Actualidad Jurídica Iberoamericana, núm. 2, febrero 2015, pp. 157-210.
LA SCELTA DELLA DISCIPLINA APPLICABILE AI C.DD.
“VITALIZI IMPROPRI”. RIFLESSIONI IN TEMA DI ALEATORIETÀ DELLA RENDITA VITALIZIA E DI TIPICITÀ E ATIPICITÀ NEI CONTRATTI
DEFINING THE RULES APPLICABLE TO THE ALLEGED
“VITALIZI IMPROPRI”. HAZARD AND LIFE ANNUITIES
Actualidad Jurídica Iberoamericana, núm. 2, febrero 2015, pp. 157-210.
Fecha entrega: 20/09/2014 Fecha aceptación: 29/09/2014
Xxxxxxxx Xxxxxxxxxxx
Professore Ordinario di Instituzioni di diritto privato Seconda Università degli Studi di Napoli
RESUMEN: Il lavoro affronta il problema della disciplina applicabile ai c.dd. “vitalizi impropri”, rifuggendo dal metodo tipologico e da astratte e rigide classificazioni poco sensibili all’analisi del concreto regolamento di interessi perseguito dall’atto di autonomia. La riflessione si propone, altresí, di superare alcuni luoghi comuni come, ad esempio, l’utilità delle teorie dell’assorbimento e della combinazione, in caso di contratti misti, e la necessaria o essenziale fungibilità, periodicità e aleatorietà della rendita vitalizia tipica.
PALABRAS CLAVE: rendita vitalizia, “vitalizi impropri”, aleatorietà, tipicità e atipicità, disciplina applicabile.
ABSTRACT: The essay stems from the current efforts in defining the rules applicable to the alleged “vitalizi impropri”. The aims are to distance from dogmas and conceptual classifications that are blind to the concrete interests at stake and, as consequence, to debunk some common fallacies (i.e., the utility of traditional theories about mixed contracts; the idea of fungibility, periodicity and hazard as essential parts of typical life annuity).
KEY WORDS: life annuity, “vitalizi impropri”, hazard, contract classifications, rules applicable.
Sumario: I. L’inquadramento normativo dei c.dd. “vitalizi
impropri” e l’inutilità del metodo tipologico ai fini della scelta della disciplina applicabile. Rinvio. – II. La necessità di individuare la RATIO dell’art. 1878 c.c. al fine di valutarne l’applicabilità ad un atto di autonomia. – III. Interessi delle parti e modulazione della regola applicabile al “vitalizio improprio”.
– IV. SEGUE. L’IMPORTANZA DEL CASO CONCRETO, I RISCHI DEL METODO TIPOLOGICO E LA SCELTA DEL “GIUSTO RIMEDIO”. – V. IMPOSSIBILITÀ DI CONFIGURARE IL “VITALIZIO IMPROPRIO” COME CATEGORIA UNITARIA. –
VI. I REQUISITI STRUTTURALI DELLA RENDITA VITALIZIA TIPICA. IN PARTICOLARE, LA FUNGIBILITÀ DELLA PRESTAZIONE. – VII. SEGUE. ALEA DEL CONTRATTO E CONTROLLO DI MERITEVOLEZZA DEGLI INTERESSI PERSEGUITI. – VIII. CONCLUSIONI.
I. L’inquadramento normativo dei c.dd. “vitalizi impropri” e l’inutilità del metodo tipologico ai fini della scelta della disciplina applicabile. Rinvio.
Con riferimento ai vitalizi alimentari, assistenziali, al contratto di mantenimento, la dottrina e la giurisprudenza si affannano da tempo a stabilire se queste forme negoziali siano tipiche o atipiche, ovvero siano dentro o fuori dallo schema codicistico della rendita vitalizia. Ciò al fine di risolvere il problema, ad esempio, dell’applicabilità ai vitalizi impropri della norma speciale prevista dall’art. 1878 c.c. (in tema di rendita vitalizia) che stabilisce che, in caso di inadempimento della prestazione, il creditore della rendita non può domandare la risoluzione del contratto secondo la disciplina generale (art. 1453 c.c.), ma può soltanto far sequestrare e vendere i beni del debitore al fine di soddisfare, anche per equivalente, il suo interesse.
Al riguardo alcuni sostengono che i vitalizi impropri (tout court) sono mere sottospecie della rendita vitalizia (e, di conseguenza, la norma speciale dell’art. 1878 c.c. sarebbe ad essi applicabile), altri affermano che tali fattispecie, al contrario, sono da considerare contratti atipici (ai quali, pertanto, non sarebbe applicabile l’art. 1878 x.x., xxxxx xx xxxxxx xxxxxxxx xx xxx. 0000 x.x. xxxx’azione di risoluzione). C’è poi chi complica le cose richiamando il concetto di “tipicità sociale” (utile soltanto a ricordare all’interprete l’esistenza di contratti non disciplinati dalla legge ma comunque diffusi nella prassi), al fine di sostenere che, sia pure atipici, i vitalizi impropri
dovrebbero comunque essere sottoposti alle medesime regole della rendita vitalizia1.
I fautori dell’atipicità dei vitalizi impropri pongono l’accento sull’infungibilità della prestazione e sulla natura intuitus personae dell’obbligazione di fare 2 ,
* Lo scritto, con l’aggiunta delle note bibliografiche, riproduce la relazione tenuta il 10 marzo 2014 in occasione del Convegno, in tema di “I “vitalizi impropri” tra tipicità e atipicità”, organizzato dal Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Napoli, Torre Annunziata e Nola in occasione della pubblicazione del volume di QUADRI, R.: Rendita vitalizia e tipicità del contratto, Napoli (2012) che ha inaugurato la collana dei quaderni della rivista Il Foro Napoletano. Il saggio è destinato agli Studi in onore di Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxx.
1 Sul punto, cfr. le riflessioni di AULETTA, T.A.: Alimenti e solidarietà familiare, Milano (1984),
p. 200 ss.; nonché di XXXXXXXX, G.: Xxxxxx in tema di vitalizio assistenziale, Contratti (2000), p. 871 ss.
2 XXXXXXX XXXXXXX, L.: “In tema di “contratto di mantenimento””, Giur. compl. Cass. civ.
(1951), III, p. 55; XXXXXXXX, A.: “Della rendita perpetua e della rendita vitalizia”, Comm.
c.c. Scialoja e Branca, Bologna-Roma (1966), p. 77 s.; XXXXX, A.: “Vitalizio”, Noviss. dig. it., XX, (1975), p. 1020; XXXX, E.: “Contratto di mantenimento e proprietà temporanea” (nota a Cass., 11 novembre 1988, n. 6083), Foro it. (1989), I, c. 1165; XXXXXXXX, M.: “Contratti atipici: validità, elasticità del tipo, disciplina applicabile”, Corr. giur. (1992), p. 896; XXXXXXX, F.: “Xxxxxxx (dir. civ.)”, Enc. giur. Treccani, XXVI (1991), p. 10; XXXXXXXXXX, C.: “Autonomia contrattuale e tutela dell’anziano”, Rass. dir. civ. (1990), p. 100 ss.; XXXXXXX, P.L.: “Contratto di mantenimento e vitalizio alimentare”, Vita not. (1992), p. 1437 ss.; XXXXXXXX, U.: “Contratto innominato di mantenimento e divieto di risoluzione ex art. 1878 cod. civ.”, Dir. giur., 1978, p. 518 ss.; XXXXXXX, M.: Regole generali e regole speciali nella disciplina del contratto, Torino (2005), p. 259 ss.; XXXXXXXX, G.: “Atipicità contrattuale e vitalizio alimentare”, Contratti (1999), p. 133; PALAZZO, A.: Istituti alternativi al testamento, Tratt. dir. civ. CNN diretto da X. Xxxxxxxxxxx, Napoli (2003), p. 155 ss.; DE ROSA, R.: “L’obbligazione di mantenimento e le sue fonti”, Rass. dir. civ. (2004), p. 60 ss.; XXXX, M.: “Contrattualizzazione dell’assistenza”, Familia (2005), p. 91 ss.; XXXXX, R.: Xxxxxxxxx e mercato, Torino (2011), p. 475 ss.; ID., “I vincoli derivanti dalle rendite”, in ID. e XXXXXX, A. (a cura di): I contratti di destinazione patrimoniale, in Tratt. dei contratti diretto da Xxxxxxxx P. ed Xxxxxxxxx, E., Torino (2014), p. 296 ss., il quale sul presupposto dell’atipicità sembra sottrare i “vitalizi impropri” anche alla sfera di competenza dell’art. 1350, n. 10, c.c. salvo non abbiano ad oggetto diritti immobiliari (in quest’ultimo caso l’onere della forma sarebbe già richiesto dall’art. 1350, n. 1, c.c.). Anche questa prospettiva, come vedremo, non sembra condivisibile poiché l’obbligo della forma scritta non dipende dalla tipicità o dalla atipicità del negozio ma dagli interessi che le prescrizioni di forma tutelano, sí che non sembra potersi escludere a priori l’applicazione dell’art. 1350, n. 10, c.c. ai vitalizi impropri sia per la particolare rilevanza degli interessi convolti, sia per la necessità di una formalizzazione e di una più attenta ponderazione della volontà, in particolare espressa dal vitaliziato. Nella medesima direzione, insiste sulla variabilità della prestazione in ragione dei bisogni del beneficiario VALSECCHI, E.: “Natura giuridica e fonti della rendita fondiaria”, Arch. giur. (1959), CLVII, 1-2, p. 191 ss. In giurisprudenza, cfr., tra le tante, Cass., 15 febbraio 1983, n. 1166, Foro it., 1983, I, c. 933; Cass., Sez. un., 18 agosto 1990, n. 8432, Riv. not., 1991, p. 174; Cass., 30 gennaio 1992, n. 1019, Giur. it., 1994, I, 1, c. 822 ss.; Cass., 7 febbraio 1992, n. 1401, ivi, 1993, I, 1, p. 1784; Cass., 19 febbraio 1996, n. 1280, Foro it., 1996, I, c. 1241; Cass., 9 ottobre 1996, n. 8825, ivi, 1997, I, c. 2227; Giust. civ., 1996, I, p. 3143; Cass., 13 giugno 1997, n. 5342, Notariato, 1998, p. 235, con nota di XXXXXX, M.: Risoluzione del contratto di mantenimento; Cass., 8 settembre 1998, n. 8854, Contratti, 1999, p. 131 ss., con nota
confondendo le prestazioni di fare con le prestazioni infungibili e dimenticando che la fungibilità non è una qualità presumibile a priori ma dipende dal concreto assetto degli interessi in gioco3.
Al contrario, i fautori dei vitalizi impropri quali sottospecie (o sottotipo) della rendita vitalizi4, sminuiscono eccessivamente le peculiarità funzionali e gli interessi in concreto coinvolti dalla singola operazione.
L’importanza di analizzare sempre il concreto assetto di interessi emerge con un esempio. Se è stabilito dalle parti che gli alimenti devono prestarsi in denaro (oppure che, in caso di inadempimento, il vitaliziante può liberarsi dall’obbligo di prestare il mantenimento in natura versando al vitaliziato una somma di denaro), come si qualifica il contratto? Rendita vitalizia o vitalizio improprio?
Al riguardo v’è chi afferma che, anche se gli alimenti sono dovuti in danaro, “la soluzione dell’assimilazione” alla disciplina della rendita vitalizia è da respingere “poiché oggetto della prestazione del vitaliziante sono sempre i
di XXXXXXXX, X.: “Atipicità contrattuale e vitalizio alimentare”; Giur. it., 1999, I, c. 726, con nota di XXXXXXXXXX, R.: “Il vitalizio alimentare e il divieto di risoluzione ex art. 1878 c.c.”; Cass., 8 gennaio 2000, n. 123, Studium iuris, 2000, p. 1136; Cass., 29 maggio 2000, n. 7033, Contratti, 2000, p. 869 ss., con nota di ID., “Ancóra in tema di vitalizio assistenziale”; Cass., 24 giugno 2009, n. 00000, Xxxx xx., 2010, I, c. 510; Nuova giur. civ. comm., 2010, I, p. 177, con nota di XXXXXX, A.I.: “Nuovi tasselli per la disciplina del vitalizio alimentare”; Cass., 19 luglio 2011, n. 15848, Giust. civ., 2011, 10, I, p. 2279; Cass., 14 giugno 2012, n. 9764, Mass.
Giust. civ., 2012, p. 782; Cass., 25 marzo 2013, n. 7479, Guida dir., 2013, p. 64; nonché Cass., 14 novembre 2013, n. 25596, Dir. giust. Online, 2013. Nella medesima direzione, per la giurisprudenza di merito, cfr., di recente, Trib. Torre Annunziata, 26 aprile 2011, Foro nap., 2012, p. 231, con nota di XXXXXX, R.: “La mancanza dell’alea, nel contratto atipico di vitalizio alimentare o assistenziale, può ravvisarsi nello squilibrio sopravvenuto tra le prestazioni? Il grave inadempimento del vitalizzante comporta la risoluzione contrattuale?”, ove si pone l’accento sull’infungibilità della prestazione e sulla natura intuitus personae dell’obbligazione di fare, e Trib. Lucca, 10 gennaio 2014, n. 38, Dejure online, che considera il vitalizio alimentare “contratto autonomo e distinto da quello nominato di rendita vitalizia”, pur equiparando le due fattispecie quanto ad aleatorietà.
3 Per questa via, QUADRI, R.: Xxxxxxx xxxxxxxxx e tipicità del contratto, Napoli (2012), p. 119 ss., spec. p. 129 ss.
4 Il vitalizio alimentare costituisce “una sottospecie del vitalizio oneroso, ai cui princípi generali, pertanto, deve pur sempre essere ricondotto”: XXXXXXXX, M.: La rendita vitalizia, Xxxxx. dir. civ. Vassalli, Torino (1958), p. 47 s. In linea, MICCIO, R.: Dei singoli contratti e delle altre fonti delle obbligazioni, Comm. cod. civ. redatto a cura di magistrati e docenti, Libro IV, Delle obbligazioni, a cura di Xxxxxx X. e Mirabelli G., IV, Torino (1959), p. 249; e LUMINOSO, A.: “Vitalizio alimentare e clausole risolutive per inadempimento”, Riv. dir. civ. (1966), p. 482. Nello stesso senso, sotto la vigenza del Codice civile del 1865, BUTERA, A., Del contratto vitalizio, Torino (1935), p. 271. In giurisprudenza, Cass., 24 ottobre 1978, n. 4801, Giust. civ.
(1979), p. 493.
mezzi di vita […] e non una comune prestazione pecuniaria”5. Credo che questa affermazione non solo non tenga conto del concreto assetto di interessi, ma confonde la natura della prestazione (che può essere in danaro) con l’interesse, anche non patrimoniale, che quella determinata prestazione soddisfa6.
Ai fini della scelta della disciplina applicabile, nessuna delle prospettive indicate risulta condivisibile7. Tutte articolano il ragionamento secondo un metodo da superare, quello tipologico e della sussunzione, che si limita a inquadrare e incasellare fattispecie senza analizzare e valutare gli interessi perseguiti e le peculiarità del caso concreto, con conseguenti forzature e distorsioni8 . Sarebbe opportuno, piuttosto, analizzare la ratio delle singole
5 XXXXXXX, X.X.: Xxxxxxxx e solidarietà, cit., p. 202. Addirittura, poi, vi è autorevole dottrina che afferma che, qualora il vitalizio assistenziale si concretizzi in una prestazione di danaro (o altra cosa fungibile), pur diretta al soddisfacimento di bisogni alimentari ma determinata a priori secondo parametri certi e preventivamente fissati (sí che l’alea sarebbe limitata, come nella rendita tipica, soltanto alla durata della vita e non anche dai bisogni volubili del beneficiario), ci si troverebbe non piú di fronte ad una sottospecie di rendita ma di fronte ad una rendita tipica, avente ad oggetto una somma di danaro o altra cosa fungibile. Cfr. XXXXXX, X.: “La rendita perpetua e la rendita vitalizia”, in Tratt. dir. priv. Xxxxxxxx, VIII, Torino (1985), p. 35; VALSECCHI, E.: Natura giuridica e fondi della rendita, cit., p. 193.
6 Richiama l’attenzione sull’importanza della distinzione già GIORGIANNI, M.: L’obbligazione, Milano (1968), spec. p. 58 ss., nel suo studio sui caratteri fisionomici del rapporto obbligatorio. Questo anche l’insegnamento di XXXXX, E.: Teoria generale delle obbligazioni, I, Prolegomeni: funzione economico-sociale dei rapporti d’obbligazione, Milano (1953), spec. p. 54 ss.
7 XXXXXXX, X.: “Xxxxxxx (dir. priv.)”, Enc. dir., XXXIX, Milano (1988), p. 873, afferma che “il problema non dovrebbe essere impostato nel senso della sussumibilità o no del negozio sotto il tipo contrattuale oneroso di rendita vitalizia al fine di applicarne in blocco la disciplina, quanto, piuttosto, di individuare quest’ultima in relazione alla concreta sistemazione degli interessi”.
8 Ribadisce, anche di recente, che “[n]on si sussume, si valuta sempre”, PERLINGIERI, P.: “Il diritto come discorso? Dialogo con Xxxxxxx Xxxxxxx”, in Rass. dir. civ. (2014), p. 786. L’abbandono delle logiche dogmatiche e il riconoscimento della continua tensione tra fatto e norma [ID., Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli (2006), passim, spec. pp. 566 ss. e 597 s., e ID. e XXXXX, P.: Nozioni introduttive e princípi fondamentali del diritto civile, Napoli (2004), p. 61] consentono di ricostruire il regolamento del caso concreto attingendo dall’intero sistema ordinamentale, inteso nella sua complessità. In questa direzione, non si ravvisano impedimenti rispetto all’idea di applicare le medesime regole a contratto e testamento, atteso che, a dispetto delle particolarità strutturali, possono assumere “medesime funzioni e medesimi effetti” [PERLINGIERI, G.: “La previsione testamentaria di arbitrato. Riflessioni in tema di tipicità e atipicità nel testamento”, in corso di pubblicazione; ID., “Invalidità delle disposizioni “mortis causa” e unitarietà della disciplina degli atti di autonomia negoziale”, Dir. succ. fam. (2015), in corso di pubblicazione]. In merito all’applicabilità delle norme sull’invalidità dei contratti all’atto di revoca delle disposizioni testamentarie v. ID., “La revocazione delle disposizioni testamentarie e la modernità del pensiero di Xxxxx Xxxxxx. Natura della revoca, disciplina applicabile e criterio di incompatibilità oggettiva”, Rass. dir. civ. (2013), spec. p. 762 ss.: i criteri di compatibilità, adeguatezza e congruenza “non consentono al giurista di
disposizioni in tema di rendita vitalizia per verificare se ciascuna, pur appartenendo a un gruppo di norme pensate per un astratto contratto, possa comunque risultare compatibile e adeguata9 a soddisfare gli interessi in concreto perseguiti dalle parti (creditore e debitore) e sottesi al regolamento negoziale.
Che questa sia la strada corretta trova conferma non soltanto in un approccio funzionale e nel concetto di causa concreta, ma anche nella circostanza che tanto i fautori della tipicità, quanto i difensori dell’atipicità dei vitalizi
rimanere ingessato nella distinzione tra atto inter vivos e mortis causa e tra atto unilaterale e bilaterale, ma, al contrario, di individuare la disciplina applicabile non già tramite astratte e acritiche trasposizioni normative tratte dal diritto contrattuale, bensí attraverso un attento esame delle singole e specifiche peculiarità che presentano le diverse fattispecie concrete. La scelta della normativa applicabile alla revocazione testamentaria deve prescindere sia da profili meramente strutturali, sia dal nomen iuris […], sia dalla natura inter vivos o mortis causa dell’atto in esame […] ma deve dipendere dalla sussistenza nell’atto in oggetto del medesimo interesse sostanziale protetto”.
Le forzature del metodo tipologico si rinvengono anche sotto altri profili che prescindono dal tema della disciplina applicabile per toccare, ad esempio, il problema del “numero delle cause in senso materiale” che “non è chiuso (…) per vero, né per quanto concerne il negozio ad effetti obbligatori, né per quanto concerne il negozio ad effetti reali”. Si è rilevato, infatti, che “[o]ccorre che o direttamente (negozio tipico) o indirettamente (negozio atipico o innominato) il diritto riconosca che la fattispecie singola risponde ad un interesse degno di tutela, secondo una valutazione economico-sociale, per sua natura variabile nei diversi momenti storici e nelle diverse società. Ciò non vuol dire però che, come spesso si afferma, il numero di cause, intese in senso materiale, cioè come l’intento economico-giuridico del negozio, sia un numeto chiuso. È, naturalmente, chiuso il numero delle cause riconosciute in via specifica (negozio tipico), ma non può esserlo quello delle cause riconosciute in via generica, e cade nell’eccesso opposto la dottrina che pretende che i contratti innominati debbano ricondursi tutti alle cause riconosciute tipicamente, o a combinazioni di esse, così come sembra un eccesso dire che, dal punto di vista materiale, cioè del contenuto del contratto, il principio della libertà contrattuale è mera illusione”. Xxxx XXXXXXXXX, C.: “Rilevanza dell’intento giuridico in caso di divergenza dall’intento empirico”, estratto da Studi Economico-Giuridici della R. Università di Cagliari, Anno XXIV, Milano (1936), pp. 34 e 9, il quale, distinguendo, ad esempio, il problema del numerus clausus dei diritti reali dal problema del numerus clausus dei negozi ad effetti reali, chiarisce che “può rientrare nell’ambito della privata autonomia il negozio ad effetti obbligatorî che non corrisponde ad alcuno schema causale tipico. Per identità di ragioni, può rientrare nell’ambito della autonomia privata anche un negozio ad effetto reale che realizzi un intento economico-sociale atipico, cioè non corrispondente ad un dato schema legislativamente fissato in via specifica” (p. 31).
9 Sulla differenza tra i criteri di compatibilità e adeguatezza (o congruenza) ai fini della scelta della disciplina applicabile ai negozi si rinvia a PERLINGIERI, G.: “Il patto di famiglia tra bilanciamento dei princípi e valutazione comparativa degli interessi”, Rass. dir. civ. (2008), p.
190 ss., ove si esclude l’applicabilità della revocazione delle donazioni per causa di ingratitudine (art. 801 c.c.) e per sopravvenianza di figli (art. 803 c.c.) al patto di famiglia nonostante la sua natura di liberalità non donativa. Ulteriori risvolti applicativi del metodo sono descritti in ID., L’inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di validità nel diritto italo-europeo, Napoli (2013), passim, spec. pp. 85 s. e 118 ss.
impropri utilizzano il requisito dell’alea per sostenere la propria tesi10. Infatti, partendo dal presupposto secondo il quale nei vitalizi impropri l’alea sarebbe doppia (perché dovuta non soltanto alla incerta durata della vita del vitaliziato, ma anche all’incertezza circa il contenuto della prestazione del vitaliziante, la quale dipende, di regola, dai bisogni personali del creditore) 11, i fautori dell’atipicità sostengono che questo è un elemento di differenziazione rispetto alla rendita vitalizia. Viceversa, i sostenitori della tipicità evidenziano che la doppia alea rappresenta una ulteriore conferma della tipicità dei vitalizi impropri (poiché l’alea è requisito essenziale della rendita); in altre parole, affermano che, se l’alea è un requisito essenziale della rendita, il fatto che i vitalizi impropri ne abbiano una doppia è un’ulteriore conferma della loro tipicità. Questo modo di ragionare è non soltanto contorto ma anche fallace, sia perché uno stesso aspetto è utilizzato per provare soluzioni opposte, sia perché, come vedremo, è tutto da dimostrare, nonostante la giurisprudenza e la dottrina ormai lo diano per scontato12, che l’alea sia un requisito essenziale della rendita.
