Capitolo Terzo
CONTRATTO RUGIADOSO E CONTRATTO RUDE NEL DIRITTO EUROPEO E COMUNITARIO
Capitolo Terzo
1. L’edificazione del diritto europeo dei contratti: l’autonomia negoziale ordoliberale. – 2. La questione delle fonti: la comparazione critica e i prin- cipi del diritto contrattuale europeo. – 3. Due modelli contrapposti: con- tratto rugiadoso e contratto rude. – 4. Il problema della causa e della quali- ficazione degli accordi. – 5. Il contratto: civilistico, fra imprese, col consu- matore, fra soggetti professionalmente ineguali.
Sommario
1. L’edificazione del diritto europeo dei contratti: l’autonomia ne- goziale ordoliberale
La questione del diritto positivo europeo dei contratti, in quanto diritto già oggi applicabile, e non in quanto ricerca di una convergenza fra i di- versi diritti nazionali 1, si inserisce appieno nella discussione attuale sulle varie categorie del contratto. In realtà non si tratta qui di categorie già ben levigate e compiutamente costruite, ma piuttosto di figure che debbono ora ricevere una loro più compiuta sistemazione. Il termine stesso catego- ria va quindi, qui, inteso non già nel senso di una sicura determinazione concettuale che ne individua oggetto e limiti, ma piuttosto nel senso greco prefilosofico di katà agorèuo, cioè di ciò di cui pubblicamente si discute 2.
Xxxxxx, come è noto, il diritto positivo europeo dei contratti prende le mosse dalla Convenzione di Roma sulla Legge applicabile alle obbliga- zioni contrattuali e viene sviluppato come concetto generale soprattutto dalla dottrina tedesca 3. Il diritto europeo dei contratti, in quanto diritto
1 Su cui si concentra l’opera ormai classica di X. Xxxx, Europäisches Vertragsrechts, Xx. 0, Xxxxxxxx, 0000. Sulla differenza fra diritto comunitario e diritto comune europeo dei contratti v. ora X. Xxxxx, Sul diritto europeo dei contratti, in Europa e dir. priv., 2004, p. 441.
2 Più precisamente, prima che la filosofia lo trasformasse in un lemma tecnico, xxxx xxxxxxx rappresentava l’accusa rivolta in pubblico a qualcuno, come discorso pubblico contro qualcuno o qualcosa.
3 Cfr. X. Xxxxxxx, A Common Contract Law for the Common Market, in 33 CML Rev., 1996, p.
positivo attualmente vigente, è più ristretto del diritto nazionale dei con- tratti 4. Esso concerne, infatti, solamente le transazioni commerciali unita- lerali (in cui almeno una parte agisce nello svolgimento della propria attivi- tà professionale) e le transazioni commerciali bilaterali (in cui entrambe le parti agiscono professionalmente). Il diritto europeo vigente dei contratti è, quindi, soltanto il diritto dei contratti di impresa, e si applica, ovvia- mente, quando tali transazioni abbiano carattere transfrontaliero.
Tale questione del diritto europeo dei contratti si inserisce, quindi, ap- pieno nel dibattito attuale sulle varie categorie del contratto. Dibattito che viene riassunto con l’utilizzo delle locuzioni derivate dalla riflessione in- ternazionale, secondo cui si pone un problema di contratti «B to B», ovve- ro di contratti fra imprese, «B to c» o transazioni fra impresa e consumato- re, «c to c», ovvero contratti fra soggetti che non agiscono professional- mente sul mercato. Onde viene in qualche modo recuperata la nozione di contratto civilistico per indicare quei contratti che, prima del codice del 1942, non sarebbero stati soggetti alle regole del Codice di Commercio, e, infine, si pone il problema dei contratti «b to b», ovvero degli accordi con- trattuali fra «piccoli» imprenditori. Questi ultimi, infatti, non dispongono delle medesime capacità di ausilio contrattuale (conoscenze, studi legali, ecc.) che caratterizzano la contrattazione fra imprese, ma nemmeno pos- sono essere considerati come agenti non professionali.
La questione del diritto europeo dei contratti come diritto delle transa- zioni in cui almeno una delle parti è un operatore professionale (transa- zioni commerciali unilaterali e transazioni commerciali bilaterali), si incro- cia con il tema di una più articolata costruzione della tipologia contrattua- le, che affligge al momento sia i vari sistemi nazionali europei che quelli extraeuropei. In tale contesto occorre notare che il diritto europeo è stato costruito come limitazione delle legislazioni nazionali 5. Ovvero come au- tonomia negoziale libera dalle legislazioni nazionali nel perseguimento delle libertà fondamentali, e quindi della libertà di allocazione economica dei beni e servizi. Laddove, quindi, si accetta una definizione limitata di libertà, che non fa riferimento all’intera area esistenziale del soggetto giu- ridico, ma solo alla sua libertà come autonomia negoziale nell’allocazione dei beni e servizi.
In questo senso di autonomia negoziale a contenuto economico sot-
1169; X. Xxxxxxxx, Europäisches Vertragsrecht, in H.-X. Xxxxxx (a cura di), Xxxxxxxxxxxx Xxxxxx- xxxxxxx, Xxxxx-Xxxxx, 0000, p. 103 ss.; X. Xxxxxxxxx, Europäisches Schuldvertragsrecht, Xxx- xxxx, 1999, parr. 3.10 e 11, nn. 10-14; Id., La struttura del diritto europeo dei contratti, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 365 ss. Cfr. inoltre X. Xxxxxxx, European Community Contract Law, Xxxxxx, 0000.
4 X. Xxxxxxxxx, La struttura, cit., p. 372.
5 Cfr. P.C. Xxxxxx-Xxxx, Europäisches Gemeinschaftsrecht und Privatrecht, in XXX, 0000, p. 14; nonché X. Xxxxxxx, A Common Contract Law, cit., p. 1181 ss.; X. Xxxxxxxxx, La struttura, cit., p. 369.
tratta all’intervento della legislazione, il diritto europeo dei contratti è fi- glio dell’impostazione della scuola ordoliberale di Xxxxx Xxxx 6. Tale im- postazione costruisce la necessità di un apparato pubblico, limitandola pe- rò allo scopo di fornire le regole di base della concorrenza economica, ri- tenuta la xxx xxxxxxx, xxxx l’unica via, in grado di garantire l’evoluzione verso forme sempre più efficienti di economia, attraverso un processo di selezione degli agenti economici stessi 7. La concorrenza viene, infatti, vi- sta come un «processo di scoperta» in grado di risolvere i problemi di in- formazione degli agenti, nella convinzione che lo scopo dell’ordinamento giuridico del mercato debba essere quello di sfruttare al meglio la cono- scenza dispersa fra milioni di agenti economici, che devono venire coor- dinati attraverso regole astratte di correlazione interpersonale, in particola- re attraverso il meccanismo dei prezzi, e quindi, innanzitutto attraverso i principi dell’autonomia privata negoziale 8.
