Contract
Giurisprudenza
I singoli contratti
Contratti bancari
Operazioni bancarie in conto corrente e decorrenza
della prescrizione
CORTE COSTITUZIONALE, 5 aprile 2012, n. 78 - Pres. Quaranta - Red. Criscuolo
I
La disposizione dell’art. 2 comma 61 l. 26 febbraio 2011, n. 10 (di conv. del d.l. 29 dicembre 2010, n. 225), con la sua efficacia retroattiva, lede il canone generale della ragionevolezza delle norme (art. 3 Cost.), in quanto essa è intervenuta sull’art. 2935 c.c. in assenza di una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, perché, in materia di decorrenza del termine di prescrizione relativo alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, a parte un indirizzo del tutto minoritario della giurisprudenza di merito, si era ormai formato un orientamento maggioritario in detta giurisprudenza, che aveva trovato riscontro in sede di legittimità ed aveva condotto ad individuare nella chiusura del rapporto contrattuale o nel pagamento solutorio il dies a quo per il decorso del suddetto termine. Inoltre, la soluzione fatta propria dal legislatore con la norma denunziata non può sotto alcun profilo essere considerata una possibile variante di senso del testo originario della norma oggetto d’interpretazione.
II
La ripetizione dell’indebito oggettivo postula un pagamento (art. 2033 c.c.) che, avuto riguardo alle modalità di funzionamento del rapporto di conto corrente, spesso si rende configurabile soltanto all’atto della chiusura del conto. Ne deriva che ancorare con norma retroattiva la decorrenza del termine di prescrizione all’annota- zione in conto significa individuarla in un momento diverso da quello in cui il diritto può essere fatto valere, secondo la previsione dell’art. 2935 c.c. Pertanto, la norma censurata, lungi dall’esprimere una soluzione erme- neutica rientrante tra i significati ascrivibili al citato art. 2935 c.c., ad esso nettamente deroga, innovando rispetto al testo previgente, peraltro senza alcuna ragionevole giustificazione.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme | Non sono stati rinvenuti precedenti in termini. |
Difforme | Non sono stati rinvenuti precedenti in termini. |
(Omissis).
Considerato in diritto
corrente l’articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dal- l’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno del-
1.— Il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Ostuni, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita, in riferimen- to agli articoli 3, 24, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, nonché ai limiti interni indi- viduati da questa Corte in ordine all’ammissibilità di una legge d’interpretazione, della legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10 (com- ma aggiunto dalla legge di conversione), che così dispo- ne: «In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto
l’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla re- stituzione d’importi già versati alla data di entrata in vi- gore della legge di conversione del presente decreto».
Ad avviso del rimettente, la norma censurata violerebbe i menzionati parametri costituzionali, in primo luogo, per contrasto col principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), in quanto: 1) mancherebbe una norma specifica da inter- pretare, quale condizione dell’esercizio del potere di legi- slazione a fini interpretativi, cioè una norma che discipli- ni di per sé la decorrenza della prescrizione con riguardo al singolo contratto bancario regolato in conto corrente, essendo la lacuna colmata dagli interpreti con l’applica- zione di una norma generale, qual è l’art. 2935 c.c., non-
ché di principi desumibili dalla disciplina delle singole operazioni bancarie e di principi in tema di estinzione del rapporto obbligatorio e di condictio indebiti; 2) la soluzio- ne interpretativa prescelta dal legislatore non potrebbe essere inclusa tra quelle legittimamente desumibili dalla disciplina complessiva dell’istituto, perché, come posto in luce dalla Corte di cassazione a sezioni unite nella sen- tenza n. 24418 del 2 dicembre 2010, in armonia con i principi generali in materia di adempimento, di ripetizio- ne d’indebito e con quelli relativi alla causa del contrat- to di conto corrente bancario, la decorrenza della prescri- zione dovrebbe essere individuata: a) nella chiusura del rapporto, quando non siano effettuati versamenti in pen- denza del rapporto stesso, oppure allorché il versamento (effettuato in pendenza del rapporto), abbia funzione me- ramente ripristinatoria dell’affidamento; b) nel versa- mento, in ipotesi di conto passivo senza affidamento o di superamento del limite affidato.
Inoltre, la norma in questione si porrebbe in contrasto con i principi di ragionevolezza e di uguaglianza, e, quin- di, ancora con l’art. 3 Cost., perché: 1) essa, con una pre- visione ad hoc, introdurrebbe una disciplina che, meno- mando i poteri di reazione processuale dei clienti del si- stema bancario, assicurerebbe un ingiustificato privilegio per le banche, determinando un’inammissibile disparità di trattamento tra due categorie di soggetti; 2) introdur- rebbe un termine per il decorso della prescrizione diverso, non soltanto dall’unico coerente (chiusura del conto) con la causa dei contratti bancari regolati in conto cor- rente (in particolare, del contratto di apertura di credi- to), ma anche dallo statuto normativo dei singoli tipi contrattuali, recanti profili di affinità con il rapporto de quo (mandato, deposito, per i quali la prescrizione dei di- ritti dai medesimi derivanti decorrerebbe dalla cessazione dei contratti stessi), così creando un’inammissibile dispa- rità di trattamento tra tipologie contrattuali assimilabili sotto il profilo funzionale; 3) la censurata paralisi dei po- teri sostanziali e processuali volti a tutelare gli utenti del sistema bancario sarebbe destinata ad operare soltanto per le somme già versate alla data di entrata in vigore del- la legge di conversione del citato d.l., con ingiustificata compressione del diritto a ripetere l’indebito per chi ab- bia posto in essere pagamenti fino alla suddetta soglia temporale.
La norma censurata si porrebbe, altresì, in contrasto: 1) con l’art. 24 Cost., sotto il profilo della indefettibilità della tutela giurisdizionale, in quanto la prima parte di es- sa farebbe decorrere la prescrizione da una circostanza di fatto, cioè l’annotazione, esulante dalla sfera conoscitiva e di conoscibilità del cliente, mentre la seconda parte - in base ad una possibile opzione interpretativa, peraltro (ad avviso del rimettente) suscettibile di essere esclusa con un’esegesi della norma costituzionalmente orientata - in- trodurrebbe il divieto di ripetizione delle somme indebi- tamente corrisposte dal cliente alla banca, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto- legge n. 225 del 2010; 2) con gli artt. 101, 102 e 104 Cost., sotto il profilo dell’integrità delle attribuzioni co- stituzionalmente riservate al potere giudiziario, trattan-
dosi di stabilire «se la statuizione contenuta nella norma censurata integri effettivamente i requisiti del precetto di fonte legislativa, come tale dotato dei caratteri di genera- lità e astrattezza, ovvero sia diretta ad incidere su concre- te fattispecie sub iudice, a vantaggio di una delle due par- ti del giudizio»; 3) con l’art. 111 Cost., sotto il profilo del giusto processo, sub specie della parità delle armi, in quanto la norma censurata, supportata da una espressa previsione di retroattività, verrebbe a sancire - se non al- tro dalle ipotesi in cui dalle indebite annotazioni della banca sia già decorso un decennio - la paralisi processua- le della pretesa fatta valere da chi abbia agito in giudizio, esperendo un’azione di ripetizione d’indebito.
Infine, la norma di cui si tratta violerebbe l’art. 117, pri- mo comma, Cost., attraverso la violazione dell’art. 6 del- la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), come diritto ad un giusto processo, in quanto il legislatore na- zionale, in presenza di un notevole contenzioso e di un orientamento della Corte di cassazione sfavorevole alle banche, avrebbe interferito nell’amministrazione della giustizia, assegnando alla norma interpretata un significa- to vantaggioso per una parte del processo, in assenza di
«motivi imperativi di interesse generale», come enuclea- ti dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti del- l’uomo.
2.— Il Tribunale di Benevento, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita, in riferimento agli artt. 3, 24, 41, 47 e 102 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010, convertito, con mo- dificazioni, dalla legge n. 10 del 2011 (comma aggiunto da detta legge di conversione).
Secondo il giudice a quo, il primo periodo della norma censurata, «se dovesse interpretarsi nel senso che la pre- scrizione decennale (dell’azione di ripetizione dell’inde- bito) decorre non dalla data di estinzione del rapporto di conto corrente - come confermato di recente da Cass., sez. un., n. 24418 del 2010 - ma dal giorno di ogni singo- la annotazione in conto», violerebbe l’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza della norma stessa, per aver travalicato i limiti interni all’ammissibilità delle norme interpretative e, in generale, all’efficacia retroatti- va delle leggi, in quanto: 1) non vi sarebbe stato alcun dubbio interpretativo in ordine alla decorrenza della pre- scrizione dei diritti nascenti dall’annotazione nelle ope- razioni bancarie in conto corrente, perché sul punto vi sarebbe stata costante giurisprudenza della Corte di cas- sazione, ribadita, da ultimo, dalla medesima Corte a se- zioni unite (sentenza n. 24418 del 2010); 2) la norma in questione, pur qualificandosi interpretativa, di fatto avrebbe carattere innovativo, ponendosi in contrasto con la disciplina normativa e la natura giuridica delle operazioni bancarie in conto corrente, di cui agli artt. 1852-1857 cod. civ., nonché con il principio generale di cui all’art. 2935 cod. civ., in tema di decorrenza della pre- scrizione, «considerato che la dottrina e la giurispruden- za hanno sempre ritenuto che nei contratti bancari di credito con esecuzione ripetuta di più prestazioni, quali contratti unitari, fonti di un unico rapporto giuridico an-
che se articolati in una pluralità di atti esecutivi, solo con il conto finale si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti e se ne determina l’esigibilità».
Ancora, sarebbe violato l’art. 3 Cost., per disparità di trattamento e per contrasto col principio di uguaglianza, qualora «la norma censurata si applicasse anche per il passato ed ai giudizi in corso».
Inoltre, la norma in questione: a) si porrebbe in contrasto con gli artt. 41 e 47 Cost., frustrando i principi di tutela del risparmio delle famiglie e delle imprese e, dunque, la libera iniziativa economica, perché verrebbe ad incidere in senso negativo sulle legittime aspettative, coltivate da queste ultime, di ottenere in restituzione ingenti somme indebitamente contabilizzate dalla controparte durante lo svolgimento di rapporti in conto corrente e riscosse in violazione di norme di ordine pubblico (quale il divieto di anatocismo); b) rischierebbe di pregiudicare anche il diritto delle banche ad ottenere in restituzione somme date a mutuo ai correntisti in regime di apertura di credi- to in conto corrente, se annotate prima di dieci anni dal- la formale richiesta di rientro o di pagamento del saldo fi- nale di chiusura del conto; c) violerebbe l’art. 24 Cost., in quanto, se essa si applicasse anche per il passato ed ai giudizi in corso, impedirebbe ai titolari di diritti di otte- nerne la realizzazione in via giudiziaria, poiché le norme sulla prescrizione, pur avendo natura sostanziale, produr- rebbero effetti sul piano processuale, stante l’efficacia estintiva delle stesse; d) violerebbe l’art. 102 Cost., per- ché, se si applicasse anche per il passato ed ai giudizi in corso, «comporterebbe una invasione ingiustificata delle prerogative giudiziarie».
Infine, con riguardo al secondo periodo della norma cen- surata, «se dovesse interpretarsi nel senso che nelle ope- razioni bancarie regolate in conto corrente ciascuna del- le parti può non restituire gli importi già versati alla data del 27 febbraio 2011 - data di entrata in vigore della leg- ge di conversione n. 10 del 2011 - anche se non dovuti», sarebbero violate le norme costituzionali sopra richiama- te, nonché i canoni di logica elementare, in quanto la norma irragionevolmente stabilirebbe che chi (anche una banca) abbia versato alla data del 27 febbraio 2011 degli importi a credito in un rapporto regolato in conto corrente, “in ogni caso” non potrebbe ottenerli in restitu- zione dal suo debitore.
3.— Il Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Maglie, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in rife- rimento agli artt. 3, 23, 24, 47, 111 e 117, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale del già cita- to art. 2, comma 61.
Ad avviso del rimettente, il primo periodo della norma censurata violerebbe l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ir- ragionevolezza e della lesione del principio di affidamen- to, in quanto: 1) facendo decorrere la prescrizione del- l’azione di ripetizione dell’indebito dalla data dell’anno- tazione, attribuirebbe a quest’ultima un effetto solutorio che essa non può avere, non essendovi stato pagamento, e ciò in contrasto con la ricostruzione operata dalla Cor- te di cassazione, con la sentenza n. 24418 del 2010; 2) se la norma, invece, dovesse essere interpretata nel senso che si riferisce all’azione diretta a far dichiarare la nullità
della previsione contrattuale in base alla quale l’annota- zione è stata effettuata, si sarebbe in presenza di una di- sposizione di carattere eccezionale, priva di qualsiasi giu- stificazione, essendo principio generale, non suscettibile di eccezioni, quello secondo cui l’azione di nullità è im- prescrittibile; 3) la norma violerebbe tutti i limiti interni all’ammissibilità delle norme interpretative e all’efficacia retroattiva della legge, perché introdurrebbe una deroga ingiustificata al principio generale stabilito dall’art. 2935 cod. civ., e cagionerebbe una lesione all’affidamento dei risparmiatori, ingenerato dalla legge vigente e da conso- lidata giurisprudenza in ordine all’aspettativa di ottenere la ripetizione di quanto illegittimamente addebitato dal- le banche, così minando la certezza dei rapporti giuridici e la coerenza del sistema.
Inoltre, la norma in questione si porrebbe in contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., perché: a) consentirebbe alla banca, attraverso l’annotazione in conto, di precostituire la prova della data di decorrenza del termine di prescri- zione, sovvertendo i principi generali in materia di prova, di cui agli artt. 2709 e seguenti cod. civ. e 634 del codice di procedura civile; b) attribuirebbe alla medesima banca un potere di attestazione, in contrasto con la natura pri- vatistica degli istituti di credito; c) consentirebbe ad una delle parti di godere di una posizione privilegiata nella costituzione della prova, in contrasto con l’esigenza che la difesa in giudizio si svolga in modo adeguato e con pa- rità delle armi tra i contendenti.
Ancora, sarebbero violati l’art. 47 Cost., in quanto la norma censurata introdurrebbe una disciplina di privile- gio per le banche e, quindi, di svantaggio per i singoli ri- sparmiatori, nonché l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 12 del Trattato sul funzionamento del- l’Unione europea, perché detta norma, introducendo una disciplina di palese favore per le banche e sfavorevole ai consumatori, si porrebbe in contrasto col principio fon- damentale secondo cui, nei rapporti con le imprese, deve essere assicurata particolare tutela e protezione al consu- matore, in quanto contraente più debole, nell’ottica di un necessario riassetto degli equilibri esistenti.
Quanto al secondo periodo della norma censurata, esso, ad avviso del rimettente, si presterebbe a due possibili in- terpretazioni: quella alla stregua della quale per “importi già versati” si dovrebbero intendere gli importi già anno- tati e quella per cui con la detta espressione si dovrebbe avere riguardo agli importi che, a chiusura del conto, sia- no stati determinati ed, eventualmente, anche corrispo- sti.
La norma, comunque, violerebbe gli artt. 3, 24 e 111 Cost., perché: 1) essa, in modo irrazionale, determinereb- be un principio di irripetibilità connesso al mero dato di fatto dell’entrata in vigore della legge, in difetto di ogni esigenza di ordine pubblicistico; 2) del pari in modo irra- zionale sarebbero cancellati i diritti delle parti, scaturen- ti da un eventuale errore di calcolo o da nullità delle clausole sulla cui base i calcoli stessi siano stati effettuati;
3) si tratterebbe di una norma irragionevolmente retroat- tiva, con incidenza su posizioni giuridiche già formatesi, anche se non ancora giuridicamente accertate; 4) la nor- ma, operando retroattivamente, lederebbe l’affidamento
dei cittadini nella legge; 5) sarebbe altresì violato il prin- cipio della certezza del diritto.
Infine, la norma censurata si porrebbe in violazione del- l’art. 23 Cost., perché avrebbe un sostanziale effetto abla- tivo nei confronti di chi sia stato vittima di un errore di annotazione ovvero di un’annotazione in base a clausola nulla, nonché in violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del Protocollo numero 1 del- la CEDU, come interpretato dalla Corte europea dei di- ritti dell’uomo, nel senso che la nozione di “beni” può comprendere sia beni effettivi, sia valori patrimoniali, compresi i crediti, in virtù dei quali il ricorrente potrebbe pretendere di avere almeno la “speranza legittima” di ot- tenere l’effettivo godimento di un diritto di proprietà, mentre la norma di cui si tratta si risolverebbe in una in- giustificata ablazione di un diritto di credito.
4.— Il Tribunale di Nicosia, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita della legittimità costituzionale della nor- ma in esame, in riferimento agli artt. 3, 24, 102 e 117, pri- mo comma, Cost., limitatamente al secondo periodo del- la norma stessa.
Il rimettente ritiene che la norma censurata violi: a) l’art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza, perché am- metterebbe o escluderebbe la restituzione dell’indebito unicamente in base al dato temporale, in tal guisa diffe- renziando senza ragionevole giustificazione i rapporti re- golati in conto corrente bancario dai rapporti regolati in conto corrente ordinario o maturati in rapporti di altra natura; b) l’art. 24 Cost., in quanto, nel disporre che non si faccia luogo alla restituzione delle somme già versate alla data di entrata in vigore della legge di conversione, impedirebbe di fatto la tutela giurisdizionale del diritto (sia del correntista sia dell’istituto di credito) alla restitu- zione di somme non dovute, incidendo retroattivamente sul diritto all’effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive; c) l’art. 102 Cost., in quanto la norma, data la sua valenza retroattiva, si por- rebbe in contrasto con le attribuzioni del potere giurisdi- zionale, incidendo sulle pronunzie di condanna alla ripe- tizione dell’indebito e sui giudizi ancora pendenti; d) l’art. 117, primo comma, in relazione all’art. 6 CEDU, come diritto ad un giusto processo, nell’interpretazione datane dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in quan- to la norma censurata, essendo destinata ad incidere re- troattivamente su diritti già maturati in base all’ordina- mento preesistente, verrebbe ad interferire, determinan- do un vantaggio per una delle parti del giudizio, su singo- le cause o su determinate tipologie di controversie già pendenti, in assenza di ragioni imperative d’interesse ge- nerale.