Le linee argomentative solitamente seguite sono di impronta puramente sillogistica. Infatti, considerare i vitalizi alimentari, assistenziali o di mantenimento delle sottospecie, poiché anch’esse caratterizzate dall’aleatorietà (si è detto, per la durata incerta della vita del vitaliziato e, a fortiori, per la variabilità e la discontinuità delle prestazioni in rapporto al suo stato di bisogno e di salute) vuol dire affermare che: − poiché (premessa maggiore) nella rendita vitalizia non opera la risoluzione ex art. 1878; − e (premessa minore) i vitalizi impropri sono sottospecie (nel senso che fanno parte della categoria) della rendita (anzi, se vogliamo, ne accentuano alcune caratteristiche come l’alea); − di conseguenza (soluzione) nei vitalizi alimentari, assistenziali o di mantenimento non può operare la risoluzione per inadempimento. In direzione opposta, sempre la sussunzione induce a sostenere che i vitalizi alimentari, assistenziali o di mantenimento siano dei vitalizi impropri, ossia non delle sottospecie della rendita vitalizia, ma dei contratti atipici e, in quanto tali, non sottoposti alle medesime regole della rendita vitalizia.
Non può condividersi questo modo di argomentare.
10 V. infra § 7.
11 Cass., 12 febbraio 1998, n. 1502, Riv. not., 1998, p. 986: sebbene il contratto di mantenimento sia “un contratto atipico sottratto all’applicazione dell’art. 1878 cod. civ., è altrettanto vero che in tale contratto l’alea, lungi dal venir meno o dall’attenuarsi, resta fortemente connaturata ad esso e, anzi, si correla ad un duplice fattore di incertezza: la durata della vita del vitaliziato e la variabilità e discontinuità delle prestazioni in rapporto allo stato di bisogno e di salute del vitaliziato stesso”.
12 Per riferimenti v. infra note 85 e 86.
Come evidenziato anche in altre sedi 13 , il sillogismo aristotelico, pur logicamente inconfutabile, nulla chiarisce in merito alla bontà, alla verità e al fondamento delle premesse e delle soluzioni. Cosí, se è ineccepibile il ragionamento secondo il quale tutti gli uomini sono mortali (premessa maggiore), Xxxxxxx è un uomo (premessa minore), quindi Xxxxxxx è mortale (soluzione come conclusione del sillogismo), lo è altrettanto rilevare che tutti gli uomini sono polli (premessa maggiore), Socrate è un uomo (premessa minore), dunque Socrate è un pollo (soluzione)14. La logica da sola non consente di individuare la soluzione adeguata o di sindacare il fondamento e la ragionevolezza delle decisioni. In àmbito piú strettamente giuridico, si pensi a chi, ragionando per concetti e per categorie, esclude a priori la possibilità di convalidare le nullità di protezione15 sulla base di un mero sillogismo logico-razionale, affermando che poiché (premessa maggiore) la nullità non è convalidabile (arg. art. 1423 c.c.) e la nullità di protezione fa parte della categoria della nullità (premessa minore) di conseguenza la nullità di protezione non è convalidabile (soluzione).
Lo stesso Xxxxxxxx, nel Discorso sul metodo, a proposito del sillogismo ‘Cogito ergo sum’ [che si esplica in una premessa maggiore (per pensare è necessario essere), una premessa minore (io penso – cogito) e una soluzione (dunque io sono – ergo sum)] non esitava ad osservare che la logica da sola non basta, sia perché “contiene alcuni precetti [...] dannosi o superflui che costituiscono, piú che un aiuto, un impedimento per la ragione, la quale si affida alla forza dimostrativa della forma sillogistica invece di operare in modo autonomo le proprie inferenze”, sia perché il sillogismo serve “piuttosto che ad apprendere, a spiegare agli altri le cose che già si conoscono, o addirittura, come nell’arte di Xxxxx, a parlare senza giudizio di quelle che si ignorano”16. A sua volta Xxxxxxxx rilevava che è insufficiente in diritto “un ragionamento puramente formale che si limiti a controllare la correttezza delle inferenze, senza dare alcun giudizio sul valore della conclusione”17.
Da questi insegnamenti emerge che il sillogismo e la sussunzione sono sempre pericolosi e devono, specialmente nella scienza giuridica, essere contemperati da un controllo di ragionevolezza, da una valutazione funzionale ed assiologica delle premesse del ragionamento e delle soluzioni
13 PERLINGIERI, G.: La convalida delle nullità di protezione e la sanatoria dei negozi giuridici, 2ª ed., Napoli (2011), p. 36 s.
14 PERLINGIERI P. e XXXXX, P.: Nozioni introduttive, cit., p. 172 ss.
15 In questo senso, tra gli altri, XXXXXXXXXX, G.: Nullità speciali, Milano (1965), p. 189 ss.; XXXXXXX, A.: “Le invalidità”, in XXXXXXXXX X. (a cura di): I contratti in generale, II, in Tratt. contratti Xxxxxxxx e Xxxxxxxxx, Torino (2006), p. 1593; e XXXXXXX, L.: Studi sulla nullità relativa, Milano (1967), p. 163. In senso critico PERLINGIERI, G.: La convalida delle nullità di protezione e la sanatoria dei negozi giuridici, cit., p. 36 ss.
16 XXXXXXXXX, X.: Discorso del metodo, Milano (2011), pp. 6 ss., 28, 89, nota 13.
17 XXXXXXXX, X.: Logica giuridica nuova retorica, Milano (1979).
raggiunte18. La scienza giuridica non è meramente dimostrativa, né basata su un concetto ristretto di razionalità fondato su argomenti esclusivamente deduttivi. Il giurista non può fermarsi alla logica e al sillogismo ma deve sempre valutare il fondamento delle premesse, la coerenza, la legittimità, la meritevolezza delle soluzioni proposte attraverso il ricorso ai princípi ed ai valori normativi che fondano il sistema giuridico vigente.
II. La necessità di individuare la RATIO dell’art. 1878 c.c. al fine di valutarne l’applicabilità ad un atto di autonomia.
In questa prospettiva occorre prima di tutto analizzare la ratio dell’art. 1878
c.c. per comprendere perché il legislatore ha previsto in caso di inadempimento della rendita vitalizia un divieto di risoluzione secondo la regola generale ex art. 1453 c.c.19. Soltanto dopo sarà possibile valutare se il divieto di risoluzione e il rimedio stabilito dall’art. 1878 c.c. siano o no applicabili ai vitalizi impropri.
L’art. 1878 non è una prescrizione introdotta nel codice civile perché la rendita tipica ha ad oggetto prestazioni fungibili (sí che se la prestazione è infungibile la disposizione è inapplicabile), ma è una norma finalizzata, similmente alla prescrizione di forma ex art. 1350, n. 10, c.c. 20 , a
18 Sui pericoli del dogmatismo e del “positivismo della sussunzione”, diffusamente PERLINGIERI, P.: Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., passim, spec. pp. 91 ss. e 570 ss.; ID., “Interpretazione e qualificazione: profili dell’individuazione normativa”, Dir. giur. (1975), p. 826 ss., ora in ID., Xxxxxx tendenze e metodi, Napoli (1989), p. 29 ss.; e XXXXX, V.: Interpretazione del contratto e relatività delle sue regole, Napoli (1985), p. 132 ss.
19 Si interroga sulla funzione della previsione e illustra i principali orientamenti giurisprudenziali in merito QUADRI, R.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 145 ss.
20 Invece, la dottrina fautrice dell’atipicità sottrarre i “vitalizi impropri” anche alla sfera di competenza dell’art. 1350, n. 10, c.c. salvo non abbiano ad oggetto diritti immobiliari (in quest’ultimo caso l’onere della forma sarebbe già richiesto dall’art. 1350, n. 1, c.c.). Così, tra gli altri, CALVO, R.: I vincoli derivanti dalle rendite, cit., p. 298. Anche questa prospettiva non sembra condivisibile poiché l’imposizione dell’obbligo della forma scritta non dipende dalla tipicità o dalla atipicità di un negozio ma dagli interessi che le prescrizioni di forma tutelano [PERLINGIERI, P.: Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, Napoli (1987), passim], sí che non sembra potersi escludere l’applicazione dell’art. 1350, n. 10, c.c. anche ai c.d. “vitalizi impropri”. Ciò per la rilevanza degli interessi coinvolti e per la necessità di assicurare una formalizzazione del rapporto e una più attenta ponderazione della dichiarazione di volontà, in particolare espressa dal vitaliziato. Del resto non si deve dimenticare che gli impegni assunti mediante, ad esempio, un vitalizio “assistenziale” hanno non poca rilevanza, tant’è che una loro violazione, sia pure modesta, da parte dell’obbligato, potrebbe procurare un grave pregiudizio all’incolumità fisica del creditore.
contemperare gli interessi del vitaliziato e del vitaliziante e ad evitare possibili abusi, storicamente accertati già nel Medioevo21.
Infatti, in caso di inadempimento, il divieto di risoluzione, con la possibilità di chiedere soltanto il sequestro e la vendita dei beni del debitore (art. 1878 c.c.), non è stabilito perché il vitaliziato, per difficoltà connesse a età o salute, sarebbe incapace di amministrare i beni recuperati con l’eventuale azione di risoluzione 22 (questa presunzione di incapacità non trova necessariamente riscontro nella realtà), né perché, come affermano le Sezioni unite, sarebbe difficile, se non impossibile, configurare in un contratto di durata un inadempimento grave23. Infatti, da un lato, l’art. 1877 c.c. (che stabilisce, in caso di contratto oneroso, la risoluzione nell’ipotesi di omessa prestazione o diminuzione delle garanzie promesse) rappresenta un chiaro esempio di inadempimento grave in un contratto di durata ed è una norma che ha la funzione di conservare la rendita in ragione della sua funzione, di regola, previdenziale; dall’altro, come rileva parte della giurisprudenza 24 , in un vitalizio assistenziale si può configurare un grave inadempimento anche se gli alimenti o le cure mediche non sono state eseguite per breve tempo. Non sembra di poter rinvenire il fondamento dell’art. 1878 neppure nell’impossibilità tecnica di ragguagliare la rendita a una somma capitale, che appare smentita dalla prassi assicurativa e dalla legge (artt. 580 e 1925 c.c. e art. 60 l. fall.).
21 Sulla costruzione dell’intera disciplina della rendita vitalizia al fine di arginare ogni forma di abuso v. XXXXXXXXX, X.: “Xxxxxxx xxxxxxxxx (dir. interm.)”, Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988,
p. 849 ss.
22 Lo rileva anche Cass., Sez. un., 18 agosto 1990, n. 8432, cit.
23 Cass., Sez. un., 18 agosto 1990, n. 8432, cit.: “Si deve […] ritenere che il legislatore abbia introdotto nel codice civile la norma dell’art. 1878 sul presupposto che l’inadempimento dell’obbligazione di dare […] non sia tanto grave da turbare l’equilibrio contrattuale e da ledere l’altrui interesse, il quale è rivolto all’intero rapporto, come risulta dall’art. 1877, il quale prevede la risoluzione del contratto in un caso in cui l’inadempimento del vitaliziante (omessa prestazione delle garanzie promesse o diminuzione delle stesse) metta in pericolo l’intero rapporto giuridico. Questa scarsa importanza dell’inadempimento non si riscontra però nel vitalizio alimentare, perché la mancata corresponsione, anche per un breve periodo, delle prestazioni fungibili (vitto, vestiario e alloggio) priva il creditore del minimo indispensabile per la sopravvivenza”. Cfr. anche Cass., 18 marzo 1958, n. 905, Foro pad., 1958, I, p. 1155; e Cass., 28 gennaio 1966, n. 330, Foro it., 1966, I, c. 1787.
24 Cass., 16 febbraio 2004, n. 2940, Foro it., 2005, I, c. 212, considera grave inadempimento il comportamento dell’obbligato, che, dopo aver assistito la beneficiaria per cinque anni nel proprio appartamento (come da contratto), l’aveva poi fatta ricoverare, perché non piú autosufficiente, alcuni mesi prima del suo decesso. Sulla necessità che l’inadempimento sia valutato anche alla stregua dell’art. 1455 c.c., considerata la funzione perseguita con il contratto di vitalizio assistenziale, Cass., 27 dicembre 2004, n. 24014, Contratti, 2005, p. 705; e Trib. Torre Annunziata, 26 aprile 2011, cit., p. 233. X. xxxxx Xxxx. Xxxxxxxx, 00 febbraio 1996, Riv. giur. sarda, 1997, p. 114, ove viene ritenuto valido il vitalizio anche se il vitaliziante è fisicamente distante dal luogo dell’adempimento.
In realtà, il divieto di risoluzione per inadempimento nella rendita vitalizia è previsto per una pluralità di ragioni, anche storiche, comunque pienamente riscontrabili nei vitalizi impropri. In particolare, la previsione elimina in radice il rischio di usura – evitando che dietro il contratto di rendita si celi la dazione a mutuo di un capitale che, come tale, deve essere restituito –, di ingiusto profitto e abuso del vitaliziato, che si possono verificare specialmente qualora sia trascorso un significativo lasso di tempo tra la conclusione del contratto e l’inadempimento.
Nell’ipotesi di inadempimento, infatti, con la risoluzione del contratto il creditore-vitaliziato, oltre ad ottenere la restituzione del capitale o dell’immobile ceduti per la costituzione della rendita, si gioverebbe anche delle prestazioni già ricevute. Ciò a causa dell’irretroattività della risoluzione nei contratti di durata con riferimento alle prestazioni già eseguite (art. 1458 c.c.)25 che trasformerebbe una prestazione incerta in una prestazione certa. Si pensi a un vitaliziato ottantenne che aliena un bene di un miliardo in cambio di rate annuali di centomila euro: sarebbe sufficiente un grave inadempimento del debitore per chiedere la risoluzione, con l’effetto di consentire al creditore sia di trattenere le rate già percepite (vista la natura della rendita quale contratto di durata), sia di ottenere la restituzione del bene.
La norma serve anche alla miglior tutela del vitaliziato, il quale ha già alienato un bene e ha interesse all’ottenimento della controprestazione. In altre parole, tramite il sequestro e la vendita (ex art. 1878 c.c.) è garantita la funzione previdenziale o assistenziale del vitalizio 26 , poiché si assicura al creditore-vitaliziato, in caso di inadempimento, l’ottenimento di quel bene della vita che soddisfa il proprio interesse. In questo modo si evita che il creditore sia dannosamente privato, tramite la risoluzione, dei necessari mezzi di sussistenza. Questo sarebbe anche alla base della diversa disciplina dell’art. 1877 c.c., che ammette la risoluzione se il debitore non fornisce o diminuisce le garanzie promesse.
Del resto, lo stesso discorso vale per il riscatto. Se il sequestro e la vendita (e il divieto di risoluzione) sono previsti, come afferma autorevole dottrina, “sia per assicurare al vitaliziato la continuità della rendita vitalizia, sia per evitare
25 In dottrina, infatti, “non sussitono dubbi sulla non estensione dell’effetto risolutorio alle prestazioni già eseguite, a norma dell’art. 1458 c.c.”: XXXXXXX, G.: Rendita, cit., p. 881. Su questa posizione, VALSECCHI, E.: Natura giuridica e fonti della rendita fondiaria, cit., p. 234.
26 Xxxxx necessità che il lucro incerto, proprio dei contratti aleatori, si accompagni sempre con altre funzioni, socialmente apprezzabili, come la causa indennitaria, la funzione previdenziale, la funzione solidaristica, di promozione dello sport, ricreativa, etc., x. XXXXXXX, P.: “I contratti derivati finanziari nel sistema dei contratti aleatori”, in MAFFEIS
D. (a cura di), Swap tra banche e clienti. I contratti e le condotte, Milano (2014), p. 186 s.
che questi possa approfittare dell’inadempimento del debitore per riacquistare il bene trasferito, arricchendosi delle rate già ricevute che sarebbero sottratte agli effetti della risoluzione”, cosí il riscatto è escluso, ex art. 1879 c.c., “per evitare che la costituzione di rendita vitalizia, prevista con finalità previdenziale, possa essere trasformata in uno strumento di speculazione a danno del vitaliziante”27.
La prova di ciò sta nella circostanza che, se il divieto di risoluzione per inadempimento “dovesse essere una conseguenza del carattere aleatorio, la norma dovrebbe essere inderogabile e dovrebbe applicarsi a tutti i contratti aleatori” 28 . Viceversa, non solo esistono alcuni contratti aleatori, come il contratto di assicurazione, che sono risolubili, ma la norma, che pure contempera gli interessi delle controparti, evitando l’applicazione di uno strumento (la risoluzione e il riscatto) che rischierebbero di avvantaggiare troppo l’una o l’altra parte, è derogabile. Infatti il divieto di riscatto, ai sensi dell’art. 1879 c.c., è previsto “salvo patto contrario” e la dottrina e la giurisprudenza non escludono la validità di un accordo diverso, anche sotto forma di clausola risolutiva espressa29.
III. Interessi delle parti e modulazione della regola applicabile al “vitalizio improprio”.
Alla luce di queste considerazioni, non credo che, in presenza di un vitalizio improprio (alimentare, assistenziale, di mantenimento), si possano escludere a priori l’applicazione dell’art. 1878 c.c. e il divieto di risoluzione. Ciò non perché i vitalizi impropri sono una sottospecie del vitalizio oneroso (secondo un ragionamento sillogistico di categorie e sottocategorie: se nella categoria generale non opera la risoluzione; e il vitalizio improprio ne è una sottospecie; allora anche in caso di vitalizio oneroso non può operare la risoluzione), ma perché tale norma prevede un rimedio (divieto di risoluzione
27 XXXX, X.: “Il difetto di alea nella costituzione di rendita vitalizia”, Riv. trim., 1960, p. 361.
28 XXXX, X.: “Il difetto di alea nella costituzione di rendita vitalizia”, cit., p. 361 s. Diversamente, reputa che anche il divieto di riscatto, come quello di risoluzione per inadempimento, sia strettamente dipendente dalla natura aleatoria del contratto CARIOTA FERRARA, L.: Il negozio giuridico, cit., p. 218.
29 Detta clausola va intesa estensivamente e perciò applicata all’ipotesi di omesso pagamento come al caso di pagamento della rata in misura inferiore a quella risultante dall’adempimento della rendita al tasso di svalutazione specificamente previsto in altro patto del negozio (Cass., 12 febbraio 1977, n. 630, Mass. Giust. civ., 1977). Rientrando la rendita tra i contratti ad esecuzione periodica, la risoluzione non potrà avere effetto retroattivo (TORRENTE, A.: Della rendita perpetua, cit., p. 132). Infine, non potrà far valere la clausola risolutiva espressa l’erede, quando, verificatesi l’estinzione del contratto per morte del vitaliziato, questi non se ne sia avvalso (Cass., 29 settembre 1964, n. 2471, Giust. civ., 1964, I, p. 2174 ss.).
e sequestro e vendita dei beni del debitore) che può risultare, in concreto, adeguato al soddisfacimento dell’interesse leso.
Che la risoluzione del contratto, in caso di inadempimento del debitore- vitaliziante, spesso non è in grado di rimediare al pregiudizio subíto trova conferma in un caso particolare. Atteso che la pronuncia di risoluzione (ex art. 1458, comma 2, c.c.) non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, ove l’acquirente-vitaliziante avesse già alienato il cespite ricevuto dal vitaliziato, il creditore-vitaliziato potrebbe trovare soddisfazione sempre e soltanto nel risarcimento del danno, senza però le garanzie previste dall’art. 1878 c.c. (sequestro e vendita). Il danneggiato verserebbe nella situazione analoga del contraente che chiede il sequestro e la vendita coattiva (ex art. 1878 c.c.) senza alcuna forma di garanzia.
Si può aggiungere che, se la prestazione è di dare o di fare ma, in relazione all’interesse del creditore, è fungibile (si pensi all’assistenza prettamente “materiale” o anche all’assistenza “morale” reputata tuttavia fungibile dai contraenti), in caso di inadempimento troverà applicazione l’art. 1878 x.x., xxx xxx xxxx’xxxxxxxx xx xxxxxxxxx e vendita dei beni del debitore ad assicurare al creditore una garanzia reale sul patrimonio del primo e una somma di danaro utile per soddisfare il proprio interesse anche sotto forma di alloggio, cure mediche o altra modalità di assistenza necessaria. In questo caso si potrebbero applicare anche le norme sull’esecuzione forzata in forma specifica (in particolare gli artt. 481 c.p.c. e 2931 c.c.), qualora, ad esempio, il vitaliziato-creditore voglia ottenere che la stessa prestazione di fare sia eseguita a spese dell’obbligato mediante affidamento ad altra casa di riposo.
Viceversa, se la prestazione, in relazione all’interesse del creditore, è infungibile, non dovrebbe farsi ricorso alla risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., ma all’art. 614 bis c.p.c., il quale prevede una c.d. “misura coercitiva indiretta” e consente al creditore, in caso di prestazioni di fare o di non fare infungibili, di chiedere una condanna a pagare delle somme di danaro se il debitore-vitaliziante adempie in ritardo o non adempie esattamente30. Questa disposizione dimostra l’interesse dell’ordinamento ad assicurare attraverso strumenti sanzionatori, pur sempre di tipo pecuniario, la tutela dell’interesse del creditore anche contro gli inadempimenti relativi a prestazioni infungibili.
In questa prospettiva, tuttavia, non si può escludere neanche la possibilità, salvo che non sia diversamente stabilito dalle parti (vista la natura derogabile
30 In questo senso anche QUADRI, R.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 222.
della norma in esame31), che il creditore agisca ex art. 1878 c.c.32 chiedendo il sequestro e la vendita dei beni del debitore, qualora abbia interesse, nonostante l’infungibilità della prestazione, a bloccare il patrimonio del debitore inadempiente e a rivalersi comunque sui suoi beni, a titolo di risarcimento del danno per equivalente, ad esempio, per il ritardo o per la non esecuzione della prestazione.
In tal caso i rimedi previsti dal codice di procedura civile (art. 614 bis c.p.c.) e dal codice civile (art. 1878 c.c.) non si escludono affatto ma, avendo funzioni diverse, convivono. Tramite l’art. 614 bis c.p.c. il creditore si tutela attraverso una forma di garanzia obbligatoria (diretta a favorire l’adempimento del debitore; da qui la denominazione di “misura coercitiva indiretta”, misura compulsiva per l’adempimento). Viceversa, con l’art. 1878 c.c. il creditore si crea, anche in caso di prestazione infungibile, una garanzia reale sul patrimonio del debitore. Compito del giudice ovviamente sarà anche quello di valutare l’operatività dei rimedi e di evitare possibili abusi del creditore qualora l’inadempimento del debitore non giustifichi in concreto l’operatività di entrambi i rimedi33.
