Cautele interinali contro l’esecuzione forzata
Xxxxx Xxxxxxx
Cautele interinali contro l’esecuzione forzata
1.- La sospensione del processo esecutivo, anche in relazione all’efficacia delle sentenze che definiscono le opposizioni di merito. 2. Sospensione disposta dalla legge, dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo, dal giudice dell’esecuzione. 3.- Il coacervo delle cautele: inibitorie e sospensioni quali tutele interinali coordinate alle diverse tutele di merito. Tutela rispetto al titolo e tutela rispetto all’oggetto dell’esecuzione. 4.- Diversa funzione, anticipatoria o conservativa, di inibitorie e sospensioni nelle diverse opposizioni esecutive. 5.- Ancora sull’oggetto delle opposizioni, di merito e formale, in relazione alle cautele interinali. 6.- Sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo (inibitoria) e sospensione dell’esecuzione. Il potere più esteso spetta al giudice dell’impugnazione (art. 283, comma 1, c.p.c.) mentre il giudice dell’opposizione a precetto sospende la sola efficacia esecutiva del titolo (art. 615, comma 1, c.p.c.) e il g.e. la sola esecuzione (art. 624, comma 1, c.p.c.). 7.- Disarmonie sui controlli di inibitorie e sospensioni. 8.- Natura delle inibitorie e delle sospensioni: effetti anticipatori, conservativi, cautelari, provvisori. Rapporti tra sospensione dell’efficacia del titolo esecutivo e sospensione dell’esecuzione. 9.- In particolare, il provvedimento ex art. 615, comma 1, c.p.c.: concorso di competenza col giudice dell’esecuzione, conversione del potere in potere sospensivo dell’esecuzione in atto, possibile caducazione degli atti esecutivi compiuti tra l’istanza di inibitoria e il provvedimento del giudice dell’opposizione a precetto, ruolo dell’art. 5 c.p.c. 10.- Arresto dell’esecuzione e intervento di creditori titolati. 11.- La sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo pronunciata dal giudice dell’opposizione a precetto ma non anche del giudice dell’opposizione agli atti pre- esecutiva nel coacervo di inibitorie e sospensioni. 12.- Gli aspetti più critici. 13.- Ulteriore disarmonia. 14.- Il procedimento della sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione alla luce della riforma del 2005-2006 sulla struttura bifasica delle opposizioni promosse dopo l’inizio dell’esecuzione forzata: A) la cerniera tra fase sommaria e fase a cognizione piena; B) la reclamabilità secondo il rito cautelare del provvedimento. 15.- Il comma 3 dell’art. 624 c.p.c. tra anticipazione e conservazione in rapporto alla tutela di merito eventuale; la sospensione- estinzione, anche in relazione all’opposizione agli atti.
1.- L’istituto della sospensione risponde all’esigenza di coordinare il processo esecutivo con l’esito di un giudizio di cognizione che può avere a oggetto l’impugnazione del titolo giudiziale; può nascere in forma di opposizione a precetto, allorché il titolo sia notificato con l’intimazione a adempiere e l’esecuzione sia soltanto minacciata; ovvero in forma di opposizione all’esecuzione, dopo il suo inizio in senso tecnico. Nei diversi contesti, il provvedimento potrà essere adottato dal giudice dell’impugnazione del titolo (artt. 283, comma 1, 351, 373, 401, 407, 431, 649, 668 c.p.c.), dal giudice dell’opposizione a precetto (art. 615, comma 1, c.p.c.) o dal giudice dell’esecuzione (art. 624, comma 1, c.p.c.).
Caratteristica dell’esecuzione forzata è di essere retta dall’impulso del titolo esecutivo indipendentemente dalle vicende impugnatorie (del titolo o delle modalità in concreto assunte dall’esecuzione forzata) che appaiono sempre
«esterne» rispetto all’esecuzione in corso. Il solo modo di rendere il processo esecutivo sensibile alle vicende lato sensu impugnatorie è quello di ottenere (l’inibizione o) l’arresto degli atti esecutivi in attesa della definizione nel merito dell’impugnazione o dell’opposizione; ove quegli atti dovessero proseguire indisturbati, l’esecuzione è conformata in modo tale da attingere esiti tendenzialmente stabili. L’art. 620 c.p.c.1, a proposito dell’opposizione di terzo tempestiva ma non seguita dal provvedimento di sospensione, ne offre la migliore dimostrazione ex positivo jure: il regime dell’opposizione tardiva accomuna quella introdotta dopo la vendita (e così davvero tardivamente) a quella introdotta prima – tempestivamente – ma con esecuzione non sospesa. In tal caso il diritto del terzo opponente non potrà mai prevalere su quello dell’aggiudicatario agli incanti e il bene subastato non potrà essere recuperato; è quindi il provvedimento ex art. 624, comma 1, c.p.c., adottato nella prima udienza del giudizio di opposizione (la fase “sommaria”), a stabilire quale sarà il concreto risultato della reazione tempestiva del terzo.
Secondo gli attuali orientamenti delle Sezioni Unite, anche nell’espropriazione condotta senza titolo esecutivo (forse il vizio più eversivo immaginabile) l’atto traslativo conserva i suoi effetti, purché l’esecuzione si sia svolta con l’apparenza delle forme legali facendo insorgere nell’offerente all’incanto – il soggetto cui si accorda maggiore tutela –
1 Per l’esecuzione immobiliare occorre avviare discorsi più complessi: cfr. X. XXXXXXXX, L’opposizione di terzo all’esecuzione e i terzi nel processo esecutivo, in Riv. esec. forz., 2014, 34 ss.; X. XXXXXXXX, L’opposizione di terzo all’esecuzione, 2 ed., Xxxxxx, 0000.
il legittimo affidamento di aver acquistato senza ledere l’altrui diritto2.
Il tema della sospensione è strettamente connesso con quello dell’efficacia della sentenza che definisce le opposizioni di merito: se si ritiene, infatti, che l’esecuzione debba (quantomeno) arrestarsi (se non addirittura essere caducata) dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado che accoglie l’opposizione all’esecuzione, l’importanza del raccordo garantito dal provvedimento sospensivo sarà – pur sempre importante – più limitata; se si ritiene invece (e si tratta forse dell’opinione maggioritaria3) che l’effetto nell’esecuzione in corso dipenderà dal passaggio in giudicato della sentenza, è evidente il rischio che quel giudicato possa formarsi dopo la definizione dell’esecuzione (che è processo di unico grado). Quindi la sospensione costituisce l’unica garanzia, per l’opponente, che gli esiti dell’opposizione prevarranno sull’esecuzione: garanzia tanto più valida ove si ritenga l’esecuzione caducata soltanto a seguito del passaggio in giudicato della sentenza che definisce l’opposizione. Ciò dimostra perché, di norma, alla proposizione di qualsiasi opposizione esecutiva si accompagni un’istanza di sospensione; il legislatore, del resto, nel disciplinare la sospensione all’interno della struttura bifasica delle opposizioni esecutive ha dato per scontato che il g.e., nella fase sommaria, debba sempre pronunciarsi sull’istanza di sospensione.
2.- L’art. 623 c.p.c. distingue tre tipi di sospensione:
a) La sospensione disposta dalla legge ricorre quando il legislatore, prescindendo da apprezzamenti di tipo discrezionale del giudice (tanto della cognizione, quanto dell’esecuzione forzata), impone che il processo esecutivo debba arrestarsi sino alla definizione d’un giudizio di cognizione incidentale, avente carattere pregiudiziale rispetto all’esecuzione in corso4. Il fenomeno nasce sempre all’interno dell’esecuzione (può dunque qualificarsi di sospensione “interna”) e, allo stato, ricorre nel solo caso dell’art. 601 c.p.c. (divisione giudiziale nell’espropriazione dei beni indivisi).
b) La sospensione da parte del giudice xxxxxxx al quale è impugnato il titolo esecutivo rappresenta per molti versi la figura storicamente più controversa. Ricorre allorché la misura sia disposta dal giudice della cognizione; secondo la costante giurisprudenza di legittimità5 «giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo» ex art. 623 c.p.c. è soltanto quello che conosce dell’impugnazione della sentenza avente efficacia esecutiva, non anche il giudice dinanzi al quale si discuta comunque della validità e dell’efficacia del titolo esecutivo. Quella in discorso è dunque prerogativa esclusiva del giudice dell’impugnazione; la norma dell’art. 623 c.p.c. è meramente ricognitiva delle varie fattispecie di inibitoria previste nel Libro II del codice (in corrispondenza con le varie impugnazioni) ovvero nel Libro IV (in tema di opposizione a decreto ingiuntivo). Si tratta certamente di un’interpretazione riduttiva, per quanto consolidata; la norma parla di impugnazione del titolo esecutivo e non della sentenza, ma ciò non ha impedito l’affermarsi dell’opinione restrittiva a base della riforma dell’art. 615, comma 1, c.p.c. realizzata nel 2005.
c) La sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione6 è collegata alla proposizione delle opposizioni «di merito» (l’art. 624, comma 1, richiama gli artt. 615 e 619) nel cui contesto, dopo la riforma del 2005, va aggiunta anche la controversia distributiva (art. 512 c.p.c.) ove prima il fenomeno era diversamente regolato. Caratteristica di tale figura di sospensione è che il g.e. deve valutare l’esistenza di «gravi motivi» (eccetto il caso dell’art. 512 che non disciplina i presupposti, che tuttavia saranno ricavati per analogia dallo stesso art. 624). Si tratta di un provvedimento discrezionale, a testimonianza del fatto che la proposizione dell’opposizione, in sé, non spiega alcun effetto sull’esecuzione in corso; è ipotesi fisiologica la mancata sospensione, che non pregiudica validità, efficacia e stabilità degli atti «ingiustamente»
2 Sent. 28 novembre 2012, n. 21110, in Corriere giur., 2013, 391 ss., con nostra nota Espropriazione forzata senza titolo esecutivo (e relativi conflitti), in Foro it., 2013, I, 1224 ss., con nota di X. XXXXX, Carenza del titolo esecutivo, vendita forzata e salvezza dell’acquisto del terzo, in Riv. dir. proc., 2013, 1551 ss., con nota di X. XXXXXX, La stabilità della vendita forzata: un «dogma» riaffermato.
3 V., per riferimenti, il nostro Vicende del titolo esecutivo nell’esecuzione forzata, in Corr. giur., 2012, 1512 ss.; Manuale di diritto dell’esecuzione civile, 2 ed., Torino, 2012, 119 ss., 441 ss.
4 Cfr. X. XXXXXXXX, Note sulle cognizioni incidentali nell’esecuzione forzata, in Riv. esec. forz., 2014, 270 ss.
5 V., ad esempio, Cass., Sez. III, 16 gennaio 2006, n. 709.
6 P. XXXXXXXX, La sospensione esterna del processo esecutivo. La sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione, in Riv. esec. forz., 2007, 401 ss.; dello stesso A. v. anche L’inibitoria del titolo esecutivo e la sospensione dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c., ivi, 2010, 381 ss.; X. XXXXX, La sospensione nel processo esecutivo, in L’esecuzione forzata riformata, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxx, Torino, 2009, 643 ss.; X. XXXXXXXXX, I nuovi artt. 616 e 624 c.p.c., fra strumentalità cautelare “attenuata” ed estinzione del “pignoramento”, in Riv. dir. proc., 2006, 643 ss.; X. XXXXXXX, I controlli sui provvedimenti in materia di sospensione dell’esecuzione forzata, in Il processo esecutivo. Studi in onore di X. Xxxxxxxxxx, Torino, 2014, 843 ss.; X. XXXXXXXX, La sospensione del titolo esecutivo e la sospensione esterna e interna della procedura esecutiva, in Il processo esecutivo. Studi in onore di X. Xxxxxxxxxx, cit., 781 ss.
compiuti (cfr., ancora, l’art. 620 c.p.c.). I gravi motivi che giustificano la sospensione, con cauzione o senza, sono frutto di una delibazione sommaria circa la fondatezza delle opposizioni (fumus boni juris), tale da far ritenere prevedibile il loro accoglimento7; non è estranea al contesto una valutazione comparativa degli interessi del creditore a essere immediatamente soddisfatto, da un lato, e del debitore a non subire «ingiustamente» gli atti dell’esecuzione, dall’altro lato; non è mancato chi ha sottolineato il carattere intrinsecamente cautelare del provvedimento di sospensione in collegamento col principio secondo cui la durata del processo di cognizione, in cui consiste l’opposizione di merito, non deve andare a detrimento dell’attore (qui, dell’opponente) che ha ragione.
Soprattutto alla luce dell’incontrovertibilità degli effetti della vendita o dell’assegnazione forzata (artt. 2927, 2929 c.c.; 187 bis disp. att. c.p.c. nell’interpretazione ampia che prevale in giurisprudenza), il g.e. dovrà considerare con la massima attenzione i «gravi motivi» che giustificano la sospensione dell’esecuzione. Quella dell’esecuzione è spesso una strada senza ritorno.
