di doppia penale, l’obbligo di conferire l’in- carico in via esclusiva ad un solo agente, il divieto di contattare un calciatore per indurlo a cambiare agente), sia all’assenza di un esplicito divieto di esercitare l’atti- vità di agente da parte di quei soggetti che potrebbero beneficiare, rispetto ai concorrenti, di rapporti di paren- tela privilegiati con esponenti di società di calcio o fede- rali. Sulla base delle considerazioni svolte l’A.G.C.M., ritenendo che gli emendamenti prospettati possano contribuire a ripristinare le condizioni per un corretto funzionamento del mercato, ha auspicato che la F.I.G.C. si determini a modificare, in tempi brevi, il Regolamen- to sull’esercizio dell’attività degli agenti di calciatori nel senso indicato.
Il giudizio di meritevolezza degli interessi alla base della dichiarazione d’invalidità–inefficacia del contratto
di mandato. Motivi della decisione
Secondo il capoverso dell’art. 1322 Codice civile
«le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tu- tela secondo l’ordinamento giuridico».
La meritevolezza costituisce un limite all’autono- mia contrattuale: nel senso che il contratto deve avere un contenuto socialmente utile e verificabile. Su questo presupposto, autorevole dottrina (28) ha elaborato la nota tripartizione contrattuale all’interno della quale
1) Soppressione dell’albo degli agenti dei calciatori;
2) Limitazione delle esclusive riservate agli agenti dei calciatori;
3) Abolizione delle penali per la revoca del manda- to conferito all’agente;
4) Contratti meno vincolanti;
5) Abolizione delle clausole sulla scadenza dei con- tratti;
6) Maggiore libertà di scelta per i calciatori;
7) Aumentare le possibilità di confronti tra gli agenti;
8) Eliminazione dei conflitti d’interessi;
Note:
(25) Cfr. in merito, sentenze della Corte 14 luglio 1976, causa 13/1976, Donà, Racc., 1333, punti 14 e 15; 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bo- sman, Racc., I4921, punto 127; Xxxxxxx, Racc., I-2549, punti 64 e 69 e 13 aprile 2000, causa C-176/96, Xxxxxxxx e Castors Braine, Racc., I-2681, punti 53-60 (consultabili sul sito xxx.xxxxx.xxxxxx.xx).
(26) n. 14156 del 31 marzo 2005 - Apertura indagine conoscitiva (xxx.xxxx.xx).
(27) Per un’approfondita analisi delle risultanze, si rinvia al sito istituzio- nale dell’Autorità Antitrust (xxx.xxxx.xx).
(28) X. Xxxxx, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. Dir. civ. it., a cu- ra di X. Xxxxxxxx, Torino, 1952, 114 ss.
non è possibile riscontrare tale meritevolezza sociale. Al primo gruppo appartengono i contratti illeciti, ossia quelli riprovati dal diritto poiché adoperati per fini anti- sociali. Nel secondo gruppo rientrano i contratti illegali, ossia quelli sforniti dei requisiti prescritti dalla legge e quindi inidonei a produrre effetti giuridici, poiché viola- no un onere posto nell’interesse proprio delle parti (compravendita immobiliare conclusa oralmente). Infi- ne, sarebbero privi di meritevolezza sociale gli accordi ir- rilevanti, rispetto ai quali il diritto è indifferente, poiché inidonei a costituire un vincolo giuridicamente rilevan- te (prestazioni di cortesia). La sanzione prevista dall’or- dinamento per i primi due gruppi è la nullità (artt. 1418 e 1350 Codice civile), mentre per il terzo non si pone in radice un problema di rilevanza giuridica.
All’interno del noto dibattito sulla natura giuridica della causa che, secondo parte della dottrina consiste- rebbe nella funzione economico sociale del contratto (29), mentre, secondo l’orientamento che pare essere prevalente (30) e preferibile, nella funzione economico individuale (o causa concreta) dello stesso, alcuni autori
(31) si sono chiesti se «la definizione minima» di con- tratto potesse essere integrata da un elemento ulteriore, consistente nella corrispondenza della funzione del con- tratto all’«utile sociale». Generalmente si tende ad escludere tale soluzione, poiché il sindacato sulla merite- volezza dell’interesse perseguito potrebbe concretizzarsi nel rischio di attribuire al giudice scelte e valutazioni estranee al suo ruolo rientranti, piuttosto, nell’intima volontà delle parti. La questione è complessa, poiché at- tiene più ad argomenti di politica legislativa, che di stretto diritto. Infatti, l’introduzione nel Codice del 1942 della clausola generale contenuta nell’inciso di cui all’art. 1322, secondo comma, avvenne «sull’onda del modello germanico nazionalsocialista», al fine «di tra- sferire all’interno del sistema del diritto civile principi politici metalegali, elaborati dai rappresentanti del regi- me fascista» (32). Tale iniziativa di politica legislativa fu fortemente ostacolata dagli esponenti della scuola del formalismo concettuale e dai corifei del positivismo giu- ridico i quali, parlando di clausole generali in termini di
«festoni di poco gusto» (33), cercarono di comprimere (riuscendovi) la portata del giudizio di xxxxxxxxxxxxx, re- legandolo ai margini del processo interpretativo-qualifi- catorio della fattispecie giuridica atipica. Nella motiva- zione resa in sentenza, riteniamo di poter individuare quelli che, a nostro avviso, sono stati i passaggi decisivi che hanno portato il giudice a dare torto all’attore (il procuratore sportivo).
Ci riferiamo alla giurisprudenza di legittimità in te- ma di cessione del calciatore, richiamata nella motiva- zione (34). Secondo gli arresti della Suprema Corte (35), infatti, la conclusione del contratto di cessione in contrasto con le prescrizioni regolamentari, ne determi- na «l’invalidità e l’inoperatività» in relazione al disposto di cui all’art. 1322, secondo comma, Codice civile.
Nel solco di quanto sopra riferito, quindi, sembre-
rebbe possibile sostenere che la violazione delle norme dell’ordinamento giuridico di settore, poiché incide «ne- cessariamente» sulla funzionalità della causa del negozio giuridico «sportivo», renderebbe immeritevole (36) di tutela l’interesse perseguito dalle parti.
Applicando le conclusioni raggiunte dalla citata giurisprudenza al caso in rassegna vista, soprattutto, la spontanea adesione da parte dei soggetti in causa all’in- sieme delle norme e regolamenti vigenti all’interno del- l’ordinamento sportivo e rinviando a quanto già detto in merito alle funzione del c.d. «contratto normativo», il contratto di mandato stipulato tra l’avv. L.S. ed il calcia- tore S.A., secondo il Tribunale giudicante, non avrebbe rispettato le regole di «forma e sostanza» poste dall’ordi- namento sportivo a tutela dell’interesse «sportivamen- te» rilevante, risultando privo di giuridica efficacia per l’ordinamento federale (F.I.G.C.), senza possibilità di ri- correre all’inserimento automatico delle clausole del modello tipo (art. 9, sesto comma, reg. cit. abr.).
In un breve obiter, il Tribunale ha accennato (sen- za condividerne l’orientamento) a quella parte della dottrina (epigona di quella sopra richiamata) che, in te- ma di nullità del contratto, critica il ricorso al giudizio di meritevolezza. Il riferimento è alla tesi di Xxxxxxx (37), secondo il quale il giudizio di meritevolezza sarebbe inu- tile, poiché nessun giudice avrebbe mai sancito la nul- lità di un contratto per immeritevolezza di tutela, senza contare che dando al giudice il potere di effettuare un
Note:
(29) Per tutti X. Xxxxx, cit., 184 ss.
(30) Per tutti Gazzoni, cit., 788 .
(31) X. Xxxxxx, La disciplina della causa, in X. Xxxxxxxxx (cur.), I contratti in- generale, in Tratt. Xxxxx. Xxxxxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, 536 ss.
(32) X. Xxxxxxxxx, Meritevolezza dell’interesse e utilità sociale del contratto, Riv. dir. civ., 1994, II, 799 ss.
(33) L’annotazione è di Pugliese in Ann. dir. comp. XXIV, 1950, 177-178.
(34) Cass. 23 febbraio 2004, n. 3545; Cass. 28 luglio 1981, n. 4845; Cass. 5 gennaio 1994, n. 75, nota 4.
(35) Secondo quanto deciso in Cass. n. 3545/2004 «Le violazioni di nor- ma dell’ordinamento sportivo non possono non riflettersi sulla validità di un contratto concluso tra soggetti sottoposti alle regole del detto ordina- mento anche per l’ordinamento dello Stato, poiché se esse non ne deter- minano direttamente la nullità per violazione di norme imperative, inci- dono necessariamente sulla funzionalità del contratto medesimo, vale a dire sulla sua idoneità a realizzare un interesse meritevole di tutela secon- do l’ordinamento giuridico; non può infatti ritenersi idoneo sotto il profi- lo della meritevolezza della tutela dell’interesse perseguito dai contraenti, un contratto posto in essere in frode alle regole dell’ordinamento sporti- vo, e senza l’osservanza delle prescrizioni formali all’uopo richieste e, co- me tale inidoneo ad attuare la sua funzione proprio in quell’ordinamento sportivo nel quale detta funzione deve esplicarsi».
(36) Cfr. la distinzione tra interessi meritevoli ed immeritevoli di tutela
X. Xxxxxxxxxx, Titolarità giuridica e appartenenza economica: nozioni astrat- te e destinazioni specifiche per il Trustee, 2002, disponibile sul sito xxxx://xxx.xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxxxx/xxxxx_xxxxxxxxxx/xx- stantino1.htm#7.
(37) X. Xxxxxxx, Manuale di diritto privato, VI ed., Napoli, 1996, 770 ss., ove si analizza il giudizio di meritevolezza in relazione alla giuridicità del vincolo contrattuale ed alla c.d. funzionalizzazione degli interessi privati.
giudizio sulla meritevolezza degli interessi perseguiti, si coarterebbe la libertà individuale, piegandola agli inte- ressi pubblici. Secondo tale autore quindi, delle due una: o il contratto è socialmente inutile, ma lecito, e al- lora nessun giudice lo porrà mai nel nulla; oppure il contratto è dannoso, ma allora sarà nullo non perché immeritevole di tutela, bensì perché illecito ex art. 1343 Codice civile Xxxxxxx, in particolare, sostiene che il giu- dizio di meritevolezza «nulla [abbia] a che fare con la causa, ma [operi] a livello di tipo», poiché l’autore, insie- me alla prevalente dottrina (38) fa coincidere, sostan- zialmente, il giudizio di meritevolezza di cui all’art. 1322 Codice civile con l’accertamento della non contrarietà del negozio realizzato alla legge, all’ordine pubblico ed al buon costume. Dottrina prevalente e parte della giuri- sprudenza (39), quindi, concordano nel non attribuire al giudizio di non meritevolezza dell’interesse la rilevanza di causa di nullità del contratto, autonoma e distinta dal giudizio di illiceità.
Benché la soluzione alla critica di Xxxxxxx e degli autori che reputano il giudizio di meritevolezza «inutile» esuli dal presente commento non risultando essa, co- munque, assorbente rispetto alla questione affrontata dal Tribunale di Udine, basti qui ricordare che altra parte della giurisprudenza di legittimità (40) e di merito (41) hanno considerato non meritevoli di tutela quegli ac- cordi che perseguono interessi che non si prestino ad es- sere armonicamente integrati nella tavola di valori del- l’ordinamento, oppure che si traducano in un contratto
«inidoneo ad attuare la sua funzione proprio nell’ordina- mento sportivo» il tutto, però, sempre ragionando all’in- terno della cornice della nullità. Il giudice di Udine ha aderito a questa seconda lettura, interpretando concre- tamente quanto sottoposto alla sua attenzione. Parten- do dalla spontanea adesione delle parti alle regole di for- ma e sostanza del «contratto normativo» posto a presi- dio dell’attività negoziale all’interno dell’ordinamento di settore «calcio», ha ritenuto che quello concluso tra i soggetti dell’ordinamento di settore, sia stato un «con- tratto […] assolutamente privo di efficacia proprio nel- l’ordinamento sportivo, riconosciuto dall’ordinamento giuridico statale, ove è destinato ad esplicare i suoi ef- fetti». Giusto corollario di quest’affermazione è che non può essere meritevole di tutela nell’ordinamento statale ciò che non è efficace nell’ordinamento sportivo per i soggetti che, alle regole di quest’ultimo, spontaneamen- te hanno accettato di assoggettarsi. Inoltre, poiché il contratto concluso tra le parti avrebbe dovuto essere al- meno potenzialmente idoneo ad operare all’interno del- l’ordinamento sportivo considerato, il giudicante è arri- vato fino al punto di parlare di «impossibilità» giuridica della prestazione, avendo le parti concluso, a suo dire, un contratto con oggetto giuridicamente impossibile in quanto, pur non essendo illecito non sarebbe stato su- scettibile di tutela né all’interno dell’ordinamento di settore né, tantomeno in quello dello Stato.
Il giudice, in forza del sopra rassegnato ragionamen-
to, ha concluso dichiarando l’invalidità e l’inefficacia del contratto, il quale sarebbe stato «comunque» privo di ef- fetti anche nell’ordinamento statale. È questa la conclu- sione che critichiamo, poiché così facendo il Tribunale ha aderito (forse inconsapevolmente) alle conclusioni delle scuole di pensiero implicitamente criticate (quelle del formalismo concettuale e del positivismo legalista), secondo le quali è impensabile immaginare una dimen- sione che prescinda dall’equazione causa effetto. Egli, di- chiarando invalido ed inefficace ciò che in realtà non esiste da un punto di vista giuridico, non ha colto la con- clusione cui sarebbe giunto se avesse adottato il c.d. me- todo struttural-funzionalista. Proviamo a spiegare per- ché.
Conclusione - Ipotesi d’inesistenza del negozio concluso tra le parti
Le argomentazioni giuridiche elaborate dal Tribu- nale, nella decisione della causa in rassegna, sono sche- maticamente riassumibili nei seguenti passaggi:
1) Le parti in causa rientrano tra i soggetti ope- ranti all’interno dell’ordinamento sportivo(stricto sen- su il calciatore e lato sensu l’agente), con le conse- guenze legate al rispetto delle norme regolamentari ivi previste;
2) Secondo il costante orientamento della giuri- sprudenza di legittimità (42), i contratti conclusi da sog- getti sottoposti all’ordinamento giuridico sportivo, in violazione delle norme formali e sostanziali del medesi- mo, soggiacciono alla sanzione dell’«invalidità» ed
«inoperatività» ex art. 1322, secondo comma, Codice civile;
3) Nel caso de quo non opera il principio dell’inser- zione automatica delle clausole (43);
4) «[…]non può essere meritevole di tutela nell’or- dinamento statale ciò che non è efficace nell’ordina- mento sportivo per i soggetti che alle regole di quest’ul- timo hanno accettato di assoggettarsi.[…]Trattasi co- munque di un contratto invalido e comunque privo di effetti anche nell’ordinamento statale.[…]».
Note:
(38) Per maggiori approfondimenti, si rinvia a Xxxxxxxx, Il contratto atipi- co, Milano, 1981; G.B. Xxxxx, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1966, 406 ss.; Clarizia, Contratti innominati, Enc. Giur., III, Mila- no, 1988, 6 ss.; Xxxxxxxxx, Meritevolezza dell’interesse, Dig. civ., XI, 4a ed., 327 ss.; Xxxxx, Il contratto, Trattato di Diritto Privato - a cura di Iudica - Zatti, Milano, 2001, 424 ss.
(39) Cass. 13 maggio 1980, n. 3142, Rep. giur. it., 1980, voce Obbligazioni e contratti, 172; Cass. 10 febbraio 1970, n. 325, Rep. Foro it., 1970, voce Obbligazioni e contratti, 62.
(40) Vedi nota 4 e 34.
(41) App. Milano 29 dicembre 1970, in Foro pad., 1971, I, 277 ss.
(42) Cfr. nota 34 e 4.
(43) In relazione al combinato disposto di cui agli artt. 1339 Codice civi- le e 9, sesto comma dell’abrogato Regolamento dell’attività di procurato- re sportivo: «le clausole degli incarichi non conformi al presente Regola- mento, sono sostituite di diritto dalle clausole del modello tipo».
La conclusione di questo precorso ermeneutico, porta all’accertamento ed alla conseguente dichiarazio- ne d’invalidità ed inefficacia del contratto di mandato tra il calciatore ed il suo procuratore.
A nostro parere, utilizzando i termini generici ed ambigui di «invalidità» ed «inefficacia», iudex minus dixit quam voluit.
Se è vero che il presunto contratto di mandato tra procuratore e calciatore era privo di giuridica efficacia poiché avente ad oggetto interessi immeritevoli di tute- la sia nell’ordinamento sportivo (perché irrilevanti) che in quello statale (perché in contrasto col disposto ex art. 1322, secondo xxxxx, Codice civile), a nostro parere, sarebbe stato preferibile ritenere il contratto giuridica- mente inesistente.
In estrema sintesi, la nozione di negozio giuridico presuppone ed implica l’esistenza d’interessi socialmente ed economicamente apprezzabili secondo il diritto. Esso
«trova la sua pratica ragione di essere nell’esigenza di ri- conoscere e regolare il fenomeno dell’autonomia priva- ta» (44). Quest’ultima rappresenta un fenomeno sociale, consistente nell’attitudine dei privati a regolare da sé i propri interessi nel campo delle relazioni economico-so- ciali ed è tutelata legalmente solo ed in quanto riesca a perseguire «funzioni utili socialmente secondo l’ordine giuridico» (45).
Senza addentrarci troppo nella descrizione delle forme d’inefficacia del negozio giuridico (46), basti qui ricordare che l’inesistenza «è la forma più radicale d’i- nefficacia e logicamente la prima [giacché] il negozio [che] non esiste, non può nemmeno essere invalido o inefficace in senso stretto» (47). Se, da un lato, il nego- zio nullo, in taluni casi, qualche effetto lo produce (a ti- tolo di esempio si veda quanto previsto dall’art. 1424 Codice civile in tema di convalida del contratto nullo; dall’art. 1339 Codice civile che sostituisce le clausole difformi inserite dalle parti), perché un fatto giuridica- mente rilevante s’è comunque tradotto in un negozio che può acquisire in seguito giuridica rilevanza, dall’al- tro, la sua inesistenza (da noi letteralmente intesa come Nichtigkeit e non come semplice Unwirksamkeit) ne ini- bisce qualsiasi tipo di futura utilizzazione, poiché il suo non essere corrisponde a quella che autorevole dottrina
(48) avrebbe definito «irrilevanza» ed «inqualificazio- ne» per il diritto rappresentando, l’atto seguito al con- tatto sociale delle parti, un mero quid facti, ossia un atto in senso materiale e non formale.
In questo senso «il caso di nullità assoluta [leggi ine- sistenza] sta al di fuori del diritto» (49), poiché «non è pos- sibile considerare la nullità [idem] come qualità propria dell’atto giuridico, giacché compito del diritto è determi- nare le situazioni che trasformano in qualche modo i rap- porti giuridici, non quelle che li lasciano immobili e che, per definizione non hanno capacità di trasformarli» (50). Senza la pretesa di esaurire una tematica vasta come quella appena toccata, basti pensare al testamento orale,
c.d. «nuncupativo». Ebbene, la dottrina prevalente (51)
si è espressa, da un lato, per l’impossibilità di confermare le disposizioni di ultima volontà espresse in questa ma- niera e, dall’altro, per la conseguente inesistenza del ne- gozio giuridico (52). Tuttavia, l’eventuale conferma po- stuma fatta dagli aventi causa del de cuius, sarebbe atto diverso dal testamento orale, poiché necessiterebbe, per una sua giuridica esistenza, di una pronuncia giudiziale di accertamento, in modo da essere opponibile erga omnes. Questa costituirebbe il titolo di provenienza i base al quale l’avente causa si legittimerebbe al possesso, non certo l’inesistente testamento nuncupativo.
Tirando le fila del discorso fin qui sviluppato, è in- negabile come gli effetti dell’attività negoziale compiuta all’interno di un ordinamento di settore, come quello sportivo, producano effetti meritevoli di tutela all’inter- no dell’ordinamento sovraordinato a condizione che ri- spettino le norme regolamentari previste dal primo. La loro violazione, nel caso di specie, ha fatto sì che l’accor- do raggiunto dalle parti nel contratto di mandato fosse, piuttosto che invalido ed inefficace (come ritenuto ge- nericamente dal giudice), in realtà giuridicamente inesi- stente in quanto non sanabile facendo ricorso alla con- valida o all’inserzione automatica di clausole e, soprat- tutto, relegabile tra i meri fatti immeritevoli di tutela se- condo l’ordinamento giuridico in senso ampio (com- prensivo di quello statale e di settore).
A parere di chi scrive, il formante giurisprudenziale ha perso una buona occasione per affrontare, la questio- ne dell’inesistenza giuridica della fattispecie negoziale
«immeritevole» di tutela, soprattutto in considerazione della ragione pratica (propria del metodo struttural-fun- zionalista) per cui occorre distinguere fra gli accordi che non sono contratti (secondo quanto stabilito dall’art. 1322 Codice civile) e quelli che lo sono (salvo il caso di nullità vera e propria). Tra i due, infatti, soltanto ai pri- mi non va applicata la disciplina dei contratti nulli, la quale presuppone una certa rilevanza e positiva qualifi- cazione (negativa) dell’atto nullo, ma pur sempre esi- stente per il diritto.
Note:
(44) X. Xxxxxxxxxxxx, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1969, 110.
(45) X. Xxxxx, Sui principi generali del nuovo ordine giuridico, in Riv. dir. comm., 1940, I, 222.
(46) In proposito si rinvia alle pagine di X. Xxxxxxxxxxxx, Lezioni sul ne- gozio giuridico, Bari, 1962, 421 ss.
(47) X. Xxxxxxxxxxxx, op. cit., 424.
(48) B. De Xxxxxxxx, La nullità nella logica del diritto, Napoli, 1964, il qua- le affronta la ricostruzione della qualificazione giuridica del concetto di nullità, attraverso un’«analisi logica» del diritto.
(49) Xxxxxx, Teoria generale del diritto e dello stato (trad. Cotta e Treves), Milano, 1952, 164.
(50) Xxxxxxxxxxx, Xxx Xxxxx xxx Xxxxxx, Xxxxxxx, 0000, 17-18.
(51) Per tutti Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997, 243 ss.
(52) Cass. 11 luglio 1996, n. 6313, in Notariato, 1996, 509.
Rassegna di legittimità: i singoli contratti
Appalto
Cassazione Civile, sez. I, 12 aprile 2006, n. 8520
Pres. Xxxxxxx - Est. Salvato - P.M. Xxxxxxxx - Comune di Murisengo c. Impresa Xxxxxxx Xxxxxxxx
Appalto (contratto di) - Rovina e difetti di cose immobili (responsabilità del costruttore) - In genere - Responsabi- lità dell’appaltatore - Azioni ex art. 1669 Codice civile e ex art. 2043 Codice civile - Ammissibilità - Rapporto - Spe- cialità - Conseguenze - Diversità di regime probatorio
In tema di responsabilità dell’appaltatore per gravi difetti dell’opera, sono ammissibili, rispetto al medesimo even- to, sia l’azione prevista dall’art. 1669 Codice civile, che l’azione contemplata dall’art. 2043 Codice civile, norma ge- nerale sulla responsabilità per fatto illecito. L’azione ex art. 1669 Codice civile si pone in rapporto di specialità ri- spetto alla seconda, risultando questa esperibile quando in concreto la prima non lo sia, perciò anche nel caso di danno manifestatosi e prodottosi oltre il decennio dal compimento dell’opera. Pertanto, poiché nell’ipotesi di espe- rimento dell’azione ex art. 2043 Codice civile non opera il regime probatorio speciale di presunzione della respon- sabilità del costruttore, in tale caso, spetta a colui che agisce provare tutti gli elementi richiesti dalla norma ge- nerale, e, in particolare, anche la colpa del costruttore.
Cassazione Civile, sez. III, 6 aprile 2006, n. 8103
Pres. Xxxxxxx - Est. Fantacchiotti - P.M. Ceniccola - L.M. c. Comune di Xxxxxx Xxxxxxx (FR)
I.
Appalto (contratto di) - Garanzia - Per le difformità e vizi dell’opera - In genere - Inadempimento dell’appaltatore per mancata esecuzione od omesso completamento dell’opera - Applicabilità della disciplina ex artt. 1667 e 1668 Codi- ce civile - Esclusione - Responsabilità dell’appaltatore ex artt. 1453 e 1455 Codice civile - Configurabilità - Termine di prescrizione applicabile per il risarcimento del danno - Individuazione
II.
Appalto (contratto di) - Scioglimento del contratto - In genere - Inadempimento dell’appaltatore per mancata ese- cuzione od omesso completamento dell’opera - Applicabilità della disciplina ex artt. 1667 e 1668 Codice civile - Esclusione - Responsabilità dell’appaltatore ex artt. 1453 e 1455 Codice civile - Configurabilità - Termine di prescri- zione applicabile per il risarcimento del danno dipendente dall’inadempimento dell’appaltatore - Individuazione
La comune responsabilità dell’appaltatore, ai sensi degli artt. 1453 e 1455 Codice civile, non è esclusa dalle spe- ciali disposizioni contenute negli artt. 1667 e 1668 Codice civile, e non è da queste ultime disciplinata, perché es- se integrano (senza escluderla) l’applicazione dei principi generali in materia di inadempimento contrattuale, che rimangono perciò applicabili nei casi in cui l’opera non sia stata eseguita o non sia stata completata o quando l’ap- paltatore ha realizzato l’opera con ritardo o, pur avendo eseguito l’opera, si rifiuti di consegnarla. Pertanto, alla stregua di tale principio, diventa applicabile, per il diritto al risarcimento dei danni fondato sulla generale respon- sabilità dell’appaltatore per inadempimento, il termine di prescrizione in generale previsto per l’esercizio di que- sto diritto, piuttosto che il termine di due anni risultante dall’art. 1667 Codice civile.
Contratti di borsa
Cassazione Civile, sez. I, 7 aprile 2006, n. 8237
Pres. De Musis - Est. Ceccherini - P.M. Ceniccola - S.S. c. P.G.
Contratti di borsa - In genere - Contratti relativi ai servizi di intermediazione mobiliare - Forma scritta ex art. 6, L. n. 1 del 1991 - Ambito soggettivo di applicazione - Sole società di intermediazione mobiliare - Agenti di cambio - Ap- plicabilità - Esclusione - Questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 3 Cost. - Manifesta infondatezza
La previsione della forma scritta per i contratti relativi ai servizi di intermediazione mobiliare, contenuta nell’art. 6, comma primo, lett. c, della L. 2 gennaio 1991, n. 1 (applicabile nella specie ratione temporis), deve ritenersi ri- ferita alle sole società di intermediazione mobiliare, e non anche - stante il mancato richiamo del citato art. 6 nel- l’art. 19, comma primo, della medesima legge - agli agenti di cambio, in rapporto ai quali un requisito di forma scritta per i contratti in questione è stato introdotto solo con il X.Xxx. 23 luglio 1996, n. 415 (artt. 18 e 61). Tale assetto normativo manifestamente non si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., stante l’eterogeneità delle due figu- re soggettive e la libertà di scelta, accordata ai privati investitori - a fronte della prevista possibilità di prosecu- zione dell’attività da parte dei soli agenti di cambio in carica alla data di entrata in vigore della legge, nell’ottica di assicurare un graduale passaggio dal vecchio al nuovo sistema - di avvalersi delle prestazioni di intermediari di categorie diverse, con le distinte garanzie stabilite per ciascuna di esse.
Cassazione Civile, sez. I, 7 aprile 2006, n. 8229
Pres. Xxxxxxx - Est. Rordorf - P.M. Destro - Ing Group Società Sviluppo Investimenti SIM s.p.a. c. M.V.
Contratti di borsa - In genere - Attività di intermediazione mobiliare - Responsabilità solidale dell’intermediario - Ambito - Consegna da parte del cliente al promotore di somme di danaro con modalità difformi da quelle prescritte
- Indebita appropriazione di tali somme da parte del promotore - Interruzione del nesso di causalità - Concorso del fat- to colposo dell’investitore - Configurabilità - Esclusione - Fattispecie
In tema di intermediazione mobiliare, in ordine alla quale l’art. 5, quarto comma, della L. 2 gennaio 1991, n. 1 po- ne a carico dell’intermediario la responsabilità solidale per gli eventuali danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari, anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità accerta- ta in sede penale, la mera allegazione del fatto che il cliente abbia consegnato al promotore finanziario somme di denaro con modalità (nella specie, con assegni bancari al portatore) difformi da quelle con cui quest’ultimo sareb- be legittimato a riceverle, non vale, in caso di indebita appropriazione di dette somme da parte del promotore, ad interrompere il nesso di causalità esistente tra lo svolgimento dell’attività del promotore finanziario e la consu- mazione dell’illecito, e non preclude, pertanto, la possibilità di invocare la responsabilità solidale dell’intermedia- rio preponente. Né un tal fatto può essere addotto dall’intermediario come concausa del danno subito dall’investi- tore, in conseguenza dell’illecito consumato dal promotore, al fine di ridurre l’ammontare del risarcimento dovuto.
Deposito
Cassazione Civile, sez. III, 18 aprile 2006, n. 8934
Pres. Preden - Est. Travaglino - P.M. Schiavon - M.R. c. S.A.
Deposito (contratto di) - Obblighi del depositario - Custodia della cosa - Diligenza - Obbligo di custodia e di ricon- segna - Persona destinata alla restituzione della cosa - Prova della proprietà della cosa - Necessità - Esclusione
Soggetto attivo dell’obbligazione di restituzione insita nel contratto di deposito è il depositante, senza che il de- positario possa esigere la prova della proprietà della cosa depositata.
Cassazione Civile, sez. III, 12 aprile 2006, n. 8629
Pres. Xxxxxxxx - Est. Filadoro - P.M. Fuzio - Riunione Adriatica di Sicurtà s.p.a. c. Z.M.
Deposito (contratto di) - Obblighi del depositario - Custodia della cosa - Diligenza - Autoriparatore - Obbligo di cu- stodia e di riconsegna - Contratto misto - Sottrazione della cosa da parte di terzi - Onere della prova a carico del de- positario circa l’inevitabilità dell’evento - Sussistenza - Fattispecie
L’art. 1780 Codice civile trova integrale applicazione anche quando l’obbligazione della custodia e della riconse-
gna afferisca a un contratto misto, come nel caso del contratto concluso dall’autoriparatore. In caso di sottrazio- ne della cosa depositata, pertanto, il depositario, per ottenere la liberazione dalla propria obbligazione, è tenu- to a fornire la prova che l’inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile, non essendo sufficiente la pro- va di aver usato la diligenza del buon padre di famiglia. (Nella specie la S.C. ha confermato, correggendone la mo- tivazione, la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità dell’autoriparatore, in relazione al furto di un’auto d’epoca ricoverata nella sua officina, poiché egli aveva adottato misure tali da impedire, in via normale, la perpetrazione di furti, in quanto si era assicurato un servizio continuo di sorveglianza notturno con un istitu- to di vigilanza privata, aveva munito le finestre e la porta principale di saracinesche in ferro, munite di serrature laterali; inoltre ulteriori presidi erano stati ritenuti non esigibili in considerazione anche del modesto giro d’af- fari dell’autofficina).
Espromissione
Cassazione Civile, sez. III, 12 aprile 2006, n. 8622
Pres. Vittoria - Est. Talevi - P.M. Destro - Industria Casearia Xxxxxxxx Xxxxx & C. s.n.c. c. SAI - Società Assicu- ratrice Industriale s.p.a.
Obbligazioni in genere - Espromissione - In genere - Consenso del creditore - Esclusione - Perfezionamento dell’im- pegno dell’espromittente nei confronti del creditore - Momento della conoscenza da parte del creditore
Nel contratto di espromissione, l’impegno dell’espromittente si perfeziona nei confronti del creditore al momento in cui il creditore stesso venga a conoscenza di tale impegno, senza necessità di un atto di accettazione di que- st’ultimo.
Locazione
Cassazione Civile, sez. III, 28 aprile 2006, n. 9964
Pres. Xxxxxxxx - Est. Xxxxxxx - P.M. Golia - New Camp di Xxxxxxxxxx Xxxxxxx & C. s.a.s. c. M.C.
Locazione - In genere (nozione, caratteri, distinzioni) - Domanda del locatore nei confronti del conduttore - Deten- zione dell’immobile da parte di un terzo immessovi dal conduttore - Rilevanza preclusiva - Esclusione - Efficacia del- la sentenza di condanna nei confronti del terzo - Sussistenza - Rimedio a favore del terzo - Opposizione revocatoria - Terzo detentore in virtù di titolo autonomo - Rimedio a favore del terzo - Opposizione revocatoria
Il locatore può chiedere la risoluzione del contratto e la condanna al rilascio del bene nei confronti del conduttore anche nel caso in cui, al momento della proposizione della domanda, detto bene sia detenuto da un terzo, immes- sovi dal conduttore, perché la sentenza di condanna al rilascio ha effetto anche nei confronti del terzo, il cui xxxx- lo presuppone quello del conduttore. D’altro canto, il terzo detentore dell’immobile per il quale il locatore ha otte- nuto, nei confronti del conduttore, una sentenza di condanna al rilascio, può opporsi o all’esecuzione, ai sensi del- l’art. 615 Codice procedura civile, se sostiene di detenere l’immobile in virtù di un titolo autonomo e perciò non pregiudicato da detta sentenza; o ai sensi dell’art. 404, comma secondo, Codice procedura civile, se invece sostie- ne la derivazione del suo titolo da quello del conduttore, ed esser la sentenza frutto di collusione tra questi e il lo- catore, in suo danno.
Cassazione Civile, sez. III, 18 aprile 2006, n. 8942
Pres. Fiduccia - Est. Levi - P.M. Russo - S.M.A.E. s.r.l. c. Fondazione Enasarco
Locazione - Obbligazioni del locatore - Vizi della cosa locata - Nozione ai sensi dell’art. 1578 Codice civile - Guasti o deterioramenti della cosa dovuti per effetto di naturale usura - Riconducibilità a vizi della cosa - Esclusione - Fatti- specie
Costituiscono vizi della cosa locata, agli effetti di cui all’art. 1578 Codice civile, quelli che incidono sulla struttura
materiale della cosa, alterandone l’integrità in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento se- condo la destinazione contrattuale, anche se sono eliminabili e si manifestano successivamente alla conclusione del contratto. Pertanto, è da escludere che possano essere ricompresi tra i vizi della cosa locata quei guasti o de- terioramenti della stessa dovuti alla naturale usura, per effetto del tempo trascorso, ovvero ad accadimenti acci- dentali. (Nella specie, alla stregua del suddetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di appello con la qua- le era stato escluso che costituissero vizi della cosa locata, rilevanti ai sensi del richiamato art. 1578 Codice civi- le, con i relativi rimedi, quelli riguardanti il cattivo funzionamento degli scarichi e la difettosa tenuta dei pluviali e delle tubazioni idriche).
Cassazione Civile, sez. III, 11 aprile 2006, n. 8418
Pres. Fiduccia - Est. Levi - P.M. Xxxxxxxxxx - R.D.T.G. c. P.T.
Locazione - Obbligazioni del conduttore - Corrispettivo (canone) - In genere - Morosità - Importanza e gravità del- l’inadempimento - Accertamento - Criteri - Individuazione - Disciplina prevista dagli artt. 5 e 55 della L. n. 392 del 1978 - Applicabilità - Risoluzione del contratto - Ulteriore condizione della colpevolezza dell’inadempimento - Ne- cessità - Fattispecie
A seguito dell’entrata in vigore della L. 27 luglio 1978, n. 392, la valutazione, quanto al pagamento del xxxx- ne, della gravità e dell’importanza dell’inadempimento del conduttore in relazione all’interesse del locatore in- soddisfatto, non è più rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice, ma è predeterminata legalmente mediante previsione di un parametro ancorato - ai sensi degli artt. 5 e 55 della stessa legge (non abrogati dal- la successiva L. 9 dicembre 1998, n. 431) - a due elementi: l’uno di ordine quantitativo afferente al mancato pagamento di una sola rata del canone o all’omesso pagamento degli oneri accessori per un importo superio- re a due mensilità del canone; l’altro di ordine temporale relativo al ritardo consentito o tollerato, fermo re- stando, tuttavia, ai fini della declaratoria di risoluzione del contratto, il concorso dell’elemento soggettivo del- l’inadempimento costituito dall’imputabilità della «mora debendi» a dolo o colpa grave del debitore. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato principio, ha confermato la sentenza impugnata con la quale era sta- ta esclusa la sussistenza del dolo o della colpa a carico del conduttore, ravvisandosi nel comportamento di que- st’ultimo un’offerta non formale della prestazione, avendo provveduto al pagamento del canone con vaglia po- stale secondo gli accordi, rilevando la correttezza della motivazione con la quale il giudice di merito - con un congruo accertamento di fatto - aveva valutato, ai fini della mancanza del dolo e della colpa, le dichiarazioni dell’ufficiale postale prodotte agli atti, per cui la presunzione di colpa risultava stata superata dalla prova con- traria).