Tuttavia, in tutte queste ipotesi (prestazione di fare o dare, fungibile o infungibile) è, di regola, esclusa, per le ragioni esposte, l’operatività della risoluzione per inadempimento, la quale contrasta con le caratteristiche funzionali dei vitalizi onerosi e con la loro frequente funzione previdenziale e assistenziale 34 . Ciò salvo che non sia prevista dalle parti una clausola
31 Decise, sul punto, le posizioni di VALSECCHI, E.: Natura giuridica e fonti della rendita, cit., p. 130; XXXXXXXX, A.: Xxxxx rendita, cit., p. 140; XXXXX, R.: Xxxxxxxxx e mercato, cit., p. 449; e DI NELLA, L.: sub art. 1878, in PERLINGIERI, G. (a cura di): Codice civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza, Napoli (2010), p. 2222, che ammettono l’applicabilità di clausole risolutive espresse per inadempimento. Afferma la natura dispositiva dell’art. 1878 anche la S. corte (v., per tutte, Cass., 27 dicembre 2004, n. 24014, cit.).
32 Un metodo interpretativo attento al concreto assetto di interessi sotteso alla rendita induce ad estendere il discorso all’art. 1880, comma 2, c.c. che contempla l’ipotesi in cui le parti abbiano pattuito il pagamento della rendita “a rate anticipate” e pone la regola secondo la quale “ciascuna rata si acquista dal giorno in cui è scaduta”. L’applicazione di tale previsione ad un vitalizio assistenziale è da escludere, ma tale esclusione non dipende dalla natura tipica o atipica di tale negozio, ma per il carattere di continuità della prestazione assistenziale. Egualmente per l’art. 1874 c.c. che, salvo patto contrario, prevede l’accrescimento a favore degli altri vitaliziati in caso di premorienza di uno di essi, allorché la rendita sia costituita da piú soggetti; anche in questo caso, il dubbio sull’applicabilità non è sciolto in base alla natura tipica o atipica del vitalizio improprio, ma avendo riguardo per le caratteristiche della prestazione (che potrebbe essere fisiologicamente insuscettibile di accrescimento) e per gli interessi in gioco.
33 In tema di abuso del creditore e dei mezzi di garanzia v., di recente, XXXXXXXXXX, F.: Conservazione della garanzia patrimoniale e abusi del creditore, Napoli (2013).
34 Esclude l’applicabilità dell’art. 1878 c.c. ad alcune ipotesi di rendita, tra gli altri, XXXXXXX, G.: Rendita, cit., p. 873.
risolutiva espressa (ex art. 1456 c.c.), la quale è da considerare valida, vista la natura derogabile dell’art. 1878 c.c.35.
La convivenza tra rimedi si realizza anche nelle obbligazioni negative, là dove, ad esempio, il debitore, contravvenendo al divieto contrattuale di non sopraelevare, effettua una sopraelevazione che impedisce al creditore, portatore di handicap, di muoversi agevolmente dalla propria abitazione. In tal caso non v’è ragione per negare la possibilità di domandare in giudizio l’applicazione dell’art. 614 bis c.p.c. (esecuzione indiretta della prestazione – somma di danaro per equivalente) insieme al rimedio previsto dall’art. 2933 c.c. (distruzione della cosa che è stata fatta in violazione dell’obbligo)36.
I vitalizi impropri possono, quindi, riguardare anche prestazioni fungibili (come in genere l’alloggio, le cure mediche, il vitto e l’assistenza materiale) ed anche qualora avessero ad oggetto prestazioni infungibili potrebbero dar luogo comunque ad una condanna in danaro (anche quale danno punitivo).
Inoltre, pur prescindendosi dalla convertibilità in danaro di una determinata prestazione per espressa volontà delle parti, la distinzione tra prestazione fungibile e infungibile non è cosí netta come spesso si afferma, poiché una prestazione apparentemente infungibile, tenuto conto dell’interesse del creditore 37 , può risultare fungibile (si pensi a una prestazione avente ad oggetto cure mediche, che, in relazione al concreto assetto di interessi, può essere soddisfatta anche mediante affidamento, a spese del debitore, ad altra casa di cura38).
È sempre determinante l’analisi della funzione concreta della singola operazione e non è possibile, come spesso accade, sovrapporre la prestazione alimentare a quella oggetto del contratto di mantenimento. Infatti tra prestazione alimentare e di mantenimento possono esservi forti differenze proprio sul piano della fungibilità39.
35 V. retro nota 31.
36 DEPLANO, S.: Le obbligazioni negative, Napoli (2014), p. 195 s.
37 Sul punto x. XXXXXXXX, X.: Fungibilità ed infungibilità nell’obbligazione, Napoli (1967). Cfr. anche PERLINGIERI, P.: Dei modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento, in Comm. cod. civ. Scialoja e Branca, Bologna-Roma (1975), p. 295 ss. Sulla necessità di analizzare sempre il concreto assetto di interessi anche al fine, ad esempio, della valutazione della divisibilità o indivisibilità dell’obbligazione e della compensazione v., in particolare, CICALA, R.: Concetto di divisibilità e indivisibilità dell’obbligazione, Napoli (1953), passim, spec. p. 179 ss.
38 Cass., 11 dicembre 1995, n. 12650, Foro it. (1996), I, c. 1241.
39 XXXXXX, X.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 106, e già AULETTA, T.A.: Alimenti e solidarietà, cit., p. 200.
Altro è una prestazione avente ad oggetto vitto, alloggio e vestiario, pur nei limiti dei “bisogni” dell’alimentando (che potrebbe assumere natura di prestazione di dare fungibile), altro è una prestazione avente ad oggetto il mantenimento del vitaliziato, la sua convivenza con il vitaliziante o l’assistenza materiale e morale del vitaliziato [che potrebbe assumere natura di prestazione (di fare) ora fungibile (assistenza materiale, mantenimento) ora infungibile (come l’assistenza morale di una determinata persona con peculiari caratteristiche)]. Sí che anche nell’àmbito dei c.dd. vitalizi impropri possono essere ricomprese ipotesi varie, che spaziano dalla prestazione degli alimenti, al mantenimento, all’alloggio, all’assistenza in senso ampio, fino a ricomprendere le cure mediche e l’assistenza morale e psicologica.
La varietà dei concreti assetti di interesse non consente, anche all’interno dei vitalizi impropri, di individuare una disciplina unitaria o di proporre inutili classificazioni le quali possono risultare incongrue rispetto alla natura della prestazione e al complessivo assetto di interessi perseguito dalle parti. Assetto degli interessi delle parti che, beninteso, può anche trasformare una prestazione apparentemente infungibile in una prestazione fungibile o, come affermato anche dalla giurisprudenza piú attenta40, convertibile in danaro.
Vitalizio alimentare, assistenziale, contratto di mantenimento sono, insomma, formule che non esprimono affatto il contenuto che può assumere la concreta operazione, la quale, tra l’altro, di là dalla patrimonialità della prestazione e dalla sua valutabilità economica, può soddisfare un interesse tanto patrimoniale quanto non patrimoniale del creditore (art. 1174 c.c.)41.
40 Cass., 25 ottobre 1969, n. 3501, in Rep. Foro it., 1969, voce Vitalizio, n. 2. V. anche QUADRI, R.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 125.
41 Lo rileva chiaramente anche QUADRI, R.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 121 s. Non v’è dubbio che i contratti in esame siano causalmente orientati, in generale, dall’interesse non patrimoniale fondamentale alla realizzazione della persona umana, essendo di solito mirati a garantire al soggetto debole un’esistenza “libera e dignitosa” (v., per questa via, PERLINGIERI, P.: “L’interesse non patrimoniale e i contratti”, Annali della Facoltà di Economia di Benevento, Napoli (2012), p. 42; CALVO, R.: Contratti e mercato, cit., p. 488; XXXXXXXX, G.: “Inadempimento, danno non patrimoniale e regole di responsabilità”, Contr. impr. (2009), p. 673; e XXXXXXXX, S.: “Il c.d. contratto di assistenza”, in Contratti, 1998, p. 383). Si aggiunge che, considerata la particolare natura della prestazione oggetto del vitalizio c.d. improprio, una violazione, sia pure modesta, degli impegni assunti dall’obbligato, potrebbe procurare un grave pregiudizio all’incolumità fisica del creditore (XXXXX, R.: Xxxxxxxxx e mercato, cit., p. 489). Detto altrimenti, il mancato adempimento potrebbe essere causa di un danno non patrimoniale contrattuale per lesione di interessi d’impronta esistenziale che si sarebbero dovuti realizzare con l’attuazione fisiologica della causa in concreto dello scambio. Ammettendo la risarcibilità del danno non patrimoniale da contratto, PERLINGIERI, P.: “L’interesse non patrimoniale e i contratti”, cit., p. 19 ss., considera contrario allo spirito dell’ordinamento e al principio di legalità costituzionale escludere, a sola cagione del rapporto obbligatorio che lo lega al danneggiato, la responsabilità di chi abbia arrecato un pregiudizio a valori fondamentali. La medesima idea
Occorre inoltre prendere atto che non è possibile far dipendere la disciplina applicabile ad un negozio dalla sua natura tipica o atipica, poiché una norma va applicata ad un contratto non sulla base della sua tipicità o atipicità ma se risulta adeguata a soddisfare il regolamento negoziale e gli interessi concretamente in gioco. Del resto proprio quella dottrina che tra le prime aveva avvertito l’esigenza di distinguere i vitalizi impropri dai vitalizi onerosi non escludeva l’applicabilità ad entrambe le fattispecie dell’art. 1878 c.c.42.
Né la circostanza che l’art. 1878 c.c. discorra di “mancato pagamento delle rate di rendita scadute” può essere di per sé un ostacolo per l’applicazione di questa norma ai vitalizi aventi prestazioni diverse dal danaro. Infatti la disposizione in esame stabilisce un principio (il divieto di risoluzione in caso di inadempimento) che deve trovare applicazione ogni qual volta si accerti che in caso di inadempimento sono il sequestro e la vendita, e l’eventuale ricavato, non la risoluzione, i rimedi piú adeguati a soddisfare gli interessi in gioco e la funzione del contratto.
sembra ispirare alcune scelte operate a livello sovranazionale: cosí sembra di poter leggere gli artt. 7.4.2. Princípi Unidroit (“il danno può essere di natura non pecuniaria”), 9:501 Princípi di Diritto Europeo dei Contratti [“il danno di cui può essere domandato il risarcimento comprende: a) il danno non patrimoniale], e 3:701 Draft Common Frame of Reference (che contiene il riferimento a “economic and non-economic loss”). Su questi argomenti, QUARTA, F.: “Una proposta di rilettura dell’art. 2059 c.c. quale fonte di sanzione civile ultracompensativa”, in DI XXXXX, R., XXXXXXXXX, M. e XXXXXXX, A.C. (a cura di): Percorsi di diritto civile. Studi 2009/2011, Napoli (2012), p. 304, ravvisa, nell’opposto orientamento, uno di quegli ostacoli al pieno sviluppo della persona umana da rimuovere ex art. 3 cost. In proposito, variamente, SCOGNAMIGLIO, R.: “Il danno morale (contributo alla teoria del danno extracontrattuale)”, Riv. dir. civ. (1957), p. 313 ss.; XXXXXXXXX, A.: La riparazione del danno non patrimoniale, Milano (1962), p. 221 ss.; XXXXXXXX, G.: Il danno non patrimoniale, Milano (1983), p. 212 ss.; XXXX XXXXXXXXX, V.: “Danno non patrimoniale e inadempimento”, in VISINTINI G. (a cura di), Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, Milano (1984), p. 109 ss.; e XXXXXXXX, M.: “Danno non patrimoniale e responsabilità contrattuale”, Riv. crit. dir. priv., 1987, p. 127 ss.; XXXXXXXX, F., Il danno non patrimoniale da contratto, Napoli (2008); e XXXXXXXXXX, C. “Il negozio giuridico dal patrimonio alla persona”, Europa dir. priv. (2009), p. 87 ss. Il dibattito è ricostruito da XXXXXXXX, M.: “Il danno morale e il danno non patrimoniale da inadempimento”, Resp. civ. (2009), p. 581 ss.; XXXXXXXX, F.D.: “Il danno alla persona: un dialogo incompiuto tra giudici e legislatori”, Xxxxx resp. (2009), p. 609 ss.; e, in particolare, da XXXXXXXXXXX XXXXXX, M.M.: Danno non patrimoniale e inadempimento. Logiche “patrimonialistiche” e valori della persona, Napoli (2014), passim.
42 XXXXXXXX, A.: Della rendita perpetua, cit., p. 140 s.; e ID., “Vitalizio alimentare e risoluzione per inadempimento”, Giust. civ., 1958, I, p. 607.
IV. SEGUE. L’IMPORTANZA DEL CASO CONCRETO, I RISCHI DEL METODO TIPOLOGICO E LA SCELTA DEL “GIUSTO RIMEDIO”.
In definitiva, non è un problema di tipicità o atipicità ma di “giusto rimedio”, ossia di controllo di congruità della ratio della disposizione e del rimedio in esame agli interessi coinvolti dal contratto43.
Nella prassi, non è raro riscontrare figure la cui causa concreta contempla ora, quale corrispettivo per la parte assistita, la “coabitazione” con il vitaliziante nell’immobile ceduto (con conseguente funzione personale e non soltanto patrimoniale del contratto), ora, come in un caso sottoposto al Tribunale di Napoli annotato criticamente da una parte della dottrina, una obbligazione avente ad oggetto delle “prestazioni di lavoro domestico ed assistenza diurna e notturna, con le cure e premure necessarie alla tranquillità e salute” del vitaliziato44. In questa ipotesi il riferimento al rapporto di lavoro impone, diversamente da quanto afferma il Tribunale di Napoli, se non una differente qualificazione, quanto meno l’applicazione alla fattispecie di alcune norme del contratto di lavoro.
Queste osservazioni dimostrano che bisogna abbandonare il metodo tipologico. Per un verso, la riconduzione di una data fattispecie al tipo legale (rendita vitalizia) non implica necessariamente l’applicazione automatica a questa fattispecie della disciplina per esso prevista; per l’altro, la distanza di una fattispecie concreta dal tipo non elimina affatto la possibilità di applicare a quella fattispecie alcune norme del tipo legale45.
43 “I rimedi sono funzione del giudizio sull’efficienza regolativa della legislazione sulla contrattazione: si scelgono soltanto se funzionano, non se suonano bene nelle categorie contrattuali ricevute dalla tradizione. Hanno legittimazione regolativa, non dogmatica. [...] Nessuna tecnica è esclusiva, nessuna è pregiudiziale; tutte vanno considerate per la capacità in concreto di riparare il danno” (XXXXX, P.: “Nomenclatura del contratto o istituzione del contrarre? Per una teoria giuridica della contrattazione”, GITTI, G. e VILLA, G.: Il terzo contratto, Bologna (2008), p. 287). A proposito della flessibilità dell’apparato rimediale, cfr. PERLINGIERI, P.: “Il “giusto rimedio” nel diritto civile”, Giusto proc. civ. (2011), p. 1 ss., spec. nota 7. V. anche PERLINGIERI, G.: “Alla ricerca del “giusto rimedio” in tema di certificazione energetica. A margine di un libro di Xxxx Xxxxxx Xxxxxxxxx”, Rass. dir. civ. (2011), p. 665 ss.; e ID., L’inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di validità, cit., passim, spec. p. 84 ss.
44 Trib. Napoli, 14 febbraio 1974, Dir. giur., 1975, p. 110, con nota critica di XXXXXX, C.: “Un caso discutibile di rendita vitalizia”.
45 Deve condividersi l’idea di un sistema ordinamentale unitario, nel quale individuare la normativa piú adeguata rispetto agli interessi sottesi alla particolare operazione; del pari, si deve escludere ogni aprioristica incompatibilità tra la disciplina generale e quella dei singoli contratti (che necessitano, piuttosto, di un coordinamento). Cosí PERLINGIERI, P.: “Nuovi profili del contratto”, in ID., Il diritto dei contratti tra persona e mercato. Problemi del diritto civile, Napoli (2003), p. 421, il quale rileva, per un verso, la “insufficienza e la scarsa utilità della disciplina c.d. generale” e, per l’altro, l’opportunità di una “stretta integrazione di questa
Nel valorizzare le caratteristiche dei casi concreti, il metodo tipologico viene di fatto esautorato e se ne riconoscono la rigidità e la pericolosità. Xxxxxxx comprendere che non è possibile né dissolvere le peculiarità di tutti i vitalizi impropri nella piatta categoria del vitalizio in generale, né affermare che tutti i vitalizi impropri sono altro dalla rendita vitalizia tipica.
Ciò trova conferma nelle osservazioni della stessa dottrina fautrice del metodo tipologico. Infatti, si è affermato che la riconduzione di una data fattispecie concreta al tipo non presuppone la sua assoluta identità con il tipo, bensí una “sufficiente conformità”46 (sul piano direi della c.d. mimina unità effettuale). Si ravvisano, in pratica, forme di appartenenza al tipo piú o meno intense, con conseguente maggiore o minore applicazione della disciplina legale del tipo medesimo, ovvero con esclusione dell’applicazione di una parte soltanto della disciplina legale, ovvero con applicazione della disciplina legale anche a contratti non rientranti nel tipo di riferimento47. Del resto, “nell’àmbito […] dello stesso tipo contrattuale, sarebbero individuabili “norme generali”“, in quanto tali “applicabili a tutte le possibili configurazioni della fattispecie legislativamente disciplinata e “norme particolari”, applicabili esclusivamente a determinate configurazioni della medesima fattispecie: in ogni caso, l’applicazione delle norme particolari non varrebbe a snaturare il tipo contrattuale, ma solo ad individuarne una determinazione piú specifica”48.
con le discipline di settore e con quelle concernenti i singoli contratti, in un unico sistema aperto, dal quale trarre di volta in volta princípi e regole piú adeguate agli interessi in gioco secondo una interpretazione che rispetti e utilizzi il fatto e che proceda all’individuazione della normativa ad esso piú conforme”. In linea, secondo gli studi di FESTI, F.: La clausola compromissoria, Napoli (2001), p. 19, “[l]’inclusione di una convenzione in una figura contrattuale tipica o atipica [...] non implica di per sé l’applicazione in blocco delle norme generali in tema di contratto, essendo comunque necessario verificare di volta in volta l’adottabilità di ciascun precetto, mediante un procedimento affine a quello suggerito dall’art. 1324 c.c.”. L’a. finisce cosí per superare la lettura tradizionale dell’art. 1323 c.c., che imporrebbe l’automatica applicazione degli artt. 1321 ss. a tutti i contratti. Lungo la medesima direttrice, si pensi anche alla possibilità di applicare al testamento alcune norme del contratto in tema, ad esempio, di interpretazione (v. anche retro nota 8). Sul punto cfr. XXXXXXXXX XXXX, L.: L’interpretazione del testamento, in Tratt. dir. priv. Xxxxxxxx, 6, II, Torino (1982), p. 69 ss.; e XXXXX, R.: “L’interpretazione e l’integrazione della volontà”, in ID. e PERLINGIERI, G. (a cura di): Manuale delle successioni, II, Napoli (2009), p. 911; PERLINGIERI, G.: Invalidità delle disposizioni “mortis causa” e unitarietà della disciplina degli atti di autonomia negoziale, cit.
46 DE NOVA, G.: Il tipo contrattuale [1974, rist. Napoli (2014)], p. 143, discorre di “tipo normativo”, in accezione differente rispetto a quella di “tipo legale”. V. infra nota 143.
47 In questi termini ricostruisce la teoria QUADRI, R.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 73.
48 QUADRI, R.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 67, richiama, cosí, il pensiero di Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx [come espresso in La donazione mista, Milano (1970), p. 40 s.].
In sintesi, affermare che all’interno di un tipo esistono norme non necessariamente applicabili a tutte le fattispecie, sia pure riconducibili al medesimo tipo, e che le norme di un tipo si possono applicare a fattispecie atipiche significa prendere atto che affannarsi nel ricondurre un contratto ad un tipo o ad un altro è uno sforzo utile ma non esaustivo, dovendosi concentrare l’interprete piuttosto sul controllo di congruità e adeguatezza della singola norma (presente nel sistema generale del contratto e dei singoli contratti49) agli interessi in concreto perseguiti dalle parti e alle peculiarità soprattuto funzionali del singolo atto di autonomia. Il che impone l’analisi non soltanto della causa ma del contenuto del contratto o dell’operazione complessa.
Cosí, ad esempio, l’art. 1878 c.c., pur essendo una norma derogabile 50 , potrebbe non applicarsi ad una particolare forma di rendita; eppure tale rendita non sarebbe, solo per questo, da considerare automaticamente atipica. Del resto, come autorevolmente affermato, “non tutte le norme” anche se “inderogabili concorrono […] a configurare il tipo”, ad individuarne i tratti salienti, i c.dd. “effetti essenziali” (la minima unità effettuale) “per la realizzazione della funzione tipica” 51 . La sussistenza di questi elementi configura una rendita vitalizia, senza presumere però l’applicazione di tutte le norme, derogabili e non, appartenenti al modello legale della rendita, posto che, come dimostrato, l’art. 1878 c.c., potrebbe essere incompatibile con la funzione concreta della singola rendita, non soltanto con riguardo alla natura della prestazione, ma con riferimento al complessivo assetto di interessi emergente dalla fattispecie concreta. Di là dalla fungibilità o infungibilità della prestazione, l’applicazione dell’art. 1878 c.c. potrebbe risultare irragionevole e lesiva degli interessi in gioco, quindi di quella funzione che il regolamento contrattuale è deputata a svolgere52.
Questa soluzione interpretativa non dipende dalla circostanza, pur condivisibile, che l’art. 1878 è norma derogabile, poiché lo stesso discorso vale per una norma inderogabile. L’applicazione di una norma a un negozio dipende dalla volontà delle parti (cosí nel caso di norma derogabile) e dalla sua compatibilità e adeguatezza a soddisfare gli interessi concretamente in
49 Norme speciali, beninteso, che non sono affatto da considerare di per sé eccezionali, posto che altro è l’eccezionalità di una norma altro è la natura speciale. Sulla distinzione, x. XXXXXXXXXXX P. e XXXXX, P.: Nozioni introduttive, cit., p. 14 s.
50 V. retro nota 31.
51 CATAUDELLA, A.: Sul contenuto del contratto, Milano (1966), p. 193 s.
52 Ad avviso di QUADRI, R.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 103, ogni distinzione che si basi sul mero contenuto delle prestazioni e trascuri l’assetto di interessi emergente dalla fattispecie concreta e la funzione del regolamento contrattuale “corre il rischio di non riuscire a condurre a soluzioni appaganti sotto il profilo della scelta della disciplina concretamente applicabile”.
gioco. Quindi, anche una norma inderogabile, appartenente ad un tipo contrattuale (come, ad esempio, una norma che prescrive un rimedio al posto di un altro) potrebbe risultare inadeguata a soddisfare gli interessi perseguiti tramite un determinato atto di autonomia.
