COLLEGIO DI TORINO
COLLEGIO DI TORINO
composto dai signori:
(TO) XXXXXXXX XXXXXXXXX Presidente
(TO) XXXXXXXXX Membro designato dalla Banca d'Italia
(TO) BATTELLI Membro designato dalla Banca d'Italia
(TO) DALMOTTO Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(TO) DE XXXXXXXXX Xxxxxx designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXXXXXX XXXXXX XXXXXXXX GUASTALLA
Nella seduta del 11/04/2017 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
Parte ricorrente contesta la proposta di modifica unilaterale delle condizioni economiche del c/c che detiene presso l’intermediario convenuto. Chiede pertanto la restituzione di € 25,00 addebitati in data 31 dicembre 2016 a titolo di maggiorazione una tantum dell’importo previsto dalla voce contrattuale “Spese e competenze del periodo di liquidazione”.
Più precisamente, parte ricorrente è titolare di un conto corrente di corrispondenza ordinario, aperto presso un intermediario poi fuso con altri a costituire l’attuale resistente. In data 22/9/2016 gli perveniva una proposta di modifica unilaterale relativa alla voce contrattuale “Spese per elaborazione competenze del periodo di liquidazione” che veniva aumentata di € 25,00 alla luce dell’esborso sostenuto dalla Banca per la contribuzione al Fondo Nazionale di Risoluzione.
Il 14/11/2016 presentava un reclamo per chiedere il ritiro della detta proposta di modifica unilaterale, in quanto non rispettosa della normativa vigente; in particolare rilevava che:
- non si trattava di un’effettiva variazione di condizioni contrattuali in essere, ma di “un’aggiunta di costi di natura diversa ad una condizione contrattuale preesistente e quindi di un’impropria applicazione dell’art. 118 TUB”;
- “se anche la si volesse considerare una variazione di condizione contrattuale ex art.
118 TUB il motivo addotto non riveste il carattere di giustificato motivo”;
Con riscontro del 6/12/2016 l’intermediario confermava la correttezza del proprio operato. Il ricorrente presentava, quindi, ricorso all’ABF domandando la restituzione dell’importo di
€ 25,00, in considerazione del fatto che “quando codesto spettabile Xxxxxxx deciderà in merito al presente ricorso saranno già stati addebitati (in data 31 dicembre 2016) i 25,00 euro” che costituiscono la maggiorazione oggetto della modifica unilaterale de qua.
Le argomentazioni del Cliente sono articolate come segue:
• trattandosi di “una voce avulsa dalle spese cui è imputata” sarebbe stato “aggirato il divieto di introdurre, con la procedura dell’art. 118 TUB, clausole in precedenza non previste”;
• non sussisterebbe “alcun nesso causale […] tra un costo straordinario di 113,9 milioni di euro sostenuto nel 2015 e i costi 2016 per l’elaborazione delle competenze del periodo di liquidazione, considerato anche che per gli anni successivi al 2016 la proposta in esame riporta detti costi ai livelli precedenti”;
• “le modifiche normative di derivazione europea hanno come obiettivo di non far pagare ai contribuenti le crisi bancarie trasferendo l’onere alla clientela delle banche in crisi ed al sistema bancario tutelando comunque i depositanti sotto i 100.000,00 euro” e che pertanto la proposta dell’intermediario sarebbe “viziata da incoerenza normativa in quanto addebitandoci i 25,00 euro ci fa direttamente contribuire alla crisi di fine 2015 delle quattro banche pure essendo noi correntisti, di altra banca, con saldo inferiore ai 100.000,00 euro”;
È stato sottolineato come l’intermediario convenuto abbia chiuso il 2015 in utile e si sono messi altresì in luce alcuni elementi di opacità della proposta in quanto la medesima: a) non chiarisce se vengano recuperati solo i costi straordinari; b) non spiega perché venga applicato ai ricorrenti l’importo massimo di € 25,00; c) non evidenzia se detti costi siano addebitati a tutti i rapporti o solo ai conti correnti.
La parte ricorrente ha dunque domandato la restituzione di € 25,00 “per i motivi già esposti nel reclamo e qui di seguito riportati tenendo anche conto della risposta pervenutaci dall’intermediario”.