5.— Il Tribunale di Venezia, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 47, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 2, comma 61.
Il rimettente, con riguardo al primo periodo della norma censurata, «se dovesse interpretarsi nel senso che la pre- scrizione decennale (dell’azione di ripetizione dell’inde- bito) decorre non dalla data di estinzione del rapporto di conto corrente - come confermato di recente da Cass.,
sez. un., n. 24418 del 2010 - ma dal giorno di ogni singo- la annotazione in conto», e al secondo periodo della nor- ma censurata, «se dovesse interpretarsi nel senso che nel- le operazioni bancarie regolate in conto corrente ciascu- na delle parti può non restituire gli importi già versati al- la data del 27 febbraio 2011 - data di entrata in vigore della legge n. 10 del 2011 - anche se non dovuti», e con riguardo ad entrambi i periodi «in ipotesi di ritenuta ap- plicabilità tout court della (duplice) nuova norma anche alle questioni in esame», sostiene che la norma suddetta violerebbe l’art. 3 Cost., perché irragionevole, in quanto:
1) essa, superando i limiti interni all’ammissibilità di nor- me interpretative, derogherebbe all’art. 2935 cod. civ., ponendosi in aperto contrasto con l’orientamento della giurisprudenza in materia, confermato dalla Corte di cas- sazione a sezioni unite con la citata sentenza n. 24418 del 2010; 2) la norma stessa si porrebbe in funzione “deroga- tiva” in riferimento all’art. 2033 cod. civ. e, senza ade- guata giustificazione, derogherebbe a disposizioni dell’or- dinamento di carattere generale, annullando, con l’esclu- sione del diritto alla ripetizione, i diritti in danno del contraente debole, nell’ambito dei rapporti di conto cor- rente bancario.
Inoltre, la norma in questione violerebbe: a) l’art. 3 Cost., sotto il profilo del principio di uguaglianza, perché la preclusione all’azione di ripetizione di somme indebi- tamente versate alla data di entrata in vigore della legge di conversione darebbe luogo ad una ingiustificata com- pressione del diritto di ripetere l’indebito, per chi abbia posto in essere pagamenti fino alla suddetta soglia tem- porale, e non anche per chi non versi ancora nella pre- detta situazione giuridica; b) gli artt. 24 e 111 Cost., con riferimento al principio inderogabile dell’effettività della tutela giudiziaria e del giusto processo; c) gli artt. 101, 102 e 104 Cost., sotto il profilo della invulnerabilità del- le funzioni costituzionalmente riservate al potere giudi- ziario; d) l’art. 47 Cost., perché la ritenzione di somme indebite, illegittimamente sottratte ai risparmi dei citta- dini, implicherebbe una grave compromissione del prin- cipio di tutela del risparmio; e) l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della CEDU, perché, modifi- cando con efficacia retroattiva, in senso sfavorevole agli interessati, disposizioni di legge attributive di diritti, la cui lesione abbia dato luogo ad azioni giudiziarie ancora pendenti all’epoca della modifica, verrebbe ad interferire con l’amministrazione della giustizia, in assenza di motivi imperativi d’interesse generale.
6.— Il Tribunale di Potenza, con le tre ordinanze di ana- logo tenore indicate in epigrafe, dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., della legittimità costituzionale del- la normativa più volte indicata.
Il rimettente ritiene che la norma censurata violi i limiti interni all’ammissibilità di una legge d’interpretazione autentica e alla efficacia retroattiva delle leggi, sotto il profilo della irragionevolezza e della lesione del legittimo affidamento (art. 3 Cost.), in quanto: 1) non vi sarebbe stato alcun dubbio interpretativo in ordine alla decorren- za della prescrizione dei diritti nascenti dall’annotazione nelle operazioni bancarie in conto corrente, perché, da ultimo, la Corte di cassazione a sezioni unite, con la sen-
tenza n. 24418 del 2010, avrebbe ribadito che, nei con- tratti bancari in conto corrente, il termine di prescrizione decennale dell’azione di ripetizione dell’indebito (ad esempio, per nullità della clausola di capitalizzazione de- gli interessi) decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza di rapporto abbiano avuto fun- zione ripristinatoria della provvista, dalla data di estin- zione del saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati; 2) la statuizione norma- tiva, secondo la quale la prescrizione del diritto alla ripe- tizione dell’indebito dovrebbe decorrere dall’annotazione in conto dell’addebito degli interessi, attribuendo a detta annotazione l’efficacia di un pagamento, introdurrebbe un concetto del tutto innovativo, ponendosi al di fuori delle possibili varianti interpretative delle norme preesi- stenti, avuto riguardo anche alle risultanze della citata sentenza della Corte di legittimità; 3) qualora l’applica- zione della norma censurata si estendesse anche ai giudi- zi in corso, resterebbe violato anche il principio del legit- timo affidamento delle parti, in relazione all’applicazione di un orientamento consolidato in tema di prescrizione, essendo stato operato, per via legislativa, un vero e pro- prio overruling.
L’art. 3 Cost. sarebbe, altresì, violato sotto il profilo della ragionevolezza e dell’uguaglianza, perché la mancata re- stituzione degli importi già versati, alla data di entrata in vigore della legge di conversione, creerebbe una ingiusti- ficata disparità di trattamento tra debitori che abbiano versato somme prima dell’entrata in vigore della legge e debitori che abbiano versato tali somme in epoca succes- siva.
Infine, sarebbe violato l’art. 24 Cost., in quanto la norma in questione, rendendo impossibile la restituzione degli importi già versati alla data della sua entrata in vigore, impedirebbe ai titolari di un diritto di ottenerne la realiz- zazione per via giudiziaria.
7.— Il Tribunale di Catania, sezione distaccata di Belpas- so, con l’ordinanza indicata in epigrafe, solleva questione di legittimità costituzionale della norma già censurata con le precedenti ordinanze, in riferimento agli artt. 3, 24, 41, 47 e 102 Cost., svolgendo considerazioni identi- che a quelle contenute nell’ordinanza del Tribunale di Benevento (punto 2 che precede), alla quale si rinvia.
8.—Le nove ordinanze di rimessione, qui riassunte, solle- vano tutte questione di legittimità costituzionale della medesima norma (art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2001 - comma aggiunto in sede di conversione), addu- cendo argomenti analoghi o identici.
Pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti per essere defini- ti con unica sentenza.
9.— In relazione all’ordinanza di rimessione del Tribuna- le di Brindisi, sezione distaccata di Ostuni, l’istituto di credito resistente (Banca Monte dei Paschi di Siena, s.p.a., quale incorporante della Banca Antoniana Popo- lare Veneta s.p.a., poi Banca Antonveneta s.p.a.) ha ec- cepito la manifesta inammissibilità della questione, sia per carente motivazione sulla rilevanza, sia perché il ri- mettente avrebbe articolato in modo indistinto le sue censure rispetto alle due diverse disposizioni che com-
pongono la norma di cui si discute, sia perché - pur pren- dendo le mosse dalla sentenza resa dalla Corte di cassa- zione a sezioni unite, n. 24418 del 2010, che aveva avuto riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario in conto corrente - egli avrebbe omesso di distinguere tra conti correnti ordinari e conti correnti con apertura di credito, tra annotazioni per un prelievo e per un versa- mento, tra versamenti con cui il correntista “rientra” dal cosiddetto extrafido e versamenti riespansivi del credito assentito dalla banca, trascurando di dare qualsiasi infor- mazione in ordine al titolo dedotto dall’attore nel giudi- zio principale, a sostegno della sua pretesa restitutoria.
Inoltre, il giudice a quo avrebbe omesso qualsiasi cenno in ordine alla qualificazione delle annotazioni per le qua- li si sarebbe potuto agire per la ripetizione dell’indebito, se vi fosse un’apertura di credito regolata in conto cor- rente, se vi fossero stati versamenti da parte del correnti- sta.
Anche l’Avvocatura generale dello Stato, intervenuta nel giudizio in rappresentanza e difesa del Presidente del Consiglio dei ministri, ha sostenuto che la questione sa- rebbe inammissibile, perché il Tribunale avrebbe omesso di valutarne la rilevanza, limitandosi «a svolgere astratte considerazioni sulla legittimità della norma censurata, senza tuttavia spiegare se e in quali termini la sua appli- cazione possa incidere concretamente sull’esito della cau- sa pendente dinanzi a sé». In particolare, il rimettente avrebbe richiamato i principi sull’indebito pagamento enunciati dalla Corte di cassazione a sezioni unite (sen- tenza n. 24418 del 2010), principi che sarebbero rimasti lesi dalla censurata norma interpretativa, ma avrebbe omesso di dimostrare le sue affermazioni, trascurando di specificare se la domanda proposta nel giudizio principa- le potesse essere accolta sulla base di quei principi, in mo- do da far emergere la rilevanza, ai fini del decidere, della normativa sopravvenuta che, individuando una diversa decorrenza dei termini di prescrizione, avrebbe precluso l’esercizio dell’azione restitutoria. Inoltre, il giudice a quo avrebbe proposto una lettura confusa ed indifferenziata della norma in esame, senza operare la necessaria distin- zione tra le sue diverse disposizioni.
Le suddette eccezioni non sono fondate.
Il rimettente, descrivendo lo svolgimento del processo principale, riferisce quanto segue: «Con atto di citazione notificato il 18.04.2005 il sig. C. S. conveniva in giudizio la Banca A.P.V. s.p.a. chiedendo che fosse rideterminato il saldo del conto corrente n. 2741/R, acceso in data 11.04.1994, sino alla data dell’ultima operazione avvenu- ta il 29.12.1998; in particolare, chiedeva che i conteggi fossero riformulati tenendo conto dell’ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale circa la nullità della capitaliz- zazione trimestrale degli interessi passivi e della c. m. s., affinché la banca fosse condannata alla restituzione del- l’indebito versato.
Costituitasi in giudizio, la banca convenuta contestava le eccezioni e le richieste attoree, concludendo per il riget- to integrale della domanda ed opponendo, preliminar- mente, la liceità della capitalizzazione trimestrale degli interessi e, quindi, l’eccezione di prescrizione estintiva». Il giudice a quo prosegue esponendo che, allo scopo di
procedere al ricalcolo del saldo, aveva disposto una con- sulenza tecnica; che la relazione del consulente era stata depositata, con il ricalcolo del saldo compiuto «alla stre- gua dei criteri di cui alla ordinanza ammissiva della ctu»; che egli aveva considerato la causa matura per la decisio- ne ma, entrato in vigore l’art. 2, comma 61, della legge n. 10 del 2011, recante conversione del d.l. n. 225 del 2010, aveva ritenuto sussistenti i presupposti per sollevare que- stione di legittimità costituzionale di tale norma, osser- vando, sotto il profilo della rilevanza «ai fini del thema de- cidendum», che senza dubbio «la natura assertivamente interpretativa della stessa, unitamente all’eccezione di prescrizione, sollevata da parte convenuta» ne impone- vano l’applicazione nel caso concreto.
Come si vede, il rimettente, in forma concisa ma suffi- ciente, si è pronunciato sulla rilevanza della questione nel caso di specie. Egli ha individuato il rapporto nego- ziale (contratto di conto corrente bancario), precisando- ne l’arco temporale di operatività, ha chiarito l’oggetto della pretesa azionata dall’attore (ripetizione d’indebito oggettivo per nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e della commissione di massimo scoperto, così indicando il titolo dedotto a so- stegno della domanda), ha posto l’accento sull’eccezione di prescrizione sollevata dall’istituto di credito convenu- to e, dovendo pronunciarsi su detta eccezione, ha consi- derato necessario lo scrutinio di legittimità costituziona- le della norma sopravvenuta che, intervenendo sulla de- correnza del termine di prescrizione in ordine alle opera- zioni bancarie regolate in conto corrente, evidentemen- te incide anche sui risultati del ricalcolo del saldo effet- tuato dal consulente «alla stregua dei criteri di cui all’or- dinanza ammissiva della ctu». Il che, del resto, si evince con chiarezza dall’affermazione del giudicante, secondo cui egli, dovendo pronunciarsi sull’eccezione di prescri- zione, non può prescindere dall’esame della norma cen- surata.
Quanto, poi, al rilievo secondo cui il giudice a quo avreb- be svolto argomenti che fanno indistinto riferimento ad entrambi i periodi di cui si compone il citato art. 2, com- ma 61, così incorrendo in un vizio di contraddittorietà intrinseca e in un difetto di motivazione, si deve osserva- re che la presunta contraddizione non sussiste, perché il contenuto delle singole censure consente d’individuare la norma di volta in volta denunziata, mentre, in ordine all’asserito difetto di motivazione, si deve rinviare alle considerazioni dianzi svolte.
10.— L’istituto bancario e la difesa dello Stato eccepisco- no un ulteriore profilo di inammissibilità, che sarebbe ravvisabile nel fatto che il rimettente avrebbe omesso di sperimentare la possibilità di pervenire ad una interpreta- zione costituzionalmente orientata della norma. Al ri- guardo, sono richiamate alcune recenti pronunzie di giu- dici di merito che, facendo leva su tale interpretazione, avrebbero respinto la questione di legittimità costituzio- nale qui in esame.
Neppure tale eccezione è fondata.
Fermo il punto che alcune pronunzie adottate in sede di merito non sono idonee ad integrare un “diritto vivente”, si deve osservare che, come questa Corte ha già afferma-
to, l’univoco tenore della norma segna il confine in pre- senza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale (sentenza
n. 26 del 2010, punto 2, del Considerato in diritto; sen- tenza n. 219 del 2008, punto 4, del Considerato in dirit- to).
Nel caso in esame, il dettato della norma è, per l’appun- to, univoco. Nel primo periodo essa stabilisce che, in or- dine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente (il richiamo è all’art. 1852 cod. civ.), l’art. 2935 cod. civ. si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai dirit- ti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa (il principio è da in- tendere riferito a tutti i diritti nascenti dall’annotazione in conto, in assenza di qualsiasi distinzione da parte del legislatore). Il secondo periodo dispone che, in ogni caso, non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
d.l. n. 225 del 2010; ed anche questa disposizione norma- tiva è chiara nel senso fatto palese dal significato proprio delle parole (art. 12 disposizioni sulla legge in generale), che è quello di rendere non ripetibili gli importi già ver- sati (evidentemente, nel quadro del rapporto menzionato nel primo periodo) alla data di entrata in vigore della leg- ge di conversione.
Questo è, dunque, il contesto normativo sul quale l’ordi- nanza di rimessione è intervenuta. Esso non si prestava ad un’interpretazione conforme a Costituzione, come ri- sulterà dalle considerazioni che saranno svolte trattando del merito. Pertanto, la presunta ragione d’inammissibili- tà non sussiste.
11.— La questione è fondata.
L’art. 2935 cod. civ. stabilisce che «La prescrizione co- mincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere». Si tratta di una norma di carattere genera- le, dalla quale si evince che presupposto della prescrizio- ne è il mancato esercizio del diritto da parte del suo tito- lare. La formula elastica usata dal legislatore si spiega con l’esigenza di adattarla alle concrete modalità dei molte- plici rapporti dai quali i diritti soggetti a prescrizione na- scono.
Il principio posto dal citato articolo, peraltro, vale quan- do manchi una specifica statuizione legislativa sulla de- correnza della prescrizione. Infatti, sia nel codice civile sia in altri codici e nella legislazione speciale, sono nu- merosi i casi in cui la legge collega il dies a quo della pre- scrizione a circostanze o eventi determinati. In alcuni di questi casi l’indicazione espressa della decorrenza costi- tuisce una specificazione del principio enunciato dall’art. 2935 cod. civ.; in altri, la determinazione della decorren- za stabilita dalla legge costituisce una deroga al principio generale che la prescrizione inizia il suo corso dal mo- mento in cui sussiste la possibilità legale di far valere il di- ritto (non rilevano, invece, gli impedimenti di mero fat- to).
In questo quadro, prima dell’intervento legislativo con- cretato dalla norma qui censurata, con riferimento alla prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito na- scente da operazioni bancarie regolate in conto corrente, nella giurisprudenza di merito si era formato un orienta-
mento, peraltro minoritario, secondo cui la prescrizione del menzionato diritto decorreva dall’annotazione del- l’addebito in conto, in quanto, benché il contratto di conto corrente bancario fosse considerato come rapporto unitario, la sua natura di contratto di durata e la rilevan- za dei singoli atti di esecuzione giustificavano quella con- clusione.
In particolare, gli atti di addebito e di accredito, fin dalla loro annotazione, producevano l’effetto di modificare il saldo, attraverso la variazione quantitativa, e di determi- nare in tal modo la somma esigibile dal correntista ai sen- si dell’art. 1852 cod. civ.
A tale indirizzo si contrapponeva, sempre nella giurispru- denza di merito, un orientamento di gran lunga maggio- ritario secondo cui la prescrizione del diritto alla ripeti- zione dell’indebito doveva decorrere dalla chiusura defi- nitiva del rapporto, considerata la natura unitaria del contratto di conto corrente bancario, il quale darebbe luogo ad un unico rapporto giuridico, ancorché articola- to in una pluralità di atti esecutivi: la serie successiva di versamenti e prelievi, accreditamenti e addebiti, compor- terebbe soltanto variazioni quantitative del titolo origi- nario costituito tra banca e cliente; soltanto con la chiu- sura del conto si stabilirebbero in via definitiva i crediti e i debiti delle parti e le somme trattenute indebitamente dall’istituto di credito potrebbero essere oggetto di ripeti- zione.
Nella giurisprudenza di legittimità, prima della sentenza
n. 24418 del 2 dicembre 2010, resa dalla Corte di cassa- zione a sezioni unite, non risulta che si fossero palesati contasti sul tema in esame. Infatti, essa aveva affermato, in linea con l’orientamento maggioritario emerso in sede di merito, che il termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme trattenute dalla banca indebita- mente a titolo di interessi su un’apertura di credito in conto corrente decorre dalla chiusura definitiva del rap- porto, trattandosi di un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi, sicché soltanto con la chiusura del conto si stabiliscono definitivamente i crediti e i de- biti delle parti tra loro (Corte di cassazione, sezione pri- ma civile, sentenza 14 maggio 2005, n. 10127 e sezione prima civile, sentenza 9 aprile 1984, n. 2262).
