SOLIDARIETÀ E EFFICIENZA IN SANITÀ
Ccosti dell’Aassistenza eRrisorse ecoEnomiche
SOLIDARIETÀ E EFFICIENZA IN SANITÀ
Anno 8 Luglio-A4gosto 2006
a colloquio con Xxxxxxx Xxxxxx
Bimestrale - Poste Italiane SpA - Sped. Abb. Post. - DL 353/2003 (conv in L 27/02/2004 n 46) art 1, comma 1, DCB Roma In caso di mancato recapito inviare a CRP di Roma Romanina Stampe per la restituzione al mittente previo pagamento resi ISSN 1128 5524
S
enatore Xxxxxx, nelle Sue interviste e nei Suoi interventi istituzio- nali sembrano convivere due ‘anime’ apparentemente distinte: quella solidaristica, che mette in primo piano la centralità del pa- ziente, l’umanizzazione del rapporto tra cittadino e sistema sanitario, la sicurezza di assistenza indipendentemente dal reddito e dalla collocazio- ne geografica; e quella efficientista, che mira alla produttività ed ai ri- sultati, alla razionalizzazione, alla fuga dagli sprechi, con un anelito alla meritocrazia. È d’accordo su questa interpretazione e, se sì, quanto di- pende dalla Sua esperienza di vita personale e professionale in Italia pri-
ma e negli Stati Uniti poi?
Le due anime coesistono in effetti, ma non sono in contraddizione tra loro. Mette- re il paziente al centro delle attenzioni del medico, e quindi dedicare tutto il tem- po necessario alle visite, ai colloqui e via di seguito non significa ‘perdere tempo’, come sempre più spesso si tende a pensare. Un paziente che viene seguito atten- tamente, si fida del proprio medico, per cui sarà più propenso a seguire le terapie in maniera corretta, a fare i controlli, ad adottare gli stili di vita suggeriti dal me- dico, e questo si traduce in maggiore efficacia delle cure e quindi, alla fine, anche in maggiore efficienza del sistema. Per quanto riguarda poi la questione dei risul- tati, non possiamo valutare l’operato di un medico o di una divisione ospedaliera solamente sulla base del numero di interventi o di terapie effettuate. Questo è quello che accade negli Stati Uniti e che stravolge l’idea stessa del lavoro e della missione del medico. Il vero dato che si dovrebbe analizzare riguarda la qualità delle cure, ovvero quanti pazienti guariscono, quanti hanno delle complicanze e di che tipo, gli errori che si possono evitare e via di seguito; tutto questo, secondo me, significa ‘buona sanità’.
segue a pag 2
Care nasce per offrire a medici, am- ministratori e operatori sanitari un’opportunità in più di riflessione sulle prospettive dell’assistenza al cit- tadino, nel tentativo di coniugare - entro severi limiti economici ed etici - autonomia decisionale di chi opera in Sanità, responsabilità collettiva e dignità della persona.
◼ Dalla letteratura
internazionale 4
◼ Dossier
COPAYMENT: UN GIUSTO COMPROMESSO TRA GRATUITÀ E UNIVERSALISMO DELL’ASSISTENZA
SANITARIA? 17
◼ Suggerimenti on line 25
◼ Parole chiave
HEALTH TECHNOLOGY ASSESSMENT
(seconda parte) 26
◼ In libreria 30
xxx.xxxxxxxxxx.xx
Xxxxxxx Xxxxxx è nato a Genova il 10 marzo 1955 e si è laureato in Medicina e Chirurgia nel 1979, specializzandosi in Chirurgia Generale e Vascolare.
Dopo aver ricoperto prestigiosi incarichi presso l’Università di Pittsburgh negli Stati Uniti è stato Direttore e Amministratore Delegato dell’IsMeTT, il centro trapianti da lui fondato a Palermo nel 1997 grazie ad una partnership tra l’University of Pittsburgh Medical Center e il Governo italiano.
Dal novembre 2002 è Professore di Chirurgia presso la Xxxxxx Xxxxxxxxx University di Philadelphia, università presso la quale ricopre anche la carica di Direttore della Divisione Trapianti. Nell’aprile 2006, presentatosi come indipendente nelle liste dei Democratici di Sinistra, è stato eletto al Senato ed è presidente della XII Commissione Parlamentare Igiene e Sanità.
A proposito di razionalizzazione della spesa, secondo un recente sondaggio di CARE, quasi il 75% del campione si di- chiara favorevole all’ingresso di logiche di low cost in Sanità, identificando come aree prioritarie la gestione dei costi am- ministrativi e l’offerta ospedaliera. Xxxx ne pensa di queste indicazioni?
Parlare di low cost mi pare insidioso perché po- trebbe significare l’apertura a prestazioni di tipo diverso a seconda dei pazienti, quelli nor- mali e quelli low cost. Quello che invece condi- vido è la proposta del Ministro Xxxxx sulla compartecipazione alla spesa del servizio sani- tario da parte dei cittadini più abbienti in rela- zione, per esempio, alle spese alberghiere. In questo modo chi ha più disponibilità economi- che potrebbe contribuire in maniera maggiore ai costi della Sanità, nell’ambito di prestazioni che non sono strettamente sanitarie: quelle de- vono rimanere uguali per tutti e il livello del- l’assistenza deve essere assicurato a tutti i cit- tadini allo stesso modo.
La prevenzione può essere un’altra arma fondamentale sia per razionalizzare la spesa che per massimizzare i risultati sani- tari. Lei ha più volte sottolineato il valore delle campagne di screening e di diagnosi precoce e, più in generale, delle iniziative di educazione sanitaria. Non pensa che l’I- talia investa troppo poco in prevenzione?
Penso che l’Italia investa la metà di quanto do- vrebbe, ovvero il 5% del budget del Servizio Sa-
nitario Nazionale, mentre per attivare dei pro- grammi seri ed efficaci si dovrebbe passare al- meno al 10%. Oggi in Italia esiste una situazione di grande disparità tra le varie Regioni. Un uni- co esempio valga per tutti: in Lombardia il 35% delle donne di età compresa tra i 45 e i 69 anni si sottopone ogni anno alla mammografia nel- l'ambito di programmi generalizzati di scree- ning per la prevenzione del cancro alla mam- mella, mentre in Sicilia la percentuale non su- pera il 2%.
Un capitolo importante della prevenzione è quello farmacologico. Il Ministro Xxxxx Xxxxx, auspicando l’avvio di una ‘nuova politica farmaceutica’, ha anche posto la ‘questione di un’eventuale ridetermina- zione del tetto per la spesa farmaceutica convenzionata’. Qual è la Sua opinione in merito?
Può darsi che rideterminare il tetto della spesa sia una misura inevitabile in quanto la realtà ha dimostrato che i limiti fissati fino ad ora non sono rispettabili all’atto pratico. Ma se voglia- mo pensare alla prevenzione, l’intervento va fatto ad ampio raggio, non solo sulla spesa; vanno rielaborate le linee guida per la preven- zione di alcune patologie, quelle cardiovascola- ri, per esempio, oppure per malattie che colpi- scono le persone più a rischio.
Senatore Xxxxxx, Xxx ha vissuto quasi vent’anni in uno Stato federale come gli Stati Uniti. Qual è il suo giudizio sul fede-
CARE
Costi dell’assistenza
e risorse economiche
Direttore Responsabile
Xxxxxxxx Xxxx Xx Xxxxx
Redazione
Xxxxxxx Xxxxxxxx (editor in chief), Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxx Xxxxx, Xxxx Xxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxx
Stampa
Arti Grafiche TRIS - Roma
Progetto grafico ed impaginazione
Doppiosegno - Roma
Disegni: Xxxxxxx Xxxxx
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Primi risultati
dal sondaggio in corso
◼ Siete favorevoli all’ingresso di logiche di low cost nella Sanità?
Sì, esistono significativi margini di risparmio
in Sanità
No, il welfare è un sistema a parte a cui non si applicano le logiche di altri comparti
73,2%
26,8%
◼ Indipendentemente dalla vostra risposta precedente, in quali aree ritenete possibile e prioritario l'ingresso di logiche di low cost?
Gestione dei costi amministrativi Gestione dei flussi informativi Razionalizzazione dell'offerta ospedaliera Farmaci
Dispositivi medici Personale sanitario Altro
39,3%
3,3%
27,9%
10,4%
8,7%
4,4%
6,0%
sburgh e di Miami per i trapianti o a New York per i tumori, dove i pazienti arrivano da ogni Stato federale. In Italia la situazione è com- pletamente diversa, dato che esistono aree geografiche, a volte intere Regioni, dove non solo manca l’eccellenza, ma non sono assicu- rati nemmeno i livelli essenziali di assistenza. Per questo un federalismo troppo spinto nel nostro Paese non farebbe altro che aggravare questa situazione già drammatica di divario tra le Regioni.
Un’ultima domanda. Lei più volte ha ri- chiamato l’esigenza di un maggiore dia- logo tra il sistema sanitario italiano e i cittadini, come il primo passo necessario per umanizzare la Sanità; e nella prefa- zione ad un libro pubblicato recentemen- te (vedi la recensione a pag. 31), Lei ha sottolineato il valore strategico della co- municazione interna nell’ambito delle strutture sanitarie. Perché è così impor- tante la comunicazione? E quali sono i vantaggi e gli svantaggi di una completa liberalizzazione dell’informazione sulla salute, quale quella presente negli Stati Uniti?
ralismo in Sanità, con particolare riferi- mento al caso italiano?
Il federalismo in sé facilita il rapporto tra la Sanità ed i cittadini, rende più agile la gestio- ne del sistema e più snello il procedimento decisionale; i vantaggi esistono e sono visibili anche in Italia. Il problema di un federalismo troppo spinto riguarda il rischio di una scarsa omogeneità dei servizi e delle disparità di trattamento dei cittadini. Negli Stati Uniti questo è un problema sentito poco perché esi- ste una grande facilità negli spostamenti e la mobilità non rappresenta un ostacolo nella maggior parte dei casi. Negli USA esistono dei veri e propri poli di eccellenza in determinate patologie; penso, per esempio, al caso di Pitt-
Nel mio modo di vedere le cose, la comunica- zione significa trasparenza e correttezza nei confronti dei pazienti. Da una parte, infatti, sa- rebbe molto utile che ogni ospedale comuni- casse i risultati della propria attività clinica; si saprebbe in questo modo se ci sono dei proble- mi o se tutto va bene e il cittadino avrebbe la possibilità di rivolgersi ad una struttura piutto- sto che ad un’altra a ragion veduta. Sono con- vinto che questo innescherebbe una competi- zione virtuosa tra le varie strutture e ognuno sarebbe spinto a migliorare. Capisco che si trat- ta di un cambiamento culturale profondo ma, come primo passo, si dovrebbe rendere obbli- gatoria la comunicazione dei risultati almeno agli organismi competenti, il Ministero o l'As- sessorato Regionale alla Sanità, in modo che si possa tenere sotto controllo la situazione delle varie realtà sanitarie ed intervenire laddove se ne riscontri il bisogno. ◼ ML
DALLA LETTERATURA INTERNAZIONALE
Abstract
Screening al femminile:
costo-efficacia delle strategie di prevenzione basate
sui test genetici
Xxxxxxxx K, Xxxxxxxx JS, Xxxxxxx DF et al
Cost-effectiveness of preventive strategies for women with a BRCA1 or a BRCA2 mutation
Ann Intern Med 2006; 144: 397-406
L’
identificazione di nuclei familiari con più casi di tumore della mammella e dell’ovaio ha indotto fin dagli anni ’80 ad ipotizzare una predisposi- zione genetica allo sviluppo di questi tumori, con ereditarietà di tipo autosomico dominante. Negli anni ’90 questa teoria ha avuto conferma grazie all’identificazione di due geni, BRCA1 e BRCA2, associati allo sviluppo di tumori della mammella e dell’ovaio. La sindrome del carcinoma ereditario della mammella e dell’ovaio è caratterizzata dalla com-
parsa di queste due neoplasie in nu- merosi membri di una stessa famiglia (5 o più casi in familiari di primo e secondo grado) o da almeno 3 casi di carcinoma mammario o ovarico insorti prima dei 60 anni di età.
Negli Stati Uniti le donne con tumore della mammella o dell’ovaio portatrici di mutazioni BRCA1 e BRCA2 ricevono
trattamenti radicali per curare il tumore primitivo ed a scopo preventivo nei confronti delle altre neoplasie. A queste pazienti viene proposta l’asportazione preventiva di uno o di entrambi i seni e/o di ambedue le ovaie; la mag- gior parte delle volte si tratta di donne in giova- ne età, che mal volentieri accettano una chirur- gia demolitiva a scopo preventivo.
Secondo stime americane, le attuali strategie di prevenzione basate sui test genetici sono tal- mente avanzate da far risparmiare fino ad 1/10 delle spese affrontate ogni anno per prevenire, diagnosticare e curare un carcinoma mamma- rio. Sulla base di questi calcoli un gruppo di ri- cercatori americani ha tentato di sviluppare un modello matematico per calcolare i costi/bene- fici delle principali strategie di prevenzione del carcinoma mammario e del carcinoma ovarico
in donne portatrici di mutazioni BRCA1 e BRCA2. Sono state prese in esame la chemio- prevenzione (tamoxifene per la mammella e contraccettivi orali per l’ovaio), la chirurgia profilattica (mastectomia e/o annessiectomia bilaterale) ed il follow-up secondo le linee gui- da americane (NCCN). Le stime hanno tenuto conto dei soli costi diretti: test genetici e di screening, trattamento del cancro e delle sue complicanze. Il beneficio è stato misurato in termini di soldi risparmiati per ogni anno di vita salvata vissuta in modo qualitativamente accettabile (Quality-Adjusted Life per Year, QALY).
Nelle donne portatrici di mutazioni BRCA1 le strategie con un rapporto favorevole benefici/costi sono risultate la salpingo-oofo- rectomia e la mastectomia bilaterale. Il doppio intervento fa risparmiare 2352 dollari per ogni anno di vita in più, mentre la sola ri- mozione delle ovaie è conveniente solo
se l’analisi viene aggiustata per la qua- lità della vita. Le stesse procedure sono risultate le più efficaci anche nelle portatrici di mutazioni BRCA2, sia giovani che adulte; tuttavia le donne più giovani non sembrano ave- re vantaggi dalla mastectomia profilat-
tica se la valutazione viene aggiustata per la qualità: infatti le donne giovani
sono riluttanti a ricevere un intervento esteticamente devastante.
Questo è il primo studio che ha condotto un’a- nalisi separata nelle donne portatrici di muta- zioni BRCA1 e BRCA2. Nelle donne con mutazio- ni BRCA1 la mastectomia bilaterale sembra ave- re un beneficio minore rispetto alle portatrici di BRCA2: questo aspetto potrebbe aiutare il clinico nella scelta della miglior strategia indi- viduale. Secondo le conclusioni degli autori, ognuna delle strategie esaminate sembra esse- re più vantaggiosa rispetto alla sola sorveglian- za sia in termini di risorse risparmiate che di ef- ficacia per la paziente.
