Zumbo CORRELATORE
Dipartimento di Giurisprudenza
Cattedra di Diritto del Lavoro
Il Decreto dignità: le modifiche alla disciplina del contratto a tempo determinato e del contratto di somministrazione
Xxxx. Xxxxxxx Xxxxx Prof. Xxxxxxxx Xxxxxxx RELATORE CORRELATORE
Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxx
Xxxxx CORRELATORE
Xxxxxxx Xxxxxxx
Matr.137913 CANDIDATA
Anno Accademico 2019/2020
INDICE
INTRODUZIONE 1
CAPITOLO I- IL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO E IL CON- TRATTO DI SOMMINISTRAZIONE FINO AL DECRETO LEGISLA- TIVO N. 368 DEL 2001 12
1.1 LE PRIME INDICAZIONI NORMATIVE SUL RAPPORTO DI LAVORO A TEMPO DETERMINATO. 12
1.2 LA LEGGE N. 230 DEL 1962 15
1.3 LA LEGGE N. 604 DEL 1966 24
1.4 LA RECEDIBILITÁ DAI CONTRATTI 25
1.5 L’EVOLUZIONE NORMATIVA SUCCESSIVA FINO ALLA LEGGE N.196 DEL 1997 26
1.6 L C.D. PACCHETTO TREU 28
1.6.1 Considerazioni generali 28
1.6.2 Un giudizio complessivo sul pacchetto Treu 36
1.7 LA DIRETTIVA EUROPEA 99/70/CE 38
1.8 IL DECRETO LEGISLATIVO N. 368 DEL 2001 42
CAPITOLO II- IL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO E IL CON- TRATTO DI SOMMINISTRAZIONE DALLA LEGGE BIAGI AL JOBS ACT 50
2.1 D.LGS. N. 276 DEL 2003 (ATTUATIVO DELLA C.D. LEGGE BIAGI) 50
2.1.1Considerazioni generali 50
2.1.2 L’istituto della somministrazione 51
2.1.3 Critiche e meriti ascritti alla Legge Biagi 61
2.2 LA LEGGE N.183 DEL 2010 (C.D. COLLEGATO LAVORO) 64
2.3 LA LEGGE N. 92 DEL 2012 (C.D. LEGGE FORNERO) 68
2.3.1 Considerazioni generali 68
2.3.2 Un giudizio complessivo sulla Legge Fornero 72
2.4 IL C.D. JOBS ACT (D. LGS. N. 81/2015) 75
2.4.1 Considerazioni generali 75
2.4.2 Un giudizio complessivo sul Jobs Act 84
CAPITOLO III- IL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO E IL CON- TRATTO DI SOMMINISTRAZIONE ALLA LUCE DEL DECRETO DI- GNITA' 95
3.1 CONSIDERAZIONI SULLA NATURA DEL PROVVEDIMENTO E SUL NOME 95
3.2 GLI OBIETTIVI DEL DECRETO LEGGE n. 87 del 2018 E I PRIMI COM- MENTI DOTTRINARI. 98
3.2.1 Il contrasto alla precarietà 98
3.2.2 Le “soluzioni facili”. : la dignità del lavoro dipende dalla sua stabi lità? 100
3.3 L’ANDAMENTO DEL MERCATO DEL LAVORO PRIMA DEL DE- CRETO DIGNITÀ. 104
3.4 I CONTRATTI A TERMINE IN ITALIA. 106
3.5 RECENTI MODIFICHE DEL MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA…108
3.6 L’IMPATTO TERRITORIALE ALLA LUCE DEI DATI: LAVORO A TER- MINE E RIPARTIZIONI TERRITORIALI ALLA LUCE DEI DATI PRIMA DEL DECRETO DIGNITÀ. 108
3.7 DECRETO-LEGGE 12 LUGLIO 2018 N. 87. 110
3.8 MODIFICHE APPORTATE DAL DECRETO DIGNITÀ. 111
3.8.1 Modifiche al contratto a termine 111
3.8.2 La durata del contratto e il regime delle causali 113
3.8.3 La forma del contratto a termine 123
3.8.4 Il termine di impugnazione 126
3.8.5 I vincoli alla proroga e al rinnovo. 127
3.8.6 La disciplina del rinnovo. 128
3.8.7 La disciplina delle proroghe 130
3.8.8 Il regime sanzionatorio 132
3.8.9 Le attività stagionali 132
3.8.10 L'entrata in vigore delle modifiche legislative 133
3.8.11 Le norme del D.lgs. n. 8172015 non modificate dal Decreto di- gnità 136
3.9 RIFLESSIONI E SOLUZIONI IN ASTRATTO PROSPETTABILI 137
3.10 LA SOMMINISTRAZIONE 139
3.10.1 Le modifiche alla somministrazione 139
3.10.2 L'istituto della somministrazione fraudolenta 147
3.10.3 La disciplina dei limiti quantitativi e di durata 148
3.11 ULTERIORI CHIARIMENTI: LA CIRCOLARE N.17 DEL 2018. 153
3.12 SVILUPPI NORMATIVI LEGATI ALL’EMERGENZA “COVID” 155
CONCLUSIONI 164
BIBLIOGRAFIA 168
SITOGRAFIA 177
INTRODUZIONE
Il presente elaborato prende le mosse dall’analisi dei numerosi interventi rifor- matori che, nel tempo, hanno inciso sulla disciplina del contratto a tempo determi- nato, con l’obiettivo, da un lato, di individuare i cambiamenti maggiormente signi- ficativi e dall’altro, di tratteggiare l’attuale regolamentazione del contratto a ter- mine così come definita, da ultimo, dal Decreto Dignità.
Nel primo capitolo si è posta l’attenzione sulla disciplina del contratto a tempo determinato e su quella del contratto di somministrazione, prima che intervenissero le rilevanti modifiche apportate dal D.lgs. n. 368 del 2001.
Il contratto a tempo determinato, nella sistematica del codice del 1865, costituiva l’unica forma contrattuale ammessa. La ratio era quella di evitare l’assoggetta- mento perpetuo del lavoratore al datore di lavoro e, per tale via, scongiurare forme di schiavitù.
Il delineato quadro normativo è mutato radicalmente con il codice del 1942: per la prima volta il legislatore (art. 2097 cod. civ.) ha introdotto la distinzione tra rapporto di lavoro a tempo indeterminato e rapporto di lavoro a termine, adottando contestualmente un atteggiamento di sfavore nei confronti del secondo.
L’art. 2097 cod. civ., infatti, richiedendo l’obbligo della forma scritta o il carattere speciale del rapporto quali presupposti per la legittima apposizione del termine, evidenzia come la preferenza dell’ordinamento si vada orientando verso il con- tratto a tempo indeterminato.
Oltre ai casi in cui la scadenza è insita nella “natura” stessa del rapporto o prevista da apposita clausola contrattuale (art. 2907 cod. civ.), il legislatore lascia ai con- traenti la possibilità di fissare un termine al rapporto di lavoro, mediante l’esercizio del diritto di recesso, disciplinato dagli art. 2118 e 2119 cod. civ.
Giova, a questo punto, far riferimento alla legge n. 230 del 1962, posto che la stessa costituisce l’ossatura sulla quale si è sviluppata, negli anni seguenti, la legi- slazione in materia. Al riguardo si deve ricordare come l’art. 9 della legge citata abbia abrogato il vecchio art. 2097 cod. civ.
La legge n. 230/1962 ha previsto che, se non dichiarato diversamente, il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato. Si è così introdotto un regime più strin- gente, giacché si è stabilito che l’apposizione del termine al contratto di lavoro è subordinata alla sussistenza di specifiche e puntuali motivazioni, al di fuori delle quali il contratto si considera a tempo indeterminato. Tale impostazione ha finito per accentuare la natura di eccezione alla regola del contratto a termine. L’apposi- zione di un termine alla durata del contratto è consentita in cinque distinti casi: quando ciò sia richiesto dalla speciale natura dell’attività lavorativa derivante dal carattere stagionale della medesima; allorché l’assunzione abbia luogo per sosti- tuire lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto; allorquando l’assunzione abbia luogo per l’esecuzione di un’opera o di un servizio, definiti e predeterminati nel tempo, aventi carattere straordinario e occasionale; nelle ipotesi di lavorazioni a fasi successive che richiedano maestranze diverse, per specializzazioni, da quelle normalmente impiegate e limitatamente alle fasi complementari od integrative per le quali non vi sia continuità di impiego nell’am- bito dell’azienda; per le assunzioni di personale relativo a specifici spettacoli ov- vero a specifici programmi radiofonici o televisivi. In capo al datore di lavoro sus- siste l’onere di provare le motivazioni legittimanti l’apposizione del termine, sia in relazione al primo contratto di lavoro, sia in relazione alla sua proroga.
La legge n. 230/1962, riproducendo l’abrogato art. 2097 cod. civ., ha previsto, inoltre, che l'apposizione del termine sia priva di effetto se non risulta da atto scritto: dunque la norma commina una nullità parziale per mancanza della forma scritta, imponendo, quindi, la caducazione della sola clausola appositiva del termine con salvezza del restante contratto, il quale si considera a tempo indeterminato.
La legge del 1962 si è preoccupata anche di limitare al massimo il ricorso all’istituto della proroga, allo scopo di non vanificare l’impresso carattere di eccezionalità della forma contrattuale a termine. Il termine, fissato inizialmente dalle parti, può essere prorogato un’unica volta e per un tempo non superiore alla durata dell’originario contratto, purché sussista una causale rafforzata, costituita da esigenze imprevedibili e contingibili riferibili alla medesima attività che aveva giustificato la stipula del contratto da rinnovare.
Tale legge testimonia indubbiamente come il legislatore consideri la tipologia del lavoro a termine un’eccezione, laddove il rapporto di lavoro a tempo indeterminato costituisce, invece, la regola. In tale contesto normativo il contratto a tempo indeterminato è doppiamente vantaggioso: infatti, il rapporto a tempo determinato, se da un lato necessita di motivazioni giustificative (e lo stesso è richiesto per l’eventuale proroga del termine), dall’altro impedisce al datore di recedere prima della scadenza del termine, a meno che non vi sia una giusta causa di licenziamento. D’altra parte, invece, l’instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato assicura la massima flessibilità, considerando che è possibile recedere in ogni momento e senza oneri di motivazione, con l’unico vincolo del preavviso previsto dalla contrattazione collettiva. Tuttavia la legge n. 604/1966 cancella la recedibilità ad nutum dal contratto di lavoro a tempo indeterminato: il datore può licenziare il lavoratore solo in relazione a specifiche motivazioni previste dalla legge (giusta causa o giustificato motivo).
Diviene ancor più arduo, per il datore di lavoro, recedere da un contratto a tempo indeterminato con l’entrata in vigore della legge n. 300/1970 (il c.d. Statuto dei lavoratori) che, in materia di licenziamento individuale illegittimo, introduce l’art.18. Viene così inserito nel nostro ordinamento il regime della tutela cosiddetta reale del posto di lavoro, grazie al quale, in presenza dei presupposti disciplinati dalla legge, il lavoratore illegittimamente licenziato ha diritto alla ricostituzione e alla prosecuzione del rapporto di lavoro. In questo contesto, il recesso del datore
di lavoro, sub specie di licenziamento, diviene più gravoso, in quanto deve essere
adeguatamente motivato; ove ciò non avvenga il lavoratore ha diritto alla reintegra, fatto salvo il risarcimento del danno patito. Tutto ciò determina una situazione in cui, se da un lato i lavoratori sono tutelati nella loro aspettativa di un’occupazione stabile che li accompagni al pensionamento, dall’altro il datore di lavoro non può instaurare rapporti lavorativi a termine privi di un’effettiva e solida causale.
Importante tappa nel processo di predisposizione della disciplina del contratto a termine è costituita dal cd. Pacchetto Treu. Il suo obiettivo è di “svecchiare” il mercato del lavoro italiano, aprendo alla flessibilità e abbattendo le rigidità. Il Pacchetto Treu risponde a questa esigenza di maggiore liberalizzazione con alcune significative novità. La più importante è l’introduzione nel nostro ordinamento del lavoro interinale (la c.d. somministrazione) con contestuale abolizione del divieto di interposizione di manodopera previsto dal legislatore del 1960. Per contratto di somministrazione si intende quel contratto mediante il quale un’impresa fornitrice pone uno o più lavoratori da essa assunti a disposizione di un’impresa utilizzatrice per il soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo. È richiesta la forma scritta per il contratto, il cui contenuto minimo è predeterminato dal legislatore. I prestatori di lavoro temporaneo non possono superare la percentuale dei lavoratori occupati dall'impresa utilizzatrice con contratto a tempo indeterminato, stabilita dai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza dell'impresa stessa. Possono esercitare l’attività di fornitura di lavoro temporaneo soltanto quelle società iscritte in un apposito albo istituito presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale. L’impresa fornitrice può assumere il lavoratore con un contratto a tempo determinato, valido per il solo periodo di utilizzazione, durante il quale egli lavora ed è controllato dalla stessa, oppure può ricorrere ad un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Nel secondo caso il lavoratore resta a disposizione dell’azienda fornitrice nei periodi in cui non è messo a disposizione di aziende utilizzatrici.
Sotto il profilo della tutela, possono evidenziarsi due principali strumenti
introdotti con il Pacchetto Treu. In primo luogo, al prestatore di lavoro temporaneo
è corrisposto un trattamento non inferiore a quello cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell'impresa utilizzatrice. Inoltre, l’impresa utilizzatrice risponde in solido, con l’impresa fornitrice, dell'obbligo della retribuzione e dei corrispondenti obblighi contributivi non adempiuti dall'impresa fornitrice.
Inoltre, il pacchetto Treu incide su numerose tipologie contrattuali in un’ottica di flessibilizzazione, dal “lavoro interinale” agli appalti di opere e di servizi, nonché sui contratti di collaborazione coordinata e continuativa e sul contratto a progetto.
Crolla così il caposaldo del contratto di lavoro a tempo indeterminato, per lasciare più spazio ad una variegata massa di figure contrattuali “atipiche”.
È stato ritenuto che, nonostante il proposito di sbloccare l'obsoleto mercato del lavoro in Italia ed aumentare l'occupazione tramite la flessibilità, l'approvazione del pacchetto Treu e l'uso distorto dei contratti di lavoro atipico abbiano contribuito a creare il fenomeno del precariato.
Ulteriore importante tappa è costituita dalla direttiva europea 99/70/CE, la quale, pur continuando a riconoscere il ruolo del contratto a tempo indeterminato quale forma comune, prende atto della circostanza che il rapporto a termine può essere, in date situazioni, più confacente alle esigenze tanto dei datori di lavoro quanto dei lavoratori. Al fine di prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti a tempo determinato, la direttiva impone agli Stati membri di introdurre misure che riguardino: 1) le ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti; 2) la durata massima totale dei rapporti di lavoro a tempo deter- minato successivi; 3) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti. Rimane ferma la possibilità per gli Stati membri di mantenere o introdurre disposizioni più favorevoli, a tutela dei lavoratori, di quelle stabilite in ambito europeo. Si è voluto, in sostanza, creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti a tempo determinato.
Infine, può evidenziarsi come, dopo quasi 40 anni dall’entrata in vigore della legge n. 230/1962, è stato emanato, proprio per dare attuazione alla direttiva euro- pea 1999/70, il D.lgs. n. 368/2001, che costituisce il principale intervento in mate- ria.
Il legislatore, creando una cesura con il passato e al fine di deflazionare il conten- zioso relativo alla validità delle motivazioni addotte dai datori per apporre il ter- mine al rapporto di lavoro, ha finito per sostituire il sistema delle causali tipiche (previsto dalla L. n. 230) con una clausola generale: l’art. 1 del D.lgs. n. 368/2001 prevede la possibilità di apporre il termine in presenza di mere “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”. In caso di mancanza di tali moti- vazioni è prevista, ancora una volta, la sanzione della conversione del rapporto in contratto a tempo indeterminato. Tali ragioni devono essere specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, anche per relationem, e ciò al fine di consentire, a monte, al datore di giustificare il ricorso al lavoro a termine e, a valle, al giudice di controllare il rispetto dei presupposti di legge.
Il termine del contratto può essere prorogato qualora la scadenza inizialmente stabilita sia inferiore a tre anni. È ammessa una sola proroga per la stessa mansione prevista dal primo contratto a tempo determinato. Anche in questo caso la durata del contratto non potrà superare i tre anni. Nel caso in cui il rapporto prosegua oltre la scadenza del termine fissato dal contratto o dalla proroga (nel limite di venti giorni), il datore è tenuto a versare al dipendente una retribuzione maggio- rata. Se invece il rapporto continua oltre il ventesimo il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.
Il D.lgs. n. 368, se da un lato innova sotto il profilo della causale, dall’altro con- ferma le previsioni già presenti nella L. n. 230/62. Per quanto attiene agli aspetti maggiormente innovativi, si può sottolineare che, mentre il legislatore del ’62 aveva optato per un’elencazione puntuale delle varie ragioni giustificative dell’ap- posizione del termine, il legislatore del 2001 ha operato una scelta diversa, prefe- rendo riferirsi ad una clausola generale, il c.d. causalone.
Il ricorso al “causalone” ha comportato un incremento del numero dei contratti a termine stipulati, al di là di ogni possibile previsione.
Nel secondo capitolo si andrà ad analizzare la disciplina del contratto a tempo determinato e quella del contratto di somministrazione a partire dall’impianto nor- mativo delineato dalla legge Biagi fino alle modifiche apportate dal Jobs Act.
La c.d. Legge Xxxxx si inserisce in un contesto caratterizzato da un alto tasso di disoccupazione e si ripropone di eliminare tale criticità.
Tra le principali novità si annovera l’introduzione dell’istituto della somministra- zione a tempo indeterminato.
La somministrazione di lavoro è una fattispecie complessa e peculiare. La stessa si caratterizza per la dissociazione tra titolare formale del rapporto di lavoro, vale a dire chi assume il lavoratore (il c.d. somministratore), e l’effettivo beneficiario della prestazione (il c.d. utilizzatore): ne deriva che il potere direttivo è in capo all’utilizzatore mentre il potere disciplinare è in capo all’agenzia. Nella sommini- strazione si ha la stipulazione di due contratti: il primo è un contratto commerciale di somministrazione, tra somministratore ed utilizzatore, mediante il quale il primo si impegna a mettere a disposizione del secondo, a tempo determinato o a tempo indeterminato (il c.d. staff leasing), manodopera da lui assunta e retribuita; il se- condo è un contratto di lavoro vero e proprio, a tempo indeterminato o determinato, stipulato tra il somministratore e i propri dipendenti. Dunque la complessità della fattispecie consiste nella circostanza che, mediante la stipulazione di due contratti tra loro funzionalmente collegati, si realizza uno schema trilaterale che vede il coinvolgimento di tre soggetti diversi: il somministratore, l’utilizzatore e il lavo- ratore. Non resta che dar conto delle condizioni legittimanti il ricorso all’istituto della somministrazione.
Il primo, imprescindibile, requisito di legittimità è che il somministratore deve essere un’agenzia autorizzata a svolgere tale attività ai sensi degli artt. 4 e 5 del
D.lgs. n. 276 del 2003. La principale novità rispetto al quadro normativo previ- gente è l’abolizione del c.d. vincolo dell’oggetto sociale esclusivo; il legislatore consente infatti la creazione di soggetti definiti “polifunzionali” che possono cioè svolgere, oltre ad attività di somministrazione di lavoro, altre attività oggetto di autorizzazione (intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione).
Secondo essenziale requisito di legittimità attiene al c.d. causalone, il quale è disegnato dal legislatore in maniera diversa, a seconda della tipologia di sommini- strazione.
Per la somministrazione a tempo indeterminato il legislatore ha optato per la tec- nica delle causali tassative, consentendo alla contrattazione collettiva la facoltà di arricchire l’elenco. Per la somministrazione a tempo determinato, il legislatore, recuperando il modello previsto dal D.lgs. 368/2001 della clausola generale, ha ammesso la somministrazione “a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizza- tore”.
Per quanto attiene al terzo requisito di validità, il legislatore ha previsto che il contratto di somministrazione deve essere concluso in forma scritta e contenere le indicazioni prescritte dalla legge. Si noti che, in mancanza di forma scritta, il con- tratto di somministrazione è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore. La tutela del lavoratore è, altresì, assicurata dalle sanzioni penali previste per la “somministrazione abusiva” e la “somministrazione fraudolenta”.
Ulteriore importante tappa normativa è costituita dal c.d. Collegato Lavoro (legge n. 183 del 2010). In particolare l’art. 32, stabilisce l’onere, a carico del la- voratore, di impugnare il licenziamento entro il termine di decadenza di sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta. In un’ottica deflat- tiva del contenzioso il legislatore ha previsto che il lavoratore possa anche xxxxxx- xxxx al datore di lavoro un tentativo di conciliazione o arbitrato. Al fine di favorire
l’esperimento della conciliazione, il c.d. Collegato Xxxxxx fa salva la possibilità di impugnare il licenziamento anche a seguito del fallimento della soluzione “bona- ria”.
L’obiettivo di predisporre un modello italiano di flexicurity, ispirato ai principi della flexicurity europea, considerata come disciplina ideale del mercato del la- voro, è stato specificamente perseguito dalla c.d. Riforma Fornero. Anche questa volta si ribadisce la prevalenza del contratto a tempo indeterminato - definito “con- tratto dominante” - come forma di occupazione stabile per eccellenza. Si cerca, inoltre, di contrastare l’uso improprio della flessibilità insito nell’esistenza di di- verse tipologie di contratti, evitando, in primo luogo, la reiterazione di contratti a termine.