La riforma del 2005 ha formalmente riconosciuto il potere di sospendere l’esecuzione anche al giudice nell’opposizione agli atti esecutivi, avallando l’orientamento giurisprudenziale che ammetteva, tra i provvedimenti indilazionabili adottabili dal g.e. ex art. 618 c.p.c., anche quello sospensivo. La stessa riforma ha introdotto un limitato potere sospensivo del giudice dell’opposizione a precetto (art. 615, comma 1, c.p.c.), cui sarà dedicata ampia parte della trattazione che segue.
3.- Il processo esecutivo può dunque arrestarsi sia in conseguenza di provvedimenti inibitori, pronunciati dal giudice dell’impugnazione (c.d. sospensione esterna) o da quello dell’opposizione a precetto (altra forma di sospensione esterna), sia in conseguenza di provvedimenti sospensivi veri e propri, pronunciati dal giudice dell’impugnazione (anch’essa da qualificarsi esterna) o dallo stesso giudice dell’esecuzione (c.d. sospensione interna).
Essendo l’esecuzione retta da un titolo (non necessariamente quello del procedente8), eventuali contestazioni avverso l’esecuzione minacciata o in atto – deduzione di fatti impeditivi, modificativi e estintivi: quegli stessi che nel processo dichiarativo formano materia di eccezione in senso stretto – debbono assumere la veste di opposizioni (artt. 615, 619, 512 c.p.c.). Le opposizioni di merito sono quindi eccezioni con veste di azione9, e tale configurazione è resa indispensabile dalla circostanza che il processo è retto dal titolo: finché questo rimane integro, l’esecuzione può procedere indisturbata.
L’esito del vittorioso esperimento delle opposizioni di merito è, rispettivamente, l’accertamento dell’inesistenza del diritto della parte istante di procedere all’esecuzione forzata (opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.) e l’accertamento della proprietà o di altro diritto reale in capo al terzo opponente sui beni oggetto dell’esecuzione (opposizione di terzo all’esecuzione ex art. 619 c.p.c.). Discorso a parte va svolto per l’opposizione distributiva (art. 512 c.p.c.) anche alla luce delle recenti riforme che ne hanno sensibilmente modificato la struttura (ma non anche il ruolo e la funzione10), come pure per l’opposizione agli atti esecutivi.
Ancorché tradizionalmente accomunate nell’espressione opposizioni di merito, l’opposizione del debitore e quella del terzo rappresentano fenomeni affatto diversi: per la tutela finale così come per quella interinale accordata dalla sospensione.
La prima opposizione riguarda infatti l’an dell’esecuzione, e tende a far caducare (con pronuncia dichiarativa) il titolo esecutivo: il soggetto passivo dell’esecuzione deduce l’ingiustizia non soltanto di quella in atto, ma di qualsiasi esecuzione (in quanto) fondata sul titolo attaccato. L’esecuzione minacciata (615, comma 1, c.p.c., opposizione a precetto) o in atto (615, comma 2, c.p.c., opposizione all’esecuzione) è quindi ingiusta per illegittimità del titolo su cui è fondata (discorso diverso va fatto per l’impignorabilità, che riguarda il quomodo dell’esecuzione).
Anche la seconda opposizione di merito (di terzo all’esecuzione: art. 619 c.p.c.) riguarda in realtà il quomodo
7 Sottolinea opportunamente X. XXXXXXXX, Commento all’art. 624 c.p.c., in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di X. Xxxxxxxxx e
X. Xxxxxxx, III, Processo di esecuzione, Padova, 2007, 612 ss., che la valutazione discrezionale del giudice dell’esecuzione è soprattutto indirizzata verso il fumus, in quanto il periculum è dato dalla stessa pendenza del processo esecutivo (fatto in sé legittimo sin tanto che sussista il titolo esecutivo quale fondamento di legittimità dell’esecuzione). Cfr. anche X. XXXXXXXX, op.loc. cit.
8 Cass., Sez. Un., 7 gennaio 2014, n. 61, in Riv. dir. proc., 2014, 481 ss., con nostra nota Le Sezioni Unite e l’”oggettivizzazione” degli atti
dell’esecuzione forzata.
9 X. XXXXXXXXXX, Esecuzione forzata, in Riv. esec. forz., 2007, 1 ss.
10 Da ultimo, X. XXXXXXX, Contributo allo studio della distribuzione della somma ricavata nei procedimenti di espropriazione forzata , Napoli, 2013.
dell’esecuzione e, senza poter incidere sull’efficacia del titolo, tende (soltanto) a sottrarre all’esecuzione il suo oggetto. Il terzo, che non riveste il ruolo di soggetto passivo del processo esecutivo, non contesta l’illegittimità del titolo ma l’ingiustizia dell’esecuzione per aver colpito i suoi beni: se fossero stati colpiti beni del debitore, il terzo non avrebbe alcuna legittimazione a contrastarla così come non potrebbe contrastare quella parte di esecuzione che abbia eventualmente per oggetto beni del debitore.
L’opposizione del terzo presuppone il compimento del pignoramento, che è quanto dire l’insorgere del suo pregiudizio. Anche l’opposizione per impignorabilità (art. 615, comma 2, c.p.c.) non può che presupporre il compimento del pignoramento, e non riguarderà il titolo esecutivo. Accolta l’opposizione di terzo, l’efficacia esecutiva del titolo resta integra non potendo essere contestata dal terzo del tutto sfornito, in quanto tale, di autonoma legittimazione al riguardo.
4.- In relazione alla diversa finalità e al diverso oggetto delle opposizioni, diversa è anche la funzione della sospensione e, a maggior ragione, della inibitoria.
Nell’opposizione di merito pre-esecutiva o a precetto, la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo inibisce l’avvio di qualsiasi processo di esecuzione, perché oggetto del provvedimento è direttamente il titolo esecutivo (quale condizione di legittimazione all’esecuzione forzata). Vi è qui piena coincidenza tra oggetto del provvedimento inibitorio e oggetto della contestazione di merito introdotta dall’opposizione: impedendo che vengano compiuti atti di esecuzione, il provvedimento inibitorio “anticipa” gli effetti dell’accoglimento dell’opposizione; quindi, sebbene il provvedimento sospensivo sia adottato in relazione a una specifica esecuzione minacciata col precetto, esso avrà una portata generale incidendo direttamente sul titolo esecutivo; non può parlarsi dunque di una sospensione del precetto, come talora la giurisprudenza fa11, trattandosi di istituto inesistente.
Nell’opposizione all’esecuzione (taluno parla di opposizione al pignoramento, ma tale espressione sembra più congeniale all’opposizione di terzo), la sospensione lascia in vita gli atti già compiuti e soltanto inibisce la prosecuzione del processo esecutivo. Essa ha dunque un oggetto – la singola esecuzione forzata – più limitato rispetto all’opposizione a precetto: qui la sospensione è soltanto strumentale al rapporto tra cognizione e esecuzione, non “anticipa” la tutela ma soltanto “conserva” lo stato esistente in attesa della definizione, nel merito, dell’opposizione volta alla caducazione del titolo. Va precisato – aspetto molto importate – che ogni sospensione impedisce al processo esecutivo di proseguire, ma non caduca gli atti già compiuti12.
Nell’opposizione di terzo all’esecuzione, la sospensione impedisce che il bene pignorato venga venduto a terzi prima che ne sia accertata, in una sede di ordinaria cognizione, l’effettiva proprietà. Anche qui, la sospensione non ha a oggetto il titolo, lascia in vita gli atti già compiuti e soltanto inibisce la prosecuzione del processo esecutivo. Si tratta d’una misura strumentale e provvisoria che tuttavia, a differenza di quanto avviene nell’opposizione all’esecuzione, coincide con l’oggetto della contestazione di merito: lasciando in vita gli atti anteriori, anch’essa non “anticipa” gli effetti della decisione di merito, ma soltanto “conserva” lo stato esistente in attesa della definizione nel merito dell’opposizione.
Può quindi affermarsi che la funzione della sospensione cambia in ognuna delle tre opposizioni “di merito”. Discorso a parte va fatto per l’opposizione agli atti esecutivi (v. infra, n. 5).
Altro discorso a parte va riferito all’opposizione distributiva (art. 512 c.p.c.), mediante la quale non si contesta la legittimità dell’esecuzione in sé (note le discussioni mai sopite in ordine ai rapporti con l’opposizione all’esecuzione13), ma le concrete modalità di ripartizione della somma ricavata. L’accoglimento dell’opposizione distributiva non può mai comportare la declaratoria di illegittimità degli atti esecutivi compiuti, e in particolare della vendita forzata.
11 Trib. Vicenza, 5 aprile 2010, in Riv. esec. forz., 2010, 715 ss., con note critiche di G.L. XXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXXXXXX E X. XXXXXXX, raccolte sotto il comune titolo Opposizione a precetto e sospensione.
12 V. ancora le esatte considerazioni di X. XXXXXXXX, Commento all’art. 624 c.p.c., cit., in ordine al carattere ordinatorio e meramente conservativo dell’ordinanza sospensiva, che ha struttura ma non anche natura cautelare (mentre l’orientamento dominante, che talora si affaccia anche in giurisprudenza, è propenso a riconoscere al provvedimento natura cautelare tout court). V. anche G.L. XXXXXXX, La riforma della sospensione del processo esecutivo e delle opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi, in Riv. esec. forz., 2006, 653 ss.
13 Cfr. X. XXXXXXX, op. cit.
5.- Le opposizioni c.d. di merito (artt. 615, 619, 512 c.p.c.) sono, tradizionalmente, eventi esterni al processo esecutivo, con quest’ultimo raccordabili soltanto mediante lo strumento della sospensione.
Al giudice dell’esecuzione è assegnato il compito di riconoscerne la “pregiudizialità” (non certo in senso tecnico) rispetto all’esecuzione, sorretta dal titolo e quindi in condizione di procedere per impulso proprio.
In rapporto alla controversia distributiva, nel sistema originario del codice il giudice dell’esecuzione avrebbe soltanto dovuto decidere se la distribuzione dovesse essere sospesa in tutto o in parte: ma la sospensione, in sé, era conseguenza necessaria dell’opposizione (c.d. sospensione ex lege). Con risultati che potevano apparire iniqui, o sbilanciati: proposta tempestivamente l’opposizione di terzo, ove il giudice non avesse sospeso l’esecuzione il bene mobile sarebbe stato venduto e il terzo vittorioso avrebbe potuto rivalersi soltanto sul prezzo; invece, l’assegnazione delle somme in sede di distribuzione non poteva avvenire pendente una controversia sul credito o sulla causa di prelazione. La giustificazione del diverso trattamento è nel coinvolgimento del terzo, che non ha dirette responsabilità nel compimento degli atti della procedura. Con le riforme del 2005-2006 l’opposizione distributiva, inizialmente concepita come opposizione di merito rimessa a una cognizione ordinaria separata, è stata trasformata in incidente interno al processo che il giudice dell’esecuzione, in quanto tale e non quale giudice della cognizione, risolve con un’ordinanza impugnabile come ogni altro atto esecutivo a mezzo dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. In tal modo, l’opposizione “formale” ha ufficialmente mutato la sua natura (di fatto già molto diversa, del resto, da quella immaginata dal legislatore del 1942), essendo stata riconosciuta idonea per accertamenti di merito.
Quindi, almeno nella prima fase dinanzi al g.e., la controversia distributiva è divenuta un incidente interno, riassorbito nell’esecuzione.
L’opposizione agli atti era anch’essa, sempre nel sistema originario del codice, strumento interno all’esecuzione, sorta di “reclamo” ortoprocessuale avverso singoli atti finalizzato a declaratorie di nullità con conseguente rinnovazione degli atti riconosciuti nulli: da un lato, non era espressamente previsto che il giudice dell’esecuzione potesse sospendere l’esecuzione; dall’altro lato, il giudice dell’esecuzione non poteva procedere alla vendita se prima non fossero state definite le opposizioni formali pendenti (artt. 530, 569 c.p.c.; tra l’altro, a proposito del primo di tali articoli si registra un evidente errore di formulazione, perché si parla di opposizioni “decise” dal giudice dell’esecuzione, laddove questi potrà decidere, in quelle vesti, il solo incidente della sospensione) e pertanto lo svolgimento dell’opposizione condizionava quello (di una fase) dell’esecuzione del tutto prescindendo dall’avvenuta pronuncia d’un provvedimento di sospensione. Se si accetta tale espressione, l’opposizione agli atti condizionava dall’interno lo svolgimento del processo esecutivo, al punto da non far avvertire il bisogno di una sospensione “esterna”.
Ora, per l’opposizione agli atti il discorso è cambiato, sebbene non siano stati eseguiti gli opportuni raccordi con gli artt. 530 e 569 c.p.c.