Xxxxxxxx Xxxxxxxx
Unità Operativa di Oncologia Medica ASL Frosinone
Pazienti geriatrici e attese per i ricoveri in lungodegenza: le strutture residenziali
transitorie sono un’alternativa costo-efficacel
Xxxxxx M, Xxxxxxxxx CH, Xxxxxx R et al
Transitional care facility for elderly people in hospital awaiting a long term care bed: randomised controlled trial
BMJ 2005; 331: 1110-1113
L
a finalità di questo articolo è di valutare l’effi- cacia del trasferimento temporaneo di pazienti geriatrici ricoverati in reparti ospedalieri, ca- ratterizzati da basse necessità dal punto di vi- sta medico, ma da elevati bisogni assistenziali e che occupano pertanto in maniera inappropria- ta posti letto per acuti, in strutture residenziali esterne transitorie attrezzate ad hoc, nell’atte- sa di una adeguata collocazione in presidi per lungodegenza. Una opzione assistenziale di questo tipo, basata su strutture che potremmo definire di ‘assistenza intermedia’, ovvero di
transizione tra l’assistenza primaria, di base, e quella specialistica ospedaliera, rimane contro- versa dal momento che sulle strutture attual- mente esistenti esistono diverse perplessità per il livello professionale del personale, la si- curezza ed il livello spesso inadeguato del pro- gramma riabilitativo; la letteratura basata sul- l’evidenza sul tema, inoltre, è ancora molto li- mitata.
Finché non saranno disponibili dati esaurienti, non sarà di fatto prevedibile in un immediato futuro la possibilità di promuovere un cambia- mento nella gestione assistenziale di questi pa- zienti.
In questo studio randomizzato controllato gli autori valutano l’efficacia di una struttura assi- stenziale extraospedaliera transitoria a 36 letti facente capo a tre ospedali pubblici per pazien- ti in attesa di un posto letto in lungodegenza, confrontandola con l’assistenza consueta ero- gata nella regione australiana sede della ricer- ca (permanenza in ospedale fino al trasferi- mento in lungodegenza).
L’assistenza erogata nella struttura residenziale transitoria era basata sull’intervento multidi- sciplinare finalizzato alla riabilitazione medica, con periodiche valutazioni specialistiche da parte di una équipe geriatrica e riabilitativa.
Il significato generale di efficacia in questo stu- dio non è ben chiaro. Se si considera il signi- ficato che viene attribuito al termine dagli autori, si può dedurre che una tale struttura residenziale assistita di transizione riduce la durata del ricovero ospedaliero senza conse- guenze sfavorevoli per i pazienti. Gli autori considerano il tasso di nuovi ricoveri come principale misura di esito, ma in realtà questo aspetto è solo appena accennato nello stu- dio; i dati riferiti erano praticamente analo- ghi durante i 4 mesi di follow-up sia nel
gruppo randomizzato sia in quello di controllo (28% vs 25%). Il valore elevato di questo tasso, così come quello del tasso di mortalità, suggerisce che il cam- pione di popolazione in esame fosse particolarmente fragile ed in condizioni estremamente precarie.
Questo potrebbe giustificare anche il motivo di un così alto rifiuto del trasferi- mento nella struttura residenziale transito- ria; i pazienti anziani, infatti, in generale non
affrontano volentieri cambiamenti o sforzi ulte- riori, soprattutto se in condizioni di particolare fragilità.
Il tasso di nuovi ricoveri in ospedale costituisce una variabile fondamentale nella valutazione dell’aspetto qualitativo ed economico di un servizio, e da questo punto di vista le strutture residenziali transitorie non sembrano costituire una risposta adeguata al problema.
È interessante sottolineare che l’indi- ce modificato di Xxxxxxx, la scala AQoL per la valutazione della qualità di vita e la ‘resident classi- fication scale’, strumento di valuta- zione del livello di dipendenza funzio- nale in uso in Australia nelle
strutture di lungodegenza, erano sovrapponibili in entrambi i set-
ting assistenziali, confermando, come
del resto indicato dagli autori, che la struttura transitoria non comportava effetti negativi per i pazienti. Tuttavia, un altro aspetto inte- ressante da sottolineare è il fatto che sicura- mente solo un numero esiguo dei molti pa- zienti trasferiti era stato valutato in ospedale da una équipe specializzata nell’assistenza ge- riatrica, dal momento che l’84% di questi pa- zienti proveniva da un reparto di medicina ge- nerale ed il 12% da un reparto di chirurgia. Ci si sarebbe quindi aspettato che dalla scala AQoL risultasse un maggiore apprezzamento della possibilità di essere affidati ad una équipe specialistica geriatrica; in verità questa consi- derazione potrebbe essere semplicemente le- gata al fatto che l’assistenza di base ricevuta da tutti i pazienti in ospedale era di uno stan- dard qualitativo elevato, pur senza prevedere un’assistenza geriatrica di tipo specialistico.
La valutazione di costo-efficacia non era lo scopo principale di questo studio, quindi le conclusioni sono relativamente poco conse- quenziali sotto questo aspetto. Sfortunatamen- te infatti, anche se il periodo di permanenza nella struttura transitoria si è ridotto nella se- conda metà dello studio, suggerendo peraltro un effetto di ‘maturazione’ ed entrata a regime del progetto, complessivamente il tempo ne-
xxxxxxxx ad ottenere un posto letto in lungode- genza è stato più lungo in media di 21 giorni per i pazienti ospitati nella residenza assistita transitoria, rispetto al tempo trascorso in un posto letto ospedaliero dai pazienti del gruppo di controllo. Non sono stati inoltre valutati i costi relativi né all’assistenza erogata dalla struttura transitoria in sé, né al coinvolgi-
mento consulenziale di un team specialistico esterno necessa- rio alla gestione multidisci- plinare, né quelli relativi al servizio di reperibilità medica 24 ore su 24 ed al coordinatore
infermieristico ospedaliero dell’as- sistenza intermedia. Non è stato considerato anche il numero di
giornate di degenza in posti letto per acuti ‘risparmiate’ in virtù del rico-
vero dei pazienti nella struttura residenziale transitoria.
Se vogliamo perseguire e promuovere eventuali modifiche nei comportamenti assistenziali, non possiamo prescindere dalla valutazione della qualità e dei costi, che deve ormai andare di pari passo con la ricerca basata sull’evidenza, e gli amministratori e i medici dovrebbero utiliz- zare metodi di valutazione omogenei per poter apportare efficaci cambiamenti sia nella legi- slazione sia nella pratica quotidiana. I clinici e gli amministratori devono poter disporre negli studi di misure ed indicatori di esito simili per poter proporre fiduciosamente modifiche legi- slative e pratiche.
Senza dubbio questo articolo offre una possibi- le soluzione al problema dell’occupazione inap- propriata dei posti letto nelle strutture ospeda- liere per acuti; tuttavia, in assenza di uno stu- dio analitico dei costi, non ci si può aspettare che questo possa incentivare un cambiamento nelle linee di condotta pratiche o normative nel prossimo futuro.
Xxxxxxx Xxxxxxxxx* e Xxxxxxx Xxxxxxxx**
*UOC di Anestesia e Rianimazione ACO San Xxxxxxx Xxxx, Roma
**Fondazione Xxx Xxxxx, ONLUS Cure Palliative, Roma
Lo screening e il trattamento della depressione. Quali sono le strategie più convenientil
Xxxxxxx S, Xxxxxxx T, Xxxxxxx S Should we screen for depression? BMJ 2006; 332: 1027-1030
Xxxxxx R
The case for psychological treatment centres
BMJ 2006; 332: 1030-1032
Xxxxx X
Depression should be managed like a chronic disease
BMJ 2006; 332: 985-986
R
ecentemente, due articoli e un editoriale sono apparsi sul British Medical Journal per discute- re dei programmi di screening per la depressio- ne, del suo trattamento con la terapia cognitivo comportamentale – secondo le indicazioni del National Institute for Health and Clinical Excel- lence (NICE) – e dei vantaggi che una politica sanitaria, orientata a favorire l’uso di questi due elementi, avrebbe sull’esito e sui costi del- la patologia.
QUANDO È EFFICACE LO SCREENING PER LA DEPRESSIONE
Xxxxxxx e i suoi collaboratori spiegano che, mentre negli Stati Uniti ed in Australia sono presenti da tempo programmi di screening per i più comuni problemi di salute
sorse per la tutela della salute. Oggi, invece, il National Screening Committee si occupa speci- ficamente di programmi di screening in Sanità. Compito del National Screening Committee è di assicurarsi che lo screening venga effettuato in modo proficuo per tutte quelle patologie che rappresentano un importante problema di salu- te e per le quali epidemiologia e decorso siano ben conosciuti.
La depressione è uno dei principali problemi di salute pubblica, con un’incidenza annuale dell’8-12%, che comporta una riduzione nella qualità della vita paragonabile a quella delle maggiori malattie fisiche croniche con impor- tanti conseguenze economiche. L’epidemiolo- gia, il decorso clinico e le modalità di ricorso ai servizi dei pazienti depressi sono noti. Inoltre, dal momento che le ricerche cross-sectional spesso individuano come depresse persone che si trovano in un momento di particolare stress in risposta a problemi psicosociali o ad eventi di vita, le linee guida raccomandano un perio- do di osservazione prima di iniziare un inter- vento. Per questo motivo è chiaro che lo scree- ning potrebbe rilevare un largo numero di falsi positivi, e non essere quindi efficiente.
Il National Screening Committee ha stabilito che, per essere raccomandati, i test dovrebbero essere sicuri, semplici, precisi e validati, avere un valore soglia concordato e adeguato, e do- vrebbero essere accettabili per la popolazione. Vi sono numerosissimi questionari standardiz- zati, con buone proprietà psicometriche, per
mentale, in Gran Bretagna – fino ad oggi – queste procedure sono state supportate con maggiore cau- tela dal NICE. Tuttavia le cose po- trebbero rapidamente cambiare dopo che sono stati introdotti rico- noscimenti economici ai medici di medicina generale che si impegna- no a migliorare la qualità, nel loro servizio, dell’assistenza alla de- pressione.
In passato, in Gran Bretagna, i pro- grammi di screening sono stati im- plementati senza particolare atten- zione alla loro effettiva efficacia, alle loro implicazioni cliniche ed etiche, ed al loro impatto sulle ri-
Rischio di ricaduta dopo il ricovero per depressione. Modificata da Xxxxxx, BMJ 2006; 332: 1030-1032.
Terapia cognitivo-comportamentale Altra terapia
% pazienti liberi dalla depressione
100
80
60
40
20
0
0 20 20 60 80
Mesi dopo il ricovero
individuare la depressione. Tuttavia, la bassa prevalenza della depressione fa sì che anche gli strumenti più specifici e sensibili abbiano un basso valore predittivo positivo.
Anche l’accettazione da parte dei pazienti non è provata; la percentuale di pazienti che solita- mente risponde ai test di screening è bassa e i medici stessi non utilizzano i test nella loro pratica clinica se non per scopi di ricerca.
Perché lo screening sia utile è inoltre necessa- rio che si disponga di una terapia efficace da somministrare nelle fasi precoci della patolo- gia. Le linee guida sulla depressione si focaliz- zano sulle depressioni moderate e severe, men- tre le depressioni che non vengono identificate di solito sono lievi e spesso si risolvono senza alcun intervento. Inoltre, i trattamenti farma- cologici e psicologici si rivelano meno efficaci in una depressione lieve rispetto ad una de- pressione moderata. I medici di medicina gene- rale, in questi casi, prescrivono dosi più basse di quelle terapeutiche e non proseguono il trat- tamento abbastanza a lungo da garantire la prevenzione delle ricadute; in questi casi la mancata aderenza al trattamento è molto fre- quente.
Dalle considerazioni dell’articolo di Xxxxxxx sembrerebbe che per la depressione non ven- gano rispettati i criteri proposti dal National Screening Committee.
Soprattutto, secondo il National Screening Committee, lo screening dovrebbe portare ad un aumento del riconoscimento, ad una miglio- re gestione e ad un migliore esito delle cure per la depressione. Al contrario, la revisione Coch- rane, condotta dagli stessi autori, mostra come dare un feedback di routine ai medici non pro- duca miglioramenti importanti nella quantità di diagnosi per la depressione e come l’esito dei pazienti non migliori a 6-12 mesi come conse- guenza dello screening. Uno studio precedente della US Preventive Services Task Force aveva ottenuto risultati lusinghieri, ma era basato su un intervento complesso, composto da una se- rie di attività per i pazienti e per i medici, quin- di non si poteva dimostrare che i risultati fos- sero dovuti solo allo screening. Le linee guida per la depressione nel Regno Unito prevedono lo screening anche per i gruppi ad alto rischio, ma in realtà non vi sono studi che valutino questo tipo di strategie, probabilmente perché
si aggiungerebbe il problema di chi debba indi- viduare i pazienti a rischio elevato (con malat- tie croniche, problemi di alcol, storia di depres- sione).
Infine, i programmi di screening, per diventare preferibili ad altri interventi, dovrebbero esse- re costo-efficaci, ma gli autori non hanno tro- vato studi che provassero questo fatto. Per es- sere ritenuto utile per la società, un program- ma di screening dovrebbe avere un costo/uti- lità inferiore ai 50.000 dollari per QALYs. Gil- body e colleghi hanno stimato che per ottenere questo risultato, la somministrazione, il calcolo dei punteggi ed il feedback per gli strumenti di screening (stampe, tempo degli impiegati am- ministrativi e tempo supplementare dei medici) dovrebbero costare meno di 3 dollari per pa- ziente; la prevalenza della depressione dovreb- be essere più del 13% (cioè più alta di quanto normalmente si osserva nell’assistenza prima- ria), lo screening dovrebbe portare al tratta- mento di più dell’80% dei pazienti e si dovreb- bero avere benefici e remissione dalla patolo- gia in più dell’85% dei pazienti risultati positivi allo screening.
Gli autori concludono affermando che lo scree- ning da solo non migliora la gestione e gli esiti della depressione, e che il rapporto costi/bene- fici è inaccettabile. Lo screening sembra effica- ce solo quando si trova inserito in pacchetti di cura, mentre è inutile quando proposto come unica soluzione per migliorare le cure.
COME RENDERE PIÙ DISPONIBILI LE TERAPIE PSICOLOGICHE
Nell’articolo di Xxxxxx viene affrontato invece il problema del trattamento della depressione. Le linee guida del NICE raccomandano la tera- pia cognitivo-comportamentale come uno dei trattamenti di cui i pazienti dovrebbero poter fruire per la depressione, in quanto, sulla base di dati ricavati da numerosi trial clinici, questa terapia è efficace quanto i farmaci nel trattare la depressione nel breve periodo e tende ad avere effetti più duraturi.
Nei servizi psichiatrici sono sempre disponibili i farmaci, mentre non sono altrettanto disponi- bili le terapie psicologiche: in Gran Bretagna, ad esempio, solo il 4% dei pazienti affetti da di- sturbi depressivi o ansiosi ha potuto usufruire
di questo trattamento nello scorso anno. Que- ste nuove terapie si distinguono dalla psicana- lisi per la brevità (di solito si tratta di non più di 16 sedute), e la più studiata è stata la terapia cognitivo-comportamentale, che sembra molto efficace per questi due disturbi. Una terapia settimanale, secondo dati di ricerca, risolve il problema della depressione in 4 mesi e i rischi di ricadute sono minori rispetto a quanto av- viene con i farmaci; risultati anche migliori si hanno per i disturbi d’ansia. Il rapporto costo/efficacia per il trattamento farmacologi- co o psicologico è simile.
Secondo l’autore, le terapie cognitivo-compor- tamentali dovrebbero essere finanziate dallo Stato: una terapia costa, infatti, circa 750 sterli- ne per ogni paziente e gli effetti dovrebbero- consentire al paziente circa un anno senza ma- lattia e almeno un mese al lavoro in più. Il che significa, in termini di risultati, che il tempo in più da dedicare al lavoro è equivalente a più di 1880 sterline, mentre il valore delle sofferenze ridotte, in termini economici, si potrebbe con- siderare pari a circa 0,2 QALY, ovvero circa 6000 sterline (visto che un QALY ‘vale’, in linea con i valori usati dal NICE, 30.000 sterline). Inoltre, ulteriori risparmi per tutto il Servizio Sanitario Nazionale sarebbero rappresentati dal numero minore di persone che si aggrave- rebbe al punto da necessitare di ricoveri o di visite domiciliari, o che andrebbe molto fre- quentemente dal proprio medico di base, o ri- chiederebbe consulenze e trattamenti per pre- sunte malattie fisiche.