Con la citata sentenza n. 24418 del 2010 (affidata alle se- zioni unite per la particolare importanza delle questioni sollevate: art. 374, secondo comma, cod. proc. civ.) la Corte di cassazione, con riguardo alla fattispecie al suo esame (contratto di apertura di credito bancario in conto corrente), ha tenuto ferma la conclusione alla quale la precedente giurisprudenza di legittimità era pervenuta ed ha affermato, quindi, il seguente principio di diritto: «Se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credi- to bancario regolato in conto corrente, il correntista agi- sce per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripeti- zione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripe- tizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in
cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati».
Rispetto alle pronunzie precedenti, la sentenza n. 24418 del 2010 ha aggiunto che, quando nell’ambito del rap- porto in questione è stato eseguito un atto giuridico defi- nibile come pagamento (consistente nell’esecuzione di una prestazione da parte di un soggetto, con conseguente spostamento patrimoniale a favore di altro soggetto), e il solvens ne contesti la legittimità assumendo la carenza di una idonea causa giustificativa e perciò agendo per la ri- petizione dell’indebito, la prescrizione decorre dalla data in cui il pagamento indebito è stato eseguito. Ma ciò sol- tanto qualora si sia in presenza di un atto con efficacia so- lutoria, cioè per l’appunto di un pagamento, vale a dire di un versamento eseguito su un conto passivo (“scoperto”), cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista, oppure di un versamento destinato a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento (cosid- detto extra fido).
In particolare, con riferimento alla fattispecie (relativa ad azione di ripetizione d’indebito proposta dal cliente di una banca, il quale lamentava la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi), la Corte di le- gittimità non ha condiviso la tesi dell’istituto di credito ricorrente, che avrebbe voluto individuare il dies a quo del decorso della prescrizione nella data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamen- te addebitati al correntista. Infatti, «L’annotazione in conto di una siffatta posta comporta un incremento del debito del correntista, o una riduzione del credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nei termini sopra indicati: perché non vi cor- risponde alcuna attività solutoria del correntista medesi- mo in favore della banca. Sin dal momento dell’annota- zione, avvedutosi dell’illegittimità dell’addebito in con- to, il correntista potrà naturalmente agire per far dichia- rare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore del- le risultanze del conto stesso. E potrà farlo, se al conto ac- cede un’apertura di credito bancario, allo scopo di recu- perare una maggiore disponibilità di credito entro i limi- ti del fido concessogli. Ma non può agire per la ripetizio- ne di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo».
Come si vede, dunque, a parte la correzione relativa ai versamenti con carattere solutorio, la citata sentenza del- la Corte di cassazione a sezioni unite conferma l’orienta- mento della precedente giurisprudenza di legittimità, a sua volta in sintonia con l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di merito.
12.— In questo contesto è intervenuto l’art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010, convertito, con modificazio- ni, dalla legge n. 10 del 2011.
La norma si compone di due periodi: come già si è accen- nato, il primo dispone che «In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 cod. civ. si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa».
La disposizione si auto-qualifica di interpretazione e,
dunque, spiega efficacia retroattiva come, del resto, si evince anche dal suo tenore letterale che rende la stessa applicabile alle situazioni giuridiche nascenti dal rappor- to contrattuale di conto corrente e non ancora esaurite alla data della sua entrata in vigore.
Orbene, questa Corte ha già affermato che il divieto di retroattività della legge (art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale), pur costituendo valore fondamentale di civiltà giuridica, non riceve nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost. (sentenze n. 15 del 2012, n. 236 del 2011, e n. 393 del 2006). Pertanto, il le- gislatore - nel rispetto di tale previsione - può emanare norme retroattive, anche di interpretazione autentica, purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nel- l’esigenza di tutelare principi, diritti e beni di rilievo co- stituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi impe- rativi di interesse generale», ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).
La norma che deriva dalla legge di interpretazione au- tentica, quindi, non può dirsi costituzionalmente illegit- tima qualora si limiti ad assegnare alla disposizione in- terpretata un significato già in essa contenuto, ricono- scibile come una delle possibili letture del testo origina- rio (ex plurimis: sentenze n. 271 e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009). In tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire «situazioni di og- gettiva incertezza del dato normativo», in ragione di «un dibattito giurisprudenziale irrisolto» (sentenza n. 311 del 2009), o di «ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore» (ancora sentenza
n. 311 del 2009), a tutela della certezza del diritto e del- l’eguaglianza dei cittadini, cioè di principi di preminen- te interesse costituzionale. Accanto a tale caratteristica, questa Corte ha individuato una serie di limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salva- guardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fon- damentali valori di civiltà giuridica, posti a tutela dei de- stinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affi- damento legittimamente sorto nei soggetti quale princi- pio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la cer- tezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzio- ni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 209 del 2010, citata, punto 5.1, del Consi- derato in diritto).
Ciò posto, si deve osservare che la norma censurata, con la sua efficacia retroattiva, lede in primo luogo il canone generale della ragionevolezza delle norme (art. 3 Cost.). Invero, essa è intervenuta sull’art. 2935 cod. civ. in as- senza di una situazione di oggettiva incertezza del dato normativo, perché, in materia di decorrenza del termine di prescrizione relativo alle operazioni bancarie regolate in conto corrente, a parte un indirizzo del tutto minorita- rio della giurisprudenza di merito, si era ormai formato un orientamento maggioritario in detta giurisprudenza, che aveva trovato riscontro in sede di legittimità ed aveva condotto ad individuare nella chiusura del rapporto con-
trattuale o nel pagamento solutorio il dies a quo per il de- corso del suddetto termine.
Inoltre, la soluzione fatta propria dal legislatore con la norma denunziata non può sotto alcun profilo essere con- siderata una possibile variante di senso del testo origina- rio della norma oggetto d’interpretazione.
Come sopra si è notato, quest’ultima pone una regola di carattere generale, che fa decorrere la prescrizione dal giorno in cui il diritto (già sorto) può essere fatto legal- mente valere, in coerenza con la ratio dell’istituto che po- stula l’inerzia del titolare del diritto stesso, nonché con la finalità di demandare al giudice l’accertamento sul pun- to, in relazione alle concrete modalità della fattispecie. La norma censurata, invece, interviene, con riguardo al- le operazioni bancarie regolate in conto corrente, indivi- duando, con effetto retroattivo, il dies a quo per il decor- so della prescrizione nella data di annotazione in conto dei diritti nascenti dall’annotazione stessa.
In proposito, si deve osservare che non è esatto (come pure è stato sostenuto) che con tale espressione si do- vrebbero intendere soltanto i diritti di contestazione, sul piano cartolare, e dunque di rettifica o di eliminazione delle annotazioni conseguenti ad atti o negozi accertati come nulli, ovvero basati su errori di calcolo. Se così fos- se, la norma sarebbe inutile, perché il correntista può sempre agire per far dichiarare la nullità - con azione im- prescrittibile (art. 1422 cod. civ.) - del titolo su cui l’an- notazione illegittima si basa e, di conseguenza, per otte- nere la rettifica in suo favore delle risultanze del conto. Ma non sono imprescrittibili le azioni di ripetizione (art. 1422 citato), soggette a prescrizione decennale.
Orbene, come sopra si è notato l’ampia formulazione del- la norma censurata impone di affermare che, nel novero dei «diritti nascenti dall’annotazione», devono ritenersi inclusi anche i diritti di ripetere somme non dovute (qua- li sono quelli derivanti, ad esempio, da interessi anatoci- stici o comunque non spettanti, da commissioni di massi- mo scoperto e così via, tenuto conto del fatto che il rap- porto di conto corrente di cui si discute, come risulta dal- l’ordinanza di rimessione del Tribunale di Brindisi, si è svolto in data precedente all’entrata in vigore del decre- to legislativo 4 agosto 1999, n. 342, recante modifiche al d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia). Ma la ripetizione del- l’indebito oggettivo postula un pagamento (art. 2033 cod. civ.) che, avuto riguardo alle modalità di funziona- mento del rapporto di conto corrente, spesso si rende configurabile soltanto all’atto della chiusura del conto (Corte di cassazione, sezioni unite, sentenza n. 24418 del 2010, citata).
Ne deriva che ancorare con norma retroattiva la decor- renza del termine di prescrizione all’annotazione in con- to significa individuarla in un momento diverso da quel- lo in cui il diritto può essere fatto valere, secondo la pre- visione dell’art. 2935 cod. civ.
Pertanto, la norma censurata, lungi dall’esprimere una soluzione ermeneutica rientrante tra i significati ascrivi- bili al citato art. 2935 cod. civ., ad esso nettamente dero- ga, innovando rispetto al testo previgente, peraltro senza alcuna ragionevole giustificazione.
Anzi, l’efficacia retroattiva della deroga rende asimmetri- co il rapporto contrattuale di conto corrente perché, re- trodatando il decorso del termine di prescrizione, finisce per ridurre irragionevolmente l’arco temporale disponibi- le per l’esercizio dei diritti nascenti dal rapporto stesso, in particolare pregiudicando la posizione giuridica dei cor- rentisti che, nel contesto giuridico anteriore all’entrata in vigore della norma denunziata, abbiano avviato azioni dirette a ripetere somme ai medesimi illegittimamente addebitate.
Sussiste, dunque, la violazione dell’art. 3 Cost., perché la norma censurata, facendo retroagire la disciplina in esso prevista, non rispetta i principi generali di eguaglianza e ragionevolezza (sentenza n. 209 del 2010).
13.— L’art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010 (primo periodo), convertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011, è costituzionalmente illegittimo anche per altro profilo.
È noto che, a partire dalle sentenze n. 348 e 349 del 2007, la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che le norme della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione e applicazione - integrino, quali “norme interposte”, il parametro costitu- zionale espresso dall’art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali (ex plurimis: sentenze n. 1 del 2011; n. 196, n. 187 e n. 138 del 2010; sulla perdurante validità di tale ricostruzio- ne anche dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sentenza n. 80 del 2011).
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte affer- mato che se, in linea di principio, nulla vieta al potere le- gislativo di regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni dalla portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore, il principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo sanciti dall’art. 6 della Con- venzione ostano, salvo che per imperative ragioni di in- teresse generale, all’ingerenza del potere legislativo nel- l’amministrazione della giustizia, al fine di influenzare l’esito giudiziario di una controversia (ex plurimis: Corte europea, sentenza sezione seconda, 7 giugno 2011, Agra- ti ed altri contro Italia; sezione seconda, 31 maggio 2011, Maggio contro Italia; sezione quinta, 11 febbraio 2010, Javaugue contro Francia; sezione seconda, 10 giugno 2008, Bortesi e altri contro Italia).
Pertanto, sussiste uno spazio, sia pur delimitato, per un intervento del legislatore con efficacia retroattiva (fermi i limiti di cui all’art. 25 Cost.), se giustificato da «motivi imperativi d’interesse generale»», che spetta innanzitut- to al legislatore nazionale e a questa Corte valutare, con riferimento a principi, diritti e beni di rilievo costituzio- nale, nell’ambito del margine di apprezzamento ricono- sciuto dalla giurisprudenza della Cedu ai singoli ordina- menti statali (sentenza n. 15 del 2012).
Nel caso in esame, come si evince dalle considerazioni dianzi svolte, non è dato ravvisare quali sarebbero i moti- vi imperativi d’interesse generale, idonei a giustificare l’effetto retroattivo. Ne segue che risulta violato anche il parametro costituito dall’art. 117, primo comma, Cost.,
in relazione all’art. 6 della Convenzione europea, come interpretato dalla Corte di Strasburgo.
Pertanto, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzio- nale dell’art. 2, comma 61, del d.l. n. 225 del 2010, con- vertito, con modificazioni, dalla legge n. 10 del 2011 (comma introdotto dalla legge di conversione). La decla- ratoria di illegittimità comprende anche il secondo perio- do della norma («In ogni caso non si fa luogo alla restitu- zione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto»), trat- tandosi di disposizione strettamente connessa al primo periodo, del quale, dunque, segue la sorte.
14.— Ogni altro profilo, emergente dall’ordinanza del Tribunale di Brindisi e dalle altre ordinanze di rimessione indicate in epigrafe, resta assorbito.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 2, com- ma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Pro- roga di termini previsti da disposizioni legislative e di in- terventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituziona- le, Palazzo della Consulta, il 2 aprile 2012.
F.to:
Alfonso QUARANTA, Presidente Alessandro CRISCUOLO, Redattore Roberto MILANA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 5 aprile 2012.
IL COMMENTO
di Giovanni D’Amico
La nota ricostruisce il dibattito intorno alla questione dell’inizio del termine di prescrizione dell’azione di ri- petizione di interessi anatocistici indebitamente pagati dal correntista. In particolare viene ripresa la proble- matica sollevata dalla sentenza n. 24418 del 2010 delle Sezioni Unite, che torna ad essere il punto di riferi- mento della discussione in materia dopo la recente dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 2 com- ma 61 l. 26 febbraio 2011, n. 10, operata dalla sentenza n. 78 del 2012 della Corte costituzionale.
Premessa. Da Cass., Sez. Un., n. 24418 del 2010 a Corte Cost. n. 78 del 2012 e ritorno
La discussione “senza fine” sul tema dell’anatocismo
- avviatasi ormai quasi un quarto di secolo fa - ri- schia di arricchirsi di un nuovo (e non è detto che sia l’ultimo) capitolo, non meno polemico di quelli che lo hanno preceduto, e con la particolarità però di assomigliare ad una sorta di «commedia degli equivoci».
Nulla di cui meravigliarsi, per carità! Già nelle pre- cedenti discussioni sulla “questione anatocismo” (o meglio, e più precisamente: sulla quérelle relativa al- l’anatocismo nei rapporti bancari, perché è pressoché esclusivamente in questo campo che si sono alimen- tati il dibattito teorico e il contenzioso giudiziario in questi anni) era, a più riprese, emerso (o quanto me- no era stato fatto balenare) il dubbio che la discus- sione poggiasse su basi “concettuali” malcerte (o, comunque, bisognose di preliminari chiarimenti di fondo), al punto da investire in radice la stessa esi- stenza dell’oggetto del contendere, ponendosi da al- cuni il quesito se il fenomeno dell’anatocismo ban- cario possa veramente essere ricondotto alla previ- sione dell’art. 1283 c.c., o se non vada invece spie- gato secondo i meccanismi propri (per quanto anco- ra misteriosi) di quel particolare contratto che è il conto corrente bancario (1).
Va subito detto che questi dubbi (dottrinali) - per lo più (se non sempre) avanzati dal fronte che ha dife- so in questa vicenda la posizione e gli interessi delle banche - non hanno avuto significativo seguito nel- la giurisprudenza (e, d’altra parte, se non fosse stato così, il révirement del 1999 avrebbe avuto il fiato cor- to, e non si sarebbe consolidato, come pur invece è avvenuto), al punto da indurre l’accusa di una elu- sione (o, addirittura, di una rimozione) del proble- ma (2).
Può darsi che non sia così, e che non di “elusione” (o rimozione, che dir si voglia) si sia trattato, ma di consapevole - se pur (solo) implicita - non condivi- sione dell’assunto teorico poc’anzi richiamato.
Ma anche ammesso ciò, non può cionondimeno ne-
garsi che proprio questo mancato chiarimento di fondo sia, per altro verso, certamente alla base dei molti equivoci che - a nostro avviso - hanno carat- terizzato (e caratterizzano ancora) l’ultimo capitolo della quérelle sull’anatocismo bancario, di cui ci oc- cupiamo in questa sede.
È bene riassumere - sia pure in maniera sintetica (per quanto possibile) - i “passaggi” che hanno por- tato alla recentissima pronuncia della Corte costitu- zionale in commento, ultima puntata della vicenda. Come è noto, in sede di controversie tra banche e clienti relative al profilo dell’addebito in conto di interessi anatocistici (3), una delle eccezioni più fre- quentemente sollevate dalle banche - essendo il rap- porto di conto corrente un rapporto che si protrae
Note:
(1) Il riferimento è soprattutto alle prese di posizione di P. Ferro Luzzi, Dell’anatocismo; del conto corrente bancario e di tante cose poco commendevoli, in Riv. dir. priv., 2000, 201 ss.; Id., Le opzioni ermeneutiche dell’ambito semantico; l’anatocismo arri- va alla Corte Costituzionale, ibidem, 734 ss.; Id., Una nuova fat- tispecie giurisprudenziale: “l’anatocismo bancario”; postulati e conseguenze, in Giur. comm., 2001, 5 ss. La tesi di P. Ferro-Luz- zi (sulla quale ci soffermeremo più avanti) è ripresa da U. More- ra, Sulla non configurabilità della fattispecie “anatocismo” nel conto corrente bancario, in Riv. dir. civ., 2005, 17 ss.
(2) Accusa che - come si dirà - ha colpito anche la recente pro- nuncia della Cass., Sez. Un., 2 dicembre 2010, n. 24418, in que- sta Rivista, 2011, 221 ss., con nota di C.M. Nanna, Asimmetrie contrattuali e ripetibilità degli interessi anatocistici ed in Corr. giur., 2011, 817, con nota di Rolfi (autore al quale si deve il rilie- vo qui ricordato).
(3) Controversie che si instaurano generalmente alla chiusura del conto corrente, e che possono essere introdotte (come più frequentemente accade) dalla banca, che richieda il pagamento del saldo negativo risultante all’estinzione del rapporto, ovvero (ipotesi meno frequente, ma tutt’altro che rara) dal cliente che, indipendentemente da un sollecito di pagamento, chieda il rical- colo del saldo espungendo dal conto gli interessi anatocistici cal- colati e annotati in conto dalla banca (in maniera o in misura sup- postamente illegittima). Può aggiungersi - ma è profilo del qua- le, in questa sede, non interessa occuparsi - che la contestazio- ne del cliente (vuoi in sede di eccezione sollevata nei confronti della banca agente, vuoi in sede di azione) non riguarda quasi mai solo la questione degli interessi anatocistici, accompagnan- dosi (di solito) a questa anche altre problematiche (interessi “uso piazza”, commissioni di massimo scoperto, ecc.).
generalmente per svariati anni - è l’eccezione di pre- scrizione.