Nel caso di primo rapporto di lavoro a tempo determinato, di durata inferiore a dodici mesi, non è più necessario specificare la motivazione, a prescindere dall’ambito in cui si svolge la mansione lavorativa. Tuttavia, il contratto stipulato senza causali può avere una durata massima di trentasei mesi, non prorogabili.
La novità normativa ha avuto, inoltre, come obiettivo e merito quello di eliminare il contenzioso in materia di giustificazioni necessarie a legittimare l’apposizione del termine al contratto di lavoro.
Si è osservato come, sebbene l’intento del legislatore fosse quello di rendere il contratto a tempo indeterminato il contratto «dominante», nei fatti i risultati sono stati ben altri: il novum legislativo si è tradotto in un forte incentivo, per le imprese, all’utilizzo, in sede di prima assunzione, del contratto a termine liberalizzato, con ulteriore intensificazione delle dinamiche di turn-over e, dunque, di precarizza- zione della forza-lavoro coinvolta.
Ultima tappa dell’iter normativo considerato dal secondo capitolo è costituita dal
c.d. Jobs Act, sul quale è poi intervenuto il Decreto Dignità.
Il legislatore ha abrogato l’intero corpus normativo contenuto nel D.lgs. n. 368/2001.
Viene confermata, in primis, la scelta a favore del contratto di lavoro a tempo determinato a-causale. La durata massima di tale contratto è di trentasei mesi, an- che quando si sono succeduti più contratti tra lo stesso datore e lo stesso lavoratore. Ai fini del computo dei suddetti trentasei mesi valgono anche i periodi di eventuale somministrazione. Lo stesso vale per i contratti di somministrazione a tempo de- terminato. Unico presidio a tutela del lavoratore è dato dalla previsione che, qua- lora il limite dei trentasei mesi sia superato per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, quest’ultimo si trasforma in contratto a tempo inde- terminato dalla data di tale superamento.
È tuttavia possibile far seguire ai rapporti a tempo determinato che abbiano rag- giunto il limite massimo di trentasei mesi fra gli stessi soggetti e per le stesse man- sioni, un ulteriore contratto a tempo determinato della durata massima di dodici mesi, da stipulare presso la Direzione territoriale del lavoro competente per terri- torio. In caso di mancata stipula presso l’ente citato o in caso di superamento del limite di durata, la sanzione prevista consiste nella trasformazione del rapporto in contratto a tempo indeterminato dalla data della stipulazione. L’apposizione del termine del contratto deve risultare direttamente o indirettamente da atto scritto a pena di inefficacia. Per quanto attiene al rapporto, in termini di utilizzo, non pos- sono essere assunti lavoratori a tempo determinato in misura superiore al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione. Per quanto, invece, attiene alle tutele giurisdizionali rimane fermo l’impianto delineato dal Collegato Lavoro.
Gli artt. da 30 a 40 si occupano, invece, del contratto di somministrazione.
Per il ricorso al contratto di somministrazione a tempo determinato la legge non richiede causali; eventuali limitazioni possono derivare dalla contrattazione collet- tiva.
Viene disposto che il numero dei lavoratori somministrati a tempo indeterminato non può eccedere il 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l'utilizzatore al 1° gennaio dell'anno di stipula del predetto contratto. Pos-
sono essere somministrati a tempo indeterminato esclusivamente i lavoratori as- sunti dal somministratore a tempo indeterminato; diversamente la somministra- zione di lavoro a tempo determinato è utilizzata nei limiti quantitativi individuati dai contratti collettivi applicati dall'utilizzatore. Inoltre i lavoratori somministrati sono informati dall'utilizzatore dei posti vacanti presso quest'ultimo, anche me- diante un avviso affisso all'interno dei locali dell'utilizzatore. Rimane fermo l’im- pianto normativo pregresso anche in relazione ai divieti di somministrazione e al requisito formale, nonché all’esercizio dei poteri datoriali.
Nel terzo e ultimo capitolo si analizzeranno quelle che sono state le modifiche apportate dal Decreto Dignità alla disciplina del contratto a tempo determinato, nuovamente oggetto di riforma a seguito del mutamento del governo in carica.
Lo scopo del legislatore è, da un lato, ridimensionare la precarietà di alcuni rap- porti di lavoro, dall’altro stimolare l’occupazione stabile, per poter restituire ai di- pendenti subordinati quella dignità persa a seguito degli interventi normativi dell’ultimo ventennio. Il decreto ha, quindi, come obiettivo quello di limitare con maggior efficacia l’indiscriminato utilizzo del contratto a termine, spesso non cor- rispondente ad una reale necessità da parte del datore di lavoro. La riduzione dei casi di ricorso ai contratti a termine ha lo scopo di incrementare i contratti a tempo indeterminato, migliorando così la situazione di precarietà e di instabilità provo- cata proprio dalla previgente disciplina del rapporto di lavoro a tempo determinato. È, quindi, proprio sulla modifica della normativa del lavoro a termine, sia nella sua forma diretta, sia nella forma della somministrazione di lavoro, che il Decreto Di- gnità concentra gli interventi di maggiore portata.
Tuttavia numerosi sono stati i giudizi critici: è stato, infatti, ritenuto che la nuova normativa porti con sé il rilevante rischio di dar vita ad un turn-over di lavoratori a termine. Xxxxxx non rimane che chiedersi se le modifiche introdotte possano in concreto raggiungere gli obiettivi perseguiti.
CAPITOLO I
Il contratto a tempo determinato e il contratto di somministrazione fino al Decreto legislativo n. 368 del 2001
Sommario: 1.1. Le prime indicazioni normative sul rapporto di lavoro a tempo determinato - 1.2. La legge n. 230 del 1962 - 1.3. La legge n. 604 del 1966 - 1.4. La recedibilitá dai contratti - 1.5. L’evoluzione normativa successiva fino alla legge n. 196 del 1997 - 1.6. Il c.d. pacchetto Treu -
1.6.1. Considerazioni generali - 1.6.2. Un giudizio complessivo sul pacchetto Treu - 1.7. La di- rettiva europea 99/70/CE - 1.8. Il Decreto legislativo n. 368 del 2001
1.1 LE PRIME INDICAZIONI NORMATIVE SUL RAPPORTO DI LA- VORO A TEMPO DETERMINATO
La disciplina del contratto a tempo determinato è stata oggetto, nel tempo, di numerose modifiche legislative le quali, se da un lato sono state frutto delle spinte europeiste in materia di riorganizzazione e modernizzazione del mercato del la- voro, dall’altro appaiono essere il naturale riconoscimento positivo del mutamento della funzione economico-sociale della contrattualistica in materia di lavoro1.
Il contratto a tempo determinato è stato oggetto di un iter normativo “movimen- tato e travagliato”2, che ha portato ad un sistema non certo unitario e coerente. La dottrina ha infatti, più volte, sottolineato come per molto tempo la normativa rela- tiva al contratto a tempo determinato sia stata emblema della cosiddetta “legisla- zione alluvionale, cioè, di quella legislazione frammentaria, caratterizzata dall’emanazione di molti provvedimenti parziali, senza interventi di riordino”3.
1 X. XXXXXXX, X. XXXXX, Il nuovo contratto di lavoro a termine dopo la riforma della “dignità”, Xx. Xxxxx, Milano, 2019, p.1. Precisa: “Nel corso degli ultimi anni, l’orientamento formatosi a livello comunitario in materia di riorganizzazione e modernizzazione del mercato del lavoro ed il mutamento della funzione economico-sociale della contrattualistica, in materia di lavoro, hanno determinato numerose modifiche normative, riguardanti la disciplina del contratto a tempo determinato”.
2 X.XXXXXXX, Contratto a tempo determinato. Aggiornato al Jobs Act, Ed. Key, Frosinone, 2014, p. 9.
3 X. XXXXX, P. A. VARESI, Istituzioni di diritto del lavoro, Xx. Xxxxx, luglio 2016, p. 219.
Elemento caratterizzante del contratto di lavoro a tempo determinato è l’apposi- zione di una clausola che stabilisce la durata del rapporto lavorativo.
Al fine di una corretta impostazione della tematica, giova ripercorrere breve- mente le tappe principali dell’evoluzione legislativa della suddetta tipologia con- trattuale.
Il codice civile del 1865 considerava, quale unica forma contrattuale ammessa, il contratto a tempo determinato4.
Il quadro normativo muta radicalmente con il nuovo codice del 1942: con l’art. 2097 cod. civ.5 viene introdotta per la prima volta la distinzione tra rapporto di lavoro a tempo indeterminato e rapporto di lavoro a termine. Al riguardo, si deve precisare che la novità normativa si caratterizza per un deciso atteggiamento di sfavore nei confronti della forma di lavoro a termine6. L’art. 2097 cod. civ., infatti, richiedendo l’obbligo della forma scritta o il carattere speciale del rapporto (tale da giustificare la durata temporanea del rapporto lavorativo), quali presupposti per la legittima apposizione del termine, evidenzia come la preferenza dell’ordina- mento si vada orientando verso il contratto a tempo indeterminato7.
La disposizione prevede la forma scritta per l’apposizione del termine, conside- rando priva di effetto la pattuizione orale. La norma stabilisce inoltre che, se la prestazione di lavoro continua dopo la scadenza del termine e non risulta una con- traria volontà delle parti8, il contratto si considera a tempo indeterminato.
4 L’Articolo 1628 del codice civile del 1865 stabiliva infatti: “Nessuno poteva obbligare la propria opera all’altrui servizio che a tempo o per una determinata impresa”. In senso conforme X. XXXXX, continuato da X. XXXXXXXXXX, Istituzioni di diritto del lavoro, Xxxxxxx Editore, Milano, 2012; R.DEL PUNTA, Lezioni di diritto del lavoro, Xxxxxxx Editore, Milano, 2011; X. XXXXXXX, Diritto dei contratti di lavoro, Xxxxxxx Editore, Milano, 2009, p.2.
5 ART 2097 codice civile del 1942: «Il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato, se il termine non risulta dalla specialità del rapporto o da atto scritto».
6 X. XXXXXXXXX, Lavoro a tempo determinato, in Enc. Giur, Roma, 1990, p. 46 ss. In senso conforme
X. XXXXXXXX, X. XXXXX, Xxxxxxxxx e rapporto di lavoro, Xxxxx, Padova, 2009, p.3; X. XXX XXXXX,
op.cit.
7 L. CAIRO, F. D’XXXXXX, X. XXXXXXXX, Decreto dignità: dai nuovi contratti a termine e somministrazione alle tutele per i licenziamenti illegittimi (Legge n. 96/2018), Ed. Altalex, Ottobre 2018,
p. 9.
8 Tale inciso testimonia il carattere dispositivo della norma.
È necessario tuttavia precisare che il legislatore, pur privilegiando il rapporto a tempo indeterminato, non pregiudica la possibilità per le parti di stipulare rapporti di lavoro a termine ponendo particolari condizioni e limiti.
Infine si deve evidenziare come il rapporto di lavoro, concepito fisiologicamente come relazione stabile e duratura, incontri nel panorama normativo delineato dal codice del 1942 significative eccezioni, che non si esauriscono nei casi di rapporto di lavoro a termine.
Oltre ai casi in cui la scadenza è insita nella “natura” stessa del rapporto o è prevista da apposita clausola contrattuale (art.2907 cod. civ.), il legislatore lascia ai contraenti la possibilità di fissare un termine al rapporto di lavoro, mediante l’esercizio del diritto di recesso9.
Il sistema si fondava (e si fonda ancora oggi) essenzialmente su due norme, le quali disciplinano il recesso unilaterale dal rapporto: l’art. 211810 cod. civ. “Re- cesso dal contratto a tempo indeterminato” e l’art. 211911 cod. civ. “Recesso per giusta causa”.
Dall’analisi comparata delle due disposizioni emerge un diverso regime normativo, a seconda della forma contrattuale presa in considerazione.
In caso di rapporto a tempo indeterminato, l’art. 2118 cod. civ. prevede che ciascuna parte sia libera di recedere dal rapporto causandone la cessazione in qualunque momento, senza necessità di alcuna specifica motivazione, ma con il
9 X. XXXXXXXXX, op. cit, p.50 e ss.; X. XXXXXX, Una lezione sul diritto del lavoro, in “Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali”, 1991.
10 ART 2118 codice civile: «Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto a tempo indeterminato,
dando il preavviso nei termini e nei modi stabiliti dalle norme corporative (oggi disposizioni della contrattazione collettiva), dagli usi o secondo equità. In mancanza di preavviso il recedente è tenuto verso l’altra parte a un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso».
11 ART 2119 codice civile: «Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità indicata nel comma 2 dell’articolo precedente».
solo obbligo del preavviso o, in via alternativa, corrispondendo un’indennità sostitutiva.
Al contrario, in caso di assunzione a tempo determinato, il recesso unilaterale dal rapporto prima della scadenza del termine è consentito solo in presenza di una giusta causa, cioè «di un evento di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto nemmeno per un periodo di tempo limitato, quindi neppure per il tempo necessario a consentire il rispetto del preavviso previsto»12.
In sostanza, mentre dal rapporto di lavoro a tempo indeterminato, fino alla legge
n. 604 del 1966, era possibile recedere in ogni momento e senza vincoli - al di fuori dell’obbligo di preavviso (il c.d. recesso ad nutum) 13 - dal rapporto a tempo determinato era, ed è possibile tutt’ora, recedere prima della scadenza del termine solo in ipotesi di particolare rilevanza, definite come giusta causa: «un regime quest’ultimo più rigido e vincolante, soprattutto per il datore di lavoro»14.
Da ultimo, giova sottolineare come l’impostazione binaria delineata dal legislatore del 1942 sia stata parzialmente modificata dalla successiva evoluzione normativa.
1.2 LA LEGGE N. 230 DEL 1962
Tappa fondamentale nell’iter che ha portato alla predisposizione dell’attuale disciplina è costituita dalla L. n. 230 del 1962.
Il legislatore, mosso dall’obiettivo di innalzare il livello dei limiti previsti per il contratto a tempo determinato15, ha, per la prima volta, provveduto a predisporre
12 L.A. COSATTINI, Decreto Dignità: nuove regole per il contrasto al precariato. Aggiornato alla Circolare ministeriale n. 17 del 31.10.2018, Xx. Xxxxxxxx, S. Arcangelo di Romagna, 2018, p.11. In senso conforme X. XXXXXXXX e X. XXXXX, op. cit., p.185; in senso conforme X. XXXXXXX, op.cit., p.63; X.XXXXXX , Il contratto a termine, in Rivista giuridica “Filodiritto”, in xxx.xxxxxxxxxxx.xxx, 2011.
13 X. XXXXXXX, Alle origini della tutela contro i licenziamenti individuali ingiustificati in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx; in senso conforme X. XXXXXXX, op.cit., p.63.
14 L.A. XXXXXXXXX, op. cit., p. 11; X. XXXXXX, op. cit.
15 L.CAIRO, F. D’XXXXXX, X. XXXXXXXX, op. cit., p. 9.
una regolamentazione organica di questa tipologia contrattuale, distanziandosi dalla tecnica normativa di tipo puramente descrittivo risultante dalle disposizioni del codice civile. La citata legge (art. 9) ha, inoltre, provveduto all’abrogazione del vecchio art. 2097 cod. civ.
La legge del 1962 (“Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato”), pur oggi abrogata e sostituita integralmente dal D.lgs. n. 368 del 2001, costituisce l’ossatura sulla quale si è sviluppata, negli anni seguenti, la legislazione in materia. Per tale motivo appare utile ripercorrerne i punti salienti.
L’art.1 si apre con il richiamo alla precedente norma, la quale prevedeva che “il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato” se non è dichiarato diversamente; successivamente la legge n. 230 sottolinea che l’apposizione del termine al contratto di lavoro è subordinata alla sussistenza di specifiche motivazioni al di fuori delle quali il contratto viene considerato a tempo indeterminato16. Queste ultime rendono legittima l’apposizione del termine nei casi previsti dal comma 2 dell’art.1.
È stato efficacemente sottolineato come, con tale previsione, «il legislatore ha scavato un solco più profondo fra il rapporto a tempo indeterminato e quello a tempo determinato, accentuando la natura di eccezione alla regola di tale seconda tipologia contrattuale»17.
Il comma 2 dell’art. 1 consentiva infatti l’apposizione di un termine alla durata del contratto in cinque distinti casi.
In primis quando ciò sia richiesto dalla speciale natura dell’attività lavorativa derivante dal carattere stagionale della medesima. Sul punto la giurisprudenza ha, tuttavia, sottolineato che l’assunzione a termine è illegittima nel caso in cui l’attività stagionale, pur rientrando nell’elenco previsto dal D.P.R. del 7 Ottobre
16 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale. Privato e pubblico, Edizione 6 Utet, dicembre 2003, p. 358. L’Autore ha sottolineato come la previsione in commento manifesti il costante atteggiamento di sfavore legislativo verso la tipologia contrattuale a termine.
17 L.A. COSATTINI, op. cit., p. 1; X. XXXXXX, op.cit.
1963 n. 1525, venga svolta continuativamente o comunque ad intervalli di tempo che vadano oltre i limiti della stagionalità18.
In secondo luogo, è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto allorché l’assunzione abbia luogo per sostituire lavoratori assenti e per i quali sussiste il diritto alla conservazione del posto19, sempre che nel contratto di lavoro sia indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione20: si trattava dei casi di assenza per malattia, infortunio, maternità e servizio militare 21 . La giurisprudenza consentiva “la non perfetta coincidenza temporale tra la durata dell’assunzione a termine ed il periodo di assenza del lavoratore, potendo il contratto del sostituto scadere prima della fine dell’assenza o cominciare dopo l’inizio della stessa”22. In questa situazione la Corte suprema consentiva anche la compresenza sul luogo del lavoro sia del sostituto sia del sostituito, perlomeno per un breve lasso temporale, senza che ciò comportasse la conversione del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato e ciò purché non vi fosse un intento fraudolento23.
18 Cass. 29 gennaio 1993, n. 1095, in RIDL, 1994, II, 396.
19 Non ci si riferisce alle ferie (Cass. 13 maggio 1983, n. 3293, in LPO, 1983, 1405); allo spostamento del lavoratore a un posto diverso (Trib. Milano 22 settembre 1981, in LPO, 1981, 926), anche se la suprema corte ha riconosciuto la legittimità dell’assunzione a termine nel caso di sostituzione di un dipendente spostato ad altro posto di lavoro nel caso in cui si trovi nell’ impossibilità temporanea di svolgere le mansioni iniziali (Cass. 20 febbraio 1995, n. 1827, in NGL, 1995, 550); mentre ci si riferisce ai casi di sospensione del rapporto di lavoro previsti dalla contrattazione collettiva (Trib. Roma 9 maggio 1996, in DL, 1996, II, 295) e di assenza post partum, ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge (Pret. Milano 18 aprile 1984 in OGL, 1984, 1012). Laddove sussistente un nesso diretto e necessario è stata ammessa anche la sostituzione a catena o a scorrimento, ossia “l’ipotesi in cui un lavoratore assente viene rimpiazzato con un lavoratore già in servizio che viene a sua volta sostituito con un lavoratore assunto a termine” (Cass. 17 febbraio 1993, n. 1952, in DPL, 1993, 1013; Cass. 10 giugno 1992, n. 7102 in NGL, 1992, 623 nonché in
MGL, 1992, 584).
20 La Corte Suprema ha ritenuto che l’indicazione del nome del lavoratore sostituito e la causa di sostituzione dovesse avvenire con atto scritto ad substantiam. In tal senso x. Xxxx., 0 agosto 1996, n. 7385, in GI, 1997, I, p. 610.
21 In dottrina si è sostenuto che la norma facesse riferimento non solo ai casi di sospensione legale del
rapporto di lavoro previsti dagli art. 2110 e 2111 cod. civ., ma anche a quelli stabiliti dai contratti collettivi. In questo senso v. X. XXXXXXXX, Contratto a termine, in xxx.xxxxxxxxxx.xx.
22 Cass. 2 ottobre 1988, n. 9812, in LG, 1999, p. 284; Cass. 21 gennaio 0000, x. 000, xx XXXX, 0000, II, p.
506; Cass. 22 settembre 0000, x. 0000, xx XX, 0000, II, p. 214.
23 Cass. 4 marzo 1986, n. 1371, in MGL, 1986, p. 375.
Dunque, in tale contesto normativo, la cessazione del rapporto di lavoro dell’assente non comportava l’estinzione anticipata del rapporto del sostituto, né la sua trasformazione in rapporto a tempo indeterminato 24.
In terzo luogo, è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto allorquando l’assunzione abbia luogo per l’esecuzione di un’opera o di un servizio, definiti e predeterminati nel tempo, aventi carattere straordinario e occasionale. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto integrata tale ipotesi, non solo nel caso di attività diversa da un punto di vista qualitativo da quella svolta normalmente, ma anche nella diversa situazione di “un incremento solo qualitativo, purché particolarmente rilevante e collegato ad eventi eccezionali non suscettibili di essere fronteggiati attraverso la normale struttura organizzativa e produttiva, pur efficacemente e adeguatamente programmata” 25 . Il carattere straordinario doveva essere poi valutato ex ante, posto che il termine doveva essere stabilito sin dal momento della stipula del contratto.
Inoltre, il legislatore permette l’apposizione di un termine alla durata del contratto nelle ipotesi di lavorazioni a fasi successive che richiedano maestranze diverse, per specializzazioni, da quelle normalmente impiegate e limitatamente alle fasi complementari od integrative per le quali non vi sia continuità di impiego nell’ambito dell’azienda: ciò si verificava soprattutto in relazione alle lavorazioni nei cantieri edili26e navali.