L’intermediario resistente ha controdedotto come segue:
- ha fatto presente come, nel caso oggetto del presente ricorso, sia stata modificata
– in modalità una tantum – una condizione economica prevista nei contratti a tempo indeterminato;
- ha affermato che non sono state introdotte condizioni economiche nuove;
- ha precisato di aver rispettato il termine di preavviso di cui all’art. 118 TUB nell’invio della “Proposta di modifica unilaterale del contratto”;
- ha respinto l’assunto del ricorrente secondo cui mancherebbe, nel caso di specie, il giustificato motivo, argomentando come segue:
• la Banca d’Italia, in attuazione dell’art. 78, d.lgs. 180/2015 ha emanato il Provvedimento n. 1226609 del 18/11/2015 con il quale ha istituito il Fondo Nazionale di risoluzione cui le Banche sono chiamate a contribuire nella misura determinata dalla Banca d’Italia;
• la scelta di aderire o meno al fondo non presenta carattere potestativo per le singole Banche;
• l’istituzione del Fondo di risoluzione ed il relativo obbligo per le Banche di alimentarlo vanno “ad aggravare in maniera inequivoca l’assetto patrimoniale delle stesse sì da riflettersi sull’equilibrio dei singoli rapporti
contrattuali intercorrenti con i clienti e costituire quindi il legittimo presupposto per l’applicazione dello ius variandi”;
• è stata citata a tal proposito la Circolare del Ministero dello Sviluppo Economico n. 5574 del 21 Febbraio 2007 nella parte in cui ricomprende tra gli eventi che possono costituire giustificato motivo la “variazione di condizioni economiche generali”: viene chiarito come proprio l’inasprimento dei costi di produzione dell’impresa bancaria, dovuto esclusivamente ad un fattore esterno, legittimi il ricorso allo strumento di riequilibrio contrattuale di cui all’art. 118 TUB (sono altresì richiamate, a supporto, alcune pronunce dell’Arbitro Bancario e Finanziario in tema di ius variandi: Coll. Coord., decisioni nn. 1889 e 1891 del 26/2/2016; Coll. Roma, decisione n. 2202 del 23/4/2013; Coll. Roma, decisione n. 3981 del 23/11/2012);
• è stato sottolineato come, nel caso in questione “il factum principis valido e idoneo a integrare il requisito del giustificato motivo ai sensi dell’art. 118 TUB risieda nelle conseguenze per la Banca, impreviste e sopravvenute, derivanti dal recepimento nell’ordinamento italiano della Direttiva Comunitaria 2014/59/CE […] che avrebbe provocato uno squilibrio giuridico - economico delle posizioni delle parti nel sinallagma contrattuale;
• è evidenziato che la normativa vigente non vieta agli intermediari di ricorrere all’esercizio dello ius variandi di cui all’art. 118 TUB in quanto “l’obiettivo precipuo della Direttiva 2014/59/UE, recepita in Italia dal D.Lgs. n. 180/2015 è certamente quello di tutelare i fondi e le attività dei Clienti degli enti in crisi o in dissesto, evitando per quanto possibile che gli Stati membri debbano procedere al salvataggio degli enti stessi utilizzando il denaro dei “contribuenti”, e comunque riducendo al minimo i costi per i “contribuenti”, con evidente riferimento al rapporto tra il cittadino e lo Stato e non al rapporto Cliente – Banca” (vi è un rimando ai considerando nn. 1, 5, 31 e 67 della Direttiva richiamata).
- ha affermato che “il testo della proposta contiene l’esatta e puntuale esplicazione del giustificato motivo” e che l’importo dei contributi versati dalla parte resistente è verificabile dai terzi “sia in virtù del regime di pubblicità legale cui è soggetta ogni banca sia in virtù dell’obbligo di rendiconto (assolto mediante pubblicazione sul sito istituzionale) che ha Banca d’Italia”;
- ha specificato di aver ripartito “l’impatto sostenuto su tutti i rapporti di conto corrente in essere”, essendo questo il prodotto più diffuso in Banca, in modo tale da “dare garanzia di non concentrare l’effetto solo su una parte della clientela”.
L’intermediario ha chiesto il rigetto del ricorso “in quanto privo di fondamento sia in fatto che in diritto per tutti i motivi esposti e argomentati in narrativa”.
DIRITTO
Prima di esaminare nel merito la controversia sembra opportuno riportare alcuni aspetti essenziali ai fini della decisione.
Pur non risultando agli atti di questo procedimento il contratto di conto corrente in essere tra le parti, appaiono però pacifiche sia l’astratta possibilità dell’intermediario resistente di procedere a modifiche unilaterali del contratto in essere con il ricorrente ai sensi dell’art. 118 TUB sia l’avvenuta ricezione da parte del ricorrente della comunicazione relativa alla
modificazione operata dall’intermediario nonché il rispetto del termine di preavviso minimo previsto per legge.
La modifica concerne la clausola “Spese per elaborazione competenze del periodo di liquidazione”, che viene elevata a € 31,52.