Cassazione Civile, sez. III, 11 aprile 2006, n. 8411
Pres. Xxxxxxxx - Est. Fantacchiotti - P.M. Xxxxxxxxx - Fallimento Restaurant s.r.l. n. (omissis) c. Dopolavoro Ist Superiore Sanità
Locazione - Affitto - Locatore - In genere - Natura giuridica del rapporto di locazione - Carattere personale - Confi- gurabilità - Conseguente individuazione della legittimazione a concedere il bene in locazione - Presupposti - Dispo- nibilità di fatto del bene in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico - Sufficienza - Riconoscibilità del- la legittimazione in capo al detentore di fatto che abbia acquisito la disponibilità del bene lecitamente e al possesso- re legittimo - Sussistenza
Il rapporto che nasce dal contratto di locazione e che si instaura tra locatore e conduttore ha natura personale, con la conseguenza che chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di or- dine pubblico, può validamente concederlo in locazione, onde la relativa legittimazione è riconoscibile anche in ca- po al detentore di fatto, a meno che la detenzione non sia stata acquistata illecitamente e, a maggiore ragione, de- ve considerarsi valido e vincolante anche il contratto stipulato tra chi, acquistato il possesso (o la detenzione) sul- la scorta di un valido ed efficace titolo giuridico, abbia conservato tale possesso, non opponendosi il proprietario, dopo la scadenza dell’efficacia di tale titolo.
Trasporto
Cassazione Civile, sez. III, 21 aprile 2006, n. 9360 Pres. Preden - Est. Fico - P.M. Xxxxxxx - A.V. c. L.F.
Trasporti - Contratto di viaggio turistico - In genere - Disciplina del contratto di viaggio - Fattispecie disciplinata dal- la Convenzione di Bruxelles 23 aprile 1970, ratificata con L. n. 1084/1977 - Intermediario di viaggio - Qualità risul- tante dai documenti di viaggio - Necessità - Difetto - Responsabilità quale organizzatore del viaggio - Sussistenza - Onere della prova
Ai sensi dell’art. 19, secondo comma, della Convenzione Internazionale di Bruxelles 23 aprile 1970 relativa al con- tratto di viaggio, ratificata e resa esecutiva in Italia dalla L. 27 dicembre 1977, n. 1084, l’intermediario di viaggio che non faccia constatare dai documenti di viaggio tale sua qualità, è considerato organizzatore del viaggio e ri- sponde verso il viaggiatore come quest’ultimo. Ne consegue che spetta all’agente di viaggio, che intenda vincere la presunzione posta dalla norma, provare di avere consegnato al viaggiatore i documenti contenenti l’espressa di- chiarazione che egli agisce quale intermediario, e non al viaggiatore fornire la prova del contrario.
Vendita
Cassazione Civile, sez. II, 20 aprile 2006, n. 9253
Pres. Spadone - Est. Xxxxxxxxx - P.M. Apice - D.A. x. X.X.X.
Vendita - Obbligazioni del venditore - Consegna della cosa - Cosa diversa dalla pattuita («aliud pro alio») - In gene- re - Vendita di immobile destinato ad abitazione - Licenza di abitabilità - Funzione - Mancato rilascio - Certificato per destinazione ad uso ufficio - Equivalenza a quello per uso abitazione - Esclusione - Fondamento - Conseguenze - Ina- dempimento del venditore - Configurabilità - Conseguenze
Nella vendita di immobili destinati ad abitazione, la licenza di abitabilità è un elemento che caratterizza il bene in relazione alla sua capacità di assolvere una determinata funzione economico-sociale e, quindi, di soddisfare i con- creti bisogni che hanno indotto il compratore ad effettuare l’acquisto, sicché deve escludersi che il certificato per la destinazione dell’immobile ad uso ufficio possa equivalere a quello per la destinazione ad uso abitazione;per- tanto,la mancata consegna del certificato di abitabilità implica un inadempimento che, sebbene non sia tale da da- re necessariamente luogo a risoluzione del contratto, può comunque essere fonte di un danno risarcibile, configu- rabile anche nel solo fatto di aver ricevuto un bene che presenta problemi di commerciabilità, essendo al riguardo irrilevante la concreta utilizzazione ad uso abitativo da parte dei precedenti proprietari.
Cassazione Civile, sez. II, 12 aprile 2006, n. 8555
Pres. Corona - Est. Trecapelli - P.M. Xxxxxxxxx - V.G. c. C.L.
Mediazione - Provvigione - Spettanza - Condizioni - Conclusione dell’affare - Nozione - Contratto preliminare di vendita di cosa altrui - Inclusione
In tema di mediazione, poiché, ai sensi dell’art. 1755 Codice civile, per atto conclusivo dell’affare deve intendersi qualsiasi operazione che comporti un’utilità economica, spetta la provvigione al mediatore se, per effetto del suo intervento, le parti abbiano stipulato un contratto preliminare di vendita di cosa altrui, che non è nullo né annul- labile, ma fa sorgere a carico del promittente venditore l’obbligo di acquistare dal proprietario il bene,al fine i ri- trasferirlo al promissario acquirente.
Rassegna di merito
Sentenze esposte da Xxxxxxx Xxxxx
APPALTO
Tribunale di Roma - sez. II - Sentenza dell’1 settembre 2006 - est. Xxxxxxxx - Banca d’Italia (avv. Ceci e Ga- lanti) x. Xxxxxxx s.r.l. (avv. Xxxxxxx) ed altri.
I.
Appalto - Di opere pubbliche - Recesso del committen- te - Effetti sul mandato stipulato dalle imprese riunite in ATI - Estinzione - Esclusione
II.
Appalto - Di opere pubbliche - ATI verticale - Conse- guenze - Pagamento del corrispettivo nelle mani non della capogruppo, ma delle singole imprese - Effetti - Fat- tispecie
III.
Appalto - Di opere pubbliche - ATI verticale - Paga- mento del corrispettivo alle singole imprese - Opposizio- ne della capogruppo - Conseguenze - Efficacia liberato- ria - Esclusione
I.
In tema di appalto di opere pubbliche, il recesso unila- terale dell’amministrazione committente non compor- ta ipso iure lo scioglimento dell’ATI appaltatrice, sino a quando non siano definiti tutti i rapporti pendenti tra le parti del contratto di appalto.
II.
La prassi adottata dall’ente appaltatore, e consistente nel pagare gli stati di avanzamenti dei lavori non già al- la sola impresa mandataria dell’ATI, così come pre- scritto nel contratto di appalto, ma pro quota a ciascu- na delle imprese costituenti l’ATI, secondo i lavori ri- spettivamente eseguiti, non vale di per sé a trasforma- re una ATI «orizzontale» (nella quale tutte le imprese associate rispondono in solido verso il committente) in una ATI «verticale», nella quale ogni impresa rispon- de soltanto per i lavori direttamente eseguiti, sempre che a tali pagamenti pro quota siano avvenuti senza op- posizione da parte della impresa capogruppo.
III.
Quando il contratto di appalto di opere pubbliche sia stato stipulato con una ATI, il committente non è li- berato se, senza il consenso dell’impresa capogruppo- mandataria, esegue il pagamento del corrispettivo di-
rettamente nelle mani delle imprese partecipanti al- l’ATI.
Il fatto
La Banca d’Italia affidava un appalto ad una Associaizo- ne Temporanea di Imprese (ATI). Nel relativo contrat- to si prevedeva che tutti i rapporti con la committente sarebbero stati intrattenuti da una impresa capogruppo, cui le altre imprese associate conferivano all’uopo appo- sito mandato. Xxxxxxxx tuttavia che, durante l’esecu- zione del rapporto, col consenso della impresa capogrup- po l’ente appaltante fatturava e pagava alcune tranches di lavori direttamente alle imprese associate. Tale prassi proseguiva anche dopo che l’impresa capogruppo revo- cava il proprio consenso, e pretendeva che il corrispetti- vo fosse versato direttamente ed unicamente ad essa.
In conseguenza di tali fatti, l’impresa capogruppo chie- deva ed otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti della Banca d’Italia, avente ad oggetto il pagamento dei corrispettivi d’appalto che erano già stati pagati nelle mani delle singole imprese associate, sul presupposto che tale pagamento non avrebbe avuto efficacia liberatoria. Il tribunale, investito dell’opposizione proposta dalla committente, ha ritenuto l’efficacia liberatoria dei paga- menti alle singole imprese effettuati col consenso del- l’impresa capogruppo, non liberatori per contro i paga- menti eseguiti alle singole imprese nonostante l’opposi- zione della capogruppo.
Le ragioni della decisione. La Banca opponente, tra i va- ri motivi di opposizione, aveva addotto che, per effetto del proprio recesso unilaterale dal contratto di appalto, e conseguente scioglimento di quest’ultimo, si era ipso iure risolto anche il contratto di mandato stipulato tra le im- prese associate all’ATI e la capogruppo. Di conseguenza, non sussistendo più alcuna ATI a far data dal recesso del- la committente, quest’ultima non aveva alcun obbligo di pagare il residuo corrispettivo unicamente nelle mani della capogruppo.
Questa allegazione non è stata condivisa dal tribunale, il quale ha ritenuto che la risoluzione del contratto di ap- palto non determina l’estinzione del rapporto di manda- to speciale, stipulato tra le imprese aderenti all’ATI, per tre ragioni:
a) perché non c’è tra il contratto d’appalto e il contratto di mandato alcun nesso di interdipendenza, tale da con- figurare il secondo come «contratto derivato» dell’appalto (il committente infatti con la stipula/risoluzione del contratto d’appalto non dispone dello stesso diritto che è oggetto del mandato;
b) perché è irrilevante, ai fini della automatica estinzio- ne del mandato, il collegamento genetico-funzionale tra i due contratti. Infatti il mandato ex lege, gratuito ed ir- revocabile (ex artt. 20, comma primo e 22, L. n. 584/1977, successivamente trasfuso dapprima nell’art. 23, comma 8, D.Lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, e quindi negli artt. 10, comma 1, lettera d), e 13, L. 11 febbraio 1994, n. 109) legittima in via esclusiva la impresa man- dataria ad agire e resistere in giudizio in nome e per con- to delle imprese mandanti «anche dopo il collaudo, e fi- no ad estinzione di ogni rapporto» (art. 23, comma 9, D.Lgs. n. 406/1991), con la conseguenza che ricadono sotto la previsione di legge anche le azioni restitutorie e risarcitorie derivanti dalla risoluzione del contratto di appalto in quanto diritti patrimoniali che trovano fonte direttamente nelle vicende dello stesso rapporto d’appal- to di oo.pp.;
c) perché, pur apparendo ammissibile la revoca del man- dato «irrevocabile e conferito anche nell’interesse del mandatario», in presenza di una «giusta causa» ex art. 1723, comma 1 e 2 Codice civile, tale atto tuttavia può spiegare effetti esclusivamente nei rapporti interni tra impresa mandante e mandataria, mentre resta del tutto irrilevante nei confronti dell’ente appaltante.
Accertata dunque la permanenza dell’ATI anche dopo la risoluzione unilaterale del contratto di appalto disposta dalla Banca di Italia, il tribunale è passato ad esaminare il proprium della vicenda, e cioè se il pagamento del corri- spettivo d’appalto, effettuato dalla committente diretta- mente nelle mani delle singole imprese associate invece che della capogruppo, aveva avuto efficacia liberatoria. Al riguardo, dopo avere premesso che nel caso di specie ci si trovava dinanzi sicuramente ad una ATI «verticale» (nella quale i rapporti tra la committente e le appaltatri- ci avvenivano per il tramite della sola capogruppo), il giudicante ha osservato che la richiesta inviata dalla ca- pogruppo alla committente, ed avente ad oggetto la ri- chiesta di «contabilizzare e fatturare le opere nell’ambito della competenza di ciascuna delle imprese» associate non poteva valere a trasformare una ATI verticale in orizzontale, ma costituiva una mera «prassi agevolativa» di attuazione del rapporto, che le parti sono sempre libe- re di concordare anche nel corso della fase di esecuzione (come ad es. nel caso in cui concordino di effettuare i pa- gamenti anziché con rimessa diretta, tramite accredito o bonifico bancario).
Tale prassi - prosegue la sentenza -, seguita dall’ente committente su espressa richiesta della capogruppo e con l’assenso della mandante, aveva comportato la libe- razione della committente, in ossequio al principio di buona fede che presiede anche alla fase esecutiva dei contratti e soprattutto alla espressa indicazione da parte del creditore (la società capogruppo) della impresa man- xxxxx quale soggetto autorizzato a ricevere direttamente il pagamento, ex art. 1188 Codice civile.
A diversa conclusione il tribunale è invece pervenuto con riferimento ai pagamenti effettuati dalla commit-
tente dopo che l’impresa capogruppo, re xxxxxx perpensa, aveva manifestato la propria opposizione alla prosecuzio- ne della prassi di pagare gli stati di avanzamento dei la- vori direttamente alle imprese che avevano eseguito le opere. Tale contestazione - secondo il tribunale - costi- tuiva infatti una revoca della indicazione di pagamento ex art. 1188 Codice civile: con la conseguenza che, ripri- stinata la esclusiva legittimazione della società capo- gruppo a riscuotere le somme, la Banca d’Italia, corri- spondendo direttamente alle imprese dell’ATI gli accon- ti pro quota ha eseguito un pagamento privo di efficacia liberatoria nei confronti del soggetto titolare del credito (e cioè la capogruppo).
Né varrebbe obiettare - si precisa in sentenza - che l’im- presa associata, in quanto mandante della capogruppo, poteva comunque esigere personalmente il pagamento. Ed infatti la norme sull’ATI derogano ai princìpi genera- li in tema di mandato, in quanto l’impresa capogruppo per volontà di legge ha una legittimazione sostanziale e processuale «esclusiva»: e cioè è l’unica titolare dei pote- ri di disposizione dei diritti patrimoniali derivanti dal contratto di appalto e rimane, quindi, impedito un in- tervento delle società mandanti volto a recuperare l’e- sercizio diretto di tali poteri con effetto nei confronti del committente.
Se è indubbio che la costituzione dell’ATI non dà luogo alla nascita di un nuovo soggetto giuridico (autonomo rispetto alle singole società associate), è altresì inconte- stabile che la speciale disciplina normativa degli appalti pubblici volta a regolare i rapporti tra l’ATI e l’ente com- mittente ha voluto atteggiarli proprio «come» rapporti intersoggettivi, individuando la capogruppo-mandataria (anche in funzione di una maggiore trasparenza e corret- ta tenuta della contabilità pubblica) quale esclusiva tito- lare del credito al corrispettivo contrattuale e negando in tal modo ingresso alla instaurazione di rapporti diretti tra l’ente-committente e le singole società che compon- gono l’ATI.
Ne consegue che, nel caso di specie, ai fini dell’accerta- mento della esatta esecuzione della prestazione dovuta dalla stazione appaltate debbono ritenersi del tutto irri- levanti i rapporti interni tra le società associate concer- nenti la ripartizione del corrispettivo (rapporti peraltro non meglio conosciti e definiti), occorrendo soltanto ve- rificare se la stazione appaltante abbia eseguito corretta- mente (idest con efficacia liberatoria) il pagamento in fa- vore della capogruppo-mandataria ovvero in favore di altro soggetto da quella indicato o delegato a ricevere il pagamento.
Orbene, una volta intervenuta la revoca della disposizio- ne di pagamento ripartito tra le società del gruppo, ne consegue inevitabilmente che l’unico soggetto legitti- mato - per legge - a ricevere i corrispettivi d’appalto era la società mandataria: il pagamento (parziale) del credi- to effettuato a soggetto diverso dalla mandataria integra, quindi, inadempimento dell’obbligazione in difetto di ratifica od approfittamento da parte della capogruppo.
I precedenti
Sulla prima massima non consta alcun precedente edito. Il tribunale è pervenuto alla propria conclusio- ne escludendo che tra contratto di appalto e contrat- to di ATI esista un collegamento genetico o funzio- nale. Ciò in quanto è pacifico, nella giurisprudenza più recente, che nel caso di collegamento negoziale le cause di nullità, annullabilità o risoluzione che do- vessero infirmare uno dei contratti si estendono an- che a quelli ad esso collegati (Cass., sez. III, 8 marzo 2005, n. 5003, in Giur. it., 2005, 1852; Cass., sez. III,
19 dicembre 2003, n. 19556, in Foro it., 2004, I, 718). Particolarmente significativa, a tal fine, è la decisio- ne resa da Xxxx., sez. II, 28 giugno 2001, n. 8844, in Giust. civ., 2002, I, 113, secondo cui il «contratto collegato» non è un tipo particolare di contratto, ma uno strumento di regolamento degli interessi econo- mici delle parti, caratterizzato dal fatto che le vicen- de che investono un contratto (invalidità, ineffica- cia, risoluzione ecc.) possono ripercuotersi sull’altro, seppure non in funzione di condizionamento recipro- co (ben potendo accadere che uno soltanto dei con- tratti sia subordinato all’altro, e non anche vicever- sa) e non necessariamente in rapporto di principale ed accessorio.
Anche la seconda e la terza delle massime di cui in epi- grafe, tra loro strettamente connesse, non fanno registra- re precedenti editi su fattispecie analoga.
Per l’affermazione di una identica regula iuris si veda tut- tavia App. Torino, 8 febbraio 2000, in Giur. it., 2000, 1872, con nota di Xxxxxx Xxxxxxxxxxxx, secondo cui non è configurabile direttamente in capo all’impresa associa- ta nel raggruppamento temporaneo ex L. n. 584/1977 al- cun diritto di credito verso il committente al pagamento del corrispettivo dell’appalto (per i lavori eseguiti da det- ta impresa), credito di cui è invece titolare la capogrup- po mandataria, in quanto la normativa in tema di appal- ti pubblici configura un mandato collettivo speciale con rappresentanza al quale solo in parte si applica la disci- plina civilistica, con la conseguenza che la capogruppo mandataria è l’unico interlocutore dell’ente appaltante ed alle imprese mandanti è vietato intromettersi nei lo- ro rapporti.
Assolutamente pacifico, per contro, è il principio se- condo cui nell’appalto di opere pubbliche gli atti e le dichiarazioni negoziali di esecuzione del rapporto pos- sono essere validamente compiuti solo dalla impresa mandataria, essendo essa l’unico interlocutore dell’en- te appaltante ed essendo vietato alle imprese mandan- ti intromettersi nei loro rapporti. Così, secondo Xxxx., sez. III, 17 settembre 2005, n. 18441, in Rep. Foro it., 2005, Opere pubbliche, n. 495, l’associazione tempora- nea di due o più imprese nell’aggiudicazione ed esecu- zione di un contratto di appalto di opere pubbliche è fondata su di un rapporto di mandato con rappresen- tanza, gratuito ed irrevocabile, conferito da una o più imprese, collettivamente, ad altra impresa «capogrup-
po», la quale è legittimata a compiere, nei soli rapporti con l’amministrazione, ogni attività giuridica connessa o dipendente dall’appalto e produttiva di effetti giuri- dici direttamente nei confronti delle imprese mandan- ti sino all’estinzione del rapporto, mentre nei rapporti con i terzi gli effetti degli atti giuridici posti in essere dalla mandataria senza la spendita del nome della man- xxxxx non possono ricadere nella sfera giuridica di que- st’ultima. Da ciò consegue, tra l’altro, che il solo sog- getto legittimato a stare in giudizio dal lato attivo pure per le associate, per i giudizi derivanti dagli appalti con- clusi dalle associazioni temporanee di imprese, è la so- cietà capogruppo, in qualità anche di rappresentante delle imprese associate, che non sono, quindi, terze nel rapporto processuale - nel quale le loro posizioni so- stanziali devono essere gestite, per legge, esclusivamen- te dalla loro gruppo mandataria - con conseguente ca- renza, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, della legittimazione delle imprese stesse ad intervenire nel giudizio promosso dalla capogruppo (Cass., sez. I, 30 agosto 2004, n. 17411, in Rep. Foro it., 2004, Opere pubbliche, n. 474).
Per la giurisprudenza amministrativa, nello stesso senso, si vedano ex multis TAR Lazio, sez. I, 16 giugno 2004, n. 5859, in Arch. giur. oo. pp., 2004, 1396.
Tribunale di Marsala - Sez. Civile - Sentenza del 12 di- cembre 2005 - est. Goggi - N.A. soc. coop. a r.l. (avv. Castelli) c. D.C. s.r.l. (avv. Di Bartolo)
I.
Appalto - Obbligazione dell’appaltatore - Ritardo nell’e- secuzione dei lavori - Difficoltà di accesso al cantiere o di approvvigionamento delle materie prime - Rilevanza - Esclusione - Fattispecie
II.
Appalto - Obbligazioni dell’appaltatore - Recata dall’e- secuzione dell’opera da parte del subappaltatore - Rile- vanza - Esclusione
III.
Appalto - Clausola penale - Risoluzione del contratto - Esecuzione dell’opera da parte di diversa impresa - Ap- plicabilità della clausola penale prevista per l’ipotesi di ritardo - Esclusione
I.
Le difficoltà incontrate dall’appaltatore per accedere al cantiere o per approvvigionarsi delle materie prime non ne escludono la responsabilità per la ritardata ese- cuzione dell’opera, là dove il contesto ambientale del cantiere fosse stato a lui noto, o comunque avesse espressamente accettato per contratto i relativi rischi.
II.
L’inadempimento del subappaltatore non esclude la re-
sponsabilità dell’appaltatore nei confronti del commit- tente principale, in caso di ritardata esecuzione dell’o- pera.
III.
In tema di appalto, non può trovare applicazione la clausola penale per il danno da ritardo qualora, essen- do intervenuta la rescissione del contratto, l’opera sia stata completata da ditta diversa da quella esecutrice, poiché, non avendo quest’ultima ultimato i lavori, il ri- tardo nella loro esecuzione non è quantificabile.
Il fatto
Due società commerciali stipulavano contratto di appal- to avente ad oggetto la realizzazione di un opificio. L’im- presa appaltatrice demandava all’esecuzione di parte dei lavori ad altra impresa, previa stipula di un contratto di subappalto.
All’approssimarsi della scadenza del termine fissato in contratto per l’ultimazione dei lavori, la committente principale è l’accertava la sussistenza di un grave ritardo nell’avanzamento dei lavori stessi. Di conseguenza inti- mava alla appaltatrice di recuperare il tempo perduto, minacciando in difetto la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1662 Codice civile.
Permanendo l’inadempimento, l’impresa committente conveniva in giudizio l’appaltatrice, chiedendone la condanna al risarcimento del danno. La convenuta, co- stituendosi, sosteneva che l’inadempimento non era ascrivibile a propria colpa: sia perché i esecuzione dei la- vori era stata rallentata dalla difficoltà di accesso al can- tiere e di approvvigionamento delle materie prime ne- cessarie, sia perché l’impresa cui aveva subappaltato l’e- secuzione di parte dei lavori aveva a sua volta adempiu- to in ritardo le proprie obbligazioni.
Il tribunale ha ritenuto non fondate le eccezioni solleva- te dalla convenuta.
Le ragioni della decisione
La sentenza così motiva: «l’attrice agisce per far valere la responsabilità contrattuale dell’appaltatrice secondo quanto previsto dall’art. 1662, secondo comma, Codice civile. Detta norma consente al committente di control- lare l’esecuzione dell’opera nel suo svolgimento e di fis- sare, allorché l’obbligazione sia ancora in corso di attua- zione, all’appaltatore un congruo termine per ovviare al- le difformità ed ai difetti riscontrati, provocando l’auto- matica risoluzione del contratto al momento dell’inutile compimento del decorso del termine, salvo il diritto del committente al risarcimento del danno. (...) Le presun- te e non provate difficoltà esecutive riscontrate nell’ap- provvigionamento dei materiali - le quali di per sé non possono costituire circostanze non prevedibili e preveni- bili, come tali idonee a sollevare la convenuta, che ha sede ed opera in Sicilia, dalle proprie responsabilità con- trattuali, alla luce anche delle dichiarazioni dalla stessa resa all’art. 3 del contratto di appalto in merito «alla co-
noscenza delle condizioni locali, delle strade di accesso, della possibilità di ottenere energia elettrica ed acqua per il funzionamento del Cantiere, nonché di tutte le circo- stanze che possono aver influito sulla determinazione del forfait globale, che l’impresa espressamente accetta, avu- to riguardo alle condizioni locali e a quelle speciali di tempo, stagione, luogo ed inoltre alle norme, alle condi- zioni, alle limitazioni alle restrizioni alle decadenze etc., ai sensi e per gli effetti dell’art. 1341 Codice civile. L’Im- presa riconosce inoltre sufficiente per l’ultimazione dei lavori il tempo indicato al punto 10 del presente atto» - costituisce la conferma del ritardo colpevole, in cui è in- corsa la ditta esecutrice rispetto agli accordi presi con la committente (...).
Né si può ritenere opponibile alla società committente l’eventuale inadempimento agli impegni assunti da par- te della ditta subappaltatrice, in quanto, nei rapporti tra appaltatore e subappaltatore, il subappalto, anche se au- torizzato (...), spiega l’efficacia di un appalto, disciplina- to dalle norme codicistiche e dal contenuto pattizio che le parti hanno inteso dargli, e non influisce in nulla sugli obblighi e doveri reciproci che sorgono dall’appalto principale, restando i due contratti strutturalmente di- stinti, anche se esistono interferenze tra i due negozi stante il vincolo di derivazione che rende il subappalto sensibile in varia misura alle vicende incidenti sull’ap- palto principale».
Il tribunale è quindi passato ad esaminare la richiesta at- torea di pagamento della penale contrattualmente pre- vista (1% dell’importo dell’appalto per ogni mese di ri- tardo), rigettandola, in base alla seguente motivazione:
«quanto agli ulteriori danni lamentati da parte attrice per il ritardo nell’esecuzione dei lavori, il CTU ha rile- vato che «non può, nel caso in esame, adottarsi quanto previsto dall’art. 10 del contratto poiché la penale ivi prevista si può applicare allorché l’impresa esecutrice completa l’opera oltre i tempi contrattuali. Nel caso in esame, essendo intervenuta la rescissione del contratto, l’impresa non ha ultimato i lavori, per cui bisogna rife- rirsi esclusivamente ai dettami dell’art. 21 del medesimo contratto». Le considerazioni svolte dal CTU devono essere condivise, non potendosi applicare la clausola pe- nale ad un danno da ritardo, laddove tale ritardo non è quantificabile, non essendo stata l’opera completata dal- la ditta esecutrice ma da altra impresa a cui la commit- tente si è successivamente rivolta.
Il fatto
La prima e la seconda delle massime di cui in epigrafe co- stituiscono princìpi assolutamente pacifici. Così, ad es., è frequente l’affermazione secondo cui l’appaltatore non ha diritto allo speciale compenso di cui all’art. 1664 Co- dice civile, quando le maggiori difficoltà da questi in- contrate nell’esecuzione dell’appalto siano dovute non a difficoltà sopravvenute derivanti da cause geologiche, idriche e simili (vale a dire cause naturali), ma da cause oggettive di difficoltà sopravvenuta quali i fatti umani,
sebbene rivelatesi idonee a produrre effetti identici o analoghi alle cause naturali (Cass., sez. I, 28 marzo 2001,
n. 4463, in questa Rivista, 2001, 1134, con nota di Ad- dante). Analogamente, Cass., sez. I, 23 novembre 1999,
n. 12989, in Rep. Foro it., 1999, Appalto, n. 33, ha pre- cisato che lo speciale compenso ex art. 1664 Codice ci- vile non è dovuto quando la c.d. «sorpresa geologica» è consistita in eventi non imprevedibili al momento della stipula del contratto.
Sebbene le sentenze appena ricordate avessero ad og- getto il pagamento del compenso di cui all’art. 1664 Codice civile, e non l’accertamento della responsabilità per inadempimento dell’appaltatore, la regula iuris da es- se adottata è identica a quella sposata dal tribunale sici- liano con la sentenza qui in rassegna. Analogamente, si è affermato che in virtù del principio protestatio contra factum proprium non valet è inibito all’appaltatore doler- si dei maggiori oneri sopportati per raggiungere il can- tiere, o le cave di estrazione degli inerti, o comunque per approvvigionarsi dei materiali, quando si sia con- trattualmente accollato il rischio di sopravvenuti mag- giori difficoltà o costi per tali attività (Trib. Roma 6 ago- sto 2003, Impregilo c. SAT, inedita; Coll. arb., 04 luglio 1991, in Arch. giur. oo. pp., 1992, 963, il quale ha rite- nuto inammissibile «sul piano logico prima ancora che giuridico» che l’appaltatore, dopo avere formalmente accettato tutte le condizioni dell’atto negoziale, accam- pi ex post pretese risarcitorie od indennitarie a cui ha ri- nunciato; si vedano altresì, con riferimento alla inam- missibilità della pretesa di maggiori compensi in conse- guenza della necessità di reperire altrove i materiali inerti, ex multis, Coll. arb. 03 giugno 1994, in Arch. giur. oo. pp., 1996, 250; Coll. arb. 28 gennaio 1991, in Arch. giur. oo. pp., 1992, 3; nonché, in terminis rispetto al caso che oggi ci occupa, Coll. arb. 25 luglio 1981, in Arch. giur. oo. pp., 1981, III, 150).
Parimenti pacifico è il principio di cui alla seconda delle massime in epigrafe, derivante inequivocabilmente dal disposto di cui all’art. 1228 Codice civile (sorprendete, perciò, appare sul punto la isolata decisione di App. Mi- lano, 04 aprile 2003, in Foro pad., 2003, I, 327, secondo cui l’appaltatore non risponderebbe nei confronti del committente per l’inadempimento contrattuale del su- bappaltatore).
Qualche perplessità, invece, può destare la terza delle massime di cui in epigrafe: non solo perché, a quanto si apprende dalla motivazione, sulla questione della spet- tanza o meno della penale aveva ritenuto di interloquire il consulente tecnico d’ufficio (al quale, ovviamente, non possono né debbono mai essere sottoposte questio- ni di tipo giuridico: ex multis, in tal senso, Cass., sez. II, 8 luglio 1977, n. 3060, Cass., sez. II, 26 luglio 1977, n.
3340, Cass., sez. I, 8 ottobre 1979, n. 5190, tutte inedite; per ulteriore approfondimento della questione si veda, da ultimo, Xxxxxxxx, Il C.T.U. - L’occhiale del giudice, Xx- xxxx, 2006, 15 ss.), ma soprattutto perché si fonda su una interpretazione del testo contrattuale che di fatto per-
viene ad una interpretazione abrogatrice della clausola penale.
La penale per il ritardo, infatti, non è affatto incompati- bile con la risoluzione del contratto ex art. 1453 Codice civile, ovvio essendo che se il contratto si risolve prima del completamento dell’opus, il ritardo dell’appaltatore è in re ipsa. La giurisprudenza di legittimità, al riguardo, è ri- salente ed uniforme nell’affermare che l’art. 1383 Codice civile, nel vietare il cumulo della penale pattuita per l’i- nadempimento con la prestazione principale, non esclu- de che la penale per il ritardo possa cumularsi, nel caso di risoluzione del contratto, con il risarcimento del danno da inadempimento. Unica precisazione è che in tale ipo- tesi, per evitare un ingiusto sacrificio dell’obbligato ed il correlativo indebito arricchimento del creditore, dovrà tenersi conto, nella liquidazione della prestazione risarci- toria, dell’entità del danno per il ritardo, che sia stato già autonomamente considerato nella determinazione della penale (Cass., sez. II, 13 gennaio 2005, n. 591, in Rep. Xx- xx xx., 0000, Xxxxxxxxx xx xxxxxx, x. 000; Cass., sez. II, 22 agosto 2002, n. 12349, in Rep. Foro it., 2002, Contratto in genere, n. 413; Cass., 13 luglio 1984, n. 4120, in Rep. Foro it., 1984, Contratto in genere, n. 188).
In senso conforme alla sentenza qui in rassegna si rinvie- ne un solo precedente (peraltro costituito non da una sentenza ordinaria, ma da una decisione arbitrale, dalla motivazione assai scarna), secondo cui la risoluzione del contratto esclude l’applicabilità della penale, poiché la funzione di questa consiste nel garantire il committente dal ritardo nell’ultimazione dei lavori (Arb. Padova, 15 maggio 2000, in Arch. giur. oo. pp., 2001, 893).
CONCLUSIONE DEL CONTRATTO
Tribunale di Roma - sez. II - Ordinanza dell’8 giugno 2006 - pres. Misiti - est. Oddi - Astrabet ltd. c. Ammi- nistrazione Autonoma Monopoli di Stato
I.
Contratto - In genere - Conclusione - Contratto con- cluso via internet - Luogo di conclusione - Fattispecie
II.
Gioco e scommessa - Scommesse offerte via internet - Oscuramento del sito ex art. 1, L. n. 266/05 - Applicabi- lità alle imprese non aventi stabile organizzazione in Ita- lia - Ammissibilità
III.
Gioco e scommessa - Autorizzazione amministrativa e di polizia - Contrasto col diritto comunitario - Esclusione
I.
Il contratto stipulato via internet si deve reputare con- cluso nel luogo fisico in cui si trova il proponente, quando ha notizia dell’accettazione. Tale luogo coinci- de con quello in cui si trova l’utente, se chi ha predi-
sposto il sito web non ha offerto attraverso di esso la stipula di un contratto, ma si è riservato di accettare l’offerta inviatagli dall’utente, che assume così di fatto la veste di proponente.
II.
La previsione dell’«oscuramento» del sito web attra- verso il quale vengano formulate offerte illegali di gio- chi e scommesse (art. 1, comma 535, L. n. 266/05), mirando a colpire i casi di offerte si applica anche alle offerte via web effettuate da soggetti che non abbiano una stabile organizzazione in territorio italiano.
III.
Le norme interne che prescrivono l’autorizzazione am- ministrativa e di polizia in materia di giochi e scom- messe non si pongono in contrasto con il diritto comu- nitario, in quanto perseguono lo scopo di tutelare sia l’ordine pubblico (prevenendo possibili infiltrazioni criminali, per le quali il gioco illegale rappresenta stori- camente un’area di elezione delle loro attività illecite) e, non ultimo, quello di tutelare l’utente-consumatore di tale servizio
Il fatto
Una società maltese, autorizzata dallo stato di apparte- nenza a raccogliere scommesse via Internet, raccoglieva con tale modalità scommesse anche in Italia. Di conse- guenza il sito web della società veniva «oscurato» dal- l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di stato, ai sensi dell’art. 1, commi 535 e 536, L. n. 266/2005.
La società maltese ricorreva allora in via d’urgenza ex art. 700 Codice procedura civile al tribunale ordinario, chie- dendo «ordinarsi a tutti i fornitori di servizi di rete l’im- mediato pristino dell’allacciamento alla rete internet del proprio sito, e l’adozione di misure tecniche volte a neu- tralizzare l’inibizione disposta dall’AAMS.
Il ricorso veniva accolto dal giudice cautelare, il quale ri- teneva che l’attività della società ricorrente, sia perché resa da soggetto privo di stabile organizzazione in Italia, sia perché il contratto di gioco concluso via internet do- veva ritenersi concluso in territorio maltese, non fosse riconducibile alla previsione dell’articolo 1, comma 535, L. n. 266/2005.
Il provvedimento veniva reclamato dalla AAMS, ed il reclamo veniva accolto dal tribunale in composizione collegiale.
Le ragioni della decisione
Il tribunale ha innanzitutto affrontato e risolto positiva- mente la questione della sussistenza della propria giurisdi- zione, sul presupposto che quest’ultima si determina in base al petitum sostanziale. Di conseguenza nella specie sussisteva quella del giudice ordinario, perché la società reclamante aveva posto a fondamento della domanda cautelare il pericolo di lesione di diritti fondamentali del- la persona (il nome e la reputazione commerciale).
Nel merito, l’ordinanza così motiva: «AAMS contesta l’erronea interpretazione dell’articolo 1, comma 535, L.
n. 266/2005, per avere il primo giudice ritenuto impre- scindibile, ai fini dell’applicazione di tale norma, «una qualche forma di offerta, anche attraverso intermediari, che, in quanto organizzata nel territorio dello Stato, ne- cessiti di un titolo abilitativo rilasciato dalle autorità ita- liane»: ciò in quanto, si legge nell’ordinanza reclamata, nel sistema normativo che disciplina il settore del gioco e delle scommesse autorizzati, l’articolo 4, comma 4 bis,
L. n. 401/1989 (che non è stato modificato dall’articolo 1, comma 535, L. cit.) punisce «chiunque, privo di con- cessione o licenza (...), svolga in Italia qualsiasi attività organizzata al fine di accettare o raccogliere o comunque favorire l’accettazione in qualsiasi modo la raccolta, an- che per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettate in Italia o all’e- stero». Sostiene invece AAMS che l’art. 1, comma 535,
L. n. 266/2005, mirando a colpire i casi di offerte illegali proposte tramite internet o altre forme di telecomunica- zione, non considera affatto necessaria l’esistenza di un’organizzazione in territorio italiano.