Infine, era possibile ricorrere al contratto a termine per le assunzioni di personale relativo a specifici spettacoli ovvero a specifici programmi radiofonici o televisivi 27 . Anche qui, fermo restando la temporaneità e la limitazione dei
24 Cass 10 giugno 1992, n. 7102; Cass. 17 aprile 1986, n. 2729, in MGL, 1986, p. 374.
25 Cass 12 maggio 1995, n. 5209, in XXX, 0000, 47, p. 2957.
26 X. XXXXXXXX, Diritto del lavoro, VI Xx. Xxxxxxxxxxxx, Torino, 1996, p.72.
27 Art. 1 comma 1 lettera e), lettera così sostituita dall’articolo unico, L. 23 maggio 1977, n. 266, in GU 7
giugno 0000, x. 000, xxx.
programmi28, “la prestazione del lavoratore a termine deve inserirsi con vincolo di necessità diretta, seppure complementare, nello specifico spettacolo”29.
Vi erano, dunque, tre tipologie di causali 30 : quelle connesse alla natura stagionale dell’attività; quelle cosiddette sostitutive, cioè collegate alla necessità di provvedere, per un determinato periodo di tempo, alla sostituzione di un lavoratore già assunto ma con diritto alla conservazione del posto; infine quelle derivanti dalla necessità di procedere a lavorazioni inusuali per l’azienda.
Il comma 3 dell’art. 1, riproducendo l’abrogato art. 2097 cod. civ., prevede che
«L'apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto”31. Orbene, la norma richiedeva la forma scritta per la valida apposizione del termine (forma scritta c.d. ad substantiam), comminando al tempo stesso la sanzione della nullità relativa. Dunque, ove il contratto non fosse stato redatto in forma scritta, l’ordinamento comminava la nullità della sola clausola appositiva del termine e non dell’intero contratto il quale, quindi, si considerava a tempo indeterminato.
È pacifico in giurisprudenza che la richiesta forma scritta si riferisca solo al termine e che la stipulazione per iscritto deve precedere o essere contemporanea all’inizio del rapporto32. Tale orientamento giurisprudenziale mira ad evitare che si possa facilmente eludere la previsione dell’obbligatorietà della causale legittimante l’apposizione del termine. In un’ottica anti-fraudolenta, si vuole evitare che il datore di lavoro possa aggirare il c.d. obbligo di causale, apponendo la motivazione solo nel momento che risulterà a lui più opportuno.
Inoltre, la legge n. 230, in considerazione del contenzioso scaturente dalla duplice previsione dell’obbligo di forma scritta e della necessità della causale, si
28 X. XXXXXXXXX, Lavoro a termine nello spettacolo: produzione di programmi dell’emittenza pubblica e privata, in L80, 1983, p. 847.
29 Ibidem.
30 Voce “Causale in contratto a termine” in Giurisprudenza recente, in Rassegna di diritto del xxxxxx.xx. 31La xxxxx xxxxxxxxxx stabilendo “copia dell'atto scritto deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore”. È da notare come il comma 5 dell’art. 1 prevedesse una deroga al regime della forma scritta nei casi in cui il rapporto, di tipo occasionale, non superasse i 12 giorni lavorativi.
32 Cass. 11 dicembre 2002, n. 17674, in GLAV, 2003, 7, p. 12; conforme Xxxx. 27 febbraio 1998, n. 2211,
in FI, 1999, I, p. 134.
preoccupava di definire il riparto dell’onere della prova nel processo. Al riguardo poneva in capo al datore di lavoro l’onere di provare le motivazioni legittimanti l’apposizione del termine, sia in relazione al primo contratto di lavoro, sia in relazione alla sua proroga33.
La legge del 1962 si preoccupava anche di limitare al massimo il ricorso all’istituto della proroga, al precipuo scopo di non vanificare l’impresso carattere di eccezionalità della forma contrattuale a termine. Il ricorso sistematico alla proroga dimostrava di per sé l’assenza di esigenze temporanee, le sole a giustificare la valida stipula di un contratto a tempo determinato.
Orbene, l’art. 2 della legge suddetta, nel delineare il sistema della proroga del termine, fissato inizialmente dalle parti, prevedeva34 stringenti requisiti.
In primo luogo stabiliva la possibilità di prorogare il contratto un’unica volta e per un tempo non superiore alla durata dell’originario contratto.
In secondo luogo richiedeva una causale rafforzata da esigenze imprevedibili ed urgenti riferibili alla medesima attività che aveva giustificato la stipula del contratto da rinnovare.
Inoltre, la proroga doveva essere accettata dal lavoratore; al riguardo la legge non richiedeva la forma scritta, essendo sufficiente la prosecuzione, di fatto, dell’attività35.
33 X.XXXXXX, op. cit.
34 L’art. 2 della legge n. 230 del 1962: “Il termine del contratto a tempo determinato può essere, con il consenso del lavoratore, eccezionalmente prorogato, non più di una volta e per un tempo non superiore alla durata del contratto iniziale, quando la proroga sia richiesta da esigenze contingibili ed imprevedibili e si riferisca alla stessa attività lavorativa per il quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato ai sensi del 2 comma articolo precedente”.
35 Inizialmente la Cassazione aveva ritenuto necessaria la forma scritta per l’indicazione delle ragioni che
giustificavano la proroga e ciò al fine di fissarle immodificabilmente per il caso di successive contestazioni e di rendere controllabile la relativa prova (art. 3 legge 18 aprile 1962 n. 230). In senso conforme X. XXXXXXXX, Il contratto a termine, Xx. Xxxxxxx, 1982, p.124. Successivamente la Suprema Corte ha mutato il suo orientamento, ritenendo che, l’assenza nella 230 del 1962 di qualsiasi prescrizione in ordine alla forma della proroga, dovesse portare a considerare valida la stipulazione anche in assenza di forma scritta. X. Xxxx 1 luglio 1986, n. 4360; Cass 28 maggio 1990, n. 4939, in DPL, 1990, p. 2576, Cass. 3 luglio 1990,
n. 6796, in DPL, 1990, p. 2840.
Tra i requisiti menzionati ai fini della validità della proroga, particolare rilievo era assegnato dalla giurisprudenza, a fini anti-elusivi, alle “esigenze contingibili ed imprevedibili”.
L’opinione prevalente in giurisprudenza definiva prevedibili “quelle situazioni di cui l’imprenditore possa, anche in via di mera probabilità, rappresentarsi l’ulteriore sviluppo, secondo l’id quod plerumque accidit”. Si sosteneva, altresì, che l’imprevedibilità andasse accertata secondo il criterio della diligenza media osservabile dall’imprenditore 36 , il quale era tenuto a prevedere se vi fosse la necessità, per il futuro, di approvvigionarsi delle stesse mansioni svolte dal lavoratore in forza dello stipulando contratto a termine.
La giurisprudenza, adottando un atteggiamento rigoroso circa il requisito in commento, ha, dunque, precisato che le ragioni che giustificano la proroga del contratto devono essere indicate in maniera specifica nel negozio “novativo”, in modo tale che le stesse siano individuate sin dall’inizio e divengano, per tale via, immodificabili: ciò al fine di rendere controllabile la relativa prova in caso di contestazione in giudizio. Infatti, ove il datore di lavoro potesse precisare ex post le ragioni del ricorso alla proroga, verrebbero meno le garanzie a tutela del lavoratore37.
L’art. 2, inoltre, contemplava il caso dell’attività lavorativa proseguita oltre la scadenza del termine precedentemente fissato, in assenza di legittima proroga.
36 Così Cass. 12 novembre 1992, n. 12166, in NGL, 1993, p. 56 “In relazione a tale requisito l’indirizzo giurisprudenziale ha manifestato ben presto un orientamento molto rigoroso, affermando in più occasioni che la proroga del contratto di lavoro a termine richiede un apposito negozio che ne individui le ragioni, le quali dovendo essere contingenti ed imprevedibili, non possono identificarsi con quelle della prima assunzione, ma al pari di esse, necessitano di tale specifica indicazione al fine di fissarle immodificabilmente, per il caso di contestazioni, e di rendere controllabile la relativa prova, di cui all’art 3
L.18 aprile 1962 n. 230. Se questa fosse affidata, anche nella scelta dei fatti che determinarono dette esigenze, ad una precisazione ex post da parte del datore, verrebbe meno ogni garanzia del lavoratore nel controllo dei fatti stessi, sconosciuti al momento della proroga di cui costituirebbero la ragione; pertanto è illegittima la proroga stabilita senza riferimento alcuno alle esigenze menzionate dall’art. 2 L. cit. e senza specificazione dei fatti che la determinano”. In senso conforme X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, op. cit.
37 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, op. cit.; L.A. XXXXXXXXX, op. cit, p.13.
Vi si stabiliva, infatti, che la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre la scadenza fissata comportasse una maggiorazione della retribuzione per i primi giorni successivi al superamento del termine, mentre nel caso di un’ulteriore continuazione era previsto, altresì, che il rapporto diventasse a tempo indeterminato38.
Il comma 2 dell’art. 2, nella seconda parte, regolamentava il diverso fenomeno della successione di contratti, cioè il caso in cui il datore assume nuovamente lo stesso lavoratore con contratto a tempo determinato, subito dopo la conclusione di un rapporto di lavoro pure a termine.
Si potevano ipotizzare due situazioni.
Nella prima ipotesi fra i due successivi rapporti di lavoro vi era un intervallo temporale. In questo caso, la norma stabiliva che, qualora il lavoratore venisse riassunto a termine entro un periodo di dieci giorni ovvero venti dalla data di scadenza di un contratto di durata, rispettivamente, inferiore o superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considerava a tempo indeterminato.
Nella seconda evenienza non esisteva alcun intervallo di tempo tra i due contratti a termine e, per questa ipotesi, la norma stabiliva che, trattandosi di due assunzioni successive a termine, il rapporto di lavoro poteva considerarsi a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto.
Un altro fondamentale principio stabilito dalla legge del 1962 concerne la parità di trattamento economico e normativo fra dipendenti della stessa azienda, indipendentemente dalla circostanza che questi siano assunti con contratto a tempo
38 Art. 2. legge 1962: “Se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno successivo, al 40% per ciascun giorno ulteriore. Se il rapporto di lavoro continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi ovvero oltre il trentesimo negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini”.
determinato o con contratto a tempo indeterminato, ovviamente tenendo in conto la diversa durata del rapporto39.
Sotto il profilo sanzionatorio, la violazione delle norme in materia di contratto a termine comportava (art.7), a carico del datore di lavoro, l’applicazione di una sanzione amministrativa, la cui entità aumentava nel caso in cui la violazione riguardasse più di 5 lavoratori.
Il legislatore, al contempo, introduceva un regime speciale per alcune categorie di assunti: per i dirigenti, infatti, era ammessa la conclusione di contratti a termine a-causali, purché di durata inferiore ai 5 anni e, come già previsto dall’art. 2118 cod. civ., era inoltre consentita loro la facoltà di recesso, trascorso un triennio.
Un’altra deroga, inserita nell’art. 6, riguardava i “Rapporti di lavoro tra i datori dell’agricoltura e salariati fissi”: per questa categoria di lavoratori non era prevista l’applicazione dell’intera normativa.
La legge n. 230/1962 testimoniava indubbiamente come il legislatore considerasse la tipologia del lavoro a termine un’eccezione, laddove il rapporto di lavoro a tempo indeterminato costituiva, invece, la regola40: inequivoca era la diffidenza del legislatore rispetto a questa particolare tipologia contrattuale41.
Inoltre la legge confermava la disciplina riguardante la cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, già regolato dalle disposizioni del codice civile che consentivano il recesso ad nutum, senza obbligo di motivazione.
In tale contesto normativo, il contratto a tempo indeterminato era doppiamente vantaggioso: infatti il rapporto a tempo determinato, se da un lato necessitava di
39 L.A. COSATTINI, op.cit., p.13. A tal proposito l’art. 5 stabiliva che «al prestatore di lavoro, con contratto a tempo determinato, spettano le ferie e la gratifica natalizia o la tredicesima mensilità e ogni altro trattamento in atto nell’impresa per i lavoratori regolamentati con contratti a tempo indeterminato, in proporzione al periodo lavorativo prestato, sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine». Veniva anche attribuito al lavoratore assunto con contratto a termine un «premio di fine lavoro proporzionato alla durata del contratto stesso e pari alla indennità di anzianità prevista dai contratti collettivi» (Si tratta di ciò che si è trasformato in tfr.).
40 Così A.M. CORNA, Il contratto a termine, p. 420. «Emergeva infatti inequivocabilmente, per la prima volta, la volontà di limitare le ipotesi di legittima apposizione del termine al contratto di lavoro, subordinando quest’ultima alla “obiettiva esistenza” di specifiche ragioni individuate dal legislatore come congrue e compatibili con l’utilizzo di tale modalità di regolazione del rapporto». In senso conforme X. XXXXX, P.A. XXXXXX, op.cit., p. 219.
41Ibidem.
motivazioni giustificative e lo stesso era richiesto per l’eventuale proroga del termine, dall’altro impediva al datore di recedere prima della scadenza dello stesso, a meno che non vi fosse una giusta causa di licenziamento.
D’altra parte, invece, l’instaurazione di un rapporto a tempo indeterminato assicurava la massima flessibilità, considerando che era possibile recedere in ogni momento e senza oneri di motivazione, con l’unico vincolo del preavviso previsto dalla contrattazione collettiva.
1.3 LA LEGGE N. 604 DEL 1966
Un radicale mutamento42 si è registrato con l’entrata in vigore della legge n. 604 del 1966: viene, infatti, esclusa la possibilità del recesso ad nutum per quanto riguarda il contratto a tempo indeterminato da parte del datore, il quale può licenziare il lavoratore solo in relazione a specifiche motivazioni previste dalla legge (giusta causa o giustificato motivo)43.
La legge n. 604/1966 stabilisce altresì, all’art. 2, il principio della necessità della forma scritta per il licenziamento e, all’art. 8, prevede le conseguenze del licenziamento illegittimo, vale a dire quello privo di solida motivazione: le stesse sono costituite dall’obbligo di reintegra nel posto di lavoro quale misura reale o, in via alternativa, il pagamento dell’indennità sostitutiva quale misura obbligatoria44.
42 Così X. XXXXXXXXX, Breviario di diritto del lavoro, X. Xxxxxxxxxxxx Editore, Torino, 2015, nonché,
X. XXXXX, continuato da X. XXXXXXXXXX, op. cit.
43L’art.1 stabilisce che «nel rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intercorrente con datori privati o con enti pubblici, ove la stabilità non sia assicurata da norme di legge, di regolamento e di contratto collettivo o individuale, il licenziamento del prestatore non può avvenire che per giusta causa ai sensi dell’art 2119 cod. civ. o per giustificato motivo». Tale giustificato motivo viene definito nell’art. 3 come «determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa».
44 L’art.8 stabilisce: «Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta
causa o per giustificato motivo, il datore è tenuto a riassumere il prestatore entro tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6
1.4 LA RECEDIBILITÁ DAI CONTRATTI
La legge n. 604/1966 cancella la recedibilità ad nutum dal contratto di lavoro a tempo indeterminato: fatta eccezione per i dirigenti e il personale domestico, licenziare un lavoratore assunto con questo tipo di contratto poteva avere gravi conseguenze per il datore di lavoro.
Xxxxxx, diviene ancor più arduo, per il datore di lavoro, recedere da un contratto a tempo indeterminato con l’entrata in vigore della legge n. 300/1970 (il c.d. Statuto dei lavoratori) che, in materia di licenziamento individuale illegittimo, introduce l’art.18. Si tratta di una norma chiave nel sistema della tutela dei lavoratori45: la stessa prevede, in un’ottica analoga alla legge n. 604 del 1966, sebbene inizialmente solo per le aziende di grandi dimensioni 46 , la tutela reintegratoria (nonché quella risarcitoria)47.
Successivamente il legislatore (l’art. 1 legge 108/1990) è intervenuto, ulteriormente, sulla materia, estendendo l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, anche alle aziende di dimensioni minori48.
mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore, al comportamento e alle condizioni delle parti. La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore con anzianità superiore ai 10 anni e fino a 14 per il prestatore con anzianità superiore ai 20, se dipendenti da datore che occupa più di 15 prestatori di lavoro».
45 X. XXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXX, X. XXXXXXXXX, Jobs Act e licenziamento, X. Xxxxxxxxxxxx Editore, Torino, 2015, p. 201.
46 Vedi art.1 L. n. 108/1990 che dispone l’applicabilità dell’art.18 ai datori che occupano più di 15 dipendenti nello stesso comune, alle imprese agricole che occupano più di 5 dipendenti nello stesso comune, nonché al datore che occupa più di 60 dipendenti. Nota successiva.
47 L’originario art.18 Statuto dei lavoratori prevedeva: «il giudice, con la sentenza con cui dichiara inefficace il licenziamento ai sensi art. 2 della legge predetta o annulla il licenziamento intimato senza giusta causa o giustificato motivo ovvero ne dichiara la nullità a norma della legge stessa, ordina al datore di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro. Il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno subito per il licenziamento di cui sia stata accertata la inefficacia o l’invalidità a norma del comma precedente. In ogni caso, la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a 5 mensilità di retribuzione».
48 «Ai datori, imprenditori e non, che nell’ambito dello stesso comune occupano più di 15 dipendenti ed alle imprese agricole che nel medesimo ambito territoriale occupano più di 5 dipendenti (…) e in ogni caso al datore, imprenditore e non, che occupa alle sue dipendenze più di 60 prestatori di lavoro».
É stato così introdotto, nel nostro ordinamento, «il regime della tutela cosiddetta reale (in contrapposizione a quella obbligatoria consistente solo nell’obbligo di pagamento di una somma di denaro, apprestata dalla legge n.604/1966) del posto di lavoro, grazie alla quale, in presenza dei presupposti disciplinati dalla legge, il lavoratore illegittimamente licenziato ha diritto alla ricostituzione e alla prosecuzione del rapporto di lavoro»49.
In questo contesto, il recesso del datore di lavoro, sub specie di licenziamento, diviene notevolmente più gravoso. Infatti, il recesso deve essere adeguatamente motivato; ove ciò non avvenga il lavoratore ha diritto alla reintegra, fatto salvo il risarcimento del danno patito. Tutto ciò determina una situazione in cui, se da un lato i lavoratori sono tutelati nella loro aspettativa di un’occupazione stabile che li accompagni al pensionamento, dall’altro il datore di lavoro teme di istaurare rapporti lavorativi a termine privi di un’effettiva e solida causale50.
1.5 L’EVOLUZIONE NORMATIVA SUCCESSIVA FINO ALLA LEGGE
N.196 DEL 1997
Negli anni successivi, fino all’emanazione del D.lgs. n. 368/2001, il legislatore è intervenuto più volte in materia, integrando o correggendo la disciplina vigente: ci si rendeva conto dell’evoluzione del mercato del lavoro e della necessità di un sistema normativo adeguato.
Tra i provvedimenti più significativi ricordiamo:
1) il D.l. 3 dicembre 1977 n. 876 che, varando una disciplina specifica per i settori del commercio e del turismo, introduce un nuovo modello di causale consistente nella verificazione, “in determinati e limitati periodi dell’anno, (di) una necessità di intensificazione dell’attività lavorativa, cui non sia possibile sopperire con il
49 L.A. COSATTINI, op.cit., p. 16.
50 Ibidem. «Così si spiega la progressiva fuga dei datori dal rapporto a tempo indeterminato, vissuto come un vincolo indissolubile e la corsa verso forme di rapporto più flessibili e meno durature, prima fra tutte quella costituita dal rapporto di lavoro a termine».
normale organico”. Per la verifica della sussistenza delle motivazioni viene incaricato l’Ispettorato provinciale del Lavoro;
2) l’art. 8 bis D.l. 29 gennaio 1983, n. 17 introduce un interessante diritto di precedenza nelle nuove assunzioni per coloro che avevano già lavorato con contratti a tempo determinato stagionali presso la stessa azienda e con le stesse mansioni. I lavoratori interessati, al fine di godere del suddetto beneficio, erano gravati dall’onere di manifestare tale volontà entro 3 mesi dalla data di cessazione del rapporto;
3) l’art. 23 della L. n. 56/1987 consente l’apposizione del termine al contratto di lavoro, oltre che nelle ipotesi già esaminate nell’art. 1 L. n. 230/1962, anche nei casi di contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali. Si è così realizzata un’apertura alla flessibilità.
I sindacati erano anche incaricati di stabilire la percentuale di lavoratori che potevano essere assunti a termine, e ciò avveniva in proporzione a quelli impiegati a tempo indeterminato nella stessa azienda.
È possibile scorgere nella suddetta legislazione la tendenza a delegare alla contrattazione collettiva la disciplina di alcuni aspetti del rapporto di lavoro a tempo determinato51.
L’importanza della legge n. 56/1987 si coglie ove si consideri che la stessa si distanzia dal consueto atteggiamento legislativo di sfavore verso il contratto a tempo determinato così come esaminato nei paragrafi precedenti: si tratta del primo intervento normativo diretto a favorire il contratto a termine rispetto a quello a tempo indeterminato52, dal momento che l’art. 23 attribuiva ai sindacati nazionali o locali una delega in bianco, vale a dire il potere di stabilire ulteriori causali, sia oggettive che soggettive, per la legittima apposizione del xxxxxxx00. In questa
51 X. XXXXXX, op. cit.
52 X. XXXXXXX, X. XXXXX, op. cit., p.1.
53 In questi termini le Sezioni Unite della Corte di Cassazione 2 marzo 2006, n.4588, in Arg. Dir. Lav, 6, 2006, p. 1649 ss., la quale sottolinea come la suddetta legge ha permesso - “alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale, di carattere meramente soggettivo, tanto in funzione di promozione dell’occupazione quanto di tutela delle fasce deboli di lavoratori- l’assunzione di speciali categorie di lavoratori”.
situazione si inseriva la direttiva comunitaria 1999/70, la quale sarà oggetto di un’autonoma analisi in apposito paragrafo.