Dovendo stabilire su che scala è necessario e giustificabile un aumento di terapeuti in grado di fornire terapia cognitivo-comportamentale, l’autore calcola che, in Gran Bretagna, ci siano circa 800.000 pazienti l’anno che potrebbero ricevere una psicoterapia, e che siano per que- sto necessari circa 10.000 nuovi terapeuti.
L’autore propone la costituzione di centri per il trattamento psicologico, dove gli psicologi pos- sano lavorare in gruppo, e dove i giovani pos- sano venire motivati, supervisionati, sostenuti ed istruiti dai terapeuti più esperti. Questi gruppi dovrebbero lavorare in collaborazione con un centro principale, dove si collochereb- bero i terapeuti esperti, e una serie di dirama- zioni sul territorio. In questo modo, i terapeuti esperti potrebbero fare la diagnosi iniziale e
assegnare il paziente al terapeuta più indicato per il suo trattamento. Ci potrebbe essere, per tutti, un questionario breve per misurare i pro- gressi dei pazienti, in modo tale da avere sia un costante monitoraggio, sia la possibilità di ef- fettuare confronti a livello nazionale. La strut- tura in gruppi di lavoro permetterebbe anche maggiore flessibilità per quanto riguarda gli ap- puntamenti e darebbe la possibilità ad ogni te- rapeuta di specializzarsi in una particolare area. La struttura centrale, invece, permette- rebbe di avere una sede per gli eventuali con- vegni e per effettuare le visite senza che i pa- zienti debbano passare dal medico di base.
Secondo l’autore nel 2013 ci dovrebbe essere un centro per ogni 250.000 pazienti, il che significa circa 250 centri in tutto il Regno Unito, facendo nascere circa 40 centri ogni anno, dove ogni centro può servire per addestrare i terapeuti dei nuovi centri.
L’alternativa sarebbe quella di un approccio più decentralizzato e localmente differenziato, che renderebbe però più difficile assicurare qualità
e soddisfazione ai pazienti. Raggiungere un nu- mero di interventi adeguato e garantire la qua- lità della terapia richiederebbe, nelle fasi ini- ziali, un forte impegno da parte del Ministero della Salute.
LA DEPRESSIONE COME DISTURBO CRONICO
Xxxxx, nel suo editoriale, evidenzia come i di- sturbi depressivi vengano sottovalutati, mentre sono, secondo la World Bank, il primo contri- buto alla perdita economica globale per malat- tia negli adulti del mondo sviluppato.
Le due principali barriere ad una efficace ge- stione della depressione sono il suo mancato riconoscimento (nel 30% dei casi resta non dia- gnosticata) e il suo sottotrattamento (in più del 50% dei casi non viene trattata).
L’articolo di Xxxxxxx suggerisce che lo scree- ning non migliora i risultati a breve termine e non è costo-efficace, quindi non soddisfa i cri- xxxx richiesti dal National Screening Committee per garantirne l’introduzione. È peraltro vero che, in nessun tipo di disturbo, lo screening da solo è risultato uno strumento efficace, ma deve essere integrato in un programma mirato a migliorare il riconoscimento delle patologie e legato ad un approccio sistematico, non solo per il trattamento dei casi acuti, ma anche per la prevenzione terziaria.
Secondo l’autore abbiamo bisogno di uno spo- stamento di paradigma per riconoscere la de- pressione come un disturbo che può durare una vita, e che dovrebbe venire trattata attraverso una sequenza sistematica di interventi sia nelle fasi acute, sia nella fase di continuazione ed in quelle di mantenimento. I problemi nell’attuare una simile strategia si possono ricondurre al fatto che si tratta di un disturbo sottotrattato (da una parte i medici non prescrivono dosi effi- caci e dall’altra i pazienti non prendono i farma- ci prescritti) e che sarebbe necessario un mag- giore utilizzo delle risorse della medicina di base, già oltremodo stressata da altre forme di pressione. Inoltre, i medici spesso vedono un episodio depressivo come comprensibile nel contesto di vari fattori di vita stressanti o di vulnerabilità personali, ma normalizzare la de- pressione non esime dal trattarla.
Aumentare l’accesso ai servizi sarebbe utile se fosse attuato sulla base di interventi la cui effi-
cacia è sostenuta dai dati, e che abbiano effetti durevoli sulle capacità di gestione individuali, in modo tale da ridurre il rischio di ricaduta dopo che viene interrotto il trattamento; non vi sono però prove che per raggiungere questo obiettivo sia sufficiente un aumento di accessi ad un counselling non specifico. Anche l’au- mento di disponibilità per la terapia cognitivo- comportamentale può essere un aiuto, ma in realtà i tassi di dropout sono simili a quelli dei farmaci, e non ci sono caratteristiche cliniche che permettano di predire se un paziente ri- sponderà meglio al farmaco piuttosto che alla terapia cognitivo-comportamentale.
Secondo Xxxxx, inoltre, non si può dire che indi- viduare un maggior numero di casi ed avere trattamenti ‘evidence-based’ allontanerà le ri- sorse da quei pazienti che hanno maggiori biso- gni e maggiori possibilità di trarre beneficio, perché la depressione è il primo tra i disturbi che causano perdite economiche per la società, è associata ad un rischio crescente di comorbi- lità con molti disturbi fisici importanti ed i pa- zienti con depressione non trattata si rivolgono al medico di base significativamente più spesso degli altri pazienti; quindi modificare la perce- zione della malattia e cambiare gli interventi che vengono fatti durante le visite mediche po- trebbe essere più importante che assumere che l’unica alternativa sia rendere disponibile un maggior numero di visite.
Resta il problema economico, ovvero la dispo- nibilità di risorse da utilizzare nei programmi di screening e trattamento. Se le risorse fossero allocate sulla base della perdita economica le- gata ad una malattia, la depressione sicura- mente riceverebbe maggiori risorse dai servizi sanitari. In questo modo, le prospettive sareb- bero di una maggior quantità di denaro per im- plementare più opzioni di trattamento. In ogni caso, il problema dei fondi non dovrebbe esse- re considerato una scusa per restare inattivi. Spesso, infatti, più che un incremento in termi- ni assoluti delle risorse a disposizione di un servizio, conta la loro allocazione e corretta ge- stione.
Xxxxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxx Xxxxxxxxxx Sezione di Psichiatria e Psicologia Clinica Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica Università di Verona
Complessità e Sanità pubblica: sempre più a braccetto
Saracci R
Everything should be made as simple as possible but not simpler
Int J Epidemiol 2006, 35: 513-514
Xxxxxx N, Xxxxxxxx F
Complexity, simplicity, and epidemiology
Int J Epidemiol 2006, 35: 515-519
Kernick D
Wanted: new methodologies for health service research. Is complexity theory the answer?
Fam Xxxxx 0000; 23: 385-390
C
ome già avvenuto in altri campi del sapere, dal- le scienze umane a quelle naturali, anche nel settore sanitario cresce l’interesse per la com- plessità, intesa come lo studio dei sistemi adat- tativi complessi: tre interessanti articoli sull’ar- gomento sono stati di recente pubblicati su ri- viste di epidemiologia e di Sanità pubblica.
L’esempio più cogente di sistema complesso autopoietico può essere considerato la vita
stessa, non solo in termini di individui, ma an- che dal punto vista evoluzionistico: gli organi- smi si adattano continuamente tra loro e al- l’ambiente fino a creare un ecosistema fine- mente sintonico.
Secondo l’editoriale di Xxxxxx e Xxxxxxxx appar- so sull’International Journal of Epidemiology, i concetti fondamentali della complessità sono l’adattatività, la convivenza, a diversi livelli del sistema, di prevedibilità e imprevedibilità e di ordine e disordine, e l’emergere di nuove for- me di auto-organizzazione dai ‘margini del caos’1. Anche la salute di una popolazione può essere considerata come un sistema adattativo complesso che plasma, ed è a sua volta plasma- to, dal contesto socioculturale in cui la popola- zione vive. Si può comprendere come ciò abbia ripercussioni di rilievo per l’epidemiologia – la disciplina che si occupa proprio di salute delle popolazioni – finora coinvolta nel dibattito sul- la complessità solo di rado2.
Gli autori prendono in esame le influenze e le applicazioni della teoria della complessità nel- l’epidemiologia delle malattie trasmissibili e non trasmissibili.
Per quanto riguarda le prime, si osserva come le interazioni tra le variabili che determinano la diffusione delle malattie infettive nelle popolazio- ni sono spesso complesse e non li- neari. I modelli deterministici di trasmissione delle infezioni do- vrebbero essere rimpiazzati da modelli simili a quelli utilizzati per studiare il tempo atmosferico e le maree delle correnti oceaniche. Un tale approccio di sistema non solo integra le informazioni da di- versi campi di ricerca al fine di mettere in luce il contesto nel quale la malattia infettiva si diffonde, ma considera anche le interazioni e le risposte adattative degli organismi in gioco. Forse – riflettiamo – i modelli complessi sarebbero utili anche a fronte de- gli interessati pronostici sui rischi per l’uomo derivanti dalla pande- mia di influenza aviaria!
Anche nel campo delle malattie non trasmissibili la teoria della comples-
sità dovrebbe essere impiegata per studiarne l’epidemiologia e i modelli di causazione. Basti pensare all’importanza dei fattori socio-econo- mici, al loro ruolo nel condizionare le scelte de- gli stili di vita, e alle interrelazioni complesse tra fattori di rischio ‘prossimali’ e ‘distali’ nel deter- minismo delle malattie croniche. I sistemi com- plessi hanno proprietà che sono diverse da quelle dei loro elementi costitutivi: una popola- zione ha caratteristiche differenti da quelle dei suoi componenti individuali. I diversi livelli di organizzazione necessitano dunque di approcci diversi di analisi e i metodi dovrebbero essere appropriati al problema in esame. L’epidemiolo- gia moderna, dedita allo studio dei fattori di ri- schio a livello individuale, considera invece per lo più il contesto come un fastidioso rumore di fondo ignorandone l’importanza a volte fonda- mentale.
Ricordando che è impossibile condurre uno studio di coorte sui cambiamenti climatici a meno che non si disponga di due pianeti, gli au- tori avvertono che per l’epidemiologia del XXI secolo la complessità implica il bisogno di uti- lizzare nuovi metodi di indagine. A partire da quelli esistenti, che tengono in conto la molte- plicità dei livelli di analisi (metodi multilevel, approcci bayesiani, grafici causali), per arrivare ad adattare metodologie di altre discipline.
Un altro editoriale, pubblicato per par condicio sulla stesso numero della rivista, riporta il pun- to di vista di Xxxxxxx sul rapporto tra comples- sità ed epidemiologia. Si sostiene che l’epide- miologia etiologica basa la sua credibilità su un approccio investigativo tanto robusto quanto semplice dal punto di vista epistemologico. La teoria della complessità potrebbe risultare utile agli epidemiologi per la selezione ‘razionale’ dei fattori di rischio e, per quanto riguarda gli studi di popolazione, per introdurre nei modelli l’analisi dei fattori temporali, le fasi critiche di transizione in cui si verificano cambiamenti nelle distribuzioni di gruppo. Ricordando che simili approcci concettuali derivano dai lavori di Xxxxxxx e Xxxxxxxxx nella meccanica stati- stica, Saracci ammonisce che “tutto sia reso il più semplice possibile, ma non semplicistica- mente”, come recita un calembour attribuito a Xxxxxxxx.
Un terzo articolo discute del ruolo della com- plessità nella metodologia della ricerca sui ser-
vizi sanitari. L’autore interpreta i servizi sanita- ri come un sistema complesso, non lineare, e discute di come i modelli di ricerca predomi- nanti siano troppo semplicistici per riflettere la realtà dei servizi assistenziali e per garantirne i miglioramenti nella pratica clinica e organizza- tiva. La complessità potrebbe rappresentare la chiave di volta per ridare nuova linfa alla ricer- ca sui servizi sanitari e consentire una migliore implementazione delle evidenze derivanti dalla ricerca.
I tre articoli offrono lo spunto per una valuta- zione più generale. Confermano che la com- plessità sta emergendo come tema prioritario anche per le scienze sanitarie, apparentemente tra le più restie ad abbandonare la ‘retta via’ della modernità, faticosamente trovata dopo secoli di buio (della Ragione). Soprattutto esprimono il viscerale dibattito che interpella differenti visioni epistemologiche.
Da una parte, si guarda alla complessità come “l’approccio alla scienza che definirà l’agenda scientifica per il XXI secolo”1. Solo riconoscen- do l’importanza di questa nuova sfida sarà pos- sibile continuare il progresso scientifico delle singole discipline.
Dall'altra parte si ritiene che la complessità vada invece disinnescata, semplificata e con- trollata, come negli studi epidemiologici vengo- no trattati i possibili confondenti. È l’euristica della parsimonia, il ‘rasoio di Occam’ usato con estrema cautela, una complessità che si stinge nella semplicità a mero servizio dell’approccio scientifico tradizionale.
E c’è poi chi prefigura con la complessità una svolta di paradigma, un cambiamento di consa- pevolezza epistemologica, una visione del mon- do che valorizzi la molteplicità, ridimensioni le certezze nelle verità assolute, riscopra il valore dell’incertezza e con essa di nuove possibili convivenze.
Xxxxxx Xxxxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxx
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Appropriatezza prescrittiva: c’è una ricetta per non sbagliarel
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BMJ 2005, 30: 331: 263
Fai attenzione quando leggi libri di medicina Potresti morire per un errore di stampa
Xxxx Xxxxx, 1835-1910
Iniezioni, medicine e purghe sono i loro oggetti del desiderio
La distratta misurazione della pressione è un rito più sacro della Messa
Solo in questo certi vecchi differiscono
dai bambini che furono I bambini hanno paura delle medicine,
i vecchi le esigono Xxxxxxx Xxxxxxx, Che cosa ti aspetti da me?, Rizzoli 2005
“B
etter Organized. Easier to Read. Better Health- care”. Con questo slogan la Food and Drug Ad- ministration (FDA) ha presentato le nuove re- gole per il cosiddetto package insert, cioè le prescribing information – la scheda tecnica del farmaco, per intenderci, o più propriamente il ‘riassunto delle caratteristiche del prodotto’. Da luglio le industrie farmaceutiche si sono dovute adeguare sia per i farmaci da approva- re, sia per quelli già autorizzati negli ultimi 5 anni. Due le novità fondamentali del nuovo format: a) la prima pagina, da riservare alle Hi- ghlights of Prescribing Information – sintesi di indicazioni, dosaggio, modalità di somministra- zione e soprattutto possibili reazioni avverse life-threatening (Box warnings) – e ad un vero e proprio indice (Table of Contents), che renda più semplice l’utilizzo della scheda a medici, farmacisti e agli altri professionisti della salu- te; b) la sezione finale (Patient Counseling
Information) che, oltre a ripro- durre le Consumer/Patient Information (il foglietto illu- strativo accluso alla confe- zione, il famoso ‘bugiardi-
no’), deve contenere una sorta di promemoria per il medico che dovrebbe facilitargli una più efficace comunicazione ai suoi as-
sistiti dei benefici attesi e dei potenziali rischi della terapia1. Le nuove regole mi- rano dunque a migliorare l’aderenza alla terapia prescritta, ma soprattutto la sua sicurezza, riducendo in particolare alcune reazioni avverse ‘evitabili’, ovvero quelle do-
vute ad errori nella comprensione e nell’appli- cazione corretta delle informazioni contenute nella scheda tecnica del farmaco. La FDA ha contemporaneamente attivato un numero ver- de e ha dato nuovo impulso alla creazione di un ‘electronic environment’, centrato su un potenziamento del portale DailyMed, accessi- bile tramite la National Library of Medicine (xxxx://xxxxxxxx.xxx.xxx.xxx) ed in grado di fornire informazioni aggiornate e qualificate su tutti i farmaci in commercio.