Il “motivo” indicato dall’intermediario risiede nella seguente asserzione: “Il recepimento nell’Ordinamento Italiano della Direttiva Comunitaria 2014/59/UE, atta ad istituire un quadro armonizzato a livello europeo in tema di risoluzione delle crisi bancarie, ha imposto alle Banche nazionali l’obbligo di versare contributi al neo costituito Fondo Nazionale di Risoluzione. Per [l’intermediario resistente] detto contributo per il 2015 è stato di ***,* milioni di Euro, di cui ***,* milioni non ricorrenti e **,* milioni ricorrenti. Un versamento di tale entità costituisce evento di comprovabile effetto sugli equilibri economici della banca, la quale ha pertanto la necessità di mitigare il detto esborso. Ricorrono pertanto i presupposti – ai sensi di quanto previsto dall’art. 118 TUB - per proporre l’adeguamento delle condizioni economiche dei rapporti di conto corrente applicando una maggiorazione […]”.
Dal contesto della comunicazione non pare evincersi in maniera chiara che si tratta di modifica con effetti una tantum sul contratto.
Tale circostanza è invece espressa in modo esplicito dall’intermediario nella risposta al reclamo, dove può leggersi:
Ciò chiarito e venendo all’esame della presente vertenza, giova in questa sede ricordare i principali riferimenti (non solo della normativa primaria e secondaria) rilevanti per la soluzione del caso che ne occupa.
Come è noto, la banca può riservarsi la facoltà di modificare unilateralmente - anche in senso sfavorevole alla controparte - tassi, prezzi e altre condizioni per mezzo di clausole sottoposte a specifica approvazione da parte del cliente ai sensi dell’art. 117 del D. Lgs. n. 385/1993.
A questo proposito deve ricordarsi che, secondo un orientamento ormai consolidato, lo ius variandi riconosciuto agli intermediari – seppure la relativa comunicazione debba riportare la dicitura “proposta di modifica unilaterale del contratto” (ai sensi dell’art. 118, comma 2, del D. Lgs. n. 385/1993) – è, a tutti gli effetti, un diritto potestativo, che attribuisce il potere di modificare la sfera giuridica dell’altra parte, indipendentemente dall’accettazione o del rifiuto di quest’ultima. Gli effetti sono risolutivamente condizionati all’esercizio del recesso, potere riconosciuto in capo al cliente che subisca la modifica, in senso a sé sfavorevole, delle condizioni contrattuali.
Va, peraltro, altresì ricordato che il nuovo testo dell’art. 118 del D. Lgs. n. 385/1993 – risolvendo pregresse questioni di coordinamento tra la disciplina dei contratti bancari e il Codice del consumo – richiede espressamente l’indicazione di un “giustificato motivo” a supporto della proposta di modifica (l’art. 118, così sostituito dall’art. 4, comma 2, D. Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, recita testualmente: “Nei contratti a tempo indeterminato può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto
qualora sussista un giustificato motivo. Negli altri contratti di durata la facoltà di modifica unilaterale può essere convenuta esclusivamente per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse, sempre che sussista un giustificato motivo.
Qualunque modifica unilaterale delle condizioni contrattuali deve essere comunicata espressamente al cliente secondo modalità contenenti in modo evidenziato la formula: ‘Proposta di modifica unilaterale del contratto con preavviso minimo di due mesi, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente. Nei rapporti al portatore la comunicazione è effettuata secondo le modalità stabilite dal CICR. La modifica si intende approvata ove il cliente non receda, senza spese, dal contratto entro la data prevista per la sua applicazione. In tal caso, in sede di liquidazione del rapporto, il cliente ha diritto all’applicazione delle condizioni precedentemente praticate. […]”).
Sull’esercizio dello ius variandi e sulla nozione di giustificato motivo che deve accompagnarlo può costituire utile indice la Circolare del Ministero dello Sviluppo Economico del 21/2/2007, n. 5574, che – dopo aver chiarito che “le “modifiche” disciplinate dal nuovo art. 118 TUB, riguardando soltanto le fattispecie di variazioni previste dal contratto, non possono comportare l’introduzione di clausole ex novo” e individuato il giustificato motivo in “eventi di comprovabile effetto sul rapporto bancario” – ha precisato che “tali eventi possono essere sia quelli che afferiscono alla sfera del cliente (ad esempio, il mutamento del grado di affidabilità dello stesso in termini di rischio di credito) sia quelli che consistono in variazioni di condizioni economiche generali che possono riflettersi in un aumento dei costi operativi degli intermediari (ad esempio, tassi di interesse, inflazione ecc.)”; nella relativa comunicazione, dunque, “il cliente deve essere informato circa il giustificato motivo alla base della modifica unilaterale, in maniera sufficientemente precisa e tale da consentire una valutazione circa la congruità della variazione rispetto alla motivazione che ne è alla base”.