Il motivo è fondato e merita xxxxxxxxxxxx.Xx effetti, la norma non contiene alcun accenno, neppure implicito, al requisito dell’organizzazione in Italia finalizzata ad
«accettare o raccogliere o comunque favorire l’accetta- zione in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefo- nica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque accettate in Italia o all’estero». Di contro, essa riguarda «i casi di offerta», tramite le reti internet ovve- ro altre reti telematiche o di telecomunicazione, «di gio- chi scommesse o concorsi pronostici con vincite in de- naro in difetto di concessione, autorizzazione, licenza od altro titolo autorizzatorio o abilitativo o, comunque, in violazione delle norme di legge o di regolamento o dei li- miti o delle prescrizioni definiti dall’Amministrazione stessa». In sostanza non v’è alcuna (necessaria) coinci- denza fra l’ambito di applicazione della norma in esame e l’articolo 4, comma 4 bis, L. n. 401/89, come del resto chiarito dall’incipit della norma stessa, che precisa «fer- mi i poteri dell’autorità e della polizia giudiziaria ove il fatto costituisca reato». Ciò vuol dire che, a parte le competenze ed i poteri propri dell’autorità giudiziaria e della polizia giudiziaria nel caso in cui il fatto abbia rile- vanza penale per essere stati integrati gli elementi costi- tutivi delle condotte delineate nell’art. 4, L. n. 401/1989
— che punisce non solo lo svolgimento, da parte di sog- getto non abilitato, di attività organizzata volta a racco- gliere, accettare o favorire l’accettazione, in Italia o all’e- stero di scommesse di qualsiasi genere, ma anche l’eser- cizio abusivo dell’organizzazione di scommesse, giochi o concorsi a pronostico, la relativa pubblicità e la parteci- pazione a siffatti giochi, concorsi o scommesse — al- l’AAMS viene attribuito il potere di (far) disattivare la connessione alle reti telematiche o di telecomunicazio- ne a mezzo delle quali vengono proposte offerte di gio- chi, scommesse o concorsi pronostici in difetto di titolo
autorizzatorio o abilitativo o in violazione delle norme, di legge o di regolamento, ovvero delle prescrizioni im- partite dalla stessa AAMS. La finalità del legislatore è chiara, nel senso di voler contrastare la mera offerta, in- dipendentemente dall’allestimento di un’organizzazione sul territorio italiano, di siffatte proposte. In tal modo, ed in ciò consiste il quid novi della disposizione introdotta con l’art. 1, comma 535, L. n. 266/2005, con l’efficace misura dell’oscuramento del sito internet viene impedi- to che un operatore - il quale agisce dall’estero senza av- valersi di alcuna organizzazione, né di intermediari in Italia - proponga nel territorio italiano offerte non con- sentite. Correttamente, quindi, il decreto direttoriale impugnato, all’art. 1, comma 1, individua «gli operatori non autorizzati», destinatari della misura dell’oscura- mento nei «soggetti di cui all’articolo 4 della L. n. 401/89 ed ai sensi dell’art. 1, comma 535 della L. n. 266/05, i quali, privi di concessione, autorizzazione o al- tro titolo autorizzatorio o abilitativo o, comunque, in violazione delle norme di legge o di regolamento o dei li- miti o delle prescrizioni definite da AAMS, effettuano sul territorio nazionale la raccolta di giochi riservati allo Stato, attraverso la rete internet ovvero altre reti tele- matiche o di telecomunicazione». Non altrettanto cor- rettamente, invece, il giudice della prima fase ha ritenu- to che per l’applicazione della nuova disposizione fosse necessario il requisito dell’organizzazione in Italia.
Né (...) è condivisibile l’argomentazione della stessa [ri- corrente], secondo cui l’appena esposta interpretazione di quest’ultima norma ne comporterebbe un’efficacia
«universale», con violazione — fra gli altri — del diritto alla libera prestazione di servizi. Al contrario, essa si li- mita a ribadire il principio della nostra legislazione, per il quale chiunque (soggetto italiano o straniero) voglia esercitare in Italia l’attività della raccolta o dell’accetta- zione di scommesse, giochi o concorsi pronostici deve essere previamente abilitato dalle competenti autorità italiane. A questo riguardo non può fare a meno di os- servarsi (...) che il contratto aleatorio si conclude in Ita- lia e non già a Malta, come affermato dal primo giudice. Infatti, ai sensi dell’articolo 1326 Codice civile, il con- tratto si conclude nel momento e nel luogo in cui il pro- ponente ha conoscenza dell’accettazione della sua offer- ta da parte dell’oblato: nel modus operandi seguito da Xxxxxxxx, quale si desume dalla lettura del regolamento di gioco da essa stessa predisposto, la veste di proponen- te è assunta dallo scommettitore che si trova in Italia, il quale, scegliendo fra le varie alternative che gli vengono presentate attraverso la rete internet (giuridicamente qualificabili come inviti a proporre) manifesta la sua proposta, che Xxxxxxxx si riserva di accettare, non accet- tare o accettare solo parzialmente, avvisando il propo- nente scommettitore tramite email all’indirizzo di posta elettronica comunicato al momento dell’iscrizione (...)».
A questo punto il tribunale è passato ad esaminare l’altra questione sollevata dalla società ricorrente, e cioè se le
norme che prescrivono la necessità dell’autorizzazione amministrativa per l’esercizio in Italia dell’attività di rac- colta di scommesse si pongano in contrasto col diritto comunitario, e segnatamente col diritto di stabilimento. Al riguardo l’ordinanza così motiva: «è noto che la li- bertà di stabilimento e la libertà di prestazione dei servi- zi, riconosciute dagli articoli 43 e 49 del Trattato CE, possono essere soggette a restrizioni soltanto quando ab- biano riguardo ad attività che nello Stato membro inte- ressato «partecipano, sia pure occasionalmente, all’eser- cizio dei pubblici poteri (articolo 45) ovvero in virtù di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative che prevedano in regime particolare per i cittadini stra- nieri e che siano giustificate da motivi d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (articolo 46). In Italia l’organizzazione e l’esercizio di giochi di abilità e di concorsi pronostici, per i quali è prevista una ricom- pensa di qualsiasi natura e per la cui partecipazione è ri- chiesta una posta in denaro, è riservato allo Stato (AAMS), che esercita tale attività direttamente o attra- verso persone fisiche o giuridiche che diano adeguate ga- ranzie di idoneità: in particolare, la gestione delle scom- messe e dei concorsi pronostici è direttamente riservata al C.O.N.I. o all’U.N.I.R.E. quando connessi a manife- stazioni sportive organizzate o svolte sotto il loro con- trollo (D.Lgs. n. 496/1948). È inoltre previsto che questi enti possano affidare in concessione la gestione delle scommesse loro riservate a persone fisiche, società o altri enti, che offrono adeguate garanzie finanziarie e di tra- sparenza nell’assetto proprietario, da individuare sulla base di gare da espletare secondo la normativa nazionale o comunitaria (art. 3, comma 228, n. 549/1995 e D.M.
n. 174/1998 per il C.O.N.I.; art. 3, comma 78, L. n. 662/1996 e D.P.R. n. 169/1998 per l’U.N.I.R.E.). Al- l’AAMS sono state recentemente affidate in concessio- ne tutte le funzioni in materia di organizzazione ed eser- cizio dei giochi, scommesse e concorsi pronostici, ferma restando la riserva a favore del C.O.N.I. (D.L. n. 138/2002, conv. in L. n. 178/2002). Con l’art. 22, L. n. 289/2002 è stato disposto, fra l’altro, che alle procedure di selezione per l’affidamento delle concessioni possono partecipare anche società di capitali. Per poter gestire le scommesse è in ogni caso necessaria la licenza di polizia prevista dall’art. 88, D.P.R. n. 773/1931 (t.u.l.p.s.), che può essere rilasciata «esclusivamente a soggetti conces- sionari o autorizzati da parte dei Ministeri o di altri enti ai quali la legge riconosca a la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a soggetti incaricati dal concessionario o titolare di autorizzazione in forza della stessa concessione o autorizzazione» (testo attual- mente in vigore, risultante dalle modifiche apportate dall’art. 37, L. n. 388/2000). Sono infatti puniti penal- mente una serie di comportamenti che favoriscono o co- stituiscono esercizio abusivo, cioè in assenza di conces- sione e autorizzazione o licenza di polizia, del gioco del lotto, delle scommesse, dei concorsi pronostici riservati allo Stato, al C.O.N.I., all’U.N.I.R.E. ovvero su altre
competizioni di persone o giochi di abilità, compresi l’accettazione o la raccolta, anche per via telefonica o te- lematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque gestite in Italia o all’estero e la raccolta o la prenotazio- ne di giocate del lotto, di concorsi pronostici o di scom- messe per via telefonica o telematica in assenza di appo- sita autorizzazione all’uso di tali mezzi (art. 4, L. n. 401/1989, nel testo modificato dall’art. 37, L. n. 388/2000). Invece, come già anticipato, con l’art. 1, commi 535 e 536, L. n. 266/2005 è previsto il potere di AAMS di (far) disattivare la connessione alle reti tele- matiche o di telecomunicazione a mezzo delle quali ven- gono proposte offerte di giochi, scommesse o concorsi pronostici in difetto di titolo autorizzatorio o abilitativo o in violazione delle norme, di legge o di regolamento, ovvero delle prescrizioni impartite dalla stessa AAMS. La giurisprudenza comunitaria ha più volte affermato che integra restrizione alla libertà di stabilimento e alla libertà di prestazione di servizi una normativa statale che vieta, anche con disposizioni penali, lo svolgimento di attività correlate alle scommesse su eventi sportivi in as- senza di concessione o autorizzazione rilasciate dallo Sta- to membro; simili restrizioni sono consentite soltanto se giustificate da esigenze imperative di interesse generale, necessarie per il conseguimento dello scopo perseguito, proporzionate e non discriminatorie: a tale proposito, la riduzione delle entrate fiscali non costituisce motivo im- perativo di interesse generale; lo sono, invece, la tutela del consumatore, la prevenzione delle frodi e dell’incita- zione dei cittadini ad una spesa eccessiva collegata al gioco (X. xxxxx. 6 novembre 2003, in causa C-243/0l; 11 settembre 2003, Anomar, C-6/01; 21 ottobre 1999, Ze-
natti, C-67/98; 21 settembre 1999, Laara, C124/97; 24 marzo 1994, Xxxxxxxxx, C-275/92). Più in particolare, la sentenza Xxxxxxxx - nel rimette al giudice nazionale di valutare se la normativa statale, alla luce della sua con- creta applicazione, risponde realmente ad obiettivi tali da giustificarla e se le restrizioni che essa impone non sia- no sproporzionate rispetto a tali obiettivi - esclude, tra le finalità giustificative delle restrizioni, l’esigenza di finan- ziare attività sociali attraverso un prelievo sugli introiti della gestione delle scommesse e rimarca che l’esigenza di contenere la cd. ludopatia non può essere invocata come finalità di ordine pubblico sociale se lo Stato mem- bro, nel contempo, incoraggia i consumatori a parteci- pare a giochi, scommesse e lotterie affinché il pubblico erario ne benefici sul piano finanziario. Ebbene, chiama- te ad effettuare tale valutazione in una fattispecie di se- questro preventivo in danno del titolare di un centro di raccolta di scommesse che agiva, privo di licenza di poli- zia, per conto di un allibratore inglese, le sezioni unite penali della Corte di cassazione, con la nota sentenza 23273/04 hanno concluso per la piena compatibilità co- munitaria della disciplina italiana. Secondo la Cassazio- ne (...) la normativa nazionale in materia di gestione delle scommesse e dei concorsi pronostici persegue fina- lità di controllo della domanda e dell’offerta di gioco per
motivi di ordine pubblico, che giustificano le restrizioni poste ai principi comunitari della libertà di stabilimento e della libera prestazione di servizi. Il sistema concessorio in particolare, permette di canalizzare domanda ed offer- ta di gioco in circuiti controllabili onde prevenire la pos- sibile degenerazione criminale (...). Il giudice di legitti- mità, inoltre, ha ritenuto che il quadro normativo italia- no - e soprattutto le norme penali - sono anche idonee e proporzionate allo scopo perseguito di tutela dell’ordine pubblico, nonché applicate in modo non discriminato- rio.
Tali considerazioni sono state totalmente condivise e ri- badite anche dal Consiglio di Stato con le sentenze 5203/05 (in una vicenda riguardante il diniego della li- cenza di polizia ad una società che intendeva operare co- me centro di trasmissione dati per conto di un allibrato- re inglese) e 5898/05 (in una fattispecie avente ad og- getto il provvedimento di cessazione dello svolgimento dell’attività di raccolta di scommesse pubbliche per eventi sportivi esteri e il successivo diniego di autorizza- re lo svolgimento di tale attività).
Ritiene il collegio di non doversi discostare da questo in- dirizzo interpretativo e di rafforzarne, ove possibile e in relazione alla specificità del caso in esame, le sue moti- vazioni. È bene premettere al riguardo che nella fattispe- cie de qua — a differenza di quelle poste all’attenzione della Cassazione e del Consiglio di Stato — non si con- troverte della liceità dell’operato di un soggetto interme- diario di un allibratore straniero: Astrabet, come in pre- cedenza osservato, opera attraverso la rete telematica, dall’estero e senza alcun intermediario in Italia. In se- condo luogo, il quadro normativo di riferimento si carat- terizza per l’entrata in vigore di ulteriori disposizioni (quelle di cui all’articolo 1, commi 535 e 536, L. n. 266/2005), che vanno ad aggiungersi a quelle prese in considerazione nelle pronunce poc’anzi ricordate. Inol- tre, non sembra che nel caso di specie venga in conside- razione la libertà di stabilimento, posto che Astrabet opera esclusivamente in Malta, mentre è la libera pre- stazione dei servizi che comprende, oltre alla libertà del prestatore di offrire ed effettuare servizi per destinatari stabiliti in uno Stato membro diverso da quello sui cui territorio si trovi il detto prestatore, anche la libertà di ri- cevere o beneficiare, in quanto destinatario dei servizi offerti da un prestatore stabilito in un altro Stato mem- bro, senza essere impedito da restrizioni (X. xxxxx. 26 ot- tobre 1999, Eurowings, C-294/97; 31 gennaio 1984, Lui- si e Carbone, C-286/82 e 26/83). Nonostante ciò, l’im- pianto argomentativo di tali decisioni resta assoluta- mente valido e perfettamente utilizzabile anche nel caso di specie.
Il giudizio di compatibilità della normativa italiana con il diritto comunitario, a parere del collegio, è senz’altro positivo, in considerazione del fatto che essa — oltre a perseguire un’innegabile espansione dell’offerta di gioco per finalità che non rilevano in questa sede — persegue anche lo scopo di tutelare l’ordine pubblico (prevenen-
do possibili infiltrazioni criminali, per le quali il gioco il- legale rappresenta storicamente un’area di elezione delle loro attività illecite) e, non ultimo, quello di tutelare l’u- tente-consumatore di tale servizio (Omissis)».
I precedenti
La prima delle massime in epigrafe affronta un problema assai complesso, ancora lungi dal trovare una soluzione certa. L’art. 13, comma 1, X.Xxx. 9 aprile 2003, n. 70, sta- bilisce che le norme sulla conclusione dei contratti si ap- plicano anche nei casi in cui il proponente inoltri il pro- prio ordine per via telematica: ma ovviamente il codice civile nulla stabilisce in merito alla individuazione del luogo di conclusione, là dove proposta ed accettazione siano scambiate per via telematica. A tale riguardo sono state formulate in dottrina le tesi più diverse:
a) il luogo dove ha sede il provider del proponente;
b) il luogo dove si trova il computer (server) del provider del proponente, al quale è inviata l’accettazione (così Xxxx, La conclusione dei contratti on line, in Tosi (a cura di), I problemi giuridici di internet, Milano, 2003, 26; Xxxxxxxxxx, Negoziazione in rete e contratti «tra» computer, in Dir. informazione e informatica, 2002, 1141, ma spec.te 1151; per ulteriori riferimenti si veda anche Xxxxxx, Profili pro- cessuali del commercio elettronico, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2002, 73);
c) il luogo dove si trova fisicamente il proponente nel momento in cui ha notizia dell’accettazione (Xxxxxxxxx, Osservazioni sulla conclusione del contratto tramite compu- ters e sull’accettazione di un’offerta in internet, in Giust. civ., 1997, II, 21, ma specialmente 44-45);
d) il luogo dove ha sede il soggetto che ha chiesto la regi- strazione del nome di dominio (domain name) (Bravo,
«Domain names» e luogo di conclusione dei contratti telemati- ci, in questa Rivista, 2004, 415, ma specialmente 421-422);
e) il luogo dove «si incontrano» (sic) gli impulsi elettrici inviati dal computer dell’accettante con quelli generati dal computer del proponente (Clarizia, contratto infor- matico, in Enc. dir., Agg., vol. II, Milano, 1998, 252). Non è mancato chi ha ritenuto inutile il problema, sul presupposto che nelle contrattazioni via internet propo- nente ed oblato potrebbero trovarsi in qualunque parte del mondo, sicché quel che rileva ai fini della disciplina del contratto non è il luogo dove è stato concluso, ma l’individuazione delle norme di diritto privato applicabi- li al caso di specie (De Rosa, La formazione di regole giuri- diche per il cyberspazio, in Dir. informazione e informatica, 2003, 361, ma specialmente 395).
La seconda delle massime di cui in epigrafe affronta un problema del tutto nuovo, e non fa constare alcun pre- cedente edito su fattispecie analoghe. Si ricordi che, ai sensi del combinato disposto dei commi 535 e 536 del- l’art. 1, L. 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006) gli internet service provider ai quali il ministero del- le finanze abbia segnalato casi di offerte di giochi, scom- messe o concorsi pronostici con vincite in denaro in di- fetto di concessione, autorizzazione, licenza od altro tito-
lo autorizzatorio o abilitativo o, comunque, in violazione delle norme di legge o di regolamento o dei limiti o del- le prescrizioni definiti dall’Amministrazione stessa, han- no l’obbligo di inibire l’utilizzazione delle reti delle quali sono gestori o in relazione alle quali forniscono servizi. La terza delle massime in epigrafe affronta un problema assai delicato, che ha dato luogo a pareri discordi in dot- trina ed in giurisprudenza.
Secondo talune decisioni di merito, infatti, le norme ita- liane che prescrivono la necessità dell’autorizzazione per l’esercizio dell’attività di raccolta in Italia di scommesse con premi a pagamento, da parte di soggetti residenti in Paesi comunitari, si porrebbero in contrasto col Trattato istitutivo dell’UE, e segnatamente con il principio di li- bertà di libera prestazione di servizi.
Tale problema era stato sinora esaminato soprattutto dalla giurisdizione penale (chiamata a pronunciarsi sul reato di illecita raccolta di scommesse, ex artt. 43 e 49, L. 14 ottobre 1957, n. 1203, nonché 4, L. 13 dicembre 1989, n. 401) e da quella amministrativa, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dei provvedimenti ammi- nistrativi negatori dell’autorizzazione. sia l’una che l’altra hanno però in assoluta prevalenza negato che la legisla- zione italiana in materia di giuochi e scommesse sia in- compatibile con i principi comunitari, «in quanto si pro- pone non già di contenere la domanda e l’offerta del gio- co, ma di canalizzarla in circuiti controllabili al fine di prevenire la possibile degenerazione criminale» (così Xxxx., sez. III, 23 giugno 2004, imp. Xxxxx, in Giur. it., 2005, 1260, con nota di Xxxxxxxx; nello stesso senso, Cass., sez. un., 26 aprile 2004, in Foro it., 2004, II, 393, con nota di Xxxxxxxxx; Cass., sez. III, 1 ottobre 2002, in Rep. Foro it., 2003, Giuoco proibito, n. 90; Trib. Paler- mo, 01 febbraio 2005, in Corriere Merito, 2005, 694, con note di Lunghini e Musso; Trib. Foggia, 31 maggio 2004, in Giur. merito, 2004, 2508; Trib. Teramo, 25 ottobre
2004, in Dir. giust., 2004, fasc. 44, 87; Trib. Pesaro, 2 di-
cembre 2002, in Corti marchigiane, 2004, 263).
Per la giurisprudenza amministrativa, infine, sempre nel senso della compatibilità tra l’ordinamento interno e quello comunitario, si vedano C. Stato, sez. VI, 20 xxxx- xxx 2005, n. 5898, in Guida dir., 2005, fasc. 46, 74, con nota di Xxxxxxx, nonché C. Stato 5644/06, secondo cui la vigente normativa nazionale in materia di scommesse, là dove prescrive che la licenza per l’esercizio delle scom- messe può essere concessa esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o di altri enti cui la legge riserva la facoltà di organizzazione e ge- stione delle scommesse, non si pone in contrasto col di- ritto comunitario, né viola alcun diritto costituzional- mente garantito, e pertanto legittimamente il questore vieta l’esercizio della suddetta attività a chi non sia in possesso della prescritta autorizzazione, a nulla rilevando né il possesso dei requisiti astrattamente idonei al rila- scio di essa, né la circostanza che le scommesse siano rac- colte per conto di impresa autorizzata in altro paese del- l’Unione europea.
In senso contrario rispetto a tale dominante orienta- mento si veda invece Trib. Catania, 25 giugno 2004, in Dir. giust., 2004, fasc. 38, 77, con nota di Xxxxxxxx, e Trib. Viterbo, 5 giugno 2003, ivi, 2003, fasc. 36, 77, con nota di Xxxxxxxx. Secondo quest’ultima decisione, in particolare, il legislatore italiano, subordinando l’atti- vità di raccolta di scommesse al rilascio di concessione od autorizzazione, ha seriamente limitato il diritto di li- bera prestazione dei servizi, il diritto di stabilimento e quello di libera concorrenza all’interno della comunità, utilizzando strumenti sproporzionati ed incongrui ri- spetto al fine perseguito (ossia assicurare alle casse sta- tali gli introiti derivanti da tale attività), con la conse- guenza che deve essere disapplicato, per contrasto con la normativa comunitaria, l’art. 4 bis, L. n. 401/89, nel- la parte in cui punisce con sanzione penale chiunque, privo di concessione, autorizzazione o licenza, eserciti un’attività finalizzata ad accettare o raccogliere o co- munque favorire l’accettazione o la raccolta di scom- messe di qualunque genere da chiunque accettate in Italia o all’estero.
Come si dà atto nel corpo della motivazione del provve- dimento qui in rassegna, non sono mancati dubbi di le- gittimità (costituzionale e comunitaria) delle norme che prescrivono l’autorizzazione per la raccolta di scommes- se.
Dalla Corte costituzionale, dopo una prima decisione di manifesta inammissibilità, si attende ora la decisione sulla questione (ri)proposta da Xxxx. Macerata, 20 marzo 2006, in Foro it., 2006, II, 313, che ha ritenuto non ma- nifestamente infondata la questione di legittimità costi- tuzionale dell’art. 4, L. n. 401/1989, in relazione all’art. 88, X.X. x. 000/0000, nella parte in cui, ponendo limi- tazioni alla libertà d’impresa, di stabilimento e di presta- zione di servizi, opera una disparità di trattamento nei confronti dell’operatore economico che esercita, per conto di un bookmaker inglese, l’attività di ricevitoria di scommesse, in difetto di concessione o autorizzazione, in riferimento agli art. 3, 10, 11 e 41 Cost.
La Corte di giustizia delle Comunità Europee si è pro- nunciata sulla questione qui in esame con la fondamen- tale decisione di Corte giust. 6 novembre 2003, causa X- 000/00, Xxxxxxxx, xx Xxx. Xxxx xx., 2003, voce Unione europea, n. 1097, secondo cui la normativa italiana pone un vincolo ai diritti di stabilimento e di libera prestazio- ne di servizi, fatta salva la valutazione, da parte del giu- dice nazionale, di esigenze che giustifichino la deroga al- le norme comunitarie, sempre che le restrizioni imposte siano proporzionate agli obiettivi prefissati dalla norma- tiva interna.
Anche dalla Corte di Lussemburgo si attende tuttavia un nuovo verdetto, essendo stata la questione della com- patibilità tra l’ordinamento interno e quello comunita- rio riproposta da Trib. Viterbo, ord. 25 ottobre 2005 (causa C-395/05) e Trib. Palermo, ord. 19 ottobre 2005 (causa C-397/05), entrambe in G.U.U.E. C 10/14 del 14 gennaio 2006.
CONTRATTI BANCARI
Tribunale di Roma sez. XIII - sentenza 20 marzo 2006
- est. Xxxxxxxx - X. (avv. Vallorani) c. Banco di Brescia (avv. Mastrolilli) e Servizi Interbancari (avv. Maccaro- ne e Stazi)
I.
Contratti bancari - Convenzione di bancomat - Natura
- Contratto atipico - Conseguenze
II.
Contratti bancari - Convenzione di bancomat - Carte multifunzione - Responsabilità della società emittente per indebito uso - Fondamento - Criteri
III.
Contratti bancari - Convenzione di bancomat - Colpa concorrente del titolare per difettosa custodia del PIN - Accertamento - Onere della prova - Riparto
I.
La convenzione di Bancomat stipulata tra il correntista è la banca è un contratto atipico a causa mista, nel qua- le ricorrono gli elementi tanto del mandato quanto del- la delegazione. Ne consegue che, in caso di furto della tessera Bancomat tempestivamente segnalato dal clien- te, la banca è responsabile ex art. 1710, primo comma, Codice civile per il mancato blocco della tessera, a nul- la rilevando che le funzioni di blocco siano state con- cretamente delegate ad una società di servizi.
II.
La società di servizi che ha emesso una carta di credito
«multifunzione» (e cioè utilizzabile sia come carta di credito, sia come tessera bancomat), qualora sia richie- sta del blocco delle funzioni della carta di credito per ef- fetto di furto, ha l’obbligo ex artt. 1175 e 1375 Codice civile di attivarsi per bloccare o fare bloccare anche le funzioni di Bancomat, a nulla rilevando che le relative competenze siano state suddivise tra la società stessa e la banca, per effetto degli accordi interni tra le due.
III.
Nel caso di uso illegittimo di una tessera bancomat, la società di servizi la quale eccepisca la colpa concorren- te del titolare, per difettosa custodia del codice perso- nale (PIN), ha l’onere di provare concretamente tale negligenza, la quale non può ritenersi in re ipsa per il solo fatto che una tessera bancomat, dopo il furto, sia stata utilizzata per prelevare contante facendo uso del PIN.
Il fatto
Dopo avere patito il furto della propria carta di credito, il titolare telefonava al numero verde messo a disposizione dalla banca, per chiederne il «blocco». Ciononostante,
successivamente alla telefonata la carta risultava utilizza- ta per effettuare numerosi prelievi di contante da altret- tanti sportelli Bancomat.
Il titolare della carta conveniva allora in giudizio sia la propria banca, sia la società di gestione del servizio delle carte di credito, chiedendone la condanna in solido alla rifusione delle somme indebitamente sottratte.
La banca, costituendosi, eccepiva che in virtù di apposi- ta convenzione stipulata tra la banca e la società di ser- vizi, era compito di quest’ultima «disattivare» le carte se- gnalate smarrite o rubate, e sopportare gli oneri derivan- ti dall’uso improprio di tale mezzo di pagamento.
Anche la società di servizi si costituiva, eccependo che:
– la carta sottratta era un carta c.d. «multifunzione», cioè utilizzabile sia come carta di credito, sia come Ban- comat;
– le operazioni compiute utilizzando la carta come Ban- comat erano gestite direttamente dalla banca del titola- re, e non dalla società di servizi;
– in caso di furto o smarrimento, era onere del titolare di- sattivare sia le funzioni Bancomat, sia quelle di carta di credito, chiamando due numeri telefonici diversi;
– nel caso di specie, per contro, il titolare aveva telefo- nato solo al numero che consentiva di bloccare le fun- zioni di carta di credito, ma non quelle di Bancomat.
Il tribunale ha accolto la domanda.
Le ragioni della decisione
La sentenza così motiva: «2. La domanda nei confronti della Banco di Brescia. Non è controverso tra le parti che:
a) l’attrice sia stata derubata della carta di credito emes- sa dalla SI Holding;
b) la suddetta carta di credito era utilizzabile anche qua- le tessera Bancomat;
c) le operazioni compiute con la suddetta tessera erano addebitate su un conto corrente acceso presso la Banco di Brescia s.p.a.;
d) lo stesso giorno del furto, l’attrice ha telefonato ad un numero di telefono facente capo alla SI Holding, chie- dendo il blocco della carta rubata;
e) nei giorni immediatamente successivi al furto la carta è stata utilizzata come Bancomat, per effettuare due pre- lievi di contante e 9 pagamenti col sistema POS.
2.1. Ciò posto in facto, per trarne le debite conseguenze in iure occorre preliminarmente qualificare il rapporto intercorso tra l’attrice e la Banco di Brescia s.p.a.
La c.d. convenzione di Bancomat è un contratto atipico, normalmente accessorio ad un rapporto di conto corren- te, in virtù del quale la banca consente al cliente, attra- verso l’uso congiunto di una tessera elettronica ed un co- dice di accesso:
a) il prelievo di contante dai distributori automatici esi- stenti presso le proprie filiali (c.d. Automatic Teller Ma- chine, o ATM);
b) il prelievo di contante dai distributori automatici esi- stenti presso le filiali di altri istituti di credito;
c) il pagamento per l’acquisto di beni o servizi presso gli esercizi commerciali convenzionati con il «Sistema Na- zionale di terminali nei punti vendita POS», attraverso un ordine irrevocabile di giroconto elettronico, compor- tante l’addebito del prezzo dell’acquisto sul conto cor- rente del titolare della carta Bancomat.
Altre funzioni erano previste nel caso di specie dal rego- lamento del servizio prodotto dalla società Banco di Bre- scia (prelievo di contante all’estero, pagamento dei pe- daggi autostradali, versamenti «self service»).
Alla luce di questi elementi di fatto, la convenzione di Bancomat può essere ricostruita come un contratto ati- pico a causa mista, partecipante della funzione tanto del mandato, quanto della delegazione. Ed infatti, nel caso di prelievo di contante presso sportelli diversi da quelli della banca emittente, l’impiego congiunto della carta e del codice personale si traducono in un ordine diretto al- la banca di ritrasferire alla banca erogatrice una somma di denaro equivalente a quella prelevata, e quindi in una delegatio solvendi; nel caso invece di pagamenti effettuati col sistema POS, l’impiego della tessera Bancomat con- sente di accreditare direttamente all’esercente il costo del servizio o del bene acquistato, con contestuale adde- bito sul conto corrente del titolare. Non vi è dunque an- ticipazione di provvista da parte della banca, e di conse- guenza il rapporto è sussumibile nello schema del man- dato.
Tale conclusione non muta nel caso in cui la convenzio- ne di Bancomat preveda la possibilità di utilizzare, quale documenti di legittimazione, non una tessera emessa dalla banca stessa, ma altra tessera emessa da un terzo (nella specie, la SI Holding), utilizzabile anche come carta di credito. In questo caso, infatti, la polifunziona- lità del corpus mechanicum che funge da titolo di legitti- mazione non altera la natura dei rapporti intercorrenti tra le parti, in quanto debitrice dell’obbligo di consenti- re i prelievi presso gli ATM ed i pagamenti presso i pun- ti POS resta la banca stipulante, anche se per adempiere tale obbligo essa si avvalga delle prestazioni di un terzo (l’emittente della carta, cioè la SI Holding).
2.2. Così ricostruiti i rapporti intercorsi tra le parti, ai fi- ni che qui interessano è del tutto irrilevante stabilire se l’attrice, una volta avvedutasi del furto, per «bloccare» la tessera trafugata telefonò soltanto al «numero verde» utile per bloccare le carte di credito, come eccepito dal- la convenuta SI Holding, ovvero a quello utile per bloc- care le tessere Bancomat, come allegato dall’attrice.
Ed infatti, quale che sia stato il numero composto dalla attrice, e quale che fosse il soggetto gestore di tale uten- za telefonica e del servizio ad essa collegato, è inconte- stato che il blocco della carta Bancomat non vi fu: di conseguenza, l’inadempimento della Banco di Brescia è in re ipsa, ed è consistito nella violazione dell’obbligo del mandatario di eseguire le istruzioni del mandante (art. 1710, primo comma, Codice civile). Né rileva che le operazioni di blocco delle funzioni Bancomat, in virtù di accordi interni tra la banca erogatrice e l’ente emittente
del documento di legittimazione, spettassero solo a que- st’ultimo. Anche in tal caso la banca risponderebbe del- l’operato di SI Holding ai sensi dell’art. 1228 Codice ci- vile, in quanto l’obbligo di bloccare la carta Bancomat grava sulla banca emittente, e se per l’adempimento di esso la banca si avvale di un terzo, risponde dell’even- tuale illecito di quest’ultimo.
3. La domanda nei confronti della SI Holding.
La domanda attorea è fondata anche nei confronti della SI Holding, per le ragioni che seguono.
3.1. In fatto, non è in contestazione che le funzioni di carta di credito della tessera rubata vennero effettiva- mente bloccate. E poiché è del pari incontestato che ta- le possibilità competeva solo a SI Holding, deve ritener- si provato ex art. 2727 Codice civile che, nell’immedia- tezza del furto, SI Holding abbia appreso dell’intenzione del titolare di bloccare la circolazione della carta.
3.2. Da tale rilievo in facto consegue una evidente re- sponsabilità della SI Holding, sia per violazione dei do- veri di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 Codice civile, sia per violazione delle norme di det- taglio poste dal diritto comunitario a carico dei gestori di strumenti di pagamento elettronico.
3.2.1. È noto che nell’adempimento delle obbligazioni tanto contrattuali, quanto extracontrattuali, ambedue le parti sono tenute a rispettare il generale canone della correttezza, di cui all’art. 1175 Codice civile.
Secondo la Relazione ministeriale al codice civile, tale principio «richiama nella sfera del creditore la conside- razione dell’interesse del debitore e nella sfera del debi- tore il giusto riguardo all’interesse del creditore». Tale criterio di reciprocità, secondo la S.C., va collocato nel quadro di valori introdotto dalla Carta costituzionale, e deve essere inteso come una specificazione degli inde- rogabili doveri di solidarietà sociale imposti dall’art. 2 della Costituzione. La sua rilevanza si esplica pertanto nell’imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbli- gatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli in- teressi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabili- to da singole norme di legge (ex plurimis, Cass., sez. I, 5 novembre 1999, n. 12310, in Società, 2000, 303). Ciò vuol dire che il debitore, nell’adempiere la propria ob- bligazione, non può limitarsi ad un generico e formali- stico rispetto della lex contractus, ma ha l’obbligo di at- tivarsi, nei limiti di un apprezzabile sacrificio persona- le, affinché la propria prestazione riesca utile alla con- troparte.
Da tali princìpi, applicati ai rapporti aventi ad oggetto l’uso di mezzi elettronici di pagamento, discende l’obbli- go dell’emittente e/o del gestore di tali mezzi di paga- mento di garantire in primo luogo la sicurezza dell’utiliz- zatore, anche nel caso di furto o smarrimento.
Pertanto nel caso di specie la SI Holding, una volta ap- preso dell’intenzione del titolare di impedire l’utilizzo della carta trafugata, aveva l’obbligo giuridico di attivar- si per far conseguire al titolare una prestazione utile: non
poteva dunque, la SI Holding limitarsi a disattivare le funzioni di carta di credito, ovvero a trasmettere ad altri soggetti l’ordine di blocco delle funzioni Bancomat, ma doveva attivarsi per seguire l’iter dell’ordine, ed accertar- si alla stregua dell’ordinaria diligenza che anche le fun- zioni Bancomat fossero state disattivate.
La circostanza che la stessa tessera fosse utilizzabile sia come strumento di pagamento elettronico (bancomat), sia come strumento di pagamento mediante accesso a di- stanza (carta di credito) non esclude né limita la respon- sabilità della SI Holding.
Con l’emissione di una carta multifunzione, infatti, l’e- mittente accetta il rischio della circolazione indebita di essa, ed assume di conseguenza tutti gli obblighi derivan- ti da tale sua veste, primo fra tutti quello di garantire la sicurezza del titolare. Tale obbligo comporta necessaria- mente quello di attivarsi per impedire qualsiasi uso inde- bito della tessera, e non solo quello per il quale l’emit- tente percepisce il relativo corrispettivo.
Detto altrimenti, è contrario a buona fede e correttezza che l’emittente di una carta di credito multifunzione possa scindere i rischi connessi alla circolazione indebita di essa, disinteressandosi della manifestata volontà del titolare di bloccare la circolazione della tessera, pur avendone avuta tempestiva conoscenza.
3.2.2. La condotta della SI Holding, oltre che contraria ai princìpi di cui agli artt. 1175 e 1375 Codice civile, è stata altresì contraria ai princìpi di diritto comunitario che regolano la materia, i quali - pur non avendo forza cogente - non possono non orientare l’interprete nella ricostruzione della regula iuris applicabile al caso di spe- cie.
Così, ai sensi dell’art. 7, terzo comma, lettera d), della Raccomandazione della Commissione 30 luglio 1997, n. 97/489 (in G.U.C.E. 2 agosto 1997, n. 208, Serie L), l’ente che ha emesso lo strumento elettronico di paga- mento ha l’obbligo di assicurare che «mezzi adeguati» siano messi a disposizione del titolare ai fini della notifi- cazione del furto o smarrimento della tessera.
Or bene, alla luce dei princìpi desumibili dal combinato disposto degli artt. 1175 Codice civile e 7 Racc. CE 87/489, citt., deve escludersi che costituisca «mezzo ade- guato» di tutela del consumatore la previsione dell’ob- bligo di telefonare a due distinti numeri per inibire l’uso fraudolento sia delle funzioni di carta di credito, sia di quelle Bancomat.
Ciò in quanto l’onere del doppio avviso:
– in astratto, è fatalmente destinato a trarre in inganno il titolare, di xxxxx xxxxxx degli arcana imperii celati die- tro l’emissione di mezzi di pagamento elettronici;
– in concreto, nel caso di specie, l’onere del doppio av- viso non risulta affatto chiaramente comunicato e mes- so in evidenza al momento della sottoscrizione della convenzione, ma risulta semplicemente indicato nella lettera accompagnatoria della carta di credito (all. 2 fa- sc. attoreo), che ovviamente non è testo contrattuale.