Le iniziative dell’Autorità statunitense muovo- no evidentemente dalla constatazione di una diffusa inappropriatezza prescrittiva, in parti- colare negli anziani. Uno studio recente (Xxxxxx LH et al, Arch Intern Med 2004; 164: 1621-1625) ha in effetti confermato che più del 20% dei cit- tadini americani oltre i 65 anni non ospedaliz- zati è in terapia con uno o più farmaci che, se- condo i criteri di Beers (Beers MH, Arch Intern Med 1991; 151: 1825-1832; aggiornamento in Fick
DM et al., Arch Intern Med 2003; 163: 2716-2724), non sono indicati o vanno evitati in questa fa- scia d'età, indipendentemente dal dosaggio e dalla diagnosi; ma – dato ancor più preoccu- pante – per l’8% circa degli over 65 la visita del curante si conclude con una prescrizione po- tenzialmente inappropriata (Xxxxxxxx MR, Arch Intern Med 2004; 164: 305-312). Stime analoghe (26,5% per l’Italia) si ricavano da uno studio eu- ropeo dell’Aged in Home Care (AdHOC) Project Research Group, che dimostra anche una corre- lazione tra prescrizione inappropriata e condi- zioni economiche disagiate, politerapia e de- pressione (Fialová D et al, JAMA 2005; 293: 1348-1358).
Scie
High performance youth, Middle Years, Superseniors High of American Medical Association, che ricorda che oggi noi vi- Performance Aging. Sono le tre nuove tribù ‘farmaceutiche’ viamo meglio e più a lungo dei nostri avi grazie anche a Big della società statunitense descritte da Xxxx Xxxxxxx in Genera- Pharma (JAMA 2005; 294: 2639-2640).
tion Rx. How prescription drugs are altering Americans live, A noi Xxxxxxx ricorda inevitabilmente l’eretico Xxxx Xxxxxx che minds and bodies (Xxxxxxxx Mifflin, 2005). ‘Rx’ sta per ‘pre- vent’anni fa scriveva in Nemesi medica, recentemente ripub- scription’, il ‘Recipe’ latino, il ‘Pr’ (prendi) con cui il nostro blicato da Xxxxx Xxxxxxxxx: “In un mondo impregnato dell’i- medico indica al farmacista le medicine di cui abbiamo – o deale strumentale della scienza, il sistema sanitario crea in- avremmo? - bisogno. In un’intervista a La Repubblica delle cessantemente nuovi bisogni terapeutici. E via via che l’of- Donne del 28 gennaio 2006, Xxxxxxx sostiene che le nuove ferta di sanità aumenta, la gente risponde adducendo più tribù sono tutte figlie della stessa madre, la Big Pharma, ov- problemi, bisogni, malesseri”.
vero le grandi industrie farmaceutiche che mirano a creare Non ci sembrano tesi ‘anacronistiche’ o peggio ‘antiscientifi- pazienti, ci spingono a desiderare un’aspettativa di vita su- che’ e ci conforta nella nostra convinzione il vivace dibatti- periore, a renderci consapevoli di bisogni e disturbi che non to, anche tra gli addetti ai lavori, sulla dignità di alcune pa- sapevamo di avere, pubblicizzando i loro prodotti per una tologie ‘emergenti’ un po’ sospette, come il sovrappeso, la ‘gioventù con performance elevata’, per una ‘mezza età pro- preipertensione o il deficit d'attenzione e iperattività di al- duttiva e in pieno benessere’, per una ‘terza età su di giri’. cuni scolari che con la loro vivacità forse reclamano soltanto Naturalmente tante critiche, anche dal recensore del Journal un po’ più di attenzione da genitori ed educatori. ◼ AM
Una scheda tecnica meglio strutturata e un ac- cesso rapido dei ‘prescrittori’ alle fonti di infor- mazione sono un primo passo per affrontare un problema destinato verosimilmente ad acuirsi con il progressivo invecchiamento della popo- lazione. Si è osservato che le stesse note limita- tive dell’Agenzia Italiana del Farmaco sono uno strumento irrinunciabile per tentare di raggiun- xxxx livelli accettabili di appropriatezza nell’im- piego dei medicinali2. Soprattutto si insiste ‘fi- deisticamente’ su una prescrizione ‘evidence based’, dimenticando le polemiche sullo scena- rio spesso ‘non reale’ dei trial clinici, in cui ra- ramente sono inclusi gli anziani ‘reali’ con la loro frequente comorbilità. Invocano una pre- scrizione basata sulle ‘prove di efficacia’ anche Xxxxx e collaboratori, constatando divergenze significative sulle indicazioni per l’aggiusta- mento del dosaggio in pazienti nefropatici di quattro autorevoli fonti (British National For- mulary, Xxxxxxxxxx: the Complete Drug Refe- rence, American Hospital Formulary System Drug Information, Drug Prescribing in Renal Failure). Chi volesse approfondire la discussio- ne troverà in Medline le risposte degli ‘accusa- ti’; consigliamo di leggere anche la lettera di commento di Xxxxx Xxxxxxx che ricorda come la “evidence based prescribing is the goal, but
prescribers still need education, experience, and common sense”. È evidente dunque la ne- cessità di una formazione continua; è banale ri- cordare che una prescrizione corretta presup- pone una diagnosi corretta, non è superfluo in- sistere su una lettura meno distratta della scheda tecnica del farmaco – molto più spesso di quanto si creda vengono ignorate le con- troindicazioni, il Black box warnings (Xxxxxx et al, Arch Intern Med 2006; 166: 338-344), ma non si può nemmeno dimenticare che non esistono farmaci assolutamente sicuri e che l’obiettivo prioritario, soprattutto negli anziani, è la sem- plificazione della terapia, valutando quanto sia motivata la loro ‘impellente’ richiesta di medi- cine, se necessario prolungando un po’ la visita per ascoltarne anche ansie e preoccupazioni.
Xxxxxxxxxx Xxxxxx
Dipartimento di Scienze Chirurgiche Università La Sapienza, Roma
2È una delle opinioni espresse da un panel di esperti nel dibattito su “Le note AIFA: appropriatezza, sostenibilità economica, flessibilità” pubblicato nella rubrica ‘Incontri’ del n. 1/2006 di questa rivista (xxx.xxxxxxxxxx.xx).
Contraffazione dei farmaci: lo stato dell’arte
Xxxxxxx X, Merchant C
Counterfeit pills and genuine treatments
IP Risk Management Review 2006
L’
Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce come contraffatto un “farmaco che, deliberatamente e fraudolentemente, reca fal- se indicazioni riguardo alla sua origine e/o identità”. Il fenomeno della produzione e ven- dita di farmaci contraffatti ha assunto negli ul- timi vent’anni proporzioni notevoli fino a rap- presentare una grave minaccia per la salute pubblica.
L’OMS stima, infatti, che dall’8% al 10% del mer- cato farmaceutico mondiale è contraffatto, con punte del 25% in alcuni Paesi. La Russia, tra i Paesi più vicini all’Europa, è quello in cui il fe- nomeno è più sviluppato, con percentuali di farmaci contraffatti che arrivano al 12%. Inoltre, in base ai dati di uno studio recente realizzato dal Centre for Medicines in the Public Interest, il commercio dei farmaci contraffatti crescerà in media del 13% all’anno fino al 2010, due volte di più della crescita stimata per il commercio legale di farmaci. Nel 2010 questo traffico ille- gale genererà 75 milioni di dollari di profitti, con un incremento del 92% rispetto al 2005.
Il fenomeno, già preoccupante, è stato negli ul- timi anni pericolosamente potenziato dalla vendita di medicinali attraverso internet. Si tratta nella gran parte dei casi di farmaci con- traffatti in Paesi dell’Est asiatico e rivenduti nei mercati occidentali europei e americani.
Il Commissario Europeo all’Industria Verheugen ha recentemente affermato: “Sono allarmato per il crescente numero di medicinali contraf- fati venduti attraverso Internet. La Commissio- ne sta lavorando con partner europei e inter- nazionali per fare tutto quanto necessario ad assicurare il rispetto e il rafforzamento della normativa tesa a garantire la legalità nel com- mercio dei farmaci”.
In linea con questa chiara volontà politica, che ben esemplifica l’urgenza della situazione at- tuale, molte sono le iniziative promosse non solo da attori istituzionali, ma anche da sogget- ti privati in tutto il mondo per combattere il fe- nomeno della contraffazione.
Negli Stati Uniti, la FDA ha sviluppato un pro- gramma di ‘attacco’ che si articola in sette pun- ti principali:
⚫ implementazione di nuove tecnologie per riuscire a proteggere meglio la catena distri- butiva;
⚫ adozione di sistemi di tracciatura elettronica;
⚫ definizione/rafforzamento di regolamenta- zioni ad hoc da parte dei singoli Stati;
⚫ sanzioni penali/pecuniarie più dure per que- sto reato;
⚫ rafforzamento del sistema di monitoraggio della FDA e miglioramento dell’efficienza nei tempi di risposta e di intervento rispetto ai casi di contraffazione da parte dell’agenzia;
⚫ diffusione di programmi di educazione dei pazienti e dei medici sui rischi della contraf- fazione e sulle modalità concrete per com- batterla;
⚫ collaborazione con stakeholder di altri Paesi per scoraggiare/individuare prontamente i casi di contraffazione.
In Europa è attualmente in discussione presso il Parlamento Europeo una Direttiva sulle misu- re necessarie a rafforzare i diritti di proprietà intellettuale, introdurre sanzioni penali/civili più restrittive per punire i casi di contraffazio- ne ed armonizzarle con quelle previste per altri tipi di crimini.
All’interno dell’Unione Europea esiste già una misura molto efficace nel combattere l’impor- tazione ed il transito di prodotti contraffatti: il diritto degli uffici doganali di trattenere pro- dotti sospetti di essere contraffatti sulla base delle informazioni fornite dal legittimo deten- tore del marchio e/o del brevetto.
A livello internazionale la Conferenza Interna- zionale dell’Organizzazione Mondiale della Sa- nità sul tema “Combattere la contraffazione dei farmaci e costruire efficaci collaborazioni inter- nazionali” dello scorso febbraio, conferenza che ha riunito operatori del settore di parte sia pubblica che privata, ha prodotto un documen- to programmatico che rappresenta un passo importante verso l’armonizzazione delle proce- dure e la definizione di un piano di intervento condiviso a livello internazionale nella lotta alla contraffazione.
In base a quanto si legge nel piano, strategie nazionali, regionali ed internazionali finalizzate a combattere la contraffazione dovrebbero es- sere basate su:
⚫ una chiara volontà politica, un adeguato quadro normativo, efficaci strumenti di in- tervento commisurati adeguatamente alla gravità del fenomeno;
⚫ un coordinamento intersettoriale basato su procedure scritte che definiscano in modo preciso ruolo, risorse, strumenti amministra- tivi e operativi di intervento;
⚫ una chiara consapevolezza della gravità e se- rietà del problema tra tutti gli stakeholder;
⚫ lo sviluppo di competenze tecniche in tutti i campi necessari;
⚫ l’implementazione di un sistema efficace ed efficiente di vigilanza.
L’OMS si è impegnata a promuovere la costitu- zione di un International Medical Products Anti- Counterfeiting Taskforce (IMPACT) composto da stakeholder pubblici e privati finalizzato a:
⚫ far crescere la consapevolezza della gravità del fenomeno a livello internazionale al fine di migliorare la cooperazione a questo livello;
⚫ promuovere un efficace scambio di informa- zioni e assicurare assistenza su specifiche te- matiche collegate alla contraffazione dei far- maci;
⚫ incoraggiare il coordinamento tra differenti iniziative contro la contraffazione.
La strategia chiave che emerge dal documento nella lotta alla contraffazione è la cooperazio- ne: azioni concertate tra imprese dello stesso settore, tra imprese di settori diversi, tra im- prese e istituzioni governative e non.
Esigenza avvertita ed affermata anche dalla parte industriale: l’EFPIA ha recentemente pub- blicato un position paper sulla contraffazione, nel quale si sottolinea la serietà del tema e la necessità di collaborazione tra imprese del set- tore e/o di altri settori nonché con le istituzioni per condividere informazioni importanti sul tema e strutturare un piano di intervento co- mune e condiviso.
PhRMA (Pharmaceutical Research Manufactu- rer of America) e IFPMA (International Federa- tion of Pharmaceutical Manufacturers Associa- tions) hanno già avviato progetti di cooperazio- ne con imprese e con agenzie esterne.
Infine, la creazione del Pharmaceutical Secu- rity Institute (PSI; xxxx://xxx.xxx-xxx.xxx/), un’organizzazione non-profit la cui mission è quella di tutelare la salute pubblica, facilitare la circolazione di informazioni importanti re- lative alla contraffazione dei farmaci e pro- muovere, in collaborazione con le Autorità preposte, azioni mirate a combattere il feno- meno e/o a prevenirlo, è una chiara manife- stazione della volontà dell’industria di contri- buire concretamente alla tutela della salute pubblica anche assistendo le agenzie governa- tive impegnate nella lotta contro la contraffa- zione. ◼ ML
Dossier
COPAYMENT: UN GIUSTO COMPROMESSO TRA
GRATUITÀ E UNIVERSALISMO DELL’ASSISTENZA SANITARIA?
1La nota può essere consultata all'indirizzo: xxxx://xxx.xxxxxxx.xx/_xxxxxxxxx/ Il_copay_a_difesa_del_sistema_sani tario_universale.pdf.
2Cfr. articolo 84 della Legge n. 388 del 23 dicembre 2000, che fa riferimento al comma 15 dell’articolo 8 della Legge n. 537 del 24 dicembre 1993 (e successive modificazioni): “Tutti i cittadini sono soggetti al pagamento delle prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio e delle altre prestazioni specialistiche, ivi comprese le prestazioni di fisiokinesiterapia e di cure termali fino all’importo di [...]”; nonché agli articoli 68 e 70 della Legge n. 448 del 23 dicembre 1998.
La reintroduzione a livello nazionale di forme di compartecipazione dei cittadini alla spesa sani- taria come strumento per razionalizzare le risor- se destinate alla salute è stata negli ultimi mesi un’ipotesi avanzata e valutata sia dal Ministro della Salute sia da quello dell’Economia. Esisto- no effettivamente dei vantaggi ottenibili dall’in- troduzione di tale misura? Se sì, di che natura sono (economica, finanziaria, di salute etc.)?
Per rispondere a questi interrogativi appare quanto mai utile la lettura della recente nota della Fondazione CERM Il copayment a difesa del sistema sanitario universale, curata dal professor Xxxxx Xxxxxxxx e dal dottor Xxxxxx X Xxxxxxx0, nella quale si propone una riflessione ragionata sulla opportunità/necessità di ripri- stinare uno schema di compartecipazione ai co- sti sanitari comune a livello nazionale.
Nella nota, dopo una sintetica descrizione del sistema attuale di compartecipazione alla spesa sanitaria nel nostro Paese e delle possibili sue implicazioni in termini di equità, qualità ed effi- cienza del sistema di assistenza, si sviluppa un confronto internazionale con la situazione di altri Paesi dell'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), perve- nendo a interessanti conclusioni propositive.