Non a caso la principale creazione di tale scuola di pensiero, per quel che concerne l’ordinamento dell’Unione, è stata la costruzione dell’auto- nomia negoziale transfrontaliera concernente le transazioni commerciali bilaterali 9. Una tale autonomia è stata edificata mediante limiti imposti alle legislazioni nazionali. Ovvero le leggi degli stati membri non possono tangere l’autonomia negoziale transfrontaliera, con la conseguenza che tale autonomia negoziale viene a trovarsi, quale legge dei contratti, al di sopra della legislazione nazionale. In tal modo l’ordine economico che risulta dall’attività commerciale transfrontaliera si situa come ordinamento libero dalle influenze dei diritti nazionali, e sottoposto ai soli principi del diritto comunitario. Tali principi, tipici dell’ottica ordoliberale, devono tendere solamente ad assicurare il controllo di quegli enti economici che sarebbero in grado, in virtù del loro stesso potere di mercato, di falsare le regole della concorrenza, quale, lo ripetiamo, processo principe di sfrut- tamento della conoscenza dispersa necessaria alla soluzione dei problemi
6 Sull’impostazione ordoliberale e la sua importanza per la costruzione del diritto europeo, cfr. X. Xxxxxx, The Economic Constitution of the European Union, in 4 Colum X. Xxx. X., 1998, p. 46; D.J. Xxxxxx, Constitutionalizing the Economy, in 42 Am. J. Comp. X., 1994, p. 25 ss.; M. Poia- res Maduro, Reforming the Market or the State, in 3 ELJ, 1997, p. 55 ss.
7 Nel senso che, in base alle regole di concorrenza, sono destinati a rimanere sul mercato so- lo gli agenti economici più efficienti, che, in tale ottica, sono quelli destinati a massimizzare il benessere dei consumatori.
8 X.X. xxx Xxxxx, Competition as a Discovery Procedure, in Id., New Studies in Philosophy, London e Chicago, 1978, pp. 179-90. Si deve a von Xxxxx il concetto del diritto privato come diritto dell’ordinamento generale della società, al cui interno agisce anche lo stato, con le sue norme di diritto pubblico, come una delle singole organizzazioni sociali che perseguono i propri scopi all’interno di tale ordinamento generale. Un tale concetto di società basata sul diritto priva- to è stato sviluppato con riferimento all’Unione Europea da X. Xxxxx, X. Xxxxxxxxxxx, Privatre- chtsgesellschaft und die Xxxxxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxx, 0000.
9 Ne riferisce X. Xxxxxxxxx, La struttura, cit., p. 365.
economici. Una tale autonomia negoziale transfrontaliera diviene pertanto il campo libero delle valutazioni contrattuali delle parti, difeso tanto con- tro le legislazioni nazionali in quanto estrinsecazione di poteri pubblici (prevalenza dell’ordinamento comunitario), quanto contro le distorsioni provocate da un eccessivo accumulo di poteri privati (regole comunitarie sulla concorrenza).
Una tale impostazione rende, allora, conto del modo in cui è stato af- frontato il problema delle imprese pubbliche, ovvero delle imprese, costi- tuite nelle forme del diritto privato, ma a controllo pubblico. In entrambi i casi si pone infatti un problema di tutela dello spazio dell’autonomia con- correnziale, in virtù della combinazione di potere che si attua in tali im- prese per la partecipazione in esse di soggetti dotati di potestà pubbliche, sia che ciò avvenga nelle forme del diritto pubblico, sia che ciò avvenga con l’utilizzo delle forme del diritto privato.
Si ha qui la particolare commistione di un approccio basato sulla rea- lizzazione di un risultato, che però deve essere un risultato aperto. Ovvero il risultato che si ha di mira, nella costruzione ordoliberale dell’ordinamen- to dell’Unione, è quello della autonomia privata in regime di concorrenza non distorta dalla presenza di concentrazioni di potere pubblico o privato. Non ha quindi importanza alcuna nessun ragionamento formale che si frapponga alla realizzazione di un tale risultato. È questa una tecnica di anticipazione dei risultati voluti, che viene fatta convivere con i poteri in- terpretativi della Corte di Giustizia, mediante l’affermazione dell’interpre- tazione dello «spirito dei trattati» 10. Onde deve venire selezionata la rego- la più adatta alla struttura dell’Unione 11, e tale regola è quella dell’auto- nomia negoziale libera da restrizioni o distorsioni della concorrenza. In tal senso viene utilizzata anche la comparazione giuridica, nella prospettiva della comparazione critica 12, ovvero come comparazione non già volta al recepimento delle regole in vigore nella maggior parte degli Stati, ma anzi come comparazione che deve rintracciare la soluzione più avanzata, nel senso della soluzione più aderente alla struttura dell’Unione, anche se es- sa è minoritaria nel diritto dei singoli Stati 13. Il metodo dell’anticipazione del risultato voluto viene così modulato anche sugli schemi dell’erme- neutica giuridica e della comparazione giuridica, pur essendo chiaro che
10 Cfr. anche X. Xxxxxxx, Il ruolo interpretativo della Corte di Giustizia, in Riv. crit. dir. priv., 2000, p. 275 ss.
11 CGCE, 3 febbraio 1994, C 308/87. Tale criterio prevale anche sull’interpretazione lettera- le: CGCE, 11 luglio 1985, C 107/84.
12 CGCE, 3 febbraio 1994, cit. Attualmente questa impostazione può considerarsi come paci- fica; cfr. Pernice, Sub Art. 164 EGV, in X. Xxxxxxx, X. Xxxx (Hrsg.), Das Xxxxx xxx Xxxxxxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxx, 0000, n. 58; X. Xxxxxxxxx, La struttura, cit., p. 374.
13 CGCE, 12 luglio 1962, C 14/61.
esso non ha in realtà a che fare né con la ricerca del significato delle paro- le dei testi dei trattati, né con la ricerca delle soluzioni in vigore nei singoli ordinamenti degli Stati membri dell’Unione.
Un tale risultato così anticipato non è tuttavia un risultato chiuso, ma un ordine aperto, nel senso della definizione di libertà di von Xxxxx 14, secondo cui la libertà è interessante, dal punto di vista del processo eco- nomico, come processo decentrato di ricerca di soluzioni economiche, solo se non può venire predetto in anticipo che uso verrà fatto di una tale libertà. Alla visione ordoliberale dell’ordinamento comunitario non inte- ressano quindi gli esisti sociali concreti cui conduce l’autonomia concor- renziale, ma soltanto la sua sussistenza, indipendentemente da ogni for- malismo giuridico. Si tratta, in questo senso, di una visione sintattica della libertà economica, che prescinde da qualsiasi valutazione semantica, degli esiti sociali raggiunti.