Si torna a ribadire che “la fattispecie astratta descritta dal legislatore [è] idonea a ricomprendere in sé una pluralità di fattispecie concrete, pur divergenti tra di loro” (c.d. elasticità del tipo)53, ma, al fine di evitare forzature lesive delle peculiarità del regolamento negoziale, occorre anche prendere atto che la distinzione tra contratti tipici e atipici ha rilevanza meramente “descrittiva”, di mera classificazione 54 , e, pertanto, non può condurre ad operazioni, come di sovente accade anche ad opera dei fautori della elasticità dei tipi, nelle quali, casomai, la disciplina applicata appare lesiva o non congruente, in tutto o in parte, con il regolamento di interessi concretamente perseguito. Secondo la teoria dell’elasticità del tipo, le parti hanno il potere, nei limiti del controllo di liceità e di meritevolezza, “di modellare il proprio assetto di interessi, addirittura escludendo l’applicazione di norme inderogabili, ove riferibili ad un dato tipo ma non adattabili, nella fattispecie contrattuale concreta, alle esigenze dei contraenti”55 (direi, non congrue alla funzione in concreto perseguita). Tuttavia, l’interprete deve, senza chiedersi se quel singolo contratto sia tipico o atipico, valutare se la disciplina ad esso applicabile (individuata nel sistema; ed eventualmente risultato del combinato disposto di norme appartenenti a piú contratti tipici, oppure ad un tipo ed al contratto in generale) sia adeguata a soddisfare gli interessi in gioco.
V. Impossibilità di configurare il “vitalizio improprio” come categoria unitaria.
Nel definire la parte della disciplina sulla rendita vitalizia applicabile ai c.dd. vitalizi impropri, non basta abbandonare il metodo tipologico, occorre anche individuare gli elementi essenziali della prima (la sua minima unità effettuale), al fine di verificare che ricorrano o no nei secondi, e analizzare la congruità, la conformità della norma al soddisfacimento degli interessi in concreto perseguiti dai contraenti.
Il problema non può risolversi, come suole farsi per i contratti misti, secondo la teoria dell’assorbimento o quella della combinazione. La valutazione circa l’applicabilità della disposizione dipende dall’individuazione degli interessi in
53 Di elasticità del tipo discorre FERRI, G.B.: Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano (1966), p. 294.
54 PERLINGIERI, P.: “In tema di tipicità e atipicità dei contratti”, in ID., Il diritto dei contratti tra persona e mercato, cit., p. 397.
55 XXXXXX, X.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 75. Cfr. XXXXX, G.B.: Causa e tipo, cit., p. 294.
concreto perseguiti dal singolo negozio; come si è detto, infatti, la scelta della regola applicabile potrebbe essere il frutto di norme appartenenti a tipi diversi o il risultato della combinazione della disciplina di un tipo insieme a quella generale56.
Del resto, un atto potrebbe considerarsi atipico ed essere sottoposto comunque ad una norma imperativa relativa a un tipo poiché idoneo a perseguire i medesimi interessi sottoposti dalla norma in questione57.
Occorre abbandonare la teoria del contratto misto, figlia della sussunzione e foriera di forzature interpretative insensibili alla ricerca dell’essenza dell’operazione. Infatti, sia la teoria dell’assorbimento sia quella della combinazione tendono a non analizzare l’assetto degli interessi in concreto perseguito dalle parti, al fine di valutare la congruità di questo assetto alla normativa di riferimento, la quale potrà essere anche il risultato della combinazione di piú contratti tipici. Evitando di concentrarsi esclusivamente su aspetti strutturali come l’identità e la mera similitudine tra prestazioni e l’eventuale estraneità dell’istituto a tutte le norme della fattispecie tipica, si comprende che ogni disposizione sarà applicabile soltanto se la sua ratio risulterà compatibile e congruente con l’assetto di interessi voluto dalle parti.
Del resto, anche la Cassazione ha affermato che “ai contratti non contemplati dal legislatore (atipici o innominati) possono legittimamente applicarsi oltre le norme generali […] anche le norme regolatrici dei contratti nominati quante volte il concreto atteggiarsi del rapporto, cosí come risulta dagli interessi coinvolti, faccia emergere situazioni analoghe a quelle disciplinate dalla
56 V. retro nota 45.
57 Gli atti di destinazione in àmbito societario ne costituiscono un esempio concreto. Si è rilevato, ad esempio, che la disciplina dei patrimoni destinati è stata inserita nel Capo V relativo alle S.p.a. Ora, se è vero che l’art. 2645 ter consente di superare l’opinione che vieta la costituzione di un patrimonio destinato ad uno specifico affare in presenza di una s.r.l., vero è pure che tanto una s.p.a. quanto una s.r.l. non possono, di regola, creare una destinazione atipica di una parte del proprio patrimonio superiore al limite inderogabile del 10% previsto da una norma imperativa in tema di patrimoni destinati ad uno specifico affare (dall’art. 2447 bis, comma 2, c.c.). Sul punto v. XXXXXX, X.: “L’art. 2645 ter e la nuova disciplina degli atti di destinazione”, Contr. impr. (2006), p. 1759 s., il quale discorre altrimenti di un rischio di aggiramento della norma imperativa in esame; GENTILI, A.: “La destinazione patrimoniale. Un contributo della categoria generale allo studio della fattispecie”, Riv. dir. priv. (2010), p. 73. Sul rapporto tra atti di destinazione ex art. 2645 ter c.c. ed elusione di norme imperative in caso, ad esempio, di fondo patrimoniale, si rinvia a PERLINGIERI, G.: “Il controllo di “meritevolezza” degli atti di destinazione ex art. 2645 ter c.c.”, Foro nap. (2014), 1, spec. p. 83 ss., ove si affronta anche il tema dei rimedi (non necessariamente demolitori) conseguenti alla violazione delle norme imperative coinvolte. Sull’invalidità come conseguenza di un eventuale esito negativo del controllo di meritevolezza, ex art. 2645 ter, v., invece, QUADRI, R.: “L’art. 2645 ter e la nuova disciplina degli atti di destinazione”, cit., p. 1746.
seconda serie di norme” 58 . È evidente che la Suprema corte tenda a sottolineare l’esigenza di un valutazione concreta del rapporto e del suo atteggiarsi senza astratte e fuorvianti sussunzioni, proprie del metodo tipologico e delle teorie, ancóra molto utilizzate in giurisprudenza, dell’assorbimento e della combinazione.
A titolo esemplificativo, sono sotto gli occhi di tutti gli inconvenienti di quella dottrina che si limita a sussumere il contratto di leasing nello schema della locazione, sminuendo la natura finanziaria dell’operazione59, e del contratto di engineering nella categoria, piú ampia, del contratto di prestazione di opera professionale60, là dove, invece, questa prestazione risulta essere soltanto una componente del rapporto, non esaurendosi affatto in essa.
Nella medesima direzione, il contratto di mantenimento non può essere considerato una semplice rendita vitalizia, posto che non ha ad oggetto un obbligo di dare ma una prestazione assistenziale. Né può considerarsi componente di una categoria unitaria piú ampia, quella dei vitalizia impropri, che sarebbe logicamente incongrua, poiché vitalizio assistenziale, vitalizio alimentare e contratto di mantenimento integrano fattispecie diverse fra loro: il contratto può avere ad oggetto ora i bisogni essenziali del beneficiario, ora le esigenze di vita in senso ampio, ora l’assistenza solo materiale, solo morale, o materiale e
58 Cosí Cass., 23 febbraio 2000, n. 2069, Giur. it. (2001), p. 261, che, con riferimento a un contratto di leasing finanziario, esclude l’applicabilità della disciplina generale sulla risoluzione e fa ricorso a quella particolare della vendita con riserva di proprietà. Cfr. anche la risalente Cass., 13 maggio 1980, n. 3142, Rep. Foro it. (1980), voce Contratto in genere, n. 56. 59 Diversamente, alcune pronunce della S. corte, sia pur non condivisibili in tutti i passaggi argomentativi, si connotano per l’apprezzabile sforzo di ricostruire la regola applicabile al contratto di leasing facendone questione di compatibilità tra il profilo causale dell’intesa e la ratio delle singole disposizioni. Xxxx, valorizzando la funzione di finanziamento e avendo riguardo per il particolare contesto economico e le peculiarità del caso concreto, Cass., 6 maggio 1986, n. 3023, Vita not. (1986), p. 1208, esclude l’applicabilità della disciplina relativa al trasferimento di proprietà (in particolare, l’art. 1526 c.c., sulla vendita con riserva di proprietà), recuperando, invece, l’operatività dell’art. 1458, comma 1, c.c. sulla risoluzione. Interessante, in questo senso, anche Xxxx., 13 dicembre 1989, n. 5569, ivi (1989), p. 518: “La ricostruzione nell’uno o nell’altro senso della volontà delle parti versata nel regolamento negoziale è problema ovviamente da affrontare e risolvere caso per caso, alla luce delle concrete peculiarità delle specie”; di solito, sono gli aspetti strutturali (comunque criteri soltanto “tendenziali”) a rivelare quali gli interessi perseguiti dalle parti e, dunque, la causa del negozio. Per la giurisprudenza di merito, cfr. Trib. Napoli, 5 maggio 2009, in Dejure online. Sul tema v., ampiamente, IMBRENDA, M.: Il leasing finanziario. Trilateralità funzionale ed equilibrio del rapporto, Napoli (2005), spec. p. 57 ss.; e EAD, Il leasing, in EAD. e X. XXXXXXXX, Leasing e lease back, in Tratt. dir. civ. C.N.N., Napoli (2008), p. 12 ss. Nel senso di evitare un appiattimento della disciplina del leasing su quella della locazione, anche DE NOVA, G.: Il tipo contrattuale, cit., p. 160 ss.
60 V., per tutti, ALPA, G.: I contratti di engineering, in Tratt. dir. priv. Xxxxxxxx, 11, III, Torino (1984), p. 76. In giurisprudenza, Cass., 6 dicembre 1986, n. 7263, Resp. civ. prev. (1986), p.
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morale, e riguardare la combinazione di atti e di attività della piú ampia e diversa natura 61 . Vi sono, infatti, casi nei quali il giudice, senza porsi il problema per la prestazione di assistenza morale, ha riconosciuto l’inadempimento della sola prestazione di assistenza materiale, a ragione della “scarsità di frequentazione” tra nonna e nipoti, non giustificata né dalla “sostanziale autonomia materiale della nonna”, né dai “forti dissapori nella generazione intermedia”62. Si consideri, poi, che i vitalizi non possono avere sempre le medesime caratteristiche, poiché esistono anche ipotesi legali (ad esempio, artt. 548, comma 2, 580, e 594 c.c.) e giudiziali (ad esempio, art. 2507 c.c.) di “rendite vitalizie”63.
VI. Requisiti strutturali della rendita vitalizia tipica. In particolare, la fungibilità della prestazione.
La categoria dei “vitalizi impropri” è da superare anche per un’altra ragione: essa è nata per negazione dalla rendita tipica, ma senza che siano stati individuati con precisione i requisiti essenziali di quest’ultima, solitamente fatti coincidere, pur in assenza di espressa previsione normativa, con prestazione di dare (una somma di denaro o una quantità di derrate o cose fungibili), fungibilità della prestazione (sí che qualora le caratteristiche personali del debitore dovessero rilevare nel concreto assetto di interessi, configurando un rapporto intuitus personae, si sarebbe in presenza di un contratto diverso) e aleatorità del contratto (caratteristica esaltata al punto da considerarla, secondo l’insegnamento di Xxxxxxx 64 , un requisito giuridico-strutturale 65 essenziale attinente alla causa della rendita).
Di conseguenza, tutti i vitalizi impropri (caratterizzati da prestazioni di fare, infungibili e da una diversa forma di aleatorietà) sarebbero atipici e quindi
61 Pur riferendo di una categoria unitaria e ampia dei vitalizi impropri, LANDRISCINA, A.: “Obbligazioni vitalizie di “facere” infungibile e inattuazione del rapporto contrattuale”, Giur. it. (1994), I, 1, c. 821 s., riconosce l’eterogeneità della sua composizione. In linea, XXXXXXX, M.: “Vitalizio assistenziale e nullità per mancanza di alea” (nota a Cass., 15 giugno 2009, n. 13869), Notariato (2010), p. 275 s., rileva la profonda variabilità della prestazione del vitaliziante in relazione alle concrete esigenze del beneficiario (per alcuni esempi, p. 275, nota 3).
62 Cass., 19 febbraio 1996, n. 1280, Contratti (1996), p. 465, con nota di XXXXXXXX, G., “Vitalizio e risoluzione per inadempimento dell’obbligo di prestare assistenza morale”.
63 Xxxxx rendite ex lege cfr. XXXXXXXX, X.: La rendita vitalizia, cit., p. 124 ss. Per alcuni esempi, v. anche XXXXXXX, G.: Xxxxxxx, cit., p. 880.
64 La teoria è riportata da XXXXXXXXX, I.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 852.
65 Sul concetto di alea quale componente giuridico-strutturale dei contratti aleatori si rinvia a XXXXXXX, A.: L’assicurazione nella teoria dei contratti aleatori, Milano (1964), p. 57 ss. [rist., Napoli (2015)]; e CORRIAS, P.: I contratti derivati finanziari nel sistema dei contratti aleatori, cit., p. 175 ss.
sottoposti a una disciplina diversa da quella prevista dal codice per la rendita vitalizia66.
Il ragionamento non convince.
Anzitutto, come visto, la fungibilità della prestazione non è un requisito espressamente richiesto dal legislatore per il vitalizio tipico; senza contare che anche i vitalizi impropri possono avere ad oggetto una prestazione di dare o di fare fungibile67. La prestazione assume connotati differenti in relazione al concreto assetto di interessi divisato68. Eppure una visione patrimonialistica della rendita e una formale assimilazione della rendita vitalizia alla rendita perpetua69 inducono spesso gli interpreti a qualificare la fungibilità requisito essenziale e a considerare atipica una obbligazione di fare. Non manca, peraltro, chi nega che una rendita possa soddisfare anche un interesse non patrimoniale (senza che tale circostanza debba condurre necessariamente alla atipicità) 70, non considerando che la prestazione assistenziale ha carattere patrimoniale in quanto economicamente valutata dai contraenti e corrisponde a un interesse del vitaliziato che può essere tanto patrimoniale quanto non patrimoniale.
Cosí dottrina e giurisprudenza prevalenti considerano atipiche, e non suscettibili di essere sottoposte alla medesima disciplina della rendita vitalizia, tutte quelle rendite non caratterizzate, ad esempio, dalla fungibilità della prestazione o da un prestazione di dare, come le rendite alimentari e i contratti di mantenimento.
Questo risultato è ancóra una volta il portato di un ragionamento logico- formale basato sui tipi e le categorie, nonché poco attento alla funzione e agli interessi perseguiti dal singolo negozio. In altre parole, spesso i giuristi delimitano il tipo, anche a costo di irrigidirlo tramite l’individuazione di
66 Per riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, v. retro nota 2.
67 La Suprema corte chiarisce che la prestazione di assistenza, nel caso del contratto di mantenimento, è caratterizzata dall’intuitus personae anche quando può essere eventualmente eseguita dagli eredi o aventi causa del contraente, “atteso che l’infungibilità va riferita alla sua insostituibilità con una prestazione in denaro e alla correlata coercibilità”. Xxxx Xxxx., 12 febbraio 1998, n. 1503, Riv. not. (1998), p. 987; Cass., 1 aprile 2004, n. 6395, Foro it. (2005),
I, c. 497; e Cass., 14 giugno 2012, n. 9764, cit.
68 Sul punto x. XXXXXXXX, A.: Fungibilità ed infungibilità, cit., p. 1 ss.; e PERLINGIERI, P.: Dei modi di estinzione dell’obbligazione, cit., p. 269 ss.
69 Si è rilevato, infatti, che spesso rendita perpetua e rendita vitalizia sono trattate unitariamente nonostante differiscano “sia dal punto di vista strutturale che funzionale in maniera evidente, tanto che una trattazione unitaria condurrebbe inevitabilmente ad un’assimilazione arbitraria di fenomeni tra loro eterogenei”, XXXXXXX, G.: Rendita, cit., p. 854.
70 Per una diversa impostazione, v. retro nota 41.
caratteristiche, come nel nostro caso, non richieste espressamente dal legislatore, e di conseguenza considerano ‘diverso’ (rectius ‘improprio’) tutto ciò che non rientra in quel rigido schema.
Viceversa, deve osservarsi che, salvo che non si voglia ricorrere a un tipo diverso e alla nozione di rendita perpetua (art. 1861 c.c.), nessuna norma della rendita vitalizia richiede espressamente la fungibilità della prestazione o l’assunzione di una prestazione di dare, sí che non si comprende la ragione per la quale una rendita avente a oggetto una prestazione di fare o comunque infungibile debba essere considerata automaticamente una rendita atipica.
Occorre pertanto superare questa prospettiva e svuotare la rendita vitalizia delle suddette caratteristiche. Infatti, in merito al contenuto della prestazione si è giustamente rilevato, ad esempio, che la circostanza che il vitalizio alimentare sia spesso commisurato ai “bisogni del vitaliziato” non solo non è un elemento essenziale della fattispecie, ma non rappresenta un vero elemento discretivo. Del resto, tanto una prestazione di dare, tanto una prestazione di fare potrebbero servire alla soddisfazione del medesimo interesse; interesse che non si può definire patrimoniale soltanto perché oggetto della prestazione sia un dare di denaro o di altre cose fungibili, come non può dirsi necessariamente non patrimoniale se riferito ad obblighi di assistenza. Di conseguenza, è da condividere chi afferma la “precarietà di ogni rigido tentativo di definizione operato in base a criteri predeterminati e tendente alla riconduzione della figura allo schema tipico della rendita vitalizia, ovvero alla esclusione dallo schema stesso, onde ricavare la disciplina concreta applicabile”71. Ai fini della qualificazione, i caratteri della prestazione sono irrilevanti; fondamentale, invece, aver conto del concreto assetto di interessi, nonché della volontà espressa in sede di conclusione dell’accordo.
Stesso discorso si ha in tema di fungibilità della prestazione. Non corrisponderebbe al vero il convincimento comune secondo il quale la prestazione periodica o continuativa della rendita vitalizia si connota per la fungibilità, mentre nei vitalizi impropri, rilevano le caratteristiche personali del debitore configurando un rapporto fiduciario o intuitus personae. In primo luogo, il requisito della necessaria fungibilità della prestazione non è espressamente richiesto dalla disciplina della rendita vitalizia, ma è desunto in dottrina dalla normativa della rendita perpetua. In secondo luogo, anche un vitalizio improprio può avere ad oggetto una prestazione di dare, come nel caso di una prestazione avente ad oggetto vitto, alloggio e vestiario. In terzo luogo, per la qualificazione di un negozio non è mai sufficiente considerare isolatamente il singolo rapporto obbligatorio che scaturisce dalla
71 XXXXXX, X.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 119.
pattuizione 72 . A prescindere dalla mera qualificazione della singola prestazione come fungibile o infungibile, occorre dare attenzione al complessivo assetto di interessi condiviso e quindi alla particolare considerazione che le parti hanno avuto, nell’insieme, delle prestazioni dedotte in contratto. Ad esempio, non si può escludere a priori che una prestazione di assistenza morale o materiale, apparentemente infungibile, possa rivestire i connotati della fungibilità e della convertibilità in danaro se ciò corrisponde all’interesse del creditore 73 . Si pensi alla clausola, spesso utilizzata nei vitalizi impropri, che consente al vitaliziante di liberarsi dall’obbligo di prestare gli alimenti o il mantenimento in natura versando al vitaliziato una somma di denaro, con variazione dell’oggetto della prestazione (che diviene fungibile) 74. Né in tal caso si può escludere l’applicabilità dell’art. 443 c.c. (in tema di somministrazione degli alimenti), qualora non sia piú possibile erogare la prestazione in natura per divergenze o incompatibilità insorte tra le parti e si accerti che l’interesse del vitaliziato può essere soddisfatto anche mediante una prestazione in danaro. In tal caso, però, non si discorrerà, come pure affermato, di applicazione analogica dell’art. 443 c.c. ai vitalizi impropri75, ma semplicemente di operatività di un rimedio diverso (adempimento in danaro) pur sempre idoneo a soddisfare l’interesse del creditore. Ciò confermerebbe la nota e risalente tesi del Cicu, il quale a proposito della natura dell’obbligo alimentare, riferiva il termine ‘alimenti’, indifferentemente, alla prestazione in natura e alla prestazione in danaro76, affermando che la distinzione tra natura e danaro non comporta necessariamente una differente valutazione giuridica77.
Quindi la circostanza che un’obbligazione di fare possa assumere, nel complesso assetto degli interessi, natura fungibile comporta anche l’abbandono della necessaria natura intuitus personae di tutti i vitalizi impropri. Sarà il concreto assetto negoziale a consentire di rispondere alla domanda se è necessario che la prestazione di assistenza materiale e morale sia eseguita personalmente dal debitore, oppure se il creditore reputa equivalente che siano forniti mezzi economici a fini assistenziali. Come rilevato, infatti, se è vero che “nel vitalizio alimentare la prestazione può avere ad oggetto prevalentemente un facere anziché un dare” e che “l’obbligo di mantenimento
72 Considera “forse erroneo” questo metodo di qualificazione QUADRI, R.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 129.
73 Cass., 25 ottobre 1969, n. 3501, cit. V. anche esempio retro § 3.
74 XXXXXX, X.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 129.
75 Cass., 25 ottobre 1969, n. 3501, cit. Esclude che la disposizione si possa recuperare per le vie dell’interpretazione analogica LANDRISCINA, A.: Obbligazioni vitalizie di “facere” infungibile, cit., p. 831. Per una ricostruzione dei principali orientamenti, v. XXXXXX, X.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 132.
76 CICU, A.: “La natura giuridica dell’obbligo alimentare fra congiunti”, Riv. dir. civ. (1910), I, p. 145.
77 CICU, A.: “La natura giuridica dell’obbligo alimentare fra congiunti”, cit., p. 152.
comprende la somministrazione di tutto quanto necessario ai bisogni del vitaliziato e si concreta nella prestazione promiscua di cose e di servizi, le une e gli altri prevalenti a seconda delle varie contingenze della vita del creditore”, vero è pure che talvolta nel concreto rapporto la prestazione di fare (assistenziale) è convertibile in danaro, avuto riguardo all’interesse del creditore, con la conseguenza che “le prestazioni di fare” possono rappresentare “nell’economia del contratto, l’equivalente di ciò che il creditore dovrebbe procurarsi durante l’esborso di somme” 78 . Si pensi all’ipotesi nella quale, a fronte del trasferimento di un immobile, l’acquirente assume l’obbligazione di prestare cure in favore dell’alienante79. Se nel corso del rapporto si manifesta tra le parti un dissapore tale da rendere intollerabile la prosecuzione del rapporto, per la giurisprudenza francese la circostanza non rappresenta motivo di risoluzione del contratto, ben potendo la prestazione pattuita e non eseguita a causa di dissidi sopraggiunti tra le parti essere comunque eseguita, alla luce del complesso assetto di interessi, per equivalente, mediante conversione della prestazione di cure in prestazione di danaro80. Sí che, in caso di inadempimento, l’alternativa tra il sequestro e la vendita dei beni del debitore (ex art. 1878 c.c.) e la risoluzione (ex art. 1453 c.c.) non è fatta dipendere dalla natura tipica o atipica del contratto, né dalla natura della prestazione, ma dall’interesse del creditore e dal concreto regolamento negoziale (senza necessità di una specifica previsione pattizia).