IL SISTEMA DI COMPARTECIPAZIONE IN ITALIA
Ad oggi il sistema sanitario pubblico italiano è quasi completamente gratuito. La legge 23 di- cembre 2000 (la Finanziaria per il 2001) ha in- fatti:
⚫ eliminato il ticket nazionale sui farmaci di fascia A;
⚫ eliminato i ticket su tutte le prestazioni sani- tarie rientranti nei LEA, ad eccezione di quelle sulle prestazioni specialistiche e dia- gnostiche non effettuate in regime di ricove- ro (sia ordinario sia diurno)2.
Per queste ultime rimanevano in vigore nume- rose esenzioni per età, reddito e tipologia pa- tologica introdotte con provvedimenti legisla-
tivi diversi, tra cui la stessa legge finanziaria per il 2001 (articolo 85) e la legge n. 537/1993 (articolo 8).
Successivamente si è entrati nel vivo della transizione federalista. Senza più un quadro re- golatorio unitario, le Regioni si sono mosse in maniera autonoma e non coordinata. Nono- stante le ripetute esortazioni all’uso del copay- ment per responsabilizzare la fruizione delle prestazioni sanitarie (sia da parte del Legislato- re italiano che degli osservatori economici in- ternazionali):
⚫ poche Regioni hanno ripristinato il ticket sui farmaci ‘A’, con la tendenza ad alleggerirlo, allargando la casistica di esenzione/abbatti- mento;
⚫ le prestazioni in regime di ricovero ordinario sono rimaste quasi integralmente esenti da ticket;
⚫ le prestazioni in ricovero diurno in alcuni casi sono rimaste gratuite; in altri casi anco- ra, il ticket è applicato solo quando il ricove- ro diurno assume caratteristiche terapeuti- co-cliniche particolari (come, per esempio, il cosiddetto ‘ambulatorio protetto’);
⚫ il pronto soccorso è rimasto quasi del tutto gratuito, ma alcune Regioni (per esempio, la Lombardia e la Toscana) hanno introdotto una differenziazione in base al livello di ur- genza, alla prosecuzione o meno delle pre- stazioni con il ricovero, ad alcune caratteri- stiche delle prestazioni (infortuni sul lavoro, richiesta da parte degli organi di pubblica si- curezza etc.).
Anche sulle prestazioni specialistiche e diagno- stiche (sulle quali la normativa nazionale non aveva fatto tabula rasa dei preesistenti ticket) le Regioni si sono mosse diversamente, ma ra- ramente hanno adottato norme più restrittive di quelle nazionali, per quanto riguarda sia l’ammontare di compartecipazione sia la casi- stica di esenzione/abbattimento.
IL PARADOSSO DELL'ATTUALE SISTEMA:
IL CONTRASTO GRATUITÀ/UNIVERSALISMO
Sia le scelte del Legislatore nazionale che quel- le del Legislatore regionale sembrano quindi porsi a sostegno della continuità dell’assetto del SSN, cioè della completa gratuità del siste- ma sanitario pubblico: una posizione che ha ra- dici nella storia sociopolitica del nostro Paese, ma che, se non declinata secondo nuovi mo- derni paradigmi, rischia di provocare effetti op- posti a quelli desiderati. Ciò emerge abbastanza chiaramente dall’analisi dei dati aggregati di spesa/finanziamento e dal confronto con gli impianti di regolamentazione diffusi tra i part- ner dell’OCSE.
Con riferimento al primo punto, i dati recente- mente diffusi dal Ministero dell’Economia, con la Relazione Generale della Situazione Econo- mica del Paese, mostrano una incidenza della spesa sanitaria sul PIL in continua crescita dal 2002 al 2005: +0,6 punti percentuali in 3 anni. La conclusione non cambia se dalla spesa pub- blica complessiva si passa a considerare il fi- nanziamento a carico dello Stato, che in termi-
ni di PIL aumenta di circa 0,4 punti percentuali. Tra il 1990 e il 2003, nonostante la completa gratuità del sistema pubblico, in Italia la spesa sanitaria pubblica rimane invariata, mentre quella privata aumenta di 4 decimi di punto percentuale di PIL. In Francia, Germania, UK, Usa e nella stessa media UE-15 l’incidenza della spesa pubblica aumenta più di quella della spe- sa privata; solo la Spagna mostra una situazio- ne paragonabile a quella italiana.
Eppure, nel gruppo dei partner OCSE, sono meno della metà i Paesi che, come l’Italia, non applicano copayment sulle prestazioni in regi- me di ricovero (12/30)3.
La completa gratuità non sembra possa consi- derarsi garanzia di adeguatezza delle prestazio- ni, né sotto il profilo del corretto consumo in- dividuale, né sotto il profilo delle disponibilità di risorse sufficienti a rendere indipendente, quando necessario, l’accesso alle prestazioni dai redditi individuali.
Ciò è confermato dallo spaccato della spesa per fonti di finanziamento: nel 2003, la gran parte (oltre l’83%) della spesa privata sanitaria assu- me la forma, in Italia, di pagamenti diretti a va- lere sui redditi disponibili dei cittadini (contro il 42,2% della Francia, il 47,9% della Germania, l’82% della Spagna, il 25,3% degli USA e una me- dia UE-15 di circa il 67%). La posizione dell’Italia si inverte se si guarda al dato su fondi sanitari e assicurazioni sanitarie: il 3,8%, contro una media UE-15 del 22%, e valori molto più elevati per Francia, Germania e Stati Uniti.
Inoltre, tra il 1990 e il 2003 la quota di out of pocket italiana aumenta di oltre 10 punti per- centuali, laddove è in calo per Francia, Spagna e Stati Uniti e pressoché stabile nella media UE-
SPESA SANITARIA PUBBLICA-PRIVATA INCREMENTI DI INCIDENZA PERCENTUALE SUL PIL |
1990-2003 Spesa pubblica Spesa privata |
Francia 1,1 0,4 Germania 2,1 0,4 Italia 0,0 0,4 Spagna 0,2 0,8 UK 1,4 0,3 USA 1,9 1,1 UE-15 0,8 0,6 Fonte: OECD, Health Data 2005 (ottobre). |
15. L’opposto accade per la componente dei fondi e assicurazioni, con l’Italia che mostra l’incremento minore (solo 0,8 punti percentua- li) dopo la Spagna, contro valori ben più signifi- cativi di Francia (6,6), Germania (9,8), Stati Uniti (9,4) e della media UE-15 (1,5).
Con riferimento specifico alla spesa farmaceu- tica, nel periodo 1990-2003, l’Italia è l’unico Paese per il quale la spesa pubblica (in percen- tuale del PIL) decresce, in controtendenza ri- spetto alla privata che aumenta; e l’aumento della privata (0,3 punti percentuali) è superiore al corrispondente della Francia (0,1), della Ger- mania (0,1), della Spagna (0,0), del Regno Unito
SPESA FARMACEUTICA PUBBLICA-PRIVATA INCREMENTI DI INCIDENZA PERCENTUALE SUL PIL |
1990-2003 Spesa pubblica Spesa privata |
Francia 0,5 0,1 Germania 0,3 0,1 Italia -0,2 0,3 Spagna* 0,3 0,0 UK** 0,2 0,1 USA 0,3 0,5 UE-15*** 0,2 0,05 *Periodo 1995-2003; **periodo 1990-1997 e dati ricostruiti per differenza tra spesa totale e spesa pubblica; ***lì dove mancanti, dati ricostruiti per differenza tra spesa totale e spesa pubblica. Fonte: OECD, Health Data 2005 (ottobre). |
xxxxxxx/identità politica. In Italia, invece, l’o- biettivo ‘nominalistico’ di avere una totally free zone da contrapporre al gruppo dei far- maci ad intero carico del privato è preferito ad obiettivi sostanziali in termini della varietà di prodotti disponibili e delle modalità di accesso per soggetti con condizioni economico-sanita- rie diverse4.
CONCLUSIONI
Un copayment nazionale potrebbe essere base contemporaneamente di efficienza e di equità su cui innestare l’autonomia delle Regioni:
3Australia, Canada, Repubblica Xxxx, Xxxxxxx, Xxxxxx, Xxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxxx, Xxxxxxx, Xxxxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxx, Turchia, UK. Ancor di meno (9/30) quelli che, come l’Italia, non applicano compartecipazione sulle prestazioni dei medici di base: Canada, Repubblica Ceca, Ungheria, Olanda, Polonia, Repubblica Slovena, Spagna, Turchia, UK.
4Esenzioni e abbattimenti esistono nelle poche Regioni che fanno uso di ticket farmaceutico, ma si è ben lontani da un approccio sistemico e coordinato su scala nazionale.
(0,1) e della media UE-15 (0,05); soltanto gli Stati Uniti (con una struttura del welfare system no- toriamente diversa da quella dei sistemi conti- nentali) mostrano un dato superiore (0,5).
Se si guarda al panorama dei Paesi OCSE, si nota come l’applicazione del copayment sia dif- fusa e avvenga in forma percentuale rispetto al prezzo; in molti casi, esiste una vera e propria progressione di percentuali di compartecipa- zione a seconda della tipologia di farmaco, con eccezioni per particolari categorie di pazienti- acquirenti.
La responsabilizzazione individuale sul consu- mo di tutti i farmaci in commercio è preferita ad una situazione ‘dicotomica’ in cui un gruppo di farmaci è completamente gratuito (finanziato pubblicamente), mentre i rimanenti sono tutti a carico del privato.
Per il comparto della farmaceutica, quindi, tro- va specifica conferma il giudizio conclusivo of- ferto per la sanitaria complessiva. Le (best) practice internazionali segnalano una prefe- renza del Legislatore-Regolatore verso una re- sponsabilizzazione individuale ad ampio spet- tro nei confronti di tutti i prodotti in commer- cio (in alcuni casi vere e proprie declinazioni del copayment), come strumento per incenti- vare l’appropriatezza del consumo, allocare ef- ficientemente le risorse e costituire le disponi- bilità finanziarie adeguate per perseguire gli obiettivi solidaristici, ogni Paese con la propria
⚫ da un lato, permetterebbe una responsabi- lizzazione minima della domanda; uno ‘zoc- colo duro’ di efficienza condivisa tra le Re- gioni e per questo motivo capace di più con- sistenti effetti pro-concorrenziali anche sul lato dell’offerta di prestazioni;
⚫ dall’altro lato, il riferimento ad un omoge- neo criterio per graduare l’aliquota di com- partecipazione o selezionare i casi di esen- zione metterebbe in atto un livello minimo di redistribuzione attivo su tutto il territorio nazionale (indipendentemente dai confini regionali), che potrebbe divenire parte inte- grante della definizione dei LEA.
A partire da questo primo livello di redistribu- zione (quella che si potrebbe definire ‘costitu- zionale’ perché integrata nei LEA), le Regioni potrebbero operare scelte diverse, in maggio- razione o in diminuzione del copayment, dimo- strando però ogni volta di essere in grado di mantenere l’effettività dei LEA sul loro territo- rio nel caso di maggiorazione, o di essere in grado di mantenere il perfetto controllo sulle dinamiche della loro spesa nel caso di diminu- zione. Questa via permetterebbe di armonizza- re principi costituzionali, interessi economici nazionali e libertà politica delle Regioni.
La correzione di questi difetti di regolazione darebbe nuovo slancio alla trasformazione fe- deralista e nuova linfa al Sistema Sanitario Na- zionale, senza tradirne le storiche validissime aspirazioni, anzi creando le compatibilità micro e macrofinanziarie per realizzare l’universalità negli anni a venire. ◼ ML
Dossier
Copayment: opinioni a confronto
“Un copayment nazionale sarebbe la base contemporaneamente di efficienza e di equità su cui innestare l'autonomia delle Regioni:
⚫ da un lato, permetterebbe una responsabilizzazione minima della domanda; uno ‘zoc- colo duro’ di efficienza condivisa tra le Regioni e per questo capace di più consistenti effetti proconcorrenziali anche sul lato dell'offerta di prestazioni;
⚫ dall'altro, il riferimento ad un omogeneo criterio per graduare l'aliquota di comparte- cipazione o selezionare i casi di esenzione metterebbe in atto un livello minimo di re- distribuzione attivo su tutto il territorio nazionale (indipendentemente dai confini re- gionali), che potrebbe divenire parte integrante dei LEA".
Questa frase, tratta dalle conclusioni della nota della Fondazione CERM di cui abbiamo pubblicato in queste pagine un’ampia sintesi, è stata lo spunto per avviare un confronto tra esponenti del mondo scientifico, politico e rappresentanti di associazioni di pazienti. Ecco i loro pareri.
La tutela della salute come fonte
di energie per innovazione e ricerca
In tutta Europa l’intero comparto della salute è sotto pressione. Tutti i Governi si trovano a dover affrontare un grave dilemma: da un lato, una domanda costantemente in crescita dettata da insopprimibili bi- sogni di natura sociale e demografica; da un altro lato, la sostenibilità finanziaria dei sistemi di protezione sanitaria. Sullo sfondo, la preoc- cupazione tutta politica del mantenimento del consenso elettorale.
La conseguenza più appariscente è la ricerca di nuovi assetti ed equi- libri, di nuovi modelli di assistenza sanitaria, nella consapevolezza che il rapido cambiamento dello scenario economico a cui eravamo fin qui abituati richieda uno sforzo comune per razionalizzare costi e risorse disponibili, attraverso il coinvolgimento della stessa opinione pubblica.
D’altro canto, emerge in prospettiva che la tutela della salute debba essere considerata non più e non solo come un fattore di spesa, ma anche e soprattutto come suscitatrice di energie sul fronte dell’inno- vazione, della ricerca, dello sviluppo in molteplici campi, fra cui in- dubbiamente quello farmaceutico, a noi più prossimo e congeniale.
In un siffatto contesto, la responsabilizzazione della domanda me-
diante un copayment nazionale, se strutturato in modo equo, po- trebbe indubbiamente rappresentare una soluzione idonea ed ef- ficace, specialmente all’interno di un nuovo rapporto basato sul dialogo e sulla concertazione fra il mondo politico-istituzionale, le parti sociali, le Regioni e le Aziende Sanitarie Locali, gli attori della complessa filiera del farmaco.
Fra questi ultimi, mi sembra naturale – oltre che doveroso – annove- rare le aziende dei grossisti di medicinali, le quali assolvono un ruolo essenziale sul territorio e hanno certamente un loro punto di vista. La distribuzione intermedia, infatti, rappresenta l’anello vitale di col- legamento all’interno del comparto farmaceutico ed è garante della capillare reperibilità di tutti i medicinali secondo elevati criteri di qualità, sicurezza ed efficienza, a costi d’esercizio molto contenuti.
Un solo dato numerico sottolinea la nostra straordinaria importanza in termini di razionalizzazione e di economia di mercato: la fornitura continua e capillare dalla produzione fino alle farmacie coinvolge in Europa circa 28 miliardi di consegne l’anno. Senza l’intermediazione dei grossisti, le farmacie e i produttori dovrebbero mettersi in contat- to l’un l’altro direttamente ed il numero delle transazioni crescerebbe drammaticamente toccando ben 528 miliardi di consegne l’anno.
◼ Ornella Barra
Presidente dell’Associazione Distributori Farmaceutici - ADF
Universalità di accesso e fiscalità generale progressiva per garantire la sostenibilità del SSN
Inquadrare la questione del copayment nella problematica della spesa sanitaria e del suo incremento mi appare l’approccio più adeguato, purché l’interpretazione dei dati relativi a tale spesa sia corretta: in- fatti l’aumento della spesa sanitaria pubblica è in gran parte dovuto ad automatismi inerenti gli aspetti salariali dei professionisti, l’im- missione di nuove e più costose tecnologie e terapie e, non ultima, la ben nota crescita delle fasce di popolazione con patologie croniche cui è attribuito il maggiore consumo di prestazioni.