Anche la Banca d’Italia, nel provvedimento del 29/07/2009 (Trasparenza delle operazioni
e dei servizi degli intermediari finanziari) – versione in vigore dal 1° ottobre 2015 al 31 ottobre 2016 (intervallo di tempo in cui si situa la proposta di modifica unilaterale oggetto del presente ricorso) – ha chiarito che “Le condizioni e i limiti alla facoltà per l’intermediario di modificare unilateralmente le condizioni del contratto sono disciplinate dall’art. 118 del T.U.. Secondo il Ministero dello sviluppo economico le “modifiche” di cui all’art. 118 del T.U. riguardano soltanto le fattispecie di variazioni previste dal contratto, non possono comportare l’introduzione di nuove clausole. […]” (così la Sezione IV, Comunicazioni alla clientela - paragrafo 2, Variazioni contrattuali).
Sempre la Banca d’Italia nella nota prot. 864529/2014 – richiamata in alcuni punti dall’odierno ricorrente nel reclamo all’intermediario – aveva riscontrato alcune criticità nell’applicazione della norma in questione da parte del sistema bancario, rilevando quanto segue:
“1. Nell’ambito dei poteri di vigilanza attribuiti alla Banca d’Italia in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali e correttezza dei comportamenti nei confronti della clientela, sono stati condotti approfondimenti e verifiche in merito all’esercizio da parte degli intermediari del potere di modifica unilaterale delle condizioni dei contratti di durata in essere (c.d. ius variandi). […]
2. Gli esiti dell’attività svolta hanno posto in evidenza numerose criticità che, in alcuni casi, hanno dato luogo all’adozione di specifiche misure – anche sanzionatorie – nei confronti di singoli operatori.
Le carenze riscontrate sono da ricondurre:
a) al non puntuale rispetto degli obblighi di comunicazione previsti dalla normativa. In particolare sono emersi casi in cui le modifiche unilaterali sono state adottate in
mancanza di un congruo preavviso alla clientela interessata; ulteriori criticità hanno riguardato le motivazioni delle variazioni proposte, esposte alla clientela in termini generici e scarsamente intellegibili; sono stati altresì rilevati profili di incoerenza fra le modifiche contrattuali proposte alla clientela e le relative motivazioni; […]
3. Agli intermediari è richiesto di esercitare le proprie prerogative in materia di modifica unilaterale dei rapporti in essere, adottando tutte le cautele necessarie e di predisporre, a tal fine, adeguati presidi di natura organizzativa e procedurale, idonei a contenere i rischi legali e di reputazione connessi con l’esercizio dello ius variandi.
Essi devono assicurare che la preventiva informativa ai clienti – da rendere mediante documentazione che evidenzi la formula “Proposta di modifica unilaterale del contratto” – sia chiara nelle finalità e nelle motivazioni, sintetica e completa, verificabile e coerente con la programmata variazione contrattuale, nonché attenta al livello di alfabetizzazione finanziaria che è ragionevole attendersi dai destinatari. […]
Nel caso di modifiche riguardanti la generalità degli utenti o specifiche classi di clienti – specie se relative a operazioni di provvista – è infine opportuno che l’adozione della manovra massiva sia preceduta da un’accurata ponderazione dei possibili effetti sulla stabilità delle relazioni con la clientela e sulla reputazione dell’operatore. […]”.
Del resto, l’esigenza di una maggiore attenzione da parte degli operatori risulta confermata dall’esame delle numerose controversie sottoposte all’ABF negli ultimi anni; molte sono le decisioni che riguardano ipotesi in cui lo ius variandi è stato esercitato per inserire in contratto clausole in precedenza non previste.
Da ultimo, ancora la Banca d’Italia ha trasmesso agli intermediari, unitamente alla nota di cui supra, la recentissima nota 412631, approvata dal Direttorio in data 28/3/2017 in tema di ius variandi.
Questo documento, che appare estremamente rilevante per la soluzione della presente controversia, in quanto declina i casi in cui le modifiche unilaterali si manifestano come incoerenti rispetto al sistema di principi dato in materia di ius variandi, prevede testualmente quanto segue:
“La normativa di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti regola l’esercizio da parte degli intermediari bancari e finanziari del potere di modifica unilaterale delle condizioni dei contratti di durata in essere. La disciplina dell’art. 118 del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, TUB) prevede dei vincoli all’esercizio della facoltà da parte degli intermediari, con l’obiettivo di tutelare la clientela. In particolare:
- le modifiche sono consentite solo se previste da un’apposita clausola contrattuale specificamente sottoscritta dal cliente;
- le variazioni devono essere rette da un giustificato motivo e rese note alla clientela con anticipo, così da consentire al destinatario di verificarne la congruità rispetto alle sottostanti motivazioni e di valutare se mantenere il rapporto;
- in alcune circostanze l’esercizio dello jus variandi risulta precluso (nei contratti che hanno durata determinata (ad esempio, mutui) se il cliente è un consumatore o una micro-impresa non è consentita la modifica dei tassi d’interesse; se il cliente non è un consumatore né una microimpresa, la modifica dei tassi d’interesse è consentita solo a fronte di specifici eventi previsti dal contratto approvato dal cliente). Secondo il Ministero dello sviluppo economico, le modifiche unilaterali di cui all’art. 118 del TUB non possono comportare l’introduzione di clausole nuove (cfr. la nota del 21 febbraio 2007 del Ministero dello sviluppo economico).