4. Ambedue le società convenute, pertanto, vanno con-
dannate al risarcimento del danno patito dall’attrice in conseguenza dell’indebito uso della carta, ai sensi del- l’art. 2055 Codice civile.
5. L’eccezione sollevata dalla SI Holding, secondo cui il danno non sarebbe risarcibile in virtù del disposto di cui all’art. 1227 Codice civile, per avere l’attrice omesso di custodire con la dovuta diligenza il codice segreto (PIN) necessario per l’uso della carta Bancomat è infondata.
Il fatto noto che, dopo il furto, una tessera Bancomat venga indebitamente utilizzata, previa digitazione del PIN, non consente affatto di risalire ex art. 2727 Codice civile al fatto ignorato che il suddetto codice segreto fos- se custodito insieme alla carta. L’illecita acquisizione del PIN potrebbe essere avvenuta - ad es. - attraverso l’im- piego di speciali software in grado di «leggere» le infor- mazioni contenute nella banda magnetica apposta sulla tessera, oppure potrebbe essere stato carpito prima anco- ra del furto, in esito ad appostamenti o pedinamento del- la vittima prescelta.
In ogni caso, sarebbe stato onere della convenuta prova- re le concrete modalità di acquisizione del PIN da parte dell’ignoto utilizzatore abusivo, prova che invece è del tutto mancata.
I precedenti
Nessuna delle massime di cui in epigrafe fa registrare pre- cedenti editi su fattispecie analoga. Con riferimento al- l’uso (non di una tessera bancomat, ma) di un carta di credito si veda Giudice di pace Palermo, 26 giugno 2003, in Foro it., 2004, I, 956, il quale ha ritenuto che in caso di smarrimento o furto della carta di credito, tem- pestivamente denunciati dal titolare, l’istituto di credito è responsabile nei confronti di questi per l’addebito del- le somme corrispondenti alle spese effettuate con la car- ta di credito successivamente alla denuncia.
Si veda anche, in tema, Giudice di pace Pordenone, 29 luglio 1999, in Arch. civ., 2000, 85, il quale ha ritenuto che l’emittente della carta di credito ha l’obbligo di veri- ficare la correttezza delle operazioni prima di effettuare lo spostamento del denaro a favore del fornitore del ser- vizio retribuito con la carta; conseguentemente, nel caso di smarrimento o furto dello strumento elettronico di pagamento, l’emittente non può esercitare nei confron- ti del titolare il diritto al rimborso di somme pagate a causa dell’interposizione abusiva di altri soggetti non le- gittimati, perché nessun debito è mai sorto a carico del titolare.
Anche secondo Giudice di pace Genova-Sestri, 29 no- vembre 1999, in Foro pad., 2000, I, 127, con nota di Pe- ratello, nell’ipotesi di smarrimento della carta di credito la mancata tempestività della denuncia da parte del tito- lare, in caso di utilizzo da parte di terzi nel periodo pre- cedente alla denuncia, non determina la carenza di re- sponsabilità dell’esercente, qualora lo stesso abbia omes- so uno specifico controllo della corrispondenza della fir- ma apposta sullo scontrino di acquisto con la firma ap- posta sulla carta indebitamente utilizzata.
La giurisprudenza ha in più occasioni sottolineato la na- tura prepotentemente vessatoria di molte delle condizio- ni generali che regolano le convenzioni di suo di carte di credito e bancomat. Tra le più recenti decisioni al ri- guardo si veda Trib. Roma, 03 marzo 2005, in Guida dir., 2005, fasc. 30, 62, con nota di Xxxxxxxxxx, secondo cui l’ente emittente della carta di credito è responsabile per l’omesso controllo di conformità delle firme recate negli scontrini con quella apposta sulla carta di credito in ca- so di abusivo utilizzo da parte di estranei, essendo da ri- tenere nulla, per inosservanza della normativa posta a tutela del consumatore, la clausola che addossi al titola- re della carta ogni rischio discendente dall’omissione al dovere di custodia della medesima.
CONTRATTI E FISCO•SINTESI
Panorama fiscale
A cura degli Avv.ti XXXX XXXXXXX e XXXXXXXXX XXXXXXX Studio Uckmar
Fisco
LEASING IMMOBILIARE
Agenzia delle Entrate - Circolare 16 novembre 2006, n. 33; Risoluzione 27 novembre 2006, n. 134
Con circolare 16 novembre 2006, n. 33 (in xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx), l’Agenzia delle entrate ha illustrato le mo- dalità di registrazione telematica e di versamento dell’imposta proporzionale di registro per i contratti di lo- cazione, anche finanziaria, e di affitto di fabbricati, già assoggettati ad imposta sul valore aggiunto in virtù del- le disposizioni vigenti fino al 4 luglio 2006 e in corso di esecuzione a tale data.
Con successiva risoluzione del 27 novembre 2006, n. 134 (in xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx), la stessa Agenzia ha for- nito ulteriori chiarimenti, con particolare riferimento ai contratti di leasing immobiliare aventi ad oggetto im- mobili da costruire.
Invero, rispetto agli ordinari contratti di locazione, l’obbligatoria indicazione del termine finale della loca- zione, richiesta dalla procedura telematica di registrazione, ha fatto emergere per i contratti di locazione fi- nanziaria la difficoltà dovuta all’impossibilità di determinare la data finale del rapporto locatizio, essendo que- sta subordinata alla venuta ad esistenza dell’immobile.
Al riguardo, l’Amministrazione ha individuato la possibilità di procedere con diverse modalità, quali la regi- strazione telematica del contratto, inserendo quale data di inizio della locazione la data di stipula e come da- ta finale il termine di dodici mesi decorrente da tale data o la possibilità di registrare, alla scadenza dell’an- nualità, la proroga del contratto per una ulteriore annualità, qualora la data di scadenza della locazione risul- ti ancora imprevedibile. Sempre con riferimento alla fase antecedente alla realizzazione dell’immobile, l’A- genzia ha chiarito altresì che la base imponibile da assoggettare a tassazione è costituita dagli importi an- nualmente corrisposti dall’utilizzatore, anche a titolo di canoni di «prelocazione».
In relazione ai criteri per la determinazione della base imponibile da assoggettare a tassazione ai fini dell’im- posta di registro, invece, nella risoluzione è precisato che, ordinariamente, l’imponibile deve essere determi- nata sulla base della somma totale dei canoni da corrispondere per l’intera durata del contratto ma che, qua- lora il contribuente abbia optato per il pagamento dell’imposta su base annua, detto imponibile è costituito dal totale dei canoni mensili, costanti o variabili, corrisposti nell’arco dell’anno contrattuale.
In tale ultima ipotesi poi, per i contratti in essere al 4 luglio 2006, la base imponibile per l’annualità contrat- tuale comprendente tale data va determinata considerando tanti dodicesimi dell’intero canone annuo quan- ti sono i mesi del contratto, intercorrenti tra il 4 luglio e la prima scadenza contrattuale annuale.
Da ultimo, l’Agenzia ha rilevato la natura complementare dell’imposta relativa alle annualità successive a quella in corso al 4 luglio, in forza della quale il tributo può essere corrisposto anche per importi inferiori a 67 euro; ciò, peraltro, non senza precisare che l’imposta assolta all’atto della registrazione, relativa alla prima an- nualità contrattuale, si configura quale imposta principale, che non può mai essere inferiore a 67 euro.
STOCK OPTION
D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito nella L. 24 novembre 2006, n. 286
Com’è noto, l’art. 51, comma 2 bis, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir), dispone i criteri di tassazione di una particolare forma di reddito da lavoro dipendente, le stock option.
Dal punto di vista civilistico, per stock option s’intende, generalmente, il diritto di opzione attribuito, gratui- tamente o verso corrispettivo, al dipendente di una società per l’acquisto di azioni della società stessa o di al- tra società appartenente al medesimo gruppo.
La disciplina fiscale delle stock option è stata di recente modificata dall’art. 2, comma 29, D.L. 3 ottobre 2006,
n. 262, convertito nella L. 24 novembre 2006, n. 286 (in banca dati Ipsoa big).
In particolare, l’agevolazione fiscale prevista per le stock option secondo cui «la differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto al dipendente» non concorre a formare red-
CONTRATTI E FISCO•SINTESI
dito da lavoro dipendente (ai sensi dell’art. 51, comma 2, lett. g bis, Tuir) è ora applicabile esclusivamente qualora ricorrano congiuntamente le condizioni fissate dall’art. 51, comma 2 bis, Tuir.
Anzitutto, deve trattarsi di opzione esercitatile non prima che siano scaduti tre anni dalla sua attribuzione. Inoltre, la società deve risultare quotata nei mercati regolamentati nel momento in cui l’opzione è esercitatile. Infine, è necessario che il beneficiario mantenga, per almeno i cinque anni successivi all’esercizio dell’opzio- ne, un investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al mo- mento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto al dipendente.
In sostanza, con la disciplina attualmente vigente viene ristretto l’ambito temporale del beneficio, da un la- to, in riferimento al diritto di opzione che fin dalla sua attribuzione deve prevedere un termine minimo di tre anni in cui non può essere esercitato; dall’altro, in riferimento al vincolo quinquennale di inalienabilità del- le azioni che si riferisce ai titoli, oggetto di opzione, che rappresentino un valore non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto al dipendente.
SUCCESSIONI E DONAZIONI
D.L. 3 ottobre 2006, convertito in L. 24 novembre 2006, n. 286
Il D.L. 3 ottobre 2006 (c.d. «collegato alla finanziaria per il 2007»), convertito nella L. 24 novembre 2006,
n. 286, (in banca dati Ipsoa Big), ha riformato la disciplina sulle successioni e donazioni, reintroducendo, sot- to certi aspetti, la disciplina previgente alla soppressione dell’imposta, operata dalla L. 18 ottobre 2001, n. 383.
In proposito, la normativa di riferimento torna a essere il D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni), con alcune novità introdotte dalla legge in commento (art. 2, commi da 47 a 53, D.L. 262/2006).
Anzitutto, i trasferimenti di beni e di diritti per causa di morte, le donazioni e i trust, sono tassati sul valore complessivo netto dei beni con la seguenti aliquote:
- 4% per i trasferimenti al coniuge e ai parenti in linea retta, calcolata sul valore complessivo netto ecceden- te, per ciascun beneficiario, un milione di euro;
- 6% per le devoluzioni a favore degli altri parenti fino al quarto grado, affini in linea retta e affini in linea col- laterale fino al terzo grado;
- 8% per i trasferimenti a favore di tutti gli altri soggetti.
In sostanza, se il beneficiario è uno stretto parente del de cuius o del donante, è prevista una franchigia di un milione di euro, mentre, negli altri casi, non opera tale limite di valore, aumentando inoltre l’aliquota cui è parametrata la tassazione.
In secondo luogo, è evidente che la base imponibile non è più determinata dal valore dei singoli beni, bensì dalla massa patrimoniale netta trasferita (e, quindi, attività meno passività). A tal proposito, sono soggetti a tassazione gli immobili, le aziende, le azioni o quote sociali, le obbligazioni, i crediti, il denaro, i beni mobili, le quote di fondo comune d’investimento (limitatamente alla parte del loro valore corrispondente al valore dei titoli di Stato presenti nel fondo), mentre sono esenti i titoli di Stato.
Infine, merita di essere segnalata la diversa decorrenza temporale delle nuove norme in materia. Le norme sull’imposta di successione, infatti, si applicano (in riferimento alla data di apertura della successione) fin dal- la data di entrata in vigore del decreto, ossia dal 3 ottobre 2006, mentre per le donazioni le norme operano dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, ossia dal 29 novembre 2006. Di conseguenza, dal 3 ottobre sino a tale data si applicano le disposizioni del decreto nella sua originaria formulazione.
L’opponibilità della clausola
di riservato dominio al fallimento del concessionario nel contratto di concessione di vendita
di XXXXX XXXXXX
In materia di opponibilità al fallimento del concessionario del patto di riservato dominio contenuto nel contratto di concessione di vendita - in particolare di autoveicoli - si sono sviluppati contrastanti orienta- menti giurisprudenziali. Secondo un primo orientamento la previsione della riserva di proprietà nel solo accordo di concessione di vendita e la sua eventuale riproduzione nelle fatture commerciali sarebbero in- sufficienti a rendere il patto opponibile alla massa fallimentare mentre un secondo orientamento - coevo ma minoritario - tali formalità sarebbero sufficienti ai fini dell’opponibilità. Tali orientamenti si sono, tut- tavia, sviluppati in un contesto normativo diverso da quello attuale, modificato dapprima con il D.Lgs. n. 231/2002 in materia di lotta ai ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali e, successivamente, in occasione della recente riforma della disciplina fallimentare.
’L
Concessione di vendita e clausola di riservato dominio
ampliamento dei mercati da una scala nazionale ad una internazionale, l’esigenza di una produ- zione di massa, l’incremento della concorrenza,
la maggiore e più rapida mutevolezza dei gusti del pub- blico e la più rapida obsolescenza dei prodotti, impongo- no alle imprese produttrici un impegno crescente sul piano della commercializzazione dei propri prodotti ed una particolare attenzione nella pianificazione della pro- duzione in modo da tener conto delle condizioni e delle congiunture di mercati diversi, disciplinando, peraltro - su scala almeno nazionale - un’attività promozionale e pubblicitaria ormai indispensabile a sostenere la politica di marca ed a sollecitare il pubblico a preferire l’acquisto dei propri prodotti piuttosto che quelli dei concorrenti. In tale contesto, ormai da anni, ha acquisito un crescen- te rilievo la categoria dei c.d. contratti della distribuzio- ne commerciale attraverso i quali i produttori dei beni riescono ad assicurarsi una estesa distribuzione dei propri
Al riguardo occorre, in effetti, riconoscere che detto tipo contrattuale trova, nella prassi negoziale, applicazione in ambiti merceologici ed in settori di mercato estrema- mente eterogenei che finiscono, inevitabilmente, con il renderne complessa ed articolata l’analisi della struttura e dei suoi elementi essenziali lasciando, ad esempio, ora prevalere l’aspetto promozionale di un dato bene o mar- chio ed ora quello della distribuzione capillare di prodot- ti o servizi (1).
Nella presente analisi ci si riferirà, in modo particolare, allo schema del contratto di concessione di vendita in uso nel mercato automobilistico giacché è proprio in ri- ferimento a tale fattispecie negoziale che la giurispru- denza si è più frequentemente pronunciata sulla questio- ne in esame ed è proprio detta fattispecie ad aver ispira- to l’intervento normativo in materia di riserva della pro- prietà introdotto nel nostro Ordinamento attraverso la nuova disciplina in materia di lotta ai ritardi nei pagamen- ti nelle transazioni commerciali.
prodotti sul mercato finale ed a pianificare in modo più
agevole la propria produzione.
Nell’ambito di tale categoria - con particolare riferimen- to ad alcuni ambiti merceologici quali, ad esempio, quel- lo degli autoveicoli - particolare rilievo assume la fatti- specie negoziale del contratto di concessione di vendita, figura che - benché ormai diffusa nel nostro Paese da quasi un secolo - non ancora trovato una puntuale qua- lificazione nella dottrina e nella giurisprudenza che la ri- collegano ora allo schema del contratto quadro o norma- tivo ora a quello di somministrazione.
Nota:
(1) Per una più ampia analisi della fattispecie negoziale della concessione di vendita, si rinvia a X. Xxxxxxxx, Concessione di vendita, in Dig. Disc. Priv., Sez. Comm., III, Torino 1988, 233 e, dello stesso Autore, Conces- sione di vendita, merchandising, catering, in Il diritto privato oggi, a cura di X. Xxxxxx, Milano, 1993, X. Xxxxxx, Somministrazione, concessione di vendi- ta, franchising, in Trattato di diritto Commerciale, Sez. II, Tomo III, Torino, 2003, C. Crea, Concessione di vendita e dinamiche concorrenziali, in Rass. Dir. Civ., 3, 2004, 856, X. Xxxxx Priscoli, Atipicità della concessione di vendi- ta e disciplina applicabile, in Riv. dir. Comm., 2003, 6, 477, X. Xxxxxx, La Concessione di vendita, in I contratti di distribuzione, a cura di X. Xxxxxxx, Milano, 2006.
Nell’analizzare la prassi negoziale consolidatasi nel mer- cato automobilistico ci si avvede che - proprio allo sco- po di perseguire in modo più efficiente le finalità carat- teristiche degli accordi di distribuzione commerciale - nei contratti di concessione di vendita si rinviene il fre- quente inserimento di una clausola attraverso la quale il produttore o il rappresentante nazionale del produttore si riserva la proprietà degli autoveicoli venduti al con- cessionario in esecuzione del contratto sino all’integrale pagamento del prezzo da parte di quest’ultimo.
Si tratta di una previsione che risponde all’esigenza, for- temente avvertita nel settore, di individuare un compro- messo tra l’opportunità che il concessionario disponga costantemente di uno stock minimo di autoveicoli e l’impossibilità per il fornitore di rimanere esposto - nei confronti di tutti i concessionari aderenti alla propria re- te di vendita - al rischio che questi ultimi risultino inca- paci di far fronte alle proprie obbligazioni di pagamento e/o che a seguito dell’eventuale loro fallimento le auto- vetture restino acquisite alla massa con conseguente evi- dente difficoltà di recupero tanto del corrispettivo che dei beni venduti.
Nella prassi negoziale, generalmente la clausola conte- nente la riserva di proprietà viene inserita nei contrat- ti di concessione di vendita e - nella più parte dei casi - riprodotta sulle fatture relative agli autoveicoli forniti al concessionario mentre essa non è in alcun modo ri- confermata in occasione dell’ordine - da parte del con- cessionario - delle singole autovetture anche in consi- derazione del fatto che detto ordine viene normalmen- te trasmesso per via telematica direttamente allo stabi- limento di produzione e - salvo ipotesi eccezionali - au- tomaticamente accettato per inizio di esecuzione attra- verso il sistema informatico utilizzato per la gestione degli ordini.
’L
Il nuovo quadro normativo
efficacia della predetta clausola di riserva di pro- prietà, soprattutto nell’ipotesi di fallimento della concessionaria e conseguente esigenza del forni-
tore di recuperare gli autoveicoli in stock e/o resistere ad un’azione revocatoria da parte della Curatela volta alla restituzione degli autoveicoli recuperati prima del falli- mento o al pagamento del loro prezzo, è stata reiterata- mente posta in dubbio dalla giurisprudenza che negli ul- timi anni - salvo isolate pronunce - ha ritenuto detta clausola non opponibile al fallimento (2).
Il contesto normativo nel quale si è consolidato detto orientamento giurisprudenziale, peraltro, è stato modifi- cato dal D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, nel quale, al com- ma tre dell’art. 11, è stato previsto che «la riserva di pro- prietà di cui all’art. 1523 del codice civile, preventiva- mente concordata per iscritto tra l’acquirente ed il ven- ditore, è opponibile ai creditori del compratore se è con- fermata nelle singole fatture delle successive forniture avventi data certa anteriore al pignoramento e regolar- mente registrate nelle scritture contabili».
Tale disposizione, d’altra parte - in ragione della sua infeli- ce collocazione tra le «norma transitorie finali» - non sem- bra idonea a risolvere definitivamente la citata questione dell’efficacia della clausola di riserva di proprietà nei con- tratti di concessione di vendita di autoveicoli giacché, co- me si dirà meglio nel prosieguo, sussistono talune perples- sità tanto circa l’applicabilità di detta previsione alla fatti- specie in esame che circa la sua effettiva portata.
Più di recente, peraltro, il quadro normativo di riferi- mento è stato ulteriormente modificato per effetto del varo della nuova disciplina fallimentare nell’ambito del- la quale è stato chiarito - attraverso il nuovo testo del- l’art. 103 L.F. - che nei procedimenti di restituzione o ri- vendicazione si applica il regime probatorio di cui all’art. 621 Codice procedura civile.
In tale contesto appare, pertanto, ancora attuale - ed as- sume, anzi, rinnovato interesse - la questione relativa al- l’opponibilità al fallimento del compratore della clauso- la di riserva della proprietà contenuta negli accordi di concessione di vendita.
N
L’inopponibilità della clausola di riservato dominio al fallimento della concessionaria nella giurisprudenza
egli ultimi anni la giurisprudenza ha avuto di- verse occasioni di pronunciarsi sulla richiamata questione relativa all’opponibilità al fallimento
del concessionario della clausola di riserva di proprietà contenuta nel contratto di concessione di vendita.
Le due fattispecie in relazione alle quali si sono registra- te tali pronunzie concernono l’ipotesi nella quale la Cu- ratela del Fallimento proponga un’azione revocatoria al fine di veder privata di efficacia la riconsegna al fornito- re degli autoveicoli venduti al concessionario prima del fallimento e quella in cui il fornitore agisca nei confron- ti della Curatela al fine rivendicare la proprietà degli au- toveicoli rimasti in giacenza presso il concessionario al- l’atto del fallimento (3).
In entrambe le fattispecie i Giudici - sia di merito che di legittimità - mostrano di ritenere, salvo isolate pronun- ce, che detta clausola allorquando sia presente nel solo contratto di concessione di vendita, anche se riprodotta nelle singole fatture emesse dal fornitore e trasmesse al concessionario, non possa ritenersi opponibile alla Cu- ratela del Fallimento.
Note:
(2) Nel senso dell’inopponibilità al fallimento cfr: Cass. 20 maggio 1994, n. 4976, in Foro It., 1995, I, 893; Cass. 28 agosto 1995, n. 9035, in Mass. Giur. It., 1995; Cass. 22 ottobre 2002, n. 14891, in Mass. Giur. It, 2002; Cass. 7 aprile 2005, n. 7275, in Mass. Giur. It, 2005. Contra Trib. Mila- no, 25 agosto 2000, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xxxxx.xx/xxxx.xxx (sez. Docu- mentazione della Rivista on line “I Contratti”) e App. Milano 21 ottobre 2003, ivi.
(3) Per una panoramica degli effetti del Fallimento sul contratto di con- cessione di vendita si veda X. Xxxx, Gli effetti del fallimento sui contrat- ti di distribuzione, (concessione di vendita e franchising), in Dir. Fall. e soc. comm., 2001, 4.
Il ragionamento attraverso il quale si perviene a tale conclusione muove dalla previsione di cui al primo com- ma dell’art. 1524 Codice civile a norma della quale, co- me è noto «la riserva della proprietà è opponibile ai cre- ditori del compratore, solo se risulta da atto scritto aven- te data certa anteriore al pignoramento».
In conformità ad una rigorosa interpretazione di detta norma, la giurisprudenza prevalente ritiene che la previ- sione nel solo contratto di concessione di vendita della clausola di riservato dominio non valga a rendere la stes- sa opponibile ai terzi - tra i quali per consolidato orien- tamento giurisprudenziale viene fatto rientrare il Cura- tore quando agisce a tutela di un interesse della massa - in quanto, anche nell’ipotesi in cui detto accordo possa ritenersi dotato di data certa ai sensi dell’art. 2704 Codi- ce civile, in esso non potrebbero comunque ritenersi suf- ficientemente individuati i beni oggetto della riserva di proprietà.
La lettera e lo spirito della disposizione di cui all’art. 1524 Codice civile, infatti, esigerebbero proprio tale in- dividuabilità dei beni oggetto della riserva di proprietà al momento della consegna all’acquirente giacché - secon- do l’orientamento in parola - solo la puntuale individua- zione di detti beni sarebbe idonea a tutelare efficace- mente l’interesse dei terzi creditori dell’acquirente con- sentendo l’operatività dell’eccezione alla presunzione generale secondo la quale devono ritenersi appartenenti al debitore tutti i beni rinvenuti presso di esso.
Al riguardo, peraltro, in giurisprudenza si sottolinea l’esi- genza di non confondere detta individuabilità rilevante ai fini dell’opponibilità del patto di riservato dominio con la mera determinabilità dell’oggetto di un contratto rilevante in relazione alla validità dell’accordo stesso.
In questa prospettiva, la Suprema Corte ha chiarito che
«il requisito della determinabilità è soddisfatto quando siano indicate il tipo, le qualità o le quantità dei beni, ovvero i metodi per la loro determinazione; il secondo requisito che non attiene alla validità del contratto, ma all’operatività della clausola di riserva, si esplica con la determinazione del bene nella sua singolarità ed al man- tenimento di detta determinazione in concreto fino al pagamento integrale» (4).
Muovendo da detti presupposti la giurisprudenza pervie- ne alla rappresentata conclusione tanto laddove ritenga di qualificare la concessione di vendita come semplice contratto quadro o normativo tanto laddove qualifichi detto contratto come vero e proprio accordo di sommi- nistrazione.
Nel primo caso, infatti, i Giudici di legittimità ritengo- no che «la previsione di patto di riservato dominio in- serita nel contratto normativo intercorso tra le parti
Nel secondo caso, invece, l’inopponibilità del patto di riservato dominio al Fallimento dell’acquirente discen- derebbe dalla circostanza che la qualificazione del con- tratto come accordo di somministrazione e, dunque, di scambio ed anche l’eventuale determinabilità dei beni oggetto di detto accordo non farebbero «venire meno la necessità dell’individuazione del bene di genere nella sua singolarità al momento della consegna ed alla ne- cessità del mantenimento di detta individuazione fino al pagamento, ai fini dell’operatività della clausola di ri- serva» (6).
Nel formulare tale conclusione i Giudici della Suprema Corte muovono dal presupposto che la disposizione di cui all’art. 1524 Codice civile «è destinata ad operare es- senzialmente nell’ambito della procedura esecutiva mo- biliare che compete ai creditori sui beni patrimoniali del proprio debitore» al fine di sottrarre all’esecuzione beni che pur trovandosi presso il debitore non sono mai en- trati a far parte del suo patrimonio essendo rimasti in proprietà - in assenza dell’integrale pagamento del prez- zo - del venditore.
In tale contesto la questione della quale ci si sta occu- pando andrebbe affrontata e risolta - sempre secondo la Corte di Cassazione - in applicazione del consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale ai fini dell’esperibilità dell’azione ex art. 103 L.F. sarebbe neces- sario che la cosa mobile rivendicata «sia indicata in mo- do specifico, non essendo rivendicabili cose fungibili, anche se individuate al momento della consegna, a me- no che non sia intervenuto un fatto che ne abbia deter- minato l’individuazione e l’impossibilità di confusione con il patrimonio del fallito».
L’inserimento del patto di riservato dominio nel contrat- to di concessione di vendita, pertanto, pur integrando i presupposti della forma scritta e della certezza della data di formalizzazione richiesti dall’art. 1524 Codice civile difetterebbe del requisito della «individuazione dei beni nella loro singolarità».
Il richiamato orientamento giurisprudenziale esclude inoltre che ai fini dell’opponibilità della riserva di pro- prietà prevista nell’accordo di concessione di vendita, possa assumere rilievo la riproduzione di detta clausola su ogni singola fattura di vendita degli autoveicoli.
Secondo i Giudici, infatti, le fatture sarebbero meri do- cumenti contabili, privi di qualsivoglia efficacia negozia- le e, soprattutto, predisposti unilateralmente dal vendi- tore.
L’univocità dell’orientamento giurisprudenziale sin qui rappresentato è interrotta da due interessanti decisioni - rese sulla medesima vicenda - del Tribunale e della Cor-
produce soltanto effetti obbligatori tra queste ultime
che si substanziano nell’obbligo di inserire detta clauso- la in ciascuno dei contratti di vendita da stipularsi in epoca successiva, senza che detta xxxxxxxx possa ritener- si implicitamente applicabile e contenuta in questi ulti- mi» (5).
Note:
(4) Cfr. Cass. 28 agosto 1995, n. 9035 in Mass. Giur. It, 1995.
(5) Cfr. Cass. 22 ottobre 2002, n. 14891, in questa Rivista, 2003, 6, 586 con nota di X. Xxxxxxx.
(6) Cfr. Cass. 28 agosto 1995, n. 9035 in Mass. Giur. It, 1995.
te d’Appello di Milano nelle quali i giudici, pur essendo stati chiamati a pronunziarsi su una fattispecie del tutto analoga a quella già reiteratamente sottoposta al vaglio di altri magistrati in relazione ad un’azione revocatoria proposta dal fallimento di una concessionaria con riferi- mento alla restituzione di autoveicoli da quest’ultima al fornitore, sono pervenuti ad opposte conclusioni, rite- nendo opponibile al Fallimento la clausola di riserva del- la proprietà contenuta nel contratto di concessione di vendita e riprodotta sulle singole fatture (7).
Secondo i Xxxxxxx meneghini il Fallimento non potreb- be «giovarsi di documenti che, ad altri fini, vorrebbe tac- ciare di inopponibilità» con la conseguenza che la clau- sola di riservato dominio inserita nel contratto di con- cessione di vendita e riprodotta sulle singole fatture di vendita, dovrebbe ritenersi opponibile alla Curatela che
- nel caso in esame - aveva utilizzato proprio detti docu- menti per provare l’intervenuto acquisto degli autovei- coli oggetto della revocatoria.
Il principio che i Giudici del Tribunale e della Corte d’Appello di Milano pongono a base della propria deci- sione è, dunque, quello secondo cui o dei predetti docu- menti si tiene conto sia quale prova della vendita dal for- nitore al concessionario fallito degli autoveicoli sia della circostanza che tale vendita sia avvenuta con riserva del- la proprietà, o, al contrario di essi non si tiene in alcun modo conto con la conseguenza che, agli atti del giudi- zio, non potrebbe ritenersi sussistente alcuna prova in re- lazione al titolo in forza del quale il concessionario ha detenuto, per un certo intervallo di tempo, gli autovei- coli in questione.
La Corte d’Appello di Milano, per pervenire alla richia- mata decisione, propone, inoltre una soluzione nuova e stimolante della questione connessa all’assenza di natura negoziale delle fatture di vendita e della loro conseguen- te inidoneità a costituire prova dell’anteriorità del patto di riservato dominio al fallimento.
Secondo i Giudici milanesi, infatti, tale circostanza sa- rebbe del tutto irrilevante in quanto la volontà contrat- tuale delle parti risulterebbe «per tutte le forniture (rap- presentate dalle relative fatture) dal contratto originario (n.d.r.: l’accordo di concessione di vendita).
L’insieme dei documenti contrattuali versati in atti e la ricostruzione della cronologia degli eventi, in buona so- stanza, secondo la decisione con la quale la Corte d’Ap- pello di Milano ha confermato la Sentenza di primo gra- do, sarebbe sufficiente a ritenere il patto di riservato do- minio opponibile alla massa fallimentare ai sensi degli artt. 2704 e 1524, primo comma, Codice civile.
Si tratta, dunque, di una conclusione diametralmente opposta a quella cui si perviene nelle altre richiamate de- cisioni nelle quali - come si è visto - sulla base delle me- desime disposizioni di legge, i Giudici hanno ritenuto la clausola di riserva della proprietà contenuta nell’accordo di concessione di vendita inopponibile alla massa falli- mentare proprio in virtù di quanto disposto dagli artt. 2704 e 1524, primo comma, Codice civile.
L’unica apparente spiegazione di un tanto tangibile con- trasto tra i richiamati orientamenti giurisprudenziali sembra risiedere nella non esplicita considerazione - da parte dei Giudici del Tribunale e della Corte d’Appello di Milano - del problema relativo alla posizione di ter- zietà che nelle altre decisioni in materia è stata attribui- ta al Curatore del Fallimento.
È ovvio, infatti, che dal riconoscimento al Curatore del- la qualifica di terzo o, piuttosto, di parte - rectius avente causa della parte - rispetto all’accordo di concessione di vendita dipende il regime dell’opponibilità del patto di riservato dominio.
La circostanza, tuttavia, che nella motivazione della Sentenza resa dalla Corte d’Appello di Milano si faccia esplicito riferimento alla disciplina dettata dal primo comma dell’art. 1524 Codice civile induce a ritenere che anche i Giudici meneghini abbiano attribuito al Curatore del Fallimento la posizione di terzo rispetto al contratto all’origine del giudizio ma che - nonostante ciò
- abbiano ritenuto ad esso comunque opponibile il patto di riservato dominio contenuto in detto accordo.
Sembra, dunque, doversi ritenere che il maggior mo- mento di distanza tra i due citati orientamenti risieda nel differente approccio dei Giudici alla questione rimessa alla loro decisione: più sostanziale quello milanese e più formalista quello dei Giudici di legittimità e delle altre Corti di merito.
La clausola di riservato dominio nei contratti di concessione di vendita nella prassi negoziale e la sua opponibilità al Fallimento
del concessionario alla luce
L
della giurisprudenza e della vigente disciplina
a già richiamata disposizione introdotta nel nostro Ordinamento attraverso il III comma dell’art. 11 del D.Lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, secondo la quale
«la riserva di proprietà di cui all’art. 1523 del codice ci- vile, preventivamente concordata per iscritto tra l’acqui- rente ed il venditore, è opponibile ai creditori del com- pratore se è confermata nelle singole fatture delle suc- cessive forniture aventi data certa anteriore al pignora- mento e regolarmente registrate nelle scritture contabi- li», ad una prima lettura, indurrebbe a ritenere definiti- vamente superata la questione in esame nel senso che il patto di riservato dominio inserito nel contratto di con- cessione - e quindi preventivamente concordato - do- vrebbe ritenersi opponibile al fallimento del concessio- nario ogni qualvolta - come accade generalmente nella prassi negoziale - esso sia riprodotto sulle singole fatture e queste ultime siano regolarmente registrate nelle scrit- ture contabili.
Si tratta di una conclusione che, tuttavia - sebbene con- divisibile nella sostanza e probabilmente auspicabile su
Nota:
(7) Cfr. Trib. Milano, 25 agosto 2000 e App. Milano, 21 ottobre 2003, citt.
un piano di equilibrio ed equità nei rapporti tra le parti di un accordo di distribuzione - solleva talune perples- sità.
Innanzitutto occorre ricordare che l’ambito di applica- zione della richiamata previsione è circoscritto sul ver- sante temporale ai soli contratti conclusi dopo l’8 agosto 2002 e su quello della tipologia di rapporto alle sole
«transazioni commerciali» ovvero - a norma della defi- nizione di cui all’art. 2 dello stesso X.Xxx. 9 ottobre 2002,
n. 231 - ai «contratti, comunque denominati, tra impre- se ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo».
Tali limitazioni, in effetti, dovrebbero incidere in modo modesto sui rapporti di concessione di vendita - in parti- colare di autoveicoli - in quanto detti rapporti, per un verso, intercorrono generalmente tra imprese e, per altro verso, quelli attualmente in essere, sono stati nella più parte dei casi, conclusi successivamente all’8 agosto 2002, avendo la relativa disciplina negoziale formato og- getto di profonda rivisitazione e rinegoziazione a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento (CE) n. 1400/2002 della Commissione del 31 luglio 2002 relati- vo all’applicazione dell’articolo 81, Paragrafo 3, del Trat- tato a categorie di accordi verticali e pratiche concorda- te nel settore automobilistico.
A prescindere da tali profili, Autorevole dottrina ha escluso che la disposizione in commento possa sostitui- re - sebbene limitatamente ai rapporti ricadenti nel suo ambito di applicazione - la vigente disciplina di cui al primo comma dell’art. 1524 Codice civile in tema di opponibilità della clausola di riserva della proprietà ed ha ritenuto che essa debba piuttosto essere letta come
«criterio aggiuntivo nella soluzione del conflitto con i terzi» (8).
In tale prospettiva, pertanto, il produttore - ai fini del- l’opponibilità al Fallimento del concessionario della ri- serva di proprietà dovrebbe sostanzialmente preoccupar- si oltre che di far constare il patto di riservato dominio nei modi e nelle forme di cui al combinato disposto de- gli artt. 1524 e 2704 Codice civile, anche di riprodurre detto patto sulle singole fatture di vendita, provvedendo poi alla loro regolare registrazione.
Si tratta di conclusione difficilmente condivisibile in quanto in contrasto oltre che con la lettera della previ- sione di cui all’art. 11 anche con la lettera e lo spirito di quella comunitaria dalla quale trae origine, ovvero l’art. 4 della Direttiva 2000/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 giugno 2000 relativa alla lotta con- tro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Tale ultima disposizione, infatti, rubricata proprio «Ri- serva di proprietà» prevede - con formulazione assai più ampia di quella poi inserita nella disciplina nazionale di recepimento - che «gli Stati membri provvedono in conformità con le disposizioni nazionali applicabili se- condo il diritto internazionale privato affinché il vendi-
tore conservi il diritto di proprietà sui beni fintanto che essi non siano stati pagati totalmente, qualora sia stata esplicitamente concordata una clausola di riserva di pro- prietà tra l’acquirente e il venditore prima della conse- gna dei beni».
Nella disciplina comunitaria, dunque, l’unico presuppo- sto necessario ai fini dell’opponibilità della clausola di ri- servato dominio è rappresentato dalla sua esplicita pre- visione - anche in forma orale e senza esigenza di data certa - in epoca anteriore alla consegna del bene.
In tale contesto proporre una lettura restrittiva della di- sposizione nazionale di attuazione, appare per un verso un’operazione non condivisibile sotto un profilo esegeti- co interpretativo e, per altro verso, rischiosa sotto un profilo delle conseguenze sul piano della necessaria omo- geneità della disciplina dei rapporti di concessione di vendita in essere in ambito europeo.