Come l’esperienza di alcune Regioni dimostra, l’introduzione o l’eli-
minazione del ticket per la spesa farmaceutica non influenza sen- sibilmente i comportamenti prescrittivi dei medici e/o dei ‘pa- zienti-consumatori’ che, peraltro, nelle fasce di età suddette sono spesso esenti per patologia.
L’introduzione del ticket sulle prestazioni di Pronto Soccorso inappro- priate, come sperimentato in altre Regioni, non ha calmierato tali ac- cessi più efficacemente di quanto non faccia il funzionamento di ser-
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Dossier
vizi alternativi all’ospedale (medici di base, Guardia Medica, ambula- tori, assistenza domiciliare etc.), mentre si rileva una diffusa xxxxxx- ne del pagamento del ticket difficilmente riscuotibile al Pronto Soc- corso o in orario notturno o festivo.
Al di là di queste considerazioni, vi è comunque il rischio che la com- partecipazione alla spesa finisca per riversarsi maggiormente su quei comparti sociali che già finanziano il Servizio Sanitario Nazionale at- traverso il sistema fiscale, lasciando irrisolto il problema dell’evasione che nel nostro Paese è particolarmente ingente.
Infine, aumentare le politiche di copayment potrebbe spingere com- parti sociali in grado di accedere alla sanità privata – direttamente o tramite assicurazioni di malattia private – a fuoriuscire progressiva- mente dal sistema, impoverendolo.
L’universalità dell’accesso, garantita dai principi di equità ed appro- priatezza, ed il finanziamento del sistema tramite la fiscalità generale progressiva, appaiono ancora largamente la via maestra di sostenibi- lità del Servizio Sanitario Nazionale.
◼ Xxxxxxx Xxxxxxxxx
Assessore Sanità della Regione Lazio
Il caso dei pazienti diabetici
La riflessione che si impone per quanto attiene la malattia diabetica è data dalla natura cronica che la distingue e dalla recrudescenza del fenomeno, i cui livelli di incidenza sulla popolazione sono esponen- ziali, specie se riferiti a quella anziana, peraltro anch’essa in crescita. Da questa banale, ma significativa evidenziazione, è scaturita la scel- ta operata dal Legislatore di ‘governare’ la patologia da un’apposita legge, la 115/87; in virtù di questa legge i cittadini affetti da diabete hanno diritto, su prescrizione medica, alla fornitura gratuita dei presi- di diagnostici e terapeutici (articolo 4, comma 2). Ciò nondimeno, proprio perché consapevoli del carico eccessivo della patologia sul to- tale della spesa sanitaria (7%), tale da aver creato nel tempo proble- mi circa l’accesso alle nuove terapie ed ai farmaci di nuova generazio- ne, si potrebbe pensare di essere disponibili ad una qualche compar- tecipazione, purché definita e capace di operare sul fronte dell’emer- sione dei cosiddetti ‘silenti’, in uno con il superamento di alcune for- me di discrimine che vanno ad incidere sugli aspetti sociali della ma- lattia (scuola, lavoro, patente di guida etc.).
Ciò detto, è implicito affermare che, stante l’attuale responsabilità della Regione in tema di risorse finalizzate alla salute del cittadino (Titolo V della Costituzione ), è quanto mai necessaria la comparte- cipazione alla spesa sanitaria in termini di efficacia dell'assisten- za. Questa compartecipazione dovrà prevedere, quanto meno, una base minima uguale per tutti e su tutto il territorio (LEA), senza incorrere in deprecabili differenziazioni, peraltro dannose per le stesse Regioni ritardatarie, che andrebbero ad alimentare la cosid- detta ‘migrazione sanitaria’ sicuramente dispendiosa, iniqua e impro- duttiva per il territorio che la determina.
◼ Vera Buondonno Lombardi
Presidente dell’Associazione Italiana Diabetici - FAND
Il consenso dei cittadini
nel reperimento di risorse aggiuntive per finanziare la Sanità
Nelle nostre indagini si è più volte constatato che gli italiani rigetta- no l’idea di ridimensionare la spesa sanitaria pubblica, inclusa quella per i farmaci, che considerano a pieno titolo parte fondamentale de- gli investimenti per la salute. La richiesta di non toccare la spesa sa- nitaria si accompagna anche ad una diffusa disponibilità individuale nella direzione della responsabilizzazione finanziaria, dimostrata, per esempio, dal fatto che viene valutato come accettabile il ticket, inte- so come strumento di moderazione dei consumi di medicinali. Ben il 54,2% degli italiani dichiara che il ticket è uno strumento utile per limitare l’acquisto di medicinali, con una punta superiore al 59% al Centro e al 56% al Nord-Ovest, mentre meno del 30% degli intervista- ti lo considera una tassa iniqua e solo il 16% lo ritiene uno strumen- to inutile.
Da un’altra indagine emerge che il ticket è considerato dagli italiani lo strumento migliore per reperire risorse aggiuntive per finanziare la spesa sanitaria. Infatti, il 61,3% degli intervistati lo preferisce alla franchigia (il pagamento di tutti i servizi fino ad un determinato tet- to annuo) o all’addizionale Irpef, ritenute auspicabili rispettivamente dal 14,8% e dall’11,4% degli intervistati.
Quindi esiste una prima base importante di consenso tra i cittadi-
ni rispetto all’utilizzazione del copayment nelle politiche sanita- rie. Ciò non deve però far dimenticare che è necessario essere mol- to cauti nel valutare gli effetti che simili strumenti possono pro- vocare nei vari contesti regionali, connotati da una decisa differen- ziazione dei modelli di offerta e da diverse costellazioni di bisogni sanitari. Quindi, se livelli più alti di efficienza e di equità sono in- dubbiamente obiettivi importanti ovunque, vanno approfonditi l’ana- lisi e il dibattito sulla concreta strumentazione utilizzabile, tenendo conto del fatto che strumenti eguali possono avere impatti diversi sui sistemi di offerta e i cittadini dei diversi ambiti territoriali.
◼ Xxxxx Xxxxxxxxxx
Vicedirettore generale del CENSIS
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Dossier
Il copayment e i redditi medi
La contribuzione a carico del cittadino ad alcuni costi del SSN non è di per sé inutile né scandalosa. Esiste ormai una vasta e consolidata letteratura sugli effetti positivi e negativi, e sulle incongruenze dei sistemi di copayment. Praticamente tutti gli autori, pur tenendo con- to del potenziale effetto di deterrenza del copayment, ne sottolinea- no l’essenza di tassazione aggiuntiva.
Il copayment peraltro non è sostanzialmente né di destra né di sini- stra, visto che viene applicato in sistemi con filosofie divergenti.
Occorre al contrario affrontare il problema della sostenibilità del co- payment da parte di vasti strati della popolazione.
Rimane una caratteristica persistente del sistema italiano la difficoltà di individuare i redditi reali delle persone e delle famiglie. I cittadini vengono pertanto esentati sulla base di redditi presunti e il copay- ment diviene un premio alla elusione ed evasione fiscale.
Lo stesso effetto di deterrenza sui consumi è controverso. Ha breve durata e agisce anche su consumi sanitari assolutamente indispensa- bili. In pratica induce ad un risparmio di prestazioni su consumi non differibili anche da parte di cittadini con redditi medio-alti.
Infine il sistema sanitario italiano si è già dotato di liste positive e di LEA che identificano le prestazioni gratuite se appropriate. Il co- payment è una contraddizione palese di tale filosofia.
Politicamente dunque il copayment è un boomerang pericoloso. Incide solo sui consumi sanitari delle famiglie a reddito medio che non solo non sono esenti, ma hanno i maggiori e più costosi consumi sanitari familiari, in particolare se lavoratori dipendenti.
In conclusione, solo raramente e fortuitamente i copayment ga-
rantiscono l’equità del sistema: sono da considerarsi ad ogni ef- fetto una vera e propria tassa che grava sui redditi medi e alti della popolazione affliggendo per la loro natura solo i redditi medi, che sono in molti casi di fatto privati della maggioranza dei servizi sanitari.
In caso di dubbio è sufficiente esaminare il profilo di equità dei diritti sanitari di una famiglia italiana con reddito globale di 45-50.000 € annui:
• non paga medico e pediatra;
• pagherebbe copayment su tutti i ricoveri, mammografie, pap test e altre manovre di prevenzione, tutti i farmaci di fascia A;
• pagherebbe per intero le cure odontoiatriche e specialistiche, visto che spesso il ‘ticket’ equivale ad una tariffa specialistica calmierata;
• paga di fatto per lo stesso motivo tutta la diagnostica.
Cosa rimane del SSN per 38 milioni di cittadini italiani?
Xxxxxx allora una vera tassazione universale, ma degressiva che parta da zero e vada a carico dello Stato per i redditi più bassi e cresca de- gressivamente sino a coprire il fabbisogno del SSN.
◼ Xxxxxxx Xxxxxxxx
Presidente della Società Italiana di Medicina Generale - SIMG
Il copayment e la salvaguardia dell’equità
La compartecipazione dei cittadini alla spesa farmaceutica, storica- mente, si è declinata attraverso il ticket sulla confezione o sulla ri- cetta. Essa ha svolto una funzione di integrazione finanziaria e ha consentito di promuovere l’appropriatezza dei consumi e di avere ef- fetti positivi sulla ripartizione delle risorse (equità del sistema).
Un modello di compartecipazione ai consumi dei farmaci deve es-
sere articolato in modo da salvaguardare l’impatto negativo sulle famiglie. Tradizionalmente, nella realtà italiana, per tutelare le cate- gorie deboli sono state introdotte esenzioni basate sul reddito o sulla patologia o sull’età; in tal modo sono resi meno stringenti i vincoli di bilancio e conseguentemente è stata allargata la disponibilità del far- maco stesso.
La discussione sul ticket, negli ultimi anni, si è sviluppata su un li- vello meramente ideologico.
Spostando, invece, l’analisi su un piano più propriamente tecnico, la proposta di Xxxxxxxx e Salerno prevede un copayment nazionale sul quale impostare basi di efficienza e di equità.
L’idea è sicuramente condivisibile. Va, però, sottolineato che il ticket è funzione dei consumi. Pertanto, al crescere della spesa farmaceutica crescono le entrate da ticket (poi saranno le concrete modalità di esenzione a determinare il grado di correlazione fra la spesa farma- ceutica al lordo e al netto del ticket).
Si apre quindi un problema di equità: i grandi consumatori di farmaci (anziani e malati cronici) in assenza di esenzioni sostengono un li- vello elevato di spesa.
Per evitare un impatto negativo del ticket in termini di equità sulle famiglie ‘deboli’ si possono individuare due risposte.
Una prima risposta, di carattere generale, evidenzia l’importanza delle riduzioni di prescrizioni inappropriate; questo non significa solo prescrivere farmaci corretti, ma anche in quantità idonee.
Una seconda risposta, invece, mira ad associare l’eventuale esen- zione dal pagamento del ticket non in base all’età o alla patolo- gia, ma all’indicatore di situazione economica equivalente (ISEE) che considera la situazione reddituale e patrimoniale del sogget- to richiedente, nonché la composizione del nucleo familiare.
◼ Xxxxxx Xxxxx
Presidente di Farmindustria
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Dossier
Il copayment
e la governabilità del sistema
Non sono pregiudizialmente contrario a forme di compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria.
Ritengo tuttavia che sia preliminarmente indispensabile una consape- vole scelta strategica di lungo periodo: vogliamo mantenere e rilan- ciare il SSN che, credo, è stato una grande conquista di civiltà? Oppu- re intendiamo seguire altre strade e, come gli USA, sostanzialmente lasciare che ciascuno pensi a se stesso? Personalmente non ho dubbi: la prima è la scelta che sostengo con forza.
Partendo da questa premessa, bisognerebbe smettere di pensare alla spesa sanitaria come un costo e considerarla invece un investimento, dandole il posto che merita nella scelta delle priorità di un Paese ci- vile. Per questo non mi scandalizzo se mi si dice che la sua incidenza sul nostro prodotto interno lordo aumenta: mi sembra la naturale conseguenza di una serie di fattori come i crescenti costi della ricerca scientifica e il continuo invecchiamento della popolazione.
Ciò detto, non giustifico qualsiasi aumento della spesa. Xxxx, proprio la sua crescita dovrebbe indurre a una razionalizzazione.
Ma il punto è proprio qui: il governo del sistema. Soprattutto negli ultimi anni – attraverso una devoluzione ‘all’italiana’ che è l’esatto opposto di un costruttivo processo federalista – le responsabilità po- litiche, di indirizzo, gestionali e di controllo si sono sempre più fram- mentate, aggravando le differenze non solo tra una Regione e l’altra, ma anche all’interno delle stesse Regioni e perfino nei Comuni.
Sarebbe dunque necessaria un’operazione di recupero di unitarietà
del disegno strategico e di riequilibrio nell’allocazione delle ri- sorse. In questa prospettiva, potrebbe anche inserirsi qualche forma di compartecipazione dei cittadini alla spesa sanitaria, ma a pat- to che sia intesa e utilizzata come strumento di equità e solida- rietà in un progetto globale di governabilità del sistema, altri- menti rischia di risolversi in un ulteriore elemento di discriminazione e di ingiustizia del quale non si sente certo il bisogno e di cui fareb- bero le spese, come sempre, le fasce più deboli della popolazione.
◼ Xxxxx Xxxxxxx
Segretario Nazionale della Federazione Italiana Medici di Medicina Generale - FIMMG
La necessità di riappropriarsi
della responsabilità sulla propria salute
L’introduzione di meccanismi di copayment è una medicina necessa- ria, in un contesto come il nostro nel quale il monopolio pubblico della Sanità non è in discussione, eppure bisogna cominciare a tirare la cinghia.
È dunque condivisibile il punto di vista interpretato dal Xxxx, che suggerisce l’importanza di leve per la compartecipazione alla spesa, proprio nell’ambito del nuovo patto sulla Sanità fra Stato e Regioni che inevitabilmente si va delineando – se non vogliamo buttare via il bambino federalista con l’‘acqua sporca’ della cosiddetta devolution. Sarebbe un passo avanti, rispetto ad una situazione nella quale si oscilla fra il populismo dei difensori ad oltranza del SSN e le molte incongruenze apparecchiate da una sua progressiva localizzazione in un contesto istituzionale in cui l’autonomia di spesa non coincide con l’autonomia impositiva. Tuttavia, è bene non perdere di vista un quadro più ampio. Il federalismo in Sanità, di per sé auspicabile, po- trà funzionare soltanto quando verrà meno il circolo vizioso che lega il presunto autogoverno delle Regioni ai cordoni di una borsa salda- mente nelle mani della capitale. La vera responsabilizzazione si può avere solo quando chi spende è chi deve aumentare le tasse per spen- dere di più – eliminando così l’equivoco di deficit regionali su cui si gioca puntualmente al rimpiattino delle responsabilità. Parallelamen- te, il ticket va visto più che altro come un meccanismo dall’im- prescindibile valore educativo: insegna che nessun pasto è gratis, e almeno in parte il conto va pagato non solo attraverso le impo- ste, ma direttamente, da parte del cittadino-paziente. Esso inse- gna a riappropriarsi di una responsabilità diretta sulla propria sa- lute. Diritto dovere che, non solo per questioni di giustizia sociale, ma anche per il più banale far di conto dei ragionieri dello Stato, in futuro dovremo tornare ad esercitare.
◼ Xxxxxxx Xxxxxxxx
Direttore Generale Istituto Xxxxx Xxxxx
Quali cambiamenti a fronte
della compartecipazione alla spesa?