1.6 IL C.D. PACCHETTO TREU
1.6.1 Considerazioni generali
Il diritto del lavoro italiano, ancora all’inizio degli anni Novanta, non conosceva, né prendeva in alcun modo in considerazione i contratti atipici e i contratti a tempo determinato: in sintesi era riconosciuto soltanto il lavoro a tempo indeterminato, mentre era del tutto ignorato quello che possiamo definire, con un’accezione ge- nerale, il lavoro flessibile.
In effetti, con il consiglio straordinario di Lussemburgo del 1997, era stata adot- tata a livello europeo la Strategia Europea per l’Occupazione, che aveva «l’intento di combattere la disoccupazione, far aumentare la produttività e migliorare la qua- lità del lavoro. Quattro i concetti chiave: occupazione, imprenditorialità, adattabi- lità, pari opportunità»54.
Si osservava, infatti, che l’eccessiva rigidità del mercato del lavoro faceva sì che si garantissero esclusivamente i diritti dei lavoratori già assunti, escludendo coloro che erano in cerca di occupazione: era necessario, quindi, consentire alle imprese, al contempo, di licenziare con più facilità e di assumere i lavoratori attraverso ti- pologie contrattuali meno rigide.
Parallelamente, nello scenario politico italiano, durante il governo Xxxxx, emerse la necessità, da un lato, di risolvere il problema della disoccupazione giovanile dilagante in particolar modo al Sud, dall’altro, di incentivare le aziende ad assu- mere avendo a disposizione contratti meno rigidi e più flessibili. Sulla base di tali esigenze veniva varata la legge delega n. 196 del 24 giugno 1997.
54G. BUCALOSSI, Dal pacchetto Treu al Jobs Act: Venti anni di precarizzazione selvaggia, in www.attac- xxxxxx.xxx.
Scopo della legge delega era quello di autorizzare il governo ad emanare un de- creto legislativo che mettesse ordine nel frammentario e lacunoso quadro dei con- tratti atipici.
In attuazione della legge delega n.196, veniva così varato il cosiddetto Pacchetto Treu55, il quale aveva come obiettivo prioritario quello di “svecchiare” il mercato del lavoro italiano, aprendo alla flessibilità e abbattendo le rigidità56.
L’obiettivo della riforma è stato ben compendiato da chi sosteneva che il Pac- chetto Treu “ambiva a realizzare una forma di compromesso tra le istanze di fles- sibilità provenienti dal mondo imprenditoriale e le esigenze del garantismo radi- cate nella cultura del movimento sindacale”57.
In effetti il Pacchetto Treu risponde a questa esigenza di maggiore liberalizza- zione, introducendo alcune significative novità. La più importante è l’introdu- zione nel nostro ordinamento del lavoro interinale58, detto poi “somministra- zione”59. Occorre analizzare, dunque, le principali novità.
In primis viene abolito il rigido divieto di interposizione di manodopera previ- sto dal legislatore del 1960: per tale via si apre il mercato del lavoro all’iniziativa di agenzie private che possono, quindi, competere con lo Stato in un settore fino ad allora vietato ai privati, cioè il collocamento di personale presso le aziende. Sul punto giova sottolineare come l’istituto della somministrazione sia stato og- getto di plurimi ripensamenti da parte del legislatore il quale, dalla netta ostilità
55 Dal nome dell’allora ministro del lavoro e della previdenza sociale del governo Xxxxx, Xxxxxxx Xxxx, appartenente ad un governo di ispirazione riformista ed europeista. V. anche X. XXXX, In tema di Jobs Act. Il riordino dei tipi contrattuali, in “Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali”, n. 146, 2015, nonché, X. XXXXXXXXX, op. cit.
56 M. DI PACE, Il pacchetto Treu un anno dopo, in diritto delle relazioni industriali, p. 513.
57 X. XXXXXXX X’XXXX, X. XXXXXX, Xxxxxx interinale e contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, in Arg. Dir. Lav., 1998, fasc. 1, p. 67.
58 Dal francese travail interimaire. La dottrina italiana non ha mai apprezzato questa scelta linguistica anzi
X. XXXXXXXX, Requiem per un decreto, in Riv. Dir. Lav. 1993, I, p. 2109, parla di orrendo barbarismo.
59 Così X. XXXXXXXXX D’ELCI, V.F. XXXXXX, X. XXXXXXX, Somministrazione di lavoro, in “Il Civilista”, 2015; nonché, X. XXXXXXXX, Manuale di diritto del lavoro, Cedam, giugno 2020, p. 292.
per l’intermediazione di manodopera (L. n. 1369 del 1960)60, è passato ad un suo prudente sdoganamento con l’introduzione del lavoro temporaneo (L. n. 196 del 1997); si è addivenuti, poi, alla sua accettazione piena mediante il riconoscimento della liceità del c.d. staff leasing (D.lgs. n.276 del 2003) - il quale è stato oggetto di «un’azione sistematica di boicottaggio»61 (abrogato nel 2007 e ripristinato nel 2009) - per approdare, infine, alla liberalizzazione dell’istituto sotto il profilo cau- sale, dapprima solo nella sua forma a tempo determinato (c.d. Decreto Poletti), poi anche in quella a tempo indeterminato (D.lgs. n. 81 del 2015)62.
Sono oggetto di importanti significative modifiche da parte del Pacchetto Treu anche ulteriori tipologie contrattuali, come il contratto di apprendistato che co- stituisce un importante strumento negoziale volto a curare l’aspetto della forma- zione esterna all’azienda e alla prestazione lavorativa.
Infine si regolamenta il contratto a tempo determinato, ampliandone le possi- bilità di proroga; si diffonde l’uso delle collaborazioni coordinate e continuative (XX.XX.XX); viene, inoltre, incentivato il lavoro part-time con apposita decon- tribuzione.
Infine, il Pacchetto Treu incide significativamente anche sul codice civile, por- tando all’abrogazione di alcune disposizioni tra le quali emerge in particolare l’art. 2097 cod. civ.63.
60 X. XXXXXXXXX, Esternalizzazioni e diritto del lavoro: il lavoratore non è merce, in “Diritto delle relazioni industriali”, III, 1999, nonché X. XXXXXXX, Tecniche di tutela nei fenomeni di esternalizzazione, in “Argomenti di diritto del lavoro”, n. 2, 2003.
61 X. XXXXXXXXXX, Prefazione. Staff leasing: una vicenda tutta italiana, in X. XXXXXXX, Dieci anni di staff leasing. La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato nell’esperienza concreta, in Adapt la- bour studies, e-Book series n.38/2015, in xxx.xxxxxxxxx.xx.
62 Si veda sul punto M.T. CARINCI, Utilizzazione e acquisizione indiretta del lavoro: somministrazione e distacco, appalto e subappalto, trasferimento di azienda e di ramo, X. Xxxxxxxxxxxx Editore, Torino, 2010; R.DEL PUNTA, Le molte vie del divieto di interposizione nel rapporto di lavoro, in “Rivista italiana di diritto del lavoro”, I, 2008; M.D. FERRARA, Il “riespandersi” delle ipotesi sanzionatorie ex lege n.1369/1960 nel lavoro temporaneo: l’operatività delle “sanzioni di protezione” nel diritto del lavoro, in “Rivista italiana di diritto del lavoro”, II, 2009; X. XXXXXXXX, La somministrazione di lavoro nel Jobs Act tra tutele e promozione dell’occupazione, in “Lavoro nella giurisprudenza”, n.12, 2015; X. XXXXXXXXX, Flessibilità del lavoro e legge delega, in “Diritto del mercato del lavoro”, n. 1-2, 2003.
63 La disposizione recitava:” Il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato se il termine non risulta dalla specialità del rapporto o da atto scritto”.
Ricapitolando, il pacchetto Treu finisce per incidere su numerose tipologie con- trattuali in un’ottica di flessibilizzazione, dal “lavoro interinale” agli appalti di opere e di servizi, nonché sui contratti di collaborazione coordinata e continuativa e sul contratto a progetto.
Quindi, verso la fine degli anni ’90, crolla il caposaldo del contratto di lavoro a tempo indeterminato, per lasciare più spazio ad una variegata massa di figure con- trattuali “atipiche”.
Giova a questo punto soffermarsi brevemente sul contenuto del Pacchetto solo per quanto attiene alla fornitura di lavoro64.
All’art.1 viene fornita la definizione del contratto di somministrazione. Si tratta di un contratto mediante il quale un’impresa di fornitura di lavoro temporaneo (c.d. impresa fornitrice) pone uno o più lavoratori da essa assunti, a disposizione di un’impresa che ne utilizza la prestazione lavorativa (c.d. impresa utilizzatrice) per il soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo65.
Al riguardo, si deve precisare quale sia il campo applicativo dell’istituto come delineato dalla riforma in commento.
Sotto il profilo causale, l’art.1 stabilisce i casi in cui è possibile ricorrere al con- tratto di fornitura: ove previsto dai contratti collettivi nazionali applicati nell’im- presa utilizzatrice, in caso di temporanea utilizzazione in qualifiche non previste nell’organico aziendale, nonché per la sostituzione di lavoratori assenti.
Inoltre, la legge pone specifici divieti di ricorso alla tipologia contrattuale. Sussiste un divieto di utilizzo per la sostituzione di lavoratori in sciopero; presso aziende che nei dodici mesi precedenti abbiano proceduto a licenziamenti collettivi di la-
64 X. Xxxxx 00 giugno 1997 n. 186 in xxxxxx.xx.
65Così l’art.1: “Contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo”, contratto mediante il quale un’impresa di fornitura di lavoro temporaneo, di seguito denominata “impresa fornitrice” […] pone uno o più lavoratori, di seguito denominati “prestatori di lavoro temporaneo”, da essa assunti […] a disposizione di un’impresa che ne utilizza la prestazione lavorativa, di seguito denominata “impresa utilizzatrice” per il soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo”.
voratori con analoghe mansioni o nelle quali sia in atto una sospensione del rap- porto di lavoro o una riduzione dell’orario con diritto all’integrazione salariale; in aziende dove non si è effettuata la valutazione dei rischi o dove vi siano lavorazioni pericolose che richiedano sorveglianza medica mirata.
Sotto il profilo formale, il legislatore richiede la forma scritta, nonché predeter- mina il contenuto minimo del contratto66.
Il legislatore nel consentire l’utilizzo di una simile e “delicata”67 forma di lavoro flessibile, prevede, altresì, ulteriori limiti: i prestatori di lavoro temporaneo non possono superare la percentuale dei lavoratori occupati dall'impresa utilizzatrice con contratto a tempo indeterminato; tale percentuale è stabilita dai contratti col- lettivi nazionali della categoria di appartenenza dell'impresa stessa.
Ulteriori limiti sono previsti anche sotto il profilo soggettivo. Infatti l’art. 2 sta- bilisce che l’attività di fornitura di lavoro temporaneo può essere esercitata soltanto da società iscritte in un apposito albo istituito presso il Ministero del lavoro e della previdenza xxxxxxx00. La norma si occupa di delineare un sistema di controllo go- vernativo improntato a garantire una piena ed efficace tutela dei lavoratori impie- gati con contratto di somministrazione.
66 Il numero dei lavoratori richiesti; le mansioni alle quali saranno adibiti; il luogo, l'orario ed il trattamento economico; l’obbligo da parte dell'impresa fornitrice del pagamento diretto al lavoratore nonché del versamento dei contributi previdenziali; l'obbligo dell’impresa utilizzatrice di comunicare all'impresa fornitrice i trattamenti retributivi e previdenziali applicabili, nonché le eventuali differenze maturate nel corso di ciascuna mensilità o del minore periodo di durata del rapporto; la data di inizio ed il termine del contratto per prestazioni di lavoro temporaneo; gli estremi dell'autorizzazione rilasciata all'impresa fornitrice.
67 Per una disamina delle critiche e della teoria della mercificazione si veda X. XXXXXXX, op. cit.; X. XXXXXXXXX, op. cit., III, 1999; M.D. FERRARA, op.cit.; X. XXXXXXXXX D’ELCI, V. F. XXXXXX, X.
XXXXXXX, op. cit. Gli Autori sono concordi nel definire la somministrazione “come una tipologia contrattuale in re ipsa precarizzante”; così in particolare, X. XXXXXXXX, Lo staff leasing; dieci anni di(in) applicazione, in X. XXXX-XXXX, Esternalizzazioni e tutela dei lavoratori, Utet giuridica, Milano, 2014, p. 475.
68Successivamente il Ministero rilascia, entro sessanta giorni dalla richiesta e dopo l’accertamento dei requisiti, l'autorizzazione provvisoria all'esercizio dell'attività di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo, provvedendo contestualmente all'iscrizione delle società nel predetto albo. Decorsi due anni il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, su richiesta del soggetto autorizzato, entro i trenta giorni successivi rilascia l'autorizzazione a tempo indeterminato dopo aver verificato il corretto andamento dell'attività svolta.
L’art. 3 prevede le due forme in cui può essere svolto il lavoro temporaneo: l’im- presa fornitrice può assumere il lavoratore con un contratto a tempo determinato, valido per il solo periodo di utilizzazione, oppure può decidere di ricorrere ad un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Nel primo caso il lavoratore, prestato all’azienda utilizzatrice, lavora ed è control- lato dalla stessa, mentre nel secondo caso resta a disposizione dell’azienda forni- trice nei periodi in cui non è messo a disposizione di aziende utilizzatrici.
Il periodo di assegnazione inizialmente stabilito può essere prorogato, con il con- senso del lavoratore e per atto scritto, a meno che non superi la prova o sia soprag- giunta una giusta causa di recesso.
Nel caso in cui il prestatore di lavoro temporaneo sia assunto con contratto stipu- lato a tempo indeterminato, nel medesimo è stabilita la misura dell'indennità men- sile di disponibilità, divisibile in quote orarie, corrisposta dall'impresa fornitrice al lavoratore per i periodi nei quali il lavoratore stesso rimane in attesa di assegna- zione.
I requisiti richiesti per l'esercizio dell'attività sono i seguenti: la costituzione della società nella forma di società di capitali o cooperativa; l'inclusione nella denominazione sociale delle parole: "società di fornitura di lavoro temporaneo"; l'individuazione, quale oggetto esclusivo, della predetta attività; l'acquisizione di un capitale versato non inferiore a un miliardo di lire; la sede legale nel territorio dello Stato.
Inoltre tale società deve avere la disponibilità di uffici e di professionisti idonei allo svolgimento dell'attività di fornitura di manodopera nonché la garanzia che l'attività interessi se non l’intero territorio nazionale, almeno quattro regioni.
La stessa società, inoltre, a garanzia dei crediti dei lavoratori assunti e dei corrispondenti crediti contributivi degli enti previdenziali, deve collocare, per i primi due anni, un deposito cauzionale di lire 700 milioni presso un istituto di credito con sede nel territorio nazionale. Amministratori e dirigenti non devono aver avuto condanne penali per delitti contro il patrimonio, per delitti contro la fede pubblica o contro l'economia pubblica, per delitti o contravvenzioni previsti da leggi in materia di lavoro o di previdenza sociale. L'au- torizzazione può essere concessa anche a società cooperative di produzione e lavoro che abbiano almeno cinquanta soci e tra loro, come socio sovventore, almeno un fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, e che occupino lavoratori dipendenti per un numero di giornate non superiore ad un terzo delle giornate di lavoro effettuate dalla cooperativa nel suo complesso.
Soltanto i lavoratori dipendenti dalla società cooperativa di produzione e lavoro possono essere da questa forniti come prestatori di lavoro temporaneo. I requisiti richiesti sono dichiarati dalla società alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della provincia in cui ha la sede legale, per l'iscrizione all’albo. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale svolge vigilanza e controllo sull'attività dei sog- getti abilitati alla fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo e sull’effettivo possesso dei requisiti xxxxxx- sti. L’art. 10 prevede norme sanzionatorie nei confronti dell'impresa utilizzatrice che ricorra alla fornitura di prestatori di lavoro dipendente da parte di soggetti non iscritti all’albo, nonché nei confronti dei soggetti che forniscono prestatori di lavoro dipendente senza essere iscritti all'albo.
Quanto ai rapporti tra lavoratore ed utilizzatore della prestazione lavorativa, il legislatore, a tutela del primo, detta importanti prescrizioni69.
L'impresa fornitrice deve informare i prestatori di lavoro temporaneo sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attività produttive ed è tenuta ad addestrarli all’uso delle necessarie attrezzature. Se il contratto di fornitura prevede che tale obbligo sia adempiuto dall'impresa utilizzatrice ne va fatta indicazione nel con- tratto.
Il lavoratore può accettare di essere assunto dall’impresa utilizzatrice dopo la scadenza del contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo.
Ulteriore strumento di garanzia è dato dalla previsione in base alla quale al pre- statore di lavoro temporaneo è corrisposto un trattamento non inferiore a quello cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell'impresa utilizzatrice.
In un’ottica di adeguato bilanciamento tra le necessarie garanzie di tutela del lavoratore e le esigenze produttive dell’impresa utilizzatrice, il legislatore si oc- cupa anche delle seconde. Stabilisce, pertanto, che il prestatore di lavoro tempora-
69 Tra i vari strumenti a favore del lavoratore si annoverano le previsioni di cui all’art.5 e 6. L’art. 5 prevede che le imprese versino un contributo del 5% della retribuzione corrisposta ai lavoratori con contratto per il finanziamento di iniziative di formazione professionale dei prestatori di lavoro temporaneo. Questi contributi sono rimessi ad un Fondo appositamente costituito presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, per essere destinati al finanziamento di iniziative mirate alla formazione professionale dei lavoratori assunti. L’art. 6 stabilisce che, nel caso in cui le mansioni cui è adibito il prestatore di lavoro temporaneo richiedano una sorveglianza medica speciale o comportino rischi specifici, l'impresa utilizzatrice è tenuta ad informarne il lavoratore. L'impresa utilizzatrice osserva, altresì, nei confronti del medesimo prestatore, tutti gli obblighi di protezione previsti nei confronti dei propri dipendenti ed è responsabile per la violazione degli obblighi di sicurezza individuati dalla legge e dai contratti collettivi. L'impresa utilizzatrice, nel caso in cui adibisca il prestatore di lavoro temporaneo a mansioni superiori, deve darne immediata comunicazione scritta all'impresa fornitrice, consegnandone copia al lavoratore me- desimo. È inoltre, previsto che il prestatore di lavoro temporaneo ha diritto a fruire di tutti i servizi sociali ed assistenziali di cui godono i dipendenti dell'impresa utilizzatrice addetti alla stessa unità produttiva anche se non è computato nell'organico dell'impresa utilizzatrice ai fini dell'applicazione di normative di legge o di contratto collettivo, fatta eccezione per quelle relative alla materia dell'igiene e della sicurezza sul lavoro. L’art. 7 sancisce il diritto del prestatore di lavoro temporaneo, per tutta la durata del suo contratto, ad esercitare presso l'impresa utilizzatrice i diritti di libertà e di attività sindacale nonché a partecipare alle assemblee del personale dipendente delle imprese utilizzatrici.
Ai prestatori di lavoro temporaneo della stessa impresa fornitrice, che operano presso diverse imprese uti- lizzatrici, compete uno specifico diritto di riunione secondo la normativa vigente e con le modalità specifi- che determinate dalla contrattazione collettiva.
neo è tenuto a svolgere la propria attività secondo le istruzioni impartite dall'im- presa utilizzatrice; è, inoltre, tenuto all'osservanza di tutte le norme di legge e di contratto collettivo applicate ai lavoratori dipendenti dall'impresa utilizzatrice.
Infine, particolare rilievo assumono gli strumenti di tutela economica del lavo- ratore quali, primo tra tutti, il regime della responsabilità solidale che consente una tutela rafforzata del credito del lavoratore temporaneo. L’impresa utilizzatrice ri- sponde in solido, con l’impresa fornitrice, dell'obbligo della retribuzione e dei cor- rispondenti obblighi contributivi non adempiuti dall'impresa fornitrice70.
Quanto alla modalità, il legislatore ha previsto una precisa procedimentalizza- zione per la stipula del contratto di somministrazione, in modo da coinvolgere an- che le rappresentanze sindacali71.
Le garanzie dei prestatori di lavoro temporaneo passano attraverso un articolato sistema sanzionatorio, tanto di carattere civile quanto penale.
Sotto il profilo prettamente civilistico, l’art.12 prevede che, se il rapporto di la- voro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiora- zione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al venti per cento fino al decimo giorno successivo, al quaranta per cento per ciascun giorno ulteriore. Se il rapporto di lavoro continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi ovvero oltre il trentesimo negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini. Qualora il lavoratore venga riassunto a termine entro un periodo di dieci giorni ovvero venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata, rispettivamente,
70 L’art. 9 stabilisce che gli oneri contributivi, previdenziali ed assistenziali, previsti dalle vigenti disposizioni legislative, sono a carico delle imprese fornitrici così come gli obblighi per l'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali.
71L’impresa utilizzatrice comunica alla rappresentanza sindacale il numero ed i motivi del ricorso al lavoro temporaneo prima della stipula del contratto di fornitura; ove ricorrano motivate ragioni di urgenza e necessità di stipulare il contratto, l'impresa utilizzatrice fornisce le predette comunicazioni entro i cinque giorni successivi; ogni dodici mesi, anche per il tramite dell'associazione dei datori di lavoro alla quale aderisce o conferisce mandato, rende noto il numero ed i motivi dei contratti di fornitura di lavoro temporaneo conclusi, la durata degli stessi, il numero e la qualifica dei lavoratori interessati.
inferiore o superiore ai sei mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeter- minato. Quando si tratti di due assunzioni successive a termine, il rapporto di la- voro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo con- tratto.