Per le opposizioni di merito, la concezione tradizionale assegna al provvedimento di sospensione il ruolo di atto esecutivo con finalità provvisorie e conservative: il processo si arresta con salvezza degli atti già compiuti, in attesa che si definisca l’incidente nella separata sede di cognizione. Lo stesso schema può richiamarsi, ora, a proposito dell’opposizione che risolve gli incidenti cognitivi della distribuzione forzata, sebbene lo strumento della sospensione sia stato riconosciuto quale accessorio di qualsiasi contestazione introdotta dall’opposizione c.d. formale (e non della sola contestazione di merito eccezionalmente conoscibile in quelle forme).
6.- Alla luce di quanto sopra esposto, occorre distinguere la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo dalla sospensione dell’esecuzione.
La prima incide sul titolo esecutivo che viene privato di esecutorietà (inibitoria) in modo da non poter più sorreggere non solo l’esecuzione eventualmente in atto o soltanto minacciata (difetto sopravvenuto del titolo), ma alcuna eventuale futura esecuzione (sempre in teoria ammissibile: cfr. l’art. 483 c.p.c.).
La seconda incide sul singolo processo esecutivo lasciando inalterata l’efficacia esecutiva del titolo. Ciò sia nel caso in cui il provvedimento abbia oggetto più limitato rispetto alla contestazione (art. 615, comma 2, c.p.c.), sia nel caso in cui coincida con l’oggetto della contestazione (art. 619 c.p.c.).
Il giudice dell’esecuzione non può mai sospendere l’efficacia esecutiva del titolo, ma soltanto l’esecuzione (art. 624, comma 1, c.p.c.); il giudice dinanzi al quale è impugnato il titolo (art. 283, comma 1, c.p.c.), che è il giudice dell’impu- gnazione (o dell’opposizione a decreto ingiuntivo), può sospendere sia l’efficacia esecutiva del titolo, sia l’esecuzione. Si ritiene comunemente che la distinzione si fondi su un dato meramente cronologico, a seconda del tempo in cui interviene il
provvedimento sospensivo. In realtà il discorso è più complesso.
L’art. 283 c.p.c. è stato riformato nel 1990 (legge n. 353), allorché si è riconosciuta efficacia esecutiva generalizzata alla sentenza di primo grado (art. 282 c.p.c.). Prima della riforma, la norma parlava di “revoca” dell’esecuzione provvisoria (clausola discrezionale apposta dal giudice di primo grado in presenza di rigorose condizioni) e di “sospensione” dell’esecuzione. In relazione a problemi applicativi di tale vecchio testo, nel 1990 si è creduto opportuno distinguere tra sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo e dell’esecuzione, onde riconoscere al giudice dell’impugnazione un generale potere di inibitoria (e non soltanto un potere sospensivo dell’esecuzione già intrapresa). Della “revoca” non si è più parlato (neppure a proposito dell’art. 649 c.p.c.): nessun giudice di fasi interinali e provvisorie può revocare ex tunc l’efficacia di un titolo sospeso con la conseguenza di travolgere gli atti esecutivi nel frattempo compiuti (la materia è regolata dall’art. 336, comma 2, c.p.c., e presuppone quindi una decisione di merito).
È certamente semplicistico affermare che il provvedimento di inibitoria incide sul titolo o sul processo a seconda del tempo in cui esso interviene (sebbene l’art. 283 c.p.c. utilizzi inopportunamente la disgiuntiva “o”). Infatti, un’inibitoria dell’efficacia esecutiva è utile anche qualora l’esecuzione sia già iniziata, perché impedisce l’avvio di altro eventuale processo esecutivo, di identica o di diversa natura, sulla scorta del medesimo titolo: il giudice dell’impugnazione deve quindi porsi non soltanto il problema di arrestare l’esecuzione in corso (sospensione dell’esecuzione) ma anche di impedire che il titolo possa essere posto a base di altre distinte e successive esecuzioni (sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo). È quindi corretto ritenere che, a esecuzione iniziata, il provvedimento di inibitoria dovrà presentare due autonomi capi: quello che sospende l’esecuzione in corso e quello che sottrae, in generale, efficacia esecutiva al titolo (inibitoria in senso proprio)14.
In questo quadro, l’art. 615, comma 1, c.p.c. ha assegnato al giudice dell’opposizione a precetto il solo potere di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo, che è cosa ben diversa dalla sospensione dell’esecuzione: misura che l’art. 624 c.p.c. riserva al giudice dell’esecuzione (e che l’art. 623 c.p.c. riconosce in prima battuta al giudice dell’impugnazione, apparendo residuale l’analogo potere del giudice dell’esecuzione).
Quando il giudice dell’impugnazione sospende l’efficacia esecutiva o l’esecuzione, il giudice dell’esecuzione deve limitarsi a prendere atto che l’esecuzione non può proseguire e arresta il processo esecutivo richiamando l’art. 623 (non l’art. 624 c.p.c.) con provvedimento non reclamabile, ma impugnabile ex art. 617 c.p.c. in quanto atto dell’esecuzione (laddove, ad esempio, si contesti l’estensione del provvedimento di inibitoria, che può anche essere parziale o assoggettato a condizioni)15.
Qualora il giudice dell’opposizione a precetto sospenda l’efficacia esecutiva del titolo a esecuzione già iniziata, il giudice dell’esecuzione dovrà ancora applicare l’art. 623 c.p.c. (difetto sopravvenuto del titolo esecutivo) e il suo provvedimento meramente ricognitivo non sarà reclamabile (ma, semmai, impugnabile ex art. 617 c.p.c.).
7.- Il provvedimento del giudice dell’impugnazione è sempre non impugnabile laddove, secondo l’opinione prevalente (v. però infra), il provvedimento ex art. 615, comma 1, c.p.c. sarebbe reclamabile16. Ma la disciplina positiva non è affatto chiara: l’art. 624, comma 1, c.p.c. si riferisce letteralmente al solo provvedimento adottato in sede sommaria dal giudice dell’esecuzione e non anche ai provvedimenti adottati, in una sede separata, da un giudice della cognizione (non a caso il recente legislatore, per riconoscere il potere sospensivo al giudice dell’opposizione a precetto, è intervenuto sull’art. 615, non o non anche sull’art. 624 c.p.c. come pure era stato proposto17). E il giudice dell’opposizione a precetto – nonostante il possibile oggetto delle contestazioni, che potranno in tutto coincidere con quelle della successiva opposizione all’esecuzione – sembra strutturalmente più simile al giudice dell’impugnazione che non al giudice dell’esecuzione, come più simile è anche il provvedimento che egli potrà adottare (inibitoria) e che risulta invece precluso al g.e.
14 Su questi temi v. la completa indagine di X. XXXXXXXXXXXXX, La provvisoria esecuzione e l’inibitoria nel processo civile, I, Milano, 2008, opera poi ripubblicata, in edizione aggiornata, nel 2010.
15 Per un caso recente, in cui le nozioni sono state mal utilizzate perché il g.e. ha sospeso ex art. 624 c.p.c. alla luce di una sospensione esterna
rilevante ex art. 623 c.p.c., v. App. Torino, 27 settembre 2013, in Riv. esec. forz., 2014, 586 ss., con nostra nota Ri-sospensione dell’esecuzione?
16 Soluzione non sempre recepita dalla giurisprudenza: v., ad esempio, Trib. Milano, 28 maggio 2008, in Riv. esec. forz., 2009, 347, con nota di X. XXXXXXXXXXXX, La sospensione dell’esecutività del titolo e la reclamabilità del provvedimento ex art. 615, 1° co. e 624, 1° co., c.p.c.; per l’impugnabilità X. XXXXXXX, I controlli, cit.
17 X. XXXXXXX, I controlli, cit.
Si tratta di problema aperto: molti giudici, sebbene non di orientamento prevalente, continuano a non ammettere il reclamo avverso il provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo adottato a norma dell’art. 615, comma 1, sulla scorta di una lettura rigorosamente letterale dell’art. 624, comma 1, che appare forse anche sistematicamente più corretta. Ammettere il reclamo contro il provvedimento inibitorio pronunciato dal giudice dell’opposizione a precetto rende ancor meno comprensibile che alcun controllo sia esperibile contro l’inibitoria (e la sospensione) pronunciata dal giudice dell’impugnazione.
Nel sistema esistono dunque gravi disarmonie18.
Tutte le norme processuali in tema di inibitoria pronunciata dal giudice dell’impugnazione escludono che l’ordinanza (espressamente qualificata) non impugnabile sia soggetta a controlli (neppure ex art. 111 Cost.) o che sia revocabile o modificabile [art. 177, comma 3, n. 2), c.p.c.] evidentemente perché il legislatore si è costantemente preoccupato di evitare l’innesto, nel processo di impugnazione, d’un autonomo sub-procedimento che abbia ad oggetto la sola efficacia esecutiva del titolo impugnato.
Il giudice dell’impugnazione può anche sospendere l’esecuzione già intrapresa, e anche in tal caso il provvedimento sarà non impugnabile essendo in particolare esclusa la garanzia del reclamo.
In base all’art. 624, comma 2, c.p.c. l’ordinanza sulla sospensione è invece reclamabile secondo il rito cautelare (art. 669 terdecies c.p.c.) ma sussistono incertezze sull’oggetto della previsione. È indubbio che essa riguardi i provvedimenti emanati in conseguenza della proposizione delle opposizioni di merito (artt. 615, comma 2; 619 c.p.c.); è dubbio – lo abbiamo appena detto – se sia reclamabile il provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva ex art. 615, comma 1, c.p.c., mentre per il provvedimento adottato nella fase sommaria dell’opposizione agli atti (art. 618, comma 2, c.p.c.) il legislatore ha posto una generale clausola di compatibilità, senza distinguere i casi in cui l’oppo- sizione interessi atti nulli (ingiusti, inopportuni, illegittimi, etc.) da quelli in cui si conosca dei diritti da soddisfare nella fase di distribuzione (artt. 512, 511, comma 2, c.p.c.). Però, a ben vedere, il comma 4 dell’art. 624 richiama il solo comma 3 (il meccanismo di sospensione-estinzione), non anche il comma 2: forte argomento letterale per escludere la possibilità del reclamo19, che la cassazione ha tuttavia superato con motivazioni “sistematiche”, pur dovendo prendere atto della formulazione non perspicua delle norme implicate20.
In sintesi:
i) i provvedimenti del giudice dell’impugnazione, riferiti sia all’efficacia esecutiva del titolo (inibitoria) sia all’esecuzione in atto (sospensione), sono sempre non impugnabili;
ii) i provvedimenti sospensivi del giudice dell’esecuzione sono sempre riferiti all’esecuzione in atto e risultano reclamabili, salvo l’incompatibilità per il caso dell’opposizione agli atti, e d’altra parte sono sempre stati impugnabili in quanto atti esecutivi;
iii) il provvedimento inibitorio del giudice dell’opposizione a precetto è riferito all’efficacia esecutiva del titolo, ed è oltremodo dubbia la sua reclamabilità: l’argomento sistematico farebbe propendere per la soluzione negativa, alla luce di quanto avviene sub i), ma la maggioranza degli interpreti sottolinea l’analogia coi provvedimenti sospensivi adottati
18 V., se vuoi, il nostro Inibitorie e sospensioni nell’esecuzione forzata, in Riv. esec. forz., 2009, 389 ss.
19 Cfr. Trib. Vibo Valentia, 4 giugno 2014 (ord.), in Riv. esec. forz., 2014, 592, con sapida nota di X. XXXXXXXXXX, Reclamabilità dell’ordinanza ex art. 618 c.p.c.: Xxxxxxx a Vibo Valentia, secondo cui dal comma 4 dell’art. 624 dovrebbe desumersi la reclamabilità dell’ordinanza di sospensione pronunciata nell’àmbito dell’opposizione agli atti. A noi sembra, invece, che tale comma, che richiama il terzo, sia da mettere in relazione al meccanismo di sospensione-estinzione, che il legislatore ha inteso richiamare in quanto compatibile.