L’eccezione (che ha senso, naturalmente, nell’ambi- to della premessa che gli interessi anatocistici adde- bitati al cliente siano da considerarsi illegittimi, in quanto derivanti dall’applicazione di una clausola nulla) (4) non mira ovviamente a contestare l’eser- cizio in sé del diritto di far accertare la nullità (l’azione di nullità è, infatti, imprescrittibile), mentre è volta piuttosto a paralizzare l’effetto pratico più ri- levante della (in ipotesi) riconosciuta (5) nullità della clausola anatocistica, ossia l’effetto di rendere indebiti (= non dovuti), e pertanto ripetibili, gli inte- ressi in virtù di quella clausola addebitati al cliente. Su questa base (alla quale consegue, in virtù del combinato disposto degli artt. 1422, 2033 e 2946 c.c., l’applicazione del termine di prescrizione ordi- nario, ossia del termine decennale) (6), l’orienta- mento prevalente era nel senso che la prescrizione della suddetta azione di ripetizione decorresse dalla chiusura del rapporto di conto corrente (7), anche
Note:
(4) È appena il caso di evidenziare che, per le banche, la ecce- zione di cui parliamo nel testo è svolta in subordine al (mancato accoglimento del)la difesa principale che esse oppongono ai clienti: ossia la piena validità ed efficacia delle clausole anatoci- stiche, nella forma che dette clausole avevano assunto nel no- stro sistema, ossia la forma della c.d. «capitalizzazione trime- strale degli interessi». La illegittimità della capitalizzazione trime- strale (quale veniva praticata sul presupposto - riconosciuto co- me infondato dal révirement del 1999 - dell’esistenza di «usi nor- mativi» che la legittimassero ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1283 c.c.) riguarda - è bene precisarlo - soltanto le clausole “ana- tocistiche” contenute in contratti anteriori al d.lgs. 4 agosto 1999, n. 342 (c.d. decreto “salva banche”), il quale ha modifica- to l’art. 120 T.U.B. attribuendo al CICR il potere di stabilire «mo- dalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi matu- rati nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria». È noto, poi, come il CICR - con Delib. 9 febbraio 2000 (in G.U., L 43 del 22 febbraio 2000 ed entrata in vigore il 22 apri- le 2000) - abbia stabilito (art. 2) che «Nel conto corrente l’accre- dito e l’addebito degli interessi avviene sulla base dei tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti. Il saldo periodico produ- ce interessi secondo le medesime modalità. 2. Nell’ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessa perio- dicità nel conteggio degli interessi creditori e debitori. (…)». Co- me risulta chiaramente dalla disposizione citata, in materia di rapporti bancari (più precisamente: nell’ambito del rapporto di conto corrente) si consente all’autonomia privata uno spazio di esplicazione maggiore di quanto non preveda in generale l’art. 1283 c.c. (che - in mancanza di usi normativi contrari - consente soltanto una convenzione anatocistica posteriore alla scadenza degli interessi, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi). Nulla osta, dunque, più ad una convenzione ana- tocistica anteriore alla scadenza degli interessi, e in base alla quale la “capitalizzazione” avvenga con una periodicità inferiore ai sei mesi (di fatto, nei nuovi contratti le banche hanno inserito clausole anatocistiche del tutto identiche a quelle precedente- mente in uso, ossia clausole prevedenti la periodicità trimestra- le della chiusura contabile del conto e della conseguente capita- lizzazione degli interessi). Ma - per l’appunto - è necessaria ades- so una apposita clausola contrattuale (mentre prima si riteneva
esistente un «uso normativo», onde - quand’anche il contratto avesse taciuto - si sarebbe dovuto comunque applicare la capi- talizzazione trimestrale, tale essendo il contenuto del suddetto preteso “uso”), clausola che deve essere stipulata per iscritto, anzi - per essere più precisi - deve essere specificamente ap- provata per iscritto, come si evince chiaramente dall’art. 6 della citata Delibera CICR (vi è - dunque - un’equiparazione della clau- sola anatocistica al requisito formale che l’art. 1341 comma 2 c.c., richiede per le clausole “vessatorie”). Peraltro, va ricordato che per i contratti già in corso la norma transitoria dell’art. 7 pre- vede(va) che: «1. Le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della pre- sente delibera devono essere adeguate alle disposizioni in que- sta contenute entro il 30 giugno 2000 e i relativi effetti si produ- cono a decorrere dal successivo 1° luglio. - 2. Qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli interme- diari finanziari, entro il medesimo termine del 30 giugno 2000, possono provvedere all’adeguamento, in via generale, median- te pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italia- na. Di tali nuove condizioni deve essere fornita opportuna noti- zia per iscritto alla clientela alla prima occasione utile e, comun- que, entro il 31 dicembre 2000. - 3. Nel caso in cui le nuove con- dizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizio- ni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela». Va tuttavia detto che - sempre con riferimento ai contratti “in corso” - se l’adempimento delle formalità previste dal cit. art. 7 può aver garantito la legittimità della capitalizzazio- ne trimestrale degli interessi per il futuro (ossia: a partire dal 1° luglio 2000), esso non ha di certo “sanato” l’illegittimità pre- gressa (= per il passato) di tale capitalizzazione. Ne consegue che - se al momento in cui è divenuta efficace (rectius: legittima) la “nuova” regola di capitalizzazione trimestrale - esisteva sul conto un “saldo” risultante dalla pregressa (illegittima) capitaliz- zazione trimestrale degli interessi, la banca avrebbe dovuto ri- calcolare tale saldo “depurandolo” degli interessi anatocistici (nulli) in esso inglobati. Ove un tale ricalcolo non sia stato effet- tuato (ed è da supporre che nessuna banca lo abbia effettuato spontaneamente, ossia in assenza di una specifica richiesta del cliente), è evidente che tutte le successive annotazioni degli in- teressi calcolati sui saldi precedenti (e i nuovi “saldi” da esse via via determinati) non possano non risultare inficiate da questo vi- zio di origine (e cioè dall’essere “derivate” da quel primo “sal- do” inesatto e illegittimo). Con la conseguenza che - alla chiusu- ra del rapporto - il cliente potrà comunque chiedere che il saldo finale sia ricalcolato “depurando” il conto degli interessi “anato- cistici” illegittimamente in esso annotati anteriormente al 1° lu- glio 2000.
(5) Dal giudice, che abbia respinto l’argomentazione “principa- le” della banca.
(6) Opinione ormai pacifica. Cfr., per tutti, Maffeis, Anatocismo bancario e ripetizione degli interessi da parte del cliente, in que- sta Rivista, 2001, 406 ss., spec. 410, ove si osserva che non vi è ragione per affacciare il dubbio che il termine di prescrizione del diritto del cliente alla ripetizione sia di 5 anni (anziché di 10) in virtù del disposto dell’art. 2948 n. 4 c.c., perché quest’ultima norma riguarda la prescrizione del diritto ad ottenere interessi “dovuti”, mentre nel nostro caso si tratta della ripetizione di in- teressi “non dovuti”.
(7) L’argomento fondamentale utilizzato a questo fine è quello secondo cui, essendo il conto corrente bancario un contratto di durata avente un carattere unitario, solo al termine del rapporto sarebbe possibile stabilire se sussista o meno (e in che misura) una ragione di debito/credito tra le parti: cfr., già, Cass. 9 aprile 1984, n. 2262, in Foro it. Rep., 1984, voce Contratti bancari, n.
24. Si noti sin da ora che - ragionando nella logica dell’art. 2033
c.c. (ripetizione del pagamento indebito) - a rigore, il termine di prescrizione dell’azione non decorrerebbe neanche dalla chiusu- ra del conto (con l’annotazione del «saldo finale»), bensì soltan- to a partire dal giorno in cui il correntista abbia a pagare (in tutto
(segue)
se non mancavano opinioni (minoritarie) secondo le quali il dies a quo di inizio del corso del termine prescrizionale andava individuato invece nel mo- mento dell’addebito in conto (con la relativa «an- notazione») degli interessi (8).
La situazione sotto questo profilo viene interamente sottoposta a riconsiderazione dal ben noto interven- to delle Sezioni unite del dicembre 2010 (9).
Le Sezioni Unite infatti assumono una posizione al- quanto articolata, che ci sembra sintetizzabile, attra- verso i seguenti passaggi fondamentali:
a) I giudici del Supremo collegio, in limine, dichiara- no di ritenere «degne di attenzione» le critiche mos- se dalla (banca) ricorrente all’orientamento domi- nante secondo il quale il dies a quo del termine de- cennale di prescrizione decorrerebbe dalla chiusura definitiva del rapporto, per la ragione che si tratte- rebbe «di un contratto unitario che dà luogo ad un uni- co rapporto giuridico, anche se articolato in una plurali- tà di atti esecutivi, sicché è solo con la chiusura del con- to che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro»;
b) In effetti - osservano le S.U. - l’argomento del- l’unitarietà del rapporto giuridico derivante dal con- tratto di conto corrente bancario «non è, di per sé so- lo, elemento decisivo» per accogliere la tesi domi- nante (1), che perviene a risultati bensì condivisibi- li, ma solo nella maggior parte dei casi, non sempre; il che - secondo i giudici delle S.U. - deriva appunto dal fatto che il problema della decorrenza della pre- scrizione dell’azione di ripetizione va affrontato sul- la base di premesse teoriche diverse dalla teoria del- l’”unitarietà” del rapporto di conto corrente (11);
c) Questa premessa, tuttavia, non porta le Sez. un. ad accogliere la tesi delle banche, e cioè che il dies a quo del termine di prescrizione dell’azione di ripe- tizione vada identificato nell’annotazione in conto degli interessi (anatocistici) (12), sul presupposto
Note:
(continua nota 7)
o in parte) il saldo finale (in ipotesi) negativo risultante a suo de- bito (cfr. esattamente Cass. n. 24418 del 2010, cit., dove si leg- ge: «… Di pagamento, nella descritta situazione, potrà dunque parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corri- sposti dal cliente all’atto della chiusura del conto») .
(8) Era questa la tesi sostenuta quasi sempre dalle banche, se- guendo la prospettazione del problema proveniente da una auto- revole posizione dottrinale (P. Ferro Luzzi, di cui si vedano sin d’ora gli scritti già citati nella nota 1). Nello stesso senso v. Maf- feis, op. cit., 410 (il quale parla di decorrenza della prescrizione dal momento «dell’accre-ditamento a favore della banca delle singo- le somme corrispondenti agli interessi sugli interessi capitalizzati
trimestralmente»), alla cui opinione presta adesione Porcelli, La disciplina degli interessi bancari tra autonomia ed eteronomia, Napoli, 2003, 315. Analogamente Scotti Camuzzi, La restituzio- ne ai clienti degli interessi anatocistici che la banca ha addebita- to in passato sui loro c/c, in Giur. comm., 2001, I, 253 ss., 260 e Colombo, L’anatocismo, Milano, 2007, spec. 135 ss.
(9) Cass., Sez. Un., 2 dicembre 2010, n. 24418, cit.
(10) Va evidenziata una certa ambiguità di questo “passaggio” della motivazione della pronuncia. Le S.U. non escludono del tutto la rilevanza dell’argomento della “unitarietà” del rapporto di conto corrente, ma lo ritengono non decisivo, o meglio non sufficiente a supportare la conclusione secondo cui la prescri- zione decorre dalla chiusura del conto (conclusione - va subito detto - che le stesse S.U. pervengono a ritenere corretta in con- creto nella stragrande maggioranza dei casi, ma sulla base di un ragionamento che non fa leva sul principio di “unitarietà” del conto corrente). Esse peraltro sembrano intendere il principio di “unitarietà” del conto corrente in un significato non del tutto proprio, come emerge dal richiamo che viene fatto alla circo- stanza che anche in altri «rapporti di durata» (locazione, affitto, somministrazione periodica di cose) che implicano «prestazioni in denaro ripetute e scaglionate nel tempo» (sottinteso: come sono gli interessi che maturano sul conto corrente), «l’unitarie- tà del rapporto contrattuale e il fatto che esso sia destinato a protrarsi ancora per il futuro non impedisce di qualificare indebi- to ciascun singolo pagamento non dovuto, se ciò dipende dalla nullità del titolo giustificativo dell’esborso, sin dal momento in cui il pagamento medesimo abbia avuto luogo». Probabilmente, così inteso, il principio di unitarietà non vale - né nei rapporti ri- chiamati né nel conto corrente bancario - a giustificare lo spo- stamento della decorrenza del termine di prescrizione alla chiu- sura del rapporto. Il che non esclude tuttavia che - inteso in ma- niera diversa (ad es. come “inscindibilità” delle prestazioni) - il principio di “unitarietà” (ammesso che esso ricorra nel caso del conto corrente bancario; ciò di cui può comunque dubitarsi) pos- sa effettivamente giustificare la decorrenza della prescrizione dalla chiusura del rapporto. Di sicuro, comunque, non ci sembra (lo si ripete) che detto principio possa riallacciarsi alla sola circo- stanza (di per sé, estrinseca) che esistano una pluralità di pre- stazioni, ossia che il contratto sia un contratto “di durata”.
(11) Condivide, fra gli altri, la critica che le S.U. muovono al prin- cipio di “unitarietà” del contratto di conto corrente come fonda- mento della decorrenza della prescrizione dalla chiusura del rap- porto, Rolfi, Le Sezioni Unite e l’anatocismo, cit.., 823, il quale osserva che «… a porre problemi di determinazione della de- correnza della prescrizione nel caso del conto corrente bancario non è tanto l’unitarietà del rapporto - che di per sé non impedi- sce che nel corso del medesimo vengano effettuati pagamenti intermedi non dovuti, - quanto la ricostruzione del rapporto di conto corrente bancario in termini di rapporto meramente “con- tabile”, cioè di rapporto nel quale le singole operazioni in dare o avere vengono concepite come mere operazioni contabili, prive di effettivo carattere di spostamento patrimoniale. - In altri ter- mini - e le Sezioni Unite sono molto lucide nel cogliere questo profilo - il problema del rapporto tra conto corrente bancario e decorrenza della prescrizione si riassume nello stabilire quando in tale tipo di contratto si verifichi un pagamento, e cioè un ef- fettivo trasferimento patrimoniale …».
(12) A voler essere precisi, bisognerebbe distinguere tra l’ope- razione di annotazione in conto degli interessi (c.d. capitalizza- zione degli interessi, secondo la periodicità contrattualmente prevista, di solito trimestrale), e l’addebito degli interessi anato- cistici. Gli interessi capitalizzati (ossia “annotati sul conto”) so- no gli interessi maturati (nel trimestre) sul “capitale” costituito dal saldo esistente all’inizio del periodo (trimestre), capitale che comprende bensì anche gli interessi conteggiati e portati in con- to alla chiusura (contabile) del trimestre precedente, ma che non è costituito solo da tali interessi. Fermo restando dunque che dal punto di vista temporale “annotazione in conto degli in-
(segue)
(implicito) che questa annotazione (ossia “l’addebi- to” degli interessi, che si realizza con la loro “capi- talizzazione”, con conseguente determinazione del nuovo «saldo» del conto) equivalga a un “paga- mento” (ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2033) (13);
d) le S.U., infatti, respingono esplicitamente l’idea (sostenuta dalle banche) che l’annotazione in con- to degli interessi (anatocistici) costituisca (o equi- valga di per sé a) un “pagamento” (14) (premessa necessaria per poter agganciare all’annotazione il sorgere del diritto alla ripetizione dell’indebito), e ritengono che di “pagamento” possa parlarsi solo con riferimento ad annotazioni di (successivi) “versamenti” affluiti sul conto (a favore del corren- tista) (15), e sempreché tali “versamenti” non ab- biano (avuto) - come, del resto, solitamente accade - una funzione meramente “ripristinatoria” della provvista;
e) in conclusione - secondo le S.U. - solo nel caso in cui ci si trovi di fronte ad un conto “scoperto” (ossia ad un conto il cui passivo abbia superato l’affida- mento concesso dalla banca con l’apertura di credi- to) (16), oppure nel caso di conto passivo in assenza
Note:
(continua nota 12)
teressi” e “addebito degli interessi anatocistici” avvengono nel- lo stesso momento (perché la prima operazione contiene anche la seconda), bisognerebbe essere in condizione di “scorporare” dall’importo complessivo degli interessi maturati nel trimestre la parte che è costituita dagli interessi “anatocistici” (cioè dagli in- teressi maturati sugli interessi.