Al riguardo occorre, infatti, tener presente - con partico- lare riferimento al mercato automobilistico - che tanto la prassi negoziale quanto la già richiamata disciplina co- munitaria della materia tendono, ormai, a tratteggiare gli accordi di distribuzione selettiva di autoveicoli come un fenomeno di respiro europeo e destinato, pertanto, ad essere regolamentato in modo uniforme tra il produttore ed i diversi membri nazionali della propria rete e/o tra questi ultimi e i diversi rappresentanti nazionali di un produttore europeo o extra-europeo.
A prescindere, peraltro, dalla nuova disciplina della ma- teria, le stesse conclusioni cui la giurisprudenza preva- lente è pervenuta in epoca precedente a proposito della questione in esame non appaiono condivisibili in quan- to, tra l’altro, difficilmente conciliabili con la prassi ne- goziale del settore.
Come si è anticipato, infatti, secondo detto orientamen- to giurisprudenziale ai fini della opponibilità al Falli- mento del concessionario del patto di riservato dominio non sarebbe sufficiente la previsione di detto patto nel contratto di concessione di vendita - a prescindere dalla qualificazione di detto accordo - né la sua riproduzione sulle singole fatture in quanto detta procedura sarebbe comunque inidonea a consentire di individuare i singoli beni cui si riferisce il patto.
La principale perplessità relativa a detta conclusione di- scende dalla circostanza che essa appare poco attenta al- la natura ed alla qualificazione del contratto di conces- sione di vendita ed alle conseguenze che da tali aspetti potrebbero discendere in relazione proprio all’opponibi- lità della clausola di riservato dominio.
Si è già detto, infatti, che nella prassi contrattuale gene- ralmente a seguito del perfezionamento del contratto di concessione di vendita tra le parti non intercorre alcun al- tro accordo in forma scritta, in quanto il concessionario si
Nota:
(8) X. Xxxxxxxx, Commento all’art. 1524, in Il Codice Civile, Commentario, fondato e già diretto da X. Xxxxxxxxxxx, continuato da F. D. Xxxxxxxx, Mi- lano, 2004.
limita ad ordinare - generalmente per via elettronica - gli autoveicoli allo stabilimento di produzione mentre il pro- duttore o il suo rappresentante nazionale si limitano ad ac- cettare tale ordine per inizio di esecuzione, avviando il pro- cesso di produzione e spedizione di detto autoveicolo.
Successivamente - contestualmente alla spedizione dell’autovettura - il fornitore provvede ad emettere fattura nei confronti del concessionario, avendo cura di riprodurre su tale fattura la clausola di riserva della proprietà già presente nel contratto di concessione di vendita.
La tesi secondo la quale il patto di riservato dominio do- vrebbe risultare da un atto in forma scritta e dotato di da- ta certa relativo alla singola operazione di compravendi- ta di un autoveicolo, pertanto, si scontra irrimediabil- mente con la prassi del settore ed appare, d’altro canto, incompatibile con le esigenze di speditezza di tali rappor- ti almeno sin tanto che, in essi, non si diffonda l’uso dei nuovi strumenti informatico-giuridici quale, ad esempio, la posta elettronica certificata recentemente disciplinata nel nuovo codice dell’amministrazione digitale (9) e nel
D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68.
A prescindere da tale considerazione, peraltro, non si comprende come - almeno laddove al contratto di con- cessione di vendita venga attribuita natura di accordo di somministrazione così come ritenuto in alcune delle già segnalate decisioni - possa sostenersi che la clausola di ri- servato dominio non sia opponibile al fallimento del cu- ratore in quanto i beni cui essa si riferisce non sarebbero singolarmente individuabili.
Appare, infatti, evidente che detta clausola deve rite- nersi efficace - senza l’esigenza di alcuna ulteriore mani- festazione di volontà delle parti - in relazione a tutti gli autoveicoli forniti al concessionario in esecuzione del- l’accordo di concessione di vendita e che, pertanto, non vi sia spazio per incertezza alcuna circa l’individuazione dei beni cui detta clausola si riferisce; con la sottoscrizio- ne dell’accordo di concessione, d’altra parte, si esaurisce inevitabilmente l’attività negoziale delle parti e tutto ciò che ne consegue non può che avere natura meramente esecutiva rispetto alle originarie intese raggiunte.
A ciò sembra, inoltre, opportuno aggiungere che - come peraltro correttamente rilevato dai Giudici del Tribuna- le e della Corte d’Appello di Milano nelle due sentenze già richiamate - l’individuazione dei singoli autoveicoli forniti al concessionario con riserva di proprietà è raffor- zata dalla trasmissione a quest’ultimo delle fatture di vendita riportanti per un verso la predetta clausola e, per altro verso, il numero di telaio dell’autoveicolo, ovvero, l’unico elemento in grado di consentire un’individuazio- ne univoca del bene in epoca anteriore alla sua immatri- colazione.
Ciò salvo a voler ritenere - ma una simile interpretazio- ne non appare autorizzata dal tenore letterale delle deci-
beni del medesimo genere presenti, in ipotesi, presso i lo- cali dello stesso concessionario perché acquistati da sog- getti diversi.
Con riferimento a tale ipotesi, tuttavia, appare necessa- rio rilevare, da una parte che la puntuale individuazione degli autoveicoli forniti al concessionario in esecuzione del contratto di concessione di vendita dovrebbe essere resa possibile dai riferimenti ai numeri di telaio riportati sulle relative fatture e, per altro verso, che tale profilo di rischio permane inalterato anche laddove siano pun- tualmente rispettate le forme idonee - secondo il richia- mato orientamento giurisprudenziale - a rendere oppo- nibile al fallimento del concessionario il patto di riserva- to dominio.
Al riguardo, d’altra parte, non va dimenticato che la di- sciplina di cui al primo comma dell’art. 1524 Codice ci- vile, a differenza di quella dettata al secondo comma, non ricollega l’opponibilità del patto di riservato domi- nio ad alcuna forma di pubblicità.
Se ci si ferma a riflettere sulla ratio della disciplina di cui al primo comma dell’art. 1524 Codice civile e sulle mo- dalità attraverso le quali il legislatore ha ritenuto di indi- viduare un regime di compromesso tra gli interessi del venditore e quelli dei creditori del compratore, peraltro, appare possibile pervenire ad analoghe conclusioni an- che laddove si ritenga di qualificare il contratto di con- cessione di vendita quale semplice contratto quadro o normativo.
Il legislatore, infatti, non prevedendo - nell’ipotesi di- sciplinata al primo comma dell’art. 1524 Codice civi- le - uno specifico regime di pubblicità appare, sostan- zialmente, preoccuparsi unicamente di sottrarre i cre- ditori del compratore dal rischio di operazioni di retro- cessione loro pregiudizievoli tra il venditore ed il com- pratore.
Tale obbiettivo appare perseguito attraverso una disci- plina - almeno in astratto - idonea a consentire ex post l’accertamento circa l’avvenuto o meno trasferimento della proprietà del bene dal venditore al compratore in epoca anteriore al pignoramento e/o al fallimento.
In tale contesto, tuttavia, l’esistenza di un contratto nor- mativo attraverso il quale le parti abbiano previsto che ogni futura vendita tra loro perfezionata sarebbe stata as- sistita dalla riserva della proprietà in favore del vendito- re, dovrebbe considerarsi di per sé idonea a rendere det- to patto opponibile al creditore del compratore salvo che questi non provi che detta originaria intesa è stata successivamente modificata dalle parti.
D’altra parte, nella prassi negoziale, la standardizzazione dei rapporti tra fornitori e concessionari fa si che una di- versificazione delle modalità di vendita non sia neppure astrattamente ipotizzabile.
Il contesto giurisprudenziale incerto ed i dubbi - sebbe-
sioni segnalate - che l’indeterminatezza cui si fa riferi-
mento in giurisprudenza non attenga al profilo materia- le connesso al rischio di confusione tra detti beni ed altri
Nota:
(9) D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82.
ne, a nostro avviso, superabili - avanzati in dottrina cir- ca l’idoneità della nuova disciplina a risolvere definitiva- mente la questione esaminata, suggeriscono comunque - almeno ove ciò risulti possibile in relazione ai rapporti tra le parti - di intervenire sulla prassi negoziale nel sen- so di prevedere che l’eventuale ritiro di autoveicoli in giacenza presso un concessionario in caso di incapacità di quest’ultimo a provvedere al loro pagamento sia, al- meno, preceduto da un negozio ricognitivo perfezionato con atto di data certa nel quale viene chiarito che tutte le vendite relative a detti autoveicoli sono avvenute in esecuzione dell’originario contratto di concessione di vendita e sono, pertanto, assistite dalla riserva di pro- prietà prevista in detto accordo.
Tale rimedio, infatti, secondo dottrina e giurisprudenza, vale a rendere, in ogni caso, opponibile al Fallimento la clausola di riserva della proprietà ancorché originaria-
mente presente nel solo contratto di concessione di ven- dita (10).
Nota:
(10) Cass. 13 maggio 1991, n. 5324 e Cass. 6 febbraio 1986, n. 723 in La Giurisprudenza sul Codice Civile coordinata con la dottrina, Libro IV, delle ob- bligazioni, (a cura di X Xxxxxx): “Con riguardo alla vendita di un bene mobi- le, con riserva di proprietà, che può essere validamente stipulata anche ver- balmente, l’atto scritto è necessario solo ai fini dell’opponibilità della detta ri- serva di proprietà ai creditori del compratore e può consistere, oltre che nel- la scrittura contenente le dichiarazioni negoziali originarie, anche in docu- mento successivo alla vendita inteso ad accertare o riconoscere l’avvenuta stipulazione della riserva e redatto al solo fine di acquisire certezza di data ai fini dell’opponibilità atteso che, secondo il dettato dell’art. 1524 c.c., la sud- detta riserva deve risultare da atto scritto ma non necessariamente trovare nell’atto scritto la fonte negoziale del rapporto. Pertanto il patto di riservato dominio, che sia munito di data certa anteriore alla dichiarazione di falli- mento del compratore è opponibile alla massa fallimentare anche se stipula- to successivamente alla vendita del bene mobile, salva l’inefficacia del me- desimo patto derivante dall’esercizio di azione revocatoria fallimentare volta a far valere la non con testualità tra la riserva di proprietà e la vendita”.
Clausole inique e tutela inibitoria
di XXXXXX XXXXXXXX
L’emanazione del Codice del consumo ed alcune recenti azioni inibitorie contro la predisposizione di clau- sole inique, contenute nelle condizioni generali di contratto, promosse di recente da alcune Camere di Com- mercio, rendono opportuni alcuni chiarimenti sulle peculiarità e sulle potenzialità di tale «strumento».
Tale actio, infatti, mira ad inibire, mediante intervento del giudice competente, l’uso delle condizioni con- trattuali di cui sia accertata l’abusività non limitatamente al caso concreto ma erga omnes, onde preveni- re l’adozione di future clausole improntate a vessatorietà.
T
I casi più recenti
ra le pronunce più recenti in materia di azione inibitoria contro l’inserimento di clausole inique nelle condizioni generali di contratto, promosse
dalle Camere di Commercio, si segnalano le sentenze
(1) del Tribunale di Ancona del 28 febbraio 2005, n. 858 (C.C.I.A.A. di Ancona v. «Agenzia immobiliare» (2)), e del Tribunale di Padova dell’11 maggio 2004 (C.C.I.A.A. di Padova v. «Società di multiproprietà» (3)). Il 25 marzo 2003 la C.C.I.A.A. di Ancona conveniva in giudizio una locale Agenzia immobiliare al fine di accer- tare la vessatorietà, ai sensi dell’art. 33 Codice del con- sumo (già art. 1469 bis Codice civile), di alcune clauso- le, individuate dalle lettere: I) ed L), contenute nel mo- dulo «Patto chiaro di proposta di acquisto immobiliare» utilizzato nell’esercizio dell’attività di mediazione immo- biliare, perché fonte di un rilevante squilibrio del sinal- lagma contrattuale, chiedendo pertanto l’inibizione del loro utilizzo ai sensi dell’art. 37 codice consumo (già art. 1469 sexies Codice civile).
Le clausole contestate nel contratto oggetto della sen- tenza in commento sono la I) e la L) del modulo «patto chiaro di proposta di acquisto immobiliare»: la lett. I) di- sciplina la irrevocabilità ed il termine di inefficacia della proposta; la lettera L) attiene alla revoca della proposta ed alla conseguente perdita del deposito cauzionale e del relativo compenso.
La clausola di cui alla lett. I), contemplando l’irrevoca- bilità della proposta, comporta che il consumatore, il cui intento sia l’acquisto del bene immobile e che a tale spe- cifico fine abbia sottoscritto l’apposita pattuizione, con contestuale annesso deposito di due distinti titoli di cre- dito, rispettivamente per deposito cauzionale (lett. B1) e per caparra confirmatoria (lett. B2), si trovi nell’impos-
Irrevocabilità della singola proposta di acquisto significa, pertanto, definitivo vincolante impegno del consumato- re - acquirente; al contrario l’esecuzione della prestazio- ne (da parte dell’agente immobiliare e del venditore che viene formalmente rappresentato dallo stesso agente) viene rimessa, in via esclusiva, alla discrezionalità della controparte.
È di tutta evidenza, ed ogni ulteriore considerazione è su- perflua, come lo squilibrio contrattuale (4) emerga in modo incontrovertibile: è il solo consumatore che si ob- bliga incondizionatamente; non altrettanto, invece, il professionista.
L’agenzia immobiliare esercita, infatti, attività di inter- mediazione immobiliare (in genere) con particolare rife- rimento alla compravendita, permuta, locazione ed affit- to di immobili rustici ed urbani, avvalendosi in modo professionalmente consapevole della summenzionata modulistica contenente determinate clausole della cui portata è oltremodo ben avvertita.
Del resto, ai sensi dell’art. 33, comma 2, lett. d), Codice consumo si presumono vessatorie le clausole che preve- dano un impegno definitivo del consumatore, mentre l’esecuzione della prestazione (da parte del professioni- sta) sia subordinata ad una condizione il cui adempi- mento dipenda unicamente dalla sua volontà.
Il «patto chiaro di proposta d’acquisto», oggetto della pronuncia emessa dal Tribunale di Ancona altera, inol- tre, proprio il concetto di mediazione quale tipizzato dal- l’art. 1751, comma 1, Codice civile, secondo il quale il diritto del mediatore alla provvigione sorge tutte le vol- te in cui egli abbia messo in relazione due o più parti per la conclusione di un singolo determinato affare e que- st’ultimo sia stato concluso per effetto del suo interven-
sibilità di revocare la propria proposta (lett. L) sino alla
data convenuta entro la quale il venditore, invece, rima- ne del tutto libero di esprimere (o meno) la propria ac- cettazione. Nel caso in cui, però, l’accettazione non per- venga entro il termine convenuto, i titoli creditizi de qui- bus saranno oggetto di restituzione all’acquirente privi di interessi, «naturalmente», con annessa esclusione di ogni ulteriore pretesa a fini risarcitori.
Note:
(1) Entrambe inedite.
(2) Nome convenzionale, di mera fantasia, utile alla comprensione della fattispecie giuridica concreta.
(3) Vedi nota precedente.
(4) Per tutti v. X. Xxxxxxx, De jure belli: l’equilibrio del contratto nelle im- pugnazioni, in Riv. Dir. Civ., 2004, I, 27 ss.; ivi ampia bibliografia sul tema.
to e la sua attività, nota ai contraenti, sia stata da essi ac- certata. (5)
Il mediatore (sia egli persona fisica o un’apposita agen- zia) deve, difatti, essere comunque necessariamente im- parziale nei confronti delle parti del futuro contratto concluso per effetto del suo intervento; nel modulo con- testato (per cui è stata causa), invece, vi è squilibrio a fa- vore esclusivo della parte venditrice.
Pertanto, se il mediatore dà anche assistenza e tutela, de- ve darla, in modo equilibrato e paritetico, a favore di en- trambe le parti; in caso contrario, si riconduce il patto in oggetto ad uno schema ben al di fuori della tipologia le- gale così come disciplinata dal Codice Civile (art. 1755 Codice civile).
Nel caso di specie è stata posta in essere, pertanto, un ti- po (irrituale e non consentito) di mediazione, addirittu- ra contra legem; il mediatore professionale, infatti, non può finire per rappresentare, in modo sbilanciato nel si- nallagma contrattuale del contratto di mediazione e del futuro contratto di compravendita concluso per effetto della medesima, una soltanto delle parti (il promittente alienante), allorché si ponga come controparte, nell’am- bito di un analogo contratto di mediazione, del cliente acquirente.
Il mediatore deve essere, invece, parte esclusivamente del contratto di mediazione, non anche del contratto di compravendita che ne costituisce la logica conseguenza, ciò anche se il contratto di mediazione sia caratterizzato da due patti: l’uno di esclusiva (che comporti l’impegno di non avvalersi dell’opera di altri mediatori), l’altro di irrevocabilità (che escluda la possibilità di recesso prima dello spirare del periodo stabilito) (6).
L’esclusività, tuttavia, non può essere intesa nel senso di ri- tenere vincolata (senza limiti) la sola parte acquirente, non anche il venditore. Nell’apposito conferimento al mediatore dell’incarico in esclusiva per un determinato periodo di tempo, il termine «di esclusiva» ha la sola pre- cipua finalità di garantire il mediatore dall’attività con- corrente di altri mediatori; null’altro. Detta garanzia, per- tanto, non può ottenersi squilibrando il rapporto fra ven- ditore ed acquirente, ad esclusivo favore del primo. (7) Inoltre, la agenzia immobiliare, parte convenuta, non ha provato, ai sensi dell’art. 2697 Codice civile, che alla sti- pula del «patto» si sia pervenuti all’esito di apposita trat- xxxxxx, recante l’attivo fattivo contributo anche del po- tenziale acquirente (8).
Nel secondo caso, invece, la Camera di Commercio di Padova, istruita la pratica tramite la propria Commissio- ne di Controllo Clausole Inique, aveva ritenuto sussiste- re la vessatorietà delle condizioni generali di contratto utilizzate dalla «Società di Multiproprietà», e deliberava di esperire l’azione inibitoria ai sensi dell’art. 1469 sexies Codice civile (oggi art. 37 Codice consumo).
Il Tribunale di Padova rileva, preliminarmente, che con il modello negoziale oggetto del giudizio inibitorio, la
«Società di Multiproprietà» vende alle proprie controparti un «Certificato di Associazione» che conferisce al tito-
lare il diritto di occupare, godere e utilizzare in modo pie- no ed esclusivo, per una settimana a scelta nell’arco di ogni anno, un appartamento inserito in un ben identifi- cato complesso turistico residenziale.
Trattasi dunque di un contratto «relativo all’acquisizio- ne di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili» come tale soggetto sia al regime generale di cui agli artt. 0000 xxx xx. Xxxxxx xxxxxx (xxx artt. 33 ss., Codice consumo), concernenti le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, sia alla specifica di- sciplina dettata dal D.Lgs. 9 novembre 1998, n. 427 (ora trasfuso negli artt. 69 e 81, Codice consumo).
Dalla disamina attenta delle clausole contenute nel con- tratto per cui è causa, emerge come non vengano indi- cati taluni degli elementi che, a norma dell’art. 3, com- ma 2 del D.Lgs. n. 427 (ora art. 71, comma 2, Codice consumo), debbono essere «contenuti e indicati con precisione» nel testo di un contratto relativo ad un dirit- to di godimento a tempo parziale di un immobile, ed in particolare gli elementi di cui all’art. 2, comma 1, lett. a),
b) e c), del D.Lgs. n. 427 (ora art. 70, comma 1, Codice consumo) ovvero: la natura del diritto di godimento e le relative condizioni di esercizio, l’identità del venditore del complesso immobiliare, la descrizione dell’immobile e l’indicazione degli atti che garantiscono la conformità dell’immobile alle prescrizioni normative richieste dalla legge.
La carenza di tali elementi rende la clausola generica e quindi non trasparente ai sensi dell’art. 1469 quater Co- dice civile (oggi art. 35 Codice consumo) nonché vessa- toria ai sensi dell’art. 1469 bis, comma 1, Codice civile (ora art. 33, comma 1, Codice consumo), poiché essa ha per effetto di consentire al professionista «di modificare unilateralmente le caratteristiche del prodotto» (si veda la «presunzione» di cui al n. 11 del comma 3, del mede-
Note:
(5) Ex plurimis: Cass. 14 aprile 1994, n. 3472, in Foro It. 1994, I, 1722; e da ultimo si veda App. Milano, 12 maggio 2004, in questa Rivista, 2005, 740.
(6) Vedi Cass. 1 marzo 1974, n. 568, in Giust. Civ., 1974, I, 379.
(7) Di certo, i patti di esclusiva e di irrevocabilità temporanea sono ben compatibili con il rapporto di mediazione, in quanto rappresentano delle semplici cautele ai fini di un motivato ripensamento del proponente, le- gittimamente consentito nell’ambito dei poteri di autonomia spettanti al- le parti; tuttavia, l’attività di mediazione diviene atipica allorché si impri- me al rapporto una regolamentazione diversa da quella legale, stabilendo il diritto del mediatore al compenso anche nel caso di revoca anticipata dell’incarico oltre che al verificarsi della conclusione del fatto. V. sul pun- to: Xxxx. 16 febbraio 1998, n. 1630, in Foro It., 1999, I, 2662; ed in parti- colare Cass. 28 marzo 1997, n. 2766, in questa Rivista, 1997, 404, secon- do la quale con riguardo ad un incarico a promuovere la stipulazione di un contratto, le parti, avvalendosi dei poteri ad esse derivanti dall’autonomia contrattuale, possono derogare al principio fissato dall’art. 1755 Codice civile, stabilendo il diritto del mediatore al compenso anche in caso di re- voca anticipata del mandato.
(8) Cass. 16 gennaio 1959, n. 107, in Giur. It., 1959, I, 1, 971, e in Giust. Civ., 1959, I, 1996; in senso conforme già Cass. 22 ottobre 1956, n. 3817, ivi, 1957, I, 223, e in Foro It. 1957, I, 2106, ed ancora in Giur. It., 1957, I, 1, 153; Cass. 13 gennaio 1987, n. 136, in Arch. Civ., 1987, 260.
simo art. 33 Codice consumo) e di «accertare la confor- mità del bene o del sevizio a quello previsto nel contrat- to» (v. la «presunzione» di cui al n. 14 del comma 3, ap- pena citato).
Le clausole n. 2.2 e 6.1 del contratto, oggetto dell’azione inibitoria della Camera di Commercio di Padova, poi, sono entrambe scritte con caratteri molto più piccoli ri- spetto a quelli utilizzati per le altre clausole del contratto e appaiono graficamente confuse, risultando prive dei necessari requisiti di chiarezza e comprensibilità che so- no richiesti dall’art. 1469 quater, comma 1, Codice civi- le (ora art. 35 Codice consumo), e sono conseguente- mente «abusive» ai sensi dell’art. 1469 sexies, comma 1, Codice civile (oggi art. 37 Codice consumo).
La clausola n. 4.3 con la quale la «Società di Multipro- prietà» «si riserva la facoltà di rilasciare, con oneri e costi a carico dell’Acquirente, idonea polizza fidejussoria a ga- ranzia dell’acquisto» è, inoltre, vessatoria in quanto po- ne a carico del consumatore oneri e costi che non sono preventivamente quantificati.
La clausola n. 6.2 che testualmente recita «In ipotesi di recesso l’Acquirente sarà tenuto in ogni caso a rifondere a (…) le spese per trasferta del personale, spese telefoni- che, stipula contratto mailing, etc. quantificabili in Euro 330,00 nonché gli altri costi documentabili già sostenu- ti da (…) per la conclusione del contratto con riferi- mento esclusivo ad attività già espletate prima del perio- do di recesso» è totalmente invalida e inoperante, in correlazione alla mancata indicazione degli elementi ob- bligatori del contratto, sicché la clausola è vessatoria ai sensi dell’art. 1469 xxx, xxxxx 0, x. 0 Xxxxxx xxxxxx (xxx art. 33, comma 2, lett. f) in quanto avente l’effetto di
«imporre al consumatore ... il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, d’importo manifesta- mente eccessivo».
C
Il combinato disposto degli artt. 1341-1342 Codice civile e 33 ss. Codice consumo
ome osservato, nella recente pronuncia del Tri- bunale di Ancona, il fatto stesso che il «profes- sionista» (nella fattispecie una agenzia immobi-
liare), predisponente l’apposito modulo stampato, ri- chieda al privato consumatore l’espressa approvazione della specifica clausola, ai sensi dell’art. 1341 Codice ci- vile, ne evidenzia la potenziale vessatorietà, che richiede la verifica, ove attivata, da parte dell’autorità giudiziaria competente. (9)
Emerge, perciò, in modo chiaro, il combinato disposto sistematico ermeneutico internormativo degli artt. 1341-1342 Codice civile e artt. 33-36 Codice consumo. La ratio di queste ultime disposizioni, non sostitutive ma rafforzative del disposto normativo precedentemente esistente, consiste proprio nella scelta, in capo al legisla- tore, di tutelare ulteriormente il consumatore, parte fi- siologicamente più debole.
Si ricordi, infatti, come la normativa di cui agli artt. 33 ss. Codice consumo (già 1469 bis ss. Codice civile), at-
tuativa della direttiva 93/13/CEE (10) in tema di clauso- le abusive nei contratti stipulati con i consumatori, è ag- giuntiva rispetto alla tutela, limitata esclusivamente al singolo caso concreto, di cui agli artt. 1341 e 1342 Codi- ce civile, fornendo una tutela più circostanziata, più in- cisiva, nel rapporto tra professionista e consumatore.
Il singolo consumatore, pertanto, ove si ritenga leso da una concreta clausola negoziale, può, tuttora, ricorrere, al tribunale competente, in alternativa, oltre che ex artt. 33 ss. Codice consumo, anche ai sensi degli artt. 1341 e 1342 Codice civile.
’L
Inibitoria come tutela degli interessi collettivi art. 2 (11), comma 1, Codice consumo, al pari dell’abrogata L. n. 281/1998, riconosce, pertan- to, esplicitamente gli interessi collettivi (12) dei
consumatori (13).
Note:
(9) L’art. 1341, comma 2, Codice civile sancisce l’inefficacia di quelle condizioni negoziali che stabiliscano, a favore di colui che le abbia predi- sposte, limitazioni di responsabilità… ovvero sanciscano a favore dell’al- tro contraente limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni al- la libertà contrattuale nei rapporti con i terzi.
(10) Con l’art. 25 della L. 6 febbraio 1996, n. 52 (Legge comunitaria 1994), il legislatore italiano ha introdotto nel Codice civile, un nuovo ca- po XIV bis, dedicato ai contratti dei consumatori nel Libro IV, Titolo II del Codice civile (art. 1469 bis ss.) e dando definitiva cittadinanza ad un ambito disciplinare ormai noto come «diritto dei consumatori». Con ta- le legge si è data attuazione alla direttiva 93/13/CEE (in GUCE, n. L. 95 del 21 aprile 1993, 19 ss.), v. X. Xxx, Clausole vessatorie: una svolta storica (ma si attuano così le direttive comunitarie?), in Contr. impresa/Europa, 1996, 431 ss.; F.D. Busnelli - X. Xxxxxxx, La direttiva 93/13/CEE del 5 aprile 1993 sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, in Riv. not., 1995, 370 ss.; X. Xxxxxxx Xxxxxx, Le clausole abusive nei contratti conclusi con i consumatori (direttiva 93/13/CE), in Riv. dir. civ., 1995, I, 347 ss.; R. Par- dolesi, Clausole abusive, pardon vessatorie: verso l’attuazione di una direttiva abusata, in Riv. crit. dir. priv., 1995, 528 ss. La disciplina è stata successi- vamente «rettificata» con l’art. 25 della L. 21 dicembre 1999, n. 526 (Legge comunitaria 1999); vedi tra i commenti a tale «rettifica»: D. Maf- feis, La modifica della disciplina dei contratti del consumatore, in questa Rivi- sta, 2000, 271 ss.
(11) Xxxx X. Xxxx, Sub Art. 2 «Diritti dei consumatori», in G. Alpa - X. Xxxxx Xxxxxx (a cura di), Codice al Consumo, Napoli, 2005, 31 ss.
(12) Sul punto X. Xxxxxxxxx, Appunti sulle tecniche di tutela collettiva dei consumatori, in xx.xxxxxxxx.xx.; M. Dona, Il codice del consumo. Regole e si- gnificati, Torino, 2005, 76 ss. e 193 ss.
(13) Gli interessi ’diffusi’e gli interessi ’collettivi’sono accomunati dal fat- to di riguardare una pluralità di soggetti. I primi sarebbero interessi cosid- detti «adespoti» privi, cioè, di un portatore individuato. Soltanto l’indi- viduazione del portatore trasforma gli interessi «diffusi» in «collettivi» caratterizzati dal fatto che il portatore è espressione di un gruppo di per- sone (associazione, sindacato, partito ecc.): v. X. Xxxxx, La tutela giudizia- le degli interessi diffusi e degli interessi collettivi, in Riv. dir. proc., 2002, 647. Lo stesso X. ha rilevato che con la L. n. 281/1998 gli interessi dei consu- matori non possono più ritenersi adespoti essendo ormai definitivamente assurti al rango di interessi ’collettivi’individuato ex lege.
Sul tema cfr. X. Xxxxxxx, Interessi collettivi e tutela giurisdizionale, Napoli, 1986; X. Xxxxxxxx, La tutela degli interessi diffusi e degli interessi collettivi in se- de di giurisdizione di legittimità del Giudice amministrativo: questioni di giuri- sdizione e selezione dei soggetti legittimati all’impugnazione, in Dir. proc. amm., 1992, 253 ss.; X. Xxxxx, Le due facce dell’interesse diffuso: ambiguità di una formula e mediazione della giurisprudenza, in Foro it., 1987, V, 7 ss.; X. Xxxx, Gli interessi diffusi nell’azione della PA, Milano, 1998.
Uno degli strumenti impiegati che potrebbe essere ado- perato, oggi, con maggiore frequenza dagli enti esponen- ziali è, perciò, proprio l’inibitoria sulle clausole vessatorie nelle condizioni generali di contratto. (14)
La sentenza inibitoria, infatti, consiste in un comando giudiziale nei confronti del convenuto, associazione o professionista, di astenersi dall’utilizzazione di clausole delle quali sia stata positivamente accertata la vessato- rietà, con riferimento a tutti i rapporti contrattuali con i consumatori, sia già instaurati sia futuri.
Tuttavia, l’attuazione di questa pronuncia risulta essere problematica per due principali aspetti: la non coercibi- lità della sentenza e la dubbia estensione degli effetti del giudicato ai singoli consumatori.
I
La non coercibilità della sentenza
n ordine all’incoercibilità il problema nasce dal fatto che ci troviamo di fronte al comando di non inserire clausole vessatorie nelle condizioni generali di con-
tratto.
Si tratterebbe (15), dunque, di una sentenza lato sensu costitutiva ma nello stesso tempo di una sentenza di ca- rattere «normativo» in quanto integrativa del catalogo delle clausole inefficaci ex lege. (16)
Strumenti per rendere coercibile la sentenza potrebbero essere le sanzioni penali previste dagli artt. 650 Codice penale (Inosservanza di provvedimenti dell’Autorità), e 388, comma 1, Codice penale (Mancata esecuzione dolo- sa di un provvedimento del Giudice). La prima norma, però, riguarda i provvedimenti con contenuto cd. «di polizia» senza alcun riferimento ai provvedimenti emes- si dal giudice civile. Tale disposizione normativa, inoltre, è collocata all’interno del capitolo sulle contravvenzioni e quindi non sembrerebbe estendibile ad altri ambiti. Per quanto riguarda la seconda norma, parrebbe accreditata, invece, l’inapplicabilità di tale fattispecie nel caso di ob- blighi civili di non fare.
A
L’estensione degli effetti del giudicato ai singoli consumatori
ltro aspetto problematico è quello dell’estensio- ne degli effetti del giudicato (art. 2909 Codice civile) riguardo al quale si constata che il legisla-
tore non ha regolato in alcun modo il rapporto tra l’azio- ne individuale del singolo consumatore e l’azione collet- tiva degli enti «esponenziali».
Peraltro, neppure la direttiva comunitaria 93/13/CE, sta- bilisce che la sentenza dichiarativa dell’inefficacia delle clausole giudicate vessatorie, dopo il passaggio in giudi- cato, produca effetti diretti ed automatici sui contratti individuali in essere.
Un altro aspetto problematico concerne, infatti, l’effica- cia della sentenza nei confronti dei contratti ancora in essere oltre che dei contratti futuri. Più precisamente il dubbio è stato sollevato in ordine a quei contratti stipu- lati in data precedente alla sentenza ed ancora vigenti tra le parti al momento della emanazione della sentenza.
L’argomento, peraltro, è stato attentamente valutato da parte della Corte d’Appello di Roma in due noti giudizi
«inibitori» i quali, sulla questione (17), hanno stabilito il principio che con il termine «inibire l’uso delle condizio- ni di cui sia accertata l’abusività» non ci si può riferire al mero atto istantaneo dell’inserzione della clausola in un nuovo contratto bensì all’utilizzazione quotidiana delle clausole vessatorie nei rapporti di durata non ancora esauriti. Ne consegue che l’interesse ad agire continua a sussistere anche quando detta clausola continui a produr- re effetti rispetto ad alcuni rapporti contrattuali. Tale in- dirizzo giurisprudenziale corrisponde non soltanto ad un principio di diritto ma anche ad una logica di buon sen- so. (18)
Note:
(14) Per una attenta disamina del processo di consolidamento della di- sciplina dell’azione inibitoria all’interno del Codice del Consumo si veda
X. Xxxxx Xxxxxx, L’azione inibitoria collettiva: dalla norma sulle clausole abusi- ve al nuovo codice dei consumatori, in Europa dir. priv., 2005, 847 ss.
(15) In proposito si vedano: X. Xxxxx, «Flashes» su accertamento e condan- na, in Riv. dir. proc., 1985, 255 ss.; E.T. Xxxxxxx, Le opposizioni di merito nel processo di esecuzione, Roma, 1931, 100 ss., 108, 111, 118-119; X. Xxxxxxx- ci, Gli effetti della sentenza inibitoria prevista dall’art. 1469 sexies Codice civile, in Riv. dir. proc. civ., 2002, 216; X. Xxxxxxxxx, Condanna civile e tutela ese- cutiva, Napoli, 1965, 19-20, 26-28, 79, passim; Id., La tutela giurisdizionale dei diritti, II ed., in Trattato di diritto civile italiano fondato da X. Xxxxxxxx, Xxxx- no, 1994, 169 ss.; X. Xxxxxxxxx, Xxxxx correlazione necessaria tra condanna ed eseguibilità forzata, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1976, 1342; X. Xxxxxxxxxx, Recenti sviluppi nella dottrina dell’esecuzione forzata, in Xxx. xxx. xxxx., 0000, 000 xx. (xx opinioni sono espresse soprattutto in relazione al tema della qua- lificazione della sentenza di condanna); A. Proto Pisani, La tutela di con- danna, in Appunti sulla giustizia civile, Bari, 1982, passim, in part. 170; M. Ta- xxxxx - X. Xxxxxxxxx, Esecuzione forzata. III) Esecuzione forzata e misure coerci- tive, in Enc. giur., XIII, Roma, 1989, 1-3; X. Xxxxxx, Presente e futuro delle mi- sure coercitive civili, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1981, 800 ss.; Id., La tutela inibitoria contro le clausole vessatorie, in Riv. dir. proc., 1997, 640 ss.
(16) X. Xxxxxxxx, La tutela inibitoria, cit., 1271-1272; X. Xxxxxxx, in X. Xxxxxxx - X. Xx Xxxxxxxxxx, Clausole abusive e processo, in Corr. giur., 1997, 481 ss.; X. Xxxxxxxx, Considerazioni sull’art. 1469 sexies cod. civ., in Riv. crit. dir. priv., 1997, 334 ss.; F. Xxxxxxxx, Sub art. 1469 sexies, cit., 1997, I, 770 ss. e 2003, 1164 ss.; contra l’opinione richiamata, invece, ap- pare X. Xxxxx, L’azione inibitoria prevista dall’art. 1469 sexies Codice civile, in Riv. dir. proc., 1996, 936.
Con particolare riferimento alla tutela ex art. 3, L. 281/1998 v. X. Xxxx- xxxx, La tutela degli interessi collettivi nella nuova disciplina dei diritti dei consu- matori, in Danno e resp., 1998, 1062-1063; I. Xxxxx, Tutela individuale e tu- tela collettiva nella nuova disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti (pri- me riflessioni sull’art. 3, l. 30 luglio 1998, n. 281), in X. Xxxxx (a cura di), Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti, Napoli, 1999, 166 ss.
Sul punto si veda, infine, per tutti, la ricostruzione sistematica di X. Xxxxx, L’esecuzione «ultra partes», Milano, 1984, passim, da cui emerge che crite- rio fondamentale di esame è la coincidenza dell’efficacia del titolo esecu- tivo per i terzi con le conclusioni in tema di limiti soggettivi di efficacia della sentenza.
(17) App. Roma 7 maggio 2002, n. 1780 in Xxxx Xx., X, 0000, 2828 ed in Corr. Xxxx., 2002, 1493; App. Roma 24 settembre 2002, in Foro It., 2003, I, 332 ss.; e in Corr. Giur., 2003, 471 ss.