Le variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le prescrizioni dell’art. 118 TUB sono inefficaci, se sfavorevoli per il cliente; possono dar luogo a contenziosi innanzi all’Autorità giudiziaria e a ricorsi all’Arbitro Bancario Finanziario. Variazioni unilaterali
percepite dai destinatari come inique incidono sul rapporto di fiducia con la clientela e sulla reputazione degli intermediari che le pongono in essere.
Nel 2014 la Banca d’Italia ha illustrato – con un comunicato pubblicato sul proprio sito internet– gli obblighi cui sono tenuti gli intermediari che intendono esercitare lo jus variandi e i diritti dei clienti destinatari delle proposte di modifica unilaterale.
Alle banche e agli altri intermediari vigilati è stato richiesto di adottare tutte le cautele necessarie a preservare le ragioni dei clienti, con presidi organizzativi e procedurali adeguati. Nel richiamare il contenuto delle indicazioni fornite nel 2014, si ribadisce l’esigenza di adottare particolare cautela nell’esercizio del potere di modifica unilaterale dei contratti, con condotte trasparenti e corrette che consentano al cliente di conoscere i presupposti della variazione proposta e di assumere scelte consapevoli, valutando le possibili alternative: prosecuzione del rapporto sulla base delle nuove condizioni contrattuali ovvero recesso dal contratto a suo tempo stipulato.
Non appaiono coerenti con i richiamati principi le modifiche unilaterali che:
- sono prive di specifica correlazione tra le tipologie di contratti e le tariffe interessati dalle variazioni, da un lato, e l’incremento dei costi posto a base della modifica, dall’altro lato;
- realizzano interventi sulle tariffe, anche una tantum, a fronte di costi allo stesso tempo già sostenuti, non ricorrenti e che hanno già esaurito i loro effetti, in quanto in questi casi non si pone un problema di riequilibrio pro futuro e in via continuativa dei reciproci impegni delle parti rispetto a quanto originariamente convenuto. Inoltre, interventi una tantum si traducono di fatto in prelievi occasionali che, dal punto di vista del cliente, riducono l’incentivo a valutare l’opportunità del recesso, anche nei casi in cui sarebbe conveniente. Inoltre ripetute manovre una tantum possono dare luogo ad un effetto di lock in della clientela che contrasta con le finalità della disciplina in tema di jus variandi;
- non sono giustificate da costi sopravvenuti alla stipula dei contratti interessati e non riguardano la sola parte incrementale;
- fanno riferimento a una pluralità di motivazioni (soluzione comunque da circoscrivere a casi limitati in quanto incide sulla chiarezza della rappresentazione alla clientela), senza illustrare il legame fra i singoli presupposti delle modifiche e gli interventi su prezzi e condizioni;
- esentano alcune tipologie di clienti facendo aumentare l’impatto della manovra sui clienti restanti, attraverso il recupero su di essi di una quota di costo supplementare.
Infine, qualora le policy interne rimettano la decisione di modificare il contenuto dei contratti in corso a strutture delegate, deve essere sempre garantita un’adeguata informativa agli organi di vertice, cui sono riferibili le responsabilità ultime di gestione e controllo dell’intermediario.
In considerazione di quanto precede, gli intermediari sono invitati a riesaminare analiticamente, nell’ambito di un’apposita riunione congiunta degli organi di gestione e controllo e con il coinvolgimento della Funzione di Compliance, la coerenza delle manovre unilaterali decise a partire da gennaio 2016 con il complessivo quadro di riferimento in materia di modifiche unilaterali. Nel caso vengano riscontrate incoerenze, andranno adottate le opportune iniziative correttive, inclusa se del caso la restituzione delle somme già percepite.
Le eventuali iniziative di rimedio formeranno oggetto di comunicazione alla Banca d’Italia, da inviare entro il 31 maggio 2017 all’indirizzo di posta elettronica certificata xxx@xxx.xxxxxxxxxxxx.xx; si rammenta che le modifiche unilaterali adottate ai sensi dell’art 118 del TUB sono soggette ai controlli previsti dall’art. 128 del medesimo Testo unico.”
Per quanto concerne il divieto di introdurre clausole nuove in contratto attraverso l’utilizzo dello strumento di cui all’art 118 TUB, l’orientamento dell’ABF è conforme alla normativa secondaria sopra riportata.