La compartecipazione alla spesa non è un principio in sé sbagliato. Il SSN è uno dei servizi più importanti di cui disponiamo e una garanzia fondamentale per un Paese democratico in concreto, non solo in astratto. Fin qui siamo tutti d’accordo. Stride però con lo stato del nostro servizio sanitario l’idea che le soluzioni alle diseconomie deb- bano sempre portarle i cittadini, mediante la corresponsione di un ticket sui farmaci, sui ricoveri, o al Pronto Soccorso.
Ognuno di noi può anche acconsentire, se ne ha la possibilità, a pa- gare di più, ma a condizione di vedere cambiamenti accettabili. E dove sono questi cambiamenti?
Il livello di corruzione nella Sanità è altissimo, la lottizzazione è or- mai diventata una regola universale, le liste di attesa restano preoc- cupanti ovunque.
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Dossier
Si parla di una tassa di scopo per creare un Fondo sulla non auto- sufficienza. Anche su questa idea non si può non essere d’accordo. Ma chi controllerà che quei soldi non vadano a foraggiare le varie Lady Asl presenti nel nostro sistema?
In sostanza, i cittadini potrebbero anche affrontare qualche sa-
crificio in più, ma solo a tre condizioni:
• che si avvii un vero regime di controlli e di valutazioni che pongano al centro la qualità del servizio e di coloro che ci lavo- rano;
• che venga facilitato, semplificato e reso più trasparente l’ac-
cesso alle prestazioni, onde evitare che siano proprio i più de- boli a dover ricorrere a canali privati;
• che i cittadini possano essere essi stessi i valutatori del
sistema mediante sistemi di audit, in modo tale da poter incidere sulle scelte e sulle priorità in ambiti nevralgici come gli appalti pubblici, la programmazione dei servizi, la lotta agli sprechi.
Se si comincia dai ticket, senza dare nulla in cambio, mi sem- bra molto difficile pretendere fiducia e consenso da parte dei cittadini.
◼ Xxxxxx Xxxxxxxxxxxx
Segretario Generale di Cittadinanzattiva
Responsabilizzazione
e riequilibrio finanziario: due concetti da non confondere
Il pregevole studio del CERM ripropone il problema del copayment, suggerendone un uso generalizzato.
Alla base di questa proposta ci sono varie motivazioni, così sintetiz- zabili:
• necessità di responsabilizzazione;
• riequilibrio finanziario;
• ragioni redistributive;
• coesione sociale e territoriale.
La mia posizione sul tema è che un copayment generalizzato è ef- fettivamente un strumento importante di politica sanitaria, de- putato a responsabilizzare i cittadini verso un uso appropriato e parsimonioso dei servizi: aggiungerei, inoltre, che è utile per rendere tangibile il valore, anche economico, dei servizi ricevuti. Xxxxx, invece, non del tutto condivisibili le altre affermazioni conte- nute nel documento CERM.
In primo luogo, la scelta di un ticket nazionale, oltre a mio parere configgente con il quadro costituzionale vigente, non è opportuna: il copayment non è, infatti, il solo strumento di responsabilizzazione esistente e il suo uso deve essere ‘tarato’ sulle specifiche condizioni locali.
L’obiettivo della coesione sociale e territoriale è certamente impor- tante, ma – a mio parere – va promossa prevedendo un regime di
esenzione (questo sì!) nazionale; la mia proposta è che vada assolu- tamente superata l’attuale (inefficiente e iniqua) divisione fra esenti e non esenti, adottando il principio per cui il copayment non può im- pattare sui bilanci familiari (mediante ISE o ISES) oltre un livello pre- definito, tale da evitare fenomeni di impoverimento e/o spese ‘cata- strofiche’. Si noti che quest’ultimo principio si posiziona chiaramente fra i diritti di cittadinanza e come tale è legittimamente in capo al li- vello centrale di governo.
In secondo luogo, sulla funzione redistributiva del copayment osser- verei che siamo nel campo delle opinioni personali; personalmente propendo per avere (tendenzialmente) un unico livello redistributivo, a livello di impositivo: il ticket non ha la natura di una imposta e do- vrebbe limitarsi a ridurre i rischi di moral hazard; a mio parere l’intro- duzione di livelli multipli di redistribuzione è pericoloso, perché si perde il controllo del livello di solidarietà sociale voluta. Il meccani- smo delle esenzioni dovrebbe essere sufficiente ad evitare fenomeni perversi.
Per analoghe motivazioni, credo che andrebbe evitata la confusione fra l’effetto di responsabilizzazione e quello di riequilibrio finanziario: preso atto che la spesa out of pocket in Italia è relativamente eleva- ta, il trasferimento di oneri (riequilibrio finanziario) fra settore pub- blico e privato è un obiettivo opinabile. Di contro, l’eventuale ridu- zione dei consumi derivante dalla responsabilizzazione dei cittadini è un obiettivo prioritario, da perseguire per liberare risorse da reinve- stire nella Sanità pubblica che ha urgente bisogno di essere riqualifi- cata.
◼ Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx
Responsabile del CEIS Sanità presso la Facoltà di Economia dell’Università Tor Vergata, Roma
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SUGGERIMENTI ON LINE
Internet
a cura di Xxxxxxx Xxxxxxx, Istituto di Ricerche Farmacologiche “Xxxxx Xxxxx”
National Cancer Institute - Breast cancer xxxx://xxx.xxxxxx.xxx/xxxxxxxxxxxx/xxxxx/xxxxxx
Il National Cancer Institute conduce o supporta programmi di ricerca, di formazione e di informazione sulle patologie oncologiche, con particolare riferimento alle cause, alla diagnosi, alla prevenzione, alla cura, alla riabilitazione e all’assistenza dei pazienti oncologici e delle loro famiglie. Il sito web del National Cancer Institute è un importante strumento di divulgazione di queste attività nelle quali l’Istituto è coinvolto e la sezione corrente, dedicata ai tumori della mammella, non fa eccezione.
L’area ‘Treatment’ fornisce informazioni sui trattamenti farmacologici e non farmacologici della malattia, con particolare riferimento alle ultime scoperte scientifiche, mentre l’area ‘Prevention, Genetics, Causes’ si sofferma sugli aspetti genetici e sulle cause alla base della malattia. Particolarmente interessante è l’area denominata ‘Screening and testing’ che fornisce informazioni sulle metodiche oggi disponibili per individuare i tumori al seno al loro stadio iniziale.
Non si può non citare l’area ‘Clinical Trials’ che offre la possibilità di prendere visione dei risultati delle più recenti sperimentazioni cliniche e di ottenere informazioni su quelle in corso su questa malattia che sono condotte o finanziate dal National Cancer
Institute. Dello stesso genere è l’area denominata ‘Cancer Literature’, attraverso cui è possibile conoscere gli articoli pubblicati di recente sulle riviste biomediche internazionali censite dal database Medline. L’uso di ricerche predefinite facilita l’individuazione di articoli che riguardano determinati aspetti della malattia (per esempio, la cura attraverso chemioterapia) e non richiede la conoscenza del linguaggio generalmente impiegato per interrogare questa banca dati. Infine, l’area ‘Statistics’ pubblica dati sull’incidenza della malattia, sui tassi di mortalità e su quelli di sopravvivenza. Si tratta in questo caso di dati riferiti alla popolazione degli Stati Uniti, ma che offrono spunti di riflessione anche agli operatori italiani.
Programma Nazionale Linee Guida - Guida ai servizi clinici di prevenzione xxxx://xxx.xxxx.xx/xxxxxx
Questa sezione del sito del Programma Nazionale Linee Guida presenta la traduzione del manuale prodotto dalla US Preventive Service Task Force (seconda edizione). Si tratta di un manuale (pubblicato come ipertesto) rivolto agli operatori sanitari che svolgono attività clinica di primo livello e fornisce raccomandazioni sulla prevenzione e sullo screening di oltre 80 patologie, tra cui il carcinoma della mammella e la depressione. Le raccomandazioni illustrate derivano da una valutazione standardizzata dei dati scientifici pubblicati e includono una sintesi delle ricerche condotte sull’efficacia clinica di ciascun intervento di prevenzione.
Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie - Screening oncologici xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxx/xxxXxxxxxxxxXxx.xxx?xxx0&xxxxxxxxxxxxxxx-
seno&men=scre&lingua=italiano
Questa sezione del sito del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie riguarda gli screening oncologici e in particolare quello del carcinoma della mammella. Si possono ottenere informazioni circa l’incidenza del fenomeno in Italia e nel mondo e notizie/dati sulla prevenzione della malattia, con particolare riferimento allo screening mammografico. Di particolare interesse è la pubblicazione dei dati relativi al ricorso, in anni recenti, alla mammografia tra le donne in Italia.
Xxxxxxxxxx-xxxxxxxxx.xxx
xxxx://xxx.xxxxxxxxxx-xxxxxxxxx.xxx
L’identificazione di persone potenzialmente depresse. È quanto si propone questo sito con la pubblicazione di un questionario certificato dalle organizzazioni americane (tra cui la National Mental Health Association, l’American Psychiatric Association e il National Institute of Mental Health) sponsor dell’iniziativa.
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HEALTH TECHNOLOGY ASSESSMENT
Parole chiave
(seconda parte)
Nella prima parte della parola chiave abbiamo cercato di fornire degli strumenti puramente metodologici per la corretta conduzione di uno studio di health technology assessment, tentando di rispondere alle seguenti domande:
• perché condurre uno studio di TA;
• cosa studiare;
• come studiarlo;
• chi deve realizzarlo.
Il nostro intento, in questa seconda parte, è quello di fornire una panoramica sulla diffusione e lo stato di realizzazione del technology assessment nel mondo.
Il TA ha cominciato ad essere considerato una vera e propria disciplina intorno ai primi anni ’70, in America, per poi diffondersi, negli anni ’80, anche in Canada, Francia e Svezia con la nascita dell’International Society for Health Technology Assessment in Health Care (ISTAHC). Gli anni ’90 hanno visto il consolidamento e l’espansione del TA (in Australia, Israele,
Finlandia, Spagna, Svizzera e Regno Unito) grazie anche a nuovi network in grado di incrementare la disseminazione di tale disciplina (International Network of Agency of Health Technology Assessment - INATHA, 1993). Ad oggi esistono 38 organizzazioni in ben 19 Paesi di cui 6 in America del nord, 2 in America latina, 26 in Europa, 1 in Medio oriente e 3 in Oceania. Dato lo spazio limitato non è stato possibile esaminare tutte le singole realtà: abbiamo pertanto deciso di fare delle scelte e descrivere lo stato dell’arte dell’HTA solo in alcuni Paesi, fra cui, ovviamente, l’Italia. Nella tabella in basso è riportato lo stato di attuazione dei processi di HTA nel mondo: in particolare il tipo di valutazione effettuata e le tecnologie oggetto di studio. Da notare come il processo di TA vero e proprio venga condotto in un numero estremamente esiguo di Paesi; non solo, anche laddove viene realizzata una analisi costo efficacia o costo utilità, questa si riferisce prevalentemente alla commercializzazione di farmaci innovativi e quasi mai a dispositivi medici o procedure.
Politiche di budgeting
X
X
ACE/ACU
X
HTA
Tecnologie valutate a livello nazionale
Tipo di valutazione
Paese Farmaci innovativi Dispositivi medici Procedure
Canada X X
Spagna X X
Belgio X
Danimarca X
Canada X
Finlandia X
Regno Unito X X
Ungheria X
Italia X
Norvegia X
Olanda X
Portogallo X
Svezia X
Stato dell’arte dei processi di HTA in Europa
e in Canada: tipo di valutazione e di tecnologie sottoposte a valutazione.
Francia X
Germania X
Canada X
Finlandia X
Regno Unito
Spagna X X
Fonte: modificato da Xxxxxx et al., 2006.
Stato di realizzazione dell’HTA Stati Uniti
I pionieri del TA sono stati sicuramente gli americani, i quali nel 1972 hanno dato vita all’Office of Technology Assessment (OTA). L’OTA è stato poi chiuso nel 1995, ma nei suoi ventiquattro anni di vita si è occupato di numerose problematiche legate alla salute pubblica e alla politica sanitaria nonché di altri argomenti di interesse generale come i trasporti, l’agricoltura e l’inquinamento. In seguito alla chiusura dell’OTA sono comunque nate altre agenzie simili fra cui la Agency for Healthcare Research and Quality (xxx.xxxx.xxx) la cui missione fondamentale è quella di indagare l’accesso ai servizi da parte dei cittadini, i costi sanitari e gli esiti. L’obiettivo principale è quello di identificare il modo più efficace per organizzare, gestire, finanziare e offrire una assistenza sanitaria di alta qualità, aumentando la qualità della vita dei pazienti. Attualmente l’agenzia è parte attiva in più di 90 progetti volti a testare e valutare le metodologie più efficaci per trasferire i risultati della ricerca nella pratica, per supportare e promuovere la pratica clinica basata sulle evidenze disponibili, per utilizzare le raccomandazioni in termini di migliore utilizzo delle risorse, per l’offerta di servizi sanitari, ma anche, e soprattutto, per i pazienti e per il sistema sanitario nel suo complesso. In USA, i rapporti di TA si riferiscono prevalentemente alla valutazione di dispositivi medici.
Canada
In Canada esistono attualmente sei agenzie che si occupano di TA, cinque di queste sono state create dalle autorità provinciali (British Columbia, Alberta, Saskatchewan, Ontario e Quebec) e solo una opera a livello nazionale.
L’attività di produzione di report di TA è molto intensa grazie al fatto che esistono dei precisi mandati a livello istituzionale per la realizzazione degli studi e anche grazie alla cultura e all’esperienza ormai pluriennale in materia. Inoltre, anche le università sono particolarmente attente all’HTA e si creano spesso collaborazioni con le agenzie per la realizzazione dei lavori. Nel periodo 1995-2001 sono stati prodotti 187 rapporti di TA di cui la maggior parte erano relativi a valutazioni su farmaci seguite da quelle sui servizi sanitari, diagnostica e screening, procedure e dispositivi medici. La maggior parte di essi ha valutato l’efficacia degli interventi, il costo, il rapporto costo-efficacia, la sicurezza, la pratica corrente e la
qualità della vita. Pochi si sono rivolti alla valutazione degli aspetti etici e legali.
Svezia
Le prime iniziative in tema di HTA risalgono alla metà degli anni ’70 e riguardano prevalentemente valutazioni economiche in campo sanitario realizzate dallo Swedish Medical Research Council, ma il vero e proprio consolidamento per la valutazione delle tecnologie in sanità è avvenuto con l’istituzione dello Swedish Council on Technology Assessment in Health Care (SBU, xxx.xxx.xx). Inoltre, oltre che a livello macro, sono poi nate molte altre iniziative che hanno anche coinvolto le Università, i medici e altri gruppi di professionisti sanitari (micro e meso). L’aspetto molto positivo è che nel corso degli anni l’impatto dei report di HTA è via via aumentato e i decision maker hanno fatto riferimento sempre più ai loro risultati per stabilire priorità e prendere decisioni.