(18) Xxxxxxx, infatti, «gioco» ben facile, per qualsiasi convenuto in un giudizio inibitorio collettivo, dedurre la «modificazione» dei contratti standard utilizzati (magari fino al giorno prima) nei confronti della gene- ralità dei consumatori, sottraendosi così al controllo giudiziale di vessato- rietà dei formulari ancora in essere. Il principio è stato affermato anche da numerose sentenze «inibitorie»: ex art. 1469 sexies, Codice civile, vedi: Trib. Roma, 21 gennaio 2000, in Xxxxx. xxx., 0000, 000, xx Xxxx Xx., I, 2000, 2046.
Un altro problema di effettività dello strumento inibito- rio contrattuale riguarda la valutazione del diritto dispo- sitivo da parte dei giudici chiamati a pronunciarsi sulla vessatorietà delle clausole inserite in condizioni generali di contratto. Accade spesso, infatti, che il soggetto pro- fessionista utilizzi, come nel caso oggetto della sopra ci- tata sentenza del Tribunale di Ancona n. 858 del 2005, in modo combinato, varie clausole determinando in mo- do artificioso deroghe generalizzate al diritto dispositivo stravolgendo così completamente lo schema tipico del negozio configurato dal legislatore.
La difformità rispetto alla disciplina di legge applicabile costituisce un significativo «indice» di valutazione della vessatorietà delle clausole (19) e, in ogni caso, un crite- rio comparativo fondamentale ai fini dell’accertamento dell’abusività della clausola da parte dell’interprete (20). Infatti, le norme in esame riflettono un assetto dei dirit- ti e degli obblighi delle parti che il legislatore ha consi- derato ex ante come «equilibrato» e corrispondente ad un equo contemperamento degli interessi in conflitto (21).
Ebbene, la deroga al regime legale del rapporto può esse- re tutelata, in quanto espressione dell’autonomia priva- ta, soltanto nel caso in cui sia il frutto di un accordo in senso sostanziale e non di una sostituzione unilaterale (di solito imposta dal «professionista») della stessa disci- plina legale.
Nel giudizio «inibitorio» l’esigenza di salvaguardia del principio di «autonomia privata» cede il passo di fronte all’esigenza «pubblicistica» della tutela collettiva ed astratta, propria del tipo di azione di cui all’art. 37 Codi- ce consumo; un’azione che, come sopra accennato, tro- va la sua ratio nella dimensione «superindividuale» della contrattazione standardizzata e, più precisamente, nell’i- doneità di quest’ultima a realizzare deroghe generalizzate rispetto al diritto dispositivo che producono effetti sulla titolarità dei diritti dell’intera collettività dei consuma- tori (22).
’L
La ratio dell’azione inibitoria in materia contrattuale
inibitoria in materia contrattuale è, infatti, un ri- medio di tipo generale, di carattere preventivo, inerente il fenomeno della contrattazione stan-
dard nella sua dimensione astratta e collettiva; un rime- dio, peraltro, fondato su di un controllo di natura collet- tiva, improntato a criteri generali ed astratti, che si svol- ge in una fase antecedente alla conclusione di un singo- lo contratto, ovvero a prescindere dalla sua conclusione. Si tratta, in effetti, di un rimedio rivolto, per definizione, al futuro, piuttosto che verso il passato, e che ha la fun- zione di evitare che dati atti lesivi degli interessi dei con- sumatori vengano (ulteriormente) posti in essere da un professionista nella dinamica contrattuale. (23)
Si delinea, di fatto, così il c.d. «doppio binario» di tutela del consumatore, in cui al tradizionale controllo di natu- ra individuale, improntato a criteri legati al singolo caso
concreto, si affianca il controllo di natura collettiva, operando così, proprio in materia di «tutela collettiva»
(24) dei consumatori, una scelta differente, rispetto a quella compiuta dal legislatore comunitario che, me- diante la direttiva n. 98/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 1998, ha posto al centro del sistema di tutela degli interessi dei consumatori un’u- nica disciplina inibitoria che «si applica a qualsiasi atto contrario alle disposizioni delle direttive che regolano i vari settori del diritto dei consumatori, e quindi, in ma- teria contrattuale e no» (25).
Nel sistema «bipolare» delineato dal Codice del consu- mo (26) (di seguito semplicemente Codice consumo) si rilevano, invece, da una parte gli artt. 139 e 140 Codice consumo (trasposizione del previgente art. 3 della L. n. 281 del 30 luglio 1998 recante la «disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti») che, nella logica della direttiva n. 98/27/CE, disciplinano l’azione inibitoria nelle ipotesi di violazione degli interessi collettivi dei consumatori contemplati nelle materie normate dal me- desimo codice (c.d. inibitoria «generale»); dall’altra vi è
Note:
(19) X. Xxxxxxx, La deroga al diritto dispositivo come possibile ’indice’dello squilibrio, in X. Xxxx - X. Xxxxx (a cura di), Clausole vessatorie nei contratti del consumatore, cit., 71 ss.
(20) X. Xxxxx, La recezione della disciplina europea della clausole abusive («vessatorie») nei contratti tra professionisti e consumatori: artt. 1469 bis e segg. Codice civile, in Dir. Priv.,1996, 111.
(21) Cfr. C.M. Xxxxxx, Diritto civile, vol. III, Il contratto, Milano, 1987, 449.
(22) Sul punto vedi X. Xxxxxxx, Perché si vessa il cliente. Note ed appunti di un itinerario tra i modelli occidentali, in Quadrim., 1991, 394.
(23) Così pressoché fedelmente si esprime autorevolemente X. Xxxxxxx- ni, Contratti dei consumatori e tutela collettiva nel codice del consumo, in Con- tratto e impresa, 2006, 635.
(24) Cfr. X. Xxxxxxx, Il Libro Verde sull’accesso dei consumatori alla giusti- zia, in Doc. giust., 1994, 361; X. Xxxxxxxxx - X Xxxxxx (a cura di), Consu- matori e processo. La tutela degli interessi collettivi dei consumatori, Torino, 2005, 427 ss.; X. Xx Xxxxx, Tutela inibitoria degli interessi collettivi e diritto comunitario, in Corriere giur., 2001, 990; C.M. Xxxxxxx - X. Xxxxxxx - X. Xxxxxxxxxxxx, La tutela collettiva del consumatore, Napoli, 1994.
(25) X. Xxxxxxxxx, Dei contratti del consumatore in generale, Torino, 2006, 95.
(26) D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, recante Codice del consumo, pub- blicato in G.U., 8 ottobre 2005. Per un primo commento sul rilievo e nel merito della scelta operata dal legislatore di inserire all’interno del Codi- ce del consumo la disciplina delle clausole abusive, con la diversa qualifi- cazione delle conseguenze dell’accertamento della loro vessatorietà sosti- tuendo alla inefficacia di cui l’art. 1469 quinquies Codice civile la nullità dell’art. 36 Codice consumo vedi: X. Xxxx, Commento al Codice del Con- sumo, in questa Rivista, 2005, 1047; X. Xxxxx, Codice del consumo, una pa- gina nuova nella tutela consumistica, in Corriere giur., 2005, 1752 ss.; X. Xx Xxxxxxxxxx, Il «codice del consumo»: un’occasione perduta?, in Studium juris, 2005, 1146; X. Xxxxxxx, Codice del Consumo ed Esprìt de Geometrìe, in questa Rivista, 2006, 159; A.M. Xxxxxxxxxx, Prime note a margine al codi- ce del consumo, in Dir. Turismo, 2005, 389 s.; X. Xxxxxxxxx, Il codice del consumo, in Corriere merito, 2006, 16 s.; X. Xxxxxxxxx, Dei contratti del con- sumatore in generale, cit., 19 ss.; X. Xxxxx, sub art. 34-38, e X. Xxxxx Car- leo, sub art. 3, comma 1, lett. f), in X. Xxxx - X. Xxxxx Xxxxxx (a cura di), Codice del consumo. Commentario, Napoli, 2005, 255 ss. e 88 ss.; E.M. Tri- podi - X. Xxxxxxxx, Codice del consumatore, Milano, 2006, passim.
l’art. 37 (27) Codice consumo (trasfusione del prece- dente art. 1469 sexies Codice civile) (28) che contiene la disciplina dell’azione inibitoria per una particolare ipo- tesi di violazione degli interessi collettivi dei consumato- ri, e cioè per l’ipotesi di inserimento di clausole abusive o vessatorie nelle «condizioni generali di contratto»
(29) da parte del professionista.
La ratio normativa è la tutela del consumatore, soggetto contrattualmente più debole rispetto alla parte («profes- sionista») fisiologicamente e strutturalmente (e quindi sia dal punto di vista giuridico che economico) più forte. La detta tutela viene ulteriormente rafforzata con il con- sentire l’azione inibitoria nei confronti del professionista o dell’associazione dei professionisti, che utilizzino con- dizioni generali di contratti, anche alle associazioni rap- presentative dei consumatori e dei professionisti (con- correnti) ed alle Camere di Commercio (30).
Tale actio, infatti, mira ad inibire, mediante intervento del giudice competente, l’uso (31) delle condizioni di cui sia accertata l’abusività non limitatamente al caso con- creto ma erga omnes, onde prevenire l’adozione di future clausole improntate a vessatorietà.
La fattispecie in tema di tutela del consumatore di cui al- l’art. 37 Codice consumo è, infatti, rafforzativa rispetto a
Note:
(27) Tale norma è a sua volta fedele attuazione dell’art. 7 della direttiva
n. 93/13/CEE, che così recita: «1. Gli Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei con- tratti stipulati tra un professionista e dei consumatori. 2. I mezzi di cui al paragrafo 1 comprendono disposizioni che permettano a persone o orga- nizzazioni, che a norma del diritto nazionale abbiano un interesse legitti- mo a tutelare i consumatori, di adire, a seconda del diritto nazionale, le autorità giudiziarie o gli organi amministrativi competenti affinché stabi- xxxxxxx se le clausole contrattuali, redatte per un impiego generalizzato, abbiano carattere abusivo ed applichino mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di siffatte clausole. 3. Nel rispetto della legislazione nazionale, i ricorsi menzionati al paragrafo 2 possono essere diretti, sepa- ratamente o in comune, contro più professionisti dello stesso settore eco- nomico o associazioni di professionisti che utilizzano o raccomandano l’inserzione delle stesse clausole contrattuali generali o di clausole simili».
(28) Sulle clausole vessatorie la bibliografia è molto ampia; tra i contri- buti di maggior respiro: X. Xxxxxxxx, I contratti per adesione e le clausole ves- satorie, in X. Xxxxxx (a cura di), Trattato di diritto privato europeo, vol. III, Padova, 2003, 313 ss.; X. Xxxxxxxx (a cura di), La nuova disciplina delle clausole vessatorie nel codice civile, Napoli, 1996; X. Xxxx - X. Xxxxx (a cura di), Clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, Milano, 2003; C.M. Xxxxxx, Condizioni generali di contratto e tutela del contraente debole (Atti del- la tavola rotonda, Catania 17-18 maggio 1969), Milano, 1970; C.M. Bian- ca - F.D. Busnelli ed altri (a cura di), Commentario al capo XIV bis del codi- ce civile: dei contratti del consumatore (art. 1469 bis - 1469 sexies), Padova, 1999; X. Xxxxxx (a cura di), Clausole vessatorie e contratto del consumatore, vol. 2, Padova, 1997; X. Xx Xxxx (a cura di), Le clausole vessatorie, Mila- no, 1996; X. Xx Xxxx, Xx xxxxxxxx xxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000; X. Xxxxxxxx, La tutela del consumatore contro le clausole abusive, Milano, 2002; E. Ga- brielli - X. Xxxxxxxxx (a cura di), I contratti dei consumatori, vol. I e II, To- rino, 2005, 5-423 (in particolare i contributi di X. Xxxxxxxxx, A.M. Azza- ro, Xxxxxx, X. Xxxxx, X. Xxxxxxxx, F. Xx Xxxxxxxx, X. Xxxxxxxxx e X. Xxx- stano); X. Xxxxxxxxx, Tutela del consumatore e clausole vessatorie, Napoli, 1999; X. Xxxxxxxx - X. Xxxxxxxxx, Contratti del consumatore, Torino, 2000;
X. Xxxxxxxx, I contratti con i consumatori, Milano, 2000; X. Xxxxx, Le «clau- sole abusive» nell’esperienza tedesca, francese, italiana e nella prospettiva co- munitaria, Napoli, 1994, 605 ss.; Id., Condizioni generali del contratto e pre-
disposizione normativa, Napoli, 1983; X. Xxxxx - X. Xxxxxxxxxx, Clausole abusive, in Enc. giur., vol. V, Roma, 1996; X. Xxxxxxxxxxxxx - Xxxxxxxxx, Prassi contrattuali e tutela del consumatore, Milano, 2004, 439 ss.; X. Xxxxxx, Il contratto per adesione, Milano, 1997.
Per indicazioni giurisprudenziali v., per tutti, X. Xxxx - X. Xxxxx ed altri (a cura di), Repertorio di giurisprudenza sulle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, Milano, 2004.
Per altri contributi v.: X. Xxxxxx, La tutela del contraente «debole» in Euro- pa, Roma, 1996; X. Xxxxxxxxxx, Profili della disciplina nuova delle clausole
c.d vessatorie cioè abusive, in Europa e dir. priv., 1998, 5 ss.; X. Xxxx, Il nuo- vo capo XIV-bis (titolo II, libro IV) del codice civile, sulla disciplina dei contratti con i consumatori, in Studium juris, 1996, 411 ss.; X. Xxxxxxx, Clausole abu- sive nei contratti stipulati con i consumatori, in Contr. impresa/Europa, 1996, 379 ss.; X. Xxxxx, La nuova disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, in Foro it., 1996, V, c. 163 ss.; X. Xxxxxxx, Le condizioni genera- li di contratto tra norma e mercato, in X. Xxxxxx, Atti del Convegno di studi sul tema Condizioni generali di contratto e direttiva C.E.E. n. 93/13 del 5 aprile 1993: Napoli, 28 maggio 1993, Padova, 1994; X. Xxxxxxxxx, Brevi note in tema di conservazione o caducazione del contratto in dipendenza della nullità della clausola abusiva, in Contr. impresa, 1994, 1097 ss.; X. Xxxxxxxxx - X. Xxxxxx, Clausole vessatorie e analisi economica del diritto: note in margine alle ragioni (ed alle incongruenze) della nuova disciplina, in Aa.Vv., Diritto priva- to 1996, II, Condizioni generali e clausole vessatorie, Padova, 1997, 377 ss.;
X. Xxxxx, La nuova disciplina delle clausole vessatorie: spunti critici, ivi, 65 ss.;
X. Xxxxxxx, «Le clausole vessatorie», «abusive», «inique», e la ricodificazione negli artt. 1469 bis- 1469 sexies Codice civile, in X. Xxxxxxx (a cura di), Clausole vessatorie e abusive, Milano, 1997, passim; D. U. Xxxxxxxxxxx, Pri- me note a commento della disciplina sui contratti del consumatore, in Giur. comm., 1996, I, 1011 s.; X. Xxxxxx, La direttiva del Consiglio CEE del 5 apri- le 1993 sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, in Resp. civ. e prev., 1993, 435 ss.
(29) Parlando di «condizioni generali di contratto» è impossibile non fa- re riferimento a: C.M. Xxxxxx (a cura di), Le condizioni generali di contrat- to, vol. I e II, Milano, 1979; Id., Condizioni generali di contratto (tutela del- l’aderente), in Dig. Sez. civ., III, Torino, 1988, 401 s.; X. Xxxxxx (a cura di), Le condizioni generali di contratto nella giurisprudenza, Padova, 1989; Id., At- ti del Convegno di studi sul tema Condizioni generali di contratto e direttiva
C.E.E. n. 93/13, cit.; X. Xxxxxx - X. Xxxxxx (a cura di), Trasparenza e legit- timità delle condizioni generali di contratto. Atti del Convegno tenuto a Roma nel 1990, Napoli, 1992; X. Xxxxxxx, Condizioni generali di contratto, in Dig. Sez. civ., III, Torino, 1988, 355 s.; X. Xxxxx, Le condizioni generali di contrat- to, Padova, 1996; X. Xxxxx, Condizioni generali del contratto e predisposizione normativa, cit.; X. Xxxxxxxxxxx, Appunti sull’inquadramento della disciplina del- le c.d. condizioni generali di contratto, in Dir. e giurisprudenza, 1969, 41 ss.; X. Xxxxx (a cura di), Condizioni generali di contratto e tutela del contraente de- bole: Atti della Tavola rotonda tenuta presso l’Istituto di diritto privato dell’X- xxxxxxxxx xx Xxxxxxx, 00-00 xxxxxx 0000, Xxxxxx, 1970; più di recente cfr.: AA. VV., Le Camere di commercio e la regolazione del mercato: il controllo di vessatorietà delle condizioni generali di contratto e la costituzione di parte civile nei processi per i delitti economici: atti della tavola rotonda, Milano, 7 apri- le1997, Milano, 1977; X. Xxxxxxx e altri, Condizioni generali, clausole vessa- torie, consumatori, Torino, 2001.
(30) «Il riferimento alle camere di commercio nell’ambito della predispo- sizione di strategie di tutela del consumatore, nel complesso rapporto dia- dico che lega questo al predisponente di condizioni generali di contrat- to… appare già nei lavori preparatori che hanno preceduto il testo di leg- ge» di recepimento della Dir. 93/13/CE, «nella redazione approvata»; co- sì E.V. Napoli, Legittimazione delle camere di commercio all’azione inibitoria dell’uso delle condizioni generali di contratto, in Commentario al capo XIV bis del Codice civile: dei contratti del consumatore, a cura di C.M. Xxxxxx e F.D. Xxxxxxxx, in Nuove leggi civ. comm., 1997, 1278. Sulla storia della elabora- zione di tale normativa vedi X. Xxxx - C.M. Xxxxxx (a cura di), Le clauso- le abusive nei contratti stipulati con i consumatori: l’attuazione della direttiva co- munitaria del 5 aprile 1993, Xxxxxx, 0000, 7 ss. e 715 ss.
(31) Come è stato opportunamente osservato (X. Xxxxxxxx, L’inibitoria co- me strumento di controllo delle condizioni generali di contratto, in C.M. Bian- ca, Le condizioni generali di contratto, cit., I, 304) i consumatori «general- mente non esperti in problemi giuridici» sono indotti a ritenere le clau- sole, anche se nulle, valide ed efficaci per il fatto stesso che sono formula- te in moduli o stampati.
quella di cui, già, ai precedenti artt. 33-36 Codice con- sumo, perché proprio nelle condizioni generali di con- tratto predisposte unilateralmente risiede il rischio della vessatorietà, e dell’«abuso».
Peraltro, una tutela accordata al consumatore a posterio- ri rimarrebbe incompleta e, soprattutto, limitata al caso di contratti già stipulati, e di clausole già sottoscritte (32).
Va sottolineata, pertanto, in particolare, la natura pre- ventiva (onde dirimere futuro contenzioso tra le parti dei singoli contratti) insita nella tutela accordata dal- l’art. 37 Codice consumo, volta ad attuare, in sede giuri- sdizionale, l’interesse generale a che non vengano predi- sposte dai professionisti contratti con clausole vessatorie (33). Si tratta di un interesse superindividuale alla cor- rettezza dell’attività di impresa, che appartiene allo stato diffuso (34) all’intera comunità dei consumatori e dei professionisti (35) protagonisti del mercato (36), la cui attuazione si risolve in un ordine del giudice rivolto al professionista di non utilizzare date clausole ritenute ves- satorie nei contratti con i singoli consumatori.
P
Declaratoria di inefficacia delle clausole vessatorie ed efficacia di giudicato autonomo
ertanto, quanto alla tutela, ai sensi dell’art. 1341 Codice civile, il consumatore che si ritenga vessa- to è costretto ad agire per ottenere semplicemente
una declaratoria di inefficacia limitata alla singola fatti- specie limitata al suo caso concreto; nient’altro.
Inoltre, proprio in considerazione del fatto che ove egli abbia sottoscritto specificamente (in modo separato) la singola clausola vessatoria, le possibilità di successo del- l’azione sono minime, l’art. 37 Codice consumo accorda ad organismi rappresentativi la facoltà di adire le vie le- gali, onde ottenere statuizione giudiziale con effetti erga omnes, tale da fare stato anche fra le future parti di even- tuali successive controversie (ex art. 34 Codice procedu- ra civile) a titolo di res iudicata.
In altri termini, l’art. 37 Codice consumo, disciplinando una domanda di accertamento con efficacia di giudicato autonomo, risponde ad un interesse che trascende quel- lo immediato alla risoluzione della causa in corso, poiché chi agisce (es. Camere di Commercio, associazioni rap- presentative dei consumatori o dei professionisti; come già visto) rende palese l’idoneità della questione, ogget- to del petitum, ad influire su liti successive ed ovviamen- te diverse da quella per comporre la quale la questione stessa sia sorta.
In effetti, così, la questione pregiudiziale, convertendosi, addirittura, in causa pregiudiziale, viene, in tal modo, ad assumere autonomo rilievo, in quanto destinata a pro- durre conseguenze giuridiche, oltre il rapporto contro- verso, su altri rapporti ed altri soggetti. (37)
tema: «La tutela del consumatore tra liberismo e solidarismo», Salerno, 21-22 ottobre 1994, in Riv. dir. civ., 1994, 1, 889) «la tutela esclusivamente in- dividualistica, pur se necessaria, pur se ha acquistato dei meriti nello svol- gimento storico della tutela del consumatore, non si rivela sufficiente. Xxxx, essa è riduttiva, se non altro perché continua a proporre il consu- matore come controparte dell’impresa e quindi non lo presenta nella glo- balità della sua esperienza come persona».
(33) Sul carattere illecito della predisposizione di condizioni generali di contratto vessatorie, per una panoramica dei vari orientamenti, cfr.: C.M. Xxxxxx, Le tecniche di controllo delle clausole vessatorie, in G. Alpa - C.M. Xxxxxx (a cura di), Le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumato- ri, cit., 364; X. Xxxxxxxx, La tutela inibitoria. in Commentario al capo XIV bis del Codice civile: dei contratti del consumatore, cit., 1262; X. Xxxxxxx, «Le clausole vessatorie», «abusive», «inique»…, cit., 115; F. Xxxxxxxx, Sub art. 1469 sexies, in X. Xxxx - X. Xxxxx (a cura di), Le clausole vessatorie nei con- tratti con i consumatori, 1a ed., Milano, 1997, I, 761, testo e nota 15.
(34) Di interesse diffuso parlano, tra gli altri, M. Xxx, Clausole vessatorie: una svolta storica, cit., 454 s.; X. Xxxxxxx, «Le clausole vessatorie», «abusi- ve», «inique»…, cit., passim; D. U. Xxxxxxxxxxx, Prime note a commento della disciplina sui contratti del consumatore, cit., 1012; e F. Tommaseo, Sub art. 1469 sexies, cit., 763 ss., che parla di interesse diffuso, insuscettibile di appropriazione individuale.
(35) Cfr. X. Xxxxxxxxx, I principi della correttezza professionale nella disciplina della concorrenza sleale, in Studi in onere di X. Xxxxxx La Rosa, Milano, 1999, I, 575 ss.; secondo il quale anche nella disciplina della concorrenza sleale
«il criterio fondante di valutazione della liceità dei comportamenti im- prenditoriali sia oggi costituito dall’interesse collettivo al buon funziona- mento del mercato e quindi, anche qui, dalla tutela del consumatore»; sot- to diverse luci X. Xxxxxx, Struttura concorrenziale del mercato e tutela dei con- sumatori. Una relazione ancora da esplorare, in Foro It., 2004, I, 479; X. Xxx- tori, Consumatori e mercato, in Riv. dir. comm., 2004, II, 330 ss.
(36) Xxxxx, al riguardo, appaiono in questa sede i seguenti richiami giuri- sprudenziali e connessi commenti: Xxxx. 9 dicembre 2002, n. 17475, in Foro It., 2004, I, 475 ss., con commento di X. Xxxxx-Xxxxx, Prolegomeni in tema di mercato concorrenziale e «aurea aequitas» (ovvero delle convergenze parallele); e più di recente Cass., 3 febbraio 2005, n. 2207, commentata autorevolmente, tra gli altri, da: X. Xxxxxx, I consumatori e la tutela anti- trust, in Giur. It., 2005, 1675 ss.; X. Xxxxxxxxxx, Sezioni più unite che anti- trust, in Europa dir. priv., 2005, 444 ss.; X. Xxxxxxxxx, Antitrust, cartelli e consumatori: l’epilogo dell’affaire RC auto, in Il diritto industriale, 2005, 185 ss.; X. Xxxxx Priscoli, Consumatori e danno derivante da condotte anticoncor- renziali, in Danno e resp., 2005, 949 ss.; X. Xxxxxxxx, Antitrust e risarcimento del danno: Abuso da intesa anticoncorrenziale e legittimazione aquiliana del consumatore per lesione alla libertà negoziale, ivi, 2005, 495 ss.; X. Xxxxxxxxx, Le azioni civili del consumatore contro gli illeciti antitrust, in Corr. giur., 1093 ss.; X. Xxxxxxxx, Antitrust e risarcimento del danno: responsabilità extracon- trattuale per violazioni di norme antitrust, in Danno e Resp., 506 ss.; M. Ma- strodonato, La legittimazione dei consumatori alla richiesta di risarcimento dei danni da condotta anticoncorrenziale, in Giur. It., 2005, 2062 ss.; X. Xxxx, Le violazioni delle regole della concorrenza e la tutela giurisdizionale del consuma- tore, in Danno e resp., 2005, 956 ss.; X. Xxxxx, Il lento cammino della tutela civile antitrust: luci ed ombre di un atteso grand arrét, in Corr. Giur., 2005, 342 ss.; X. Xxxxx, La difficile integrazione fra diritto civile e diritto della con- correnza, in Riv. Dir. Civ., 2005, II, 495 ss.; I. Xxxxx, La tutela civile antitru- st dopo la sentenza n. 2207/05: la Cassazione alla ricerca di una difficile ar- monia nell’assetto dei rimedi del diritto alla concorrenza, in Corr. giur., 2005, 342 ss.; X. Xxxxxxxx - X. Xxxxxxxxx, L’antitrust per il benessere (e il risarci- mento del danno) dei consumatori, Foro It., 2005, I, 1015 ss.; I. Sabbatelli,
«Cospirazioni anticompetitive» e interesse del consumatore, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2005, I, 701; X. Xxxxxxxx, L’antitrust dalla parte del consumato- re, in Foro It., 2005, 1018; X. Xxxxxx, Intese anticoncorrenziali e tutela del consumatore, in Riv. Dir. Priv., 2005, 907. Tra le pronunce di merito degli ultimi anni si segnala: Appello di Milano, 2 febbraio 2005, con commen- to di X. Xxxxxxxx, Illeciti antitrust e rimedi civili del consumatore, in questa Ri- vista, 2006, 146 ss., ivi ulteriori richiami bibliografici.
(37) Cfr. Cass. 29 aprile 1993, n. 5086, in Arch. Locazioni, 1993, 753, se-
Note:
(32) D’altronde, come autorevolmente sostenuto da X. Xxxxxxxxx (Per una sintesi unitaria nella difesa del consumatore, introduzione al convegno sul
condo la quale affinché una questione pregiudiziale si converta in una causa pregiudiziale idonea ad incidere sulla competenza del giudice xxxxx
(segue)
Può, pertanto, riconoscersi all’istante un interesse speci- fico a far valere il relativo accertamento con efficacia di giudicato anche al di fuori del giudizio in corso. (38)
La valutazione circa la natura vessatoria della singola clausola è un giudizio di fatto, che può essere formulato soltanto interpretando la clausola stessa nel contesto complessivo del contratto per stabilirne significato e portata. (39)
Tuttavia, mentre l’art. 4 della direttiva 93/13/CEE, nel prevedere criteri di valutazione dell’abusività di una clausola (natura dei beni o servizi oggetto del contratto; circostanze che accompagnano la conclusione del con- tratto; altre clausole del contratto o di altro contratto da cui dipende) (40) conteneva l’inciso «fatto salvo l’art. 7» in materia di tutela collettiva; tale inciso è, però, sta- to trascurato in Italia dalla disciplina di recepimento.
Infatti, nonostante l’art. 34 Codice consumo riporti tali criteri, si è evidenziato (41) come in un procedimento generale, preventivo ed astratto come quello dell’azione inibitoria, così come disciplinata dall’art. 37 Codice consumo, i criteri generali non siano utilizzabili, poiché non possono assumere rilevanza elementi di specificità e concretezza collegati ad un singolo contratto.
L’accertamento dovrà, allora, avvenire in astratto, con riferimento alle clausole di per sé considerate, e la for- mula di declaratoria andrà circoscritta nella sua portata e applicata ove compatibile con l’oggetto del giudizio, che è un contratto ad impiego generalizzato.
Il carattere apparentemente vessatorio di una clausola potrebbe, pertanto, essere smentito, ove in concreto la posizione contrattuale del consumatore fosse riequilibra- ta dalla presenza di ulteriori condizioni favorevoli allo stesso. (42)
È rilevante notare che l’art. 37 Codice consumo limiti l’ambito di applicazione del rimedio inibitorio alle sole
«condizioni di cui sia accertata l’abusività ai sensi del presente capo» e che in dottrina prevalga l’orienta- mento che tende a negare la possibilità di far valere in sede inibitoria anche la non trasparenza delle clausole stesse. (43)
A differenti conclusione, tuttavia, si perverrebbe (44), anche a parere di chi scrive, alla luce dell’art. 2 Codice consumo (già art. 1, comma. 2, L. n. 281/1998) che contiene tra i diritti dei consumatori riconosciuti come fondamentali, il diritto alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e ser- vizi.
Sarebbe, pertanto, possibile esperire un’azione inibitoria avverso clausole cd. a sorpresa, o non trasparenti, o non eque, sebbene non abusive, ricorrendo al dettato dell’art. 2, Codice consumo.
E
Conclusioni
merge, quindi, chiaramente, anche dalla recente giurisprudenza di merito sopra richiamata, che mentre l’art. 1341 Codice civile tutela, più sempli- cemente, «la parte» più debole, in quanto non autrice
dei moduli - formulari, non in grado di concorrere alla predisposizione - preparazione dell’intero testo negozia- le; gli artt. 33-37 Codice consumo tutelano, più specifi- camente, il consumatore in quanto parte più «sprovvi- sta», o comunque meno consapevole delle proprie scelte
«giuridiche».
È questa l’ottica che deve spingere, soprattutto alla luce delle nuove norme dettate dal Codice del Consumo, a promuovere più convintamene, contro la predisposizio- ne di clausole inique, l’istituto giuridico dell’azione ini- bitoria (in specie quella delle Camere di commercio, quali enti terzi ed imparziali, garanti delle regole del mer- cato), quale «strumento» di tutela degli interessi delle imprese (rectius: professionisti, concorrenti lesi), dei consumatori e in definitiva del «mercato». (45)
Note:
(segue nota 37)
ai sensi dell’art. 34 Codice procedura civile, dovendo essere decisa con ef- ficacia di cosa giudicata, non è sufficiente che vi sia una esplicita richie- sta di una delle parti in tal senso, ma occorre che la questione sia suscet- tibile di produrre conseguenze giuridiche oltre il rapporto controverso e che possa riconoscersi nel richiedente l’interesse al relativo accertamen- to, come nel caso di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo per il pa- gamento di contributi condominiali, nel quale l’accertamento della vali- dità o meno della delibera assembleare, dalla quale scaturisce la pretesa del condominio, essendo destinato a produrre conseguenze giuridiche ri- spetto ad altri rapporti e ad altri soggetti, può essere compiuto dal giudice adito non «incidenter tantum» ma con efficacia di giudicato solo ove ne sia competente.
(38) In tal senso v. anche Xxxx. 6 marzo 2001, n. 3248, in Nuova Giur. Civ., 2002, I, 540, con nota di X. Xxxxxxx, Sul rapporto di pregiudizialità tra cause e sulla conseguente deroga della competenza, ed in Giust. Civ., 2002, I, 2915; ex plurimis: Xxxx. 2 agosto 2000, n. 10130, in Giur. It., 2001, 449, secondo la quale, mentre le questioni pregiudiziali «in senso logico» in- vestono circostanze che rientrano nel fatto costitutivo del diritto dedot- to in causa, le questioni pregiudiziali «in senso tecnico» concernono cir- costanze distinte ed indipendenti dal fatto costitutivo, del quale, tuttavia, rappresentano un presupposto giuridico che può formare oggetto di un giudizio autonomo; con la conseguenza che la formazione della cosa giu- dicata sulla pregiudiziale «in senso tecnico» può aversi unitamente a quella sul diritto dedotto in lite, solo in presenza di «esplicita domanda di una delle parti» ai sensi dell’art. 34 Codice procedura civile.
(39) Cass. 13 aprile 2000, n. 4801, in Foro It., 2000, I, 2189.
(40) Di recente, X. Xxxxxxxxx, Dei contratti del consumatore in generale, cit., 66 ss.
(41) G. M. Armone, Inibitoria collettiva e clausole vessatorie: prime disav- venture applicative dell’art. 1469 sexies Codice civile, in Foro It., 1996, I, 292.
(42) Trib. Palermo, 2 giugno 1998, in Foro It., 1999, I, 358.
(43) Il punto non è pacifico, vedi A. Gambero - A.D. Candian - X. Xxxx- ley - X. Xxxxx, Xxxxx e tendenze in tema di legittimità e trasparenza dei testi contrattuali assicurativi, in Dir. econ. Assic., 1997, 246 ss.
(44) Cfr. E. Xxxxxxxxx, Tutela del consumatore e clausole vessatorie, cit., 129 ss.
(45) Xxx consentito, con il presente lavoro, con profonda stima, ringra- ziare la Dott.ssa Xxxxxxx Xxxxxx - Dirigente dell’Area per le Relazioni Isti- tuzionali - Unione delle Camere di Commercio d’Italia, nonché gli ami- ci e colleghi: Xxxxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxxxx, Xxxxxxx e Xxxxxxx, per l’affettuoso e costante supporto.
Osservatorio comunitario
a cura di XXXXX XXXX Studio Legale De Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxx Forlani - Bruxelles
Tutela dei consumatori
Secondo la Corte di Giustizia, il sistema di tutela dei consumatori predisposto
dal diritto comunitario consente a questi ultimi di eccepire la nullità di una clausola abusiva in sede d’impugnazione di un lodo arbitrale, anche se gli stessi non avevano sollevato la relativa eccezione nell’ambito del procedimento arbitrale
Corte di giustizia CE, sentenza del 26 ottobre 2006, causa C-168/05, Xxxxx Xxxxx Xxxxxxx Xxxxx/Centro Móvi Milenium SL
Con ordinanza del 15 febbraio 2005, la Audiencia Provincial de Madrid (Corte d’Appello di Madrid) ha proposto al- la Corte di giustizia delle Comunità europee una domanda di pronuncia pregiudiziale avente ad oggetto l’interpre- tazione della direttiva 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (in pro- sieguo: la «direttiva») (1). In particolare, tale direttiva prevede che una clausola contrattuale non negoziata indi- vidualmente sia considerata abusiva se, indipendentemente dal requisito della buona fede, essa determina un si- gnificativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto, a danno del consumatore (2). A tal proposito, la direttiva impone agli Stati membri di adottare normative nazionali in base alle quali le clausole abu- sive contenute in un contratto stipulato fra un professionista ed un consumatore non vincolano quest’ultimo, re- stando tuttavia salvi gli effetti che il contratto può ugualmente produrre tra le parti senza le clausole abusive (3), nonché di fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive (4). Tra le clausole che la direttiva prevede, a titolo indicativo, come abusive, figurano quelle che hanno per oggetto o per effetto di soppri- mere o limitare l’esercizio di azioni legali o mezzi di ricorso da parte del consumatore, obbligandolo in particolare a rivolgersi esclusivamente ad una giurisdizione arbitrale non disciplinata da disposizioni giuridiche, limitandone in- debitamente i mezzi di prova o imponendogli un onus probandi che, ai sensi della legislazione applicabile, incom- berebbe ad un’altra parte contrattuale (5). La domanda di pronuncia pregiudiziale è stata proposta nell’ambito di una controversia insorta tra la sig.ra Mostaza Claro e la Centro Móvil Milenium SL (in prosieguo: la «Móvil») rela- tivamente alla validità di una clausola compromissoria contenuta nel contratto che essa ha concluso con tale so- cietà. Più precisamente, la sig.ra Mostaza Xxxxx concludeva nel 2002 un contratto di abbonamento ad una linea di telefonia mobile con la Móvil. Tale contratto conteneva una clausola compromissoria che deferiva le eventuali li- ti ad esso legate al giudizio di un arbitro designato dalla Asociación Europea de Arbitraje de Derecho y Equidad (Asso- ciazione europea per l’arbitrato secondo diritto e secondo equità, in seguito: l’«AEADE»). Ritenendo violato il ter- mine minimo d’abbonamento, la Móvil avviava il procedimento arbitrale dinanzi all’AEDE, la quale assegnava al- la signora Xxxxxxx Claro un termine di dieci giorni per decidere se rifiutare l’arbitrato e per presentare all’arbitro le osservazioni e i mezzi di prova a sostegno della sua posizione. Nel termine fissato, la signora Xxxxxxx Xxxxx espone- va alcuni argomenti a sua difesa, ma non eccepiva la nullità della clausola compromissoria. Ritenendo infondate le difese esposte, il 22 settembre 2003 l’arbitro pronunciava un lodo che accordava alla Móvil il risarcimento dei dan- ni subiti e il rimborso delle spese di lite sostenute. La signora Xxxxxxx Xxxxx proponeva allora ricorso contro tale de- cisione all’Audiencia Provincial. Per la prima volta dinanzi a tale giudice la ricorrente contestava la natura abusiva della clausola compromissoria e chiedeva pertanto l’annullamento del lodo. A tale richiesta si opponeva la Móvil, la quale ribatteva che, secondo la legislazione spagnola in materia (6), la nullità di detta clausola doveva essere ec-
Note:
(1) Direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GUCE L 95 del 21 apri- le 1993, pag. 29).