Si è inteso rinforzare il sistema di tutela anche mediante la predisposizione di sanzioni penali: ciò al fine di contrastare il fenomeno del caporalato72.
1.6.2 Un giudizio complessivo sul pacchetto Treu
Il pacchetto Treu, nonostante si sia occupato di predisporre un sistema di tutela dei lavoratori, è stato oggetto di aspre critiche da parte della dottrina73.
In un’ottica di sintesi, può ricordarsi l’affermazione in base alla quale «nonostante il proposito di sbloccare l'obsoleto mercato del lavoro in Italia ed aumentare l'oc- cupazione tramite la flessibilità, l'approvazione del pacchetto Treu e l'uso distorto dei contratti di lavoro atipico hanno contribuito a creare il fenomeno del precariato in Italia»74. Si è in tal modo sottolineato come le nuove norme abbiano annullato
72 Il fenomeno dell’interposizione nel rapporto di lavoro, consistente nell’imputazione della titolarità formale del rapporto di lavoro ad un soggetto diverso dall’effettivo utilizzatore, è stato a lungo concepito dal legislatore come un «focolaio di sotto-protezione dei lavoratori», in particolar modo a partire dall’emersione delle forme più arcaiche e rozze di somministrazione di manodopera quali il c.d. caporalato (molto diffuso nelle campagne meridionali grazie anche allo sfruttamento del lavoro extracomunitario) e il
x.x. xxxxxxxxxx (nel settore edile). Si tratta di ipotesi di interposizione parassitaria, resa possibile «dai difetti di informazione, formazione e mobilità autonoma di cui soffrono talune categorie di lavoratori se non addirittura da un vero e proprio asservimento ottenuto con i metodi propri della criminalità organizzata», nelle quali il caporale/ capo-cottimo è un mero intermediario (il c.d. interposto) che si limita a mettere a disposizione dell’imprenditore-utilizzatore (il c.d. interponente) lavoratori, da lui assunti e retribuiti. Il lucro dell’interposto consiste nella differenza tra quanto ricevuto dall’imprenditore e quanto effettivamente poi dato ai lavoratori “in nero” a titolo di compenso, i quali in definitiva prestano la propria attività lavorativa senza alcuna garanzia di tutela e solvibilità. Così R. DEL PUNTA, Le molte vie del divieto di interposizione… cit., p.314; X. XXXXXX, il diritto del lavoro e i confini dell’impresa, in Relazione di X. Xxxxxx alle Giornate di studio dell’AIDLaSS, Trento, 1999, p. 2, in xxx.xxxxxxxx.xxxxxxxxxxxx.xx.
Si tratta di un fenomeno ancora molto attuale. V. in merito X. XXXXXXXXXX, Caporalato e mafie: 700mila schiavi nell’agricoltura italiana”, 2012, xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xx.
73 Ricordiamo a questo proposito il mesto commento del cardinale di Milano C. M. XXXXXXX, inserito in un suo discorso intitolato “Troppa fatica e poca sicurezza per chi lavora”: «è il lavoro incerto, la "mancanza di tutele", tipo la precarietà dei contratti a tempo determinato che coprono le esigenze dell'oggi ma lasciano sempre l'affanno del domani».
74 X. XXXXX: Contro il Pacchetto Treu e la legge 30. In Homo instabilis: sociologia della precarietà, a cura
le tradizionali garanzie e cancellato i diritti dei lavoratori, con il risultato di far ripiombare intere categorie nella più grande precarietà, rinvigorendo la contraddi- zione sociale tra datori e forza lavoro75.
In dottrina, è stato altresì sottolineato come il Pacchetto Treu abbia avuto il me- rito di introdurre nel nostro ordinamento il concetto di flexicurity, seppur in una forma embrionale. La novità legislativa mette al centro dell’attenzione le politiche attive, le quali altro non sono che la declinazione italiana delle riforme nordeuro- pee concentrate sulla flexicurity, “parola che sarebbe diventata a breve di pubblico dominio anche entro i nostri confini”76.
L’obiettivo in termini di politiche attive è stato perseguito con un poderoso ten- tativo di modernizzazione del diritto del lavoro novecentesco incapace di svolgere le sue funzioni di tutela e promozionali in un mercato contraddistinto, in quegli anni, dall’avvento della terza rivoluzione industriale e dalla crescente globalizza- zione. Nello specifico il legislatore si è concentrato sulla c.d. flessibilità in entrata (l’introduzione del lavoro interinale), sul superamento del monopolio pubblico del collocamento, sulle nuove modalità per la gestione del rapporto di lavoro (part- time) e su una rinnovata attenzione verso la transizione dalla scuola al lavoro (ap- prendistato e tirocini).
di A. M. XXXXXXX, Ed. Jake book, 2007, p. 308.
75 Così X. XXXXX, op. cit.
76 X. XXXXXXXX, Xxxxxxx compendio delle riforme del lavoro dal 1997 al 2018: “dalla qualità alla dignità”, 2018, Adapt University Press, p. 129, ricorda che il Pacchetto Treu si proponeva essenzialmente la «promozione dell’occupazione». Infatti, in un contesto contraddistinto dalla globalizzazione e dalla informatizzazione, si è tentato di modernizzare le norme relative al mondo del lavoro attraverso la cosiddetta flessibilità in entrata, cioè il lavoro interinale, la fine del monopolio statale nell’inserimento nel mondo del lavoro, nuove forme di lavoro come il part-time e il collegamento tra scuola e lavoro con l’apprendistato e il tirocinio. “Per quanto ancora in forma embrionale, è il primo provvedimento sul mercato del lavoro che non si ferma alle misure passive (la difesa del contraente debole, il lavoratore, rispetto a quello forte, l’impresa), ma mette al centro dell’attenzione un termine che avrebbe conosciuto molto successo negli anni a venire: le politiche attive del lavoro”.
1.7 LA DIRETTIVA EUROPEA 99/70/CE
La Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 contiene importanti indicazioni in relazione alla tematica in oggetto. Accanto all’obiettivo del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori nella Comunità europea, vi è l’esortazione a “incrementare l'intensità occupazionale della crescita, in particolare mediante un'organizzazione più flessibile del lavoro”77.
Sulla base delle predette indicazioni, il Consiglio dell’Unione Europea78 ha invi- tato le parti sociali a negoziare accordi volti a modernizzare l'organizzazione del lavoro, comprese forme flessibili di lavoro79.
Si giunge, pertanto, ad un accordo quadro sul lavoro a tempo determinato che sta- bilisce i principi generali e i requisiti minimi per questo tipo di contratto. In parti- colare si decide, in una prospettiva de iure condendo80, di voler «migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo l'applicazione del principio di non discriminazione»81 e predisponendo, a tal fine, un quadro normativo per la
77 Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori in xxx.xxxxxx.xx. Al punto 7 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989: «La realizzazione del mercato interno deve portare ad un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori nella Comunità europea. Tale processo avverrà mediante il ravvicinamento di tali condizioni, che costituisca un progresso, soprattutto per quanto riguarda la durata e l'organizzazione dell'orario di lavoro e le forme di lavoro diverse dal lavoro a tempo indeterminato, come il lavoro a tempo determinato, il lavoro a tempo parziale, il lavoro temporaneo e il lavoro stagionale».
78 Risoluzione del 9 febbraio 1999.
79 Così anche la Direttiva europea 1999/70/CE art. 13. Si noti che, sulla base della suddetta risoluzione, il
18 marzo 1999, la Confederazione europea dei Sindacati (CES), d’accordo con l’Unione delle confederazioni delle industrie della Comunità europea (UNICE) e con il Centro europeo dell'impresa a partecipazione pubblica (CEEP), dichiara «le proprie intenzioni di esaminare l'esigenza di accordi […] per il lavoro temporaneo».
80 X. XXXXXXX, X. XXXXX, op. cit., p. 2.
81 Cfr. clausola 1 lettera a) dell’accordo quadro. Principio che viene richiamato nella clausola 4 dell’accordo dove si afferma che “per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive”. Secondo la Corte di giustizia “tale clausola appare incondizionata e sufficientemente precisa per essere invocata da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale” (punti 68 e 80 sentenza 15 aprile 2008, proc. C-268/06 in xxx.xxxxx.xxxxxx.xx).
prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato82, “fermo il livello generale di tutela offerto ai lavoratori a termine nell’ambito coperto dall’accordo stesso (clausola di non regresso)”83.
Va evidenziato che l’accordo quadro, che verrà recepito dalla Direttiva, espressa- mente escludeva dal proprio campo applicativo la fattispecie della somministra- zione di lavoro che, a partire dal 1997, era stata introdotta anche nel quadro nor- mativo italiano84.
Si arriva così alla firma di una direttiva che vincola gli Stati membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere, ma lascia agli stessi la scelta della forma e dei mezzi85, pur nella consapevolezza che i risultati saranno perseguiti solo se le ini- ziative saranno prioritariamente prese a livello comunitario.
L’iter così descritto ha portato alla nascita della direttiva europea 99/70/CE in materia di rapporto di lavoro determinato 86 , la quale, pur continuando a riconoscere il ruolo del contratto a tempo indeterminato quale forma comune, prende atto della circostanza che il rapporto a termine possa essere, in date
82 Cfr. clausola 1 lettera b) dell’accordo quadro e clausola 5 per quanto riguarda le misure di prevenzione degli abusi. La Corte di giustizia ha affermato che “tale clausola non comporta alcun obbligo incondizionato e sufficientemente preciso che possa essere invocato, in assenza di misure di trasposizione adottate nei termini, da un singolo dinanzi a un giudice nazionale”. (punti 73-79 e 80).
83 Clausola 8.3 dell’accordo quadro. La Corte costituzione con sentenza 44/2008 ha precisato che “la clausola di non regresso riguarda soltanto il fenomeno della successione dei contratti a tempo determinato e il principio di non discriminazione del lavoratore assunto a termine”.
84 Così L. A. XXXXXXXXX, op. cit., p. 17, “espressamente escludeva dal proprio campo di applicazione i lavoratori messi a disposizione di un’azienda utilizzatrice da parte di un’agenzia di lavoro interinale e, quindi, la fattispecie della somministrazione di lavoro che, a partire dal 1997, aveva fatto il suo ingresso anche nel quadro normativo italiano”.
85Così specifica la Direttiva europea 1999/70/CE art. 15.
86 In relazione all’iter che ha portato alla nascita della direttiva 99/70/CE si noti che la Commissione, all’uopo costituita, aveva elaborato la sua proposta di direttiva, informandone il Parlamento europeo il quale, a sua volta, aveva adottato la presente direttiva il cui scopo, come conferma l’art.1, era quello di attuare l'accordo quadro sui contratti a tempo determinato, come concordato dalle parti sociali. “Gli stati membri, entro il 10 luglio del 2001, dovranno mettere in atto le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva (art. 2), fruendo al massimo di un periodo supplementare non superiore ad un anno, in considerazione di difficoltà particolari o dell'attuazione mediante contratto collettivo”.
situazioni, più confacente alle esigenze tanto dei datori di lavoro quanto dei lavoratori87.
Si è voluto, in sostanza, creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti a tempo determinato88. Viene definito, in primis, il “lavoratore a tempo determinato” come una persona impiegata con un contratto il cui termine è determinato da condizioni oggettive quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento predeterminato. Di contro, la locuzione «lavoratore a tempo indeterminato comparabile» indica un lavoratore con un contratto o un rap- porto di lavoro di durata indeterminata appartenente allo stesso stabilimento e ad- detto a lavoro identico o simile, che richiede analoghe competenze89.
Si stabilisce poi, in base al principio di non discriminazione, che, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato com- parabili, a meno che non sussistano ragioni oggettive in grado di supportare il di- verso e deteriore trattamento (il c.d. principio di non discriminazione).
Al fine di prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, la direttiva impone agli Stati membri di introdurre misure che riguardino:
1) le ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti;
2) la durata massima totale dei rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
87A. XXXXXXX, X.X. XXXXXX, Xxxxxx a tempo determinato, Ipsoa, giugno 2014, p. 2, in relazione all’accordo quadro, ha sottolineato diversi punti salienti dell’iter europeo di tutela. In particolare, “Le parti sociali firmatarie dell’accordo, consapevoli del ruolo svolto a livello europeo, riconoscono che i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro fra i datori e i lavoratori, pur ammettendo che i contratti a tempo determinato rispondono, in alcune circostanze, sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori”; nonché “Il presente accordo, stabilendo i principi generali e i requisiti minimi relativi al lavoro a tempo determinato, indica la volontà di stabilire un quadro generale che garantisca la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni, nonché un uso dei contratti di lavoro a tempo determinato accettabile sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori. Esso si applica ai lavoratori a tempo determinato, escludendo per ora il lavoro interinale”.
88 X. XXXXXXX, M.R. GHEIDO, op.cit.
89 X. XXXXXX, op. cit.
3) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti.
Rimane ferma la possibilità per gli Stati membri di mantenere o introdurre dispo- sizioni più favorevoli - in un’ottica di maggior tutela dei lavoratori - di quelle sta- bilite in ambito europeo90.
In conclusione, la dottrina, nel fornire un giudizio sintetico circa il livello euro- peo di tutela dei lavoratori, ha sottolineato che «emerge chiaramente che l’atten- zione del legislatore comunitario non sia tanto rivolta alla stipula in sé di contratti di lavoro a tempo determinato, quanto piuttosto a prevenire discriminazioni in danno del lavoratore a termine e al fenomeno della successione di una pluralità di contratti a tempo determinato che può determinare la possibilità di abusi che la direttiva intende prevenire»91.
Per ricapitolare quanto evidenziato nei precedenti paragrafi si può notare come il panorama normativo, soprattutto europeo, nonché la stessa dottrina e giurispru- denza nazionale considerasse il rapporto a termine, già anteriormente alla riforma del 2001 “un mezzo duttile ed adeguato alla domanda di flessibilità del mercato di lavoro 92, disciplinato da una normativa sufficientemente equilibrata”93. Si è, in- fatti, sottolineato come il ricorso al contratto a termine poteva contare su una giu- risprudenza ormai consolidata che aveva spesso adottato soluzioni ermeneutiche favorevoli ai bisogni dell’impresa; i plurimi e ricorrenti interventi legislativi sem- brano rispondere più ad esigenze di coerenza, evidenziate dagli studiosi, che ai reali bisogni del mercato del lavoro94.
90 Così specifica la Direttiva europea 1999/70/CE art.15.
91 X. XXXXX, X. XXXXX, Il decreto dignità, Pacini Giuridica, Pisa 2018, p. 22.
92 X. XXXXXXXX, Nuove sanzioni per il contratto a termine, in DPL 1997, p. 2099.
93 X. XXXX, Diritto del lavoro, Padova, 2000, p.334.
94 X. XXXXXXXX, Lavoro a termine, referendum, direttiva 1999/70/ce, patto di Milano, p. 578.
1.8 IL DECRETO LEGISLATIVO N. 368 DEL 2001
Dopo quasi 40 anni dall’entrata in vigore della legge n. 230/1962, viene emanato il decreto legislativo n. 36895 del 2001 - che costituisce ancora oggi il principale intervento in materia96 - al fine di dare attuazione alla direttiva europea 1999/70.
La normativa del contratto a tempo determinato, introdotta dal decreto legisla- tivo 368/2001, rappresenta una delle innovazioni più significative97 che hanno ca- ratterizzato il nostro ordinamento negli ultimi anni, “per la potenzialità che uno strumento c.d. flessibile porta nel mondo del lavoro”98.
Il contratto a termine è un istituto giuridico che vede contrapporsi due fondamen- tali interessi: quello del datore “a servirsi del lavoratore per un tempo definito e per soddisfare esigenze non durevoli” e quello del lavoratore a “un rapporto sta- bile”99 e duraturo.
Tale decreto è stato, dunque, accolto dalla dottrina come innovativo, posto che lo stesso, creando una cesura con il passato, ha incrementato le possibilità del ri- corso al contratto a termine, giacché ha ampliato il novero delle fattispecie che consentivano l’utilizzo dello stesso100.
Il legislatore, al fine di deflazionare il contenzioso relativo alla validità delle mo- tivazioni addotte dai datori per apporre il termine al rapporto di lavoro, all’art.1, ha sostituito il sistema delle causali tipiche previste dalla L. n.230/1962 con una clausola generale101. Pur nel rispetto del principio comunitario102, secondo cui la forma comune di rapporto di lavoro resta quello a tempo indeterminato103, l’art. 1
95 Pubblicato sulla gazzetta ufficiale n. 235 del 9 ottobre 2011 ed entrato in vigore il 24 ottobre 2011.
00 X. XXXXXXX, Xx nuovo contratto a termine nel lavoro privato e pubblico, Cedam, settembre 2007, p 3.,
X. XXXXXXX, M. R. XXXXXX, op. cit., p.2.
97 X. XXXXXXXXX, op. cit.
98 X. XXXXXXX, Il decreto dignità, Ed. duepuntozero, Roma, 2018, p. 13.
99 X. XXXXX, X. X.XXXXXX, op. cit., p. 221; X.X.XXXXXXXXX, op. cit., p. 26.
100 A.M. CORNA, op.cit., p. 420.
101 L. CAIRO, F. D’XXXXXX, X. XXXXXXXX, op. cit., p. 11.
102 6° considerando della direttiva 1999/70/ce.
103 X. XXXXXXXXX, X. XXXXXX, Il nuovo lavoro a termine, Cedam, Padova 2001.
prevede la possibilità di apporre il termine in presenza di mere “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.
Al fine di assicurare, comunque, l’osservanza del più blando requisito causale104, il legislatore ha conservato la sanzione della conversione del rapporto in contratto a tempo indeterminato, in caso di mancanza delle motivazioni richieste per legge105. Viene mantenuta, dunque, l’imprescindibile necessità di opportune cau- sali per poter apporre un termine di scadenza e vengono successivamente elencati casi in cui invece tale apposizione è vietata106.
La Suprema Corte ha affermato che l’apposizione del termine al rapporto di lavoro è ammessa solo in presenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizza- tivo o sostitutivo che devono essere specificate, a pena di inefficacia in apposito atto scritto. Spetta al datore indicare in modo puntuale le circostanze che contrad- distinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del da- tore la prestazione a tempo determinato. Ciò al fine di rendere evidente la specifica connessione fra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produt- tive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare107.
104 Si è sottolineato in dottrina come il decreto, a ben guardare, non prevede espressamente una simile sanzione. Così, X. XXXX, Sulla nuova disciplina del contratto a termine e sul regime sanzionatorio del licenziamento ingiustificato, in RIDL, 2002, 1, p.15.; Sulla mancanza di causale si veda anche X. XXXXXXXXX, op. cit.
105 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, op. cit., p.360; X. XXXXX, continuato da X. XXXXXXXXXX, op. cit.
106 L’art. 3 “Divieti” elenca i casi in cui non è possibile per il datore di lavoro, anche in presenza di causali legittime, stipulare contratti a tempo determinato: per sostituire lavoratori in sciopero o assenti con diritto alla conservazione del posto; per rimpiazzare lavoratori nelle aziende in cui si era proceduto a licenziamenti collettivi di addetti con analoghe mansioni; nelle aziende in cui non si è proceduto ad un’analisi dei rischi. Questo per evitare che il datore di lavoro approfittasse di contratti a termine per sostituire lavoratori più anziani e “onerosi” con lavoratori più giovani o, peggio ancora, lavoratori che usufruivano di ammortizza- tori sociali con altri che svolgessero le stesse mansioni. Ancora vi sono dei casi in cui il Decreto non trova applicazione: nel caso di somministrazione di lavoro, nei contratti di formazione e lavoro, nei rapporti di apprendistato, nei rapporti di lavoro a tempo determinato in agricoltura, in particolari attività in cui l’og- getto dell’impresa rende inapplicabile la disciplina del decreto o richiede delle deroghe come le aziende legate al turismo. Altra deroga riguardava i dirigenti per i quali era consentita l’assunzione con contratto a tempo determinato non superiore a 5 anni.
107 Cass. Sez. Lav. 11/05/2011, n. 10356, in D&G; 2011.
La Corte inoltre, ha affermato che “spetta al giudice di merito accertare, la pre- senza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al pro- cesso, idoneo a dare riscontro alle ragioni” specificamente indicate nel contratto108. È stato, altresì, precisato che le ragioni giustificatrici possono risultare dall’atto scritto non solo direttamente, ma anche per relationem, vale a dire mediante il rinvio ad altri atti, ad opera del contratto di lavoro109.
Il termine del contratto può essere prorogato qualora la scadenza inizialmente stabilita sia inferiore a tre anni. È ammessa una sola proroga per la stessa mansione prevista dal primo contratto a tempo determinato. Anche in questo caso la durata del contratto non potrà superare i tre anni. Il datore di lavoro è, in caso di eventuale contenzioso, tenuto all’onere della prova.
Quanto alle conseguenze della prosecuzione di fatto del rapporto di lavoro oltre la scadenza del termine fissato dal contratto o dalla proroga, il datore di lavoro dovrà versare al dipendente una retribuzione maggiorata110, almeno nei casi in cui la continuazione del rapporto non si protragga oltre i venti giorni. Se, invece, il rapporto di lavoro continua oltre il ventesimo (in caso di contratto di durata infe- riore a sei mesi, ovvero oltre il trentesimo giorno, negli altri casi), il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini.
Al fine di evitare una facile elusione della sanzione della conversione in contratto a tempo indeterminato mediante la successiva riassunzione del lavoratore al ter- mine del contratto a tempo determinato, il legislatore ha previsto un’apposita di- sciplina. Ove il lavoratore venga riassunto a termine entro dieci/venti giorni111 dalla scadenza, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato.