Questo non significa affermare che ogni prestazione di fare è infungibile, né, come pure rilevato, che ogni prestazione di fare “è l’equivalente di ciò che dovrebbe procurarsi mediante l’esborso di danaro”, ma significa soltanto che bisogna analizzare il concreto regolamento negoziale poiché non si può escludere che anche in mancanza di un accordo espresso tra le parti una prestazione di fare possa assumere natura fungibile in relazione alla posizione del creditore (riducendo cosí la distanza tra la rendita vitalizia e i c.d. vitalizi impropri). Così secondo una sentenza della Cassazione in tema di vitalizio assistenziale, “l’affidamento del vitaliziato ad una casa di cura, conseguente al peggioramento delle condizioni di salute del vitaliziato stesso, non varrebbe ad escludere l’obbligo per il vitaliziante di continuare a prestare assistenza al vitaliziato”81. Questo è un’ulteriore prova che la prestazione del vitaliziante non è di per sé infungibile e che, almeno in parte, può essere sostituita dalla prestazioni di altri, con buona pace dell’infungibilità come caratteristica essenziale e discriminante dei vitalizi impropri. Non si può escludere, insomma, che anche una prestazione assistenziale di natura personale può, per concorde volontà dei contraenti o avuto riguardo all’interesse del
78 Cass. 18 marzo 1958, n. 905, cit., e Xxxx. 25 ottobre 1969, n. 3501, cit.
79 Ci si riferisce a Civ. 8 janvier 1980, in Rec. Dalloz (1983), J, 306.
80 Cosí si orienta Civ. 8 janvier 1980, cit., nonostante l’art. 1978 code civil sembri contrapporre in modo rigido le figure del contrat de rente viagère e del bail à nourriture.
81 Cass., 11 dicembre 1995, n. 12650, cit.
creditore, reputarsi surrogabile con altra prestazione di facere da altri eseguita o sostituibile con una diversa prestazione economica (normalmente pecuniaria). Sí che neppure la supposta infungibilità può essere un elemento dal quale dedurre l’atipicità dei vitalizi impropri e la loro intrinseca autonomia rispetto alla disciplina della rendita vitalizia.
In questa prospettiva, non si svuota di significato la distinzione tra obbligazioni di dare e obbligazioni di facere ma la si rilegge in una prospettiva non già strutturale ma funzionale82. Soltanto l’analisi del concreto assetto degli interessi consente di valutare la coercibilità della prestazione e la sostituibilità di una prestazione personale con una prestazione in danaro. La prestazione di una rendita alimentare può essere caratterizzata da intuitus personae, ma potrebbe comunque essere considerata dagli interessati surrogabile con quella di fare altrui. Le parti potrebbero, inoltre, essere indifferenti alle modalità di esecuzione (in natura o in denaro): se al debitore è concesso di liberarsi mediante l’esecuzione di una prestazione pecuniaria, questa è privata di ogni connotazione in senso personalistico ed è, quindi, fungibile. L’imputazione al vitalizio oneroso di una prestazione di dare in via esclusiva non solo non è la regola nella pratica e non riflette le istanze emergenti dagli usi, ma spesso è un retaggio della tradizione. L’infungibilità, ancorché emergente dalla prassi contrattuale, può essere accantonata per volontà delle parti. In tal modo spesso si accorciano le supposte distanze tra la figura tipica del vitalizio oneroso e i vitalizi impropri e si incrina la tradizionale considerazione dell’intuitus personae come dato essenziale dei vitalizi impropri.
Sulla base di queste considerazioni e ritornando al problema dell’applicabilità dell’art. 1878 c.c. al vitalizio c.d. improprio, deve concludersi che la soluzione dipende, piú che dalla natura della singola prestazione, dal complesso assetto di interessi considerati nel caso concreto83. Vi sono infatti ipotesi nelle quali la prestazione risulta infungibile soltanto prima facie; ad uno studio piú accorto della fattispecie, ci si potrebbe accorgere che l’interesse del creditore è suscettibile di soddisfazione anche mediante una prestazione diversa. Il che porterebbe a scoprire che quella originariamente convenuta è, in realtà, una
82 Diversamente, SALA, M.: “Contratti atipici vitalizi a titolo oneroso e risoluzione per inadempimento” (nota a Cass., 30 gennaio 1992, n. 1019), Giust. civ. (1993), I, p. 1057; XXXXXXXX, A.: Vitalizio alimentare, cit., p. 607; LANDRISCINA, A.: Obbligazioni vitalizie di “facere” infungibile, cit., p. 825; e PERFETTI, U.: Contratto innominato di mantenimento, cit., p. 527. 83 Diversamente, tra gli altri, LANDRISCINA, A.: Obbligazioni vitalizie di “facere” infungibile, cit.,
p. 832; e XXXXXXXX, U.: Contratto innominato di mantenimento, cit., p. 532 s.; XXXX, M.: Il contratto di assistenza alla persona, Pisa (2000), p. 70 s.; TERRANOVA, C.: “Vitalizio alimentare in cambio di un immobile e rinuncia all’azione di risoluzione” (nota a Cass., 28 luglio 1975, n. 2924), Foro it. (1976), I, c. 2882; XXXXXXXX, G.: Vitalizio e risoluzione per inadempimento, cit., p. 468 s.
prestazione fungibile e che al particolare contratto di mantenimento (tipico o atipico che sia) si deve applicare l’art. 1878 c.c.
VII. SEGUE. ALEA DEL CONTRATTO E CONTROLLO DI MERITEVOLEZZA DEGLI INTERESSI PERSEGUITI.
In ordine al requisito dell’aleatorità della rendita vitalizia è necessario sfatare alcuni luoghi comuni, dovuti a ragioni storiche.
Secondo l’impostazione tutt’oggi condivisa, l’alea, intesa come incertezza obiettiva, per volontà delle parti o per legge, su chi possa trarre un vantaggio per lo piú economico dalla conclusione del contratto a causa di un evento incerto 84 , rappresenterebbe un elemento giuridico-strutturale essenziale di
84 Sul concetto di alea quale “incertezza del risultato economico finale”, x. XXXXXXX, A.: L’assicurazione, cit., pp. 23 s., 79 ss., 246, che, giustamente, distingue tra l’alea “normale” (ex art. 1467, comma 2, c.c.), o economico-funzionale, di qualunque contratto ad esecuzione non immediata (differita o continuata), costituita dalle normali oscillazioni o variazioni di valore economico della prestazione di una o di entrambe le parti in dipendenza delle fluttuazioni del mercato, e l’alea non soltanto economica, ma “giuridico-strutturale” caratterizzante la categoria dei negozi aleatori, la quale, invece, concerne la previsione, nell’àmbito del meccanismo contrattuale, del collegamento tra la nascita e/o la consistenza della prestazione di una o di entrambe le parti e l’accadimento di un evento incerto. Sul punto v. anche DI XXXXXXXXXXXX, G.: Il contratto e l’alea, Padova (1987), p. 302 s.; XXXXXXX, P.: I contratti derivati finanziari, cit., p. 176 ss., il quale, al riguardo, correttamente discorre di “alea propria dei contratti aleatori”; nonché XXXXXXXXX, T.: “Aleatorietà e contratti di borsa”, Banca borsa tit. cred. (1958), I, p. 435 ss., 439 ss., che afferma: “Se riflettiamo sui contratti tradizionalmente considerati aleatori (gioco, assicurazioni, rendita vitalizia, e, se vuolsi, emptio spei che, a differenza dei primi, presenta un’alea tuttavia diversamente valutabile) non tardiamo ad accorgerci come l’alea che induce a definire il contratto come aleatorio sia quella che: a) concerne la verificazione di un evento che sfugge al controllo delle parti, b) evento definito nel contratto stesso, c) che può importare anche l’assoluta mancanza di una prestazione di una parte o dell’altra, d) senza tuttavia che la verificazione di questa eventualità influisca sulla misura della controprestazione. Possiamo esprimere questa situazione anche scrivendo che la prestazione di una delle parti (o di ciascuna delle parti) è determinata nella sua misura (comprendendo in detto termine anche la misura zero) – nella sua misura, non nel suo oggetto, contro quanto a volte si insegna; tanto meno direttamente nel suo valore economico – in funzione di un evento futuro e incerto, definito nel contratto e considerato indipendente dal comportamento delle parti (o considerato solo in quanto si verifichi indipendentemente dal comportamento delle parti)”. Sul tema, imprescindibili altresí XXXXXX, R.: “Alea”, Enc. dir., I, Milano (1958), p. 1024 ss. e XXXXXX, G.: “Considerazioni sui contratti aleatori”, Riv. dir. civ. (1960); ID., Corrispettività e alea nei contratti, Milano-Varese (1960), p. 111 ss.; ID., “Alea”, Dig. disc. priv., Sez. civ., I, Torino (1978), p. 253 ss. Per una ricostruzione dei diversi orientamenti dottrinari in merito all’individuazione dei connotati tipici dei contratti aleatori, cfr. XXXXXXXX, O.: Indennizzo diretto e prestazione assicurativa, Napoli (2009), p. 16, nota n. 9. Sull’emptio spei, ex art. 1472, comma 2, c.c., x. XXXXXXXXXXX, P.: I negozi su beni futuri, I, La compravendita di “cosa futura”, Napoli (2010, rist. 1962), p. 3 ss. Con riferimento alla vendita di diritti ereditari, stipulata “a
qualsiasi rendita 85 , sí che la sua mancanza (o, se vogliamo, riduzione) condurrebbe all’invalidità o addirittura all’inesistenza del contratto 86 . Il carattere è usualmente esteso al vitalizio improprio mediante un procedimento ermeneutico che, per un verso, mette in evidenza un significativo punto di contatto tra le nuove figure e lo schema tipico, ma, per l’altro, ne ribadisce la diversità in virtú del particolare atteggiarsi. Tuttavia, nei vitalizi impropri, si è detto, l’alea sarebbe “doppia” o “accentuata”: all’incertezza sulla durata, che dipende dalla vita del creditore, si aggiungerebbe la variabilità del contenuto della prestazione in relazione allo stato di bisogno e di salute dello stesso 87 . Come anticipato, secondo alcuni, questo
rischio e pericolo” e “senza frode”, ex art. 765 c.c., esclude la natura aleatoria di tale figura XXXXXXXXX, L.V.: “Gli atti equiparati alla divisione”, Riv. trim. (1963), p. 552, secondo il quale, in tale fattispecie, l’aleatorietà “si riduce […] alla mera incertezza soggettiva delle parti circa la consistenza economica della quota ceduta e non è dato invece riscontrare la presenza di un rischio obiettivamente inteso che costituisce l’essenza dell’alea in senso stretto”. Analogamente, lo stesso Autore [ID., ““Commutatività” e “aleatorietà” dell’appalto”, in Tratt. dir. priv. Xxxxxxxx, 11, Obbligazioni e contratti, III, Torino (1984, rist. 1985), p. 716], dopo aver definito l’alea “come incertezza oggettiva del valore intrinseco e/o dell’onerosità, al momento della futura esecuzione, dell’una o dell’altra delle due prestazioni contrapposte, o di entrambe”, esclude la riconducibilità dell’appalto alla categoria dei contratti aleatori. Sul concetto di alea v., ampiamente, FERRARI, V.: Il problema dell’alea contrattuale, Napoli 2001, p. 11 ss., ivi ulteriori riferimenti di dottrina e giurisprudenza; cfr., di recente, tra gli altri XXXXXXX, G.: Contratto aleatorio e alea, Milano 2004.
85 XXXXXXXX, A.: Rendita perpetua, cit., pp. 81 e 92; XXXXXXX FERRARA, L.: Contratti aleatori, cit., p. 19; XXXXXXXX, N.: La rendita vitalizia, cit., p. 12 ss.; XXXXX, R.: I vincoli derivanti dalle rendite, cit., p. 288. Premesso il carattere convenzionalmente aleatorio del vitalizio improprio, Cass., 19 ottobre 1998, n. 10332, Giur. it. (1999), p. 2264, dichiara la nullità, per difetto di causa propria il contratto (successivo e collegato a quello di mantenimento) con il quale, in ragione della sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione assistenziale, il vitaliziato attribuisce ai vitalizianti la nuda proprietà su beni ulteriori rispetto a quelli già ricevuti. Diversamente PINO, A.: Contratto aleatorio, contratto commutativo e alea, cit., p. 1229, rileva che la natura aleatoria della rendita vitalizia va dimostrata e non presupposta, al fine di evitare il rischio di incorrere in gravi errori e petizioni di principio.
86 Optano per il rimedio della nullità, Cass., 15 giugno 2009, n. 13869, Dir. giust. online; Cass., 12 ottobre 2005, n. 19763, Mass. Giust. civ., 2005, p. 10; Cass., 9 gennaio 1999, n. 117,
Dejure online; Cass., 28 giugno 1986, n. 4344, Riv. not. (1987), p. 561; Cass., 14 aprile 1984,
n. 2419, Foro it. (1984), I, c. 1841; Cass., 24 marzo 1982, n. 1880, Rep. Giur. civ. (1982), voce
Xxxxxxx xxxxxxxxx, n. 6; Cass., 16 giugno 1981, n. 3902, Foro it. (1982), I, c. 477; Cass., 22
ottobre 1977, n. 4547, Rep. Foro it. (1977), voce Xxxxxxx xxxxxxxxx, n. 2; Cass., 30 settembre 1955, n. 2704, Rep. Foro it. (1955), voce Vitalizio, n. 13. XXXX, A.: Il difetto di alea, cit., p. 355, osserva che, in circostanze di questo tipo, la nullità è fatta dipendere (non da una espressa previsione normativa, ma) da un mero “principio teorico”, peraltro non necessariamente fondato.
Di “inesistenza” per difetto di alea si discorre nell’àmbito della giurisprudenza di merito piú datata. Cfr., tra le altre, App. Bari, 28 giugno 1949, Rep. Foro it. (1949), voce Vitalizio, n. 3; e App. Genova, 4 agosto 1947, Temi (1947), p. 602.
87 Cass. 18 marzo 1958, n. 905, cit.; Cass., Sez. un., 18 agosto 1990, n. 8432, cit.; Cass., Sez.
un., 11 luglio 1994, n. 6532, Mass. Giust. civ. (1994), p. 949; Cass., 11 dicembre 1995, n.
confermerebbe la tipicità dei vitalizi impropri, poiché consentirebbe di ricondurre le diverse figure al medesimo schema della rendita vitalizia e di confermare l’affinità tra le due fattispecie contrattuali 88 . Secondo altri, lo stesso dato dimostra il contrario, ovvero l’atipicità dei vitalizi impropri, poiché la doppia alea acuirebbe la differenza con il vitalizio oneroso89; si reputa, cioè, che il carattere maggiormente accentuato (“doppio” o “composito”) dell’alea non è un profilo irrilevante ai fini della qualificazione della fattispecie, ma penetra nella “causa alimentare” e impedisce la riconduzione allo schema del vitalizio oneroso.
Come affermato, la logica alla base dei due contrapposti orientamenti è la medesima: il sillogismo e la sussunzione 90 . Questa circostanza, che può comunque essere esclusa dalle parti, costituisce, tuttavia, soltanto una particolare qualificazione dell’alea e non incide sul rapporto tanto da allontanarlo dal modello legale; eppure, nonostante l’aleatorietà sia dato comune a vitalizi impropri e contratto tipico, non se ne deduce l’identità91.
Non credo che l’impostazione sia condivisibile, poiché l’alea non è, come rileva isolata dottrina 92 , un requisito essenziale della causa della rendita. Inoltre, se pure lo fosse (il che potrebbe accadere qualora la si intenda, come preferibile, quale requisito giuridico-strutturale dei contratti aleatori93), la sua mancanza o, meglio, la sua riduzione o il suo affievolimento non escluderebbero affatto di per sé la liceità e la meritevolezza degli interessi in concreto perseguiti dal negozio94.
12650, cit.; Cass., 9 ottobre 1996, n. 8825, cit.; Cass., 5 maggio 2010, n. 10859, Giust. civ. (2010), I, p. 2167; Trib. Torre Annunziata, 26 aprile 2011, cit. Sul punto v., ampiamente, QUADRI, R.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 137 ss., e ivi ulteriori riferimenti. Cfr. le riflessioni di XXXXXX, A.: “Autonomia privata e mantenimento: i contratti di vitalizio atipico”, Fam. dir. (2008), p. 305 ss.
88 XXXXXXXX, X.: La rendita vitalizia, cit., p. 49 ss.
89 XXXXXXXX, A.: Vitalizio alimentare, cit., p. 607; XXXXXXX, P.L.: Contratto di mantenimento e vitalizio alimentare, cit., p. 1440; XXXXXXX, T.: Alimenti e solidarietà familiare, cit., p. 203; XXXXXXXXXX, R.: “Il contratto vitalizio assistenziale: un caso di atipicità”, Giust. civ. (1997),
p. 2237; XXXXXX, M.: “Risoluzione del contratto di mantenimento”, Notariato (1998), p. 239; LANDRISCINA, A.: Obbligazioni vitalizie di “facere” infungibile, cit., c. 829; e XXXXXXXX, G.: Xxxxxxxxx e risoluzione, cit., p. 468.
90 V. retro § 1.
91 Cfr. la piú volte citata Xxxx., Sez. un., 18 agosto 1990, n. 8432.
92 XXXX, X.: Il difetto di alea, cit., p. 360 ss.; XXXXX, A.: Xxxxxxxxx, cit., p. 1025; e già MIRABELLI, G.: Del contratto vitalizio, in Tratt. dir. civ. it. secondo la dottrina e la giurisprudenza, diretto da Xxxxx e continuato da Brugi, VI, Napoli-Torino (1924), p. 420 ss.; e TARTUFARI, L.: “Xxxx’xxxx nella costituzione di rendita vitalizia”, in Arch. giur. (1889), XLII, p. 424 ss.
93 Sul punto vedi retro nota 65.
94 Xxxxx necessità che il controllo di meritevolezza operi con riferimento ai negozi sia tipici sia atipici, quale naturale conseguenza del concetto di causa concreta, v., PERLINGIERI, P.: “Lo studio del diritto nella complessità e unitarietà del sistema ordinamentale”, Il Foro nap.
A sostegno dell’assunto, si può anzitutto rilevare che il Codice del 1942 non discorre mai dell’alea quale requisito della rendita (a differenza del Codice civile del 1865 che, all’art. 1102, riconosceva espressamente – similmente agli artt. 1964, 1975, 1976 del codice napoleonico – la natura aleatoria nella rendita vitalizia)95. Né si può richiamare la Relazione al c.c. n. 747 ove si afferma che “il vitalizio è essenzialmente contratto aleatorio”: questo riferimento è operato con riguardo all’art. 1876 c.c. per giustificare la nullità della rendita che si riferisce alla vita di persona già defunta al tempo del contratto96. In questi casi, la nullità è dovuta non già alla mancanza di alea, ma alla mera mancanza di causa97 (la ragione dell’errore sta forse nel concetto di causa allora imperante).
Xxxxxxx allora chiedersi perché, in assenza di una indicazione del legislatore, la dottrina e la giurisprudenza continuano a considerare l’alea un requisito essenziale della rendita, con la conseguenza di configurare, in caso, ad
(2014), p. 105 s., il quale osserva che l’art. 1322 c.c. “dispone che il controllo di meritevolezza va fatto per le clausole atipiche partendo da una nozione di causa astratta del contratto, ma la pratica mostra che anche un contratto tipico, magari con clausola atipica, potrebbe essere invalido. Ne deriva che il controllo di meritevolezza dell’atto di autonomia deve avere ad oggetto la causa concreta del contratto, sí da ritenere configurabile un contratto tipico illecito o immeritevole. Occorre dunque partire dalla causa in concreto per determinare la meritevolezza del regolamento, sia esso riconducibile o no ad uno schema atipico. Consegue, infine, l’inaccettabilità di quelle tesi secondo le quali la diffusione di taluni contratti nelle “nazioni civili” basterebbe per affermare la meritevolezza dei contratti medesimi (es. sale and lease back, factoring, swap, ecc.). Tesi, peraltro, superata anche dalla giurisprudenza, la quale ha valutato immeritevole il contratto di swap a partire da una valutazione in concreto della causa realizzata”. Sul punto v. anche PERLINGIERI, G.: Il controllo di “meritevolezza”, cit., p. 58, nota 8 e, per un’analisi della giurisprudenza, CLARIZIA, O.: “Valutazione della causa in concreto e superamento del tipo legale”, in PERLINGIERI,
G. e XXXXXXXXX FIGLIA, G.: L’”interpretazione secondo Costituzione” nella giurisprudenza. Crestomazia di decisioni giuridiche, II, Napoli (2012), p. 411 ss.
95 XXXXXXX, A.: L’assicurazione, cit., p. 286. La circostanza che la disposizione non sia stata riprodotta nel Codice vigente potrebbe essere dovuta al “desiderio dei compilatori di non accogliere norme enunciate in forma di definizione”: cosí, PINO, A.: Il difetto di alea, cit., p. 356, il quale reputa “troppo semplicistico” ricondurre la scelta al fatto che l’art. 1102 c.c. del 1865 contiene una regola ovvia. Del resto, sempre ad avviso dell’a., nell’attingere dall’esperienza francese, sembra frutto di un equivoco l’aver inteso il termine “vantaggio” nel senso di ‘vantaggio economico’ e non semplicemente come ‘prestazione’.
96 L’errore ha radici lontane poiché anche la dottrina francese equiparava, a torto, la rendita vitalizia costituita sopra la vita di una persona già defunta (contratto nullo ex art. 1974 Cod. nap., per mancanza di causa e non di alea) alla rendita costituita, ex art. 1975, sulla vita di una persona inferma che muoia entro venti giorni dalla data del contratto (la cui nullità non dipende dalla mancanza di causa, ma da un problema di abuso o di equilibrio contrattuale). Ricostruisce gli orientamenti QUADRI, R.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 155 ss., spec. p. 162 s.
97 Anche XXXXXXX, X.: Xxxxxxx, cit., p. 875, rileva che nell’art. 1876 c.c. si configura “un’anomalia del momento causale in relazione all’‘essenzialità del termine finale’ della vita umana che in quel caso verrebbe a mancare, piuttosto che al piú specifico circoscritto difetto dell’elemento dell’alea”.
esempio, di negozio concluso da un persona molto anziana o gravemente malata 98, non una nullità virtuale ex art. 1418, comma 1, c.c. (una nullità non espressamente prevista da una norma imperativa), ma addirittura una nullità che opera in assenza di una “norma imperativa”99.