(13) La tesi secondo cui l’annotazione in conto degli interessi co- stituisce “pagamento” (degli stessi) - come già evidenziato - è sostenuta soprattutto da P. Ferro-Luzzi, negli scritti citati retro al- la nota 1. Secondo questo A. - più precisamente - non solo l’«annotazione» degli interessi, ma qualsiasi altra «annotazione in conto» (sia che si tratti di annotazioni “a debito” del cliente sia che si tratti di annotazioni “a credito”) si risolve in un “paga- mento” (e nella correlativa estinzione di un debito): del cliente verso la banca se si tratta di una annotazione “a debito” (che im- plica una “utilizzazione” del “saldo disponibile” da parte del cliente), della banca verso il cliente, se si tratta di una annotazio- ne “a credito” (che implica un aumento del “saldo disponibile” a favore del cliente). A giudizio della dottrina in esame, infatti, l’essenza del conto corrente bancario (ossia il contenuto essen- ziale del contratto in esame) consiste nell’accordo tra banca e cliente per dare pieno valore solutorio delle reciproche obbliga- zioni pecuniarie alle “annotazioni” (ossia a quella che l’A. chiama
«moneta bancaria» o scritturale), evitando dazioni di moneta le- gale. Ne discende appunto che - come sopra detto - quando la banca (ad es.) annota in conto gli interessi, è come se il cliente avesse pagato (in moneta legale) il debito verso la banca a tale ti- tolo, salvo che qui il pagamento avviene non con «moneta lega- le» (ossia consegnando danaro alla banca), bensì con «moneta scritturale» (l’annotazione in conto “a debito”, che significa che egli ha utilizzato una parte del «saldo disponibile» per adempie- re a un suo debito). Corollario di questa impostazione è che - es- sendo gli interessi (dovuti) «pagati» con l’annotazione (e al mo-
mento in cui essa avviene) - essi non esistono più (= il debito è stato estinto), e dunque non è neanche possibile che possano produrre altri interessi (ergo: l’anatocismo non è un fenomeno configurabile nel conto corrente bancario). La tesi, così sintetica- mente riassunta - per quanto apparentemente suggestiva - non ci sembra fondata. Va anzitutto osservato che, se pure si doves- se ammettere che l’annotazione in conto degli interessi equival- ga al loro “pagamento”, ciò non escluderebbe affatto la configu- rabilità del fenomeno anatocistico, né farebbe venir meno le ra- gioni per le quali il legislatore circonda di tante cautele la clauso- la anatocistica (chiedendo che essa risponda a determinati re- quisiti - ad es. di forma - prescrivendo, inoltre, che si debba pre- vedere una cadenza della c.d. “capitalizzazione” [degli interessi] almeno semestrale, secondo quanto stabilisce in generale l’art. 1283 c.c., derogabile tuttavia da “usi normativi”, e, ora, nel set- tore bancario e in virtù del nuovo art. 120 T.u.b., anche dalla au- tonomia privata, con pochi o pochissimi limiti [sostanzialmente il limite della reciprocità]). Ragioni che si riassumono nel fatto che la previsione che gli interessi debbano essere pagati a scadenze troppo ravvicinate aumenta il costo (più o meno occulto) del fi- nanziamento. È appena il caso di aggiungere che dalla tesi sopra esposta (e, in particolare, da quella sua parte che assume esse- re le «annotazioni in conto» dei “pagamenti”) deriva come “co- rollario” inevitabile quello della decorrenza della prescrizione del- l’azione di ripetizione dall’effettuazione delle singole annotazioni. Su questo profilo, v. subito infra nel testo.
(14) «… L’annotazione in conto di una siffatta posta - si legge nel- la motivazione della sentenza delle Sezioni Unite - comporta un incremento del debito del correntista, o una riduzione del credi- to di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento (…) Sin dal momento dell’annotazione, avvedutosi dell’illegittimità dell’addebito in conto, il correntista potrà natu- ralmente agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quel- l’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso. E potrà farlo, se al conto accede un’apertura di credito bancario, allo scopo di recu- perare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli. Ma non può agire per la ripetizione di un pagamen- to che, in quanto tale, da parte sua, non ha ancora avuto luo- go…» (così Cass. n. 24418 del 2010, cit.).
(15) Le disponibilità sul conto (a favore del correntista) possono costituirsi in vario modo: con versamenti diretti, con accrediti e con concessione di credito da parte della banca. I versamenti consistono nel deposito di contante, ovvero nella rimessa per l’incasso di titoli di credito (assegni, vaglia, ecc.). L’accreditamento può derivare da un giro-conto (ossia dal trasfe- rimento di una posta attiva da un conto ad altro del correntista presso la stessa banca), oppure da un bonifico disposto dallo stesso correntista o da un terzo. Infine, la disponibilità sul conto può derivare dalla concessione di credito da parte della banca: ad es. (ed è al forma più usuale) attraverso la concessione di una “apertura di credito”,ma anche attraverso l’erogazione di un mu- tuo, o di una anticipazione su titoli, ecc.
Nel prosieguo si utilizzerà il termine “versamento” in una acce- zione lata, comprensiva di tutte le modalità che aumentano le “disponibilità” sul conto per il cliente, attraverso l’annotazione in conto di poste a suo credito.
(16) Si è acutamente rilevato (Rolfi, Le Sezioni Unite e l’anatoci- smo, cit., 824) che il decisum delle Sezioni Unite si concentra sull’apertura di credito, e si allontana - almeno parzialmente - dal conto corrente non assistito da apertura di credito e connesso ad un normale deposito di somme. In altre parole, l’attenzione delle Sezioni Unite è per l’ipotesi in cui in conto corrente venga regolata una apertura di credito, fattispecie che - se pur può ri- correre anche nei confronti di un “consumatore” - costituisce modello contrattuale scelto soprattutto dall’imprenditore, cioè da chi utilizza il conto corrente in funzione della propria attività professionale. Il che - scrive sempre Rolfi - «allontana la decisio- ne delle Sezioni Unite dalla prospettiva “consumeristica” - a vol- te grossolana e plateale - dei precedenti “antianatocismo”, con- trariamente a quanto potrebbe opinarsi».
di fido, si può ritenere che l’afflusso di somme sul conto (“versamenti”) costituisca un “pagamento” da parte del correntista (17), con il corollario (se si tratta di un pagamento non dovuto) che inizierà a decorrere dall’annotazione di esso il termine di pre- scrizione decennale dell’azione di ripetizione (18). La tesi delle S.U. - sopra sinteticamente richiamata
- ha suscitato diverse critiche, sulle quali non inte- ressa per il momento soffermarsi (19).
Interessa invece evidenziare subito che - se da un la- to è vero che il criterio proposto dalle Sezioni Unite conduce ad un risultato di fatto largamente coinci- dente con quello della opinione dominante, ossia la decorrenza del termine prescrizionale dalla chiusura del conto (la differenza sta nel fatto che ciò acca- drebbe sempre, secondo la tesi tradizionale; solo nel- la maggior parte dei casi, secondo le S.U.) - d’altro canto è anche vero che è stato proprio il ragiona- mento svolto dai giudici del Supremo Collegio ad offrire il destro per il successivo intervento (… in aiuto delle banche) del legislatore.
Aperta, infatti, la breccia nel principio di “unita-
rietà” del contratto di conto corrente (principio sul quale - per l’innanzi - era stata poggiata, come abbiamo visto, l’affermazione della decorrenza della prescrizione solo a partire dalla chiusura del conto), è parso possibile (al legislatore) riprende- re la tesi (sostenuta dalle banche) secondo la qua- le (all’opposto di quanto si vorrebbe desumere dal
c.d. principio di unitarietà) non sarebbe peregri- no - nel contratto di conto corrente bancario - far decorrere la prescrizione dalla data delle annota- zioni in conto (20), e dunque anche in corso di rapporto.
Si arriva così al famoso comma 61 dell’art. 2 del De- creto “Milleproroghe” di fine 2010 (21), che viene così formulato: «In ordine alle operazioni bancarie re- golate in conto corrente l’articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai dirit- ti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione degli importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presen- te decreto».
La norma scatena subito una ridda di interpretazio- ni.
L’obiettivo del legislatore sembra essere quello - an- cora una volta - di andare in soccorso delle banche, chiudendo (forse definitivamente) la questione “anatocismo” (22). La lettera della legge peraltro (e non è dato sapere se consapevolmente o inconsape- volmente) non esprime in maniera esplicita questa intenzione (che pur sembra fuori discussione), e si
Note:
(17) Abbiamo peraltro già evidenziato che i “versamenti” sul conto possono anche consistere in bonifici disposti da terzi (per pagamenti che tali terzi devono effettuare a favore del correnti- sta) o da finanziamenti concessi dalla stessa banca (mediante mutui, sconti bancari, ecc.) e accreditati (a favore del correntista) sul conto (v. la penultima nota).
(18) Non c’è dubbio che la distinzione intorno alla quale ruota il ragionamento delle Sezioni Unite complicherà non poco il lavoro dei C.T.U. nei giudizi in materia di anatocismo. Il che emerge ab- bastanza chiaramente dagli interventi che si sono già registrati a questo proposito: v., fra le altre, le posizioni (peraltro alquanto di- verse) di Dell’Anna Misurale, op. cit., 15 ss., e di Marcelli, Pre- scrizione e anatocismo negli affidamenti bancari. I principi giuri- dici stabiliti dalla sentenza della Cassazione S.U. 2 dicembre 2010, n. 24418: quelli enunciati e quelli impliciti, in www.ilcaso.it, doc. n. 235/2011.
(19) Si veda, comunque, sin da ora Dolmetta, Versamenti in con- to corrente e prescrizione dell’indebito, in questa Rivista, 2011, 498, della cui posizione ci occuperemo ampiamente più avanti.
(20) In base alla formulazione dell’art. 2 comma 61, peraltro - co- me si vedrà - non era neanche possibile affermare con certezza che il legislatore avesse inteso alludere alla data delle annotazio- ni in conto degli interessi, ovvero a quella delle annotazione di “versamenti” sul conto (v. subito infra, nel testo).
(21) D.l. 29 dicembre 2010, n. 225, conv. con modif. dalla l. 26 febbraio 2011, n. 10, recante: «Proroga di termini previsti da di- sposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie».
(22) È chiaro, infatti, che rendere ripetibili gli interessi anatocistici solo nei limiti del decennio decorrente dalle singole “annotazioni” in conto (ammesso che la formula del comma 61 potesse inter- pretarsi come riferita proprio alla annotazione in conto degli inte- ressi: v. infra) significava fermare le richieste al più tardi - nella ri- salita all’indietro (a partire dalla data di un ipotetico atto di citazio- ne) - al dicembre 2000, e dunque a un’epoca in cui le banche ave- vano già (almeno in teoria) adeguato i propri contratti alla delibera del CICR (e, in particolare, all’art. 6 per i contratti “nuovi”, e all’art. 7 per i contratti “in corso”). Va, peraltro, ricordato che - secondo un indirizzo seguito da una parte (non piccola) della giurisprudenza di merito - non è affatto vero che l’”adeguamento” dei vecchi con- tratti che le banche hanno realizzato seguendo la procedura di cui all’art. 7 del CICR (pubblicazione in G.U. entro il 30 giugno 2000 e notizia per iscritto ai clienti - “alla prima occasione utile” e, co- munque, entro il 31 dicembre 2000 - delle «nuove condizioni») sia stato sufficiente a mettere al riparo (dal giorno in cui i detti oneri sono stati adempiuti) la validità e la efficacia delle clausole anato- cistiche “adeguate”. Si ritiene, infatti, da parte di molti giudici, che l’art. 7 cit. - essendo strettamente collegato al comma 3 dell’art. 25 d.lgs. n. 342 del 1999 - abbia seguito la sorte di questa dispo- sizione (dichiarata - com’è noto - incostituzionale da Corte cost. 17 ottobre 2000, n. 425, in Foro it., 2000, I, 3045), risultando a sua volta travolto (cfr. Trib. Torino, 5 ottobre 2007, in Foro it., 2008, I, 646 ss.). Comunque - sempre secondo l’orientamento in questio- ne - ammesso pure (ma non concesso) che l’art. 7 della Delibera CICR possa considerarsi ”sopravvissuto” alla suddetta pronuncia della Corte cost. -, ugualmente alle banche non sarebbe bastato seguire la procedura di cui a tale disposizione, perché - essendo (a seguito della pronuncia del giudice costituzionale, che ha abroga- to il 3° comma dell’art. 25) risultata non sanata la nullità delle clau- sole anatocistiche pregresse - le banche, introducendo la capita- lizzazione trimestrale “adeguata” (id est: con previsione di reci- procità), avrebbero comunque previsto un trattamento “peggiora- tivo” per i clienti (rispetto alla situazione precedente, risultante dall’azzeramento della clausola antocistica), e dunque avrebbero dovuto (ai sensi dello stesso art. 7 Delibera CICR, comma 3) chie- dere e ottenere l’approvazione dei clienti (cosa che nessuna ban- ca ha fatto), non essendo sufficiente all’uopo una mera accetta- zione “tacita” (mancata contestazione degli estratti-conto) (cfr. Trib. Mondovì, 17 febbraio 2009, in www.ilcaso.it, doc. 1607).
presta pertanto (come di fatto è avvenuto) a una pluralità di letture (23).
Gli interpreti si dividono:
a) alcuni giudici hanno ritenuto che la disposizione
(24) - interpretata nel senso che essa disponesse (25), anche (26) se non, addirittura, esclusivamente, la decorrenza della prescrizione dell’azione di ripeti- zione (27) dall’annotazione in conto degli interessi anatocistici (in ipotesi illegittimi) - fosse senz’altro da considerarsi incostituzionale, per violazione dei limiti che il legislatore incontra nell’emanare norme interpretative (retroattive) (28);
b) altri giudici hanno ritenuto, invece, che la norma
- purché correttamente interpretata (cosa che si as- sume non abbiano fatto i giudici che ne hanno so- spettato la illegittimità costituzionale) (29) - si sot- tragga alle censure di incostituzionalità.
In particolare, il Tribunale di Milano - con due ordi-
Note:
(23) Tanto più che la norma non fa nessun riferimento esplicito né agli interessi anatocistici né all’azione di ripetizione che (in ipotesi) potrebbe considerarsi scaturente dal loro addebito in conto (attraverso una annotazione).
(24) Il riferimento è - ovviamente - alla prima parte dell’art. 2 comma 61.
(25) Retroattivamente, considerata la sua natura di norma di «in- terpretazione autentica».
(26) Abbiamo or ora evidenziato (v. nt. 23) come la formulazione legislativa fosse affatto generica e ampia: essa, quindi, era riferi- bile sia agli interessi anatocistici (e all’azione di ripetizione per il pagamento non dovuto di tali interessi), sia ad altre ipotetiche fattispecie illegittimità degli interessi (ad es. interessi “uso piaz- za”, interessi usurari, ecc.), e/o a “diritti” (nascenti dall’annota- zione) diversi dal diritto a ripetere l’indebito (anzi - siccome mol- ti contestavano e contestano, come diremo subito, che l’anno- tazione possa essere qualificata come un “pagamento” - proprio il diritto alla ripetizione dell’indebito potrebbe non rientrare - se si accede a queste tesi - tra gli “ipotetici” «diritti nascenti dall’an- notazione», cui la norma avrebbe inteso riferirsi: v. anche la nota seguente).
(27) L’idea che la formula «diritti nascenti dall’annotazione» pos- sa riferirsi al diritto di ripetizione di somme indebitamente paga- te dal cliente alla banca è il frutto di una lettura della norma non tanto basata sul suo tenore “letterale” (che condurrebbe a ben altro esito, considerato che l’«annotazione in conto degli inte- ressi» non equivale - secondo molti - a “pagamento” degli stes- si), quanto piuttosto sulla «intenzione del legislatore» (o, alme- no, su quella che l’interprete opina essere stata l’intenzione del legislatore). Il ragionamento non può non apparire contorto: si at- tribuisce al legislatore l’idea (che si ritiene, comunque, erronea) che l’annotazione (degli interessi) sia un “pagamento”, e l’inten- zione conseguente di far decorrere da tale annotazione il termi- ne di prescrizione dell’azione di ripetizione; si afferma, appunto, che quest’ultima soluzione - essendo basata su una premessa “erronea” - non rientra (neanche in astratto) «tra le possibili op- zioni ermeneutiche dell’art. 2935 c.c. e della disciplina della ma- teria»; si conclude pertanto che la norma del comma 61, ponen- dosi come norma di «interpretazione autentica» dell’art. 2935
c.c. (mentre invece essa è una norma “innovativa”) è irragione- vole (così Trib. Brindisi, Sez. dist. Ostuni, 14 marzo 2011, in www.ilcaso.it; le argomentazioni di questa ordinanza di rimes- sione sono ampiamente accolte dalla sentenza della Corte costi-
tuzionale in commento, che ha deciso sulla questione di legitti- mità costituzionale). Si potrebbe forse replicare a un ragiona- mento siffatto con le parole di Betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1971, 190, cit. da F. e G. Dell’Anna Misurale): “(…) risolvendo il problema dell’intellegibilità del pre- cetto, l’interpretazione autentica soddisfa un’esigenza formale di certezza del diritto e di eguaglianza, cioè di uniformità del tratta- mento giuridico di fattispecie identiche, rimuovendo la possibile disparità dipendente dalla pluralità di significati attribuibili al pre- cetto. Del resto, la scelta dell’apprezzamento interpretativo può essere suggerita e dettata da criteri di convenienza (particolar- mente da criteri di politica legislativa) tali da portare a risultati che divergono in maggiore o minore misura da quelli cui avrebbe por- tato una corretta applicazione dei criteri ermeneutici». E ancora:
«(…) Il suo valore vincolante non è condizionato dall’esattezza dell’apprezzamento interpretativo che essa enuncia: esattezza controllata alla stregua dei criteri ermeneutici. Non costituisce una giustificazione di quel valore, ma una petizione di principio, il dire che chi compie un’interpretazione autentica adotti la finzio- ne che essa equivalga logicamente ad un’interpretazione rico- gnitiva anche quando non coincide coi risultati di questa. […] Sotto l’aspetto sostanziale chi è competente a operare un’inter- pretazione autentica, non è un interprete qualsiasi che si trovi in posizione di stretta subordinazione rispetto a un’alterità irriduci- bile che lo trascende, ma è lo stesso autore del precetto da in- terpretare: e come tale, esso […] è in posizione da escludere ogni diversa intelligenza del precetto interpretato». Forse, peral- tro, il vero limite della disposizione del comma 61 consiste(va) nel presentarsi come una norma di interpretazione autentica del- l’art. 2935 c.c. (il cui significato - questo sì “univoco”, e dunque non bisognevole di alcuna interpretazione “autentica” - è stato naturalmente ribadito, nel senso di riconfermare la regola secon- do la quale la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto può essere esercitato), mentre invece essa avrebbe semmai do- vuto interpretare autenticamente l’art. 2033 c.c. (con una formu- la del tipo: «Ai fini dell’art. 2033 c.c. si considera “pagamento” l’annotazione in conto degli interessi scaturente da un’operazio- ne regolata in conto corrente ai sensi dell’art. 1852 c.c.»).
(28) Si veda, tra le altre, l’ordinanza di rimessione alla Corte Co- stituzionale di Trib. Brindisi, Sez. dist. Ostuni, 14 marzo 2011, cit.; adde: Trib. Benevento, 10 marzo 2011, in www.ilcaso.it.