108 Cass. Sez. Lav. 11/05/2011, n. 10356, in D&G, 2011; Conf. Cass. Sez. Lav., 27/01/2011, n. 1931 in mass. Giust. Civ., 2011.
109 Cass. Sez. Lav. 25.05.2012 n. 8286, in mass. Giust. Civ., 2012; Conf. cass. 01.02.2010, n. 2279.
110 La maggiorazione è del 20% per i successivi dieci giorni e del 40% per i giorni successivi al decimo.
111 A seconda della durata del contratto a termine.
Invece, se si susseguono due assunzioni successive a termine senza alcuna solu- zione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto112.
Il D.lgs. del 2001 si preoccupa, inoltre, di predisporre un adeguato sistema di tutele tese da un lato, a garantire la stabilizzazione nell’impresa del lavoratore a termine113, dall’altro a parificare le tutele dello stesso rispetto a quelle previste per il lavoratore “indeterminato”114.
Il D.lgs. n. 368, se da un lato innova sotto il profilo della causale, dall’altro con- ferma le previsioni già presenti nella L. n. 230/62115.
112 X.XXXXXXX, op. cit.
113 Così, R.DEL PUNTA, Lezioni di diritto…cit., “I lavoratori a tempo determinato devono essere informati dell’esistenza di posti vacanti disponibili nell’azienda per poter ottenere posti più stabili all’interno della stessa”.
114Il lavoratore assunto a tempo determinato dovrà essere formato in maniera idonea a prevenire rischi specifici connessi alla mansione. Inoltre i contratti collettivi nazionali possono prevedere percorsi di formazione che promuovano la crescita professionale del lavoratore.
I lavoratori a tempo determinato sono computabili ai fini dell’art. 35 dello Statuto dei lavoratori se il con- tratto prevede una durata superiore a nove mesi.
115 L’art.1 comma 2 del Decreto afferma che «l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta direttamente o indirettamente da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1». La Cassazione (Cass. Civ. sez. VI 5 /2/2018 n. 2774, in xxxx.xx, 2018, I, 828), sul punto, ha affermato “ai fini del riconoscimento della legittimità del contratto a tempo determinato, il rispetto della forma scritta- prevista ad substantiam, onde insuscettibile di essere provata a mezzo testi, della clausola appositiva del termine presuppone l’avvenuta sottoscrizione del contratto stesso ad opera del lavoratore, ovviamente in momento antecedente o contestuale all’inizio del rapporto. Non è quindi sufficiente la consegna al predetto lavoratore del documento sottoscritto dal solo datore, poiché la consegna in questione - benché seguita dall’espletamento di attività lavorativa- non è suscettibile di esprimere inequivocabilmente un’accettazione della durata limitata del rapporto ma plausibilmente la semplice volontà del lavoratore di essere parte di un contratto di lavoro”. Viene confermato anche l’obbligo di consegnare al lavoratore copia del contratto di lavoro a tempo parziale con le indicazioni menzionate entro 5 giorni dall’inizio della prestazione. Ugualmente, resta immutata ai sensi del comma 4 la deroga all’obbligo della forma scritta per i rapporti di lavoro occasionali e che non superino i 12 giorni. L’art. 6, in base al “principio di non discriminazione”, assicura ai lavoratori assunti con contratto a tempo determinato lo stesso trattamento economico e normativo riconosciuto ai dipendenti assunti a tempo indeterminato. E’ evidente che la parità di trattamento non riguarda solo l’aspetto retributivo ma anche ogni altro trattamento di cui godono i dipendenti dell’impresa. Successivamente, all’art.7, il Decreto prevede che ai lavoratori a tempo determinato sia data adeguata formazione, con particolare riferimento ai rischi riguardanti la salute e la sicurezza sul lavoro. L’art. 9 impone di informare gli stessi, tramite le organizzazioni sindacali, circa i posti di lavoro vacanti disponibili in azienda. Viene riconfermata dall’art. 4 del D. Lgs., anche se con alcune modifiche, la norma riguardante la proroga del termine così come stabilito dalle parti contraenti al momento dell’accettazione del rapporto di lavoro: infatti, data la natura necessariamente consensuale della proroga, è necessaria l’accettazione del lavoratore. Resta fermo il principio che, dopo la scadenza del contratto, si possa avere una sola proroga. In aggiunta viene sancito che la proroga può essere concessa solo se il contratto originario ha durata inferiore a tre anni. In ogni caso il rapporto di lavoro non potrà superare i tre anni, ivi compresa la proroga. Vengono poi ribaditi due importanti principi: 1) la proroga è legittima solo se adeguatamente motivata da ragioni incontrovertibili e sia relativa alla stessa mansione per cui si era operata la prima
Giova, dunque, a questo punto soffermarsi sugli aspetti maggiormente innovativi del D.lgs. 368/ 2001 ed, in particolare, sulla disciplina delle causali che legittimano l’apposizione del termine al contratto di lavoro. Infatti, mentre il legislatore del ‘62 aveva optato per un’elencazione puntuale delle varie ragioni giustificative dell’apposizione del termine (indicazione che aveva poi trovato una più ampia apertura a seguito dell’emanazione dell’art. 23 legge 56/1987)116, il legislatore del 2001 ha operato una scelta diversa, preferendo riferirsi ad una clausola generale, il cosiddetto “causalone”117.
Il ricorso al “causalone” ha comportato un incremento del numero dei contratti a termine stipulati, al di là di ogni possibile previsione. La dottrina ha sottolineato come molti datori di lavoro hanno invocato ragioni tecniche, organizzative o pro- duttive, oltre a quelle sostitutive di più chiara identificazione, “per procedere ad
assunzione; 2) l’onere della prova, relativa all’inconfutabile esistenza delle motivazioni che giustificano l’eventuale proroga, è a carico del datore di lavoro. L’art.5 comma 1 riconferma la precedente normativa, mentre il comma 2 aggiunge “Se il rapporto di lavoro continua oltre il ventesimo giorno in caso di contratti di durata inferiore a 6 mesi, o oltre il trentesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini. Trovava conferma il sistema che prevedeva l’onere a carico del datore di corrispondere al lavoratore una maggiorazione economica della retribuzione per i primi giorni di prosecuzione dell’attività dopo la scadenza del termine, ed invece la conversione di esso in rapporto a tempo indeterminato ove l’attività fosse proseguita oltre i limiti stabiliti dalla norma. Ugualmente, per ciò che concerne la successione di contratti a tempo determinato, la norma della legge in esame ricalca quella prevista dalla Legge 230/1962. Considerando il caso del lavoratore assunto con un ulteriore contratto a termine, dopo un intervallo dalla precedente prestazione, il comma 3 dell’art. 5 prevedeva che “Qualora il lavoratore venga riassunto a termine, ai sensi dell’art 1 , entro un periodo di 10 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a 6 mesi, o 20 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai 6 mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato”; mentre nel caso in cui lo stesso lavoratore viene nuovamente assunto con contratto a tempo determinato senza soluzione di continuità rispetto alla scadenza del contratto precedente, ai sensi del comma 4 “il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto”. Fondamentale quindi distinguere le due fattispecie: in un caso la trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato avviene dalla data del secondo atto, mentre nell’altro la trasformazione avviene dalla data del primo contratto.
116 X.XXXXXXXX, X. XXXXX, op. cit.
117 L.A. COSATTINI, op. cit., p. 19/20, fa notare come nel presente decreto è innegabile la presenza di innovazioni. Se è sempre legittima la causa della sostituzione del personale assente ma con diritto alla conservazione del posto di lavoro, allo stesso tempo si deve evidenziare che il Decreto preferisce
«abbandonare il sistema dell’elencazione analitica e tassativa delle fattispecie per passare invece ad un’indicazione generale dei presupposti che devono sussistere affinché l’apposizione del termine risulti legittima, a tal fine affidandosi alla locuzione “ ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo” che riecheggiano quella già utilizzata dalla legge 604/1966 per disciplinare il giustificato motivo oggettivo di licenziamento».
assunzioni con contratti a tempo determinato ed aggirare la disciplina limitativa del recesso dal contratto a tempo indeterminato”118.
Queste motivazioni più generiche sono state lette da taluni commentatori119 come scelte liberiste, aperte a molteplici interpretazioni, se non addirittura viste come una negazione del principio di necessaria causalità del rapporto di lavoro a tempo determinato.
In realtà, ben presto, è apparsa chiaramente l’inclinazione dei giudici a interpretare la nuova disposizione in termini rigorosi, attribuendo al datore di lavoro l’onere di dimostrare concretamente le specifiche e temporanee esigenze tecniche, produttive o organizzative che avevano reso indispensabile l’assunzione di personale con rap- porto di lavoro a tempo determinato. Si è, così, assistito ad un considerevole au- mento del contenzioso in materia120.
In tale contesto il legislatore ha sentito l’esigenza di intervenire con modifiche, integrazioni o correzioni121.
Il testo originario del D.lgs. è stato, infatti, oggetto di numerosi interventi norma- tivi i quali, a seconda dell’ideologia politica predominante, miravano o meno a favorire l’uso del contratto a termine122. Il risultato del sistematico intervento nor- mativo sulla disciplina del contratto a termine è stato definito efficacemente in dottrina, la quale ha affermato trattarsi non tanto di “un cantiere in evoluzione, il quale implica pur sempre una progettualità123, bensì di un vero e proprio sciame
118 L.A. COSATTINI, ivi p. 20. Nello stesso senso X.XXXXXXXXXX, Lavoro a tempo determinato e somministrazione, in Adapt labour studies, e-Book series n. 45/2015, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx.
119 Così L.A. COSATTINI, ivi p. 21, X. XXXXXX, op. cit., X.XXXX, op. cit.
120DE XXXX XXXXXX, Il nuovo contratto a tempo determinato (relazione), in le nuove regole del mercato del lavoro, 23 ottobre 2012, Roma. “Ben presto il contenzioso giudiziale riguardante la legittimità delle motivazioni poste a giustificazione dell’apposizione del termine ha assunto dimensioni davvero ragguardevoli”.
121 X. XXXXXXX, op. cit., p. 9.
122 X. XXXXXXXX, La nuova disciplina del lavoro a termine del 2014: una rivoluzione utile, doverosamente provvisoria, in Arg. Dir. Lav., 6, 2014, 1221, ss.
123 In tal senso R. DE XXXX XXXXXX, op.cit.
sismico senza tregua le cui scosse più rilevanti sono attribuibili agli interventi del 2007, 2008, 2012, 2013”124.
Tra i numerosi interventi successivi ricordiamo, a fini esemplificativi, la L. n.
247 del 2007 e legge n. 133/2008.
La prima, invertendo la rotta inaugurata dal D.lgs. n.368125, ha previsto che “il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato”126 con il conseguente corollario in base al quale l’apposizione del termine nel contratto di lavoro rappresenta sempre l’eccezione.
Viene anche diversamente normata la conversione del contratto a termine in tempo indeterminato nel caso in cui vi sia la successione di più contratti: il legislatore ha previsto che il rapporto si modifichi alla scadenza dei 36 mesi.
Un nuovo cambio di rotta si registra con il D.l. n.112 del 2008 (convertito in legge n. 133/2008): il legislatore è intervenuto nuovamente sul contratto a tempo determinato, chiarendo che le motivazioni di carattere produttivo, organizzativo o sostitutivo che possono giustificare l’apposizione del termine sono valide “anche se riferibili alla ordinaria attività del datore”. Si è tentato, in tal modo, di venir incontro alle esigenze imprenditoriali127.
124 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, op. cit., p. 361.
125 X. XXXXXXX, op. cit., p.13, ricorda che, sempre in conseguenza della situazione di confusione creatasi, fu aggiunta una norma transitoria concernente l’indennizzo per la violazione delle norme in materia di apposizione e di proroga del termine in base alla quale «in caso di violazione delle disposizioni di cui agli art. 1, 2 e 4, il datore è tenuto unicamente ad indennizzare il prestatore con un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 e un max di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto».
126 Comma 1 art 1 D.lgs. n. 368/2001, come introdotto dall’art 1 comma 39 legge 247/2007.
127 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, op. cit., p.361.
La dottrina ha sottolineato come tale novità legislativa altro non fosse che la “conseguenza della necessità di arginare l’orientamento giurisprudenziale più ga- rantista128 che tendeva ad attribuire efficacia legittimante all’apposizione del ter- mine solo nei casi in cui si verificasse la necessità di ricorrere ad attività lavorative estranee al normale ciclo d’impresa”129.
Alla luce di quanto descritto, non può non sottolinearsi il deciso atteggiamento di favore legislativo per il contratto a termine130 inauguratosi con la nuova stagione legislativa (prima il D.lgs. n. 368 del 2001 poi con il D.l. n.112 del 2008, convertito in legge n. 133/2008)131.
128 La giurisprudenza sul punto: Il Tribunale di Ravenna, il 7 ottobre 2003, ha sostenuto che «la clausola che permette lecitamente l’apposizione del termine al rapporto di lavoro prevista dall’art.1 D.lgs. 6 settembre 2001 n. 368, pur caratterizzandosi per generalità ed apertura, deve essere interpretata con rigore formale, non essendo sufficiente la presenza nel contratto di un generico richiamo alle esigenze di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo; le ragioni che stanno alla base dell’apposizione del termine devono essere infatti indicate contestualmente nel contratto stipulato e devono rispondere a requisiti di oggettività, in modo da essere riscontrabili al momento dell’assunzione e verificabili anche in seguito». In senso conforme il Tribunale di Milano il 13 novembre del 2003 ribadiva tale posizione: “L’art. 1 del D. lgs. 368/2001 deve essere interpretato anche alla luce della normativa comunitaria di cui la norma italiana è attuazione. Nel senso che il datore ha l’onere, a monte, di specificare e, a valle, di dimostrare le ragioni a fronte delle quali è consentita la stipulazione di contratti a termine”. Nella giurisprudenza in generale si è ribadito che le motivazioni addotte devono essere descritte nell’atto in maniera “circostanziata e puntuale” al fine di poterle verificare in sede giudiziale. Ciò che era sembrato inizialmente un’apertura liberista, si è rivelato un ostacolo all’utilizzo di questo tipo di contratto per il datore di lavoro.
129 L.A. XXXXXXXXX, op. cit., p .29.
130 X. XXXXXXXX, op. cit., p. 129
131 X. XXXXXXX, op. cit., p.13.
CAPITOLO II
Il contratto a tempo determinato e il contratto di somministrazione dalla Legge Biagi al Jobs Act
Sommario: 2.1. D.lgs. n. 276 del 2003 (attuativo della c.d. Legge Biagi). - 2.1.1. Considerazioni generali. - 2.1.2. L’istituto della somministrazione. - 2.1.3. Critiche e meriti ascritti alla legge Biagi. - 2.2. La Legge n.183 del 2010 (c.d. Collegato Lavoro). - 2.3. La legge n. 92 Del 2012 (c.d. Legge Fornero). - 2.3.1. Considerazioni generali. - 2.3.2. Un giudizio complessivo sulla legge Fornero. - 2.4. Il c.d. Jobs Act (D.lgs. n. 81/2015). - 2.4.1. Considerazioni generali. - 2.4.2. Un giudizio complessivo sul Jobs Act
2.1 D.LGS. N. 276 del 2003 (ATTUATIVO DELLA C.D. LEGGE BIAGI).
2.1.1 Considerazioni generali
Il D.lgs. n. 276 del 2003 si basava sul disegno riformatore del mercato del lavoro contenuto nel «Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia. Proposte per una so- cietà attiva e per un lavoro di qualità», scritto da un gruppo di lavoro presieduto da Xxxxx Xxxxx000.
Scopo della riforma era, non certo la “riduzione delle tutele”, quanto piuttosto la regolamentazione di un mercato pieno di “inefficienze e iniquità” quale quello che
- per diverse motivazioni di carattere storico - si era affermato nel nostro paese.
132 L’oggetto del Libro è proprio l’analisi del mercato del lavoro: da queste considerazioni nasce un progetto organico di riforma. “L’attenzione al “mercato” del lavoro non discendeva di certo dal fatto che Xxxxx accedesse all’idea che i lavoratori fossero una “merce”. In realtà, proprio la specificità dell’oggetto, il “lavoro”, di quel particolare mercato evidenzia la sua cruciale dimensione sociale che non è rinvenibile in alcun altro mercato in cui si svolgono rapporti di puro scambio commerciale, e dalla cui regolazione deriva la possibilità di concreta ed effettiva tutela della persona, che era l’interesse e l’obiettivo primario della progettualità di Xxxxx Xxxxx”. Così X. XXXXX, X. XXXXX e il “Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia” in Lavoro Diritti Europa - Rivista nuova del diritto del lavoro. Nello stesso senso M.D. XXXXXXX, op. cit.; X. XXXXXXX., op. cit.
In effetti, per comprendere il contesto in cui la stessa si inserisce, bisogna ricor- dare che, all’inizio del 2000, si registrava in Italia un elevato tasso di disoccupa- zione133. I dati occupazionali mostravano che quasi la metà della popolazione ita- liana in età lavorativa era disoccupata o non cercava neppure un lavoro regolare134. All’interno poi di quei dati occupazionali, erano rilevabili profondi squilibri rela- tivi alle diverse aree territoriali ed al genere e all’età delle persone: i maggiori problemi occupazionali investivano il Sud del paese ed, in particolare, i giovani, gli anziani e le donne135.
In conclusione, se da un lato esistevano categorie di lavoratori pienamente protette, a volte con sproporzionate garanzie, dall’altro intere fasce di popolazione erano escluse dal lavoro e, più in generale, dallo stato sociale136.
La legge delega (la c.d. Legge Biagi n. 30 del 2003), attuata con l'emanazione del D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 si proponeva di ridurre tali criticità137.
La stessa, occupandosi di disciplinare il contratto di somministrazione, ha intro- dotto, per prima volta, il contratto di somministrazione a tempo indeterminato (c.d. staff leasing)138.
2.1.2 L’istituto della somministrazione
Giova, a questo punto, ripercorre i tratti salienti dell’istituto.
La somministrazione di lavoro è una fattispecie complessa e peculiare139.
133 Il tasso di occupazione in Italia era del 53%, ben 10 punti percentuali al di sotto della media europea. Sul punto vedi xxx.xxxxx.xx
134 X. XXXXXXX, op.cit.
135 X. XXXXXXXX, Dopo la flessibilità cosa? Riflessioni sulle politiche del lavoro in WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT-27/2005, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx.
136 X. XXXXXXXXX, op. cit.
137 L’obiettivo del legislatore, come si legge nell’art.1 del Titolo I, è quello di dare attuazione alle disposizioni comunitarie in materia di occupazione, accrescendone i tassi e rendendola più stabile attraverso “contratti a contenuto formativo e contratti a orario modulato compatibili con le esigenze dell’azienda e le aspirazioni dei lavoratori”.
138 X. XXXXXX, P. POZZAGLIA, Il decreto dignità. Commento alle norme lavoristiche, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2018, p. 51.
139 Così X. XXXXXXXXX, Flessibilità del lavoro…, cit.; nonché X. XXXXXXXXX., op. cit.
In primo luogo è peculiare rispetto allo schema tradizionale del lavoro subordi- nato poiché la stessa determina la dissociazione tra titolare formale del rapporto di lavoro - vale a dire chi assume il lavoratore (il c.d. somministratore) - e l’effettivo beneficiario della prestazione (il c.d. utilizzatore). Infatti, nella somministrazione si verifica la rottura del vincolo di subordinazione140, espresso dalla nota formula ex art. 2094 cod. civ. “alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”, poi- ché i “lavoratori svolgono la loro attività alle dipendenze nonché sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore”141. Ne deriva che il potere direttivo è in capo all’uti- lizzatore e il potere disciplinare in capo all’agenzia.
Come sottolineato dalla circolare del Ministero del Lavoro n. 7 del 2015, si tratta di una fattispecie complessa poiché si realizza mediante la stipulazione di due di- versi contratti142.
Il primo è un contratto “commerciale” di somministrazione143, tra somministratore autorizzato ed utilizzatore, mediante il quale il primo si impegna a mettere a di- sposizione del secondo, a tempo determinato o a tempo indeterminato (il c.d. staff leasing), manodopera da lui xxxxxxx e retribuita.
Il secondo è un contratto “di lavoro” vero e proprio144, a tempo determinato o a tempo indeterminato, stipulato tra il somministratore e i propri dipendenti.
Dunque la complessità della fattispecie consiste nella circostanza che, mediante la stipulazione di due contratti tra loro funzionalmente collegati, si realizza uno schema trilaterale che vede il coinvolgimento di tre soggetti diversi: il sommini- stratore, l’utilizzatore e il lavoratore.
Poste tali premesse, è necessario ora analizzare i requisiti di legittimità della som- ministrazione.
140 M.D. FERRARA, op. cit.
141 L’art.20, comma 2, D.lgs. n. 276 del 2003 (così come modificato dalla L. n. 183 del 2011), recita: “Per tutta la durata della missione i lavoratori svolgono la propria attività nell’interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore. […]”
142 Nello stesso senso X. XXXXXXXX, op.cit; X. XXXXXXXXXX, Lavoro a tempo determinato, cit.; X. XXXXXXXXX, op. cit.
143 X.XXXXXXXX., op.cit.
144 X. XXXXXXXXX, op. cit.
Il primo, imprescindibile, requisito di legittimità è che il somministratore deve essere un’agenzia autorizzata a svolgere tale attività ai sensi degli artt . 4 e 5 del D.lgs. n. 276 del 2003. L’autorizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali145 alla somministrazione e la conseguente iscrizione ad apposito albo146, sono subordinate al possesso di precisi requisiti, soggettivi ed oggettivi (art.5)147, differenziati a seconda dell’attività svolta148, volti principalmente ad assicurare la solidità economica e l’affidabilità delle agenzie.