20 Cfr. Cass., Sez. III, 8 maggio 2010, n. 11243, secondo la quale alla regola di reclamabilità si deve pervenire: a) ancorché l'art. 624 c.p.c., comma 2, nel testo innanzi richiamato preveda che il provvedimento sulla sospensione è reclamabile ai sensi dell'art. 669 terdecies c.p.c. (e la previsione è stata mantenuta anche dopo la modifica della norma operata dalla L. n. 69 del 2009) con una disposizione la quale, ponendosi dopo quella del primo comma della norma, direttamente disciplina solo i casi di sospensione disposta nell'ambito di opposizioni ai sensi degli artt. 615 e 619 c.p.c., alle quali il primo comma si riferisce; b) e nonostante che l'art. 624 c.p.c., comma 4, del resto, si occupi della sospensione disposta a seguito di opposizione agli atti, ma solo per dire applicabile ad essa il citato art. 624 c.p.c., comma 3. Si potrebbe, invero, pensare, sulla base di tali dati normativi, che al provvedimento sull'istanza di sospensione emesso, in modo positivo o negativo, il legislatore delle riforme del 2006 abbia inteso negare la soggezione al reclamo ai sensi dell'art. 669 terdecies c.p.c., attesa la mancata previsione dell'applicabilità dell'art. 624 c.p.c., comma 2. Tale ipotesi potrebbe essere rimasta prospettabile anche dopo la L. n. 69 del 2009. Senonché, è proprio l'art. 624 c.p.c., comma 3, nel testo qui applicabile che smentisce tale ipotesi esegetica. In esso, infatti, si allude ad un provvedimento di sospensione non reclamata, nonché “disposta o confermata in sede di reclamo”, e, pertanto, appare evidente che, quando l'art. 624 c.p.c., comma 4, parla di “sospensione del processo disposta ai sensi degli artt. 618 e 618 bis c.p.c.”, non può non voler alludere anche al caso nel quale la sospensione in tali procedimenti sia stata disposta in sede di reclamo dopo essere stata negata dal giudice dell'esecuzione. Il che significa che il legislatore delle riforme del 2006, pur con una qualche insipienza di tecnica legislativa, ha chiaramente supposto che il provvedimento sulla sospensione disposto in sede di opposizione agli atti sia reclamabile e ciò tanto in caso di accoglimento quanto in caso di rigetto della relativa istanza. In senso conforme, Cass. Sez. III, 17 aprile 2012, n. 6012.
dal giudice dell’esecuzione anche per analogia di oggetto tra opposizione a precetto e opposizione all’esecuzione. Ma si tratta di argomenti deboli, e comunque non decisivi. Esclusa in tesi la reclamabilità, non esistono altri strumenti impugnatori o oppositivi disponibili e pertanto il regime risulterebbe parificato a quello dei provvedimenti sospensivi adottati dal giudice dell’impugnazione del titolo: la non impugnabilità.
8.- A fronte delle diversità strutturali, incerta risulta la natura dei provvedimenti inibitori e sospensivi.
A tal fine occorre distinguere quelli pronunciati dal giudice dell’impugnazione e dal giudice dell’opposizione a precetto, che incidono sul titolo, dai provvedimenti sospensivi dell’esecuzione già intrapresa, pronunciati dallo stesso giudice dell’impugnazione o dal giudice dell’esecuzione e che riguardano soltanto il processo esecutivo.
I provvedimenti inibitori “anticipano” gli effetti della decisione di merito sull’opposizione a precetto (art. 615, comma 1, c.p.c.) o sull’impugnazione (art. 283, comma 1, in relazione agli artt. 351, 373, 401, 407, 431, 649, 668 c.p.c.) privando il titolo della sua efficacia esecutiva (“anticipazione” della caducazione che presuppone una pronuncia di merito: art. 336, comma 2, c.p.c.).
I provvedimenti sospensivi sono invece sempre “conservativi” perché, senza incidere sull’esecutorietà del titolo e sugli atti esecutivi anteriori, impediscono soltanto all’esecuzione di procedere in attesa della definizione nel merito dell’opposizione. Occorre distinguere tra opposizione all’esecuzione e opposizione di terzo, stante che la finalità di quest’ultima non è di incidere sul titolo, ma di sottrarre all’esecuzione il suo particolare oggetto: qui la sospensione sembra svolgere una funzione “anticipatoria”, sebbene non possa avere l’effetto di liberare il bene (la revoca degli atti esecutivi è, come detto, materia sottratta alle inibitorie come alle sospensioni).
Una diffusa opinione mira a riconoscere ai provvedimenti sospensivi e inibitori natura cautelare21. Su questa implicita premessa è stato riscritto il comma 3 dell’art. 624 c.p.c. (prima nel 2006, poi nel 2009), dando spazio a discipline di incertissima lettura.
Ma anche per tale riflesso sembra impossibile svolgere un discorso unitario: altro è sospendere l’efficacia esecutiva del titolo inibendo gli atti dell’esecuzione, altro è sospendere l’esecuzione in corso lasciando in vita tutti gli atti già compiuti. Va poi riconosciuto che i tradizionali requisiti del provvedimento cautelare – fumus e periculum – non sembrano ricorrere nei provvedimenti sospensivi sempre negli stessi termini: più chiari per le inibitorie, assai più sfumati per le sospensioni.
Xxxxxxx detto che la giurisprudenza è consolidata nell’escludere che le inibitorie pronunciate dal giudice dell’impugnazione abbiano natura cautelare e, senza distinguere tra inibitorie e sospensioni, esclude in conseguenza che i detti provvedimenti interinali, da sempre qualificati strumentali e provvisori, possano andare soggetti a un qualsiasi controllo22; ma, a dimostrazione dell’incertezza del quadro, va rammentato che, prima della riforma dell’art. 615, comma 1, c.p.c., a decorrere dal 2000 la giurisprudenza di legittimità23, registrando una lacuna nel sistema, aveva ammesso che la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo potesse essere concessa a norma dell’art. 700 c.p.c. (con riferimento all’opposizione a precetto e non anche all’opposizione agli atti pre-esecutiva): con un implicito riconoscimento del suo carattere cautelare.
Parte della giurisprudenza è invece propensa a riconoscere natura cautelare al provvedimento sospensivo pronunciato dal giudice dell’esecuzione, ma l’argomento della disponibilità del reclamo secondo il rito uniforme non
21 V., per tutti, X. XXXXXX, La sospensione dell’esecuzione (sul combinato disposto degli art. 615 e 624 c.p.c.), in Riv. esec. forz., 2006, 209 ss.;
A.M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, 3a ed., Padova, 2012, 1339 ss.; X. XXXXXXXXXXXXX, Sulla reclamabilità dei provvedimenti d’inibitoria, in Giust. proc. civ., 2007, 485 ss.
22 App. Bari, 11 settembre 2006, in Giusto proc. civ., 2007, 485, con la già richiamata nota contraria di X. XXXXXXXXXXXXX, App. Catania, 10 novembre 2003, n. in Giur. mer., 2004, 213 ss. Per la Cass., Sez. III, 25 febbraio 2005, n. 4060, l’ordinanza con cui in sede di appello, alla prima udienza, il collegio, a norma degli art. 283 e 351 c.p.c. (nel testo successivo alla l. n. 353 del 1990) provvede in ordine alla provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado non è reclamabile davanti a un giudice diverso né è ricorribile per cassazione, a norma dell’art. 111 cost., in quanto trattasi di provvedimento endoprocedimentale avente natura latamente cautelare e provvisoria, destinato ad essere assorbito e superato dal provvedimento a cognizione piena che definisce il giudizio, dovendosi peraltro estendere a questa ordinanza il disposto di cui all’ultimo comma del citato art. 351, che esclude espressamente l’impugnabilità del provvedimento collegiale di conferma, revoca o modifica del decreto con il quale il presidente abbia concesso in via d’urgenza l’inibitoria prima dell’udienza di comparizione, così come l’art. 431 c.p.c., con riferimento alle sentenze di condanna a favore del datore di lavoro, nel richiamare l’art. 283 c.p.c. stabilisce che l’ordinanza concessiva dell’inibitoria non è impugnabile.
23 Cass., Sez. I, 23 febbraio 2000, n. 2051, in Riv. esec. forz., 2000, 650, con nota di X. XXXXXXX, La tutela cautelare del debitore nell’opposizione a precetto ed il giusto processo civile: necessità costituzionale della sospensione, ex art. 700 c.p.c., dell’efficacia esecutiva del titolo.
appare decisivo: i provvedimenti sulla sospensione necessaria (art. 295 c.p.c.) s’impugnano a seguito della riforma del 1990 col regolamento necessario di competenza, ma non per questo si tratta di provvedimenti sulla competenza. A volte la scelta dello strumento è determinata da ragioni di mera opportunità, e nulla dicono sulla natura dell’atto assoggettato a controllo.
9.- Il caso più controverso – si tratta, non a caso, del più recente – resta quello del provvedimento ex art. 615, comma 1, c.p.c.: o si ammette il reclamo, o difetta qualsiasi strumento di reazione (mentre per i provvedimenti del giudice dell’esecuzione sarebbe sempre disponibile il rimedio residuale dell’opposizione agli atti). Riguardo a tale provvedimento, l’insipienza del legislatore ha posto un delicato problema di regolamento di confini col provvedimento sospensivo ex art. 624 c.p.c.; tra le tante questioni discusse, segnaliamo la perdurante diversità di opinioni su delicatissimi punti: 1) di ritenere che il potere di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo si “converta”, una volta iniziata l’esecuzione, nel potere di sospendere quest’ultima; 2) di ritenere che il giudice dell’opposizione a precetto possa dichiarare la caducazione, ex tunc, degli atti esecutivi compiuti nonostante l’introduzione dell’opposizione; 3) di ritenere che il potere del giudice dell’opposizione a precetto concorra con quello del giudice dell’esecuzione24. Rispetto a tali non facili questioni va notato:
a) il giudice dell’opposizione a precetto ha, e può continuare ad avere anche grazie alla norma dell’art. 5 c.p.c. sulla perpetuatio jurisdictionis durante l’intero arco del giudizio di opposizione, il solo potere di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo: è cioè titolare di un generale potere di inibitoria. Tale potere non può “convertirsi” in uno diverso (sospensione dell’esecuzione), in carenza di una espressa investitura del legislatore (arg. ex art. 283 c.p.c.), anche perché l’utilità del provvedimento di inibitoria permane immutata anche nel caso di inizio medio tempore dell’esecuzione, servendo a scongiurare l’ulteriore esercizio dell’azione esecutiva in base al medesimo titolo (art. 483 c.p.c.) e potendo configurare una fattispecie di difetto sopravvenuto del titolo esecutivo con immediate ricadute sull’esecuzione in corso;
b) in assenza d’un qualsiasi espresso riferimento normativo, è arduo ritenere che il giudice dell’opposizione a precetto, la cui pronuncia intervenga a esecuzione già iniziata, possa, nel sospendere l’efficacia esecutiva del titolo opposto, dichiarare con effetto ex tunc la decadenza degli atti esecutivi (dal pignoramento in poi) posti in essere dopo l’introduzione dell’opposizione: tale potere infatti non compete né al giudice dell’impugnazione del titolo né al giudice dell’esecuzione, potendo derivare solo da successive pronunce di merito;
c) la disciplina positiva pone in concorso il potere del giudice dell’impugnazione del titolo con quello del giudice dell’esecuzione: è un concorso soltanto apparente, conoscendo i detti giudici di questioni diverse (in particolare, per i titoli giudiziali, il giudice dell’esecuzione potrà apprezzare soltanto fatti successivi alla formazione del titolo); non c’è invece concorso tra giudice dell’opposizione a precetto e giudice dell’esecuzione, perché l’uno ha un potere inibitorio che incide sul titolo, l’altro un potere sospensivo che incide sul processo esecutivo. È peraltro ragionevole ritenere che il potere inibitorio, come avviene nel caso del provvedimento reso dal giudice dell’impugnazione del titolo, è destinato a riflettersi sull’esecuzione per il meccanismo dell’art. 623 c.p.c. dovendo il giudice dell’esecuzione limitarsi a prendere atto che un diverso giudice della cognizione ha privato dall’esterno di esecutorietà il titolo, e che pertanto l’esecuzione non può continuare per difetto sopravvenuto del titolo che la sorregge (salvo che essa sia proseguita da altri creditori intervenuti, muniti di titolo e così autonomamente legittimati al compimento di atti dell’esecuzione).
10.- Quest’ultimo rilievo ci porta ad affrontare un’altra questione generale: la sorte del provvedimento sospensivo – e qui si tratta soprattutto della sospensione disposta dal g.e. a norma dell’art. 624, comma 1 – qualora siano presenti nel processo altri creditori muniti di titolo. In tal caso, sempre in applicazione della fondamentale sentenza delle Sezioni Unite n. 61/201425, il provvedimento sospensivo, riferito alla posizione del creditore procedente, avrà effetti del tutto diversi dall’ordinario; esso infatti determinerà l’esclusione del creditore attaccato dal processo, che potrà continuare dietro l’impulso di taluno dei concorrenti muniti di titolo. Non vi sarà quindi sospensione dell’esecuzione (sebbene in astratto ricorrano proprio quei presupposti), ma il venir meno del titolo del procedente si tradurrà nell’impossibilità, per quel creditore, di (continuare a) essere presente nel processo. Ne deriva che, ove il debitore voglia davvero ottenere l’arresto delle attività esecutive in suo danno, dovrà attaccare le posizioni di tutti i creditori muniti di titolo legittimati a proseguire gli atti dell’esecuzione, dimostrando in rapporto a ciascuno di essi le condizioni (“gravi motivi”) per ottenere
24 Questioni poste sul tappeto da X. XXXXXX, La sospensione dell’esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e 624 c.p.c.), cit.
25 Retro, nota n. 8.
la sospensione.
11.- Xxxx’esecuzione forzata la formulazione della domanda ha luogo in una fase pre-processuale, consentendo all’intimato una reazione immediata ancor prima dell’inizio in senso tecnico dell’esecuzione, e così ancor prima che il debitore precettato possa assumere la veste formale di «esecutato»; tuttavia, prima della riforma che ha inciso sul comma
1 dell’art. 615 c.p.c., la possibilità di contestare nel merito, con l’opposizione a precetto, il legittimo esercizio dell’azione esecutiva non si accompagnava alla possibilità (che della prima avrebbe dovuto costituire pendant) di ottenere la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo.