(2) Art. 3, n. 1 della direttiva.
(3) Art. 6, n. 1 della direttiva.
(4) Art. 7, n. 1 della direttiva.
(5) Cfr. n. 1, lett. q) dell’allegato alla direttiva.
(6) In particolare l’art. 23, n. 1, della L. 5 dicembre 1988, n. 36, relativa all’arbitrato (Ley 36/1988 de Arbitraje, BOE 7 dicembre 1988, n. 293; in prosieguo: la «legge 36/1988»). prevedeva che: «L’opposizione all’arbitrato per incompetenza oggettiva degli arbitri, inesistenza, nullità o decadenza dell’accordo arbi- trale deve essere proposta dalle parti in concomitanza con la presentazione dei loro rispettivi motivi iniziali». L’art. 45 della L. n. 36/1988 prevedeva poi che
«Il lodo può essere annullato solo nei casi seguenti: 1. Qualora l’accordo arbitrale sia nullo. (…) 5. Qualora il lodo sia contrario all’ordine pubblico».
cepita nel procedimento arbitrale e non poteva, quindi, più essere considerata nel giudizio di impugnazione del lo- do. L’Audiencia Provincial, pur concordando con la ricorrente sulla natura abusiva della clausola compromissoria in- serita nel contratto, dubitava di poterne rilevare d’ufficio la nullità in assenza di una specifica contestazione del con- sumatore in sede di procedimento arbitrale. Il giudice a quo decideva quindi di sospendere il procedimento e di ri- volgersi alla Corte di giustizia, chiedendo se la tutela dei consumatori predisposta dalla direttiva 93/13/CEE impli- chi che i giudici nazionali chiamati a pronunciarsi sull’impugnazione di un lodo arbitrale possano rilevare la nullità di una clausola compromissoria ritenuta abusiva e, di conseguenza, annullare il lodo, anche se il consumatore non abbia sollevato l’eccezione nel corso del procedimento arbitrale e lo faccia per la prima volta nell’atto che introdu- ce l’impugnazione. La Corte osserva preliminarmente come non sia suo compito pronunciarsi sull’applicazione ad una determinata clausola dei criteri generali utilizzati dal legislatore comunitario per definire il concetto di clauso- la abusiva (7), ma spetta al giudice nazionale, sulla base delle circostanze concrete del caso a quo, determinare se una clausola contrattuale vada qualificata come abusiva (8). Tale verifica è stata peraltro effettuata dal giudice del rinvio che ha riconosciuto il carattere abusivo della clausola compromissoria contenuta nel contratto tra la Móvil e la ricorrente. Venendo al merito della questione, il giudice europeo ricorda che, secondo una costante giurispru- denza, in mancanza di una disciplina comunitaria ad hoc, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Sta- to membro stabilire, in virtù del principio dell’autonomia processuale degli Stati membri, le modalità procedurali per garantire la tutela dei diritti conferiti ai singoli dall’ordinamento comunitario, purché vengano rispettati il prin- cipio di equivalenza (tali modalità non devono cioè essere meno favorevoli di quelle relative a situazioni analoghe di natura interna) e il principio di effettività (non devono rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario) (9). La ratio del sistema di tutela istituito dal- la direttiva va rinvenuta nella situazione di inferiorità in cui si trova di solito il consumatore rispetto al professioni- sta, con riferimento sia al potere contrattuale in sede di trattative sia al grado di informazione che egli possiede, si- tuazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista senza poter incidere sul contenuto delle stesse (10) e che può essere riequilibrata solo grazie ad un intervento positivo da parte di soggetti estranei al rapporto contrattuale (11). A tal proposito la Corte ha affermato che la facoltà per il giudice di esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola costituisce un mezzo idoneo al conseguimento tanto dell’obiettivo fissato dal- l’art. 6 della direttiva, che è quello di impedire che un consumatore individuale sia vincolato da una clausola abu- siva, quanto dell’obiettivo dell’art. 7, dato che tale esame può avere un effetto dissuasivo e, pertanto, contribuire a far cessare l’inserimento di clausole abusive nei contratti conclusi tra un professionista e i consumatori (12). Tale facoltà dei giudici nazionali è stata ritenuta necessaria per garantire un’effettiva tutela dei consumatori, considera- to il rischio non trascurabile che questi non sia a conoscenza dei propri diritti o incontri difficoltà nel loro esercizio (13). La Corte del Lussemburgo rileva che la tutela prevista dalla direttiva a favore dei consumatori si estende chia- ramente anche ai casi in cui il consumatore che ha stipulato con un professionista un contratto contenente una clausola abusiva si astenga dal dedurne l’abusività a causa della mancata conoscenza dei suoi diritti o dell’effetto dis- suasivo delle spese che un’azione giudiziaria comporterebbe (14). Appare chiaro, infatti, che il fine perseguito dal- l’art. 6 della direttiva, che, come detto, impone agli Stati membri di prevedere che le clausole abusive non vincoli- no i consumatori, non potrebbe in alcun modo essere raggiunto qualora il giudice investito dell’impugnazione di un lodo arbitrale non potesse valutarne la nullità per il solo motivo che questa non è stata eccepita dal consuma- tore nell’ambito del procedimento arbitrale. Il sistema di tutela speciale creato dalla direttiva risulterebbe in tal mo- do compromesso, dal momento che una simile omissione da parte del consumatore non potrebbe in alcun caso es- sere compensata dall’azione di soggetti terzi rispetto alle parti contrattuali (15). Tuttavia, richiamando il case law
Note:
(7) X. Xxxxx. CE, sentenza 1 aprile 2004, causa C-237/02, Xxxxxxxxxx Kommunalbauten, punto 22.
(8) X. Xxxxx. CE, Xxxxxxxxxx Kommunalbauten, cit., punto 25.
(9) Cfr., in particolare, X. Xxxxx. CE, sentenza 16 maggio 2000, causa X-00/00, Xxxxxxx e a., punto 31, e X. Xxxxx. CE, sentenza 19 settembre 2006, cau- se riunite C-392/04 e C-422/04, i-21 Germany e Arcor, punto 57.
(10) In tal senso v. X. Xxxxx. CE, sentenza 27 giugno 2000, cause riunite da C-240/98 a C-244/98, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, punto 25.
(11) X. Xxxxx. CE, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, cit., punto 27.
(12) X. Xxxxx. CE, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, cit., punto 28, e X. Xxxxx. CE, sentenza 21 novembre 2002, causa C-473/00, Cofidis, punto 32.
(13) X. Xxxxx. CE, Océano Grupo Editorial e Salvat Editores, cit., punto 26, nonché X. Xxxxx. CE Cofidis, cit., punto 33.
(14) X. Xxxxx. CE Cofidis, cit., punto 34.
(15) La Corte osserva, in proposito, che è proprio in tale direzione che la normativa spagnola si è effettivamente evoluta, con l’adozione della L. 23 di- cembre 2003, n. 60/2003, in materia di arbitrato (Ley 60/2003 de Arbitraje, BOE 26 dicembre 2003, n. 309), non applicabile ai fatti di cui alla causa principale, la quale, infatti, non richiede più che l’opposizione all’arbitrato, in particolare a causa della nullità della clausola compromissoria, sia propo- sta all’atto della presentazione delle domande iniziali delle parti.
(16) della Corte di Giustizia, la Móvil sosteneva che l’efficacia dei lodi arbitrali sarebbe gravemente intaccata se si consentisse al giudice di valutare la nullità di una clausola compromissoria pur non avendo il consumatore solle- vato tale eccezione in sede di procedimento arbitrale, in quanto l’esigenza di efficacia del procedimento arbitrale implica che il controllo dei lodi abbia un carattere limitato, e che esso possa condurre al loro annullamento solo in casi eccezionali. Sul punto, la Suprema Corte fa notare però che, come da lei già affermato, nei limiti in cui un giu- dice nazionale, in base alle proprie norme di diritto processuale interno, deve accogliere l’impugnazione di un lodo arbitrale fondata sulla violazione delle norme nazionali di ordine pubblico, altrettanto dovrà fare se la domanda è fondata sulla violazione di norme comunitarie del medesimo tipo (17). Una norma come l’art. 6 della direttiva è stata ideata dal legislatore in virtù dell’importanza che la tutela del consumatore assume nell’ordinamento comu- nitario: essa mira a ristabilire un equilibrio effettivo tra le parti contrattuali, fisiologicamente assente in ragione del- la posizione di inferiorità in cui versa il consumatore rispetto al professionista, ed ha carattere imperativo; inoltre, avendo lo scopo di rafforzare la tutela dei consumatori, costituisce, ai sensi dell’art. 3, n. 1, lett. t), del Trattato CE, un provvedimento indispensabile per l’adempimento dei compiti affidati alla Comunità e, in particolare, per l’in- nalzamento del livello e della qualità della vita al suo interno (18). La Corte aggiunge infine che la natura e l’im- portanza dell’interesse pubblico su cui si fonda la tutela che la direttiva garantisce ai consumatori giustificano che il giudice nazionale sia tenuto a valutare ex officio l’eventuale natura abusiva di una clausola contrattuale.
Alla luce delle considerazioni svolte, la Corte ha risolto la questione pregiudiziale statuendo che: «La diretti- va del Consiglio 5 aprile 1993, 93/13/CEE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i con- sumatori, deve essere interpretata nel senso che essa implica che un giudice nazionale chiamato a pronun- ciarsi sull’impugnazione di un lodo arbitrale rilevi la nullità dell’accordo arbitrale ed annulli il lodo, nel caso ritenga che tale accordo contenga una clausola abusiva, anche qualora il consumatore non abbia fatto vale- re tale nullità nell’ambito del procedimento arbitrale, ma solo in quello per l’impugnazione del lodo».
Fiscalità
Acquisti transfrontalieri di prodotti soggetti ad accisa: il giudice europeo precisa la nozione di acquisto a titolo personale e a scopo commerciale ai fini della riscossione di tali diritti
Corte di giustizia CE, sentenza del 23 novembre 2006, causa C-5/05, Staatssecretaris van Financiën/ B. F. Joustra.
Con ordinanza del 7 gennaio 2005 la Hoge Raad der Nederlanden (Corte di Cassazione dei Paesi Bassi) ha sotto- posto alla Corte di giustizia alcune questioni pregiudiziali inerenti all’interpretazione degli artt. 7-10 della diret- tiva 92/12/CEE (19) (in seguito «la direttiva») relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa, in particolare alcool, tabacchi lavorati, oli minerali e bevande alcoli- che. Tale normativa contiene regole che permettono di stabilire il luogo in cui debbano essere riscossi i diritti di accisa nelle varie circostanze in cui le merci soggette ad accisa circolano tra gli Stati membri; di norma, i diritti di accisa vengono riscossi nello Stato membro di destinazione finale della merce. L’art. 7 della direttiva, infatti, precisa come nel caso in cui i prodotti soggetti ad accisa, che siano già stati immessi in consumo in uno Stato membro (20), vengano detenuti a scopo commerciale in un altro Stato membro, le accise vanno riscosse nello Stato membro in cui i prodotti sono detenuti. A tal fine, quando i prodotti che siano già stati immessi in con- sumo in uno Stato membro sono forniti o destinati ad essere forniti o destinati all’uso, all’interno di un altro Sta- to membro per le esigenze di un operatore che svolge in modo indipendente un’attività economica o per le esi- genze di un organismo di diritto pubblico, l’accisa diventa esigibile in tale Stato membro. L’art. 8 della suddetta direttiva, tuttavia, stabilisce che, per i prodotti «acquistati dai privati per proprio uso e trasportati dai medesimi», i diritti di accisa vengano riscossi dallo Stato membro di acquisto. La questione interpretativa è stata proposta nell’ambito di una controversia sorta tra il Staatssecretaris van Financiën (Segretario di Stato delle Finanze) e il
Note:
(16) X. Xxxxx. CE, sentenza 1 giugno 1999, causa C-126/97, Eco Swiss, punto 35.
(17) X. Xxxxx. CE, Eco Swiss, cit., punto 37.
(18) Si veda per analogia, a proposito dell’art. 81 Trattato CE, X. Xxxxx. Eco Swiss, cit., punto 36.
(19) Direttiva 92/12/CEE del Consiglio del 25 febbraio 1992, in GUCE L 76, del 23 marzo 1992, 1.
(20) Ai sensi dell’art. 6.1 della direttiva l’accisa diviene esigibile all’atto dell’immissione in consumo o della constatazione di determinati ammanchi; si considera immissione in consumo di prodotti soggetti ad accisa: «a) lo svincolo, anche irregolare, da un regime sospensivo; b) la fabbricazione, anche ir- regolare, dei prodotti in questione, al di fuori di un regime sospensivo; c) l’importazione, anche irregolare, dei prodotti in questione, quando essi non so- no vincolati a un regime sospensivo». A tali effetti, s’intende per «importazione», conformemente all’art. 5, n. 1, l’ingresso del prodotto nella Comunità.
sig. Joustra in merito all’applicazione nei Paesi Bassi di accise su vini acquistati da quest’ultimo in Francia per il fabbisogno sia proprio sia di altri soggetti privati e spedito nei Paesi Bassi, per conto del medesimo, da parte di un’impresa di trasporti stabilita in quest’ultimo Stato membro. Nel dettaglio, il sig. Joustra fondava, insieme a circa altri 70 soggetti privati, un gruppo sotto il nome di «Cercle des Amis du Vin»; ogni anno egli ordinava par- tite di vino in Francia, per sé e per conto degli altri membri del gruppo uti singuli, incaricando un’impresa di tra- sporto olandese di ritirare il vino e consegnarlo presso la sua abitazione, in attesa che gli altri membri del grup- po venissero a ritirare il quantitativo ordinato pagando il vino richiesto ed un quota delle spese di trasporto. Dal fascicolo di causa risulta che tutto il vino in oggetto veniva immesso in consumo in Francia, dove erano stati pa- gati i relativi diritti di accisa; risulta altresì che nessun membro del gruppo riceveva quantitativi di vino superio- ri ai livelli indicativi minimi stabiliti dall’art. 9, n. 2, della direttiva (21) e che quindi tutto il vino acquistato dai membri del gruppo sembrava destinato al loro uso personale e non a scopi commerciali. Tuttavia, le autorità fi- scali olandesi applicavano su tale partita di vino l’importo di NLG 1997 (pari a EURO 906,20), a titolo di di- ritti di accisa. Avverso tale prelievo il sig. Xxxxxxx presentava ricorso dinanzi ai giudici olandesi: il giudice di pri- mo grado si pronunciava in suo favore, sulla base del rilievo che, sebbene il vino venisse immagazzinato nel suo garage, l’interessato non lo deteneva per scopi commerciali e quindi nemmeno per scopi diversi dall’uso perso- nale ai sensi della legge olandese di attuazione della direttiva (22). Le autorità fiscali olandesi ricorrevano allora dinanzi alla Cassazione, sostenendo come il giudice di primo grado avesse erroneamente interpretato la nozione di «scopo commerciale» contenuta nella direttiva: secondo le dette autorità, soltanto le merci detenute dai pri- vati per le loro esigenze personali e che siano state da essi personalmente trasportate esulerebbero dalla sfera di tale nozione. Nel proprio ricorso incidentale il sig. Joustra sosteneva, invece, che la riscossione di accise sui vini di cui trattasi ricadeva nella sfera di applicazione dell’art. 8: in particolare, egli sosteneva come la locuzione «tra- sportati dai medesimi» di cui alla detta disposizione, non impedirebbe un’interpretazione nel senso che la riscos- sione delle accise nello Stato membro di destinazione sia esclusa quando il privato acquisti egli stesso i prodotti soggetti ad accisa in un altro Stato membro incaricando, per proprio ordine e conto, un terzo di provvedere al trasporto nello Stato membro di destinazione (23). La Cassazione olandese, ritenendo che la giurisprudenza del- la Corte (24) in materia non potesse chiarire in toto il caso a quo, decideva di rivolgersi al giudice europeo chie- dendo in sostanza se la direttiva debba essere interpretata nel senso che quando un privato, come il sig. Joustra, che non operi a titolo commerciale e non persegua scopi lucrativi, acquisti in uno Stato membro, per il fabbiso- gno sia personale sia di altri privati, prodotti soggetti ad accisa, nella specie vino, già immessi al consumo nello Stato membro medesimo, e ne affidi successivamente, per proprio conto, la spedizione ad un’impresa di traspor- ti stabilita in un secondo Stato membro, le accise siano parimenti dovute in quest’ultimo Stato. Nell’affrontare la questione, la Corte precisa come la direttiva abbia inteso fissare un certo numero di regole quanto alla deten- zione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa, segnatamente al fine di assicurare che l’esi-
Note:
(21) L’articolo 9 della direttiva dispone che «fatti salvi gli articoli 6, 7 e 8, l’accisa diventa esigibile allorché i prodotti immessi in consumo in uno Stato membro sono detenuti per scopi commerciali in un altro Stato membro. In tal caso, l’accisa va pagata nello Stato membro nel cui territorio si trovano i prodotti ed è esigibile nei confronti del detentore dei prodotti. Per stabilire che i prodotti contemplati dall’articolo 8 sono destinati a scopi commerciali, gli Stati membri devono, fra l’altro, tener conto dei seguenti elementi: status commerciale e ragioni del detentore dei prodotti; luogo in cui i prodotti si trovano o, se del caso, il modo di trasporto utilizzato; qualsiasi documento relativo a tali prodotti; natura dei prodotti; quan- titativo dei prodotti …».
(22) L. 31 ottobre 1991, relativa alle accise (Wet op de accijns, Stb. 1991, p. 561).
(23) Tale tesi viene, peraltro, avvallata dalla Commissione europea.
(24) In particolare, la Cassazione olandese fa riferimento alla sentenza della Corte del 2 aprile 1998, causa X-000/00, XXX Tabac e a. (nota come «The Man in Black»). La Man in Black Ltd. era un’impresa consociata di una società lussemburghese, che raccoglieva e procurava ordini per l’acquisto di tabacchi lavorati presso privati residenti nel Regno Unito. La Man in Black acquistava i prodotti in Lussemburgo e li impor- tava nel Regno Unito per il tramite di un’impresa privata di trasporto in nome e per conto degli interessati, dietro il pagamento di una com- missione. Ciascun acquisto era limitato ad un quantitativo non superiore al livello minimo indicativo di cui all’art. 9, n. 2, della direttiva. In tale contesto ci si chiedeva se il detto sistema potesse rientrare nella sfera di applicazione dell’art. 8, della direttiva, cosicché i diritti di accisa sarebbero stati esigibili soltanto in Lussemburgo e non nel Regno Unito. La Corte ha rilevato che le condizioni indicate nell’art. 8 devono con- sentire di provare il carattere strettamente personale della detenzione delle merci in oggetto e che tale disposizione non è applicabile quando l’acquisto e/o il trasporto di merci soggette ad accisa siano stati effettuati per il tramite di un agente. Essa ha poi aggiunto che dalla direttiva risulta chiaramente come il legislatore comunitario non abbia mai inteso prendere in considerazione l’intervento di un agente nel contesto dell’art. 8. La fattispecie descritta dal giudice a quo sembrava piuttosto poter ricadere sia sotto l’art. 7 sia sotto l’art. 10 della direttiva. Nel di- spositivo, la Corte ha sostenuto che la direttiva «va interpretata nel senso che non osta alla riscossione nello Stato membro A dei diritti di ac- cisa sulle merci immesse in consumo in uno Stato membro B ove le stesse sono state acquistate presso la societá X per uso personale di priva- ti stabiliti nello Stato membro A per il tramite della società Y che interviene in qualità di agente per tali privati e dietro compenso, essendo noto che il trasporto della merce dallo Stato membro B verso lo Stato membro A è stato del pari organizzato dalla società Y per conto dei pri- vati ed effettuato da un corriere agente a titolo oneroso».
gibilità delle accise sia identica in tutti gli Stati membri (25). La Corte richiama poi alcuni considerando della direttiva (26), da cui emerge una distinzione tra, da un lato, le merci detenute a fini commerciali, per il traspor- to delle quali sono necessari documenti di accompagnamento e, dall’altro, le merci detenute a fini personali, per i quali non è richiesto alcun documento; da tali considerando risulta inoltre che, ai fini dell’applicazione della direttiva, i prodotti non detenuti a fini personali devono essere necessariamente considerati come detenuti a fi- ni commerciali. Per quanto attiene a questi ultimi prodotti, sebbene l’art. 6 della direttiva preveda che l’accisa diviene esigibile all’atto dell’immissione in consumo dei prodotti in uno Stato membro, non è escluso che, in virtù degli artt. 7, 9 o 10 della direttiva medesima, l’accisa sia riscossa in seguito in un altro Stato membro, po- tendo allora essere rimborsate, sempre secondo la direttiva (27), le accise eventualmente corrisposte nel primo Stato. Per contro, per quanto attiene ai prodotti detenuti a fini personali, l’art. 8 della direttiva prevede che le accise siano riscosse nello Stato membro in cui tali prodotti sono stati acquistati. Nel caso a quo, al fine di stabi- lire se possano essere parimenti applicate accise nello Stato membro di destinazione, occorre anzitutto esamina- re se la fattispecie descritta dal giudice del rinvio nelle questioni pregiudiziali possa ricadere nella sfera di appli- cazione dell’art. 8 della direttiva. Tale applicazione, come già affermato dai giudici comunitari (28), richiede la presenza di tre requisiti: i prodotti soggetti ad accisa devono essere stati acquistati da un «privato», tale soggetto deve averli acquistati «per il proprio uso» e deve inoltre averli trasportati «egli stesso». Xxxxxxxx requisiti devono provare il carattere rigorosamente personale della detenzione dei prodotti soggetti ad accisa acquistati in uno Stato membro e successivamente trasportati verso un altro Stato membro. Xxxxxx, secondo la Corte, è certo che nel caso a quo i prodotti soggetti ad accisa siano stati acquistati da un privato; tuttavia dal tenore stesso del- l’art. 8 della direttiva emerge ictu oculi che tale disposizione postula che i prodotti di cui trattasi siano destinati al fabbisogno personale del privato che li abbia acquistati, escludendo, quindi, l’acquisto di prodotti da parte di un privato per soddisfare il fabbisogno di altri privati. Ne consegue che, nel caso in cui, come nella fattispecie og- getto della causa principale, i prodotti soggetti ad accisa siano stati acquistati da un privato non solo per il pro- prio fabbisogno personale, ma parimenti per il fabbisogno di altrui, solamente la prima quota dell’acquisto può ricadere nella sfera dell’art. 8 della direttiva. Per quanto attiene al secondo requisito, emerge parimenti dalla lo- cuzione «trasportati dai medesimi», di cui all’articolo in oggetto, che l’applicazione di tale disposizione esige che i prodotti di cui trattasi siano stati trasportati personalmente dal privato che li abbia acquistati. Ne consegue che, secondo la Corte del Lussemburgo, nel caso in cui un privato assuma l’iniziativa di affidare ad un terzo il trasporto di prodotti soggetti ad accisa e organizzi il trasporto come se vi provvedesse egli stesso, come avvenuto nel caso del sig. Joustra nella causa principale, il carattere strettamente personale della detenzione dei prodotti non sia co- sì evidente. Infatti, continua il giudice comunitario, quando il legislatore comunitario ha voluto prendere in considerazione, nel contesto della direttiva, l’ipotesi dell’intervento di un terzo, lo ha fatto in modo espresso (29), mentre nessuna delle versioni linguistiche dell’art. 8 della direttiva prevede esplicitamente un intervento siffatto. Conseguentemente, tale disposizione non può trovare applicazione quando l’acquisto e/o il trasporto di merci soggette ad accisa sia stato effettuato tramite un agente, atteso che il legislatore comunitario non ha mai inteso prendere in considerazione l’intervento di un agente nel contesto di tale disposizione (30). Peraltro, a pre- scindere dal fatto che l’iniziativa del trasporto provenga o meno dal privato, si deve necessariamente rilevare che il fatto stesso che i prodotti soggetti ad accisa vengano spediti in un altro Stato membro da un’impresa di tra- sporti facilitando la spedizione di quantitativi di prodotti eccedenti in misura significativa le esigenze del singo- lo privato che li abbia acquistati, è sufficiente a dimostrare che la loro detenzione non riveste il carattere stret- tamente personale postulato dall’art. 8 della direttiva. A tal riguardo si deve d’altronde rilevare che, a termini
Note:
(25) Come già sostenuto nelle cause X. Xxxxx. CE, sentenza EMU Tabac e a., cit. supra, punto 22; sentenza 5 aprile 2001, causa X-000/00, Xxx xx Xx- ter, punto 39, e sentenza 12 dicembre 2002, causa C-395/00, Xxxxxxxx, punto 41.
(26) In particolare, il quinto, sesto e settimo.
(27) A termini dell’art. 22, nn. 1 e 3, collocato nel Titolo IV della medesima, «… i prodotti soggetti ad accisa e immessi in consumo possono, in casi adeguati e su richiesta di un operatore nell’esercizio della propria professione, formare oggetto di un rimborso dell’accisa da parte delle autorità fiscali dello Stato membro in cui avviene l’immissione in consumo, quando non siano destinati ad essere consumati in detto Stato membro. Gli Stati mem- bri hanno tuttavia la facoltà di non dar seguito a tale domanda di rimborso qualora la medesima non risponda ai criteri di regolarità da essi stabiliti. Nei casi di cui all’articolo 7, lo Stato membro di partenza deve procedere al rimborso dell’accisa che è stata pagata alla sola condizione che l’accisa sia già stata corrisposta nello Stato membro di destinazione, secondo la procedura prevista all’articolo 7, paragrafo 5. Tuttavia, gli Stati membri possono non dare seguito a tale domanda di rimborso quando la stessa non soddisfa i criteri di regolarità da essi stabiliti».
(28) Cfr. X. Xxxxx. CE, EMU Tabac e a. cit., punti 25 e 26.
(29) Cfr., ad esempio, l’art. 9, n. 3, ove si legge come «… gli Stati membri possono altresì prevedere che l’accisa diventi esigibile nello Stato membro di consumo al momento dell’acquisto di oli minerali già immessi in consumo in un altro Stato membro qualora questi prodotti siano trasportati con mo- di di trasporto atipici, da privati o per conto di questi ultimi …».
(30) Cfr. X. Xxxxx. CE, EMU Tabac e a. cit., punti 37 e 40.
dell’art. 9, n. 2, della direttiva, sia le modalità di trasporto utilizzate sia i quantitativi trasportati costituiscono ele- menti pertinenti per accertare la natura commerciale della detenzione delle merci di cui al detto art. 8, e, per- tanto, il carattere non personale della medesima (31). Appurato che l’art. 8 della direttiva non può trovare ap- plicazione nel caso a quo, il giudice comunitario precisa come, invece, l’art. 7 sembri attagliarsi perfettamente al caso di specie, in quanto tale disposizione riguarda la fattispecie in cui le merci vengano cedute, o siano destina- te ad essere cedute, all’interno di un altro Stato membro ovvero siano destinate, all’interno di un altro Stato membro, a soddisfare le esigenze di un operatore che svolga in modo indipendente un’attività economica. Or- bene, tale ipotesi ricorre nel caso di un privato che, pur non perseguendo scopi lucrativi, affida la spedizione del- le merci soggette ad accisa ad un operatore agente per conto dello stesso: infatti, come già sopra precisato, la di- rettiva si fonda sul principio che i prodotti non detenuti a fini personali devono essere necessariamente consi- derati detenuti a scopi commerciali. Il giudice del Lussemburgo ricorda infine che, nel caso in cui le accise ven- gano riscosse nello Stato membro in cui i prodotti siano detenuti a scopi commerciali, laddove siano stati già im- messi al consumo in un primo Stato membro, la direttiva prevede che le accise versate nel primo Stato venga- no rimborsate (32). In seguito a tali ragionamenti, la Corte risolve la questione pregiudiziale statuendo che:
«La direttiva del Consiglio 25 febbraio 1992, n. 92/12/CEE, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa, come modificata dalla direttiva del Consiglio 14 dicembre 1992, 92/108/CEE, dev’essere interpretata nel senso che, nel caso in cui, come nella fattispecie og- getto della causa principale, un privato, che non agisca a titolo commerciale e non persegua scopi lucrativi, acquisti in un primo Stato membro, per il proprio fabbisogno personale e per quello di altri privati, prodotti soggetti ad accisa già immessi in consumo in tale Stato membro e li faccia spedire in un secondo Stato mem- bro, per proprio conto, da un’impresa di trasporti stabilita nel secondo Stato stesso, trova applicazione l’art. 7 della direttiva e non il successivo art. 8, con la conseguenza che le accise vengono parimenti riscosse in que- st’ultimo Stato. A termini dell’art. 7, n. 6, della direttiva medesima, le accise versate nel primo Stato verran- no, in tal caso, rimborsate conformemente alle disposizioni dell’art. 22, n. 3, della direttiva stessa».
Note:
(31) Sembra opportuno sottolineare come la decisione della Corte e la sua interpretazione «restrittiva» dell’art. 8 della direttiva siano contestati dalla Commissione, la quale sottolinea che tale interpretazione costituirebbe, per i cittadini dell’Unione europea, una regressione rispetto alla situazione vi- gente anteriormente all’entrata in vigore della direttiva, considerato che, per effetto della normativa all’epoca applicabile, i beni personali trasferiti nel- l’ambito di un trasloco verso un altro Stato membro e le piccole spedizioni da privato a privato prive di qualsiasi carattere commerciale erano esenti da accise nello Stato membro di importazione. A tal riguardo, la Suprema Corte risponde che, se è pur vero, come peraltro riconosciuto dalla Commissio- ne, che l’art. 8 della direttiva presenta una lacuna in merito, spetta eventualmente al legislatore comunitario porvi rimedio, adottando le misure neces- sarie al fine di modificare la disposizione medesima, cosa d’altronde confermata dal fatto che proprio una proposta di modifica della direttiva è stata sot- toposta dalla Commissione al Consiglio dell’Unione europea al fine, segnatamente, di estendere il beneficio dell’art. 8 ai prodotti trasportati per conto di privati.
(32) Ai sensi dell’art. 22, n. 3, della direttiva, cit. supra alla nota 26.
Il contratto di endorsement
Introduzione
Il contratto di endorsement è l’accordo negoziale che più di ogni altro ha assunto importanza negli ultimi an- ni con riferimento al diritto dell’immagine, in proporzione alla sempre maggiore rilevanza che ha raggiunto nella società odierna il collegare l’uso o il consumo di un prodotto o di un servizio all’utilizzo da parte una per- sona nell’esercizio della propria attività professionale nella quale è nota.
Da una succinta indagine storica troviamo le radici del contratto di endorsement negli ordinamenti di diritto anglosassone e successivamente adottato negli ordinamenti di civil law come contratto atipico. La sua diffu- sione è giustificata dalla necessità di dare regolamentazione giuridica alla prassi adottata dalle imprese di pro- muovere i propri prodotti per mezzo di consigli personali di un soggetto (definito well know personality) che utilizza in esclusiva i medesimi nell’ambito della propria attività.
Essendo uno dei contratti principi per la comunicazione di impresa, esso impone particolare studio e atten- zione nella redazione delle clausole che lo compongono. Spesso le parti hanno chiaro l’obbiettivo imprendi- toriale ed economico che vogliono raggiungere e la procedura con la quale arrivare a quei risultati, spetta poi al giurista interpretare la reale volontà negoziale e tradurla in un regolamento contrattuale conforme ed equi- librato. Risultato spesso difficile alla luce dell’atipicità del contratto in questione e della libertà delle parti che danno sfogo alla loro creatività imprenditoriale per realizzare equilibri economici sempre nuovi e, alle volte, arditi.
Si pensi agli sportivi professionali la cui fama collegata agli attrezzi utilizzati nell’ambito della loro attività sportiva può influenzare le scelte del consumatore medio che intende acquistare un attrezzo simile, incre- mentando così le vendite del produttore.
Quando nel 1981 il tennista Xxxx XxXxxxx vinse a Wimbledon utilizzando una racchetta Dunlop Maxply Fort, la Dunlop, alla fine dell’anno, incrementò le vendite di quella racchetta del 170%. L’anno successivo la Dunlop concluse un contratto di endorsement con XxXxxxx per il corrispettivo di $ 600.000,00 all’anno af- finché quest’ultimo usasse una Maxply XxXxxxx ogni volta che avrebbe giocato in pubblico o si sarebbe al- lenato.
Xxxxxxx Xxxxxx è nel novero degli sportivi professionisti che hanno maggiormente incrementato i propri gua- dagni dall’attività di endorser; si calcola che Xxxxxx abbia ricevuto, dal 1984, circa cinque milioni di dollari ogni anno come corrispettivo dei contratti con la Nike per le scarpe signature, firmate dal campione di palla- canestro. Nel 2006 è stato lanciato in co-brand con la Nike la linea di abbigliamento Xxxxxx Classic che il campione ha lanciato con una tournée europea di presentazione.
Sempre la Nike ha recentemente trovato un accordo multi milionario con il campione di golf Xxxxx Xxxxx. Il contratto concluso nel 2003 tra la Adidas e il calciatore inglese Xxxxx Xxxxxxx prevede un corrispettivo che varia dai due ai quattro milioni di sterline all’anno.
Tra gli sportivi italiani si ricordano Xxxxxxx Xxxxx e Xxxxxxx Xxxxx rispettivamente per gli sci Rossignol e Atomic; tra le donne Xxxxxx Xxxxxxxxxx per gli sci Dynastar all’unisono col pluri-campione del mondo Xxxx Xxxxxxxxxx.
Questi sono solo alcuni dei molti esempi di applicazione del contratto in esame in ambito sportivo.
Quasi tutti gli esempi di contratti di endorsement applicati nell’attività sportiva assumono come termine fi- nale quello della cessazione dell’attività professionale dell’endorser; vi sono però esempi nei quali il contratto di endorsement prevede anche una durata successiva rispetto alla cessazione dell’attività sportiva professiona- le. Ad esempio nell’agosto 2006 la campionessa di tennis Xxxxx Xxxxxxxxx, campionessa a Wimbeldon nel 2004, ha concluso con la Price Sports un contratto di endorsement per i prodotti sportivi dell’endorsee che vin- cola le parti non soltanto per tutta la durata della carriera da professionista della tennista, ma anche oltre. Anche il mondo dello show business è sempre più regolato da rapporti di endorsement. Nel campo musicale, e ciò vale per ogni tipo o genere musicale, i musicisti di rilevo nazionale o internazionale hanno un contratto di endorsement per la fornitura e l’utilizzo di strumenti musicali.
Valgano su tutti i seguenti esempi: Xxxxxx Xxxxxxx è legato da anni alla marca di chitarre PRS (Xxxx Red Xxxxx) e insieme a lui, con differenti contratti troviamo Xxxx Xxxxxxx (Red Hot Chili Peppers - Xxxx’x Ad- diction) e Xxxx Xxxxxxxx (Creed); il chitarrista-voce dei KISS Xxxx Xxxxxxx ha concluso durante la sua car- xxxxx di rock-star almeno tre diversi contratti di endorsement per altrettante differenti marche produttrici di chitarre (Ibanez, Xxxxxxxxx e da ultimo Silvertone) tutti regolamentati con obblighi e diritti diversi.
La caratteristica comune che collega tutti i casi citati è l’obbligo a carico dell’endorser di utilizzare i prodotti
rappresentati nell’esercizio della propria attività professionale per la quale egli è conosciuto; di contro le pat- tuizioni che regolano i rapporti giuridici nascenti da ognuno degli esempi presentati sono alle volte profon- damente differenti grazie al principio dell’autonomia contrattuale delle parti.
Tentando di dare una traduzione giuridica al nomen iuris attribuito dalla prassi al contratto in esame possiamo dire che il sostantivo endorsement può avere il significato di girata, avallo, approvazione (1), dal che appare evi- dente la causa economica e giuridica del negozio.
Possiamo così iniziare a dare la definizione del contratto di endorsement come quel contratto col quale un sog- getto (well know personality) presta la propria immagine, nome e voce per promuovere prodotti di un’impre- sa che egli utilizza in esclusiva nell’ambito della propria attività professionale. Come già accennato si tratta di un contratto atipico perché non trova una sua espressa regolamentazione nella legge pertanto una definizio- ne del medesimo pecca di oggettivo riconoscimento ex lege e non può che essere frutto dell’elaborazione de- gli interpreti.
Sempre mutuando dalla terminologia anglosassone di uso comune possiamo definire come endorser il profes- sionista che utilizza prodotti e si obbliga a promuoverli e come endorsee l’imprenditore produttore dei prodotti oggetto del contratto.