(29) Ossia interpretata secondo la sua lettera, e attribuendo alla stessa un significato ragionevole (quale non è - secondo i giudici milanesi, cit. subito infra nel testo - quello di supporre, sulla ba- se di una presunta “intenzione del legislatore”, che la norma, parlando di «diritti nascenti dall’annotazione» abbia inteso riferir- si al diritto alla ripetizione di un pagamento indebito). Detto altri- menti: anche i giudici milanesi ritengono (e danno, anzi, per scontato) che l’annotazione in conto degli interessi non sia un “pagamento”; ma proprio per questo - essi opinano - non si può pensare che il legislatore, con la formulazione del comma 61, ab- bia inteso far decorrere dall’annotazione un diritto di ripetizione che non può scaturire da questo tipo di atto, non essendo esso un “pagamento”. Cfr. anche quanto scrive Dolmetta, Versamen- ti in conto corrente e prescrizione dell’indebito, in questa Rivista, 2011, 494: «(…) l’annotazione in conto, a cui risoluta viene a ri- ferirsi la regola qui in esame, non è un pagamento del cliente. E non solo perché l’annotazione è - per sua propria definizione - at- tività esclusiva della banca, che pure è tenuta - nell’ambito del servizio imprenditoriale che essa appronta, offrendo al mercato il prodotto “conto corrente di corrispondenza” - ad eseguirla, per le occorrenze. Ma altresì perché, per sua natura, un’annotazione non produce spostamenti patrimoniali; né mai potrebbe produrli. Può essere - è del tutto normale, anzi - che a un’annotazione cor- risponda (= faccia riscontro) il verificarsi di uno spostamento pa- trimoniale: quando, per l’appunto, un versamento alla banca ov- vero un prelievo dalla banca vi sia stato; non diversamente è nor- male anche che la fatta annotazione risponda all’esistenza di un debito e, dunque, di un credito. Resta incontestabile, insomma, che l’annotazione dichiara (cose corrette o cose non corrette), non costituisce».
nanze (del 4 e del 7 aprile 2011) - ha sostenuto che il diritto nascente dall’annotazione non può essere (come hanno ritenuto i sostenitori dell’incosti-tu- zionalità della disposizione) il diritto a ripetere le somme pagate a titolo di interessi passivi anatocisti- ci illegittimamente addebitati, «in quanto l’azione di ripetizione dell’indebito presuppone che ci sia stato un pagamento non dovuto, mentre le mere an- notazioni [degli interessi] sul conto corrente non si concretano in pagamenti, i quali, tutt’al più, posso- no configurarsi in riferimento alle rimesse effettuate dal correntista» (30).
Secondo i giudici milanesi il legislatore ha, invece, voluto riferirsi proprio alle «annotazioni», e ai di- ritti che da esse discendono, e in particolare al di- ritto di impugnare il conto che abbia incluso partite a credito della banca che si assumano dal cliente in- sussistenti per la nullità dell’atto che le avrebbe ge- nerate (come avviene nel caso dell’annotazione degli interessi anatocistici) (31). Sarebbe questo il diritto che - secondo la nuova norma - si sarebbe prescritto (in dieci anni) a decorrere dalla «anno- tazione» (ossia dal fatto da cui il diritto stesso sca- turisce) (32), con la precisazione che, intervenuta tale prescrizione e divenute incontestabili le annota- zioni non tempestivamente impugnate, il correnti- sta non avrebbe potuto più sottrarsi al pagamento del saldo risultante a suo carico (sulla base anche di quelle annotazioni) (33). Come l’art. 1422 c.c., do- po aver affermato l’imprescrittibilità dell’azione di nullità, fa salvi gli effetti della prescrizione del- l’azione di ripetizione (dell’indebito), così il com- ma 61 citato avrebbe fatto salvi gli effetti della pre-
Note:
(30) Posto che le «annotazioni» (e - in particolare, ma non solo - le annotazioni degli interessi) non equivalgono a “pagamenti”, per i giudici milanesi la norma dell’art. 61 non riguarda (non può riguardare) la prescrizione del «diritto alla ripetizione» (che pre- suppone un pagamento), bensì la prescrizione del diritto ad otte- nere la correzione del conto (in particolare - per quel che qui in- teressa - nel caso di illegittima inserzione in esso di interessi anatocistici illegittimi). Ferma la imprescrittibilità dell’azione di nullità (imprescrittibilità che, fra l’altro, ha sempre portato ad escludere che il termine decadenziale di sei mesi dalla ricezione dell’estratto conto, di cui all’art. 1832 c.c., si applichi anche alle scritturazioni la cui erroneità derivi dalla nullità del titolo che do- vrebbe legittimarle), il comma 61 avrebbe (secondo i giudici mi- lanesi) voluto dire che, decorsi dieci anni dall’annotazione, si pre- scrive comunque il diritto di ottenere la eliminazio- ne/correzione/modifica della “annotazione”, con la conseguenza che quest’ultima diventa definitiva (e incontestabile) (ergo: il cliente non può più contestare il saldo che si sia formato sulla ba- se di quella scritturazione). Il provvedimento dei giudici milanesi contiene in nuce (se non ci inganniamo) il nucleo essenziale del- la tesi sostenuta (con riferimento alla prima parte del comma 61) da Dolmetta, op. cit., 490, nota 20 (ove si manifesta l’esigenza
che l’opinione dei giudici milanesi secondo cui la prescrizione ri- marrebbe confinata alle rettifiche riceva qualche parola di spie- gazione e di giustificazione in più), tesi che concentra l’attenzio- ne sul fatto che, avendo l’«annotazione» una «natura contabi- le», analoga natura devono (per coerenza) avere anche i «diritti nascenti dall’annotazione» di cui parla il comma 61. Dolmetta sviluppa però anche l’argomentazione secondo cui - al di là del disposto della prima parte del comma 61 (che - a suo giudizio - avrebbe, come visto, una portata alquanto modesta, limitandosi ad introdurre un termine di prescrizione dell’azione di correzione di «annotazioni» illegittime) - è da ritenere che i versamenti sul conto siano dei veri e propri “pagamenti” (onde, dalla loro “an- notazione” in conto - o meglio dall’invio al cliente del primo estratto-conto successivo - decorra la prescrizione del diritto di ripetizione, senza che si debba attendere la chiusura finale del conto), e ciò non soltanto nell’ipotesi del conto “scoperto” (co- me vorrebbero le Sezioni unite), ma anche nel caso del conto semplicemente “passivo” (con saldo rientrante nei limiti del fi- do concesso). Si nota qui la differenza tra la tesi di Dolmetta e quella dei giudici del Tribunale di Milano (tesi solo apparente- mente simili). Questi ultimi - a ben vedere - non attribuiscono af- fatto alla introduzione della disposizione della prima parte del comma 61 quella “limitata” portata (al limite dell’innocuo) di cui parla Dolmetta (semplice prescrizione del diritto di ottenere la rettifica, fermo restando - se non capiamo male - che, pur matu- rata una tale prescrizione, il cliente non perde la possibilità di ri- petere - ormai però solo alla fine del rapporto - eventuali paga- menti di interessi indebiti, salvo che non si sia prescritto anche il diritto alla ripetizione, che per Dolmetta decorre da qualsiasi “versamento” che sia affluito su un conto passivo), ma inten- dono invece che la prescrizione del diritto a chiedere la rettifica dell’annotazione rende incontestabile anche il contenuto del- l’annotazione stessa. Seguendo la tesi dei giudici milanesi, tra- scorsi dieci anni dalle singole annotazioni illegittime (degli inte- ressi) non sarebbe più possibile (ottenere la rettifica e nemme- no) contestare la debenza degli interessi (sia pur illegittimamen- te annotati); seguendo la tesi di Dolmetta, invece, il termine di prescrizione, riguardando i versamenti, decorrerebbe da essi, sì che resterebbe irrilevante - rispetto all’azione di ripetizione (esercitabile anche prima della chiusura del conto) - che si sia prescritta la semplice azione per ottenere la rettifica del conto.
(31) Anche questa prospettiva - a ben vedere - era “suggerita” da un passaggio della motivazione di Cass., Sez. Un., n. 24418 del 2010, cit. Nel brano già citato retro, alla nota 7, i giudici del Supremo Collegio infatti osservavano che “… Sin dal momento dell’annotazione [di interessi anatocistici], avvedutosi dell’illegit- timità dell’addebito in conto, il correntista», sebbene non possa agire per la ripetizione di indebito (perché l’annotazione non equivale a pagamento) potrà però «naturalmente agire per far di- chiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di con- seguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultan- ze del conto stesso. E potrà farlo, se al conto accede un’apertu- ra di credito bancario, allo scopo di recuperare una maggiore di- sponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli …».
(32) È appena il caso di ribadire che - vista la formulazione asso- lutamente generale della disposizione del comma 61 - la norma si sarebbe potuta applicare all’annotazione di qualsiasi posta “il- legittima” (non solo interessi “anatocistici”, ma anche interessi ultralegali convenuti con rinvio agli “usi di piazza”, interessi usu- rari, commissioni di massimo scoperto, ecc.), con la conse- guenza di rendere - dopo dieni anni dall’annotazione - inconte- stabile la risultanza del conto che non sia stata impugnata tem- pestivamente dal cliente.
(33) Come osserva Sesta, L’anatocismo bancario tra interventi legislativi e nuovi dubbi di legittimità costituzionale, in Corr. giur., 2011, 747, «… in questo contesto, se a detta annotazione fa se- guito un pagamento nei sensi sopra precisati, consegue, in linea di principio, il sorgere dell’azione di ripetizione di indebito, con prescrizione decennale decorrente dal momento del pagamen- to stesso; ma se detto pagamento non viene effettuato, l’azio- ne di ripetizione di indebito non sorge neppure».
scrizione dell’azione per la correzione di annotazio- ni illegittime (34).
c) infine, altre opinioni (sia in giurisprudenza che in dottrina) hanno variamente cercato di fornire una
«lettura costituzionalmente orientata» del comma 61. In questa prospettiva, possono ricordarsi ad es. le pronunce di quei giudici che hanno ritenuto possi- bile un’interpretazione della disposizione «… che ne escluda quanto meno l’applicazione ai rapporti in- staurati prima della sua entrata in vigore» (il che - si noti - parrebbe, però, in contrasto con la natura di norma di “interpretazione autentica” che pressoché tutti hanno attribuito alla disposizione in esame) (35).
E, analogamente, si erano poste in funzione di forni- re una interpretazione «costituzionalmente orienta- ta» (rectius: compatibile con la Costituzione, a fron- te delle altre possibili interpretazioni che invece - asseritamente - non lo sarebbero state), quelle lettu- re del comma 61 che avevano tentato di ricondurlo (pressoché interamente) nell’alveo delle conclusio- ni cui erano pervenute le Sezioni Unite (36) (quasi che scopo, appunto, della disposizione fosse stato - non tanto “contrastare” la [o reagire alla] pronuncia dei giudici del Supremo Collegio - quanto piuttosto “fissarne” i risultati con una norma di legge vinco- lante) (37).
La Corte costituzionale ha, comunque, esplicita- mente disatteso queste (e altre possibili) “interpre- tazioni adeguatrici”, ritenendole non conformi al dettato «univoco» della disposizione dell’art. 2 com- ma 61 del “Milleproroghe 2010”, e dichiarando la norma impugnata - in base al ritenuto significato “inequivoco” della stessa - costituzionalmente ille- gittima.
(Segue) Alcuni rilievi sulla pronuncia dei giudici di Palazzo della Consulta
Prima di passare ad analizzare le conseguenze della pronuncia della Corte costituzionale sul tema “so- stanziale” sul quale intendeva incidere la disposizio- ne dichiarata illegittima, conviene soffermarsi bre- vemente sull’iter argomentativo sotteso alla senten- za in esame; iter relativamente al quale - va subito detto - sembra possibile avanzare più di una riserva. Va premesso che - sebbene i giudici esordiscano nel loro ragionamento (v. il par. 10 della motivazione) dichiarando che la formula del comma 61 è da in- tendersi come riferita «a tutti i diritti nascenti dall’an- notazione in conto, in assenza di qualsiasi distinzione da parte del legislatore» - di fatto essi finiscono per con- siderare solo la fattispecie del «diritto alla ripetizio- ne dell’indebito pagamento», ossia proprio il «dirit-
to» relativamente al quale poteva dubitarsi (e in ef- fetti si era - da alcuni - esplicitamente dubitato, co- me sopra abbiamo già ricordato) che potesse ricom- prendersi nella formula «diritti nascenti dall’annota- zione» (se si accetta - come a noi sembra debba farsi
- la tesi secondo cui l’annotazione non è un paga- mento) (38).
La decisione della Corte costituzionale finisce così
Note:
(34) Cfr. Sesta, loc. cit., il quale osserva che in tal modo inter- pretata la previsione «è perfettamente coerente con la generale disposizione dell’art. 1422 c.c., che, se da un lato stabilisce l’im- prescrittibilità dell’azione di nullità, dall’altro fa salva la prescri- zione delle “azioni di ripetizione”». Il richiamo all’art. 1422 c.c. non ci sembra però del tutto corretto, atteso che l’assunto dei giudici milanesi è proprio quello che il comma 61 non si riferisca alle «azioni di ripetizione» (di un pagamento indebito), ma riguar- di altro tipo di azione. Più in generale deve osservarsi che questo
A. (che condivide, in buona sostanza, quella che egli chiama l’«interpretazione costituzionalmente orientata» proposta dai giudici milanesi) prospetta una lettura del comma 61 come nor- ma di «interpretazione autentica» (non si capisce se dell’art. 2935 c.c. - come la disposizione stessa sembrerebbe indicare - ovvero dell’art. 1832 c.c.), senza chiarire dove risiedesse (in pas- sato) il «dubbio interpretativo» (o - se si vuole - il contrasto giuri- sprudenziale) che deve sussistere per legittimare l’intervento “chiarificatore” del legislatore.
(35) Cfr. Trib. Ferrara, 29 marzo 2011, inedita, in Dolmetta, op. cit., 491 e nota 11
(36) Si veda il tentativo in tal senso di Stilo, Prescrizione e anato- cismo nei rapporti bancari: principi giurisprudenziali e riforme le- gislative, in questa Rivista, 2011, 637.
(37) A rigore, dunque, quella che si proponeva (da questa tesi) era una interpretazione conforme …. alle Sezioni Unite (natural- mente sul presupposto - implicito - che solo in tal modo la norma potesse risultare anche conforme alla Costituzione).
(38) Ma non basta. Non solo i giudici della Consulta riferiscono la formula normativa a un quid al quale quella formula avrebbe do- vuto considerarsi (almeno prima facie) non riferibile. Essi fanno di più: ritengono cioè che proprio con riguardo a quelli che con maggior sicurezza sono invece qualificabili come «diritti nascen- ti dall’annotazione» - ossia i «diritti di contestazione, sul piano cartolare, e dunque di rettifica o di eliminazione delle annotazio- ni conseguenti ad atti o negozi accertati come nulli, ovvero ba- sati su errori di calcolo» - la disposizione del comma 61 «sareb- be [stata] inutile, perché il correntista può sempre agire per far dichiarare la nullità - con azione imprescrittibile (art. 1422 c.c.) - del titolo su cui l’annotazione illegittima si basa e, di conseguen- za, per ottenere la rettifica in suo favore delle risultanze del con- to». Il che è vero solo in parte, perché omette di segnalare che l’art. 1422 c.c. (che fa salva la prescrittibilità solo delle azioni di ri- petizione) è una norma ordinaria, e nulla esclude che ad essa il legislatore potesse/possa affiancare una ulteriore disposizione che (ferma la imprescrittibilità dell’azione di nullità) faccia salva (come per le azioni di ripetizione) la prescrizione di altri tipi di azione, e in particolare dell’azione per ottenere la “rettifica” e la “correzione” delle risultanze del conto. Né si potrebbe obiettare che ammettere l’estinzione per prescrizione di questa azione si- gnificherebbe svuotare di qualsiasi valore l’imprescrittibilità del- l’azione di nullità (che peraltro - si ripete - è “presidiata” solo da una norma di legge ordinaria) . In realtà residuerebbe pur sempre un’utilità nel far dichiarare (= accertare) la illegittimità di annota- zioni effettuate sulla base di titoli «nulli», perché ciò potrebbe costituire premessa per un’eventuale richiesta di risarcimento dei danni subiti.
per basarsi su un sillogismo alquanto debole, perché è errata (o, quanto meno, tutt’altro che certa) in particolare la premessa maggiore. Il sillogismo è il seguente:
– Premessa maggiore: tra «i diritti nascenti dall’anno- tazione» di cui parla il comma 61 «devono ritenersi inclusi anche i diritti di ripetere somme non dovute (quali sono quelli derivanti, ad esempio, da interessi anatocistici o comunque non spettanti, da commis- sioni di massimo scoperto, e così via»;
– Premessa minore: la ripetizione dell’indebito ogget- tivo «postula un pagamento (art. 2033 c.c.) che, avuto riguardo alle modalità di funzionamento del rapporto di conto corrente, spesso si rende configu- rabile solo alla chiusura del conto (Cass., sent. n. 24418 del 2010)»;
– Conclusione: «…Ne deriva che ancorare con nor- ma retroattiva la decorrenza del termine di prescri- zione all’annotazione in conto significa individuarla in un momento diverso da quello in cui il diritto può essere fatto valere, secondo la previsione dell’art. 2935 c.c.», onde «la norma censurata, lungi dal- l’esprimere una soluzione ermeneutica rientrante tra i significati ascrivibili al citato art. 2935 c.c., ad esso nettamente deroga, innovando rispetto al testo pre- vigente, peraltro senza alcuna ragionevole giustifi- cazione».
Sennonché - dopo quanto si è sopra osservato - ap- pare evidente che è solo in conseguenza della (di- scutibile) interpretazione del comma 61 accolta dai giudici della Consulta che si può affermare che la norma censurata non esprime «una soluzione erme- neutica rientrante tra i significati ascrivibili al citato art. 2935 c.c.», perché - se, invece, per «diritti nascenti dall’annotazione» si fossero intesi (solo) i «diritti di rettifica» - sarebbe stato affatto chiaro (e, anzi, per- sino tautologico) ritenere che tali diritti possono esercitarsi dal momento dell’annotazione, e dunque la previsione del comma 61 non sarebbe apparsa “estranea” alla logica e al contenuto dell’art. 2935
c.c. (anzi sarebbe stata pienamente conforme al contenuto di questa disposizione).