In tal modo il paradigma dell’autonomia negoziale, in particolare del- l’autonomia negoziale delle transazioni commerciali bilaterali, diviene un paradigma per il modello stesso della società in senso più ampio. Giacché tutti gli esisti sociali dovrebbero, in ultima analisi, essere il risultato indi- scutibile, cioè non sottoponibile a critica né politica, né giuridica, delle decisioni liberamente prese dagli operatori economici, pubblici e privati, al riparo dai poteri pubblici e privati, ovvero in regime di concorrenza. Laddove per libertà occorre intendere lo spazio vuoto residuo dalla man- cata influenza sulle decisioni negoziali di un potere estraneo alla transa- zione, sia esso dovuto alla posizione di dominio sul mercato, o ad una po- sizione di preminenza dell’ordinamento pubblico degli Stati.
Gli stati devono in tal modo venire ridotti al rango delle imprese, ovve- ro, per essere più precisi, gli stati non sono che singole organizzazioni che devono agire all’interno dell’ordinamento giuridico complessivo della so- cietà con i medesimi poteri e le stesse limitazioni delle singole organizza- zioni economiche private. La conseguenza di questa impostazione è, ov- viamente, quella per cui il diritto privato finisce per porsi quale necessario ordinamento generale della società, mentre i singoli diritti pubblici non sono che le strutture giuridiche interne di cui si dotano i singoli stati, e che non possono contrastare con l’ordinamento privatistico generale.
Ben si vede, come appunto dicevamo, come la costruzione dell’auto- nomia negoziale transfrontaliera, nel suo venire sottratta alle legislazioni nazionali, si ponga effettivamente quale paradigma di una tale costruzione di pensiero, che pone quindi il diritto pubblico al di sotto delle regole ge- nerali del diritto privato, quale ordinamento globale della società. Siamo qui, allora, di fronte ad un sovvertimento completo della teoria della rela-
14 X. xxx Xxxxx, Legge, legislazione e libertà (1973-79), Milano, 1986.
zione fra diritto pubblico e privato, quale è stata costruita ed ereditata fino agli ultimi decenni del secolo scorso.
Una tale impostazione ordoliberale tende a presentarsi come tranquil- lizzante. L’impresa pubblica non è affatto demonizzata, essa deve sempli- cemente sottostare alle medesime regole dell’impresa privata. Anche l’azione politica dello Stato non è affatto combattuta: quale singola orga- nizzazione all’interno del più generale ordinamento giuridico della socie- tà, lo stato può perseguire tutti gli obiettivi che ha intenzione di seguire, ma nel far ciò non deve semplicemente oltrepassare od ostacolare, il gio- co dell’autonomia negoziale.
È evidente però come tale impostazione, che è effettivamente quella dominante nella ricostruzione dell’ordine giuridico europeo, privi in realtà lo Stato della sua effettiva libertà di azione politica superiore, degradando- lo ad una formazione territoriale di diritto pubblico non dissimile, se non nelle dimensioni, alle regioni o ai comuni. Lo Stato non è infatti più libero di determinare le condizioni di esistenza storica della società civile. È semmai la società civile che ha definitivamente imposto le proprie forme allo Stato, e che lo utilizza con meri scopi amministrativi, sempre all’inter- no dell’azione condotta attraverso l’utilizzo della autonomia negoziale, e quindi sempre e soltanto come controparte contrattuale, che deve agire con il consenso degli altri contraenti. Per così dire la forma borghese della società diviene la costituzione materiale entro cui deve muoversi anche l’azione politica dello stato.
2. La questione delle fonti: la comparazione critica e i principi del diritto contrattuale europeo
Data la rilevanza dei temi in cui si dipana l’edificazione del diritto eu- ropeo dei contratti, occorre, allora, osservare in quale modo tale diritto è stato costruito come diritto positivo.
Orbene, il diritto europeo dei contratti, come altre parti del diritto eu- ropeo, è stato costruito in base ad una impostazione funzionale applicata all’interpretazioni di fonti limitate e circoscritte, per trasformarle in un in- sieme di principi di portata generale. Il centro di applicazione di tale im- postazione funzionale è, infatti, stata una interpretazione dei trattati che si è ampiamente discostata dalle regole classiche di interpretazione degli ac- cordi sopranazionali. Le fonti di tale diritto sono, perciò, al momento da individuare tanto nelle disposizioni dei trattati istitutivi, quanto nelle diret- tive e regolamenti sui singoli contratti. Poiché ciò che qui ci interessa è un discorso sul contratto in generale, e semmai sulle categorie generali del contratto, a prescindere da singoli tipicamente regolati, è soprattutto al primo tipo di fonti che dedicheremo attenzione.
È in tale ambito, allora, che si pone la questione essenziale dei principi generali quali ossatura di un possibile jus commune europeo. Questione che viene orami pacificamente impostata sulla base della indagine comparativa volta alla ricostruzione delle radici storiche comuni 15. Ovvero la comunità scientifica ha accettato l’impostazione secondo cui i principi generali nel di- ritto europeo devono, e possono, scaturire dall’indagine storico comparativa volta all’affermazione delle radici comuni. Generali sono quindi quei prin- cipi che si possono ritrovare nel passato comune dei diritti europei: quasi una sorta di intrapresa ricostruttiva … dell’indoeuropeo arcaico.
Questa impostazione storico comparativa, oggi pacifica nella scienza, deve però scontrarsi con il diverso paradigma edificato dalla Corte di giusti- zia nel campo dei diritti umani. Il riferimento ai diritti umani è infatti stato assunto 16 come rilevante anche per l’autonomia negoziale, atteso che quest’ultima è stata edificata come estrinsecazione delle libertà fondamen- tali, e quindi come limitazione alla libertà delle legislazioni nazionali.
Orbene tale paradigma si fonda non tanto sull’impostazione storico comparativa, quanto sull’adozione di una prospettiva comparatistica criti- ca. Una tale prospettiva è stata efficacemente sviluppata dall’Avvocato ge- nerale Tesauro 17, e costituisce, ormai, il vero fondamento 18 della prassi interpretativa dei trattati da parte della Xxxxx xx Xxxxxxxxx 00. In base ad es- sa non ci si deve limitare a individuare i minimi comuni denominatori dei sistemi europei 20, ma si debbono ricercare le soluzioni più avanzate, cioè quelle meglio adatte alla struttura dell’Unione. Tali soluzioni più adatte alla struttura dell’Unione debbono prevalere anche quando siano diverse da quelle di singoli Stati, ed anche quando divergano da quelle della mag- gior parte 21 dei singoli Stati.
Si deve, però, allora, notare che la prospettiva comparatistica critica si risolve nella elaborazione di un concetto di struttura dell’Unione e nel re-
15 L’eroe eponimo di tale impostazione è diventato, ed è rimasto, X. Xxxxxxxxxx, The Xxx xx Xxxxxxxxxxx, Xxxx Xxxx, 0000. L’afflato attualizzante è però diffusissimo, cfr. X. Xxxxxx, Ius commune und Römisches Recht vor Gerichten der Europäischen Union, in JuS, 1996, p. 768 ss.
16 Cfr. X. Xxxxxxxxx, General Principles of Private Law and Ius Commune Modernum as Ap- plicable Law?, in Liber amicorum R.M. Buxbaum, Den Xxxx etc., 2000, p. 213 ss.