La principale novità rispetto al quadro normativo previgente (il c.d. Pacchetto Treu) è l’abolizione del c.d. vincolo dell’oggetto sociale esclusivo, il quale impo- neva alle agenzie di fornitura di lavoro temporaneo di svolgere tale attività in modo appunto esclusivo. La riforma Biagi consente la creazione di soggetti definiti “po- lifunzionali” 149 che possono cioè svolgere, oltre ad attività di somministrazione di
145 La procedura autorizzatoria (art.4) ha una struttura bifasica: previa verifica del possesso dei requisiti indicati dalla legge, all’agenzia viene concessa un’autorizzazione ministeriale in via provvisoria e, decorso un “periodo di prova” biennale, un’autorizzazione permanente, subordinatamente alla verifica del corretto andamento dell’attività svolta.
146 L’albo delle agenzie per il lavoro presso il Ministero del lavoro è articolato in cinque sezioni, a seconda dell’attività svolta: 1) somministrazione di lavoro, a tempo determinato e indeterminato (le agenzie c.d. generaliste cioè che pongono in essere tutte le attività di cui all’art.20); 2) somministrazione a tempo inde- terminato in uno solo dei settori individuati dall’art. 20, lett. a) ad h) (le agenzie c.d. specialiste); 3) inter- mediazione; 4) ricerca e selezione del personale; 5) supporto alla ricollocazione. L’iscrizione alla prima sezione dell’albo comporta automaticamente l’iscrizione delle agenzie c.d. generaliste alle sezioni relative alle altre attività.
147 Alcuni requisiti sono comuni a tutte le agenzie, mentre altri sono diversificati a seconda dell’attività svolta. Essi riguardano ad esempio la forma societaria che deve possedere l’agenzia (società di capitali o cooperativa o consorzio di cooperative), il capitale sociale, le competenze professionali dimostrabili per titoli o per specifiche esperienze nel settore delle risorse umane, etc.
148 X. XXXXXXXX, op. cit., in X. XXXX - X. XXXX, op. cit., p. 478/479, sottolinea che non è chiara la ragione che ha indotto il legislatore a distinguere le agenzie c.d. generaliste da quelle specialiste, ponendo in capo alle prime requisiti più stringenti. L’Autore rileva che, secondo alcuni, il motivo sarebbe individua- bile nella maggiore precarietà che discenderebbe dalla somministrazione di lavoro a termine: ragione per cui sarebbe necessario riconoscere al lavoratore una tutela rafforzata rispetto a quella garantita a coloro che, inviati in missione per adempiere un contratto di somministrazione a tempo indeterminato, potrebbero fare affidamento sul regime di tutela proprio del tradizionale rapporto di lavoro. Secondo l’Autore una simile argomentazione non tiene conto del fatto che assai difficilmente lo staff-leasing porta con sé un maggior livello di protezione dei lavoratori: non necessariamente l’agenzia, a fronte di un contratto di somministra- zione a tempo indeterminato stipulerà contratti di lavoro a tempo indeterminato. La vera ragione risiede nel maggior ambito di attività affidato alle c.d. agenzie generaliste che, oltre ad essere abilitate allo svolgimento della somministrazione di lavoro, possono svolgere anche attività di intermediazione, ricerca, selezione del personale e supporto alla ricollocazione.
149 M.D. FERRARA, op.cit.
lavoro, altre attività oggetto di autorizzazione (intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione).
Secondo essenziale requisito di legittimità attiene al c.d. causalone, il quale è disegnato dal legislatore in maniera diversa, a seconda della tipologia di sommini- strazione.
Per la somministrazione a tempo indeterminato (art. 20, 3˚ comma), il legislatore ha optato per la tecnica delle causali tassative150: è stata, così, elaborata una lunga lista di casi o di tipologie di attività che consentivano il ricorso allo staff leasing e attribuita, al contempo, alla contrattazione collettiva la facoltà di arricchire l’elenco (art.20, 3˚comma, lettera i).
Per la somministrazione a tempo determinato (art.20, 4˚ comma), il legislatore, recuperando il modello della clausola generale previsto dal D.lgs. n. 368 del 2001 per il contratto a tempo determinato, ha ammesso la somministrazione “a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se rife- ribili all’ordinaria attività dell’utilizzatore”.
Per quanto attiene al terzo requisito di validità, il legislatore ha previsto che il contratto di somministrazione, ai sensi dell’art.21, 1˚ comma, deve essere concluso in forma scritta e contenere le indicazioni prescritte dalla legge. A ciò si aggiunga l’obbligo di comunicazione in forma scritta delle medesime informazioni, gravante sull’agenzia nei confronti del lavoratore.
Si noti che, in mancanza di forma scritta, il contratto di somministrazione è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore.
La stessa legge predetermina il contenuto minimo necessario del contratto di som- ministrazione151.
150 X. XXXXXXXXX, Flessibilità del lavoro…, cit.
151 Si tratta di elementi tra loro eterogenei. In primo luogo, in ossequio al principio di trasparenza, vi è l’obbligo di indicare gli estremi dell’autorizzazione ministeriale rilasciata al somministratore; ciò permette all’utilizzatore di verificare se la controparte è abilitata a svolgere tale attività e di non incorrere nel reato di “utilizzazione illecita” ex art. 18, 2˚ comma.
Inoltre, la legge impone alle parti di indicare la presenza di eventuali rischi per la salute del lavoratore e le misure prevenzionistiche adottate e gli elementi identificativi dell’oggetto del contratto quali il numero dei lavoratori da somministrare, la causale giustificativa, la data di inizio e la durata del contratto, le mansioni
Infine il D.lgs. si occupa anche di individuare i divieti di utilizzo del contratto di somministrazione.
L’art. 20, 5˚ comma D.lgs. n. 276 del 2003 stabilisce che “è fatto divieto di ricor- rere alla somministrazione per sostituire lavoratori in sciopero nonché, salva di- versa previsione dei contratti collettivi, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, nei sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi o presso le quali sia in atto una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario con trattamento di integrazione salariale, per tutta la durata della sospensione o riduzione”. Infine un ultimo divieto, caratterizzato da una chiara finalità sanzionatoria, colpisce l’utiliz- zatore, in quanto «datore di lavoro in prevenzione»152, che non abbia effettuato la valutazione dei rischi in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavora- tori153.
Per quanto attiene al rapporto di lavoro, il contratto di lavoro alle dipendenze dell’agenzia è soggetto alle norme generali, pur fatte salve le deroghe o le dispo- sizioni peculiari introdotte dallo stesso D.lgs. n. 276 del 2003154.
e l’inquadramento dei lavoratori, il luogo, l’orario e il trattamento economico e normativo delle prestazioni lavorative. Infine, le parti devono inserire nel contratto una serie di clausole obbligatorie attinenti all’as- sunzione di specifici obblighi da parte dell’agenzia (consistenti nel pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico e nel versamento dei contributi previdenziali) e dell’utilizzatore (consistenti nel rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali sostenuti, nel fornire al somministratore tutte le informazioni sui trattamenti economici applicabili nell’azienda per i c.d. lavoratori comparabili ed infine nel rispondere, in caso di inadempimento del somministratore, del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico e del versamento dei contributi previdenziali, fatto salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore).
152 X. XXXX, X. XXXX, op.cit., p.530.
153 Il Ministero del lavoro (Interpello 17.09.2007, n. 26) tende a ritenere che sussista in questi casi anche la responsabilità del somministratore, quando questi non abbia verificato, prendendo visione del documento, l’effettivo adempimento da parte dell’utilizzatore della valutazione dei rischi.
154 Il riferimento è, da un lato, alle disposizioni relative alla proroga e alla successione di contratti a termine (le deroghe), dall’altro, alla disciplina relativa all’indennità di disponibilità spettante al lavoratore assunto con contratto di lavoro a tempo indeterminato (disposizioni peculiari).
Per quanto riguarda le deroghe, è necessario evidenziare che la disciplina del contratto a termine stipulato per dare esecuzione ad un contratto di somministrazione a tempo indeterminato risulta complessivamente meno rigorosa, rispetto a quella prevista dal D.lgs. n.368 del 2001 sotto entrambi gli aspetti, sia per quanto riguarda la disciplina della proroga del contratto (art.22, 2 comma, integrato dall’art.47 del Ccnl 2014), sia in materia di successione di contratti.
Per quanto attiene l’assunzione a tempo indeterminato, è necessario premettere che il lavoratore può alter- nare ai periodi di lavoro periodi di inattività nei quali rimane in attesa di essere assegnato a qualche mis- sione. In quest’ultimo caso, egli è posto tecnicamente “in disponibilità”, con l’obbligo di essere reperibile
Un ulteriore elemento di peculiarità dell’istituto della somministrazione è legato alla ripartizione dei tipici poteri datoriali tra la figura dell’utilizzatore e quella del somministratore155: in particolare al primo compete l’esercizio del potere direttivo, al secondo quello del potere disciplinare.
Quanto al potere direttivo, la legge precisa che per tutta la durata della sommini- strazione i lavoratori svolgono la propria attività nell’interesse, nonché sotto la di- rezione e il controllo dell'utilizzatore.
Inoltre, con riferimento alla sicurezza, i lavoratori saranno informati dal sommi- nistratore sui rischi connessi all’attività svolta e pertanto verranno opportunamente addestrati all’uso delle attrezzature necessarie per lo svolgimento delle loro man- sioni. L'utilizzatore è parimenti tenuto ad osservare, nei confronti dei lavoratori somministrati, gli stessi obblighi di protezione a cui è tenuto nei confronti dei pro- pri dipendenti.
In un’ottica di favor per il contratto di somministrazione e soprattutto per rendere tale strumento funzionale alle esigenze ad esso sottese156, va sottolineato che il somministratore può concludere più contratti a termine con il lavoratore senza il rispetto di alcun intervallo di tempo e che i limiti percentuali di stipulazione di contratti a termine non si applicano alla somministrazione: è evidente, dunque come l’utilizzatore potrebbe anche avvalersi esclusivamente di questo tipo di con- tratto per svolgere la sua attività lavorativa157.
durante il normale orario di lavoro contrattualmente previsto ed è tenuto a iniziare l’attività lavorativa tra- scorse 24 ore successive alla chiamata. Il lavoratore in disponibilità avrà diritto a ricevere un compenso (art. 20, 2˚ comma e art. 22, 3˚ comma), il cui ammontare è rimesso alla contrattazione collettiva di settore, nel rispetto dei limiti previsti con decreto ministeriale.
155 X. XXXXXXX, op.cit.
156 X. XXXXXXXX, op. cit.; X.XXXXXXX, La nuova disciplina della somministrazione di lavoro tra poteri datoriali e diritti del lavoratore, in W.P.C.S.D.L.E.”Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT- 33/2005, in xxx.xxxxx.xx
157 X. XXXXXX, Jobs Act: pubblicato il decreto 81/2015 sulla razionalizzazione dei contratti di lavoro. La disciplina della somministrazione passa tutta per i contratti aziendali, 2015, in xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx.
Al contempo, si deve tuttavia precisare che, pur favorendo il ricorso all’istituto, il legislatore non pretermette le regole a tutela del lavoratore. Due sono le princi- pali garanzie: la parità di trattamento (art.23, 1˚ comma) e la responsabilità solidale (art.23, 3˚ comma).
La regola della parità di trattamento158 ha una notevole valenza protettiva nei con- fronti dei rischi di sfruttamento dei lavoratori: essa impedisce il ricorso all’istituto della somministrazione ai fini di un risparmio sui costi159. Si deve, tuttavia, sotto- lineare come permangano dubbi interpretativi160 in relazione al criterio da utiliz- zare ai fini della comparazione prevista dalla legge.
Una seconda importante forma di protezione161 dei lavoratori somministrati è data dalla regola della responsabilità solidale. Il 3˚ comma dell’art. 23 prevede che “l'u- tilizzatore è obbligato in solido con il somministratore a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali”.
La previsione ha l’obiettivo di rafforzare la posizione creditoria del lavoratore gra- zie alla duplicazione della figura del debitore.
158 Il 1˚ comma dell’art.23 (così come novellato dal D.lgs. n. 24 del 2012) stabilisce che “per tutta la durata della missione presso un utilizzatore, i lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto a condizioni di base e d’occupazione complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni svolte”.
159 X. XXXXX, continuato da X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 312, il quale rileva che tramite la regola della parità di trattamento si tronca in radice ogni polemica circa la mercificazione del lavoro. Assicurata la parità di trattamento, il margine di lucro dell’impresa si basa sulla capacità di fornire in modo tempestivo e pro- fessionale prestazioni di lavoro che sarebbero eccessivamente costose per la singola impresa senza l’inter- vento dell’intermediario, o che comunque si caratterizzano per particolari contenuti o qualità. L’utile rica- vato si giustifica, quindi, come profitto in ragione dell’assunzione di un rischio tipico di impresa. Non si tratta di un lucro parassitario. Le stesse agenzie di somministrazione sono inoltre tenute a versare il 4% della retribuzione per ciascun lavoratore assunto ai fondi per la formazione e l’integrazione del reddito.
160La querelle in discorso è illustrata da X. XXXXXXX, op. cit., 13. In sostanza, sono state proposti due metodi: quello tradizionale del cumulo (o c.d. criterio di comparazione istituto per istituto) e quello del conglobamento.
Secondo una prima lettura, l’espressione “complessivamente” indicherebbe semplicemente «l’ambito di comparazione», suggerendo quindi che il confronto istituto per istituto debba essere condotto per l’intero complesso dei trattamenti in atto (economico, normativo ed occupazionale) a prescindere dalla fonte legale o convenzionale. Il secondo orientamento, valorizzando maggiormente il dato testuale, tende a ritenere che l’espressione “complessivamente” costituisca una chiara presa di posizione del legislatore a favore del si- stema del conglobamento.
161M.XXXXXXX, X. XXXXX, Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia. Proposte per una società attiva e un lavoro di qualità, in xxx.xxx.xx., 2001.
A completamento della tematica di tutela del lavoratore, giova trattare la tema- tica della somministrazione illecita, posto che il legislatore ha previsto un com- plesso apparato sanzionatorio articolato in sanzioni civili, penali ed amministra- tive.
Sotto il profilo civilistico, rilevano le disposizioni di cui agli artt. 21, 4˚ comma e art. 27, 1˚ comma. Le stesse comminano la sanzione della costituzione del rapporto di lavoro in capo all’utilizzatore per il caso di violazione delle norme in materia di somministrazione, seppur con formulazioni diverse162 a seconda che siano violate le disposizioni in materia di forma o quelle indicate agli articoli 20 e 21, comma 1, lettere a), b), c), d) ed e)163.
162 Mentre l’art.21, 4˚ comma stabilisce che “in mancanza di forma scritta, il contratto di somministrazione è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore”, l’art.27, 1˚ comma, rubricato “somministrazione irregolare”, prevede che “quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 20 e 21, comma 1, lettere a), b), c), d) ed e), il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo, con effetto dall'inizio della somministrazione”.
163 I casi presi in considerazione dall’art. 27, 1˚ comma, che determinano somministrazione irregolare, sono:
• la somministrazione da parte di soggetti diversi da quelli autorizzati o al di fuori dei limiti dell’xx- xxxxxxxxxxxx (xxx. 00, 0x xxxxx);
• la somministrazione a favore di un soggetto diverso dall’utilizzatore formale (art. 20,1˚ comma);
• la somministrazione a tempo indeterminato per attività diverse da quelle elencate (art. 20, 3˚ comma);
• la somministrazione a tempo determinato in assenza di una legittima ragione di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo (art. 20, 4˚ comma);
• la somministrazione a tempo determinato in violazione degli eventuali limiti quantitativi introdotti dalla contrattazione collettiva (art. 20, 4˚ comma);
• la somministrazione nei casi vietati dalla legge (art. 20, 5˚ comma);
• quando dal contratto di somministrazione non risultino gli estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore, il numero dei lavoratori, la causale, l’indicazione della presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate, la data di inizio e la durata prevista del contratto (art. 21, 1˚ comma, dalle lett. a) ad e)).
Quanto alle sanzioni penali, il legislatore prevede due diverse fattispecie: quella della “somministrazione abusiva” 164 e quella della “somministrazione fraudo- lenta”165.
Sempre sotto il profilo penale, è necessario sottolineare, da un lato, che l’art. 18, comma 4 e 4-bis, punisce “chi esige o comunque percepisce compensi dal lavora- tore per avviarlo a prestazioni di lavoro nonché chi esige o comunque percepisce compensi dal lavoratore in cambio di un’assunzione da parte dell’utilizzatore al termine della missione, con la pena alternativa dell’arresto non superiore ad un anno o dell’ammenda da € 2.500 a € 6.000”; dall’altro, con lo scopo di reprimere in maniera più incisiva i fenomeni di “caporalato”, tuttora presenti nei settori dell’edilizia e dell’agricoltura, il legislatore (D. l. n. 138 del 2011 conv. in L. n. 148 del 2011) ha introdotto una nuova fattispecie di reato: l’intermediazione ille- cita e sfruttamento di lavoro166.
164 L’art.18 punisce tanto il somministratore per il reato di «somministrazione abusiva» (1˚ comma) e cioè per l’esercizio delle attività di somministrazione prive di autorizzazione, tanto l’utilizzatore per lo speculare reato di «utilizzazione illecita» (2˚comma) e cioè per l’utilizzo di lavoratori forniti da un soggetto non autorizzato, con la pena dell’ammenda di 50 € per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro. Se vi è sfruttamento di minori la pena è dell’arresto fino a 18 mesi e dell’ammenda aumentata fino al sestuplo.
165 L’art. 28 si occupa della fattispecie di “somministrazione fraudolenta”, che ricorre qualora la somministrazione sia posta in essere “con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge e di contratto collettivo applicato al lavoratore”. La disposizione richiede, ai fini dell’integrazione del reato, il dolo specifico e punisce in egual misura somministratore e utilizzatore con la pena dell’ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e ciascun giorno di somministrazione “ferma restando le sanzioni di cui all’art.18”.
166 La fattispecie “Intermediazione illecita e sfruttamento di lavoro” è regolata dagli art.603-bis che defini- sce il delitto e dall’603-ter cod. pen. che detta le pene accessorie. L’art.603-bis cod. pen. stabilisce: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque svolga un'attività organizzata di intermediazione, reclu- tando manodopera o organizzandone l'attività lavorativa caratterizzata da sfruttamento, mediante violenza, minaccia, o intimidazione, approfittando dello stato di bisogno o di necessità dei lavoratori, è punito con la reclusione da cinque a otto anni e con la multa da 1.000 a 2.000 euro per ciascun lavoratore reclutato.
Ai fini del primo comma, costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti circo- stanze:
1) la sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato;
2) la sistematica violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie;
3) la sussistenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l'incolumità personale;
4) la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza, o a situazioni alloggiative particolarmente degradanti.
Costituiscono aggravante specifica e comportano l'aumento della pena da un terzo alla metà:
L’apparato sanzionatorio consta, inoltre, di sanzioni amministrative (art.18, 3˚ comma e 3˚ comma bis). Infatti, accanto alla sanzione civilistica prevista per la somministrazione irregolare, è altresì prevista una sanzione amministrativa pecu- niaria da 250 a 1.250 euro167.
Il D.lgs. n. 276 si occupa, inoltre, dell’istituto dell’appalto e del distacco, i quali insieme alla somministrazione, costituiscono tipici strumenti giuridici per porre in essere operazioni di esternalizzazione di servizi (il c.d. outsourcing)168.
L’art. 29 affronta il tema del “contratto d’appalto”, già regolamentato dall’art.1655 del codice civile, il quale differisce dalla somministrazione per i re- quisiti dell’organizzazione dei mezzi necessari e per la gestione in proprio del ri- schio169.
Tuttavia, nonostante le indicate differenze, la legge prevede - in un’ottica analoga a quanto si è visto in materia di somministrazione 170 - che il committente
1) il fatto che il numero di lavoratori reclutati sia superiore a tre;
2) il fatto che uno o più dei soggetti reclutati siano minori in età non lavorativa;
3) l'aver commesso il fatto esponendo i lavoratori intermediati a situazioni di grave pericolo, avuto riguardo alle caratteristiche delle prestazioni da svolgere e delle condizioni di lavoro.
L’art.603-ter prevede: “La condanna per i delitti di cui agli articoli 600, limitatamente ai casi in cui lo sfruttamento ha ad oggetto prestazioni lavorative, e 603 bis, importa l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche o delle imprese, nonché il divieto di concludere contratti di appalto, di cottimo fiducia- rio, di fornitura di opere, beni o servizi riguardanti la pubblica amministrazione, e relativi subcontratti. La condanna per i delitti di cui al primo comma importa altresì l'esclusione per un periodo di due anni da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi da parte dello Stato o di altri enti pubblici, nonché dell'U- nione europea, relativi al settore di attività in cui ha avuto luogo lo sfruttamento. L'esclusione di cui al secondo comma è aumentata a cinque anni quando il fatto è commesso da soggetto al quale sia stata applicata la recidiva ai sensi dell'articolo 99, secondo comma, numeri 1) e 3)”.
167 L’art. 18, comma 3 e 3-bis prevede la suddetta sanzione in caso di violazione:
• degli obblighi e dei divieti di cui all’art. 20, commi 3, 4 e 5 (casi e ragioni per il ricorso alla sommi- nistrazione a tempo determinato e a tempo indeterminato e i diveti);
• dell’art. 21, commi 1 e 2 (forma e contenuto del contratto);
• per il solo somministratore, del disposto di cui al 3˚ comma dell’art. 21 (obbligo del somministratore di comunicare per iscritto al lavoratore gli elementi essenziali del contratto);
• dell’art. 23, 1 comma (obbligo di parità di trattamento);
• per il solo utilizzatore, dell’art.23, comma 4, secondo periodo (parità di trattamento per i servizi sociali ed assistenziali rispetto ai dipendenti dell’utilizzatore);
• dell’art.23, 7 bis comma (obbligo dell’utilizzatore di informare i lavoratori dei posti vacanti);
• dell’art.24, 4 co., lett. a) e b.) (obblighi del somministratore di comunicazione nei confronti delle rappresentanze sindacali).