Tale realtà, che molta dottrina già giudicava insoddisfacente in base ai parametri ex artt. 3 e 24 Cost., riusciva ancor meno accettabile alla luce dei princìpi sul «giusto processo» (art. 111, comma 2, Cost.), e in particolare sulla fondamentale funzione del contraddittorio preventivo all’esecuzione: non si giustificava una disciplina formalmente volta a provocare nell’intimato una reazione immediata, se a tale reazione non poteva poi corrispondere la possibilità di ottenere un provvedimento sospensivo (o, più correttamente, inibitorio) volto a evitare l’assoggettamento del suo patrimonio a un vincolo di destinazione (il pignoramento). Specie allorché i relativi presupposti apparissero, già in esito a valutazione sommaria, manifestamente illegittimi o «ingiusti».
Si comprende così l’orientamento giurisprudenziale, sopra ricordato, che – pur senza riferimenti espliciti ai princìpi del «giusto processo» – a partire dal 2000 aveva ammesso la pronuncia sulla sospensione (o inibitoria) ex art. 700 c.p.c. coordinata ad una proposta opposizione a precetto, «in difetto di strumenti processuali tipici» volti ad ottenere la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo 26. In tal modo la giurisprudenza andava esercitando funzioni di supplenza; sarebbe infatti stato compito del legislatore, preso atto del vero e proprio vuoto di tutela in danno (di colui che avrebbe assunto le vesti) del soggetto passivo dell’esecuzione, quello di operare l’opportuna correzione della disciplina processuale, integrando il riferimento alla «sospensione del processo» con quello alla «sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo» 27.
A tanto ha provveduto la legge n. 80/2005, scegliendo di intervenire sul comma 1 dell’art. 615 c.p.c. (e non, ad esempio, sull’art. 624 c.p.c.), nel senso che il giudice dell’opposizione a precetto può sospendere (soltanto) l’efficacia esecutiva del titolo sulla cui base si minaccia l’esecuzione 28.
Si tratta all’evidenza d’una formula limitativa, che segna un netto confine tra il potere di sospensione del giudice dell’opposizione a precetto (che è, a ogni effetto, un preventivo potere di inibitoria) e quello del giudice dell’esecuzione (che incide sull’esecuzione in corso, ma non sul titolo): specie se confrontata, tale limitativa formula, con quella dell’art. 283 c.p.c. – l’inibitoria del giudice d’appello e in generale dell’impugnazione – che parla, con riferimento alla sentenza impugnata, tanto di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, quanto di sospensione dell’esecuzione.
I primi commentatori hanno prospettato soluzioni difformi. Secondo un’opinione piuttosto diffusa, il giudice dell’opposizione a precetto non perderebbe il suo potere di provvedere a fronte dell’eseguito pignoramento: soluzione alimentata, tra l’altro, dal riferimento all’art. 5 c.p.c. 29; secondo altri, e soprattutto secondo molta giurisprudenza, l’art. 624 c.p.c. individua, in ordine alla sospensione dell’esecuzione, una competenza esclusiva del giudice dell’esecuzione dal momento in cui questa è iniziata, e ciò tanto in caso di opposizione all’esecuzione quanto in caso di opposizione a precetto. Deve aggiungersi che l’art. 615, comma 1, c.p.c. non dice quale sia la sorte del pignoramento eseguito, allorché il giudice dell’opposizione a precetto provveda «tardivamente» a sospendere l’efficacia esecutiva del titolo: problema indipendente dalla scelta, in apicibus, volta a riconoscere o no al giudice dell’opposizione a precetto (anche) il potere di sospendere l’esecuzione intrapresa, che secondo taluni sarebbe un «meno» rispetto al «più» della sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo (ma, in realtà, il contenuto e l’estensione del provvedimento nulla dicono sul giudice competente per assumerlo).
26 Cass., 8 febbraio 2000, n. 1372, da aggiungere alla già citata Cass., 23 febbraio 2000, n. 2051.
27 La dottrina aveva proposto di adeguare l’art. 624 c.p.c. al testo dell’art. 283 c.p.c., introdotto dalla legge 353/1990: v., per tutti, X. XXXXXXX (F.P. XXXXX-X. XXXXXXX), Commentario alla riforma del processo civile, Milano, 1996, 268 ss.
28 V. in argomento, oltre al citato saggio di X. Xxxxxx, A.A. ROMANO, La nuova opposizione all’esecuzione (rilievi a prima lettura dopo la legge 24 febbraio 2006, n. 52), in Riv. esec. forz., 2006, 489 ss.; X. XXXXXXXXX, L’impedimento dell’efficacia del titolo e del processo esecutivo nell’opposizione ex art. 615, 1° co., c.p.c., in Riv. esec. forz., 2008, 367 ss.; X. XXXX, Commento all’art. 615 c.p.c., in Commentario alle riforme del processo civile, a cura di X. Xxxxxxxxx e X. Xxxxxxx, III, Processo di esecuzione, Padova, 2007, 542 ss.
29 X. XXXXXX, op. loc. cit.
Anche noi pensiamo che altro sia sospendere l’efficacia esecutiva del titolo, altro sospendere l’esecuzione: riconoscere al giudice dell’opposizione a precetto il potere di sospendere l’esecuzione nel frattempo iniziata significa non tanto estendere temporalmente il suo potere oltre la fase pre-esecutiva in cui esso è collocato, quanto attribuirgli un potere ulteriore destinato a produrre effetti diversi: se davvero, infatti, quel potere rimanesse qual è in origine, occorrerebbe giocoforza concludere che la questione da risolvere non è quella della sospensione dell’esecuzione nel frattempo iniziata (cosa diversa dall’inibitoria richiesta), quanto quella della caducazione degli atti (in primis il pignoramento) compiuti nonostante la tempestiva contestazione del diritto di procedere a esecuzione forzata 30. Ci sembra evidente che, allorché si richiama l’art. 5 c.p.c. per perpetuare il potere del giudice dell’opposizione a precetto 31, si finisce col dare per scontato proprio il quid demonstrandum: e ciò, o mediante una lettura estensiva della formula dell’art. 615, comma 1, ovvero ritenendo che il potere del giudice dell’opposizione a precetto si «converta» o «riduca», una volta iniziata l’esecuzione, nel potere di sospendere (soltanto) quest’ultima, o ancora assegnando al provvedimento
«tardivo» un’efficacia – di cui la legge significativamente tace – volta a caducare il pignoramento eseguito (del tutto legittimamente, in base al principio tempus regit actum) tra la presentazione dell’istanza di inibitoria, che di norma sarà contestuale alla notifica dell’opposizione, e il provvedimento assunto dal giudice istruttore in limine litis. Se si muove dalla premessa che altro è il potere di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo, proprio del giudice dell’opposizione a precetto, altro il potere di sospendere l’esecuzione iniziata, proprio del giudice dell’esecuzione, non si tarda a comprendere che il dispositivo dell’art. 5 c.p.c. è completamente fuori gioco, perché la norma non può prorogare una competenza che in origine il giudice non ha, né assegnargli una competenza che per legge appartiene a un diverso giudice.
Né decisivi argomenti potranno desumersi dalle discipline speciali – legge cambiaria, legge assegni – che, in deroga al regime ordinario anteriforma, consentivano di adottare il provvedimento di sospensione già a seguito dell’opposizione a precetto (laddove nell’esecuzione ordinaria ciò era stato rigorosamente escluso sino alle recenti, richiamate pronunce di legittimità ammissive di una tutela cautelare atipica): tanto l’art. 65 legge camb., quanto l’art. 57 legge ass. muovevano infatti dal presupposto, proprio del c.p.c. del 1865, che era il precetto a dare inizio all’esecuzione forzata, e pertanto oggetto della sospensione era sempre l’esecuzione, non anche l’efficacia esecutiva del titolo 32. Sebbene occorra dare atto che i regi decreti del 1933 – il procedimento cautelare uniforme di cui agli artt. 669 bis ss.
c.p.c. era ben di là da venire – risultano assai meglio concepiti del sistema attuale, perché il presidente del tribunale o il pretore potevano provvedere con decreto inaudita altera parte e il giudice dell’opposizione, in prosieguo, avrebbe potuto «confermare o rivocare» il provvedimento immediato, secondo la regola attualmente posta dall’art. 669-sexies, comma 2, c.p.c., così consentendo, nel mutato contesto del c.p.c. del 1942, una pronuncia di sospensione-inibitoria (anche) in un momento anteriore al compimento del pignoramento. Se l’art. 615, comma 1, c.p.c., nella versione novellata, avesse previsto espressamente un dispositivo simile (decreto + ordinanza), molti problemi applicativi sarebbero verosimilmente stati risolti in radice 33; allo stato la soluzione, senz’altro da condividersi e anzi da privilegiare, può essere attinta o ritenendo applicabile il citato comma 2 dell’art. 625 34, o ragionando per analogia con le previgenti discipline speciali del 1933, o ancora ragionando sul riflesso del procedimento cautelare uniforme (ma dando in tal modo per scontato che il provvedimento di inibitoria appartenga al tipo cautelare, soluzione che non sembra affatto pacifica).
12.- Uno dei più importanti interventi additivi operati dalla legge n. 80/2005, lungamente analizzato e atteso, s’è
30 Cfr. infatti X. XXXX, op. loc. ult. cit.
31 Ancora X. XXXXXX, op. loc. ult. cit.
32 Ovviamente, anche nell’esecuzione su cambiale o assegno, se la sospensione è richiesta dopo il compimento del pignoramento la competenza a provvedere è soltanto del giudice dell’esecuzione: xxx. Xxxx., 0 xxxxxxxxx 0000, x. 0000, xx Xxxx xx., Rep., 1986, voce Esecuzione in genere, n. 74.
33 G.L. XXXXXXX, La riforma della sospensione del processo esecutivo e delle opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi, cit., part. 656, nota 13), ove si ammette la possibilità della pronuncia con decreto, sebbene si consideri quale ipotesi normale quella della fissazione di un’udienza ad hoc per la trattazione della sola istanza di sospensione.
34 In questo senso Trib. Venezia, ord. 19 aprile 2007, in Riv. esec. forz., 2007, 560, con note di X. XXXXXXXX, La sospensione dell’efficacia del titolo esecutivo giudiziale in sede di opposizione a precetto: limiti di ammissibilità della tutela e regime applicabile, di C. SPACCAPELO, Pignoramento presso terzi: perfezionamento della fattispecie e riflessi sul momento in cui il credito deve sussistere, e di X. XXXXXXX, Sul potere di sospensione ex art. 615, 1° comma c.p.c. del giudice dell’opposizione a precetto.
quindi rivelato incompleto e inappagante35.
In primo luogo, va notato che il potere di inibitoria compete al solo giudice dell’opposizione a precetto, non anche al giudice dell’opposizione agli atti di cui all’art. 617, comma 1, c.p.c., nonostante la riforma dell’art. 618, comma 2, c.p.c. (realizzata dalla legge n. 52/2006, che non si è preoccupata di realizzare i necessari raccordi) abbia espressamente attribuito a quel giudice il potere (prima ritenuto soltanto in via pretoria) di sospendere l’esecuzione (l’art. 624, comma 1, c.p.c. parlava e parla di tale potere soltanto in riferimento alle opposizioni di merito introdotte dal debitore e dal terzo dopo l’inizio dell’esecuzione). Tenuto conto che non sempre il vittorioso esperimento dell’opposizione all’esecuzione conduce alla totale caducazione di quest’ultima, e che talvolta il vittorioso esperimento dell’opposizione agli atti caduca per contro l’intera esecuzione, è evidente che anche per l’opposizione agli atti pre-esecutiva poteva porsi il problema della sospensione anteriormente all’inizio in senso tecnico dell’esecuzione (e, in particolare, di una sospensione in grado di stabilizzarsi grazie al leonardesco meccanismo introdotto dal comma 3 dell’art. 624, su cui diremo oltre). Ma di tale problema il legislatore (verosimilmente “abbagliato” dal dibattito che aveva soprattutto interessato l’opposizione a precetto) non s’è fatto carico, e pertanto la relativa tutela (che potremmo icasticamente definire come il diritto a non subire un pignoramento ingiusto) potrà essere assicurata soltanto col provvedimento ex art. 700 c.p.c., soluzione che la giurisprudenza aveva appunto individuato, prima del 2005, con riferimento all’opposizione a precetto.