17 CGCE, 3 febbraio 1994, cit.
18 Cfr. X. Xxxxxxxxx, Europarecht, 6. Aufl., Köln etc., 1997, n. 605.
19 X. Xxxxxxxxx, La struttura, cit., p. 375.
20 Da questo punto di vista l’impostazione del Common Core of European Private Law, cozza, fin dalla propria origine, con la prospettiva comparatistica assunta dalla Corte di Giustizia, e stupi- sce grandemente come finora nessuno abbia notato questo aperto conflitto. Deve, perciò, risulta- re evidente la grande superficialità con cui in certo diritto comparato vengono affrontati i temi di diritto europeo.
21 CGCE, 17 dicembre 1970, C 11/70; CGCE, 13 luglio 1989, C 5/88; nonché X. Xxxxx, Ge- neral Principles of EC Law, London, 1998, p. 10.
perimento delle regole più adatte a tale struttura. Ben diverso è allora affi- darsi alla ricerca delle radici comuni 22, e, invece, affidarsi al controllo di adeguatezza dei principi alla struttura attuale dell’Unione.
Peraltro, come abbiamo detto, tale metodo è pure presentato come un metodo di interpretazione dei trattati che deve prevalere anche sull’inter- pretazione letterale degli stessi 23. Si tratta, allora, di una impostazione te- leologica delle questioni interpretative, che è divenuta nota come useful effect, effetto utile, che si riveste di un manto comparatistico, e che non attiene tanto alla storia, quanto al sistema, non già dei concetti, ma delle attuali istituzioni europee.
La questione dei principi generali viene, in tal modo, impostata median- te una loro individuazione in base all’indagine comparatistica critica, che più correttamente si rivela essere una ermeneutica teleologica guidata dall’edificazione di un concetto di struttura dell’Unione. Tali principi gene- rali includono la libertà negoziale transfrontaliera tra le libertà fondamentali dell’Unione, e devono trovare applicazione tutte le volte che l’Unione non abbia esercitato il potere legislativo nelle materie di sua competenza.
Inoltre, evidentemente, non sfuggono al sindacato della Corte anche le norme di diritto nazionale dei contratti inderogabilmente applicabili ai rap- porti internazionali 24. Infatti, proprio per la loro inderogabilità, tali norme sono in grado di porre ostacolo all’autonomia negoziale transfrontaliera, che deve, invece, risultare come uno spazio europeo intangibile da parte delle legislazioni statali. Proprio perciò tali norme vengono, quindi, assoggettate dalla Corte di Giustizia al controllo basato sulle libertà fondamentali 25.
Il richiamo a tali libertà comporta varie conseguenze: non ultima quel- la per cui, dal momento che le libertà fondamentali sono finalizzate a e- stendere l’autonomia negoziale, esse non possono venire invocate per correggerne l’esercizio 26. Ciò significa che l’imposizione di limiti all’auto- nomia negoziale delle parti si rende necessaria solo nei casi di «fallimento del mercato», laddove è compito della legislazione, nazionale o comunita- ria, definire questi casi. Onde ne segue che al di fuori dei casi di fallimen- to del mercato, correggere l’autonomia delle parti in base alle libertà fon- damentali sarebbe contraddittorio con lo scopo stesso di queste libertà, in quanto dirette a rafforzare l’autonomia 27. Si tratta qui di una evidente im-
22 Sulla costruzione di tali radici comuni come programmi di governance del diritto attuale, cfr. P.G. Xxxxxxxx, in Id., X. Xxxxx, X. Xxxxx, Le radici comuni del diritto europeo, Xxxx, 0000,
p. 19 ss.
23 CGCE, 11 luglio 1985, cit.
24 Sul punto cfr. X. Xxxxxxxxx, La struttura, cit., p. 372.
25 CGCE, 7 marzo 1990, C 362/88.
26 CGCE, 24 gennaio 1991, C 339/89.
27 Così testualmente X. Xxxxxxxx, La struttura, cit., p. 379.
postazione ordoliberale, che rinnova l’immagine di un contratto ottocen- tesco 28, che si ripropone sulla scena 29 … come i fantasmi di Xxxxxxx.
Tale immagine non è però univoca sulla scena europea, ed essa deve fare i conti con una ben diversa, e quasi opposta immagine che si ricava da altri modelli messi in moto dalla ricerca dei principi generali. La distin- zione, qui tracciata, tra l’impostazione storico comparativa della scienza, e quella comparativo critica della Corte, permette di chiarire l’ambito del riferimento ai restatement come fonti di cognizione dei principi generali europei in materia contrattuale.
Si dice, infatti, che per reperire tali principi siano utili i restatements a base dottrinale privata, quali i principi Unidroit e i principi elaborati dalla così detta Commissione Lando 30. Siamo però in tal modo posti di fronte ad una evidente contraddizione, giacché tali restatement non corrispon- dono affatto alla metafora derivata dai restatement americani 31, non sono indagini comparatistiche in senso classico paradigmatico 32, e non rappre- sentano neanche un tentativo di elaborare in senso stretto il concetto di struttura dell’Unione 33. Si tratta, in realtà, di costruzioni dottrinali sopra- nazionali di carattere sfuggente, che traggono la propria legittimazione da
28 Per altre critiche a tale impostazione, cfr. X. xxx Xxxxxxxxx, EG-Freiheiten und Vertra- gsrecht, in JZ, 1996, p. 595 ss.; X. Xxxxxxx, A Common Contract Law, cit., p. 1169.
29 Si veda come giustamente X. Xxxxx, Sul diritto europeo dei xxxxxxxxx, xxx., x. 000 x. xxxxx xx xxxxxxx contro l’atteggiamento «irenico» e «apologetico» che conduce a cantare acriticamente
«le magnifiche sorti e progressive» del diritto europeo dei contratti.
30 V. Unidroit (a cura di), Principles of International Commercial Contracts, Roma, 1994; non- ché X. Xxxxx, X. Xxxxx (eds.), Principles of European Contract Law, Dordrecht, 1999.
31 I restatement americani sono dovuti all’opera dell’American Law Institute, fondato nel 1923, con il coinvolgimento di autorovoli esponenti istituzionali quali il Chief Justice ed ex Presi- dente Xxxxxxx Xxxxxx Xxxx, il futuro Chief Justice Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxx, l’ex Segretario di Stato Xxxxx Xxxx, oltre ai giudici Xxxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxx e Learned Hand. Lo scopo dei restatement era quello di ridurre l’incertezza nell’applicazione dei principi del common law nelle varie giuri- sdizioni statali. Scopo che fu perseguito non già con la formulazione di ampi principi che espri- messero le regole desiderate, ma con lo studio degli operative facts dei casi concretamente decisi dalle corti, nel tentativo di formulare in black letters le regole stabilite dalle corti. V. infatti la criti- ca a tale movimento dei restatement, come movimento formalista del diritto, in X. Xxxxxxx, The Death of Contract, Xxxxxxxx, Xxxx, 0000, part. pp. 59-61. Chiunque approfondisca la materia, o anche solo legga i restatement americani, non può che rimanere impressionato dall’enorme differenza che li separa, nella concezione e nello stile, dalle raccolte di principi europei. D’altronde l’analogia coi restatement è sostenuta solamente dagli europei, non dagli americani, e con ovvia funzione di legittimazione dell’impresa.