L’addebito in conto degli interessi non è “pagamento”
L’intervento della Corte costituzionale - indipen- dentemente dal giudizio che su di esso si ritenga di esprimere (39) - ha “riportato” indietro le lancette al momento in cui era stata emanata la sentenza del- le Sezioni Unite del dicembre 2010. Occorre, allora, tornare a riflettere sui contenuti di quest’ultima pro- nuncia.
Un punto fissato con molta decisione (ma, forse,
con argomentazioni non sufficientemente chiare) dalle Sezioni Unite consiste - lo abbiamo già accen- nato - nell’affermazione secondo cui l’addebito in conto degli interessi non costituisce “pagamento”, onde non può da esso (recte: dalla sua annotazione) farsi decorrere il termine di prescrizione di una ipo- tetica azione di ripetizione.
È stata disattesa in tal modo, con nettezza, la posi- zione da sempre adottata dalle banche nel conten- zioso (in materia di interessi anatocistici) che le ha contrapposte in questi anni ai clienti, posizione che aveva trovato accoglienza - come già ricordato - in un (minoritario) orientamento giurisprudenziale (40), e, soprattutto, supporto in un indirizzo dottri- nale non poco agguerrito.
L’assunto fondamentale su cui si fonda questo orien- tamento - come già evidenziato - è che «gli addebiti in conto corrente costituiscono a tutti gli effetti dei paga- menti, in quanto vanno ad erodere la somma capitale di- sponibile per il correntista», con l’aggiunta che il ri- chiamo alla natura “unitaria” del rapporto contrat- tuale di conto corrente «non incide sulla valenza au- tonoma delle singole operazioni di pagamento e sul- la tutela dei diritti dalle stesse scaturenti», e non im- pedisce pertanto che un addebito non dovuto possa essere chiesto in ripetizione già nel corso dello svolgi- mento del rapporto (e senza attendere la sua chiusura) (41).
Note:
(39) V. quanto osservato nel paragrafo precedente.
(40) Cfr., ad es., Trib. Torino, 30 ottobre 2003, in Giur. it., 2004, 102; Trib. Mantova, 12 luglio 2008, in www.ilcaso.it; Trib. Tera- mo, 18 gennaio 2010, in http://annamaria tanzi. files.wordpress.com/2011/03/tribunale-di-teramo-18-01-2010-n- 84.pdf.
(41) I brani riportati tra virgolette si leggono in Trib. Monza, 3 set- tembre 2008, inedita. Meno convincente (per quanto suggesti- vo) è un ulteriore argomento (che si legge, ad es., in Trib. Man- tova, 12 luglio 2008, cit), che fa leva sulla funzione della prescri- zione: «Il fondamento della prescrizione risiede nella certezza del diritto e nell’oggettiva necessità che, decorso un determina- to lasso di tempo, la situazione di fatto sia assimilata a quella di diritto, tanto che l’istituto non è derogato neppure per i diritti co- stituzionalmente garantiti, fatte salve le eccezioni previste dalla legge. È altresì noto che allorquando venga meno la causa di un rapporto o di un’attribuzione patrimoniale si verifica un’ipotesi di indebito oggettivo […] Con riguardo al giorno di decorrenza a questo giudice pare piuttosto strano il regime privilegiato attri- buito al correntista da Cass. 9 aprile 1984, n. 2262 (e da ultimo anche Cass. 14 maggio 2005, n. 10127, ove tuttavia la suprema corte rimanda alle sue pregresse decisioni senza una espressa motivazione sul punto) in forza del quale il termine decorra dalla chiusura del conto e non già dal momento in cui il diritto alla ri- petizione può essere fatto valere, consentendo quindi al corren- tista di agire verso la banca per il recupero di illegittimi addebiti di vari decenni prima. […] La ratio della prescrizione verrebbe dunque frustrata, tanto più che la possibilità di ottenere la resti- tuzione non sorge alla chiusura del conto, ma può essere eserci-
(segue)
Salvo quanto preciseremo in seguito a quest’ultimo proposito (42), e premesso comunque sin da ora che deve a nostro avviso condividersi la conclusione cui sono pervenute le Sezioni Unite, va cionondimeno riconosciuto che l’affermazione secondo cui l’adde- bito in conto degli interessi è un «pagamento» (o equivale a un “pagamento”) merita(va) sicuramente maggiore considerazione, di quanta non sembrino avergliene riservata le Sezioni Unite (43). Vediamo perché.
Se il cliente utilizza la “provvista” presente sul con- to (con conseguente annotazione di un importo a suo debito), disponendone a favore di terzi, non c’è dubbio che quest’atto possa costituire (nel rapporto con il terzo) il “pagamento” di un debito (44). Ecco allora profilarsi la domanda: perché mai non dovrebbe affermarsi la stessa cosa con riferimento al “pagamento” degli interessi dovuti alla banca in base al rapporto di apertura di credito (e considerare allo stesso modo l’ad- debito di tali interessi sul conto)?
Non varrebbe obiettare a questa (suggestiva) argo-
“fido” concesso dalla banca (46), sorga l’ovvio ob- bligo di restituire poi (e quando diventerà esigibile per la banca il credito) la somma presa in prestito. Si deve, allora, concludere che è erronea (o, quanto meno, apodittica) l’affermazione secondo la quale l’annotazione in conto di una posta di interessi ille- gittimamente addebitati dalla banca al correntista
«[comporta un incremento del debito del correnti- sta, o una riduzione del credito di cui egli ancora di- spone], ma in nessun modo si risolve in un pagamento» (47)?
Se teniamo presenti le repliche sopra riportate, si dovrebbe rispondere a questa domanda affermativa- mente. Sennonché - a supporto della propria con- clusione - le Sezioni Unite adducono una ulteriore argomentazione, che appare (questa volta) difficil- mente confutabile.
L’argomentazione è introdotta prospettando il caso in cui, pendente un’apertura di credito (regolata in conto corrente), il correntista utilizzi il fido che gli è
mentazione che il parallelo non regge, perché - nei
rapporti tra banca e cliente - l’utilizzazione (da parte del secondo) delle disponibilità esistenti sul conto (già passivo, o che lo diventa a seguito di detta uti- lizzazione) determina semmai un incremento del debi- to verso la banca; né varrebbe obiettare che la me- desima utilizzazione non è “pagamento” per il fatto che essa si presenta anzi come esercizio di un diritto (di credito) che il correntista ha nei confronti della banca (che gli ha concesso un “fido”).
Ad entrambe le obiezioni è agevole, infatti, replica- re:
a) quanto alla prima, che la circostanza che aumen- ti il “debito” (potenziale) verso la banca con riferi- mento al «saldo» (sia pur provvisorio) del conto, non esclude che, per altro verso, il cliente si sia “li- berato” di un’altra (e preesistente) obbligazione che egli aveva nei confronti della banca (l’obbligazione di corrispondere gli interessi): se ne è liberato, appun- to, utilizzando “danaro” che egli ha ricevuto in prestito (attraverso la “disponibilità” del fido) dalla stessa banca
! L’esistenza di questi due diversi piani (e di questi distinti rapporti) consente dunque di spiegare come lo stesso atto valga ad un tempo come “pagamento” (e, dunque, estinzione di una obbligazione) e come “assunzione di una distinta obbligazione” (45):
b) quanto alla seconda, che anch’essa trova lineare spiegazione nell’esistenza di una duplicità di piani che vanno tenuti distinti, sì che la circostanza che il cliente abbia un “diritto” di disporre della “provvi- sta” esistente sul conto non esclude che, quando l’esercizio di tale diritto implichi l’utilizzazione del
Note:
(continua nota 41)
tata dal cliente in qualsiasi momento una volta postulata l’erro- neità della scritturazione, senza che rilevi l’ignoranza del relativo diritto. La disposizione dell’art. 2935 c.c., infatti, nello stabilire che la prescrizione decorre dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, ha riguardo solo alla possibilità legale di esercizio, non influendo sul decorso della prescrizione l’impossibilità di fat- to, quale l’ignoranza da parte del titolare dell’esistenza del dirit- to». Con riferimento al brano citato può osservarsi che tutto il ra- gionamento è destinato a cadere se viene meno l’assunto (che i giudici danno per buono apoditticamente) secondo cui l’annota- zione in conto degli interessi illegittimi è “pagamento”. Se, in- fatti, detta annotazione non può considerarsi come “pagamen- to”, allora riemerge la regola generale dell’art. 1422 c.c., secon- do il quale l’azione di nullità è imprescrittibile (facendosi salvi so- lo gli effetti della prescrizione delle azioni di ripetizione).
(42) Osserviamo, comunque, sin da ora che è vero sì che il clien- te può agire immediatamente per contestare un’annotazione il- legittima (quale l’addebito in conto di interessi anatocistici non dovuti), ma non è detto che questa sia una «azione di ripetizio- ne» di un “pagamento” indebito ai sensi dell’art. 2033 c.c., e non piuttosto un altro tipo di azione. È inesatto quindi (e costitui- sce una inversione logica) ricavare di per sé dalla possibilità di agire immediatamente la natura di “pagamento” dell’annotazio- ne (degli interessi).
(43) Si veda la scarna motivazione sul punto contenuta nella sen- tenza delle Sezioni Unite.
(44) Si pensi all’ipotesi in cui il correntista abbia emesso un as- segno contenente l’ordine alla banca di pagare a Tizio (creditore del correntista) una certa somma di danaro.
(45) Non importa approfondire qui la questione se il fenomeno descritto sia o meno giuridicamente inquadrabile negli schemi della “novazione” (per la negativa - verso la quale propenderem- mo anche noi - v. ad es. Ferro Luzzi)
(46) E, dunque, in presenza di un conto con un saldo già “passi- vo”, o che tale diventi a seguito dell’atto di disposizione del cor- rentista.
(47) Così Cass., sez. un., n. 24418 del 2010, cit.
stato concesso, senza avvalersi (mai) della facoltà di ef- fettuare versamenti. Sul conto risulteranno “addebi- tate” le varie “utilizzazioni del fido”, e figureranno quindi anche le annotazioni relative all’addebito de- gli interessi (dovuti alla banca) in relazione alle di- sponibilità utilizzate.
In una situazione siffatta - osservano le Sezioni Uni- te - non si dubiterebbe che, prima della chiusura del conto, nessun “pagamento” la banca abbia ricevuto dal cliente (pur avendo essa “annotato in conto” gli interessi nel frattempo maturati). La banca avrà bensì maturato (e/o incrementato) un “credito” (po- tenziale) verso il cliente (credito che potrà poi far valere alla chiusura del conto, se ancora sussisterà a quel momento un “saldo” a suo favore), ma non avrà certamente ricevuto un “pagamento”.
Va detto - ad onor del vero - che l’esempio proposto dalle Sezioni Unite è certamente un’ipotesi-limite, perché si tratta, a ben vedere, di un caso in cui l’apertura di credito, sebbene formalmente “abbina- ta” a un conto corrente, di fatto è come se operasse da sola (il conto esiste, ma registra solo partite “ne- gative” - sostanzialmente l’addebito degli interessi che maturano a carico del cliente -, il che fa venir meno la sua “funzione”, comunque la si voglia de- scrivere ed individuare) (48).
E tuttavia l’argomento resiste, e persuade della esat- tezza (con tutta probabilità) della affermazione che conclude il ragionamento: la semplice annotazione in conto degli interessi non costituisce “pagamento”, e dun- que non è da essa che può farsi decorrere il termine di prescrizione di una eventuale azione di ripetizione di in- debito.
Nota:
(48) Non è certo questa la sede per riprendere la discussione (ri- salente e, tuttavia, ancora lontana dal potersi dire conclusa) cir- ca la natura giuridica del conto corrente bancario, e, in partico- lare, circa la “autonomia” del relativo rapporto. Il problema - co- m’è noto - consiste nello stabilire se il conto corrente sia una semplice modalità attraverso la quale possono essere «regola- ti» il deposito bancario, l’apertura di credito e altre “operazioni” bancarie, ovvero se esso dia luogo ad un rapporto autonomo. Al riguardo, va anzitutto precisato - a nostro avviso - che il “di più” che la c.d. «regolazione» in conto corrente delle “operazioni” predette consente (rispetto alle ipotesi in cui dette operazioni si presentino in forma “semplice”), non consiste tanto nel con- sentire una ripetuta utilizzazione delle somme “depositate” ov- vero “accreditate” alla banca (tramite l’apertura di credito). È questo un effetto che si verificherebbe comunque (ovviamente in presenza di “versamenti” che ripristino la “provvista” com- plessiva del cliente), anche se (per quanto l’ipotesi appaia del tutto astratta) “depositi” di somme e atti di utilizzazione delle disponibilità complessivamente esistenti (cioè comprensive an- che delle somme messe a disposizione con l’apertura di credi- to) non avvenissero mediante “annotazione” in un conto unico e unitario, ma venissero effettuate isolatamente e atomistica-
mente. Piuttosto la «regolazione in conto corrente» implica (ed è questo che non è affatto già contenuto nel semplice rapporto di deposito o di apertura di credito, o nelle altre operazioni cui si riferisce l’art. 1852 c.c.) l’obbligo che la banca assume di esple- tare un «servizio di cassa» a favore del cliente (“gestione” di pagamenti di terzi verso il cliente, a mezzo di assegni, bonifici, ecc.; gestione di pagamenti del cliente verso terzi, a mezzo di assegni, bonifici, RID, ecc.), impegnandosi a “conteggiare” in un’unica “matrice” (come taluno la chiama) tutte le “entrate” e le “uscite” che riguardino quel cliente (il quale naturalmente - ma non si tratta di un effetto del contratto di conto corrente, bensì semmai degli altri rapporti che sono “regolati” attraverso il conto - può disporre delle somme che risultano «a suo credi- to», in base alla risultanze del conto, in ciascun singolo mo- mento). Orbene questo obbligo può essere assunto del tutto indipendentemente dall’esistenza (attuale) di un deposito o di un’apertura di credito (o di altra operazione, i cui “esiti” siano destinati a confluire sul conto), sebbene sia del tutto evidente che non si procederà in concreto alla “apertura” di alcun conto corrente (ossia alla stipula del relativo contratto) se non in oc- casione proprio della conclusione di uno di quei rapporti che possono essere (e, in genere, sono) regolati in conto corrente (l’apertura del conto si accompagna, di solito, quanto meno al deposito di una qualche somma - per quanto modesta - desti- nata a cominciare a costituire quella “provvista” sulla quale gra- veranno anche le spese di “tenuta conto” dovute alla banca, e le altre commissioni e “competenze” che la stessa via via ad- debiterà, in relazione ai diversi “servizi” forniti al cliente). Se quanto detto è vero, deve evidentemente riconoscersi la “au- tonomia” del contratto di conto corrente, dovendosi altresì re- spingere anche le tesi che configurano il conto corrente come un contratto «misto» che risulterebbe dalla “combinazione” di una componente “gestoria” (mandato) - che costituirebbe la componente costante del rapporto - e di una componente “va- riabile” - costituita dalla/e singola/e operazione/i che di volta in volta può/possono in concreto trovare regolazione nel conto corrente. Né vale dire che il (contratto di) conto corrente non può ricevere esecuzione se non è “collegato” ad un altro rap- porto (deposito, apertura di credito, ecc.) idoneo a creare la “provvista” necessaria perché la banca possa adempiere alla propria funzione di “cassiere”. È agevole replicare che proprio questa osservazione dimostra che il suddetto “collegamento” rileva, per l’appunto, nella fase della “esecuzione” del rappor- to, ma non ai fini del sorgere di esso (altrimenti bisognerebbe dire che il contratto di mandato non viene ad esistenza sino a quando il mandante non abbia fornito al mandatario i mezzi ne- cessari per l’espletamento dell’incarico). Del resto, la “autono- mia” (e, per così dire, la “autosufficienza”) del conto corrente si coglie anche sul piano logico. È banale osservare che in tan- to un deposito o un’apertura di credito possono essere “rego- lati in conto corrente” in quanto un rapporto di conto corrente preesista (logicamente, se non temporalmente) al deposito o all’apertura di credito. Il che è abbastanza evidente - ad es. - nell’ipotesi in cui da un conto corrente inizialmente non affida- to si arrivi alla costituzione (tacita) anche di un rapporto di aper- tura di credito, come si ritiene avvenga allorché la banca - in maniera non occasionale ed episodica - dia esecuzione a “di- sposizioni” del cliente anche in mancanza di copertura sul con- to, così dimostrando di riconoscere (entro un certo limite) un “affidamento” al cliente. Sul problema della natura giuridica del contratto di conto corrente - appena sfiorato dalle precedenti considerazioni - si vedano, nella letteratura più recente, alme- no: Maccarone, Osservazioni in tema di conto corrente banca- rio, in Portale (a cura di), Le operazioni bancarie, Milano, 1978, II, 607 ss., spec. 613 ss.; Santoro, Il conto corrente bancario, in Commentario del codice civile, diretto da P. Schlesinger, Mila- no, 1992; Barbiera-Gentile, Diritto della banca e dei contratti bancari (riedizione arricchita e aggiornata del volume Diritto
bancario di M. Spinelli-G. Gentile), Padova, 2003, spec. 198 ss.; Ferro-Luzzi, Lezioni di diritto bancario, I, Parte generale2, Tori-
no, 2004, 209 ss.; Giorgianni-Tardivo, Manuale di diritto banca- rio2, Milano, 2009, 451 ss., specie 461 ss.
Non sono “pagamenti” neanche
(le annotazioni de)i “versamenti” effettuati su un conto (affidato e) “passivo”
È stato giustamente rilevato che la pronuncia delle Sezioni Unite ha singolarmente suscitato reazioni (almeno apparentemente) contraddittorie, se è vero che «a dare ascolto alle associazioni degli utenti dei servizi bancari la sentenza sarebbe stata favorevole alle loro ragioni almeno quanto lo sarebbe stata alle ragioni delle banche stando ai commenti dell’Abi» (49).