In secondo e forse anche più importante luogo, il potere del giudice dell’opposizione a precetto si limita, come detto, alla sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo e non sembra esteso a ricomprendere la sospensione dell’esecuzione (che di xxxxx potrà iniziare soltanto dieci giorni dopo la notifica di titolo esecutivo e precetto: quindi, ben difficilmente il giudice dell’opposizione a precetto, che voglia sollecitare il contraddittorio delle parti sull’istanza, avrà modo di pronunciarsi sull’inibitoria prima del compimento del pignoramento). Una serie di chiari indici normativi porta a escludere tale estensione: l’art. 283 c.p.c., in tema di inibitoria del giudice d’appello, distingue la sospensione dell’efficacia esecutiva dall’esecuzione della sentenza; l’art. 623 c.p.c. è comunemente interpretato (di qui l’esigenza stessa della riforma del comma 1 dell’art. 615 c.p.c.) nel senso che il giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo non è il giudice dell’opposizione a precetto; l’art. 624 c.p.c. nell’attuale stesura lascia chiaramente intendere (è stato soppresso il riferimento al comma 2 dell’art. 615, che prima compariva sul presupposto che soltanto il giudice dell’esecuzione fosse titolare del potere di sospensione: ma la soppressione di quel riferimento, ora, non può che esser letta nel senso che è sempre il giudice dell’esecuzione a poter sospendere, tanto in caso di opposizione ex comma 1, quanto in caso di opposizione ex comma 2 dell’art. 615) che, una volta iniziata l’esecuzione, il potere del giudice dell’opposizione a precetto viene inevitabilmente eliso 36.
13.- In simile quadro, un’interpretazione rispettosa del testo delle norme conduce a ritenere che l’art. 615, comma 1,
c.p.c. non abbia attribuito al giudice dell’opposizione a precetto il potere di sospendere (anche) l’esecuzione.
Si tratta, evidentemente, di una (nuova) disarmonia, che molti commentatori cercano di correggere con coraggiose interpretazioni forzando le maglie d’un tessuto normativo indubbiamente ostile (e carente). Pervenendo tuttavia a risultati inappaganti: se è vero che il potere di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo è espressione di un’inibitoria a che vengano compiuti «ingiusti» atti di esecuzione (in primo luogo, il pignoramento) è anche vero che, qualora dopo la tempestiva proposizione dell’opposizione a precetto con istanza di inibitoria il pignoramento venga compiuto, il giudice dell’opposizione, provvedendo ora per allora, dovrebbe avere il potere non di sospendere l’esecuzione (consolidando in tal modo l’«ingiustizia» dell’esecuzione intrapresa), bensì di caducare il pignoramento dichiarandolo nullo o inefficace; ma un simile potere deve essere espressamente attribuito dalla legge, perché nessun giudice (dell’impugnazione ex art. 623 o dell’esecuzione ex art. 624) attualmente lo ha.
Inoltre, va notato che tanto il giudice dell’opposizione a precetto, quanto il giudice dell’esecuzione potrebbero essere chiamati a valutare nello stesso momento i medesimi presupposti per la sospensione (i «gravi motivi»); ed è singolare che, mancando un dispositivo di coordinamento, due giudici diversi possano, nell’unità di tempo, adottare un provvedimento con identico oggetto valutandone i presupposti in perfetta autonomia: col risultato che il coordinamento dovrebbe essere assicurato, in modo casuale, dal tempo delle rispettive decisioni (ma, anche a tale riguardo, potrebbe seriamente discutersi se a prevalere debba essere la prima ovvero la seconda [arg. ex art. 395, n. 5), c.p.c.]; salvo ritenere che, essendo il potere del giudice dell’opposizione a precetto quello di maggior estensione, sia comunque esso a
35 Stessa valutazione opera X. XXXXXXX, op. loc. cit.
36 X. XXXXXXXX, Commento all’art. 624 c.p.c., cit.
dover prevalere a prescindere dal tempo della sua adozione: ma anche in tal caso, ci sembra, il ragionamento sembra incontrare l’ostacolo dell’art. 623 c.p.c., che non si applica al giudice dell’opposizione a xxxxxxxx).
Siamo dinanzi, come si vede, a problemi non facili, che – nell’obbiettiva incertezza e insufficienza del dato normativo
– ciascun interprete potrebbe risolvere (e sta in concreto risolvendo, per quanto consta) a suo modo, facendo capo ora all’analogia, ora all’interpretazione estensiva, ora ai princìpi generali; ma in un contesto comunque caratterizzato da approssimazione.
Nella valutazione del complesso degli elementi sopra esposti, sembra più corretto pensare che il potere sospensivo, una volta iniziata l’esecuzione, sia proprio del solo giudice dell’esecuzione 37, al quale l’istanza potrà essere sottoposta prescindendo dalla contestuale riproposizione, nelle forme dell’opposizione all’esecuzione, dei motivi già posti a fondamento dell’opposizione a precetto 38.
Una cosa è certa: chi si oppone a precetto inizia una mitica battaglia contro il tempo che non sarà facile vincere e forse neanche combattere, perché il breve termine dilatorio di cui all’art. 481, comma 1, c.p.c. consentirà al creditore precettante il compimento del pignoramento ben prima che il giudice dell’opposizione a precetto possa pronunciarsi sulla richiesta di sospensione dell’esecutività del titolo, pur tempestivamente presentata. L’ipotesi normale – per quanto strano possa apparire – è che il giudice dell’opposizione conosca dell’istanza di inibitoria soltanto dopo l’inizio dell’esecuzione, con l’incongruo risultato di poter inibire l’inizio di altre esecuzioni fondate sullo stesso titolo, ma non quella che proprio alla notifica del precetto è seguita. Ciò che i giudici possono certamente fare è applicare con larghezza la disciplina della responsabilità processuale aggravata (solitamente piuttosto negletta) qualora il creditore, nonostante la proposizione del- l’opposizione a precetto, abbia proceduto a pignoramento senza far uso della normale prudenza (che è quanto dire) nonostante la serietà delle contestazioni mosse in sede pre-esecutiva.
Si va inoltre diffondendo, accanto all’orientamento che ammette il giudice dell’opposizione a precetto a sospendere l’esecuzione, l’orientamento secondo cui, essendo il provvedimento di sospensione di natura intrinsecamente cautelare 39, esso risulterebbe soggetto non soltanto a reclamo, ma in generale alle norme del procedimento cautelare uniforme 40, pur dandosi nel contempo atto che il provvedimento di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo ha rilevanti punti di contatto con le inibitorie pronunciate in sede di impugnazioni di merito.
In realtà, abbiamo già notato che tutte le norme processuali in tema di inibitoria escludono che l’ordinanza (espressamente qualificata) non impugnabile sia soggetta ad un qualsiasi mezzo di impugnazione (neppure ex art. 111 Cost.) o di reclamo ovvero che essa sia revocabile o modificabile [art. 177, comma 3, n. 2), c.p.c.] 41. Orientamento sempre riaffermato, con qualche eccezione42, anche dalla giurisprudenza sull’art. 830, ult. comma, c.p.c., sebbene la norma non confermi la qualifica di «non impugnabilità» a proposito dell’ordinanza con cui la Corte d’appello provvede sull’esecutorietà del lodo arbitrale gravato con l’impugnazione per nullità (bene avrebbe fatto il recente legislatore delegato – d.lgs. n. 40/2006 – a riaffermare la regola di non impugnabilità anche a proposito di tale ordinanza).
Non va trascurata, da ultimo, una considerazione per così dire strategica, se non proprio di politica giudiziaria: cedere il passo a una ricostruzione in chiave cautelare tout court del provvedimento di inibitoria pronunciato dal giudice dell’opposizione a precetto significa porre le basi per una eguale ricostruzione, estesa a qualsiasi provvedimento di
37 Come esattamente e motivatamente sostenuto da A.M. SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, 3a ed., loc. cit.
38 Il meccanismo è lo stesso descritto per altra fattispecie dalla Cass., Sez. III, 16 gennaio 2006, n. 709: la sospensione dell’esecutorietà del decreto ingiuntivo, disposta dal giudice dell’opposizione, determina la sospensione della esecuzione forzata promossa in base a quel titolo, concretando l’ipotesi di sospensione della esecuzione ordinata dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo di cui all’art. 623 c.p.c. ed impedisce, quindi, che atti esecutivi anteriormente compiuti, dei quali resta impregiudicata la validità ed efficacia, possano essere assunti a presupposto di altri atti, in vista della prosecuzione del processo di esecuzione; tale effetto del provvedimento di sospensione può essere rappresentato al giudice della esecuzione nelle forme previste dall’art. 486 c.p.c. e senza necessità di opposizione alla esecuzione da parte del debitore, il quale ha peraltro la facoltà di contestare la validità degli atti di esecuzione compiuti dopo (e nonostante) la sospensione del processo esecutivo con il rimedio della opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.), tendente ad una pronuncia che rimuova l’atto in ragione del tempo in cui è stato adottato.
39 Così, ad esempio, Cass., Sez. III, 23 luglio 2009, n. 17266, che ha escluso l’esperibilità del ricorso straordinario avverso l’ordinanza sulla sospensione. Conf. Sez. VI, Ord., 9 giugno 2014, n. 12930.
40 V., tra gli altri, l’ampia trattazione di X. XXXXXXXXX, Il nuovo potere sospensivo del giudice dell’opposizione a precetto, in Riv. dir. proc., 2008, 79 ss., part. 92 ss.
41 Cfr., tra le tante, Xxxx., Sez. III, 25 febbraio 2005, n. 4060, giacché trattasi di provvedimento endoprocedimentale avente natura latamente cautelare e provvisoria, destinato ad essere assorbito e superato dal provvedimento a cognizione piena che definisce il giudizio.
42 X. XXXXX, Revocabilità e reclamabilità dell’ordinanza inibitoria dei lodi arbitrali, in Xxx. xxxx. xxxx., 0000, 000 xx.
xxxxxxxxxx pronunciato a norma degli artt. 351, 373, 401, 407, 431, 447, 447 bis, 648, 649, 665, 668 c.p.c.: con un aggravio per la gestione dei contenziosi, e dei processi esecutivi, che i nostri giudici non sembrano attualmente in condizioni di poter sostenere.
Al termine del nostro discorso, possiamo dunque affermare che se da un lato non sembra corretto riconoscere al giudice dell’opposizione a precetto il potere di sospendere l’esecuzione già in atto; dall’altro lato, dovendo quel giudice pur sempre pronunciarsi sulla sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo (non soltanto per la regola dell’art. 5 c.p.c., ma anche perché quella pronuncia ha oggetto più ampio rispetto alla singola esecuzione già in atto), tale pronuncia avrà, per il g.e., i medesimi effetti di una sospensione esterna ex art. 623 c.p.c.: egli dovrà pertanto sospendere l’esecuzione con un provvedimento meramente ricognitivo di quello adottato ab externo, non reclamabile perché non adottato a norma dell’art. 624 con apprezzamento dei gravi motivi e così – lo diciamo in relazione a casi giurisprudenziali che già si sono posti43 – non suscettibile di evolvere in estinzione secondo il meccanismo del comma 3 dell’art. 624 c.p.c., di cui subito ci occuperemo.
14.- Il procedimento della sospensione disposta dal g.e. (art. 624 c.p.c.) è materia che di recente è stata rivisitata a più riprese: dal legislatore del 2005 (legge n. 80), da quello del 2006 (legge n. 52) e poi – con intenti correttivi – da quello del 2009 (legge n. 69). I dibattiti attorno a queste riforme risultano purtroppo alimentati dalla loro pessima fattura tecnica.
Due i cardini attorno ai quali questi diffusi dibattiti ruotano: la collocazione del provvedimento sospensivo nella fase preliminare delle opposizioni (ex artt. 615, 619 e 617 c.p.c.), conformate secondo un invariabile modello bifasico; il contenuto, il regime e i possibili effetti del provvedimento sospensivo “stabilizzato” sul processo di esecuzione forzata (comma 3 dell’art. 624 c.p.c.).
A) Tradizionalmente, i problemi della fase introduttiva delle opposizioni esecutive erano ritagliati sulla figura del g.e., nel momento in cui gli veniva richiesto di abbandonare la funzione strettamente di “esecuzione” per assumere le vesti di istruttore, e così di giudice della “cognizione”, in un contesto che appariva slabbrato e confuso: nella medesima udienza quel giudice era infatti chiamato ad adottare provvedimenti esecutivi – il più importante dei quali era appunto la sospensione dell’esecuzione – e cognitivi, iniziando dalla verifica della propria competenza. Non era chiaro dove finiva la sua investitura di g.e., e dove iniziava quella di istruttore della causa di opposizione.
Con le varie modifiche portate dalla legge n. 52/2006, questi problemi appaiono ora ritagliati attorno al provvedimento di sospensione, cui è stato riconosciuto – assieme al provvedimento di assegnazione del termine perentorio per l’introduzione della fase a cognizione piena – un ruolo di cerniera tra fase sommaria dinanzi al g.e. e fase di merito dinanzi al giudice della cognizione, nonché un possibile ruolo di deflazione delle opposizioni. Hanno giocato in questo senso varie suggestioni: quella di poter classificare il provvedimento sospensivo come cautelare “anticipatorio” (abbiamo visto che così non sempre è, e in particolare non è tale il provvedimento sospensivo pronunciato dal g.e.); quella di ritenere l’interesse del debitore pienamente realizzato dalla sospensione dell’esecuzione vocata a evolversi in estinzione piuttosto che dalla decisione nel merito dell’opposizione (sebbene la finalità ultima dell’opposizione all’esecuzione sia la caducazione del titolo esecutivo); quella di un generale sfavore per gli incidenti cognitivi nell’esecuzione, spesso giudicati un mero fattore di ritardo.