32 Si tratta infatti di opere normative che cercano di dar fondamento in forza di un’autorità (anche se soltanto persuasiva) ad un sistema vincolante di nozioni, nel senso fatto palese da X. Xxxxxxxx, Storia del diritto privato moderno (1967), Milano, 1980, p. 60, nt. 17, nel tracciare la differenza fra discipline normative e storiografia giuridica; considerazioni che si adattano anche alla comparazione del diritto come scienza «storica» del medesimo, su cui x. X. Xxxxxxx, X.X. Xxxxxxxx, X. Xxxxx, Xxxx Comparazione giuridica, in Digesto civ., Vol. 3, Torino, 1988, p. 48 ss.
33 Sul carattere «culturale» dei restatement europei, carattere che sicuramente non hanno quelli americani, cfr. anche X. Xxxxx, Sul diritto europeo dei contratti, cit., p. 443.
una accettazione ex post, piuttosto che dall’adozione ex ante di un deter- minato metodo ben individuato.
Tale ricerca della legittimazione ex post ne condiziona in realtà la re- dazione, che tende, proprio in virtù di essa, a cercare di formulare principi tendenzialmente indefiniti e di amplissima portata, in quanto formulazioni sulle quali si può più facilmente coagulare un consenso anodino. Tuttavia il risultato finale di queste costruzioni, dal punto di vista della gerarchia delle norme, è che l’autonomia negoziale transfrontaliera si pone al di so- pra delle legislazioni nazionali. Con l’ulteriore risultato che, se si accettano i principi Xxxxx laddove l’interveto del principio di buona fede è dichiara- to indisponibile 34, e non derogabile dalle parti stesse, si ottiene che la buona fede come fonte del diritto è superiore alla stessa autonomia nego- ziale, che è superiore alle legislazioni nazionali, onde la buona fede assur- ge al vertice della piramide normativa.
Non è, ovviamente, qui il caso di montare una critica radicale 35 a questa impostazione 36, ma di mostrare come si dipanano, allora, i suoi corollari giu- ridici. Di mostrare cioè come tale filosofia del diritto privato come diritto ge- nerale della società, al cui interno deve muoversi il diritto pubblico sia, invero, uno dei fondamenti essenziali del diritto comunitario, come sistema giuridico, fondato su approcci sostanzialisti, che depassa le tradizioni nazionali europee. La possibile critica di una tale impostazione del diritto comunitario, se mai verrà svolta, dovrà puntare al centro stesso della sua elaborazione da parte della Corte di giustizia, dovrà cioè puntare nella direzione della critica degli strumenti ermeneutici predisposti per l’interpretazione dei trattati. Tali strumenti costituiscono essenzialmente una prassi, giacché, infatti, ancora non esiste una teoria esplicita dell’interpretazione della norma comunitaria, ma tale prassi è stata in grado di modificare la natura stessa dei trattati. Que- sti vengono redatti dalle cancellerie nazionali sulla base del presupposto del- la loro natura di Staatsvertäge, di contratti fra stati, suscettibili solo di stretta interpretazione. Viceversa essi vengono interpretati dalla Corte di giustizia, sulla base del loro «spirito», come «norme fondamentali» che danno vita ad una «struttura dell’Unione», che a sua volta funge da canone interpretativo
delle norme stesse, anche in senso antiletterale.
L’antitesi fra la prassi redazionale delle norme europee, e la prassi in- terpretativa delle norme europee è quindi completa e totale. Essa poggia anzi su una vera contraddizione irrisolta. Si tratta qui di un costrutto del pensiero che ben potrebbe rientrare nelle categorie del «realismo magico» del romanzo sudamericano.
34 Cfr. infra, par. 3.
35 Per la quale cfr. X. Xxxxx, Convergenze parallele, in Riv. crit. dir. priv., 2004, p. 61.
36 Si vedano inoltre le note critiche già svolte in X. Xxxxxxxxxx, La disciplina dell’atto e dell’attività, in X. Xxxxxx (a cura di), Diritto privato europeo, Vol. 2, Padova, 1997, part. p. 542 ss.
Come abbiamo visto l’unica teoria avanzata a sostegno di un tale mo- do di procedere è la teoria dell’interpretazione condotta sulla base della prospettiva comparatistica critica. È però qui facile mostrare che tale pro- spettiva non è né interpretazione (perché non ricerca il significato dei te- sti), né comparazione (perché non ricerca, rispettandole, le soluzioni con- crete presenti nei vari ordinamenti), né tantomeno critica, bensì una dog- matica ideologica europeista indiscutibile.
3. Due modelli contrapposti: contratto rugiadoso e contratto rude
Quanto siamo venuti sin qui dicendo tanto a proposito dell’autonomia ne- goziale ordoliberale, quanto dei principi generali, e del loro richiamo alla buona fede in senso oggettivo, come fattore di integrazione dei doveri contrattuali, po- ne in seria questione l’unicità dei modelli di riferimento del diritto contrattuale europeo. Xxxx, a ben guardare, noi ci troviamo qui di fronte quasi a due modelli contrapposti di contratto. Due modelli che nella loro contrapposizione si ritro- vano non solo, e non tanto, forse, a livello europeo, ma a livello mondiale.
Un primo modello di contratto può, sostanzialmente, delinearsi nel modo che segue: il contratto, da sempre, è un incontro, un luogo in cui le parti collaborano, per uno scopo comune; un gioco cooperativo. Questo
«luogo», questa radura di cooperazione, è un luogo tipizzato, anzi alta- mente tipizzato, dove le parti, come si dice, «pongono in essere» prodro- mi di blocchi di regole, che si animano da sole, che intervengono a casca- ta, una volta che sia compiuta la qualificazione giuridica del loro accordo. Proprio perché si tratta di uno spazio di collaborazione, questo luogo è denso di «buona fede». Ad essa si deve ricorrere per interpretarlo, per riempirlo, per valutare i comportamenti stessi delle parti.
Il trionfo di tale modello cooperativo di contratto lo si ritrova, come di- cevamo, nei Principi di diritto europeo dei contratti della commissione Lando, laddove la buona fede diviene irrinunciabile limite alla stessa au- tonomia privata: secondo l’art. 1:102 «le parti sono libere di stipulare con- tratti e di determinarne il contenuto, nel rispetto della buona fede e della correttezza, nonché delle norme imperative contenute nei Principi»; per l’art. 1:201 «le parti devono agire nel rispetto della buona fede e della correttezza» e «non possono escludere o limitare questo obbligo»; infine l’art. 1:202 dispone che «le parti sono tenute reciprocamente a cooperare al fine di dare piena esecuzione del contratto».