Come stabilito dal Collegio territoriale di Napoli nella decisione n. 300/2010, “Il potere di modifica unilaterale del contratto riconosciuto all’intermediario dall’art. 118 TUB, in quanto eccezione alla regola generale della immodificabilità del contratto senza il consenso di entrambe le parti, deve intendersi limitato alla possibilità di modificare clausole e condizioni - sia di carattere economico che di natura normativa - già esistenti, e non può spingersi sino al punto di introdurre clausole e condizioni del tutto nuove, tali da incidere in maniera sostanziale sull’equilibrio contrattuale, modificandone addirittura parzialmente la natura” (conf.: Coll. Napoli, n. 192/2010, n. 460/2010, n. 618/2010, n. 980/2010, n. 1298/2010).
Più recentemente, il Collegio territoriale di Milano, nella decisione n. 3724/2015, ha osservato che l’istituto dello ius variandi “non può essere utilizzato per introdurre nel regolamento negoziale previsioni nuove, ma solo per modificare pattuizioni già esistenti in modo da garantire la permanenza dell’equilibrio sinallagmatico del contratto” (v. già Coll. Milano, n. 249/2010, nonché, in merito all’introduzione di clausole in sostituzione delle precedenti divenute invalide, Coll. Milano, n. 4529/2015).
Nello stesso senso, il Collegio di coordinamento, con decisione n. 1889/2016, ha rilevato che la finalità dello ius variandi è quella di “conservare l'equilibrio (sinallagmatico) tra le singole prestazioni contrattuali, passando attraverso il mantenimento dell'equilibrio sinallagmatico dell'intero complesso delle prestazioni contrattuali, tipologicamente simili, effettuate dall'imprenditore nei confronti di un numero indefinito di controparti” (cfr. ad es., Collegio di Roma, decisione n. 2202 del 23.04.2013)”.
Stante il divieto di introduzione di clausole nuove, nei casi in cui l’intermediario invochi l’esercizio dello ius variandi ex art. 118 TUB e formalmente dichiari di avere solo modificato una clausola preesistente, viene in rilievo la verifica dell’elemento di “novità” in relazione alla modifica apportata.
A questo proposito, pare corretto ritenere che non sia semplice modifica l’introduzione ex novo di un onere, un obbligo, una controprestazione o qualsivoglia altro termine o condizione (economica o normativa) nel contratto, che non sia già previsto nell’assetto originario determinato dalle parti.
Dal complesso normativo e dal ricordato orientamento costante dell’ABF si ricava che lo ius variandi è finalizzato a garantire la permanenza dell’equilibrio sinallagmatico, per cui, come evidenziato nella già citata nota 412631 approvata dal Direttorio della Banca d’Italia in data 28/3/2017, devono considerarsi inammissibili le variazioni che non presentano correlazione tra le tipologie di contratti e le tariffe interessati dalle variazioni, da un lato, e l’incremento dei costi posto a base della modifica.
Infatti, tali variazioni si traducono nell’aggiunta di nuovi costi, in quanto non si pongono come mera modifica di oneri già previsti nel contratto e realizzano, così, un’alterazione del sinallagma negoziale in senso sfavorevole al cliente.
Nel caso di specie, si può notare che l’istituzione del Fondo Nazionale di risoluzione ad opera del Provvedimento della Banca d’Italia n. 1226609 del 18/11/2015 determina costi a carico dell’intermediario, i quali non sono però correlati alla variazione apportata unilateralmente mediante l’incremento della voce “Spese e competenze del periodo di liquidazione”.
L’intermediario stesso ha specificato di aver ripartito “l’impatto sostenuto su tutti i rapporti di conto corrente in essere”, essendo questo il prodotto più diffuso in Banca, in modo tale da “dare garanzia di non concentrare l’effetto solo su una parte della clientela”. Ciò implica che la scelta gestionale compiuta dall’intermediario è svincolata dalla tipologia contrattuale
interessata dalla variazione (tipologia individuata soltanto sulla base del fatto di essere il prodotto più diffuso), nonché scollegata dagli oneri previsti originariamente per tali contratti.
L’intermediario ha richiamato, tra le varie giustificazioni, il fatto che si tratterebbe di prelievo una tantum, ma nella nota 412631 del Direttorio si rileva correttamente che “interventi una tantum si traducono di fatto in prelievi occasionali che, dal punto di vista del cliente, riducono l’incentivo a valutare l’opportunità del recesso, anche nei casi in cui sarebbe conveniente”.
Le osservazioni di cui sopra risulterebbero già dirimenti per la soluzione del caso concreto, ma sembra opportuno cogliere l’occasione per sottolineare alcuni ulteriori aspetti relativi all’esercizio dello ius variandi.
In merito alla sussistenza di un giustificato motivo, va ribadito, in linea con le decisioni (ex multis) Coll. Milano n. 249/2010 e Coll. Coord. n. 1889/2016, che la modifica introdotta a mezzo dello ius variandi deve essere congrua rispetto alla motivazione addotta nell’atto di esercizio.