In questo contesto gli artt. 615, comma 2, 617, comma 2, 619, comma 1, c.p.c., mai modificati, continuano a prevedere che le opposizioni si introducono con ricorso al g.e.; a nessuno era mai venuto in mente che al deposito dovesse seguire un nuovo atto d’impulso perché l’opposizione fosse decidibile nel merito. Anche perché la costruzione bifasica delle opposizioni era, prima della legge n. 52, non più che una libera elaborazione di qualche interprete.
La legge n. 52 ha creato le condizioni per consentire alla successiva giurisprudenza di mutare il volto delle opposizioni; ma tanto è avvenuto non per risolvere il problema, tradizionale, in relazione alla figura del giudice, bensì in rapporto alla sospensione. La principale preoccupazione è stata di far sì che la sospensione potesse convertirsi in estinzione del processo esecutivo assolvendo il ruolo di cautelare “anticipatorio” (è, purtroppo, evidentissima la miopia di simile concezione: vero provvedimento anticipatorio sarebbe stato quello che avesse sottratto la forza esecutiva al titolo sulla cui base l’esecuzione era stata promossa, non certo quello che si limitava a incidere sulla singola esecuzione.
43 Oltre a App. Torino che abbiamo già ricordato, cfr. Trib. Messina, 14 ottobre 2010, in Riv. esec. forz., con nostra nota Il 3° comma dell’art. 624
c.p.c. e i suoi mostri: la (sventata) ri-sospensione del processo esecutivo finalizzata all’estinzione del processo già sospeso.
Estinta un’esecuzione, il creditore in possesso di titolo esecutivo ne avrebbe iniziato un’altra e poi un’altra ancora, sin quando non fosse stato soddisfatto ovvero non fosse venuta meno – appunto – la forza esecutiva del titolo).
La centralità acquisita, nel contesto della c.d. fase sommaria, dal provvedimento di sospensione ha capovolto la posizione delle parti: dandosi per scontato che l’interesse del debitore opponente fosse sempre e soltanto quello di far estinguere l’esecuzione sospesa (in realtà, l’interesse dovrebbe essere, nel quadro dell’opposizione all’esecuzione, quello di ottenere la caducazione del titolo esecutivo), si è previsto che l’opposizione di merito (o, se si preferisce, la fase di merito dell’opposizione) avrebbe potuto essere coltivata da «ogni altro interessato». Sia la mancata introduzione (o riassunzione) dell’opposizione, sia la successiva estinzione del processo di opposizione determinano invariabilmente la conversione della sospensione in estinzione e quindi, nel gioco dei contrapposti interessi, il debitore doveva risultare appagato dalla sospensione (pur restando virtualmente soggetto all’azione esecutiva, restando intatto il titolo), laddove il creditore procedente avrebbe avuto l’onere di rimuovere quel provvedimento sommario introducendo il giudizio a cognizione piena in cui chiedere, in via di accertamento negativo, la declaratoria di infondatezza dei motivi dell’opposizione.
Sottolineato tale aspetto, la netta separazione tra fase c.d. sommaria, introdotta dal ricorso di cui continuano a parlare gli invariati artt. 615, comma 2, 617, comma 2, 619, comma 1, c.p.c., e fase c.d. di merito, virtualmente destinata alla rimozione dell’ordinanza di sospensione (artt. 616, 619, comma 3 che al primo rimanda, 618, comma 2, c.p.c.), presupponeva che fossero soggetti diversi a assumere l’iniziativa dell’una e dell’altra. Il modello che il legislatore del 2006, in ciò seguito da quello del 2009, ha tentato di affermare con carattere di generalità è in breve il seguente: il ricorso del debitore opponente serve a ottenere la sospensione; la successiva iniziativa del creditore opposto “per il merito” serve a rimuovere quel provvedimento, che pericolosamente è destinato a evolvere in estinzione. L’interesse del primo è integralmente realizzato dalla sospensione; quello del secondo dalla sua rimozione in esito al giudizio a cognizione piena.
L’esperienza pratica ha rivelato tutti i limiti di questa costruzione.
In primo luogo, non è detto che a qualsiasi opposizione esecutiva si accompagni l’istanza di sospensione; ciò è quanto avviene assai di frequente, ma non è obbligatorio che sia così.
Non è detto che il g.e. sospenda sempre l’esecuzione. Questa potrebbe essere sospesa dal collegio in esito al reclamo, e ciò pone problemi quanto all’individuazione del termine perentorio per introdurre o riassumere il giudizio di merito. O potrebbe non essere sospesa, e riformato il provvedimento positivo del g.e.
Inoltre, non è detto che l’interesse del debitore, che abbia ragione di ritenere la sua opposizione fondata anche alla luce del fatto che il g.e. avrà già apprezzato l’esistenza di “gravi motivi” per sospendere l’esecuzione, sia soltanto quello di far estinguere l’esecuzione sospesa e non anche quello di ottenere la caducazione del titolo esecutivo opposto.
Ancora, il creditore procedente, che si sia visto sospendere l’esecuzione, potrebbe aver interesse a non coltivare l’opposizione, per avviare immediatamente un’autonoma esecuzione senza l’onere di dover ribaltare un giudizio sommario già formulato dal g.e. in sede di sospensione.
Insomma, le variabili rispetto al modello immaginato dal legislatore del 2006 e da quello del 2009 – abbagliati in egual misura dal cautelare anticipatorio – sono molte e molto diverse tra loro.
Tra queste variabili, v’è quella del debitore che, introdotta l’opposizione nelle forme di cui agli artt. 615, comma 2, 617, comma 2, 619, comma 1, c.p.c., decida di insistere perché l’opposizione sia decisa nel merito. Quale adempimento dovrà essere richiesto, in questi casi, specie allorché la sospensione non sia stata accordata?
La S.C. ha consolidato una giurisprudenza 44 giusta la quale servirà un atto di citazione, o un ricorso se la materia chiama l’applicazione del rito speciale, il cui contenuto dovrà essere del tutto identico al ricorso iniziale (se a proporre l’istanza è lo stesso soggetto). Ciò equivale ad affermare che il ricorso iniziale introduce non l’opposizione ma la sola sua fase sommaria, e che il giudice l’opposizione non potrà essere definita nel merito se qualcuno non la “introduca” ex novo, o la “riassuma” dinanzi al giudice competente; insomma, se non vi sia un altro autonomo atto d’impulso.
A noi sembra, però, che per raggiungere tale risultato il legislatore avrebbe dovuto intervenire sugli artt. 615, comma 2, 617, comma 2, 619, comma 1, c.p.c., perché queste norme continuano ad affermare, senza mezzi termini, che
44 V., ad es., Sez. VI, 7 novembre 2010, n. 19264 (ord.), in Riv. esec. forz., 2013, 401 ss., con nota di X. XXXXX, La fase introduttiva delle opposizioni esecutive “successive”: rilievi e osservazioni, e nostra breve annotazione intitolata L’infinita storia della fase introduttiva delle opposizioni esecutive.
le opposizioni esecutive si introducono con ricorso al g.e.
E se un diverso sviluppo poteva essere prefigurato nel caso, che non è la regola, dell’opposizione coltivata dal creditore che avesse subìto nella prima udienza il provvedimento di sospensione, nel diverso caso del debitore che voglia …semplicemente che il suo ricorso sia deciso, l’attuale sistema non potrà che risultare incomprensibilmente gravatorio.
Al centro di questo sistema, per molti versi irragionevole, è appunto il provvedimento di sospensione.
B) La grande novità del 2005 in tema di sospensione – salvo quanto detto retro, a proposito dell’opposizione a precetto – è stata senz’altro la reclamabilità ex art. 669 terdecies c.p.c. del provvedimento (a contenuto sia positivo sia negativo) adottato dal giudice dell’esecuzione 45. Abbiamo però notato che il testo dell’art. 624 c.p.c., pur nella sua ambiguità (cfr. l’ultimo comma: ove un riferimento, sia pure con clausola di compatibilità, all’opposizione ex art. 617 c.p.c.), sembrerebbe escludere la possibilità del reclamo in relazione al provvedimento sospensivo pronunciato nell’àmbito dell’opposizione agli atti; e in effetti molti tribunali si sono indirizzati, almeno in sede di prima applicazione della novella, in senso negativo. Abbiamo anche già detto46 che la Cassazione s’è orientata nel senso della reclamabilità, ma con argomenti non pianamente deducibili dal testo del comma 4 dell’art. 624, che, col suo rinvio selettivo al comma 3, potrebbe intendersi riferito al solo meccanismo di sospensione-estinzione senza nulla aggiungere sul diverso problema della reclamabilità del provvedimento del g.e.
Il rapporto di specialità tra reclamo e opposizione agli atti (mero rimedio di chiusura) porta ovviamente a ritenere che, laddove sussista la garanzia del reclamo, non possa utilizzarsi quella dell’opposizione formale.
15.- Nel quadro delle novità introdotte dal legislatore del 2006, l’aspetto dirompente è stata la riscrittura del comma 3 dell’art. 624 c.p.c. che, sulla falsariga della disciplina dei cautelari anticipatori (a strumentalità c.d. attenuata), aveva previsto (nella versione 2006 47) un complesso quanto farraginoso meccanismo di “stabilizzazione” del provvedimento di sospensione (solo in parte emendato nel 2009), destinato a evolversi in estinzione.
Il comma 3 dell’art. 624 c.p.c. trova integrale applicazione nel caso di provvedimento adottato dal giudice dell’esecuzione (o dal collegio in sede di reclamo: il punto tuttavia, come vedremo, è mutato nel passaggio dalla disciplina del 2006 a quella del 2009) dopo l’inizio del processo esecutivo; in caso di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo48, la disciplina comporta adattamenti in ragione vuoi degli effetti dell’inibitoria, vuoi del fatto che il pignoramento non è stato ancora compiuto (e, quindi, il processo esecutivo non ha tecnicamente avuto inizio). Peraltro, si nota che il comma 3 dell’art. 624 fa testuale riferimento al comma 1, e pertanto sembra riferirsi alla sola sospensione dell’esecuzione pronunciata dal g.e. nel quadro delle opposizioni di merito. È problema che si ripropone continuamente, e che porta a escludere la possibilità di riconoscere un regime unitario ai provvedimenti inibitori e sospensivi cui è dedicato questo saggio.
Per rendere tecnicamente possibile la conversione della sospensione in estinzione è stato predisposto un artificiale contesto: la prima udienza dinanzi al giudice dell’esecuzione (pur qualificata camerale dall’art. 185 disp. att.) è stata assimilata a un’udienza cautelare ante causam; il provvedimento di sospensione è stato chiamato a fare le veci del provvedimento cautelare anticipatorio; dopo l’ottenimento del provvedimento di sospensione, al debitore opponente è stata riconosciuta la possibilità di rinunciare alla decisione di merito, appagandosi del provvedimento di sospensione che paralizza l’esecuzione (pur lasciando in vita l’efficacia esecutiva del titolo); si è immaginato che l’interesse a introdurre la fase “di merito” dell’opposizione fosse sempre del creditore, allo scopo di rimuovere il provvedimento di sospensione e così impedirne la conversione in estinzione.
45 Dopo il reclamo deve escludersi qualsiasi strumento di ulteriore controllo, in particolare il ricorso ex art. 111 Cost.: Xxxx., Sez. III, 23 luglio 2009, n. 17266.
46 Retro, nota n. 20.
47 Opportuno riprodurre il comma 3 dell’art. 624 c.p.c. nella versione varata dal legislatore del 2006 (legge n. 52), e oramai non più vigente: «Nei casi di sospensione del processo disposta ai sensi del primo comma e non reclamata, nonché disposta o confermata in sede di reclamo, il giudice che ha disposto la sospensione dichiara con ordinanza non impugnabile l’estinzione del pignoramento, previa eventuale imposizione di cauzione e con salvezza degli atti compiuti, su istanza dell’opponente alternativa all’instaurazione del giudizio di merito sull’opposizione, fermo restando in tal caso il suo possibile promovimento da parte di ogni altro interessato; l’autorità dell’ordinanza di estinzione pronunciata ai sensi del presente comma non è invocabile in un diverso processo».
48 X. XXXXXXXX, La sospensione del titolo esecutivo e la sospensione esterna e interna della procedura esecutiva, cit.
Il principale problema applicativo di una simile disciplina – aspetto purtroppo invariato nel passaggio dal 2006 al 2009 – è nel fatto di ritenere che una «deflazione» dell’esecuzione potesse essere realizzata operando sul processo esecutivo e sul giudizio di opposizione, non anche sul titolo esecutivo. Inoltre, andava più attentamente vagliata la possibilità stessa di assimilare il provvedimento sospensivo al cautelare anticipatorio: quest’ultimo, infatti, deve poter assicurare al ricorrente, in via provvisoria, gli effetti della sentenza di merito, riconoscendogli utilitates specifiche e stabili (compatibilmente con la mancata formazione del giudicato). Ciò che la dottrina esprime affermando che il provvedimento anticipatorio deve avere un contenuto immediatamente satisfattivo e non meramente conservativo, dovendo discendere da esso le medesime conseguenze materiali e giuridiche che sarebbero derivate dalla sentenza di merito.