Senonché, e sempre con maggior contrasto, tale impostazione, che al- tre volte ho definito rugiadosa 37, finisce per cozzare non solo con quanto
37 Cfr. P.G. Monateri, Ripensare il contratto, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, x. 000 xx.
xx vede avvenire nella prassi 38, ma con la stessa concezione ordoliberale che sta a monte della costruzione europea dell’autonomia negoziale.
Rispetto a tale modello cooperativo si può invece delineare un model- lo alternativo del contratto che spezzi l’orizzonte della cooperazione, e che recuperi la natura antagonista del rapporto contrattuale: il contratto come tregua provvisoria fra le parti, nel contesto di un gioco conflittuale fra i loro interessi. Non che il contrasto di interessi fra le parti non si sapes- se, o non si valutasse, ciò che intendo è proprio però un porre al centro della scena tale antagonismo, in luogo di farlo emergere ai margini della cooperazione raggiunta tramite il consenso.
Se così facciamo, se cioè poniamo l’antagonismo al centro della scena, si può, allora, vedere come il consenso dato all’accordo sia sempre neces- sariamente un consenso parziale e limitato per essenza. Esso è sempre il frutto di un bargain fra parti antagoniste, quale tregua provvisoria su punti specificati dei loro rapporti conflittuali. Su quei punti, e non su altri, le parti hanno trovato una tregua. Come si vede si recupera qui un’idea del contratto che era quella tipica del diritto del lavoro rispetto alla contratta- zione collettiva. Da tale natura dell’accordo segue però, quasi de plano, che esso si è formato, per definizione, in modo incompleto rispetto all’universo delle possibili occorrenze e contingenze attuali e future. I «bu- chi» non sono una failure, ma parte integrante del processo antagonista, ed ogni loro riempimento aliunde non è che una violenza, che per essere attuata richiede una giustificazione ben più forte dell’usuale, giacché le viene meno la giustificazione cooperativa di fondo, che il giudice sia lì per aiutare le parti a meglio chiarire le loro idee; che il giudice possa fare per le parti quel contratto che le parti stesse avrebbero voluto, se si fossero immaginate l’occorrenza di quelle contingenze che non hanno previsto. Quest’idea, per quanto autorevolmente sostenuta da vari, e baldanzosi, autori dell’analisi economica, appare nell’ottica antagonista una immedia- ta sciocchezza: non si può riempire una tregua provvisoria, e se lo si fa, lo si fa rompendola ulteriormente, e spostandone tutti i vari equilibri.
Naturalmente se scompare l’orizzonte rugiadoso della cooperazione, si appanna anche quello della buona fede. Gli antagonisti possono ben vin- colarsi a regole di fair play, e possono appunto volere che si giochi by the rules, anzi normalmente lo vogliono, ma ciò assume ovviamente un senso ben diverso da quello usuale; innanzitutto tale buona fede dell’agon, ri- chiede di essere una buona fede delle mosse ammesse, non degli impegni
38 Laddove sempre più si vedono, invece, allungarsi i testi contrattuali, onde prevenire inte- grazioni diverse da quelle volute, in quel momento, dalle parti; e si vede recepire un lessico ed una terminologia, che sempre più fanno esplicito riferimento alle prassi contrattuali inglesi e ame- ricane, lontane dall’impostazione tedesca o continentale della buona fede, e dove anche si assiste al ragionare sempre meno per tipi di contratti, e sempre più per tipi di clausole e di termini con- trattuali da assoggettare al solo criterio letterale di interpretazione.
assunti, cioè una buona fede come regole di fair dealing la cui infrazione comporta una responsabilità, e non una buona fede fonte di integrazione dei doveri contrattuali. Infatti, le parti in cooperazione rugiadosa hanno come sfondo anche gli impegni di buona fede, giacché l’intero spazio del- la cooperazione non può che essere pervaso dalla buona fede in senso oggettivo. Viceversa, per le parti che fra loro attuano una tregua provviso- ria, ogni dichiarazione che rilasciano alla controparte è qualcosa che potrà essere utilizzata contro di loro. Come tale essa deve venire dall’altra parte ottenuta giocando by the rules, ma il suo contenuto deve essere quello, e quello soltanto, cui una parte ha consentito di vincolarsi. In sostanza la scelta delle parole del testo, che viene rilasciato alla controparte, affinché lo utilizzi contro di noi, diviene una scelta essenziale ed esiziale. Anzi maggiore è l’antagonismo degli interessi in gioco, minore è la possibilità di invocare, da un punto di vista neutrale, che qualche impegno scaturisca fuori dal cappello a cilindro dei prestigiatori della buona fede, e, nuova- mente, chiedo perdono ai lettori per tale immagine.
Tutto ciò può, ovviamente, avvenire da un punto di vista non neutrale, dettato da ragioni di politica di protezione di alcune parti contro altre, come in effetti vedremo esser corretto nel caso dei contratti col consuma- tore, onde si accentua il carattere politico di tali protezioni, ma diviene stolido se giustificato in base alla neutralità apolitica.
Come si vede la visione del contratto rude, rispetto a quello rugiadoso, svela anzitutto la dimensione ideologica dei discorsi consueti sul contratto, nel senso di falsa coscienza della realtà, di questi ultimi. Buona fede og- gettiva, e interventi del giudice, come soggetto esterno, che giunge a for- mulare un accordo come lo avrebbero formulato le parti, se avessero avu- to il tempo e le risorse per figurarsi il casus omissus, sono essenzialmente strumenti ideologici che cadono nel vuoto quando viene messo in discus- sione il loro basamento rugiadoso. Segue, infatti, ancora, che in tale visio- ne devono valere regole strette di interpretazione del testo contrattuale. A questo punto cioè i vari canoni ermeneutici di interpretazione del contrat- to devono venire corretti in funzione di come la dichiarazione contrattua- le rilasciata dalla controparte poteva essere intesa in buona fede, cioè con particolare attenzione ai termini da essa utilizzati, dal destinatario di essa. Così come i comportamenti antecedenti e successivi delle parti possono gettar luce solo sulla choice of words effettivamente utilizzata nella dichia- razione, per quanto essa poteva valere come impegno circoscritto.
Le formule stesse del ragionevole affidamento debbono quindi venir intese in senso restrittivo: fin dove era effettivamente ragionevole che una parte facesse affidamento sul senso delle parole utilizzate dall’altra? Si ba- di, appunto, che qui non è in questione una rivalutazione dell’accordo quale elemento principe del contratto, ma una valutazione, in senso circo- scritto, delle dichiarazioni di impegno che ciascun antagonista contrattuale
rilascia all’altro. La formula dell’incontro delle volontà va allora intesa nel senso restrittivo, per cui si è sicuri che tale incontro si è realizzato quasi solo in presenza di un testo chiaro. Ed anzi vi è da chiedersi se, in assenza di un testo ambiguo, possa darsi alcuna rilevanza agli altri canoni erme- neutici. Il vincolo si estende solo alla chiarezza; l’ambiguità non diviene giuridicamente implementabile. È appena il caso di ricordare come tale soluzione addossi (e giustamente) alle parti i costi sociali generati dalla lo- ro ambiguità, e quindi incentivi una choice of words chiara e precisa, sen- za poter far sponda su un monitoraggio giudiziale posto a carico della col- lettività.