Si scopre, cosí, che all’alea è assegnata una funzione preventiva di tutela del contraente debole. In altre parole, fin dalle origini si è sempre reputata essenziale perché la sua presenza elimina, preclude ogni forma di abuso, di approfittamento o di speculazione. Infatti la reciprocità e l’equivalenza del rischio assunto dalle parti sono storicamente addotti come fondamento di liceità e di moralità del contratto. L’incerta durata della vita umana esclude, a priori, ogni forma di speculazione non potendosi prevedere chi realizzerà un lucro effettivo. In questo modo l’alea evita: usure in danno del debitore (vitaliziante), atteso che la stipulazione di una rendita vitalizia può facilmente prestarsi a celare un prestito di danaro100 (tant’è che Xxxxxxxxx XX prescrisse che la rendita non potesse mai superare il reddito dell’immobile101); nonché lesioni a danno del creditore (vitaliziato), situazione che può verificarsi, ad esempio, nel caso di donazioni a favore di un monastero o di una chiesa in cambio di una prestazione annuale al donante. Al riguardo, Xxxxx xx Xxxxx, per evitare approfittamenti delle istituzioni ecclesiastiche debitrici della rendita, stabilí che l’ammontare di questa fosse almeno il doppio o il triplo dei frutti del cespite alienato102.
98 Secondo la giurisprudenza, se il rapporto tra il valore del bene trasferito dal vitaliziato e le prestazioni promesse dal vitaliziante non dovesse esprimere una situazione di oggettiva incertezza in ordine ai vantaggi ai quali sono esposte le parti contrattuali – in quanto manca l’incertezza sulla durata della vita o sulle condizioni di salute del vitaliziato –, il contratto non potrebbe essere considerato aleatorio. Nella stessa direzione si è esclusa l’incertezza e, quindi, l’aleatorietà del contratto, in alcuni casi nei quali la rendita aveva ad oggetto una prestazione corrispondente o inferiore ai frutti del bene trasferito, considerato che, in tali circostanze, il vitaliziante non risultava esposto ad alcuno svantaggio: Cass., 25 marzo 2013,
n. 7479, Nuova giur. civ. comm. (2013), p. 859 ss.; e Xxxx. 24 giugno 2009, n. 14796, cit. In dottrina vedi, tra gli altri, CORRIAS, P.: I contratti derivati finanziari, cit., p. 192.
99 Né si può richiamare la norma che prevede la nullità per mancanza di causa (art. 1418 c.c.) poiché è tutto da dimostrare non soltanto che, nel caso di specie, il contratto non abbia una funzione, ma anche, come vedremo, che tale funzione non sia meritevole di tutela.
100 XXXXXXXXX, X.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 849.
101 PARADISO, M.: Giuoco, scommesse, rendite, in Tratt. dir. civ. diretto da Xxxxx, I singoli contratti, 8, Torino (2006), p. 352; SOFFIETTI, I.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 849; e XXXXXXX, A.: L’assicurazione, cit., p. 284, il quale chiarisce che il sospetto di usura può essere evitato solo in presenza di un’obiettiva proporzione tra il valore del rischio e il prezzo pagato per la sua assunzione o tra i valori dei rischi reciprocamente assunti.
102 PARADISO, M: Giuoco, scommesse, rendite, cit., p. 352. Nella stessa logica, sia pure in altro contesto storico ed economico, secondo Cass., 30 settembre 1955, n. 2704, Giust. civ. (1956), I, p. 929, la differenza tra la somma delle annualità da versare per la probabile durata della vita del vitaliziato e il reddito del bene o del capitale trasferito per lo stesso numero di anni deve corrispondere al valore del bene o del capitale; diversamente, se la
Se questa, come si afferma, è la vera ragione per la quale l’alea è considerata un requisito essenziale della rendita (strumento diretto ad evitare abusi e approfittamenti) 103 , non v’è motivo di configurare la nullità del vitalizio qualora, nonostante la mancanza di alea (o, meglio, la presenza di un’alea affievolita, nel senso che, al momento della stipulazione, non si può stabilire l’entità del vantaggio ma resta prevedibile quale delle parti trarrà il maggiore arricchimento economico)104, l’operazione sia da considerare, alla luce della causa concreta, comunque lecita perché diretta a perseguire interessi, anche non patrimoniali, meritevoli di tutela105.
Sarebbe assurdo e irragionevole, anche alla luce della tecnica dell’interpretazione orientata alle conseguenze106, che un requisito nato per tutelare la parte debole si trasformi in un elemento ostativo dell’operazione qualora la stessa si dimostri in concreto meritevole di tutela (nonostante l’affievolimento dell’alea) e, in ogni caso, spesso molto piú meritevole di altre operazioni normalmente praticate, ad esempio, dagli istituti bancari (come gli swaps e i contratti derivati in genere107).
rendita non eccede il valore del reddito o lo eccede in misura irrisoria, manca l’incertezza sul risultato economico, rectius manca l’alea. V. anche Cass., 6 luglio 1955, n. 2082, cit., e già Cass., 9 giugno 1971, n. 1474, cit.
103 XXXXXXXXX, X.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 851 s.
104 L’alea affievolita, tuttavia, non degrada nell’alea “normale” (ex art. 1467, comma 2, c.c.), ossia nell’alea appartenente a tutti i contratti ad esecuzione non immediata (differita o continuata) (sul punto v., per tutti, CORRIAS, P.: I contratti derivati finanziari, cit., pp. 177 ss.).
105 Del resto anche nel contratto di assicurazione, come autorevolmente affermato (XXXXXXX, A.: L’assicurazione, cit., pp. 23 e 79 ss.), se vogliamo, manca l’alea, poiché l’assicuratore, quale imprenditore, è in grado di eliminare il rischio della singola operazione in virtú del suo inserimento in una massa di rischi omogenei, ma mai ci si è sognati di discorrere di nullità poiché con il pagamento del premio l’assicurato ha acquisito il diritto alla tranquillità ed alla sicurezza che ha un valore in sè.
106 MENGONI, L.: “L’argomentazione orientata alle conseguenze”, Riv. trim. (1994), p. 1 ss., ora in ID., Ermeneutica e dogmatica giuridica. Saggi, Milano (1996), p. 91 ss. Ribadisce, anche di recente, l’importanza di porre attenzione “alle conseguenze della decisione” al fine di verificare “che non siano in contrasto con i princípi e i valori fondamentali del sistema”, PERLINGIERI, P.: “Il diritto come discorso? Dialogo con Xxxxxxx Xxxxxxx”, cit., p. 783.
107 Sull’invalidità di taluni contratti derivati finanziari si rinvia a PERLINGIERI, G.: L’inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di validità nel diritto italo-europeo, Napoli (2013), p. 60 ss., testo e nota 110, ove si invita ad analizzare le fattispecie concrete non soltanto sotto il profilo della sussistenza o meno di un’alea unilaterale (e, dunque, della mancanza di causa ex artt. 1895, 1418, comma 2, c.c.), ma anche sotto il profilo del controllo di meritevolezza degli interessi perseguiti, posto che la nullità può derivare tanto dalla mancanza di causa quanto dalla illiceità o non meritevolezza degli interessi perseguiti. Sí che non si possono escludere ipotesi di contratti derivati, sia pure con alea bilaterale, suscettibili tuttavia di invalidità e/o di interventi modificativi del giudice diretti a sindacare il contenuto del singolo derivato. Allo stesso modo, come vedremo, in presenza di una rendita vitalizia ciò che conta non è il controllo della presenza o meno di un’alea giuridico- strutturale, nonché l’analisi della configurazione di un’alea in concreto piú o meno affievolita, ma, piuttosto, il controllo di liceità e di meritevolezza degli interessi perseguiti.
A prescindere dalle ipotesi di rendite costituite per testamento 108 o per donazione anche mista 109 (ove il vitaliziato, avanti negli anni, intende beneficare, per spirito di liberalità, il vitaliziante o un terzo110 e, al contempo, assicurarsi una prestazione periodica o un’assistenza materiale e spirituale anche continuativa), si pensi a un proprietario (anziano o gravemente malato) che ravvisa un’utilità maggiore in una rendita vitalizia economicamente modesta piuttosto che nella conduzione diretta del fondo, con tutti i sacrifici, i rischi e i disagi, non soltanto economici, che ciò potrebbe procurare111. Ma il caso potrebbe valere anche per un giovane proprietario dotato di poca liquidità che preferisce un vitalizio certo ai rischi di una gestione diretta del fondo o di un’attività di impresa. Ugualmente dicasi per il proprietario di un capitale che preferisce una rendita vitalizia di importo inferiore agli interessi industriali e commerciali che lo stesso potrebbe fruttare, o perché incapace di impiegare il proprio denaro, o perché non intende correre i rischi che un impiego può comportare oppure ancóra perché non ha eredi e preferisce, essendo molto facoltoso ma sofferente di solitudine, ricevere un’assistenza morale e materiale, anche a costo di subire un probabile svantaggio economico vista la sua tarda età.
Similmente, in tema di contratti derivati, v. anche CORRIAS, P.: I contratti derivati finanziari, cit., pp. 191, 206 ss., 209, il quale rileva che è insufficiente, sul piano della meritevolezza degli interessi, la configurazione in concreto di una funzione generica di lucro incerto a sostenere causalmente qualsivoglia figura aleatoria tipica o atipica (p. 184 s.), ma chiarisce che solo i c.dd. derivati con alea unilaterale (che sono quei negozi “che prevedono il rischio di guadagni e perdite essenzialmente a carico di una delle parti e per l’altra unicamente la possibilità di guadagni” - pp. 174, 185, 206) sono da considerare sicuramente invalidi, in quanto non solo non sono portatori di reddito da lavoro (p. 186), ma sono fonte di abuso e mancanti di un elemento essenziale (arg. art. 1895, 1418, comma 2, c.c.).
108 In argomento MALVANO, M.: “Vitalizio assistenziale”, cit., p. 276, testo e nota 7, il quale inquadra l’ipotesi in esame nella discussa categoria del legato c.d. di contratto. Sul punto però v., in una prospettiva diversa, ampiamente ADDIS, F.: Il legato di rendita, in Le disposizioni testamentarie, diretto da Xxxxxxxx X. e coordinato da Barba V., Torino (2012), p. 858, ivi ulteriori riferimenti bibliografici.
109 “Rendite atipiche possono sorgere da un contratto di transazione o di divisione, o da una promessa al pubblico, o da una disposizione testamentaria; l’ampiezza dei modi di costituzione del rapporto è pari alla varietà dei titoli a disposizione delle parti” (XXXXXXX, F.: Rendita, cit., p. 5). In proposito, v. anche Cass., 25 marzo 2013, n. 7479, cit.: non è il requisito della aleatorietà ad essere determinante per valutare la configurabilità di una simulazione e la qualificazione di un atto come donazione o rendita vitalizia, ma l’eventuale e originaria sporporzione tra le prestazioni.
110 L’art. 1875 c.c., infatti, prevede espressamente la costituzione (anche) per spirito di liberalità di una rendita vitalizia a favore del terzo. Sul punto x. XXXXXXX, U.: L’interesse dello stipulante nel contratto a favore di terzo, Napoli (1962), p. 117; XXXXXXXX, M.: Il contratto e i terzi, in XXXXXXXXX X. (a cura di): I contratti in generale, 2, in Trattato dei contratti diretto da Xxxxxxxx, Torino (1999), p. 1213.
111 L’esempio è riportato da XXXX, A.: Il difetto di alea, cit., p. 366.
Né, in tale ipotesi, è possibile ricorrere alla logica dell’art. 1895 c.c. previsto in tema di assicurazione112, poiché la bilateralità effettiva dell’alea diventa un requisito essenziale di un contratto aleatorio soltanto là dove il rischio manchi o non esista e non sussistano altri interessi meritevoli di tutela idonei a giustificare l’operazione. Si pensi, appunto, a un contratto di rendita con un’alea unilaterale caratterizzato, tuttavia, da altri interessi meritevoli di tutela e, in quanto tali, idonei ad attribuire un senso e una giustificazione al negozio sul piano sistematico e assiologico.
Non si comprende, quindi, la ragione per la quale un atto in concreto meritevole di tutela debba essere considerato nullo soltanto perché manchevole dell’incertezza in merito a quale delle parti trarrà un vantaggio meramente economico.
Può ben accadere, infatti, che manchi “l’alternativa possibilità, per ciascuna parte, di un risultato economico finale favorevole o sfavorevole”113 oppure che l’evento morte sia probabile e solo relativamente “sfugg[a] al controllo delle parti”114, ma il contratto risulti comunque lecito e meritevole perché diretto a perseguire interessi, anche non patrimoniali, degni di particolare tutela e apprezzamento. Il che non esclude, ovviamente, anche la considerazione che l’atto possa essere realizzato per spirito di liberalità con la conseguenza che i legittimari avranno a disposizione i normali mezzi a tutela della quota di legittima.
Diversamente argomentando, non solo si dimentica che una incertezza meramente economica è comunque presente, come autorevolmente affermato, in tutti i contratti a esecuzione non immediata (le cui prestazioni sono sempre sottoposte alle oscillazioni di valore del mercato)115, ma la soluzione della nullità per mancanza di alea è figlia di una prospettiva esclusivamente patrimonialistica poiché il vantaggio da valutare potrebbe essere anche prettamente morale e psicologico. Si pensi al vantaggio di una persona anziana o malata e incapace, in quanto tale, di provvedere all’amministrazione del bene e ai suoi rischi.
Inoltre, affermare che il carattere aleatorio è dato dal collegamento della obbligazione periodica alla durata della vita di una persona116 è un errore poiché tale incertezza non rende il contratto aleatorio, posto che in tal caso
112 Discorre dell’art. 1895 c.c., quale primo ed essenziale fondamento delle norme sul contratto di assicurazione, CORRIAS, P.: I contratti derivati finanziari, cit., p. 187 ss.
113 XXXXXXX, A.: L’assicurazione, cit., p. 268.
114 XXXXXXXXX, T.: Aleatorietà e contratti di borsa, cit., p. 435 ss.; e XXXXXXX, P.: I contratti derivati finanziari, cit., p. 178 ss.
115 XXXXXXX, A.: L’assicurazione, cit., p. 81. V. retro nota 104.
116 XXXX, X.: Il difetto di alea, cit., p. 362.
non è reciprocamente incerto il risultato economico, ma solo il quantum dovuto da una delle parti, nonché, quindi, la sola durata dell’obbligazione. Sí che potrebbe ben accadere che sia certo il vantaggio meramente economico di una delle parti al momento della stipula del contratto – vista l’impossibilità, ad esempio, per una persona molto anziana di vivere un numero di anni tale da recuperare il valore dell’immobile –, eppure la durata della vita sia incerta e il negozio meritevole di tutela per ragioni sia non patrimoniali sia patrimoniali (non legate, casomai, esclusivamente al mero vantaggio economico, ma ad aspetti riguardanti la comodità e i rischi della gestione diretta del bene).
Pertanto, di là dai casi di incapacità che renderanno il contratto annullabile, è compito dell’interprete valutare se il concreto assetto di interessi è espressione di una speculazione o ha una funzione previdenziale (o semplicemente meritevole di tutela come nel caso di un atto di liberalità il quale non ha di per sé funzione previdenziale)117, sia pure economicamente sconveniente. Si pensi alla garanzia della gestione, alla continuità dell’attività d’impresa, all’ottenimento immeditato di una assistenza materiale e morale e ad ogni fattispecie che non è inquadrabile nella mera alternativa tra onerosità- aleatorietà e gratuità-non aleatorietà essendo ben configurabili situazioni ‘intermedie’118 o miste. Negare ciò significherebbe affermare che le parti non possono disporre convenzionalmente della componente aleatoria del vitalizio, il quale ben può essere finalizzato anche alla realizzazione di interessi che ontologicamente prescindono dall’alea119. Si pensi, per fare degli esempi per i quali non sembra possibile dubitare dello schema del vitalizio, all’accordo tra vitaliziato e vitaliziante sui criteri utili a colmare ogni sproporzione dovuta all’alea, o che riduca l’entità della rendita qualora il vitaliziato viva oltre un certo numero di anni. Oppure si pensi al patto che stabilisca la reintegrazione del capitale alienato quando, per qualunque motivo, la rendita diventi eccessivamente onerosa per il vitaliziante. Le parti potrebbero, altresí, convenire la restituzione agli eredi del vitaliziato (o al vitaliziato medesimo qualora la vita contemplata riguardi il terzo) di parte del capitale alienato, o, di una somma a titolo di indennizzo, nell’ipotesi nella quale la vita umana posta quale termine finale della rendita cessi prima di una certa data120. In questi casi, in relazione agli interessi concreti e di là da ogni categoria dogmatica o concettualizzazione, sono le parti a voler mantenere un equilibrio tra le prestazioni a scapito della componente aleatoria e sicuramente, a queste fattispecie, saranno applicabili le norme, proprie dei contratti commutativi, in tema di rescissione per lesione e di risoluzione per eccessiva onerosità.
117 Sul punto vedi infra § 8.
118 Cosí anche XXXXXXX, G.: Xxxxxxx, cit., p. 877.
119 XXXXXXX, X.: Xxxxxxx, cit., p. 877.
120 Per questi esempi x. XXXXXXX, X.: Xxxxxxx, cit., p. 877 s.
Anche dal punto di vista logico, l’alea non può essere considerata un elemento di struttura della rendita, tale da condizionarne la validità o l’esistenza. Infatti, se l’alea è intesa come incertezza sul risultato economico del contratto, anche una rendita certamente svantaggiosa per una parte è comunque una rendita incerta nel risultato economico, poiché il vantaggio può essere minore o maggiore a seconda della maggiore o minore durata della vita del vitaliziato121.
Se, invece, l’alea è intesa come incertezza sulla durata della vita del vitaliziato, anche un contratto concluso da un anziano o un malato grave non è di per sé, al momento della stipulazione, senza alea, perché “non è nei poteri della scienza medica il prevedere con sicurezza se una data infermità”, o anzianità, “provochi sempre e necessariamente la morte e entro quanto tempo la provochi: non sono rari i casi nei quali una lunga sopravvivenza ha smentito le previsioni mediche” 122 . Del resto l’alea “va accertata con riguardo al momento della conclusione del contratto” 123 e, nelle ipotesi indicate, l’incertezza – sia sulla durata della vita, sia sul risultato economico del contratto – non è assente ma soltanto affievolita. Xxxx, anche una rendita conclusa con un malato grave di per sé è un rendita che ha ad oggetto uno “scambio tra una prestazione certa e una prestazione per sua natura incerta, determinabile successivamente al verificarsi di un evento futuro”124.
Se ne deduce che non è importante chiedersi se l’alea sia o no un elemento caratterizzante la rendita; ciò sia perché il contratto può essere gratuito, sia perché non è l’alea a condizionare la validità della rendita, bensí il controllo di meritevolezza e di proporzionalità tra le prestazioni, effettuato al fine di valutare se la concreta operazione non sia abusiva e persegua interessi, anche non patrimoniali, meritevoli di tutela. Infatti l’adeguatezza del “corrispettivo” o di altra prestazione “non va giustificata in astratto, ma in concreto, in relazione all’interesse del vitaliziato”125, anche non patrimoniale.
121 Cass., 8 giugno 1955, n. 1762, Giust. civ. (1956), I, p. 929, e Cass., 21 giugno 1954, n. 2138, Mass. Foro it. (1954), c. 422. Sembra rilevarlo anche XXXXXXX, A.: L’assicurazione, cit., p. 283.
122 XXXX, X.: Il difetto di alea, cit., p. 367. Diversamente cfr. Cass., 12 ottobre 2005, n. 19763, cit., e Cass., 15 giugno 2009, n. 13869, cit. Di possibile “incertezza obiettiva iniziale” sulla durata della vita del vitaliziato si discorre in Trib. Torre Annunziata, 2 maggio 2011, cit.
123 Cass., 24 giugno 2009, 14796, cit.; e Cass., 25 marzo 2013, n. 7479, cit. Per la giurisprudenza di merito, in questo senso, Trib. Torre Annunziata, 2 maggio 2011, cit. In dottrina LAUS, F.: “Il contratto di vitalizio assistenziale nella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione”, Giur. it. (2006), p. 506 ss., e XXXXXX, A.: Autonomia privata, cit., p. 305 ss.
124 XXXXXX, R.: Alea, cit., p. 1029. Sulla circostanza che ciò che caratterizza una condizione 125 PINO, A.: Il difetto di alea, cit., p. 353 ss., spec. p. 356 ss., supera l’idea dell’alea come requisito di esistenza o di validità della rendita e, in caso di infermità grave, paventa semmai l’errore del vitaliziato; in questo caso, tuttavia, spetterebbe a chi “impugna dimostrare che il
Si è avuto occasione di osservare che “anche la rendita vitalizia è da considerare (virtualmente) nulla non tanto, come tralatiziamente affermato in giurisprudenza, qualora manchi l’alea […], ma nel caso in cui, ad esempio, si realizzi un comportamento scorretto e, in ogni modo, si accerti, dopo una analisi del concreto assetto degli interessi, che sussista una speculazione, un approfittamento, un abuso, una sperequazione a danno di una parte (e in assenza di un suo spirito di liberalità) tale da condizionare la meritevolezza della causa concreta del negozio e la proporzionalità”126. Proporzionalità, sia chiaro, che non significa equivalenza ‘economica’ tra prestazione e controprestazione, ma, al contrario, controllo del regolamento negoziale al fine di valutare se tale regolamento realizzi in concreto un ingiustificato squilibrio in considerazione degli interessi, anche non patrimoniali, dedotti nella vicenda127.
Inoltre “può accadere che l’incertezza sulla durata della vita contemplata, ragionevolmente da escludere ab initio, si manifesti poi in concreto, perché era errata la diagnosi sulla malattia o perché è stata scoperta una nuova cura”128. In questa ipotesi avrei delle perplessità a discorrere di validità o invalidità sotto il profilo della presenza o mancanza di alea; si tratterà semmai di responsabilità precontrattuale in costanza di un contratto valido 129 , di dolo
xxxxxxxxxxx era in errore sul suo stato di salute e che la sua infermità era conosciuta o conoscibile alla controparte” (p. 367). Per una piú ampia critica al concetto di alea e la consapevolezza della necessità di garantire l’equilibrio delle prestazioni, anche nei contratti aleatori, v. ID., Contratto aleatorio, contratto commutativo e alea, in Riv. trim. (1960), p. 1221 ss.
126 PERLINGIERI, G.: L’inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di validità, cit., p. 65, nota 110.
127 XXXXXX, I.: Squilibrio del regolamento e immeritevolezza del contratto (nota ad App. Salerno, 30 settembre 2009, n. 836), in PERLINGIERI, G. e XXXXXXXXX FIGLIA, X. (a cura di): L’”interpretazione secondo Costituzione” nella giurisprudenza. Crestomazia di decisioni giuridiche, cit., p. 349 ss. Reputano che la sproporzione del regolamento negoziale non costituisca in sé un disvalore, ma lo divenga quando lo squilibrio risulti eccessivo e ingiustificato anche FACHECHI, A.: Pratiche commerciali scorrette e rimedi negoziali, Napoli (2012), passim, spec. 151 ss.; XXXXX, S.: La proporzionalità nell’ipoteca e nel pegno, Napoli (2013), passim; EAD., Principio di proporzionalità e garanzia ipotecaria, in Rass. dir. civ. (2012), p. 391 ss.