Francia
In Francia l’attività di HTA coinvolge numerose agenzie, che collaborano fra loro, ognuna delle quali ha come interlocutore principale il Ministero della Salute. L’ANAES (Agenzia Nazionale per l’Accreditamento e la Valutazione in Sanità) è l’agenzia che si occupa più di altre del TA con particolare riferimento a nuovi dispositivi, procedure, programmi sanitari e offerta di
LA CARTA DI TRENTO
Si riporta qualche stralcio del comunicato re- lativo alla Carta di Trento; abbiamo infatti reputato importante mettere in luce una del- le poche iniziative italiane in tema di HTA. “Il 28 marzo 2006 è stata approvata la Car- ta di Trento sulla valutazione delle tecnolo- gie sanitarie. L’importante documento è frutto della riflessione maturata all’interno del Network Italiano di Health Technology Assessment (NI-HTA), che ha coinvolto an- che i partecipanti al I Forum italiano per la valutazione delle tecnologie sanitarie svol- tosi a Trento nello scorso mese di gennaio. La valutazione delle tecnologie sanitarie è uno degli strumenti di governance integrata che le strutture sanitarie, ai diversi livelli, possono utilizzare per gestire l’assistenza sanitaria. Può essere applicato al livello ge-
nerale delle scelte legislative e delle deci- sioni degli organismi di regolazione nazio- nale e regionale, al livello intermedio delle scelte gestionali nelle singole aziende sani- tarie e al livello delle scelte professionali compiute dai singoli nella pratica assisten- ziale quotidiana.
Le ulteriori tappe, nel corso dei prossimi mesi, saranno le seguenti:
1. presentazione dei risultati delle attività di ricerca del Network Italiano di Health Te- chnology Assessment a Pavia;
2. consolidamento delle attività del Network come motore riconosciuto di valutazioni multicentriche con particolare riferimento alle nuove tecnologie diagnostiche, anche attraverso l’accesso a fondi di ricerca;
3. contributo del Network Italiano alle atti-
vità del Network Europeo (EUnetHTA) finan- ziato dall’Unione Europea;
4. realizzazione del II Forum Italiano per la Valutazione delle Tecnologie Sanitarie a Trento nel gennaio 2007.
La Carta di Trento vuole rappresentare una guida per tutte le parti interessate a rende- re sempre più esplicito e trasparente il pro- cesso di valutazione delle tecnologie sani- tarie in Italia, riconoscendo che la scelta di tali tecnologie deve essere basata su solide competenze professionali, deve svolgersi nel rispetto dell’autonomia propria dei di- versi livelli decisionali e deve comportare una chiara assunzione di responsabilità nei confronti di tutte le parti interessate all’as- sistenza sanitaria.”
servizi sanitari. L’agenzia è nata alla fine degli anni ’80 e fin da allora ha avuto una attività piuttosto intensa. I numerosi rapporti possono avere una natura puramente informativa sullo stato dell’arte delle tecnologie, ma anche una natura decisionale, ovvero in grado di influenzare (e quindi avere un impatto) le scelte di politica sanitaria. In genere, le autorità sanitarie prendono in considerazione prevalentemente quei report che riguardano il budget, le scelte sociali e le priorità politiche.
Regno Unito
L’istituzione di riferimento in UK è il National Institute of Clinical Excellence (NICE - xxx.xxxx.xxx.xx) il quale, tecnicamente, opera solo nel territorio inglese anche se, informalmente, influenza le scelte di sanità pubblica in Scozia e nell’Irlanda del Nord. Il NICE è un organo piuttosto recente (1999) ma ha una attività di HTA molto intensa. Il ministero della salute inglese richiede valutazioni delle tecnologie al NICE sulla base dell’effettivo beneficio in termini sanitari di una nuova tecnologia nonché dell’effettivo miglioramento nella razionalizzazione delle risorse del sistema sanitario nel suo insieme: più in dettaglio, il NICE si occupa di tre aree molto vaste che comprendono la sanità pubblica, la valutazione delle tecnologie e la pratica clinica. È importante sottolineare che in Italia, dove non è presente un organismo
di riferimento per l’HTA, molto spesso si fa riferimento all’attività del NICE vista anche la forte somiglianza fra il sistema sanitario italiano e quello inglese.
Spagna
La situazione in Spagna è molto simile a quella canadese: esiste infatti una agenzia di HTA che è stata costituita a livello centrale (AETS - Agencia de Evaluaciòn de Tecnologìas Sanitarias) e altre tre agenzie che operano a livello locale, in particolare, in Andalusia (AETSA - Agencia de Evaluaciòn de Tecnologìas Sanitarias de Andalucia), in Catatonia (CATHA – Agencia Avaluaciò de Tecnologia Mèdica) e nei Paesi Baschi (Osteba – Osasunerako Teknologien Ebaluaketa). L’agenzia catalana è l’unica che viene finanziata (anche se in piccola parte, 20%) dal settore privato, rimanendo comunque un ente no profit. Fra le quattro, inoltre, è anche quella maggiormente attiva in termini di ricerca e produzione di rapporti di HTA. Un end point molto rilevante per le agenzie spagnole è, ovviamente, la disseminazione e l’impatto delle ricerche come, per esempio, l’eventuale cambiamento della pratica clinica, l’implementazione di nuovi programmi etc. Finora, invece, l’HTA è stato visto come un processo in grado di informare (più che consigliare) le autorità sanitarie su aspetti clinici, economici ed etici delle tecnologie. Va comunque sottolineato che utilizzo dell’HTA per la scelta delle decisioni sta
sensibilmente aumentando negli ultimi anni anche se, purtroppo, l’analisi che viene maggiormente utilizzata è quella relativa all’impatto sul budget.
Italia
Fino al 2003, l’Italia non aveva una agenzia nazionale responsabile per la promozione dell’HTA, per cui quantificare con precisione il numero di ricerche di TA risulta alquanto difficile. La Finanziaria 2003 ha istituito la CUD (Commissione Unica sui Dispositivi Medici) in qualità di organo consultivo tecnico del Ministero della Salute che ha il compito di definire e aggiornare il Repertorio dei dispostivi medici, di classificare tutti i prodotti in classi e sottoclassi specifiche. Nell’ambito delle proprie attività, ha istituito un gruppo di lavoro con il compito di valutare nuove e vecchie tecnologie mediche che richiedono l’uso di dispositivi medici, analizzarne i benefici clinici e i costi correlati al fine di redigere delle schede informative sui dispositivi medici valutati. Scopo di queste schede è offrire uno strumento informativo e un’occasione di confronto con gli operatori sanitari che, negli ospedali e nelle ASL, sono a vario titolo coinvolti nella valutazione e selezione dei dispositivi medici, nonché con i fornitori dei dispositivi. Oltre alla CUD è importante sottolineare che ci sono delle realtà locali che fanno ben sperare per la promozione e lo sviluppo dell’HTA in Italia. Infatti, mentre a livello centrale non sono stati realizzati dei veri e propri progetti di TA, sono stati conclusi, a livello regionale, studi interessanti (Veneto, Provincia Autonoma di Trento), anche se l’impatto del TA in Italia è ancora molto esiguo. Vale la pena dire che, sempre nel 2003, sulla base di un progetto finanziato dal Ministero della Salute, è stato costituito il Network Italiano di Health Technology Assessment (vedi il riquadro a pag. 28).
È in ogni caso necessario uno sforzo ancora maggiore fra tutti gli attori coinvolti, affinché il TA possa diventare un utile ed efficace strumento di governo sanitario.
Conclusioni
Nonostante il fiorire in Europa e nel mondo dei programmi di HTA, il vero grande ostacolo affinché il technology assessment diventi uno strumento di politica sanitaria rimane quello che alcuni autori hanno definito come “paradox evidence based medicine versus evidence based policy”. I decision maker, da un lato, hanno l’obbligo di garantire i presupposti per l’attuazione del processo di HTA nel momento in cui lo
richiedono, dall’altro devono garantire anche la trasparenza nell’accettare i risultati delle ricerche. Scopo principale del processo di HTA è quello di consigliare i decisori sulla base delle migliori evidenze disponibili: il problema nasce perché, molto spesso, l’impatto degli studi è scarso se non nullo.
Inizialmente l’HTA ha subito una evoluzione in un ambiente non politicizzato, ma anzi supportato da una infrastruttura istituzionale piuttosto forte, e ciò ha permesso che l’HTA raggiungesse tutti gli attori del sistema Sanità. Tuttavia, ad oggi, il sistema politico vede l’HTA come una soluzione tecnocratica a difficili scelte politiche e questo espone il processo stesso a minacce reali.
Xxxxxxx Xxxxxxx
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Evaluations of health interventions in social insurance-based countries: Germany, the Netherlands and Austria
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In libreria
I lemmi della medicina basata sulle evidenze
I
l clinico si trova quotidianamente davanti ad un doppio obbligo: occuparsi del paziente come individuo ammalato e come persona ed utiliz- zare i metodi dell’epidemiologia e della medici- na basata sulle prove come strumenti per la ve- rifica della diagnosi e per la terapia.
È questa sorta di ‘manifesto’ (esplicito fin dal- l’introduzione dell’autore) a fare da sfondo al bellissimo tomo di Xxxxx Xxxxxxxx (in collabora- zione con Xxxxx Xxxxxx) Medicina basata sulle evidenze e centrata sul paziente (Il Pensiero Scientifico Editore, Roma 2006).
Il libro è strutturato come un dizionario conte- nente 41 voci che approfondiscono con una in- vidiabile chiarezza espositiva altrettanti temi centrali per cogliere in ogni sua sfaccettatura l’EBM, ovvero il nuovo (seppure dobbiamo risa- lire a 14 anni fa quando il termine venne conia- to da Xxxxxx et al. su JAMA) paradigma per la pratica medica che forse rimane a tutt’oggi inapplicato o adottato solamente in parte.
Alcune delle voci incluse fanno riferimento ad un unico argomento ed in particolare al rappor- to tra paziente e medico (approccio a un nuovo paziente, assistenza a un paziente in prossimità della morte, empatia e medicina centrata sul paziente, presentazione di un caso clinico), alla diagnosi (diagnosi, esame fisico-segni fisici, esa- mi, probabilità pre test-post test, rapporto di verosimiglianza o likelihood ratio, sensibilità- specificità, sintomi e segni fisici, valore preditti- vo), alla professione medica (conflitto di inte- ressi, educazione medica continua e aggiorna- mento, errore medico, etica, intuizione, strate- gie euristiche), ma non mancano gli approfondi- menti sulle decisioni terapeutiche e sulla pro- gnosi, così come sul governo clinico e sull’ap- propriatezza, sull’utilizzo della letteratura scien- tifica nella medicina clinica, sulle revisioni si- stematiche, sulle metanalisi e sul disegno di stu- dio per eccellenza, gli studi clinici randomizzati. Ogni capitolo è arricchito da interessanti qua- dri di approfondimento, esempi e presentazio- ne di scenari, e punti chiave riassuntivi che fa- cilitano la lettura/studio: non posso evitare di
menzionare la ricchezza di citazioni, spesso spi- ritose, sempre attinenti la tematica di volta in volta affrontata.
Al libro qui presentato – come d’altro canto alla maggior parte dei dizionari – si può impu- tare il difetto di trattare solo superficialmente alcuni temi fondamentali (per esempio, quan- do si parla di efficacia, efficacy, effectiveness, appropriatezza e revisioni sistematiche si ha l’impressione che l’argomento si esaurisca fin troppo presto), ma è bene ricordare come il volume è in realtà un prezioso punto di par- tenza per uno studio più approfondito, che viene comunque agevolato dalla presenza per ciascuna voce di puntuali e aggiornate referen- ze bibliografiche.
Le sue caratteristiche ne fanno uno strumento che si presta a ripetute consultazioni piuttosto che ad una lettura ‘dall’inizio alla fine’: sarà di certo utile a studenti e medici in formazione, ma anche alle riflessioni di medici professio- nalmente maturi e operatori di sanità pubbli- ca ed infermieri e – perché no? – a stimolare ed incuriosire economisti, sociologi e statistici sanitari.
Xxxx Xxxx Xx Xxxxx
Agenzia Sanitaria Regionale, Xxxxxx Xxxxxxx
In libreria
Comunicazione
e lavoro di gruppo
L
a comunicazione riguarda tutti e non possiede contrario, non esiste cioè la non-comunicazio- ne. Esiste, però, ed è esperienza comune so- prattutto in ambito lavorativo, la comunicazio- ne inefficace, che non centra l’obiettivo. Comu- nicare col tuo staff. Strategie per migliorare la coesione e il lavoro di gruppo, a cura dell’Ame- rican Medical Association (Il Pensiero Scientifi- co Editore, Roma 2006; presentazione di Igna- zio Xxxxxx), sebbene faccia riferimento al mon- do lavorativo americano, offre spunti interes- santi per l'analisi del contesto in cui si opera, con suggerimenti da applicare alla propria realtà.
Il libro si articola in due parti, suddivise in nove capitoli.
La prima prende in considerazione il modello comunicativo e ciò che la comunicazione si propone di realizzare (cap. 1). Interessante è, a mio avviso, l’analisi del modo in cui affiorano problemi comunicativi che possono provocare il deterioramento delle relazioni interpersona- li. Da qui l’importanza rivestita dall’efficacia del processo comunicativo, indissolubilmente con- nessa con la scelta del linguaggio, delle moda- lità espressive e dell’atteggiamento più appro- priato al contesto e/o all’obiettivo. Queste va- lutazioni sono poi completate dall’analisi sui modi più consoni di porre ed accettare le criti- che, di risolvere i conflitti e di creare coesione all'interno di uno staff (cap. 2).
Chiude questa prima parte il terzo capitolo, in cui sono analizzate le diversità culturali: nel li- bro sono, ad esempio, confrontati possibili comportamenti di membri di uno staff apparte- nenti ad etnie e/o religioni diverse; ciò pone in luce come quanto può essere ‘normale’ o spiri- toso per qualcuno, di fatto, può rivelarsi inop- portuno o addirittura quasi offensivo per altri. La seconda parte di questo volume si incentra sulle tecniche di comunicazione. Nel quarto capitolo vengono analizzate le diverse tecni- che di management. Nei due successivi la trat- tazione si concentra in particolar modo sul- l’empowerment e la collaborazione. Entrambe sono indispensabili: l’empowerment riesce a dare ‘autonomia collaborativa’ ad uno staff, la comunicazione diventa così uno strumento im-
portante nel raggiungi- mento di obiettivi comu- ni. In particolare, le aziende e le organizza- zioni sociosanitarie sono sempre più sottoposte, qualunque sia il contesto di cui si parla, america- no o italiano, a moltepli- ci pressioni provenienti dall’ambiente socioeco- nomico. La necessità di migliorare la qualità dei servizi, valorizzando le risorse umane e tecnolo- giche, fa sì che esse deb-
bano avere le capacità di adeguare i modelli organizzativi e le logiche operative di finanzia- mento. Avere tecniche, strumenti, informazio- ni più approfondite per praticare una buona comunicazione si rivela da tempo un’esigenza irrinunciabile nell’ambiente sanitario, soprat- tutto oggi, in un contesto di accentuata gestio- ne manageriale del settore. In questo processo di ‘ristrutturazione’ il team ed il lavoro di grup- po rappresentano sicuramente una delle basi di un nuovo modello di assistenza sanitaria che consente l’integrazione delle diverse pro- fessionalità, la condivisione delle informazioni e l’ottimizzazione dei percorsi assistenziali, ma soprattutto il raggiungimento di un obiettivo comune prioritario. Capacità di comunicare in modo efficace e abilità nella leadership costi- tuiscono conseguentemente le chiavi per gesti- re efficacemente questo cambiamento. Saper creare un ‘team armonioso’ può sicuramente favorire il raggiungimento di obiettivi comuni (cap. 7). La possibilità di utilizzare al meglio le nuove tecnologie è il tema dell'ottavo capitolo, in cui viene fatta soprattutto un’attenta pano- ramica su tutti i mezzi comunicativi disponibili e sul loro uso più appropriato.
Chiude il libro il capitolo sulla capacità/neces- sità di tenere alto il morale di uno staff, argo- mento meno banale di quanto potrebbe sem- brare in apparenza, perché può contribuire a creare all'interno di un team lavorativo quella coesione auspicata.
Xxxxxxx X’Xxxxx
USL 11, Empoli
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