Nel caso in esame, l’intermediario ha indicato, quale giustificato motivo, le conseguenze per la Banca, impreviste e sopravvenute, derivanti dal recepimento nell’ordinamento italiano della Direttiva Comunitaria 2014/59/CE. In una tale prospettiva, il giustificato motivo si caratterizzerebbe per una sopravvenienza, cioè un accadimento successivo rispetto al tempo della conclusione del contratto e che presenta caratteri di imprevedibilità e straordinarietà.
Sul punto, pare calzante l’osservazione del Collegio territoriale di Roma nella decisione n. 1722/2015, secondo cui non sussiste giustificato motivo in presenza di scelte di politica commerciale o comunque gestionale che non pongano tanto l’esigenza di mantenere l’equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni contrattuali delle parti contraenti, quanto piuttosto siano rivolte a salvaguardare il margine di profitto della stessa banca.
Occorre infatti sottolineare che un intervento normativo quale l’istituzione del Fondo Nazionale di risoluzione non può, di per sé, rappresentare un evento idoneo a costituire un giustificato motivo oggettivo. La dottrina non ha mancato di rilevare che, in ipotesi di interventi normativi, resta sempre da considerare il carattere dell’imprevedibilità, la quale sarebbe ravvisabile solo nei provvedimenti necessari e urgenti (come i decreti-legge) e non anche in quelli che sono attuazione di normativa comunitaria o seguono l’iter lungo - e spesso anche pubblicizzato - della regolamentazione delegata. Del resto, non si potrebbe nemmeno individuare un giustificato motivo nella necessità di adeguamento alla nuova norma, qualora quest’ultima non imponesse all’intermediario un determinato comportamento, ma si limitasse a fissare obiettivi, per il cui raggiungimento l’intermediario può operare nel modo più opportuno, nell’ambito della propria sfera organizzativa.
Con specifico riferimento alla Direttiva 2014/59/CE si rileva che il D. Lgs. 180/2015 - il quale ha dato attuazione alla direttiva medesima - al comma 2 dell’art. 82 (Contributi ordinari) recita: “La Banca d’Italia può prevedere che una quota dei contributi ordinari, da essa stabilita, sia costituita da impegni di pagamento irrevocabili integralmente garantiti da attività a basso rischio non gravate da diritti di terzi”. In merito, l’art. 3, comma 2, del Provvedimento istitutivo del Fondo Nazionale di Risoluzione n. 1226609/15, ribadisce che “In conformità con l’articolo 82, comma 2, del D.lgs. 16 novembre 2015, n. 180, la Banca d’Italia può prevedere che una quota non superiore al 30% dell’ammontare complessivo dei contributi dovuti ai sensi del presente articolo sia costituita da impegni irrevocabili di pagamento, integralmente garantiti da attività a basso rischio non gravate da diritti di terzi”.
Inoltre, l’art. 83 (Contributi straordinari) D. Lgs. 180/2015 stabilisce, al comma 2, primo periodo, che “La Banca d’Italia può rinviare, in tutto o in parte, il pagamento dei contributi
straordinari quando esso metterebbe a repentaglio la liquidità o solvibilità del soggetto tenuto ad effettuarlo, in presenza delle circostanze e subordinatamente alle condizioni specificate dalla Commissione Europea ai sensi dell’articolo 104, paragrafo 4 della direttiva 2014/59/UE”. L’art. 4, comma 3, del Provvedimento istitutivo del Fondo Nazionale di Risoluzione n. 1226609/15 prevede, poi, che “Resta fermo il potere della Banca d’Italia di rinviare, in tutto o in parte, il pagamento dei contributi straordinari, ai sensi dell’articolo 83, comma 2, del D. Lgs. 16 novembre 2015, n. 180”.
Al di là del fatto che le regole sopra riportate non sembrano presentare il carattere dell’imprevedibilità, costituendo il recepimento della normativa comunitaria, si evince che il pagamento dei contributi attiene alla sfera gestionale dell’attività dell’intermediario e può essere variamente modulato dalla Banca d’Italia in considerazione delle condizioni dell’intermediario stesso.
Da ultimo, va ricordato che la comunicazione dell’intermediario deve contenere, in conformità alle Disposizioni di Trasparenza, l’espressa indicazione del giustificato motivo, in modo da consentire al Cliente di operare la valutazione di congruità.