128 PARADISO, M.: Giuoco, scommessa, rendite, cit., p. 352.
129 Di là dalle ipotesi codificate di invalidità negoziale, l’intervenuta conclusione del contratto assorbirebbe ogni scorrettezza perpetrata in sede prenegoziale secondo larga parte della dottrina e della giurisprudenza: “il contratto […] sempre assimila e ingloba tutti i rapporti giuridici anteriori alla sua conclusione, al punto da determinare la scomparsa di ogni loro traccia e l’allontanamento di essi dal mondo del giuridicamente rilevante” (in questi termini GRISI, G.: L’obbligo precontrattuale di informazione, Napoli (1990), p. 234, rende conto della soluzione interpretativa). Cosí ragionando, si avrebbe responsabilità precontrattuale soltanto in caso di trattative infruttuose e silenzio in ordine a eventuali cause di invalidità dell’accordo (art. 1338 c.c.). V., tra i tanti, X’XXXXX, G.: Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, in Riv. dir. civ. (2002), I, p. 41 ss., e ID., Buona fede “in contrahendo”, in Riv. dir. priv. (2003), p. 351 ss. In direzione opposta, ad avviso di XXXXXXXX, I.: Dolo incidente e regole di correttezza, Napoli (2010), p. 189, la teoria
incidente o determinante, qualora, ad esempio, si configuri in concreto un inganno della controparte sull’età o sullo stato di salute.
Quindi il problema non è soltanto economico, né riguarda l’individuazione nel contratto commutativo di uno spirito di liberalità, ma attiene, a prescindere da ogni grado di aleatorietà in concreto individuabile, al controllo di meritevolezza della causa concreta, la quale, anche se economicamente sconveniente (per il valore del bene trasferito, per l’età avanzata o per le condizioni di salute del vitaliziato), può perseguire interessi, anche non patrimoniali, degni di tutela130. In altri termini, non si può affermare che è automaticamente non meritevole di tutela la costituzione di una rendita non eccedente o eccedente in misura esigua il valore del reddito del bene o del capitale trasferito (cosicché per quanto possa essere lunga la vita della persona contemplata il vitalizio trae sempre un vantaggio, con conseguente assenza di incertezza sul risultato economico). Ciò non soltanto perché il contratto potrebbe essere parzialmente gratuito, ma perché potrebbe perseguire un interesse non patrimoniale del vitaliziante meritevole di tutela.
realizzerebbe una sostanziale anestesia del contegno sleale. In opposizione alla descritta equivalenza tra contratto valido e contratto giusto, v. anche PERLINGIERI, G.: L’inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di validità, cit., passim, ivi ulteriori riferimenti bibliografici e giurisprudenziali; nonché POLIDORI, P.: Recensione, in Rass. dir. civ. (2014), p. 648 ss.; XXXXXXXX, A.: Regole di condotta e regole di validità: verso il superamento del principio di non interferenza, in Corti salernitane (2012), p. 339 ss.; EAD., Sul falso principio di “non interferenza” tra regole di comportamento e regole di validità (nota a Corte App. Firenze, 3 aprile 2012, n. 489), in Corti fiorentine (2014), p. 120 ss.
130 Recuperando l’efficace esempio riportato da XXXXXXXXX, C.: Il trasferimento di azienda mediante cessione post mortem a corrispettività condizionale, Napoli (2014), p. 1 ss., si pensi a un anziano e malato imprenditore in procinto di liquidare il suo patrimonio immobiliare per dividerne il ricavato tra i suoi figli e desideroso altresí di cedere l’azienda non ai suoi figli (tutt’altro che interessati alla stessa anche perché da tempo stabilitisi a vivere altrove) ma ad un suo nipote, il quale gli garantisce maggiore continuità grazie alla sua dedizione e competenza da tempo dimostrate. Si immagini che, a tal fine, venga stipulato un contratto di cessione di azienda al nipote a condizione che lo stesso, a partire da un certo momento (verosimilmente quello della liquidazione della restante parte del patrimonio) e fino alla sua morte, abbia provveduto ad ospitarlo presso di sé e fornirgli assistenza materiale (alimenti, vestiario, alloggio, spese mediche) e morale (compagnia, intrattenimento culturale), tenuto anche conto che gli utili che deriveranno dall’esercizio dell’impresa, nelle sue previsioni, per la parte che non verrà reinvestita, saranno di volta in volta destinati ad integrare il reddito dei di lui figli. Ora, seppure il trasferimento dell’azienda avvenga immediatamente e non alla morte dell’imprenditore (il che elimina ogni possibile alea poiché il valore dell’azienda è cristallizzato al momento della stipulazione) non si può discutere di nullità per mancanza di alea. Gli interessi perseguiti dall’operazione sono, infatti, meritevoli di tutela, anche avuto riguardo all’interesse del vitaliziato, poiché grazie all’operazione il vitaliziato si libera immediatamente della impegnativa, e non piú sostenibile, gestione (per motivi di età e di salute) e si rassicura, anche psicologicamente, della continuità e della stabilità dell’attività d’impresa. Nel caso poi di trasferimento immediato, il nipote vitaliziante persegue anche l’interesse di incrementare, con la sua stessa attività, la redditività dell’azienda.
In questa prospettiva non si può affatto escludere, per esempio, l’azione di rescissione qualora la sproporzione (genetica) sia dipesa dall’approfittamento di uno stato di bisogno (art. 1448 c.c.)131. Viceversa può essere esclusa, ma non in via assoluta132, l’applicazione della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, poiché in mancanza dell’approfittamento di uno stato di bisogno non può non prevalere la logica secondo la quale “nel momento in cui si prende atto che le parti desiderano e programmano un contratto squilibrato […] sin dalla nascita, sarebbe affatto contraddittorio mettere a disposizione delle stesse i rimedi generali previsti dalla legge per reagire allo
131 Le deroghe previste dagli artt. 1448, comma 4, e 1469 c.c., in tema di rescissione e risoluzione dei contratti aleatori, non esprimono una incompatibilità logica tra alea e rimedi contro la lesione o l’eccessiva onerosità, ma impongono soltanto all’interprete di individuare i limiti della loro applicabilità: “non si può parlare di incompatibilità tra alea e sproporzione delle prestazioni, né dal profilo obiettivo di incompatibilità di una valutazione comparativa, né dal profilo subiettivo di contraddittorietà tra la volontà delle parti e l’azione di risoluzione per eccessiva onerosità” (PINO, A.: Contratto aleatorio, cit., p. 1245). Si aggiunga che la locuzione “contratto aleatorio” non è mai stata definita con precisione né dalla legge né dalla dottrina. In caso contrario, non solo si dà per scontata una categoria ma si presume ad essa applicabile la relativa disciplina senza adeguata valutazione della concreta opportunità di applicare quelle particolari disposizioni. Nel caso di rendita, si pensi a un proprietario di beni immobili improduttivi di redditi liquidi che si trovi nella necessità di dover pagare una retta periodica e vitalizia per il proprio ricovero in ospedale. Egli potrebbe essere indotto a trasferire la proprietà dei beni contro il corrispettivo di una rendita vitalizia, la capitalizzazione della quale sia superiore al doppio del capitale versato. Oppure si pensi al caso inverso di una persona che, nella necessità di disporre di un capitale liquido, sia indotta a impegnarsi per una rendita vitalizia, la capitalizzazione della quale sia superiore al doppio del capitale acquistato. In queste ipotesi non mancano certamente i presupposti oggettivi e soggettivi della rescissione ex art. 1448 c.c. Per la risoluzione per eccessiva onerosità, ex art. 1467 c.c., si considera, nel caso di vitalizio alimentare, l’eccessivo e imprevedibile aumento del costo della vita, oppure una svalutazione monetaria (come accadde durante la seconda guerra mondiale) che renda irrisoria la rendita rispetto al valore del bene acquistato dal vitaliziante.
Diversamente, nel contratto di assicurazione, ove la difficoltà di applicare i particolari rimedi della rescissione o della risoluzione discendono non tanto dalla natura aleatoria, ma dalla loro funzione e disciplina, non sembra possibile configurare un caso di approfittamento dell’altrui stato di bisogno, né di prestazione divenuta eccessivamente onerosa, dato il particolare modo nel quale vengono determinati e regolati i premi. Nel giuoco e nella scommessa, non sembra possibile configurare ipotesi di lesione ed eccessiva onerosità, dato che rispetto a tali contratti o non è ammessa proprio l’azione, la domanda (ex art. 1933 c.c.), o la prestazione viene ridotta dal giudice, ex art. 1934, comma 2, c.c., qualora la ritenga eccessiva.
132 In alcuni casi, infatti, anche nel negozio aleatorio è possibile preservare l’”equilibrio sperequato” divisato dalle parti, qualora esso subisca alterazioni in virtú di fattori diversi da quelli previsti dalle parti medesime. Si pensi all’art. 1896 ss. x.x. xx xxxxxx xxxxxxxxxxxx. Xxx xxxxx x. XXXXXXX, X.: I contratti derivati finanziari, cit., p. 181, nota 30.
squilibrio […] funzionale (risoluzione per eccessiva onerosità) tra le prestazioni”133.
La non equivalenza delle prestazioni non priva di per sé il contratto della necessaria giustificazione causale. L’autonomia negoziale va preservata, pur in presenza di obiettivi squilibri economici, purché persegua interessi, anche non patrimoniali, meritevoli. La valutazione ovviamente non può avvenire in astratto, ma deve concentrarsi, piú che sulla mera volontà delle parti, sulla funzione dell’operazione e sugli interessi perseguiti. Il vitalizio, in particolare, è adatto a perseguire tanto interessi di tipo aleatorio, quanto interessi di tipo commutativo; l’importante è che siano interessi meritevoli di tutela. Non è l’alea, quindi, a condizionare la validità di una rendita, ma il controllo di proporzionalità e di meritevolezza degli interessi perseguiti, mirato ad evitare forme di abuso della libertà negoziale a danno di una delle parti. Alla luce della necessità di un controllo di meritevolezza del contratto in concreto, non è possibile trascurare, ad esempio, che il vitaliziato, a causa della sua condizione economica e personale, potrebbe avere maggiore interesse ad un vitalizio assistenziale ottenuto rinunciando a un potenziale vantaggio economico. Il controllo va fatto anche al fine di valutare, ad esempio, se la sproporzione tra le prestazioni, la non equivalenza, sia espressione non di un abuso o di un approfittamento, ma di uno spirito di liberalità. In tal caso non avremo una rendita nulla per mancanza di alea, ma una rendita mista a donazione.
L’importante quindi (e qui sta il cuore del problema) è evitare che la rendita vitalizia possa divenire uno strumento di approfittamento, di abuso, di speculazione a danno di una delle parti (in particolare del vitaliziato). L’alea (intesa come incertezza assoluta su quale delle parti possa trarre vantaggio dalla conclusione del contratto) può mancare, eppure la rendita (che in ogni caso è caratterizzata sempre dall’incertezza sull’entità del vantaggio economico che una delle parti perseguirà, posto che anche un vecchio o un malato terminale può vivere piú del previsto) può risultare attuativa di interessi meritevoli. Cosí, la mancanza di alea non necessariamente conduce alla liberalità poiché “possono esistere altri plausibili interessi del costituente la rendita idonei a sorreggere lo spostamento patrimoniale, senza con questo aggiungere al negozio un elemento di liberalità”. La rendita vitalizia può assumere molteplici qualificazioni: “rendita vitalizia onerosa aleatoria, rendita vitalizia mista con donazione, rendita vitalizia onerosa commutativa” 134 . Qualificazioni tuttavia che non devono mai sviare o esautorare l’attività
133 Cosí CORRIAS, P.: I contratti derivati finanziari, cit., p. 181, il quale tuttavia aderisce all’opinione prevalente che, di regola, esclude per tutti i contratti aleatori anche l’azione di rescissione.
134 XXXXX, X.: Xxxxxxxxx, cit., p. 1025; nella medesima direzione BALESTRA, L.: Il contratto aleatorio e l’alea normale, Padova, 2000, p. 171.
dell’interprete, il quale deve in ogni caso analizzare le peculiarità delle fattispecie, le quali, a prescindere da ogni qualificazione, condizionano tanto le questioni di disciplina applicabile quanto quelle di validità. Si pensi, tra l’altro, che lo stesso art. 1969 del codice napoleonico chiaramente affermava che la rendita vitalizia può essere costituita a titolo semplicemente gratuito, per donazione tra vivi o per testamento135, sí che l’alea non può essere un requisito essenziale di ogni rendita.
La nullità della rendita, quindi, non dipende dal suo carattere non aleatorio, ma dal comportamento abusivo e speculativo di una delle parti, in grado di incidere sulla causa concreta del negozio. Cosí, una rendita alla quale preesista uno stato morboso (tumore avanzato del beneficiario-vitaliziato) tale da produrre morte sicura in un tempo prossimo può, salvo casi particolari, essere dichiarata nulla non già per difetto del requisito essenziale dell’alea, ma per la riprovazione dell’ordinamento nei confronti di ogni forma di approfittamento dello stato di debolezza altrui e abuso della libertà contrattuale. La soluzione è interessante anche perché rappresenta un’ulteriore conferma del superamento del principio di non interferenza tra regole di validità e regole di comportamento136.
VIII. Conclusioni.
Nell’accezione piú ampia e generica, con il negozio di rendita vitalizia un soggetto (vitaliziante) si obbliga a effettuare, a favore di un altro soggetto (vitaliziato), una prestazione periodica o continuativa di dare o di fare per tutta la durata della vita contemplata (del beneficiario o di altra persona). In particolare poi, se si vuole enucleare una nozione onerosa e di natura contrattuale della rendita vitalizia, si può soltanto affermare, alla luce delle considerazioni esposte, che i vitalizi sono quei contratti con cui un soggetto (vitaliziato) aliena un bene (mobile o immobile) ad un altro soggetto (vitaliziante) e, quale corrispettivo dell’alienazione, acquista il diritto, per la durata della vita contemplata (che può essere quella dell’alienante, di un terzo o anche di piú persone congiuntamente o successivamente) 137 , ad una prestazione periodica, o continuativa, di danaro o di un’altra prestazione, anche infungibile.
135 QUADRI, R.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 162. Sul punto v. anche ADDIS, F.: Il legato di rendita, cit., p. 866, il quale pone correttamente l’accento “sul reale oggetto dell’intervento normativo, che non è rappresentato dalla fonte costitutiva della rendita, ma dal rapporto obbligatorio da essa costituito”.
136 Si affronta diffusamente la questione in PERLINGIERI, G.: L’inesistenza della distinzione tra regole di comportamento e di validità, cit., p. 1 ss.
137 In questi casi, suole discorrersi di vitalizio “congiuntivo” o “successivo”. Ne rende conto XXXXXXX, G.: Xxxxxxx, cit., p. 874.
Sí che, di là da ogni luogo comune, fungibilità, periodicità, aleatorietà non sono requisiti essenziali di un vitalizio. L’aleatorietà, in particolare, è un carattere naturale138 (e non essenziale) e la sua intensità non incide necessariamente sulla meritevolezza degli interessi perseguiti.
Tuttavia, allargare una definizione (come si finisce per fare ragionando in questo modo) serve relativamente, perché le definizioni hanno soltanto valore descrittivo (e organizzativo), mai prescrittivo. Come dimostrato 139 , l’appartenenza di una fattispecie concreta ad un tipo o una categoria (ristretta, ampia o elastica che sia)140 non preclude affatto la possibilità di applicare a quella fattispecie norme in parte diverse e appartenenti ad altro tipo o altra categoria141. Questo non solo perché ogni categoria è relativa (le proprietà, le
138 XXXXXXXXX, X.: Del contratto vitalizio, cit., p. 241 ss.; e PARADISO, M.: Xxxxxx, scommesse, rendite, cit., p. 352.
139 V. retro spec. § 1. Per riferimenti si rinvia alla nota 45.
140 Invece, attribuiscono particolare rilevanza alla differenza tra categorie contrattuali ampie e ristrette, tra gli altri, QUADRI, R.: Rendita vitalizia, cit., passim; e CORRIAS, P.: I contratti derivati finanziari, cit., p. 200. Tuttavia che in una categoria contrattuale ampia possano essere annoverate fattispecie diverse (si pensi appunto alle categorie rendita vitalizia, contratti derivati, contratti aleatori) non significa affatto che a tutte debba essere applicata la medesima disciplina, potendo essere le singole fattispecie sottoposte a norme in parte diverse. Discorre della rendita quale nozione “elastica” anche XXXXXXX, G.: Xxxxxxx, cit., p. 873.
141 Del resto Xxxx Xxxxxx ci ha insegnato che il tipo non è la somma di tutti gli elementi degli individui appartenenti al gruppo, ma è l’elaborazione dei soli elementi caratteristici. Sí che, per un verso, ci possono essere elementi o dati non presenti in un contratto il quale comunque appartiene ad un determinato tipo [similmente, seppure prendendo strade differenti, cfr. DE NOVA, G.: Il tipo contrattuale, cit., passim – per una ricostruzione della teoria di Xxxxxx, p. 122 ss. –, il quale però non solo, citando Xxxxxx, sembra distinguere in modo a nostro parere non condivisibile, vista la relatività e la storicità dei concetti e delle categorie, tra “concetto” e “tipo” (mentre “il concetto si elabora mettendo in evidenza gli elementi comuni a tutti gli individui del gruppo, ed è quindi una somma di elementi caratteristici tutti necessari, il tipo si elabora individuando i dati caratteristici in funzione di un quadro compolessivo che si coglie mediante una intuizione globale: sicché non è necessario che tutti i dati siano presenti in tutti gli individui del gruppo” – p. 238 della postfazione), ma si irrigidisce eccessivamente di fronte al tipo arrivando a conclusioni diverse] e, per altro verso, è possibile che in una medesima categoria contrattuale siano annoverate fattispecie diverse. In tal caso le diverse fattispecie, pur appartenenti al medesimo gruppo o tipo, non sono necessariamente sottoposte alla medesima disciplina. Si pensi alla rendita vitalizia, ai contratti derivati, ai contratti di assicurazione e, più in generale, ai contratti aleatori. Sulla “profonda ed intrinseca diversità del ruolo assunto” dai meccanismi contrattuali delle assicurazioni contro i danni e dell’assicurazione di eventi della vita cfr. XXXXXXX, P.: La causa del contratto di assicurazione: tipo assicurativo o tipi assicurativi?, in Riv. dir. civ. (2013), p. 69 s., il quale addirittura discorre di “due tipi differenti che, se si vuole, possono costituire insieme una sottocategoria (di contratti aleatori) ai quali il legislatore ha riconosciuto una porzione – per il vero modesta – di disciplina comune (c.d. disciplina metatipica). Pertanto – in aggiunta a siffatta disciplina metatipica – ai due modelli saranno applicabili, in via diretta, le sole disposizioni contenute nelle rispettive sezioni” (Sez. II, artt. 1904 ss. per le assicurazioni contro eventi dannosi, e Sez. III, artt. 1919 ss. per
donazioni, le obbligazioni, i contratti, le compravendite, le ipoteche – immobiliari e navali –)142, ma perché, con riferimento ad un determinato atto, possono operare discipline diverse, piú adeguate alla funzione specifica, che costituiranno l’ordinamento del caso concreto (si pensi anche alle differenze tra i vitalizi costituiti mediante testamento, contratto oneroso o donazione). Pertanto a poco serve differenziare tra tipo legale e tipo normativo143, oppure allargare le maglie di un tipo o di una categoria al fine di ricondurre in essa piú fattispecie possibili. In questo modo, si continuerebbe a ragionare per tipi e categorie senza comprendere che il problema riguarda prevalentemente la compatibilità e la congruità della normativa prescelta al concreto assetto di interessi. In altri termini, non basta allargare un cassetto o comprarne uno piú grande se poi non si è in grado di riconoscere gli oggetti e di utilizzarli nel rispetto delle proprie specifiche funzioni.
Neppure la funzione previdenziale è un elemento caratterizzante ogni rendita. Si pensi alla rendita costituita a titolo gratuito o di liberalità che non ha funzione previdenziale, poiché “non vi è previdenza, là dove non vi è sacrificio in vista di eventuali esigenze future”144. In tal caso, ovviamente, non è preclusa l’applicazione di norme proprie degli atti di liberalità (come, ad esempio, la riduzione e la revocazione per causa di ingratitudine), né si può escludere l’applicazione di norme proprie del testamento (qualora, ad esempio, il disponente decida di utilizzare l’atto mortis causa quale mezzo negoziale per la costituzione di un rapporto di rendita a favore del terzo)145.
le assicurazioni relative ad eventi della vita umana), “mentre l’applicabilità ad ognuno di essi della disciplina prevista per l’altro, sarà possibile solo in via analogica, con riguardo alle disposizioni che risultano concretamente compatibili” (p. 70).
142 Circa la relatività e la storicità dei concetti giuridici e delle categorie sia consentito rinviare a PERLINGIERI, G.: Venticinque anni della Rassegna di diritto civile e la “polemica sui concetti giuridici”. Crisi e ridefinizione delle categorie, in PERLINGIERI, P. (a cura di): Temi e problemi della civilistica contemporanea, Napoli, 2005, p. 543 ss.; sull’ipoteca navale e immobiliare v. ID., Profili in tema di ipoteca navale e immobiliare. Diritto della navigazione unitarietà del sistema, in Riv. dir. impr. (2014), p. 19 ss.
143 Distingue DE NOVA, G.: Il tipo contrattuale, cit., p. 140 ss., spec. nota 51: il “tipo normativo” è il “tipo, in senso logico, rilevante nell’àmbito dei contratti, e cioè il modello che sottende alla disciplina legale”. L’espressione non comprende il riferimento al contratto nominato, “che non è tipo, ma concetto”. Per nozioni di “tipo legale”, che è “concetto chiuso”, e “tipo normativo”, che è modello “aperto” e “graduabile”, munito di “significatività ed organicità” (v., in particolare, p. 121 ss.).
144 XXXXXXX, A.: L’assicurazione, cit., p. 277.
145 Si pensi anche ad un mandato, gratuito o oneroso, stipulato tra il de cuius e una persona che gode della sua particolare fiducia, al fine, ad esempio, di gestire il luogo e le modalità della sepoltura o della cremazione delle proprie spoglie mortali, la pubblicazione di opere inedite del de cuius; l’utilizzo di credenziali di accesso a risorse on line o off line (quali l’accesso al “profilo” creato su piattaforme digitali, a files contenenti documenti riservati, corrispondenza personale, informazioni finanziarie, fotografie e cosi via). In casi di questo tipo, non si può escludere l’applicazione di alcune regole del mandato come le norme in tema di diligenza (art. 1710 c.c.), di responsabilità (art. 1173 c.c.), dell’obbligo di rendere il conto della
L’attenzione al concreto assetto di interessi impone anche di rifuggire da quella prospettiva che ammette la natura commutativa della rendita soltanto qualora tale qualità sia espressamente indicata dalle parti. Nonostante tale dichiarazione, lo studio della causa concreta potrebbe indurre a qualificare l’atto diversamente (ad esempio, come rendita vitalizia onerosa aleatoria, oppure come rendita vitalizia mista a donazione).