Se tale è la definizione di provvedimento cautelare anticipatorio (definizione che in sé potrebbe riferirsi anche ai casi di sospensione di atti, delibere, provvedimenti et similia sotto il profilo dell’anticipazione del contenuto e degli effetti della sentenza di annullamento 49: casi, cioè, che potrebbero apparire simili al nostro), ci sembra evidente che la sospensione dell’esecuzione sia tutt’altro che anticipazione «satisfattiva» del possibile contenuto della sentenza di accoglimento dell’opposizione all’esecuzione. Ciò almeno per due ragioni: da un lato, perché la sospensione dell’esecu- zione non incide sull’efficacia esecutiva del titolo, e pertanto il creditore insoddisfatto, senza essere ostacolato dalla stabilizzazione del provvedimento di sospensione, potrebbe in ogni momento (nei soli limiti della prescrizione del diritto) azionare il titolo in una distinta esecuzione; dall’altro lato, perché il provvedimento di sospensione, lasciando in vita il pignoramento e gli altri atti esecutivi eventualmente già compiuti, non potrà assicurare in modo pieno la tutela propria della sentenza di accoglimento dell’opposizione. Il carattere non satisfattivo, ma soltanto strumentale e conservativo, del provvedimento di sospensione dell’esecuzione è dunque in re ipsa: perché non priva il creditore dell’azione esecutiva (come avviene, per converso, in caso di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo) e non colloca il debitore nella posizione in cui verrebbe a trovarsi in caso di accoglimento nel merito dell’opposizione.
Diverso discorso vale per l’opposizione di terzo: qui, il meccanismo della sospensione-estinzione, una volta perfezionatosi, coincide con l’accoglimento dell’opposizione nel merito, perché il bene del terzo viene liberato mentre sul titolo esecutivo il terzo non è, per definizione, legittimato a interloquire.
Proprio per tale ragione – forzando i connotati del provvedimento sospensivo, da «conservativo» a «anticipatorio» – la norma in esame, nella sua originaria stesura dovuta al legislatore del 2006, aveva previsto che, dopo l’ottenimento del provvedimento di sospensione, il debitore potesse fruire di una utilitas aggiuntiva, che integrava e completava la tutela provvisoria, mediante l’istanza di «estinzione» del pignoramento, alternativa all’«instaurazione» (in realtà, prosecuzione) dell’opposizione, la quale non sarebbe stata decisa nel merito salvo che «ogni altro interessato» avesse chiesto il suo «promovimento». Si aggiungeva che sull’istanza il giudice avrebbe pronunciato un provvedimento che, estinguendo il pignoramento (non anche il processo esecutivo), aveva una «autorità … non invocabile in un diverso processo»; il giudice poteva imporre cauzione, mentre restavano salvi gli atti compiuti.
La norma aveva provocato infinite discussioni: non soltanto, in apicibus, per la sua stessa concezione come strumento idoneo a realizzare una deflazione delle cognizioni incidentali nell’esecuzione forzata, ma anche per la sua tutt’altro che rigorosa stesura tecnica.
Il coro di unanimi critiche ha indotto il legislatore a intervenire sulla materia con la legge n. 69/2009, allo scopo di correggere le più evidenti incongruità presenti nel testo frettolosamente varato nel 2006.
Il comma 3 dell’art. 624 c.p.c. è stato in parte riscritto, e la nuova lezione 50 presenta, nell’insieme, proposizioni meno caotiche rispetto al testo originario: ma rimane confermata l’impostazione di fondo, propria del legislatore del 2006, che ha assunto in tesi la sospensione dell’esecuzione, in ogni sua applicazione, quale provvedimento cautelare a contenuto anticipatorio e così, a determinate condizioni, quale possibile esito alternativo rispetto alla definizione nel merito dell’opposizione.
49 Problema, in realtà, assai dibattuto: v., anche per riferimenti, X. XXXXX, Profili del provvedimento cautelare di sospensione delle deliberazioni societarie, in Riv. dir. comm., 2006, 35 ss.; ID., La sospensione delle deliberazioni societarie nel sistema della tutela giurisdizionale, Torino, 2008.
50 Opportuno riprodurre il comma 3 dell’art. 624 c.p.c. nella versione varata dal legislatore del 2009 (legge n. 69), attualmente vigente: «Nei casi di sospensione del processo disposta ai sensi del primo comma, se l’ordinanza non viene reclamata o viene confermata in sede di reclamo, e il giudizio di merito non è stato introdotto nel termine perentorio assegnato ai sensi dell’articolo 616, il giudice dell’esecuzione dichiara, anche d’ufficio, con ordinanza, l’estinzione del processo e ordina la cancellazione della trascrizione del pignoramento, provvedendo anche sulle spese. L’ordinanza è reclamabile ai sensi dell’articolo 630, terzo comma».
Non tutti i problemi sono stati risolti.
Anzitutto, la precedente versione prevedeva, correttamente, che il provvedimento sospensivo potesse esser reso anche dal collegio in sede di reclamo; ora, si parla soltanto di quello non reclamato ovvero confermato in sede di reclamo, lasciando in ombra l’ipotesi che, dopo un provvedimento negativo del g.e., soltanto dal collegio l’opponente abbia ottenuto la sospensione invocata. L’interprete non dovrebbe incontrare difficoltà per accedere all’interpretazione estensiva, che sembra quella più ragionevole 51: ma, indubbiamente, il compito sembra reso più difficile proprio dal fatto che la precedente stesura contemplava il caso, che ora appare escluso, in modo espresso 52.
Vi era poi il problema – immediatamente segnalato dagli interpreti e dai pratici – della effettiva decorrenza del termine previsto dall’art. 616 c.p.c., che tuttora appare slegato dalla acquisita definitività del provvedimento sospensivo: problema che andava risolto regolando opportunamente il rapporto tra reclamo e prosecuzione del giudizio d’opposizione (e non «introduzione», come continua a recitare la norma anche nel testo emendato). In stretta connessione, il legislatore avrebbe potuto e dovuto intervenire sull’art. 185 disp. att. c.p.c., prendendo atto che gli interpreti l’hanno, in sostanza, già convincentemente abrogato col riconoscere che le norme del procedimento camerale (artt. 737 ss. c.p.c.) non possono osservarsi né in occasione della prima udienza dinanzi al g.e., né per lo svolgimento o la definizione dell’opposizione.
L’aspetto centrale del comma in esame è peraltro nella correzione di tiro realizzata a proposito dell’oggetto del provvedimento di estinzione: non più il pignoramento bensì e più radicalmente il processo esecutivo; né più si parla di una possibile «autorità» del provvedimento in diversi processi tra le medesime parti (ma quale autorità avrebbe potuto avere un provvedimento sommario di valutazione del fumus dell’opposizione?).
È quindi difficile dare una valutazione positiva anche dell’ultimo intervento del legislatore.
Tutti avevano infatti rilevato che la figura stessa dell’estinzione del pignoramento era (e rimane) estranea al sistema del codice; e tuttavia, il fatto che il meccanismo di sospensione/estinzione possa far venir meno l’intero processo, accanto alla circostanza che non compare più ogni altro interessato quale possibile legittimato a coltivare l’opposizione già rinunciata dal debitore, pongono problemi del tutto nuovi: ci si può chiedere infatti quale sorte interesserà il processo esecutivo in cui il bene sia stato oggetto di pignoramento successivo, o in cui abbiano spiegato intervento altri creditori muniti di titolo. Nostra opinione è che in simili casi l’estinzione non potrà interessare l’intero processo esecutivo, perché non si possono travolgere le posizioni di quei creditori che hanno imposto un autonomo vincolo sul bene, né di quei creditori che, confidando sulla validità degli atti iniziali dell’esecuzione, hanno spiegato intervento con la possibilità (art. 500 c.p.c.) di porre in essere autonomi atti di impulso della procedura. In questi casi, la sospensione- estinzione determinerà l’esclusione del creditore attaccato dalla procedura, non anche la sua chiusura. Altro caso in cui
– il riferimento è alla sentenza delle SS. UU. n. 61/2014 – gli istituti dell’esecuzione, pensati per il processo singolare, dovranno essere adattati al caso di concorso dei creditori.
L’impressione che dalla complessiva vicenda si ricava è quella di una pericolosa improvvisazione, che nasconde allarmanti deficit di conoscenza o quantomeno di valutazione dei problemi implicati.
La ricostruzione più ragionevole del fenomeno sembra la seguente: nella prima udienza delle opposizioni (la c.d. fase sommaria), il g.e. è tenuto a provvedere sulla sospensione, assegnando comunque un termine perentorio per la prosecuzione del giudizio (dinanzi allo stesso o a altro giudice) che è quanto dire per lo svolgimento (eventuale) della
c.d. fase di merito. Qualora il giudizio “di merito” non venga introdotto nel termine assegnato – il presupposto è che l’onere spetti al creditore opposto, qualora la sospensione sia stata pronunciata – il g.e., anche d’ufficio, dichiara l’estinzione del processo esecutivo, prendendo atto che la sospensione si è stabilizzata e convertita in estinzione. Sebbene l’ipotesi non sia prevista, analogo provvedimento sarà adottato in caso di estinzione dello stesso giudizio di opposizione, perché nessun altro provvedimento a cognizione piena potrebbe rimuovere quello sommario della
ss.
51 V. in tal senso A.M. SOLDI (X. XXXXX), Le nuove riforme del processo civile. Commento alla legge 18 giugno 2009, n. 69, Padova, 2009, 228
52 E infatti non manca chi sostiene che il meccanismo di sospensione-estinzione non sia predicabile in caso di provvedimento sospensivo adottato
per la prima volta dal collegio in sede di reclamo: v., ad esempio, X. XXXXX, La sospensione del processo esecutivo, cit., 737 ss., secondo la quale «la norma marcatamente riconosce potere estintivo alla sospensione sulla quale possa perfezionarsi un implicito accordo delle parti, in quanto colui che sia risultato soccombente non proponga reclamo, ovvero alla sospensione sulla quale, in mancanza dell’accordo delle parti, sia intervenuta una doppia decisione conforme» (p. 739).
sospensione, che si sarà quindi consolidato 53. L’ordinanza che dichiara l’estinzione è reclamabile a norma dell’art. 630, comma 3, c.p.c., e dunque a tutti gli effetti la sospensione-estinzione integra una nuova fattispecie di estinzione del processo esecutivo (è noto che le estinzioni atipiche o le chiusure “in rito” richiamano il rimedio dell’opposizione ex art. 617 c.p.c.).
Va sottolineato un ultimo problema: il comma 4 dell’art. 624, per il caso dell’opposizione agli atti, rinvia al comma 3 con clausola di compatibilità. Premesso che il meccanismo di sospensione-estinzione è stato pensato per creare un surrogato della definizione nel merito delle opposizioni ex artt. 615 e 619 (più credibile per quest’ultima, assai meno per la prima), quale significato il rinvio potrà avere nel caso dell’opposizione formale? A nostro avviso, occorrerà distinguere i casi in cui l’accoglimento di questa opposizione potrà condurre alla totale caducazione dell’esecuzione, dai casi – e saranno la maggioranza – nei quali l’atto attaccato (può essere anche un atto di parte) non è condizione di esistenza o permanenza in vita del processo esecutivo. All’evidenza, in casi siffatti la sospensione-estinzione è istituto largamente sovradimensionato, e altre dovranno essere le conseguenze della mancata definizione, nel merito, dell’opposizione formale.
53 Non può quindi condividersi il provvedimento del Trib. Campobasso, 13 maggio 2013, in Riv. esec. forz., 2013, 744, con nota critica di X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxxxxx del giudizio di opposizione all’esecuzione e sorte dell’ordinanza di sospensione dell’esecuzione, il quale ha deciso: qualora, proposta opposizione all’esecuzione e ottenuta la sospensione del processo esecutivo, il creditore procedente introduca tempestivamente il giudizio di opposizione ai sensi dell’art. 616 c.p.c. ma lo lasci estinguere, il provvedimento di sospensione viene meno e il processo esecutivo può riprendere il suo corso; nella specie, infatti, non può trovare applicazione l’art. 624, 3º comma, c.p.c., in quanto l’estinzione del processo esecutivo ivi prevista si produce esclusivamente nel caso di mancata introduzione del giudizio di opposizione, e non anche nel caso di estinzione del giudizio tempestivamente introdotto. V. anche, conforme col testo, X. XXXXX, Sull’applicabilità dell’art. 624, 3° comma, c.p.c., nell’ipoteso di estinzione del giudizio di opposizione tempestivamente instaurato.