Occupandoci, appunto, della posizione delle banche (e cercando di capire le ragioni del loro giudizio non del tutto negativo sulla sentenza in esame), va osser- vato che in effetti esse, se da un lato hanno visto messa (probabilmente in maniera definitiva) fuori gioco l’eccezione di prescrizione nel modo in cui soli- tamente la formulavano (ipotizzandone, cioè, il de- corso dalle singole «annotazioni degli interessi») (50), per altro verso si sono viste aprire un varco (forse inatteso) alla possibilità di affermare che la prescrizione cominci a decorrere anche in costanza di rapporto, se pure dalla «annotazione delle rimesse» (e non degli interessi).
Si tratta - va detto subito - di un varco che (se si ten- gono fermi i limiti indicati dalle Sezioni Unite) è, per la verità, assai “stretto” (in quanto - secondo la sentenza del 2010 - si potrebbe parlare di “pagamen- to”, e quindi potrebbe ipotizzarsi l’inizio del corso della prescrizione dell’azione di ripetizione dell’in- debito, solo con riferimento a “rimesse” che siano fatte su un conto “scoperto” o non affidato, ma non anche con riferimento a rimesse su un conto sempli- cemente “passivo”).
Tuttavia, è plausibile che le banche coltivino in questo momento la speranza che tale “spiraglio” pos- sa allargarsi (51), il che difatti è quanto ha tentato di fare quasi subito una parte della dottrina (52).
Prima di esporre la posizione di questa dottrina, è bene completare l’illustrazione del ragionamento svolto dalle Sezioni Unite.
Queste ultime - mentre hanno negato recisamente (come abbiamo visto nel paragrafo precedente) che la semplice “annotazione in conto” degli interessi possa considerarsi “pagamento” - hanno invece af- fermato che tale qualificazione può (almeno in astratto) riconoscersi ai versamenti in conto.
Epperò, non tutte le volte in cui il “versamento” av- venga in una situazione in cui si profili un debito (del cliente) verso la banca (53), esso può essere considerato come un “pagamento”. Perché sia quali- ficabile come tale, occorre infatti - affermano le Se-
zioni Unite - che esso «abbia avuto lo scopo e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca». Orbene - a parere dei giudici del Supremo Collegio - non potrebbe dirsi che un “versamento” abbia lo sco- po e l’effetto di uno spostamento patrimoniale in favore della banca, sino a quando esso intervenga su un con- to semplicemente “passivo” (il cui saldo, cioè, non abbia superato il limite del fido in ipotesi accordato dalla banca).
In tal caso infatti - così sembrano aver ragionato i giudici - scopo (ed effetto) del versamento è quello di ripristinare la provvista che potrà poi essere suc- cessivamente utilizzata dallo stesso correntista, e dun- que non si potrebbe parlare di “pagamento” (inteso come «spostamento patrimoniale» a favore del credi- tore, in questo caso, la banca).
Il ragionamento è formalmente corretto, pur se esso possa lasciar sussistere qualche residuo dubbio (e meriti, comunque, una qualche esplicazione ulterio- re, rispetto alla formulazione sintetica - e in parte criptica - che gli danno le Sezioni Unite).
Cominciamo con l’osservare che sulla “provvista”, ricostituita nel modo ipotizzato (e cioè attraverso “versamenti” che affluiscano sul conto), la banca potrà “prelevare” (rectius: “addebitare” sul conto in occasione della sua successiva chiusura contabile, come - del resto - essa aveva già fatto in occasione
Note:
(49) Così F. e G. Dell’Anna Misurale, op. cit., par. 3 (che traggono spunto da questa constatazione per evidenziare la scarsa “chia- rezza” della soluzione fatta propria dai giudici del Supremo Col- legio).
(50) V. il paragrafo precedente.
(51) E la “leva” che verrà verisimilmente utilizzata per “tentare” questo allargamento sarà con tutta probabilità costituita dall’ab- bandono (da parte delle Sezioni Unite) del principio di «unitarie- tà» del conto corrente, e dall’“apertura” (che si è voluto in ciò vedere) alla considerazione “atomistica” delle singole operazio- ni annotate sul conto. Insomma: aperto questo varco, non è escluso - si sarà pensato - che siano possibili degli ulteriori passi in avanti, in direzione di quella che viene prospettata come la ri- conduzione (del trattamento) dei versamenti in conto corrente al diritto comune dei contratti.
(52) Dopo la sentenza delle Sezioni Unite, è stato Dolmetta per primo (se non ci inganniamo) a cercare di “adattare” quelle im- postazioni al “nuovo corso” dei giudici del Supremo Collegio, spostando il problema della qualificazione come “pagamenti” (ai fini del decorso della prescrizione) dalla «annotazione degli inte- ressi» alla «annotazione delle rimesse» (su un conto passivo) (ri- mangono invece ancorati alla impostazione precedente - ruotan- te intorno alla possibilità di qualificare come “pagamenti” le stesse “annotazioni in conto degli interessi”, F. e G. Dell’Anna Misurale, op. cit., passim).
(53) È chiaro, invece, che se il versamento affluisce su un conto che presenta (in quel momento) un saldo positivo, non si pone (neanche in astratto) la questione di considerarlo come “paga- mento”.
delle precedenti chiusure periodiche) gli interessi che le spettano.
Certo, fintantoché il calcolo degli interessi passivi non porti il “saldo negativo” a superare l’ammonta- re del fido concesso, il suddetto “prelievo” non an- drà al di là della mera “annotazione sul conto” degli interessi, e non consisterà in particolare nella “esa- zione” materiale degli interessi medesimi (la banca, infatti, fino al limite del fido concesso, si è impegnata a “finanziare” il correntista per tutta la durata del con- tratto di apertura di credito).
Ma una situazione siffatta, prima o poi, condurrebbe (se non intervenissero ulteriori “versamenti”) all’esauri- mento del fido, anche se si immaginasse che le uniche annotazioni “a debito” siano quelle degli interessi dovuti alla banca; e, superato questo limite, sarebbe eviden- te che i “versamenti” (successivi) rappresentano ve- ri e propri “pagamenti”, quanto meno di quella parte di interessi il cui importo - annotato sul conto - abbia de- terminato a un certo momento lo “sconfinamento” dal fido (54).
Hanno dunque ragione le Sezioni Unite. L’argo- mentazione da esse sviluppata è - come già eviden- ziato - ineccepibile.
Solo che - alla fine e a ben vedere - la conclusione di tale ragionamento porta a smentire non solo (e non tanto) l’assunto delle banche secondo cui la prescri- zione decorre già in corso di svolgimento del rappor- to di conto corrente (perché è normale che si abbia- no “pagamenti” anche durante tale svolgimento) (55), quanto soprattutto l’assunto della giurispru- denza e della dottrina sin qui dominanti, ossia l’as- sunto che la prescrizione (dell’azione di ripetizione di indebito) decorra (nel conto corrente bancario) dalla chiusura del rapporto.
Questo assunto si rivela concettualmente erroneo. Se
pure è vero che - nella maggior parte dei casi - si veri- fica proprio questo (perché il saldo del conto cor- rente - durante il rapporto - si è mantenuto entro i limiti del fido, ovvero ha avuto “sconfinamenti” oc- casionali, più o meno immediatamente “rientrati”)
(56) - ciò avviene (come ormai dovrebbe essere chiaro) in via di mero fatto (57), e non in virtù di una caratteristica giuridica del contratto di conto corren- te (la c.d. “unitarietà” del rapporto), che è tanto po- co sussistente da non impedire che si possano confi- gurare veri e propri “pagamenti” anche in costanza di rapporto (naturalmente, se sussistano i presupposti perché ricorra la fattispecie “pagamento”, in base al- le precisazioni sopra svolte).
Per altro verso, deve però ribadirsi (e lo puntualizza- no, correttamente, le Sezioni Unite) che - fuori dal- la predetta ipotesi dello sconfinamento (= conto
scoperto) - il versamento su conto (pur “passivo”) non è (tecnicamente) un pagamento (cfr. amplius il pa- ragrafo seguente).
E - può aggiungersi sin da ora - esso non è neanche qualificabile come adempimento “anticipato” (ex art. 1185 c.c.) del credito (eventuale) che potrà sorgere a favore della banca in relazione alla risul- tanza di un saldo finale negativo al momento della chiusura del conto. È evidente, infatti, che, proprio per il fatto che un tale credito della banca è mera- mente eventuale, non ha senso configurare un paga- mento “anticipato” di qualcosa che non si sa se mai
Note:
(54) La situazione appena descritta (ossia di un conto che risulti “movimentato” soltanto dall’addebito degli interessi e compe- tenze dovuti alla banca) corrisponde, a un dipresso, a quello che generalmente accade quando il cliente ha pressocché intera- mente esaurito il fido che gli era stato concesso, e non riesce ad ottenere ampliamenti di esso (intendiamo riferirci ad amplia- menti veri e propri, e non ai c.d. ampliamenti “di fatto”), sicché al successivo o ai successivi addebiti degli ulteriori interessi e competenze maturati, il conto va (come suol dirsi) in “scopertu- ra”. In altre parole, si tratta della situazione propria di un conto corrente di fatto “fermo”, o “non operativo” che dir si voglia (ta- le essendo la situazione di un conto che “corre” ormai soltanto nelle poste “passive” verso la banca, senza che il correntista ab- bia la possibilità o l’intenzione di effettuare versamenti che resti- tuiscano “operatività” al conto medesimo). D’altro canto, pure ipotizzando un conto (ancora) “operativo” (nel quale cioè conti- nuino a comparire “a debito” - sub specie di pagamenti verso terzi - altre poste diverse dalla annotazione degli interessi e com- petenze dovuti alla banca), e supposto che il correntista man- tenga (su tale conto, in ipotesi già “passivo” per un certo am- montare, o che prima o poi lo diventi) un livello dei “versamen- ti” (e, più in generale, delle “entrate” a vario titolo veicolate sul conto) tale da essere più o meno equivalente al livello dei paga- menti verso i “terzi” (diversi dalla banca), prima o poi, anche in questo caso, l’accumulo degli interessi comunque raggiunge- rebbe e supererebbe il livello del fido concesso dalla banca, così determinandosi ancora una volta la situazione precedentemente descritta (cioè la situazione di un conto che - sia pure di fatto - di- venta non più “operativo”, salvo appunto che intervengano ver- samenti “addizionali” che ripristino congruamente la provvista, e non si limitino semplicemente a mantenere in equilibrio “en- trate” e “uscite” senza far scendere significativamente il livello del «saldo»).
(55) Va ricordato, tuttavia, che la posizione delle banche è in re- altà un’altra (e questa posizione - abbiamo visto - viene decisa- mente respinta dalle Sezioni Unite), e cioè che la semplice an- notazione in conto degli interessi costituisca di per sé “paga- mento” (indipendentemente dalla circostanza che essa avvenga su un conto “scoperto” ovvero su un conto meramente “passi- vo”). E a questa premessa le banche ricollegano l’affermazione della “normalità” di “pagamenti” che intervengano in corso di rapporto.
(56) È chiaro che la banca non accetterebbe (non accetta) una si- tuazione di “sconfinamento” che si protragga per lungo tempo. Verificatosi dunque uno “sconfinamento”, o il cliente “rientra” nei limiti del fido (in tempi brevi, o addirittura brevissimi), oppure la banca provvederà a “revocare” il fido, recedendo dall’apertu- ra di credito e chiedendo il pagamento del saldo risultante sul conto.
(57) V. la nota precedente.
verrà ad esistenza (e in che misura verrà ad esisten- za) (58).
(Segue) Replica alle critiche mosse da Dolmetta alla pronuncia delle Sezioni Unite
La pronuncia delle Sezioni Unite, ampiamente ana- lizzata nel paragrafo precedente, è stata - come si è già anticipato - criticata da una parte della dottrina. In particolare si è contestata la tesi dei giudici del supremo Collegio secondo cui solo i versamenti ef- fettuati a fronte di un “extrafido” (conto “scoperto”) sarebbero qualificabili come “pagamenti”, mentre tali non potrebbero ritenersi i versamenti “intrafi- do” (ossia su conto semplicemente “passivo”).
«(…) Non è vero - si è scritto - che i versamenti in- trafido abbiano natura esclusivamente ripristinatoria, come sostengono invece le Sezioni Unite. La tesi, che oggi esse hanno ripreso, si trova contraddetta dal dato strutturale: non si comprende come si possa “riespan- dere la misura dell’affidamento utilizzabile in futuro” senza che risulti precedentemente estinto il montante di debito precedente. Non lo si comprende proprio sul piano della causa delle attribuzioni patrimoniali: dato un limite di fido (la “somma di danaro a disposizio- ne”), che in parte o in toto sia stato utilizzato, un nuo- vo e corrispondente utilizzo (perché la disponibilità è ripristinata) può avvenire solo o in ragione di un in- cremento negoziale del detto limite o per l’effetto, ap- punto, di uno spostamento patrimoniale a favore della banca» (59).
L’equivoco sotteso a queste affermazioni è - a nostro avviso - facilmente evidenziabile. La “rimessa” che intervenga su un conto (meramente) “passivo” ripri- stina semplicemente la provvista, e non determina alcuno «spostamento patrimoniale» a favore della banca (60), la quale non vede in alcun modo muta- ta la propria posizione. Come, prima di quella rimes- sa, la banca era obbligata (in virtù dell’impegno as- sunto con il contratto di apertura di credito) a “te- nere disposizione” una certa somma (che potrebbe risultare, in quel dato momento, magari prossima ad esaurirsi, a seguito delle precedenti utilizzazioni da parte del cliente), così - dopo la rimessa - l’obbligo della banca sussiste (precisamente) entro gli stessi li- miti.
Certo, la banca ha visto rientrare nelle propria “cas- sa” delle somme (versamenti effettuati sul conto); ma contestualmente ha visto altresì riespandersi (esattamente nella stessa misura) il proprio impegno di “mantenimento a disposizione” del cliente di al- trettante somme. Dove sta lo «spostamento patrimo- niale» che si vorrebbe essersi verificato a seguito della “rimessa” (se questa è servita semplicemente ad aumen-
tare la “disponibilità” a favore del cliente)? In che senso si può parlare di un «pagamento»?
La fictio (e, se si vuole, la forzatura) che si nasconde dietro questa qualificazione, emerge chiaramente quando - per sorreggere la stessa - la dottrina in esa- me è costretta a individuare il «credito» di cui il ver- samento costituirebbe “adempimento” bensì nel- l’importo attuale corrispondente alle somme utilizza- te dal cliente sul fido che gli è stato concesso (che è tradotto nella misura del saldo negativo tempora- neo), ma parlando al contempo (e non senza con- traddizione) di un pagamento “anticipato” dello stes- so (in quanto credito “inesigibile” sino alla chiusura finale del conto) (61).
Non ci si accorge però - così ragionando - che il pro- blema non è soltanto (o tanto) quello della c.d. ine- sigibilità (62). Il problema è che, alla chiusura del conto (rectius: allo scioglimento del rapporto di apertura di credito, regolato in conto corrente), quel “credito” potrebbe non esserci né tanto né punto, se il saldo del conto dovesse nel frattempo essere ritor- nato “positivo”.
E, allora, appare chiaro come ciò che - in un conto corrente cui acceda una apertura di credito - banca e correntista intendono fare è proprio di non conside-
Note:
(58) Si conferma, pertanto, l’esattezza dell’opinione (largamente diffusa) che ritiene l’art. 1185 c.c. inapplicabile all’apertura di cre- dito in conto corrente (cfr., ad es., Fiorentino, Del conto corren- te. Dei contratti bancari, in Commentario del codice civile, a cu- ra di Scialoja-Branca, IV, Delle obbligazioni, sub artt. 1823-1860, Bologna-Roma, 1969, 38 ss.; Molle, I contratti bancari, in Tratta- to di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu-Messineo, Mi- lano, 1981, 132). Richiama invece l’art. 1185 c.c. (per corrobora- re la tesi che anche le rimesse sul conto “passivo” sono “paga- menti”), Dolmetta, op. cit., 499 (v. il paragrafo seguente).
(59) Così Dolmetta, op. cit., 498.
(60) Detto altrimenti, e in maniera semplice, effettuando una ri- messa - nelle condizioni ipotizzate - il correntista non intende “pagare” un debito verso la banca (che al momento in ipotesi ancora non c’è, non essendosi verificato alcuno “sconfinamen- to”), ma solamente immettere sul conto risorse che potranno essere utilizzate per adempiere debiti (già esistenti o che po- tranno sorgere) nei confronti di terzi diversi dalla banca. È solo quando si determina uno “sconfinamento” che sorge (per l’ec- cedenza rispetto al fido) un credito immediatamente esigibile della banca, ed è solo in questo caso - dunque - che un ipotetico successivo “versamento” non potrà non avere la finalità (e l’ef- fetto) di costituire la provvista per “pagare” (fra gli altri) anche questo debito.
(61) Seguendo la tesi (qui contestata) potrà poi trattarsi - a se- conda dei casi - di un pagamento totale (se il versamento in que- stione valga a riportare a un importo uguale o maggiore di zero il saldo del conto), ovvero di un pagamento meramente parziale (qualora, nonostante il versamento, il saldo continui ad essere negativo, se pur per un importo minore).
(62) Abbiamo già dichiarato (v. retro, testo e nota 57) l’adesione alla tesi (largamente diffusa) che afferma la inapplicabilità del- l’art. 1185 c.c. nel conto corrente bancario.
Giurisprudenza
I singoli contratti
rare medio tempore il «saldo» (eventualmente nega- tivo) che risulterà dalle operazioni via via registrate sul conto in termini di “credito”/“debito”, vincolandosi piuttosto (e semplicemente) ad accettare un mecca- nismo in virtù del quale quel “saldo” abbia la (sola) funzione di determinare di momento in momento la
quantità di moneta di cui il correntista può (resi- dualmente) disporre.
Risulta così confermato che i “versamenti” su un conto “intrafido” non sono tecnicamente “pagamenti” del cliente a favore della banca, non essendoci un “cre- dito” che essi vadano ad estinguere.