Il superamento della distinzione tra contratti tipici e atipici non significa affatto ‘libertà del giudice di fare come crede’, ma soltanto consapevolezza dell’interprete che le discipline dei contratti tipici e del contratto in generale sono punti di riferimento descrittivi per individuare nel sistema la disciplina applicabile piú adeguata agli interessi perseguiti con la singola operazione economica.
S’impone, quindi, un mutamento di prospettiva: non è piú, come generalmente affermato, “la disciplina per tipi” ad essere la “lente obbligata”146 con la quale l’interprete deve leggere i fenomeni giuridici, ma sono i fenomeni giuridici, intrisi di interessi e valori, a segnare la strada, a condizionare l’interprete nella scelta della disciplina applicabile.
Nella realtà fattuale, nelle aule giudiziarie, sulle scrivanie dei notai, non esiste il negozio giuridico, ma non esistono nemmeno il contratto in generale, il contratto tipico e quello atipico 147 . Esistono singoli atti di autonomia
gestione (art. 1713 c.c.), di rimborso delle spese (art. 1720 c.c.), salva la diversa volontà del de cuius, xxxx a non gravare il successore universale di questo onere. È chiaro che si applicheranno anche alcune norme proprie del testamento, come il diritto del mandante (de cuius), al fine di un’adeguata tutela delle proprie aspirazioni personali e non patrimoniali, di revocare liberamente il mandato durante tutta la sua vita, anche se non espressamente previsto ed anche contro la volontà del mandatario o di un terzo. Inoltre agli eredi subentranti del mandante, pur in mancanza di una determinazione sul punto (si pensi all’inserimento di una espressa clausola di irrevocabilità), non è possibile riconoscere il potere di revoca (proprio per la particolare funzione mortis causa del negozio in esame nonché per la natura personale e non patrimoniale dell’interesse perseguito dal mandante). Diversamente rischierebbero di essere lese le personali, intime e meritevoli aspirazioni del de cuius. Per queste osservazioni v. già PERLINGIERI, G.: La revocazione, cit., p. 763 ss., nota
105. Sul punto cfr. anche PUTORTÍ, V.: Disposizioni mortis causa a contenuto non patrimoniale e potere di revoca da parte degli eredi, in Rass. dir. civ. (2014), p. 787 ss., ivi alcuni esempi paradigmatici sul mandato.
146 Cosí invece DEL PRATO, E.: Contratti misti: variazioni sul tema, in Studi in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx a cura di del Prato, E., I, Napoli (2013), p. 000 [x xx Xxx. dir. civ. (2012), I, p. 87 ss.], il quale rileva che “la disciplina per tipi rimane una lente obbligata mediante cui l’interprete deve analizzare gli interessi contrattuali concreti in funzione del regime normativo da applicare”.
147 Osservazione questa già proposta da parte della dottrina con riferimento però al solo contratto atipico: SACCO, R.: Autonomia contrattuale e tipi, in Riv. trim. (1966), p. 790 ss. (“[i]l contratto atipico […] non ha mai fatto apparizione in un ufficio giudiziario!”); teoria ripresa da DE NOVA, G.: Il tipo contrattuale, cit., p. 235.
caratterizzati da cause concrete che reclamano adeguate discipline, spesso non sussumibili soltanto in un tipo o nell’altro. Ciò anche perché di solito le tecniche sono fungibili, nel senso che strutture diverse possono conseguire medesime funzioni, medesimi effetti, in base al principio tecnico di ‘fungibilità’ e di variabilità delle strutture negoziali148. Si pensi al sempre piú diffuso impiego del vitalizio in àmbito assicurativo: il contratto di assicurazione sulla vita è spesso utilizzato quale contesto attuativo di una rendita (art. 1882 c.c.)149.
La certezza del diritto non è data dalla ripetitività o dalla perpetuità della soluzione, posto che ogni fattispecie ha proprie peculiarità, bensí dalla adeguatezza e dalla congruenza della disciplina agli interessi coinvolti dalla singola fattispecie150. Pertanto, non si può non condividere quella autorevole dottrina che afferma che il sistema non è qualcosa di bello e fatto o di predeterminato, ma è un processo in continua evoluzione, che assume la sua vera connotazione solo nel momento applicativo151, sí che la certezza del diritto non è mai un requisito intrinseco del sistema o un dato acquisito dalla legge ma un obiettivo al quale deve tendere l’attività del giurista attraverso un controllo funzionale e assiologico. Ciò è utile non solo per individuare la disciplina “codicistica”, ma anche per applicare le norme tributarie, di diritto internazionale privato oppure, ad esempio, relative al bilancio o al fallimento.
148 PERLINGIERI, P.: L’approccio teleologico-funzionale di Xxxxxx Xxxxxxxx, in Rass. dir. civ. (2013),
p. 950. Il principio di fungibilità delle strutture negoziali trova fondamento nella combinazione di due altri princípi tecnici: quello della variabilità della struttura e quello dell’economia degli atti e delle dichiarazioni.
149 XXXXXXX, X.: Xxxxxxx, cit., p. 871.
150 “La certezza del diritto non è mai un requisito intrinseco del sistema o un dato acquisito dalla legge ma un obiettivo al quale deve tendere l’attività del giurista. Pertanto non è possibile confutare una teoria affermando che non assicura la certezza del diritto poiché sarebbe come criticare un criterio ermeneutico o un concetto sulla base di un risultato che non dipende dal concetto stesso ma dalla capacità del giurista”, PERLINGIERI, G.: Profili civilistici dell’abuso tributario, cit., p. 27 s. Del resto anche DE NOVA, G.: Il tipo contrattuale, cit., pp. 35 ss., 236 non riduce la tendenza del legislatore a tipizzare i modelli contrattuali al mero tentativo di salvaguardare la certezza del diritto, ma inquadra la questione nell’àmbito di un fenomeno culturale di portata piú vasta. Infatti, “la certezza del diritto può essere messa in pericolo […] anche quando le norme da applicare siano molte, i caratteri distintivi tra le fattispecie legali siano incerti, e si tratti di applicare l’una o l’altra norma ad una fattispecie nuova”, ID., Il contratto. Dal contratto atipico al contratto alieno, Padova (2011), p. 158. 151 Senza attività interpretativa, sempre finalizzata all’applicazione, non vi è diritto: BETTI, E.: Teoria generale dell’interpretazione, I, Xxxxxx [0000, rist. 1990], p. 59 ss.; ID., Interpretazione della legge e degli atti giuridici (Teoria generale e dogmatica), 2a ed. a cura di X. Xxxxx, Milano (1971),
p. 91 ss. V. anche XXXXXXX, C.W.: Pensiero sistematico e concetto di sistema nella giurisprudenza sviluppati sul modello del diritto privato tedesco, ed. it. a cura di X. Xxxxxxxx, Napoli (2009), p. 7 ss.; PERLINGIERI, P.: Interpretazione e applicazione: profili dell’individuazione normativa, in Dir. giur. (1975), p. 826 ss.; ID., Appunti di “Teoria dell’interpretazione”, Camerino (1970), pp. 1 ss., 28 s.; e XXXXXX, P.: Introduzione al Novecento giuridico, Bari (2011), p. 77; ID., Prima lezione di diritto, Bari (2003), p. 103 ss.
Applicare meccanicamente, secondo la logica della sussunzione, una data norma ad un contratto nonostante non si attagli agli interessi perseguiti dalle parti non è fedeltà alla legge, né garanzia di un diritto certo; piuttosto è un comportamento dannoso, nonché un modo per nascondersi dietro al paravento del sillogismo e delle astratte definizioni, le quali, tra l’altro, non solo spesso non sono esplicitate (si pensi alla rendita vitalizia), ma, come affermato dalla dottrina prevalente, non hanno mai carattere vincolante152.
Questa prospettiva non pare pienamente accolta dall’art. II. – 1:107 (“Contratti misti”) del Draft Common Frame of Reference, il quale, con riferimento alla definizione della regola applicabile ai contratti misti, sembra ribadire una visione dogmatica e ancóra fondata, in particolare, sulle teorie dell’assorbimento e della combinazione. Tuttavia anche questa disposizione sembra lasciare un filo di speranza per evitare interpretazioni forzose e non rispettose della causa concreta dei negozi là dove, non senza contraddizioni, rileva al comma 2 che nei casi di contratto misto, a meno che non sia contrario alla natura e allo scopo dell’accordo, la regola utilizzabile a ogni categoria interessata si applica, con gli opportuni adattamenti, alla parte corrispondente del contratto e ai diritti e agli obblighi che da essa derivino153.
Interessante al riguardo è una pronuncia della Cassazione154 che, a proposito dei fenomeni negoziali della “vendita mista a permuta” o della “permuta con conguaglio in denaro”, presta particolare attenzione agli interessi in concreto perseguiti dall’operazione contrattuale, senza cadere nell’errore [comune alle teorie dell’assorbimento (o della prevalenza) e della mera combinazione] sia di forzare l’inquadramento della fattispecie concreta in una delle due categorie (‘vendita mista a permuta’ e ‘permuta con conguaglio in denaro’), sia di fondare la qualificazione sui soli criteri economico-quantitativi (i quali imporrebbero di discorrere di vendita qualora il corrispettivo sia espresso per la maggior parte in denaro e, invece, di permuta qualora il valore dei due beni diversi dal danaro sia per lo piú equivalente). Se si analizza la funzione concreta del negozio, ben può accadere che le parti hanno “voluto cedere un bene in natura contro una somma di danaro, che [tuttavia solo] per ragioni di opportunità hanno parzialmente commutata in un altro bene” (sí che il contratto andrebbe qualificato come vendita), oppure hanno “concordato lo scambio tra loro di due beni in natura e” sono ricorsi “all’integrazione in denaro soltanto per colmare la differenza di valore tra i beni stessi” (sí che il
152 DE NOVA, G.: Il tipo xxxxxxxxxxxx, xxx., x. 000 xx.
000 “Where a contract is a mixed contract then, unless this is contrary to the nature and purpose of the contract, the rules applicable to each relevant category apply, with any appropriate adaptations, to the corresponding part of the contract and the rights and obligations arising from it”.
154 Cass., 16 aprile 2007, n. 9088, Guida dir. (2007), p. 45.
contratto andrebbe qualificato come permuta)155. Né si può escludere che in presenza di ‘vendita mista a permuta’ o di ‘permuta con conguaglio in denaro’ sia possibile applicare tanto la disciplina sul prezzo (come obbligazione tipica dell’acquirente nel contratto di vendita) quanto la disciplina propria dell’attribuzione traslativa di cose (per la parte del corrispettivo consistente nel trasferimento del bene in natura)156. Ciò di là da ogni forzatura o dogmatismo propri delle teorie dell’assorbimento (o della prevalenza) e della combinazione, le quali non devono costituire una premessa del ragionamento ma al massimo il risultato dell’analisi della funzione concreta di un atto di autonomia.
Se la sussunzione fosse infallibile e le definizioni avessero carattere vincolante, come pure è stato sostenuto157, non sarebbe mai stato possibile applicare, come tutt’oggi condiviso in dottrina e giurisprudenza, al leasing norme sia della locazione sia della vendita con riserva di proprietà158, oppure al testamento e agli atti unilaterali in genere alcune norme dell’arbitrato159 o
155 “Un contratto traslativo della proprietà, nel quale la controprestazione abbia cumulativamente a oggetto una cosa in natura e una somma di denaro, ove venga superata la ravvisabilità di una duplicità di negozi, di cui uno di adempimento mediante “datio in solutum”, o, in virtú del criterio dell’assorbimento, l’ipotesi di un unico negozio a causa mista, può realizzare tanto la fattispecie di una compravendita con integrazione del prezzo in natura quanto quella di permuta con supplemento in denaro e, in tale ultimo caso, la questione della individuazione del negozio in concreto voluto e posto in essere dalle parti non può essere risolta con il mero richiamo all’equivalenza (o anche prevalenza) economica del valore del bene in natura o della somma di denaro che unitamente costituiscono la controprestazione, dovendo invece essere determinata in ragione della prevalenza giuridica dell’una o dell’altra prestazione. Agli effetti della qualificazione del contratto, infatti, è necessario ricostruire gli interessi comuni e personali, che le parti avevano inteso regolare con il negozio, e accertare se i contraenti avessero voluto cedere un bene in natura contro una somma di denaro, che per ragioni di opportunità avevano parzialmente commutata in un altro bene, ovvero avessero concordato lo scambio tra loro di due beni in natura e fossero ricorsi all’integrazione in denaro soltanto per colmare la differenza di valore tra i beni stessi”, Cass., 16 aprile 2007, n. 9088, cit.
156 X’XXXXX, G.: La compravendita, I, in Tratt. dir. civ. C.N.N. diretto da Perlingieri, IV, 16, Napoli (2013), p. 84.
157 BELVEDERE, A.: Il problema delle definizioni nel Codice civile, Milano (1977).
158 Si è già detto dell’opportunità di evitare, per le peculiarità funzionali, di considerare il contratto di leasing una specie di contratto di locazione, limitando alle regole del secondo la disciplina applicabile al primo. V. retro § 5, spec. nota 59.
159 Pur ammettendo l’apparente antiteticità di testamento e arbitrato, PADOVINI, F.: Testamento e arbitrato, in Rass. dir. civ. (2012), p. 106 ss., ne rileva la compatibilità: “l’uno può invocare l’altro, ferma la tutela dei legittimari, con il limite dei terzi estranei e con la necessità di consentire l’impugnazione per errore di diritto”. Sul tema v. amplius FESTI, F.: Testamento e devoluzione ad arbitri delle liti tra i successori, in Riv. trim. (2002), p. 809 ss.; PERLINGIERI, G.: La previsione testamentaria di arbitrato. Riflessioni in tema di tipicità e atipicità nel testamento, cit.
del contratto (ad esempio, in tema di mandato160 e di interpretazione161). Le discipline per tipi esistono per mere esigenze descrittive e, se il caso lo richiede, ben possono essere applicate contemporaneamente, con buona pace della sussunzione.
Soltanto il controllo di compatibilità, di adeguatezza e di congruenza della disciplina agli interessi coinvolti consente all’interprete, a differenza della sussunzione, di esplicitare le proprie scelte ed evidenziare argomenti che possono agevolmente essere sottoposti a verifica, come il controllo di adeguatezza della normativa (non solo “codicistica”, ma tributaria, fallimentare) alla natura del bene, alla qualità delle parti, alla natura delle prestazioni, al modo di perfezionamento del contratto e agli interessi convolti162.
Ad esempio, se è vero che gli obblighi di forma non sono un fastidio o un capriccio del legislatore (poiché anche le norme sulla forma hanno una loro ratio da ricercare di volta in volta)163, vero è pure che la scelta della disciplina applicabile in tema di forma non può essere condizionata da ragionamenti fondati sulla mera sussunzione, ma deve dipendere dagli interessi in concreto coinvolti, di là dalla natura tipica o atipica di un contratto.
Questa prospettiva, oltre a preferire l’applicazione dell’art. 1350, n. 10, c.c. anche ai vitalizi impropri – a prescindere dalla loro tipicità o atipicità poiché, come rilevato, gli interessi coinvolti da queste fattispecie negoziali hanno non poca rilevanza e una formalizzazione del rapporto e una più attenta ponderazione della dichiarazione di volontà, in particolare espressa dal vitaliziato, favorisce il rispetto degli impegni assunti. Né si può dimenticare, ad esempio, che eventuali violazioni, sia pure modeste, degli obblighi “assistenziali”, possono procurare un grave pregiudizio all’incolumità fisica del creditore – e oltre a condividere chi applica al negozio misto a donazione la disciplina della riduzione164, conduce anche ad altre considerazioni. Infatti se,
160 PERLINGIERI, G.: La revocazione delle disposizioni testamentarie, cit., p. 763, nota 105. V. retro
nota 145.
161 XXXXXXXXX XXXX, L.: L’interpretazione del testamento, cit., p. 69 ss.; XXXXX, R.: L’interpretazione e l’integrazione della volontà, cit., p. 911; PERLINGIERI, G.: Invalidità delle disposizioni “mortis causa” e unitarietà della disciplina degli atti di autonomia negoziale, cit.
162 Il discorso vale, in linea generale, per tutti gli atti di autonomia, anche mortis causa al fine di rifuggire sia da preconcette separazioni (si pensi alle categorie del testamento, del contratto in generale e dei singoli contratti tipici) sia da ingenue assimilazioni (si pensi alla categoria del negozio giuridico); sul punto si rinvia a PERLINGIERI, G.: Invalidità delle disposizioni “mortis causa” e unitarietà della disciplina degli atti di autonomia negoziale, cit.
163 PERLINGIERI, P.: Forma dei negozi e formalismo degli interpreti, cit., p. 1 ss.
164 Studiano la problematica CARNEVALI, U.: Sull’azione di riduzione delle donazioni indirette che hanno leso la quota di legittima, in AA.VV., Studi in onore di X. Xxxxxxx, I, Milano (1995); e MENGONI, L.: Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu e Messineo, Milano (2000), p. 256 ss. Di recente, esclude l’azione di restituzione
ad esempio, la ratio della forma nella donazione sta nel rendere edotto e consapevole il donante di ciò che compie visto il depauperamento che l’atto produce nel suo patrimonio, allora la donazione mista a vendita (che certamente non è una donazione indiretta165 o un contratto a favore di terzo166) o la rendita gratuita potranno essere stipulate per scrittura privata (e non per atto pubblico) soltanto se lo squilibrio economico tra le prestazioni non sia cosí significativo da imporre la stessa forma della donazione167. Si pensi alla vendita a prezzo irrisorio, vile o nummo uno (dove la corrispettività è solo formale) il cui profilo di onerosità è talmente limitato da non giustificare una disciplina diversa dalla donazione anche in tema di forma. Medesimo discorso va posto nell’ipotesi di operazioni complesse, dove, ad esempio, non si può escludere che la forma pubblica vada imposta anche per quegli atti successivi e funzionali alla realizzazione dello scopo168. Né si può affermare che nel caso di una concatenazione di atti diretti a perseguire una funzione traslativa e di scambio vada applicata sempre e soltanto la disciplina della compravendita. Talvolta ad alcuni di questi atti – siano essi collegati e idonei a conservare una autonoma e specifica funzione (si pensi al preliminare puro e al definitivo), siano essi meri elementi di un procedimento piú ampio e complesso – saranno applicabili anche norme diverse dalla vendita e proprie di altri negozi
con riferimento a negozi misti a donazione Trib. Napoli, 31 marzo 2011, annotato criticamente da XXXXXX, P.: Xxxxx differenza tra negotium mixtum cum donatione e negozio simulato: le modalità di riduzione, in Foro nap. (2013), x. 000 xx. (x. spec. p. 233 ss.).
165 Per una ricostruzione dei principali orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sul punto,
x. XXXXXX, P.: Xxxxx differenza tra negotium mixtum cum donatione e negozio simulato: le modalità di riduzione, cit., p. 226 ss.
166 L’art. 1875 c.c., infatti, stabilisce che “[l]a rendita vitalizia costituita a favore di un terzo, quantunque importi per questo una liberalità, non richiede le forme stabilite per la donazione”.
167 Contra, tra gli altri, XXXXXXX, G.: Xxxxxxx, xxx., x. 000 xx.
000 L’art. 768 ter c.c. richiede l’atto pubblico a pena di nullità per la stipulazione del patto di famiglia. Tuttavia, poiché il legislatore prevede la possibilità che al patto di famiglia costitutivo possano seguire atti successivi e collegati mediante i quali i non assegnatari accettano o rinunziano alla liquidazione, ci si può chiedere anche se per tali atti è necessario l’atto pubblico. Sul punto si rinvia a PERLINGIERI, G.: Il patto di famiglia, cit., p. 191 ss., ove si chiarisce che se è vero che non appare prima facie incompatibile, né incongruente con la disciplina del patto e con la sua funzione la scelta di imporre la forma dell’atto pubblico a pena di nullità anche per le eventuali dichiarazioni di partecipazione successive al contratto, vero è pure che gli artt. 768 bis e ter c.c. sembrano riferirsi al “contratto” e, dunque, al solo patto di famiglia costitutivo. La soluzione, tuttavia, è da individuare bilanciando le esigenze e gli interessi in gioco e verificando la meritevolezza, l’adeguatezza, la compatibilità e l’utilità di una eventuale soluzione piú restrittiva. In questa prospettiva sembra necessaria la forma pubblica anche per gli atti successivi; ciò non in base al c.d. principio di simmetria formale, bensí in considerazione della ragione sufficiente della forma richiesta dal patto, ovvero l’esigenza di comprendere le rilevanti conseguenze che l’operazione in esame produce sulle situazioni giuridiche dei soggetti partecipanti, nonché, quindi, l’esigenza di garantire che ogni soggetto coinvolto nella piú ampia operazione rifletta sulle rilevanti conseguenze della sua partecipazione: esenzione da riduzione e collazione.
come, ad esempio, il mandato. Ciò dovrà verificarsi qualora tale disciplina risulti piú adeguata alle peculiarità funzionali e strutturali del singolo atto di autonomia, nonché agli interessi in concreto coinvolti.
Per concludere, non è importante stabilire se una determinata rendita sia tipica o atipica, propria o impropria169, o se i vitalizi impropri siano o non un sottotipo della rendita. Per conoscere e governare un fenomeno, non serve attribuirgli una etichetta o un nomen iuris, ma è necessario analizzare gli interessi sottesi e coinvolti dalla singola fattispecie, al fine di individuare nel sistema generale degli atti di autonomia (comprensivo non solo della disciplina del contratto e dei singoli contratti) la normativa piú adeguata e congrua alla causa concreta dell’atto in esame (ossia agli interessi perseguiti dal regolamento negoziale). Solo la valutazione della concreta pattuizione e degli interessi in gioco permette di determinare se e in quale misura sia consentito applicare a quella singola peculiare fattispecie norme diversamente previste in relazione a schemi tipici 170 . È importante, quindi, non la valutazione di conformità al tipo, ma il controllo di conformità del concreto assetto di interessi ai valori normativi fondamentali, all’ordine pubblico, al buon costume, attraverso un controllo sia di liceità e di meritevolezza realizzato in concreto, sia di congruità e adeguatezza della normativa applicabile alla funzione specifica del singolo negozio. Normativa applicabile anche composta da una pluralità di norme compatibili tra loro e appartenenti ora a tipi diversi, ora ad un tipo e al contratto in generale.
Del resto, dal punto di vista logico, la disciplina applicabile a qualsiasi contratto, anche tipico, è sempre il risultato di un procedimento ermeneutico che opera per affinità o per somiglianza alla disciplina piú prossima e congrua di un contratto tipico.
169 Sembra tuttavia ancóra legato alla terminologia vitalizi propri e impropri anche QUADRI, R.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 184 ss.
170 QUADRI, R.: Xxxxxxx xxxxxxxxx, cit., p. 58 s.