Prendere sul serio la teoria dell’incompletezza contrattuale, come com- ponente essenziale della tregua circoscritta, raggiunta nel contratto dalle parti, fra le quali prosegue aliunde la lotta di mercato, significa proprio che il contratto non si estende a quanto in esso non espressamente previsto. Una materia analoga, per quanto collegata all’affare dedotto nel contratto, non è coperta dal contratto, cioè non rientra nell’impegno contrattuale assunto dalla parte di cui si chiede l’adempimento. Se la parte, che ne richiede il presunto adempimento, voleva includerla nel regolamento contrattuale, do- veva ottenerne l’inclusione espressa, investendo più tempo e risorse nella contrattazione, ed eventualmente offrendo un bargain migliore, un prezzo più alto, suoi impegni ulteriori, alla controparte. Se ciò non ha fatto (il ché diviene un nuovo perno dell’asse della causa) ma ciò viene creato, con costi sociali, a scapito di una controparte, che, a questo punto, riceve meno di quanto aveva pattuito, dato che il suo impegno tacito si rivela superiore all’impegno espresso cui si era vincolata, allora, in nome della buona fede o altro, si crea, in realtà, uno squilibrio contrattuale a favore di una parte con- tro un’altra, che può essere giustificato solo politicamente, ma non da un punto di vista di terzietà neutrale. Agire altrimenti significherebbe sopperire, con aggravio della collettività, ad una failure nella strategia di contrattazione di una delle parti in gioco, sostanzialmente sovvenzionandola nelle sue pre- tese. Il che quindi diventa ammissibile solo in presenza di parti dotate all’origine di beni situazionali assai diversi (appunto, ad esempio, il caso dell’impresa e del consumatore).
D’altronde espungere la materia collegata, ma non coperta espressa- mente dal testo contrattuale, non significa respingerla in un vuoto giuridi- co. Essa può divenire precisamente oggetto, non di una responsabilità contrattuale, bensì di una responsabilità extracontrattuale. Il diritto della responsabilità civile, in quanto appunto prescinde dagli impegni contrat- tuali, è sempre lì, ed anzi si chiarisce come sia lì quale sfondo, o sponda, per quei comportamenti che il processo di contrattazione non ha chiara- mente riportato all’interno del contratto stesso.
In sostanza, si ha qui un contrasto netto fra un contratto rugiadoso (buona fede, obblighi di renseignements, cooperazione, giustizia) ma roc-
cioso (causa, tipi, blocchi); ed un diverso contratto più rude (importanza estrema dei testi, e quindi loro lunghezza, con pochi obblighi e poche re- sponsabilità fuori dal testo) ma fluido (autonomo, atipico, sfuggente alle qualificazioni).
4. Il problema della causa e della qualificazione degli accordi
Da quanto veniamo dicendo risulta anche evidente, allora, come, all’interno del modello antagonista del contratto, salti l’impostazione della causa quale scopo oggettivo comune dei contraenti, che, lo si vede, trae la sua giustificazione dall’assunto della natura cooperativa dell’accordo. In luogo di essa rimane la teoria della causa come asse, stabilito dalle parti, fra gli impegni dell’una e quelli dell’altra, onde, appunto, quanto viene offerto determina la misura di quanto viene richiesto, ma non nel senso del riequilibrio delle prestazioni, sibbene nel senso della loro non estendi- bilità al di là del contenuto esplicito del contratto. Nella loro tregua le par- ti hanno stabilito che A era il corrispettivo di B, onde né A né B possono venire diversamente estesi.
Un tale slittamento di senso non è privo di conseguenze dal punto di vi- sta della qualificazione del rapporto. Se infatti viene meno la nozione ogget- tiva di causa, che come tale prescinde dal voluto soggettivo delle parti, e dagli interessi contrastanti delle parti stesse, per accomunarle in un unico destino normativo, viene meno anche lo strumento principe per la qualifi- cazione in tipi del loro rapporto, e la sua disponibilità da parte del giudice, anche al di là, e contro, le qualificazioni stesse operate dalle parti. Delle due l’una: o le parti hanno fatto espressa e congiunta menzione di uno dei tipi contrattuali, o non l’hanno fatta. Se esse hanno proceduto alla qualificazio- ne, evidentemente esse hanno inteso con ciò richiamare tutte le varie regole che automaticamente si riallacciano a quel tipo contrattuale. Esse cioè le hanno espressamente recepite nell’ambito esplicito del contratto.
Ciò deve pure significare qualcosa per il giudice, che non è più lì per rifare il contratto per le parti, per la buona ragione che le parti non sono una coalizione unitaria, che unitariamente chiede aiuto al giudice, ma rappresentano poli antagonisti, onde se il giudice rifà il contratto, lo rifà non per le parti, ma per una delle parti. Il che è politicamente giustificato solo in casi determinati di protezione, ma non nella generalità dei casi.
L’applicazione di una qualificazione, diversa da quella stabilita dalle parti, ha senso solo in quanto applicazione di una regola imperativa, che richiede di essere applicata in quel rapporto, onde, in tal caso, il compor- tamento qualificatorio, attuato delle parti, si pone come elusivo di una di- sciplina imperativa. Finché, però, parliamo di applicazione di regole di- spositive, la scelta contrattata sulla qualificazione dell’accordo fa sì che la
parte, che ora disconosce la qualificazione cui aveva aderito, debba soc- combere e ad essa rimanere legata.
Le conseguenze ulteriori del venir meno della causa come scopo og- gettivo dei contraenti, per la teoria dei tipi contrattuali necessitano, con evidenza, d’un ulteriore meditato approfondimento, ma intanto appare chiaro come i vari tipi si pongano solo come depositi di regole per abbre- viare, qualora le parti lo vogliano, mediante accordo sulla qualificazione, i testi contrattuali stessi. Cioè «il» contratto, in generale, deve prendere fi- nalmente il sopravvento sui singoli contratti. Xxxx, quei singoli contratti devono, e finalmente, diventare le semplici ancelle del contratto, il quale solo occasionalmente trova presso di loro la sua dimora. La riconduzione dell’accordo ad uno dei tipi, legislativamente o giurisprudenzialmente previsti, tiene solamente luogo delle clausole, e dei termini, che le parti non hanno creduto di riproporre nello scritto.