Nel caso di specie, per tutte le ragioni già esposte, si può prescindere dall’indagine circa l’adeguatezza della comunicazione da parte dell’intermediario, ma si deve comunque ribadire quanto sottolineato dal Collegio di Coordinamento nella decisione n. 1889/2016 (confermata da Coll. Coord., nn. 1891/2016, 1892/2016, 1893/2016, 1896/2016): “è determinante “l'esatta e puntuale esplicazione del giustificato motivo” ai fini della verifica della sussistenza della (unica) condizione dettata dal legislatore affinché possa essere modificato unilateralmente un negozio giuridico in regolare svolgimento. II giustificato motivo non può, dunque, essere generico, ma deve riguardare eventi di comprovabile effetto sul rapporto bancario poi riferibili alla categoria di contratti oggetto delle modifiche. La comunicazione della modifica unilaterale deve avere contenuto tale da consentire al cliente di poter valutare la congruità della modifica rispetto alla ragione posta a giustificazione della stessa” (Collegio di Roma, dec. n. 3981/2012). Se, in linea di principio, vi è consenso sulla necessità che il “giustificato motivo” non sia individuato in termini eccessivamente generici, non altrettanto definito appare, invece, per converso, il livello di analiticità richiesto dalla normativa per la sua delimitazione. Da un lato, sulla base delle premesse sopra richiamate e considerato che la specificità della motivazione consente, come chiarito, di verificare la congruità della modifica, non si è ritenuto a tal fine adeguato (e, quindi, inidoneo a soddisfare i requisiti di determinatezza e verificabilità impliciti nella previsione di cui all’art. 118 TUB) il riferimento: i) all’“andamento del mercato dei tassi” (Collegio di Roma, dec. n. 2202/2013; Collegio di Roma, dec. n. 1837/2011); ii) agli “effetti prodotti dall’attuale crisi economica e finanziaria” (Collegio di Milano dec. 2419/2011; Collegio di Milano, dec. n. 5972/2014); iii) al “peggioramento del contesto economico globale avvenuto negli ultimi mesi nonché della forte riduzione della forbice dei tassi, a seguito di una riduzione del costo della raccolta non proporzionale a quanto avvenuto per i prestiti concessi, che ha determinato la perdita di sostenibilità economica della operazione di finanziamento” (Collegio di Milano, dec. n. 798/2010); iv) all’“incremento del rischio creditizio correlato al deteriorarsi dello scenario macroeconomico” (Collegio di Milano, dec. n. 249/2010); v) alla “variazione delle condizioni di mercato” (Collegio di Milano, dec. n. 2434/2014); vi) “peggioramento delle condizioni generali di mercato con conseguente incremento dei costi sostenuti dalla banca per la messa a disposizione dei fondi utilizzati a fronte di finanziamenti concessi” (Collegio di Milano, dec. n. 1719/2014). Più in particolare ribadita l’insufficienza di un generico richiamo alla “diminuzione dei principali tassi di riferimento”, si è ritenuto necessario “che si fossero indicati e provati almeno: la misura dei principali tassi di riferimento per il mercato bancario al tempo della conclusione del contratto, la misura dei tassi delle
operazioni di raccolta, sì da poter apprezzare che rapporto vi fosse tra queste due serie di tassi e il tasso previsto per il contratto de quo, nonché la misura in cui quei principali tassi di riferimento sono venuti a diminuire nel xxxxx xxx 0000” (Xxxxxxxx xx Xxxxxx, dec. n. 1705/2011). Dall’altro lato, in decisioni per la verità più risalenti, si è ritenuto conforme alle previsioni di cui all’art. 118 TUB il riferimento “alle variazioni dei tassi di mercato e, più specificamente, del tasso Euribor a 3 mesi” (Collegio Milano, dec. n. 177/2010) e all’“andamento del mercato” (Collegio Milano, dec. n. 98/2010); indicazioni sicuramente sintetiche, “ma non tal[i]da non consentire al cliente, con un minimo sforzo di approfondimento, di valutare la congruità della variazione rispetto alla motivazione che ne è alla base” (Collegio Milano, decc. n. 98/2010 e n. 177/2010).
Consapevole che, in relazione al contenuto minimo delle informazioni che il cliente deve ricevere al fine di integrare la nozione di “giustificato motivo”, non vi è perfetta uniformità nelle decisioni dei collegi ABF (mentre le fonti legali e sublegali forniscono indicazioni preziose, ma non dettagliate) il Collegio ritiene, comunque, di ribadire l’orientamento già espresso in base al quale “la comunicazione della modifica unilaterale deve infatti avere contenuto tale da consentire al cliente di poter valutare la congruità della modifica rispetto alla ragione posta a giustificazione della stessa” (Collegio Milano, 1719/2014)”.
Dalle argomentazioni che precedono discende chiaramente la piena fondatezza della pretesa di parte ricorrente di vedersi restituita la somma di € 25,00 addebitata in data 31 dicembre 2016 a titolo di maggiorazione una tantum dell’importo previsto dalla voce contrattuale “Spese e competenze del periodo di liquidazione”.
P.Q.M.
Il Collegio accoglie il ricorso e dispone che l’intermediario restituisca a parte ricorrente la somma di € 25,00.
Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di € 200,00 quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente la somma di € 20,00 quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1