Si tenga presente che oggetto immediato della prestazione dell’endorser è essenzialmente la concessione a fa- vore del produttore dei prodotti della sua immagine, del suo nome e della sua voce. Si tratta di elementi che trovano tutela quali diritti fondamentali dell’uomo. In particolare possiamo affermare che tutti contribuisco- no a costituire l’immagine in senso lato del soggetto (2).
Sul punto si ricorda la necessità di circostanziare nel contratto i limiti territoriali, temporali e di modalità di utilizzo di diritti di tale natura e importanza.
Per avere una corretta visione del contratto in esame ritengo che si debba procedere nella sua qualificazione nell’ambito degli istituti generali così schematizzando:
a. contratto atipico perché non espressamente regolamentato dalla legge;
b. contratto consensuale considerato che si perfeziona con il semplice scambio dei consensi;
c. contratto ad effetti obbligatori stante che dal medesimo sorge un rapporto di natura obbligatoria tra il pro- duttore e l’endorser;
d. contratto costitutivo poiché per il suo tramite le parti creano un rapporto giuridico patrimoniale nuovo;
e. contratto sinallagmatico perché prevede delle obbligazioni reciproche;
f. contratto commutativo perché già al momento della sua conclusione è possibile valutare l’entità del sacri- ficio patrimoniale a carico di ciascuna delle parti;
g. contratto di durata;
h. contratto di straordinaria amministrazione in quanto avente ad oggetto mediato i diritti di immagine e del nome dell’endorser che hanno natura di diritti fondamentali dell’uomo. Ne consegue che qualora l’endorser sia un soggetto minorenne si deve tenere conto delle norme dettate in tema di potestà parentale (3). Fatti- specie non improbabile visto l’abbassamento dell’età degli artisti, dei performers o degli sportivi che assurgo- no facilmente alla notorietà;
i. un contratto non formale, dato che la forma scritta non è prescritta né ai fini della validità del contratto (ad substantiam) ne ai fini della prova (ab probationem). Trattandosi di contratti di concessione di diritti persona- li e che regolamentano interessi rilevanti anche dal punto di vista della valutazione economica, appare lapa- lissiano il consiglio di redigere il contratto in forma scritta.
Personalmente ritengo corretto procedere a inquadrare il negozio de quo anche prendendo le mosse dai ca- ratteri distintivi che lo caratterizzano nella sua fenomenologia concreta e lo differenziano dai contratti tipici o atipici analoghi.
I contratti che più si avvicinano all’endorsement per la natura dei rapporti giuridici e dei diritti trattati sono il contratto di sponsorizzazione e quello di testimonial; tutti contratti atipici.
Il contratto di sponsorizzazione è caratterizzato dalla stretta connessione tra la promozione dello sponsor e un evento o uno spettacolo (4). Infatti col contratto de quo lo sponsor concede l’uso della propria immagine, se-
Note:
(1) Cfr. West’s Law & Commercial Dictionary, Zanichelli/West e Oxford Paravia Concise, 2006.
(2) In giurisprudenza alcune sentenze, sia pure con alcune sfumature non indifferenti, negano tutela al diritto alla voce: si veda Trib. Milano 10 febbaio 2000, AIDA, 2000, 718; App. Milano 30 marzo 1999, ivi, 2000, 679; Trib. Milano 12 novebre 1998, ivi, 1999, 623. Posizione criticabile perché esclude a priori che il timbro della voce possa avere carattere distintivo e caratterizzante della persona.
(3) Artt. 320 ss. c.c.
(4) Così App. Bologna 27 marzo 1997, in Dir. Aut., 1997, 482.
gni distintivi d’impresa, corporate identity, allo sponsorizzato (definito con terminologia anglosassone sponsee) in occasione di determinati eventi con l’intento di promuovere l’immagine e la reputazione dello sponsor. Generalmente è un contratto a titolo oneroso.
Oggetto della prestazione dello sponsor è la concessione di una licenza d’uso degli elementi costitutivi della propria immagine non per promuovere specifici prodotti ma per supportare uno o più eventi; lo sponsee, che ha in licenza gli elementi dell’immagine dello sponsor, in forza del contratto non produce o commercializza prodotti, ma organizza uno o più determinati eventi aperti al pubblico.
Scopo del contratto di sponsorizzazione è quello di trovare risorse finanziarie o contributi finanziari da priva- ti per l’organizzazione di eventi determinati rendendo in cambio visibilità e pubblicità al finanziatore.
Col contratto di testimonial un’impresa si avvale per la pubblicità dei suoi prodotti o servizi dell’immagine, della voce e del claim di un soggetto che attesta le qualità dei prodotti o dei servizi per averli provati; il testi- monial può anche essere un soggetto riconosciuto come esperto nel campo di attività di impresa della com- mittente.
La differenza sostanziale tra il testimonial e l’endorser risiede nel fatto che il primo si limita a enunciare le qualità dei prodotti mentre il secondo li utilizza come strumenti per l’esercizio della sua attività professio- nale.
Ad esempio sono contratti di testimonial quelli: tra il corridore motociclista Xxxxxxxxx Xxxxx e la Telecom o Fastweb, tra l’attrice Xxx Xxxxxxxx (5) e L’Oreal. Ancora un esempio potrà chiarire la differenza: è notizia ANSA che Xxxxxxx ha concluso per la H&M, che realizza prodotti di haute couture, un contratto col qua- le la cantante dall’autunno 2006 sarà donna immagine e stilista della casa di moda; nel contratto è stata in- clusa una fornitura di abiti per lei e il suo staff durante il prossimo tour. Si tratta di abbigliamento e non di strumenti per lo svolgimento della professione di cantante di Xxxxxxx e quindi ritengo che il contratto pos- sa essere qualificato come testimonial; diverso se avesse avuto ad oggetto strumenti musicali, microfoni o im- pianti di amplificazione.
Check list delle obbligazioni
Passiamo ora ad esaminare una check list delle clausole e degli accordi in esse contenuti che sono, a mio avvi- so, tipiche del contratto in esame o, comunque, tra le più frequenti negli schemi negoziati e adottati nella prassi economica.
Quello che possiamo definire un elemento tipico del contratto di endorsement è l’obbligo di esclusività a ca- rico dell’endorser di avvalersi dei prodotti dell’endorsee con esclusione di qualunque facoltà di utilizzo di pro- dotti concorrenti, in maniera diretta o indiretta, quantomeno nelle occasioni nelle quali l’endorser agisce in pubblico e non soltanto nell’esercizio ufficiale della sua attività professionale. Infatti, lo scopo principale del contratto di endorsement è quello di promuovere una commercializzazione dei prodotti utilizzati dall’endorser nell’ambito della sua attività professionale come se tali prodotti fossero elemento determinante o, quanto- meno, coadiuvante il raggiungimento del successo dell’endorser, appare evidente che se quest’ultimo avesse la facoltà di utilizzare prodotti concorrenti lo scopo di associare la sua immagine con i prodotti dell’endorsee verrebbe meno.
L’obbligo di esclusiva potrà essere gradato a seconda delle diverse circostanze nelle quali l’endorser si trova ad agire; generalmente è fatta salva la libertà dell’endorser di scegliere prodotti diversi da quelli oggetto del con- tratto soltanto nell’ambito della propria sfera privata e cioè quando non vi è la possibilità che terzi possano associare l’immagine dell’endorser a prodotti di diversa marca.
Con riferimento alle obbligazioni a carico dell’endorser ritengo che si possa qualificare la concessione dei di- ritti di quest’ultimo quale una licenza di utilizzo della propria immagine, nome e voce a favore dell’endorsee. Si tratta quindi di regolamentare per iscritto il consenso esplicito all’utilizzo del proprio ritratto per scopi commerciali (6).
Generalmente i soggetti che godono già di una certa rinomanza, nazionale o internazionale, gestiscono la propria immagine tramite società da essi controllate; in tali fattispecie si tenga presente che il contratto di en- dorsement sarà un contratto in cui compaiono tre parti: l’endorser per le obbligazioni personali ad esso ineren- ti, la società che gestisce l’immagine dell’endorser per la licenza in esclusiva di quest’ultima, l’endorsee per le obbligazioni che lo riguardano. Nel modello che si propone è prevista la struttura con tre parti.
Note:
(5) Conosciuta al pubblico come una delle protagoniste del serial televisivo «Desperate Housewives».
(6) Cfr. X. Xxxx’Xxxx, I Contratti della Fotografia e dell’Immagine, 241 ss., Xxxxx, 0000; per alcuni modelli contrattuali si veda S. Dell’Arte, Modelli di Con- tratti della Fotografia e dell’Immagine, Sez. IV, Xxxxx, 0000.
L’utilizzo delle immagini dell’endorser comporta sostanzialmente la fissazione del ritratto di quest’ultimo per la comunicazione a scopi essenzialmente commerciali. Al fine di poter conservare la libertà di scelta nell’indi- viduazione dell’immagine da comunicare al pubblico, la clausola in oggetto deve prevedere l’obbligo di sele- zionare le fotografie di comune accordo tra le parti.
Le immagini promozionali sono spesso accompagnate da un claim pubblicitario; può apparire opportuno per la società endorsee che i claims pubblicitari vengano attribuiti all’endorser come sue manifestazioni di apprez- zamento dei prodotti. All’uopo nella clausola relativa alla licenza di diritti concessi all’endorsee occorrere spe- cificare che quest’ultimo può utilizzare sul suo materiale promozionale citazioni, frasi, convenute di comune accordo tra le parti, che saranno attribuite all’endorser.
Il contratto potrà prevedere a carico dell’endorser obblighi di partecipazione a eventi selezionati o organizzati dall’endorsee quali attività promozionali dei prodotti; in questo caso la clausola deve prevedere nel dettaglio i termini di preavviso per la comunicazione all’endorser dell’evento, le prestazioni alle quali dovrà attenersi il soggetto e le condizioni alle quali quest’ultimo potrà esercitare la facoltà di non partecipare agli eventi per giustificato motivo. Nei contratti di endorsement per artisti professionisti occorre assicurarsi che l’endorsee ab- bia la competenza, l’esperienza e possieda tutti i requisiti tecnici e professionali per poter organizzare eventi, performance o apparizioni in modo da soddisfare non soltanto gli obiettivi dell’imprenditore, ma altresì quel- li dell’artista; infatti molti produttori commerciali non hanno esperienza nell’organizzazione di performance live o eventi cosiddetti «in store». In tale ipotesi la clausola dovrà prevedere l’obbligo per l’endorsee di incari- care per l’organizzazione dell’evento imprese professioniste e competenti per la produzione, la sicurezza e l’or- ganizzazione della performance.
Particolare attenzione dovrà essere prestata nella redazione della clausola che individua e specifica la tipolo- gia e le caratteristiche dei prodotti che l’endorser si obbliga ad utilizzare nell’ambito della propria attività pro- fessionale; infatti è nell’interesse di quest’ultimo delimitare con precisione a quali dei tanti prodotti realizza- ti dall’endorsee vincolare la propria immagine.
Ulteriori peculiarità nella redazione del contratto derivano dalla produzione di prodotti signature costruiti su specifiche e indicazioni dell’endorser e commercializzati e distribuiti previa sua approvazione delle caratteri- stiche. Si tratta di una linea di prodotti dedicata esclusivamente al personaggio che ufficialmente soddisfa le esigenze professionali di quest’ultimo e, spesso, si affianca alla produzione del medesimo modello non perso- nalizzato.
Il contratto dovrà inoltre indicare con chiarezza il termine finale entro il quale tutte le obbligazioni devono essere compiute e adempiute e l’endorsee ha la facoltà di utilizzare le immagini e i diritti concessigli dall’en- dorser. Collegato con la redazione della clausola del termine finale vi è la possibilità di concordare un termi- ne successivo a quello di efficacia del contratto entro il quale la società produttrice può continuare a com- mercializzare i prodotti, soprattutto se signature, contestualmente utilizzando l’immagine dell’endorser, alfine di poter esaurire le eventuali scorte di magazzino.
Insieme alla coordinata del temporale è necessario anche considerare la coordinata del territoriale e cioè in- dividuare i confini territoriali nel cui ambito il contratto ha efficacia. L’aspetto del territorio è importante per- ché correlato alla clausola di esclusiva a carico dell’endorser di utilizzo dei prodotti dell’endorsee; nei confini individuati l’endorser dovrà utilizzare i prodotti di cui al contratto, mentre fuori dai limiti di efficacia territo- riale sarà liberò di fare uso di prodotti diversi. Nella prassi si concretizzano fattispecie, in verità rare, nelle qua- li l’endorser può utilizzare prodotti concorrenti con quelli dell’endorsee in zone territoriali specificatamente de- limitate e individuate nel contratto.
Per quanto concerne il corrispettivo e le obbligazioni a carico dell’endorsee il contratto in esame qualora abbia per oggetto prodotti può limitarsi all’assistenza tecnica a carico dell’endorsee e a favore dell’endorser e alla fornitura di tutti i prodotti oggetto del contratto necessari per l’attività professionale dell’endorser. Più frequentemente, qualora il personaggio abbia un potere contrattuale di un certo rilievo, a fianco di pre- stazioni tecniche si conviene il pagamento di un corrispettivo in denaro quale sinallagma delle prestazio- ni assunte dall’endorser. Il corrispettivo può essere convenuto in una somma fissa, cosiddetta lump sum, da pagarsi anche periodicamente o nel pagamento di una percentuale sul guadagno delle vendite dei prodot- ti oggetto del contratto, le cosiddette royalties. Le parti, in forza della loro autonomia contrattuale, posso- no altresì convenire un corrispettivo misto formato da una somma fissa, anche periodica, e da una per- centuale di royalties.
La redazione della clausola sul corrispettivo necessita di particolare competenza per quanto riguarda l’individuazione delle cosiddette royalties da calcolarsi sulla base imponibile che può essere individua- ta nei corrispettivi globalmente incassati dal produttore per la vendita dei prodotti oggetto del con- tratto oppure dall’incremento delle vendite effettuate negli anni in cui il contratto di endorsement è in vigore.
Inoltre è necessario convenire se le royalties devono essere calcolate sul guadagno lordo (7) o netto: sul gua- dagno lordo ricevuto dal licenziatario; la seconda sul guadagno netto dedotti determinati costi o imposte (8). La differenza sostanziale è evidente.
Qualora il potere contrattuale dell’endorser lo permetta si può prevedere la facoltà per il medesimo di con- trollare la contabilità o la documentazione riguardante i guadagni ricevuti dall’endorsee ai fini del computo delle royalties. Per redigere una clausola equilibrata, occorre stabilire quali sono i documenti che l’endorsee de- ve comunicare all’endorser al fine di poter controllare il calcolo delle royalties. Le verifiche che l’endorser può effettuare sui libri contabili dell’endorsee sono ad esclusive cure e spese dell’endorser, salvo che dalle medesi- me non si riscontri una differenza nella base del calcolo individuata in una determinata percentuale; in que- sto caso, se l’errore è per colpa o dolo del produttore, si può stabilire che le spese del controllo contabile sia- no a carico di questi in tutto o in parte.
Dal punto di vista della redazione pratica della clausola di pagamento delle royalties si suggerisce di prevede- re con precisione i termini periodici entro i quali queste devono essere corrisposte. È altresì opportuno con- venire una penale nel caso di ritardato pagamento individuando già nel contratto la percentuale convenzio- nale degli interessi di mora.
Particolare rilevanza hanno inoltre le pattuizioni aggiuntive in forza delle quali l’endorser riceve un ulteriore corrispettivo al raggiungimento di determinati e specifici risultati nell’ambito della propria attività. Si tratta della clausola, che personalmente definisco hole in one mutuando la terminologia sportiva del golf.
Dato che il contratto in esame è un contratto di concessione di diritti fondamentali dell’uomo quali il dirit- to al ritratto, occorre tener presente che è interesse del disponente-concedente che qualora la propria imma- gine non venga utilizzata entro un determinato periodo di tempo il contratto si risolve automaticamente e il soggetto ritorna nella piena disponibilità del proprio diritto. All’uopo il contratto potrà specificare che qua- lora l’endorsee non utilizzi l’immagine dell’endorser entro un determinato termine quest’ultimo sarà libero di concludere e stipulare contratti di endorsement con ulteriori produttori.
Infine, nonostante la riservatezza degli interessi economici e personali coinvolti nel contratto in oggetto, è consigliabile introdurre una clausola arbitrale per la risoluzione delle eventuali controversie. Tale clausola ha il duplice scopo di limitare le tempistiche necessarie per la risoluzione di eventuali litigi, i relativi costi, e quel- lo di mantenere riservati i motivi e le condizioni delle controversie stesse.
Salvo Dell’Arte
CONTRATTO DI ENDORSEMENT
Tra
[…], nato a […(il […], residente in […], via […], codice fiscale […], partita IVA […] (d’ora innanzi indicato come «Mr. X»)
e
La […], con sede in […], xxx […] x. […], iscritta al Registro Imprese di […] al n. […], codice fiscale e partita IVA […], la quale interviene a quest’atto in persona del suo legale rappresentante pro tempore signor […], nato a […], il […], residente a […], xxx […] x. […], il quale dichiara e garantisce in proprio di avere tutti i po- xxxx necessari per la conclusione del presente contratto (d’ora innanzi indicata come «Società»)
La ALFA GOLF CLUB LTD, con sede in […], xxx […] x. […], iscritta al Registro Imprese di […] al n. […], co- dice fiscale e partita IVA […], la quale interviene a quest’atto in persona del suo legale rappresentante pro tem- pore signor […], nato a […], il […], residente a […], xxx […] x. […], il quale dichiara e garantisce in proprio di avere tutti i poteri necessari per la conclusione del presente contratto (d’ora innanzi indicata come «Alfa»).
Premessa
A. Mr. X esercita attività di […..] [….] nel cui ambito utilizza esclusivamente prodotti della Alfa specificati nel- la lista che, previa visione e approvazione delle parti, si allega al presente contratto, per costituirne parte in- tegrante sotto la lettera A (d’ora innanzi per semplicità indicati come «Prodotti») e intende concedere l’u- tilizzo della propria immagine come endorsement per i medesimi prodotti come appresso specificato.
B. Alfa progetta e produce direttamente i Prodotti.
C. Tra la Società e Mr. X è stato concluso un contratto di licenza in esclusiva e senza limitazioni territoriali relativo alla gestione e alla promozione dell’immagine e del nome di Mr. X per tutti gli scopi promozio- nali e di comunicazione relativamente all’attività sportiva del medesimo.
Note:
(7) Gross Sale Price.
(8) Net Sale Price.
D. Col presente contratto le parti intendono disciplinare il rapporto di endorsement tra loro nei limiti e nel- l’ambito di quanto col presente convenuto.
Tutto ciò premesso si conviene
Articolo 1 Definizioni
Ai fini del presente contratto le parti convengono e dichiarano di attribuire ai termini qui di seguito elenca- ti il significato singolarmente specificato per ciascuno di essi:
1.1 «Alfa»: la […], con sede in […], xxx […] x. […], iscritta al registro imprese di […] al n. […], codice fi- scale e partita IVA […];
1.2 «Corrispettivo»: il corrispettivo indicato nell’Articolo 4 in tutte le sue singole voci;
1.3 «Contratto»: il presente contratto;
1.4 «Mr. X»: […], nato a […(il […], residente in […], via […], codice fiscale […], partita IVA […];
1.5 «Società»: la […], con sede in […], xxx […] x. […], iscritta al registro imprese di […] al n. […], codice fiscale e partita IVA […];
1.6 «Territorio»: le seguenti aree geografiche unitariamente considerate: .
Articolo 2
Endorsement
2.1 La Società e Mr. X, per quanto di loro competenza, concedono alla Alfa, che accetta, l’uso dei seguen- ti diritti di utilizzazione dell’immagine e del nome di Mr. X (d’ora innanzi per semplicità indicati unita- riamente come «Diritti») limitatamente nell’ambito del Territorio:
a) Alfa avrà diritto per tutta la durata del presente Contratto, su ogni media e limitatamente al Territorio, di:
i) utilizzare il nome, il ritratto e l’immagine di Mr. X in tutte le attività di comunicazione, promozione e pubblicità dei Prodotti;
ii) utilizzare la selezione di fotografie di Mr. X scelte di comune accordo con la Società sui materiali pro- mozionali prodotti dalla Alfa relativi ai Prodotti;
iii) utilizzare su ogni materiale promozionale citazioni e frasi, convenute di comune accordo con la Società, attribuibili a Mr. X.
b) Durante i tornei e le gare ufficiali singole, Alfa avrà la facoltà di organizzare attività promozionali dei Prodotti con interviste personali o con la partecipazione di Mr. X, previa comunicazione a questi alme- no 24 ore prima.
c) Di produrre una linea di Prodotti personalizzata e dedicata a Mr. X, sui quali potrà apporre la firma au- tografa in copia di Mr. X, a condizione che:
i) i prodotti personalizzati siano simili a quelli utilizzati ordinariamente da Mr. X;
ii) la produzione e la vendita dei prodotti personalizzati avvenga esclusivamente durante la vigenza del pre- sente Contratto e per un periodo di dodici mesi successivi.
d) La produzione e la commercializzazione dei Prodotti personalizzati non obbligherà Mr. X all’utilizzo di questi ultimi sicché egli potrà utilizzare, a sua libera scelta, i Prodotti di cui all’allegato del presente Con- tratto o quelli personalizzati.
e) In rispetto alle eventuali regole contenute nei regolamenti speciali dei tornei e delle singole gare uffi- ciali, Mr. X:
i) utilizzerà una sacca da golf fornita da Alfa sulla quale sarà ben visibile il nome, il logo e il marchio di Alfa;
ii) utilizzerà abbigliamento e accessori (quali, a mero titolo esemplificativo, ombrello, giacca a vento o jer- sey) sui quali sarà apposto il nome, il logo e il marchio di Alfa.
f) nel rispetto della propria dignità e decoro, Mr. X si adopererà a promuovere i Prodotti; all’uopo Alfa for- nirà a Mr. X ogni assistenza richiesta dal medesimo per la pianificazione e per l’espletamento delle pre- dette attività promozionali supplementari.
2.2 Il presente Contratto ha durata di […] anni dalla data della sottoscrizione del medesimo.
2.3 Il Contratto avrà efficacia nei limiti del Territorio inteso come: […]
2.4 Qualora Alfa non eserciti i diritti concessigli nel presente Contratto entro […] dalla firma del medesi- mo, quest’ultimo si risolverà di diritto.
Articolo 3 Obbligazioni della Società
Per tutta la durata del presente Contratto la Società si obbliga:
a) a garantire che Mr. X adempia a tutte le obbligazioni qui appresso specificate che lo riguardano perso- nalmente;
b) a garantire che né la Società né Mr. X concederanno diritti che possono essere in conflitto o in con- correnza con quelli di cui al presente Contratto ad altre imprese che siano esse stesse in concorrenza di- retta [o indiretta] con Alfa;
c) a garantire che né la Società né Mr. X consentiranno, direttamente o indirettamente, a concorrenti di- retti [o indiretti] di Alfa di utilizzare il nome o l’immagine di Mr. X in connessione con la promozione e la vendita dei loro Prodotti, obbligandosi ad agire nel più breve tempo possibile alla tutela giudiziale dei loro diritti.
Articolo 4 Corrispettivo
Quale corrispettivo dei diritti concessi col presente Contratto Alfa si obbliga a pagare alla Società quanto se- gue:
a) la somma fissa annuale di € […] che sarà corrisposta in anticipo entro il […] di ogni anno;
b) al termine di ogni anno, le seguenti somme per la partecipazione ad ogni torneo nazionale o interna- zionale da corrispondersi entro il […]
Primo anno € […] Secondo anno € […] Terzo anno € […]
c) al termine di ogni anno, le seguenti somme per la partecipazione ad ogni gara nazionale o internazio- nale singola che non sia parte di un torneo, da corrispondersi entro il […]
Primo anno € […] Secondo anno € […] Terzo anno € […]
d) le somme di cui alle precedenti lettere b) e c) sono da intendersi per ogni partecipazione ad ogni singo- lo torneo nazionale o internazionale o ad ogni singola gara, nazionale o internazionale, non facente par- te di un torneo, sicché il corrispettivo dovuto da Alfa annualmente sarà pari alla somma complessiva ri- cavata dal totale di quanto dovuto per ogni partecipazione come indicata;
e) qualora Mr. X vinca un torneo, Alfa pagherà un bonus per ogni vincita pari a € […]; qualora Mr. X vin- ca una gara singola di un torneo o una gara singola non facente parte di un torneo, Alfa pagherà un bo- nus per ogni vincita pari a € […];
f) qualora durante un torneo o una gara singola, Mr. X realizzi un «hole in one» che sia ripreso televisiva- mente, Alfa pagherà un bonus pari a € […];
g) qualora Alfa produca e commercializzi la linea di Prodotti personalizzata per Mr. X di cui al precedente articolo 2 lettera c), Alfa corrisponderà royalties pari al […] % del fatturato netto da spese, escluse le tas- se e le imposte, conseguito dalle vendite dei Prodotti personalizzati. [prevedere eventuali forme di con- trollo contabile]
h) qualora Alfa richieda a Mr. X di compiere attività di promozione personale e di partecipare alle inter- viste di cui al precedente articolo 2 lettera b), Alfa corrisponderà tutte le spese sostenute purché pre- viamente concordate o documentalmente provate;
i) i pagamenti del Corrispettivo e di ogni sua singola voce di cui sopra saranno sottoposti alle seguenti condizioni:
i) che la Società e Mr. X adempiano puntualmente a tutte le obbligazioni assunte nel presente Contratto;
ii) che Mr. X utilizzi i Prodotti, in esclusiva, in ogni torneo e in ogni altra competizione o gara per tutta la durata del presente Contratto.
Articolo 5 Obbligazioni di Alfa
Alfa si obbliga a convenire con Mr. X il layout di base, nelle componenti visiva e testuale, che dovranno es- sere contenuti nel materiale promozionale e all’uopo a sottoporre tutti i concepts alla Società per l’approva- zione scritta. Tale approvazione scritta o eventuali commenti, sempre per iscritto, dovranno essere ricevuti da Alfa entro e non oltre dieci giorni dal ricevimento del materiale; in mancanza, decorso detto termine, il layout si considererà tacitamente approvato.
Alfa garantisce che tutto il materiale promozionale che verrà prodotto sarà conforme alla versione approva- ta dalla Società o da Mr. X e sarà conforme alle norme di legge relative agli ordinamenti giuridici del Terri- torio di riferimento.
Qualora Alfa produca e commercializzi i Prodotti personalizzati, in forza dell’articolo 2 lettera c) di cui sopra, i medesimi saranno:
i) di qualità pari a quella dei Prodotti di cui all’allegato del presente Contratto e, comunque, nel rispetto del più alto standard di produzione di Alfa;
ii) conformi all’ultimo design di produzione e personalizzati nel rispetto del buongusto;
iii) approvati per iscritto da Mr. X o dalla Società;
iv) confezionati, distribuiti e venduti in conformità a quanto indicato nelle pubblicità e nel materiale pro- mozionale relativi
Articolo 6
Acquisto di Prodotti da parte della Società e di Mr. X
6.1 Spettano alla Società e a Mr. X, a titolo gratuito, numero […] esemplari di ogni tipologia dei Prodotti.
6.2 Nel caso di acquisti di esemplari di Prodotti da parte della Società o di Mr. X lo sconto minimo prati- cato sarà del […]% sul prezzo di vendita all’ingrosso.
6.3 I prodotti personalizzati acquistati dalla Società o da Mr. X non potranno essere venduti e non saranno conteggiati ai fini della percentuale delle royalties.
Articolo 7 Distribuzione e comunicazione
7.1 Alfa si obbliga a distribuire e pubblicizzare i Prodotti in maniera da non ledere la reputazione di Mr. X.
7.2 In particolare per quanto riguarda la distribuzione essa avverrà con le seguenti modalità e tramite i se- guenti canali: .
Articolo 8 Clausola arbitrale
Le eventuali controversie inerenti il presente contratto nascenti tra le Parti, comprese, ad esempio, quelle re- lative alla validità, interpretazione, esecuzione e risoluzione, saranno decise secondo il Regolamento della Procedura di Arbitrato Rapido «ADR ON LINE - IACCI» della «International Arbitration Center for Copyri- ght and Image rights» da un arbitro unico nominato come da regolamento in vigore e pubblicato al momento dell’instaurazione della controversia sul sito istituzionale www.iacciarbitration. org .
Articolo 9 Disposizioni di carattere generale
9.1 Efficacia novativa del contratto
Il presente contratto sostituisce ed è novativo di ogni eventuale precedente accordo intercorso tra le Parti ed avente il medesimo oggetto.
9.2 Modifiche
Qualsiasi modifica a questo contratto, ai fini della sua validità ed efficacia, dovrà assumere la forma scrit- ta e dovrà essere firmata almeno dalla parte nei cui confronti la stessa viene opposta.
9.3 Divieto di cessione del contratto
È fatto espresso divieto ad entrambe le Parti di cedere il Contratto.
9.4 Comunicazioni
Tutte le comunicazioni inerenti il presente contratto dovranno essere effettuate per iscritto anche a mezzo di e-mail.
9.5 Elezione di domicilio
Le Parti eleggono il proprio domicilio per ogni fine relativo al presente contratto, compreso quello di eventuali notificazioni giudiziarie e di invio delle comunicazione di cui al precedente paragrafo 9.4, ai seguenti indirizzi:
i. Mr. X: […]
ii. La Società: […]
iii. Alfa: […]
Ogni Parte potrà comunicare alle altre per iscritto il cambiamento del domicilio tramite lettera raccoman- data con avviso di ricevimento.
9.6 Legge regolatrice
Il presente contratto è regolato dalla legge […].
Allegato A: elenco dei Prodotti
Luogo, data
INDICI
Xxxxxx Xxxxxxx | |
Clausole inique e tutela inibitoria ............................... | 74 |
Xxx Xxxxxxxxx | |
Vendita di cosa futura e appalto: criteri distintivi ...... | 21 |
Xxxxxx Xxxxx | |
Eccezione d’inadempimento e mancata fruizione del- la prestazione ................................................................. | 5 |
Salvo Dell’Arte | |
Il contratto di endorsement ........................................... | 89 |
Xxxxx Xxxxxx | |
L’opponibilità della clausola di riservato dominio al sione di vendita ............................................................ | 67 |
Xxxxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxxxx | |
Mancanza del tipo di frazionamento catastale, deter- minabilità dell’oggetto e contratto preliminare ......... | 25 |
Xxxx Xxxxxxxx Xxxxxxxx | |
Ordinamento sportivo e contratto immeritevole di tutela .............................................................................. | 31 |
Xxxxxxx Xxxxxx | |
Transazione e obbligazione solidale ............................. | 10 |
INDICE CRONOLOGICO DEI PROVVEDIMENTI | |
Giurisprudenza | |
Cassazione civile | |
Cass. sez. I, 2 maggio 2006, n. 10138 ........................... | 5 |
Cass., sez. II, 20 marzo 2006, n. 6160 ......................... | 25 |
Xxxx., sez. trib., 20 aprile 2006, n. 9320 ....................... | 21 |
Cass., sez. III, 18 aprile 2006, n. 8946 .......................... | 10 |
Xxxx., sez. lav., 4 aprile 2006, n. 7835 .......................... | 17 |
Cass., sez. II, 27 aprile 2006, n. 9647 ........................... | 17 |
Cass., sez. II, 27 aprile 2006, n. 9646 ........................... | 17 |
Cass., sez. II, 19 aprile 2006, n. 9040 ........................... | 18 |
Cass., sez. II, 19 aprile 2006, n. 9039 ........................... | 18 |
Cass., sez. II, 7 aprile 2006, n. 8212 ............................. | 18 |
Cass., sez. I, 14 aprile 2006, n. 8876 ............................ | 19 |
Cass., sez. II, 27 aprile 2006, n. 9642 ........................... | 19 |
Cass., sez. II, 20 aprile 2006, n. 9253 ........................... | 19 |
Cass., sez. II, 28 aprile 2006, n. 9941 ........................... | 20 |
Cass., sez. III, 11 aprile 2006, n. 8425 .......................... | 20 |
Cass., sez. III, 11 aprile 2006, n. 8428 .......................... | 20 |
Cass., sez. II, 7 aprile 2006, n. 8210 .............................. | 20 |
Cass., sez. III, 6 aprile 2006, n. 8103 ............................ | 45 |
Cass., sez. III, 12 aprile 2006, n. 8520 .......................... | 45 |
Cass., sez. I, 7 aprile 2006, n. 8237 .............................. | 45 |
Cass., sez. I, 7 aprile 2006, n. 8229 .............................. | 46 |
Cass., sez. III, 18 aprile 2006, n. 8934 .......................... | 46 |
INDICE DEGLI AUTORI
fallimento del concessionario nel contratto di conces-
Cass., sez. III, 12 aprile 2006, n 8629 ........................... | 46 |
Cass., sez. III, 12 aprile 2006, n. 8622 .......................... | 47 |
Cass., sez. III, 28 aprile 2006, n. 9964 .......................... | 47 |
Cass., sez. III, 18 aprile 2006, n. 8942 .......................... | 47 |
Cass., sez. III, 11 aprile 2006, n. 8418 .......................... | 48 |
Cass., sez. III, 11 aprile 2006, n. 8411 .......................... | 48 |
Cass., sez. III, 21 aprile 2006, n. 9360 .......................... | 49 |
Cass., sez. II, 20 aprile 2006, n. 9253 ........................... | 49 |
Cass., sez. II, 12 aprile 2006, n. 8555 ........................... | 49 |
Tribunale | |
Trib. Udine 16 gennaio 2006, n. 55/06 ....................... | 31 |
Trib. Roma 1 settembre 2006 ....................................... | 51 |
Trib. Marsala 12 dicembre 2005 .................................. | 53 |
Trib. Roma 8 giugno 2006 ............................................ | 55 |
Trib. Roma 20 marzo 2006 ........................................... | 60 |
INDICE ANALITICO
Conclusione del contratto
Eccezione d’inadempimento e mancata fruizione del- la prestazione
(Cass., sez. I, 2 maggio 2006, n. 10138), commento di
Nicola Corea .................................................................. 5
Transazione e obbligazione solidale
(Cass., sez. III, 18 aprile 2006, n. 8946), commento di
Ermanno Vaglio .............................................................. 10
Vendita di cosa futura e appalto
(Cass., sez. trib., 20 aprile 2006, n. 9230), commento
di Ugo Carnevali ............................................................ 21
Mancanza del tipo di frazionamento catastale, deter- minabilità dell’oggetto e contratto preliminare (Cass., sez. II, 20 marzo 2006, n. 6160), commento di
Francesco Toschi Vespasiani ............................................ 25
Ordinamento sportivo e contratto «immeritevole» di tutela
(Trib. Udine 16 gennaio 2006, n. 55/06), commento
di Pier Giovanni Traversa .............................................. 31
L’opponibilità della clausola di riservato dominio al fallimento del concessionario nel contratto di conces-
sione di vendita di Guido Scorza ................................. 67
Clausole inique e tutela inibitoria di Ettore Battelli ... 74
Il contratto di endorsement di Salvo Dell’Arte .............. 89
INDICE DELLA RASSEGNA DI LEGITTIMITA’
Contratti in generale
Clausola penale
4 aprile 2006, n. 7835 ................................................... 17
Formazione
27 aprile 2006, n. 9647 ................................................. 17
27 aprile 2006, n. 9646 ................................................. 17
19 aprile 2006, n. 9040 ................................................. 18
INDICI
19 aprile 2006, n. 9039 ................................................. | 18 | Espromissione | |
7 aprile 2006, n. 8212 ................................................... | 18 | 12 aprile 2006, n. 8622 ................................................. | 47 |
Interpretazione | Locazione | ||
14 aprile 2006, n. 8876 ................................................. | 19 | 28 aprile 2006, n. 9964 ................................................. | 47 |
Invalidità | 18 aprile 2006, n. 8942 ................................................. | 47 | |
27 aprile 2006, n. 9642 ................................................. | 19 | 11 aprile 2006, n. 8418 ................................................. | 48 |
20 aprile 2006, n. 9253 ................................................. | 19 | 11 aprile 2006, n. 8411 ................................................. | 48 |
Scioglimento 28 aprile 2006, n. 9941 ................................................. | 20 | Trasporto 21 aprile 2006, n. 9360 ................................................. | 49 |
11 aprile 2006, n. 8425 ................................................. | 20 | Vendita | |
Simulazione | 20 aprile 2006, n. 9253 ................................................. | 49 | |
11 aprile 2006, n. 8428 ................................................. | 20 | 12 aprile 2006, n. 8555 ................................................. | 49 |
7 aprile 2006, n. 8210 |
I singoli contratti
12 aprile 2006, n. 8520 ................................................. | 45 | ||
6 aprile 2006, n. 8103 ................................................... | 45 | Appalto | |
Contratti di borsa | Trib. Roma 1 settembre 2006 ....................................... | 51 | |
7 aprile 2006, n. 8237 ................................................... | 45 | Trib. Marsala 12 dicembre 2005 .................................. | 53 |
7 aprile 2006, n. 8229 ................................................... | 46 | Conclusione del contratto | |
Deposito | Trib. Roma 8 giugno 2006 ............................................ | 55 | |
18 aprile 2006, n. 8934 ................................................. | 46 | Contratti Bancari | |
12 aprile 2006, n 8629 .................................................. | 46 | Trib. Roma 20 marzo 2006 ........................................... | 60 |
Appalto