La questione dell’eventuale contratto incompatibile con il tipo prescel- to dalle parti deve, nuovamente, porsi in questi termini: o il rapporto ri- chiede l’applicazione di una disciplina impositiva, che le parti hanno cer- cato di eludere, ed allora essa dovrà venire applicata; oppure, per quanto concerne le mere norme dispositive, si è in presenza di pezzi di dichiara- zioni incongruenti e contraddittorie, e si dovrà allora procedere in tal sen- so, come già oggi avviene in tali casi, senza però poter semplicemente o- bliterare la scelta qualificatoria operata dalle parti, proprio perché essa è un pezzo della dichiarazione, che si è chiamati a risolvere, ed ha lo stesso valore degli altri pezzi della medesima.
Se, dunque, muoviamo in questa direzione, allora, a ben vedere, la cau- sa si pone come il nesso stabilito dalle parti tra le loro prestazioni, rimanen- do oggettiva, in quanto scambio, e perciò fattore governante, misura, di quanto è dovuto, ragione dell’impegno, e quindi anche delle responsabilità, ma non in quanto scopo cooperativo comune, sibbene quale misura della tregua, allorché questa venuta meno, l’una e l’altra parte cercano di invoca- re di più di quanto l’una e l’altra vorrebbero ora concedere. Del resto il contratto concerne uno scambio di cui l’una e l’altra danno ora interpreta- zioni opposte, e sul quale, quindi, il giudice deve ragionare come di fronte ad una fatto economico, in presenza di considerazioni giuridiche opposte, non per rifare il contratto per le parti, ma per determinare, nell’agon delle parti, quale interpretazione può vincere, quale non si spinge troppo oltre l’orizzonte dei fatti di scambio; così come nella considerazione delle dichia- razioni, quale fatto storico, determina quale interpretazione della volontà meglio si adatta a tale storicità delle dichiarazioni. In questo senso le dichia- razioni sono tanto oggettive quanto lo scambio, mentre l’intento non è che il risultato di una argomentazione su questi fatti.
Tutto ciò, infine, non muta di fronte all’impegno gratuito, laddove, riempite le condizioni varie che rendono giuridico tale impegno nel nostro
ordinamento, l’assenza di contropartita onerosa vale proprio a determina- re la minor ampiezza degli obblighi e delle responsabilità. Ed, anzi, pro- prio la gratuità dell’impegno lo fa apparire come episodio circoscritto, do- ve spetta al giudice stabilirne i confini, più che scoprirne i risvolti inaspet- tati. Il giudice è più un agrimensore, che un Xxxxxxxxxx Xxxxxxx.
5. Il contratto: civilistico, fra imprese, col consumatore, fra soggetti professionalmente ineguali
Le conseguenze del discorso fin qui condotto vanno nella direzione di indicare una divaricazione netta nel percorso del contratto europeo: da un lato il contratto concluso fra impresa e consumatore (transazione com- merciale unilaterale), dall’altro il contratto come transazione commerciale bilaterale. In questo modo la tutela contrattuale del consumatore si pone come schema generale alternativo, con pari dignità, come fattispecie coor- dinata di impostazione generale nel proprio campo di applicazione. In essa le ragioni di tutela, legislativamente vagliate, impongono considerazioni pe- culiari, in ragione della stessa efficienza economica delle transazioni.
Si tratta, quindi, di assistere al sorgere di due orizzonti contrattuali di- versi e paralleli. Da un punto di vista teorico è facile vedere nel contratto col consumatore un’ipotesi speciale rispetto alla fattispecie generale del contratto, e costruire, quindi, il classico rapporto di specialità fra la prima e la seconda figura di contratto. Nondimeno tale facile specialità nasconde in realtà una vera e propria diversa valutazione dei rapporti in gioco, così che – soprattutto se si accentua la considerazione del trend finora visto dell’antagonismo contrattuale, onde la figura generale del contratto si indi- rizza verso una particolare considerazione dell’accordo raggiunto in ter- mini di tregua provvisoria fra parti essenzialmente contrastanti – altrettan- to evidentemente la figura del contratto col consumatore vede una pecu- liare valutazione legislativa della «tregua» che può essere raggiunta, che legittima, infine, una costruzione di tale figura speciale di contratto come vero e proprio paradigma alternativo, che, pur rimanendo nell’ambito dell’accordo contrattuale, segue logiche sue proprie particolarmente di- vergenti da quelle seguite nella costruzione odierna del contratto in gene- rale. Queste ragioni inducono quindi alla considerazione del contratto col consumatore come categoria coordinata e parallela a quella del contratto in generale, e non come mera ipotesi speciale del primo.
Una tale visione non può che uscire rafforzata dalle considerazioni pratiche che attengono al contratto e al commercio elettronico, dove, evi- dentemente, si pone in modo ben diverso la costruzione di un eventuale accordo elettronicamente perfezionato fra, ad esempio, imprenditori, e la disciplina dei contratti click and point con i consumatori in un mercato
che non conosce per definizione confini nazionali facilmente maneggiabili dalle tecniche consuete del diritto.
In sostanza così come, nel settore della responsabilità civile, si è giunti a riconoscere un rapporto di coordinazione fra ipotesi fondate sulla colpa, e ipotesi di strict liability, che prescinde dal mero rapporto di specialità fra fattispecie, pur riconoscendo alla colpa le caratteristiche di un criterio ge- nerale di prevenzione degli incidenti, allo stesso modo si può, e si deve, giungere alla costruzione di un rapporto di coordinazione fra le ipotesi contrattuali che valgono come paradigma di sfondo dei contratti, e le ipo- tesi di contratti coi consumatori, che, pur riconoscendo la paradigmaticità delle prime, disconosca la mera costruzione di specialità delle seconde, in favore della costruzione di una coordinazione parallela tra figure che non seguono più la medesima logica, ma anzi logiche divergenti.
Tale divaricazione del percorso del contratto non esaurisce però tutti gli ambiti che oggi si pongono come tendenzialmente difformi. Come di- cevamo all’inizio, infatti, oltre alle aree dei contratti «B to B», e «B to c», si pone il problema delle altre due aree: quelle contrassegnate come «c to c» e come «b to b».
La prima è, per ora, estranea alle tematiche del diritto europeo, ma è ovviamente rilevante. In essa si ritrova l’idea di un contratto puramente civilistico fra soggetti che non operano professionalmente. Questo è pro- babilmente l’ambito in cui meglio si esplica il modello del contratto coo- perativo, così come per l’ordinamento italiano è delineato dallo schema classico del Codice, laddove l’autonomia negoziale viene temperata dalla considerazione della buona fede oggettiva, della causa come scopo ogget- tivo comune ai contraenti, e quindi della tipizzazione sociale degli accordi sulla base dello schema della causa stessa.
Il tema del contratto «b to b», che ben attiene, come transazione commerciale bilaterale, anche all’ambito del diritto europeo, e che tanta parte gioca nei contratti di distribuzione, quindi in tutti quegli accordi che servono al funzionamento concreto della grande impresa al di fuori delle sue strutture interne, rimane invece un’area che deve ancora essere com- piutamente rimeditata e ricostruita. E questo è, forse, uno dei maggiori problemi che, oggi, ci stanno di fronte nel campo del diritto dei contratti.