168A. PERULLI, op. cit.
169 Così l’art.1655 cod. civ. “L'appalto è il contratto con il quale una parte assume ( il c.d appaltatore), con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un'opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro” dato dal c.d. committente.
170 X. XXXXXXXXX, Flessibilità del lavoro. cit.
dell’opera è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli even- tuali subappaltatori, entro due anni dalla conclusione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori il trattamento retributivo e i contributi previdenziali dovuti. Si stabi- lisce, ancora una volta, un regime di responsabilità solidale, volto a rafforzare la posizione creditoria dei lavoratori impiegati nell’appalto.
In base all’art. 30, invece, sussiste un’operazione di “distacco” quando “un da- tore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa”. In tal caso il datore di lavoro rimane responsabile del tratta- mento economico e normativo a favore del lavoratore. Se il distacco dovesse com- portare un mutamento di mansioni, questo potrà avvenire solo con il consenso del lavoratore interessato. Qualora fosse necessario un trasferimento a una sede di la- voro distante più di 50 km da quella in cui il lavoratore presta la sua opera, il distacco potrà avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive. Infine, se nell’utilizzo del “distacco” si configura una vio- lazione di quanto previsto dalla legge, il lavoratore interessato può chiedere, me- diante ricorso giudiziale, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo.
2.1.3 Critiche e meriti ascritti alla Legge Biagi
Giova, a questo punto, dar conto di quelle che sono state le critiche mosse alla Riforma Biagi: la stessa, seppur mossa dall’obiettivo primario di risolvere il grave problema occupazionale del nostro Paese, è stata da sempre contestata, avendo, secondo la dottrina prevalente, contribuito al fenomeno della “precarizzazione del lavoro”171.
171 X. XXXXXXX, La somministrazione di lavoro tra contrasto alla precarietà e buona flessibilità, in Lavoro: una riforma sbagliata. Ulteriori osservazioni sul d.d.l. n. 5256/2012. Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, Adapt labour studies, ebook series n.2/2012, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx. La riforma ha dato luogo ad ampi dibattiti dottrinari. Sottolinea M.
Non mancano voci in senso contrario.
In dottrina si è sostenuta la necessità di considerare che i cambiamenti in atto nella società, in quegli anni, avevano coinvolto un numero sempre crescente di persone legandole a forme di contratti atipici, non regolamentati in maniera ade- guata. Da qui l’esigenza, sempre più avvertita di dare limiti e condizioni per l’uti- lizzo di questi tipi di contratto.
A tale esigenza ha tentato di dare soddisfazione la Riforma Xxxxx che, ricono- scendo le innovazioni già in atto172, cercò di codificarle dando loro ben precisi margini di manovra. Tale dottrina evidenziava, dunque, come nel nuovo mercato del lavoro - globalizzato e soggetto ai rapidi cambiamenti economici- nessuna legge era in grado di difendere il lavoratore dalla flessibilità (letta come “preca- rietà” dalle forze sociali e culturali più conservatrici), poiché questa non era frutto di una qualche norma “sbagliata”, bensì della moderna, frenetica e discontinua competizione economica173.
TIRABOSCHI, La riforma Biagi del mercato del lavoro, Xx. Xxxxxxx, p. 3, che la stessa «ha scatenato una vera e propria di guerra di religione tra i sostenitori della riforma del mercato del lavoro e una nutrita— quanto variegata—schiera di oppositori che talvolta, ancora prima di avere avuto modo di conoscere il contenuto del decreto, non hanno esitato a parlare di «flessibilità da pezzenti», «occupazione usa e getta»,
«mercificazione del lavoro»». Per un’analisi delle ulteriori critiche mosse alla riforma si veda anche X. XXXXXXXXXX, op. cit. Alcuni poi hanno accusato la riforma di essere stata elaborata «al prezzo di una rinuncia ad approfonditi confronti interistituzionali e con le forze sociali», dimenticando che c’era stato nel Luglio 2002 un “Patto per l’Italia” siglato tra Cisl e Uil, con il dissenso della sola Cgil, e che il Governo con le Organizzazioni datoriali definiva le linee guida della riforma del mercato del lavoro.
172 M.T. CARINCI, op.cit.
173 X. XXXXXXXX, op. cit, p. 10, fa poi notare come, nelle intenzioni di Xxxxx, l’espressione «mercato del lavoro» fosse utilizzata «nella sua accezione più ampia, con riferimento a un progetto di riforma dell’intero corpo normativo che compone il diritto del lavoro». L’errore da parte dei commentatori è stato probabilmente quello di voler far rientrare questo progetto di riforma in una visione di politica economica ultraliberista che alcuni hanno addirittura giudicato, «autoritario nel metodo ed eversivo nei contenuti». In realtà si è voluto attribuire al Libro Bianco di Xxxxx un significato politico che, secondo Xxxxxxxxxx, non c’era: l’unico interesse del giuslavorista era quello, in perfetta continuità con le riforme del mercato del lavoro varate nel corso della precedente legislatura, di portare a compimento un rinnovamento già avviato nel precedente decennio. Al centro di questo progetto c’è il graduale superamento del monopolio pubblico per quanto riguarda la mediazione sul mercato del lavoro; X.XXXX, La riforma del mercato del lavoro: prime notazioni, in Aa.Vv, come cambia il mercato del lavoro, Ipsoa, Milano, 2004, 3 e 7, Biagi «non stravolge questo impianto, ma si limita ad apportare alcuni correttivi dettati dall’esperienza applicativa degli ultimi anni»; in senso conforme M. ROCCELLA, Manuale di diritto del lavoro, Xxxxxxxxxxxx, Torino 2004, p. 71-75 e 79. Il quale precisa che nel mercato del lavoro si era, senza alcun dubbio, creata una frattura rispetto agli schemi consolidati del passato. «Ma questa non è certo imputabile alle pur rilevanti innovazioni contenute nel titolo II del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, quanto piuttosto al già ricordato superamento del monopolio pubblico del collocamento sancito – anche su impulso della Corte di Giustizia
La dottrina ha sottolineato che, anche se spesso giudicata come tipologia “di sfrut- tamento e mercificazione del lavoro”, il ricorso alla somministrazione non incide sulla tutela del lavoratore e della sua dignità174: una salvaguardia, a tal fine, è co- stituita dal contratto di lavoro tra prestatore e agenzia di somministrazione. La pre- senza stessa del contratto fa sì che si tratti, quindi, di un istituto neutro.
Inoltre il principio della parità di trattamento tra lavoratori somministrati e dipen- denti di pari livello dell’impresa utilizzatrice, allontana l’idea che la somministra- zione di manodopera possa identificarsi come “speculazione sul lavoro altrui”175. In conclusione, bisogna invece ammettere che il lavoro interinale, a lungo
«osteggiato nel corso della passata legislatura»176, ha dimostrato di essere uno stru- mento utilissimo per riattivare il mercato del lavoro italiano e per creare occupa- zione di qualità.
europea – in continuità con la riforma Treu dalla legge 24 giugno 1997, n. 196, e, a seguire, dal decreto legislativo 23 dicembre 1997»; nello stesso senso X. XXXXXXXXXX, La riforma Biagi, cit. Lo scopo di Xxxxx è quindi quello di dare vita a «un sistema efficiente di servizi per l’impiego, pubblici e privati, autorizzati e accreditati, che, in rete tra loro, grazie alla borsa continua del lavoro, accompagnano e facilitano l’incontro tra coloro che cercano lavoro e coloro che cercano lavoratori ; in forme di flessibilità regolata e contrattata con il sindacato ,[…], in modo da bilanciare le esigenze delle imprese di poter competere sui mercati internazionali con le irrinunciabili istanze di tutela e valorizzazione della persona del lavoratore; in misure sperimentali di politica attiva e di workfare a favore di quei gruppi di lavoratori che oggi incontrano maggiori difficoltà nell’accedere a un lavoro regolare e di buona qualità, anche in termini di maggiore sicurezza sul lavoro, ovvero a conciliare tempi di vita e tempi di lavoro: donne,
«diversamente abili», giovani e over 45/50. Questa trasformazione del mondo del lavoro non è, a ben guardare, solo italiana, ma si opera in molti paesi europei. In effetti, se non si tiene conto del contesto in cui matura la riforma, né dei provvedimenti già contenuti dal pacchetto Treu, si rischia di non comprendere la reale portata del provvedimento, che in realtà potrebbe essere visto soltanto come un esempio del “nuovo” che avanza e che, proprio per la sua novità, ha bisogno, per essere valutato e giudicato con obiettività, di una più o meno lunga fase di transizione. Non va inoltre dimenticato che, anche dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, ancora la Commissione europea invitava l’Italia
«a dare immediata priorità (…) allo sviluppo di una effettiva rete di servizi per l’impiego in tutto il Paese, con particolare attenzione alle fasce giovanili e agli immigrati, incrementando – specie nelle aree meridionali del Paese – l’accesso a servizi personalizzati e la partecipazione a efficienti schemi di politica attiva del lavoro, implementando senza ulteriori ritardi la borsa continua nazionale del lavoro». Una riforma dunque che mira al recupero di lavoratori spesso ai margini del mercato e in particolar modo in quelle aree del paese meno sviluppate, dove il bisogno di nuove politiche a favore dell’occupazione si avverte con più urgenza.
174 X. XXXXXXXXXX, La riforma Biagi, cit., p. 14.
175 X. XXXXXX, X. XXXXXXXXX, Il rapporto di lavoro, Zanichelli, Bologna, 1995.
176 X. XXXXX (a cura di), Mercati e rapporti di lavoro, Xxxxxxx, Milano, 1997.
Per questo motivo le critiche più radicali, che raffigurano i moderni servizi privati per l’impiego alla stregua di nouveaux marchands d’hommes177, non meritano in- vero particolare considerazione, in quanto ampiamente confutate non solo sul piano scientifico, ma già dalla realtà dei fatti: la riforma, nonostante le contesta- zioni, ebbe i suoi frutti portando infatti il tasso di disoccupazione al 6,1% nel 2007. Notevole fu l’incremento dell’occupazione giovanile e delle donne178.
2.2 LA LEGGE N.183 DEL 2010 (C.D. COLLEGATO LAVORO)
Tra le disposizioni contenute nella legge n.183 del 2010 (il c.d. Collegato La- voro), quelle che più direttamente interessano il contratto oggetto del nostro studio sono contenute nell’art. 32179, relative alla disciplina delle impugnazioni e alle conseguenze dell’accertamento.
La legge 183/2010, all’art. 32, si occupa di “Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato”180.
Il primo comma dell’art.32 stabilisce un onere, a carico del lavoratore, di impu- gnare il licenziamento entro il termine di decadenza di sessanta giorni dalla rice- zione della sua comunicazione in forma scritta181. Questa disposizione sostituisce l’art. 6 comma 2 della legge n. 15/1966, la quale aveva un tenore analogo182.
177 X. XXXXXXXXXX, La riforma Biagi, cit.
178 L.A. COSATTINI, op. cit.
179 X. XXXXXXXX, Le decadenze per l’impugnazione del recesso, del trasferimento geografico e del trasferimento d’azienda, in X. XXXXXXXX, X. XXXXXXXX (a cura di), Il collegato lavoro 2010, IPSOA, Milano, 2011, p. 365 ss.
180 Si veda Legge 4 novembre 2010 in xxxxxxxxxxxxxxxx.xx
181 L’art.32 dispone: “Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, in modo da rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso”; la norma prevede, altresì, che se, entro il termine di 270 giorni, l’impugnazione non è seguita dal deposito del ricorso presso la cancelleria del tribunale, essa perde la sua efficacia”.
182 X. XXXXX XXXXXX, X. XXXXXXXXX, In attesa della nuova riforma: una rilettura del lavoro a termine,
in xxx.xxxxxx.xxxxx.xx, p. 57.
In un’ottica deflattiva del contenzioso il legislatore ha previsto che il lavoratore può anche richiedere al datore di lavoro un tentativo di conciliazione o arbitrato183. Al fine di favorire l’esperimento della conciliazione, il c.d. Collegato Xxxxxx fa salva la possibilità di impugnare il licenziamento anche a seguito del fallimento della soluzione “bonaria”184.
Tale sistema di tutela è altresì esteso anche a numerose e importanti ipotesi di con- tenzioso185 che qui interessano. A titolo esemplificativo, si noti che le suddette di- sposizioni si applicano, inoltre, ai licenziamenti relativi alla qualificazione del rap- porto di lavoro o alla legittimità del termine dello stesso contratto, nonché all’azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro.
A tal proposito la dottrina ha evidenziato che, trattandosi di fattispecie eterogenee, il nuovo regime di decadenza finisce per amplificare le numerose questioni esege- tiche e interpretative, poste dalla disposizione in analisi, non potendosi al riguardo dare una soluzione univoca186.
183 X. XXXXXXX-XXXXXXXXXX, Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale. Privato e pubblico, Utet giuridica, Torino, 2014.
184 X. XXXXX XXXXXX, X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 58, sottolinea che nell’eventualità in cui il tentativo di conciliazione venga rifiutato o comunque non si raggiunga un accordo, “il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo".
185 Così l’art. 32, al comma 3 e 4:
-ai licenziamenti relativi alla qualificazione del rapporto di lavoro o alla legittimità del termine dello stesso contratto;
-al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalità a progetto;
-al trasferimento, con termine decorrente dalla data di ricezione della comunicazione di trasferimento;
-all’azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, con termine decorrente dalla scadenza del medesimo;
-ai contratti di lavoro a termine in corso di esecuzione o già conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge;
-alla cessione di contratto di lavoro;
-in ogni altro caso in cui si chieda la costituzione di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto.
186 X. XXXXXXXX, L’estensione del regime delle decadenze (lavoro a termine, trasferimento d’azienda e rapporti interpositori), in X. XXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), Il contenzioso del lavoro (nella legge 4 novembre 2010 n 183), Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2011, p. 253.
Per il caso di nullità della clausola appositiva del termine con connessa conver- sione del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, il Collegato La- voro187 introduce, altresì, un nuovo meccanismo di predeterminazione dei limiti d’indennizzo188. Il legislatore finisce così per prevedere un regime speciale “nella prospettiva di contemperare l’interesse del dipendente alla conservazione del posto e a un equo indennizzo, con quello del datore di non subire un pregiudizio ecces- sivo dovuto all’incertezza derivante dal precetto giuridico sulla giustificazione del termine”189.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione190 ha precisato che, nel caso di ille- gittima apposizione del termine, il contratto a tempo determinato si converte in contratto a tempo indeterminato e al lavoratore deve essere riconosciuta un’inden- nità onnicomprensiva a titolo di risarcimento del danno subito. Tale indennità deve tener conto del danno subito, a partire dalla scadenza del contratto stesso fino alla sentenza di nullità. Altre interpretazioni che possano vanificare il carattere onni- comprensivo o delimitare il periodo di copertura, finirebbero per porsi in contrasto con la corretta interpretazione dell’art. 32 comma 5191.
Ai fini riepilogativi giova, dunque, sottolineare come già il D.lgs. del 2001 preve- desse la conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato nel caso di utilizzo illegittimo del contratto a tempo determinato. Su tale impianto si
187 Art. 32 comma 5: “Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva che varia da un minimo di 2,5 a un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 legge 15 luglio 1966 n. 604”, vale a dire il numero di dipendenti, le dimensioni dell’impresa, l’anzianità di servizio, il comportamento delle parti.
188 X. XXXXX XXXXXX, X. XXXXXXXXX, op. cit, p. 63: “Il regime delle decadenze si presta con molta difficoltà ad una visione unitaria, circostanza che finisce sia con l’amplificare le numerose questioni esegetiche e interpretative della medesima disposizione normativa, sia con l’introdurre uno spostamento del baricentro dei diritti dal piano qualificatorio delle fattispecie considerate al piano processuale”.
189 F.M. PUTATURO DONATI, Il risarcimento del danno nel contratto a termine, in X. XXXXXXX, X. XXXXXXX (a cura di), Il contenzioso del lavoro (nella legge 4 novembre 2010, n 183), Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2011, p. 291.
190 Corte di Cassazione Sez. lav. 2 aprile 2012, n. 5241.
191 X. XXXXXXX, op. cit., p.14, riporta Corte di Cassazione Sez. lav. 2 aprile 2012, n. 5241 “Altre interpretazioni che possono ridurre, eliminare il carattere omnicomprensivo o delimitare il periodo di copertura, sarebbero in contrasto con la corretta interpretazione dell’art. 32 comma 5 della legge 183/2010”.
innesta il Collegato Xxxxxx (art. 32 comma 5) che, alla sanzione della conversione aggiunge un’indennità onnicomprensiva esaustiva di qualsiasi pretesa risarcitoria o retributiva (che va da un minimo di 2,5 mensilità a un massimo di 12 dell’ultima retribuzione globale di fatto in godimento all’epoca di risoluzione del contratto). La principale innovazione consiste nella predeterminazione legale del risarcimento del danno; si tratta di un danno in re ipsa192, vale a dire presunto dal legislatore nell’ an, sebbene graduabile nel quantum fra un minimo e un massimo, secondo i criteri dettati dall’art 8 della Legge 604/1966193. Infatti, la più recente giurispru- denza ha sottolineato come l’indennità onnicomprensiva da corrispondere al lavo- ratore abbia un carattere evidentemente sanzionatorio: quindi la stessa è dovuta anche nel caso in cui non vi sia danno194.
In materia di risarcimento del danno derivante da illegittima apposizione del ter- mine, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha fissato importanti principi di diritto195.
È stato precisato che il risarcimento del danno copre soltanto il periodo cosiddetto intermedio, quello che va dalla scadenza del termine fino alla sentenza di nullità
192 X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, op. cit.
193 X. XXXXXXX, op.cit. afferma che: “La predeterminazione del risarcimento da parte del legislatore in una somma omnicomprensiva rende irrilevante che il lavoratore abbia messo in mora il datore, offrendogli le proprie prestazioni, poiché il danno è presunto e il risarcimento prestabilito, sia pure in misura graduabile fra un minimo e un massimo, secondo i criteri dettati dall’art 8 Legge 604/1966”.
194 X. XXXXXXX, ivi p.15.
195 Cassazione civile 16/07/2014 n. 13630, ha precisato che l’indennità risarcitoria onnicomprensiva, che la legge del 2010 stabilisce dover essere corrisposta al lavoratore assunto con una pluralità di contratti a termine di cui sia riconosciuta la nullità, è da ritenersi inclusiva di tutto quanto dovuto a titolo di retribuzione, una volta unificati i diversi rapporti a tempo determinato in un unico rapporto a tempo indeterminato; Cassazione civile 11/02/2014 n. 3027 ha sottolineato che l’indennità ricevuta dal prestatore a causa della illegittima apposizione del termine in un contratto a tempo determinato, seppure collegata al rapporto di lavoro che si è instaurato, non ha una natura retributiva. Di conseguenza sono esclusi sia la rivalutazione monetaria che gli interessi legali dal periodo di cessazione al periodo del provvedimento del giudice. Corte d’Appello di Roma 14/2/2012 n.547, in Lav. Giur. 2012, «nel caso di pronuncia di conversione del contratto a termine in a tempo indeterminato, che ha natura dichiarativa con efficacia ex tunc, l’indennità di cui all’art. 32 del Collegato, che non può considerarsi aggiuntiva rispetto al risarcimento del danno da diritto comune, non copre il periodo sino alla sentenza, come ritenuto con sentenza meramente interpretativa di rigetto dalla Corte Costituzionale (sentenza 303/2011), bensì il solo periodo intercorso dalla scadenza del termine illegittimo al deposito del ricorso, momento con riferimento al quale occorre valutare anche i criteri di cui all’art 8 L. n . 604/1966, mentre per il periodo successivo, quale effetto della conversione, sono dovute le retribuzioni e gli accessori».
con la conseguenza che, a partire da tale sentenza, «è da ritenere che il datore sia indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispon- dergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammis- sione effettiva»196.
L’indennità risarcitoria costituisce una sorta di penale ex lege197 a carico del da- tore che ha apposto il termine nullo: si tratta infatti di una indennità forfettizzata e onnicomprensiva di ogni danno sofferto dal lavoratore nel periodo compreso tra la scadenza del termine nullo e la sentenza di conversione198.
2.3 LA LEGGE N. 92 DEL 2012 (C.D. LEGGE FORNERO)
2.3.1 Considerazioni generali
La c.d. legge Fornero trova le sue origini nelle sollecitazioni espresse in ambito europeo199, le quali manifestavano l’urgenza per il nostro paese di approvare ri- forme strutturali, cominciando dalla riforma del mercato del lavoro. Il modello ideale da tenere presente, al fine di dare nuova sistemazione al settore, è la c.d. “flexicurity”.
L’intero iter parlamentare200 della legge vede un susseguirsi di prese di posizione e di durissime critiche, nonostante vi fosse la generale consapevolezza della ne- cessità di arrivare all’approvazione del provvedimento201. Va, tuttavia, evidenziato che, nonostante le polemiche, molti commentatori hanno giudicato l’insieme delle
196 X. XXXXXXX, op. cit., p.16.
197 X. XXXXXXX, X. XXXXXXX, op.cit.
198 Cassazione civile 7/09/2012 n. 14996, in dir. Lav. 2012, 689.
199 In particolare, il riferimento è alla sollecitazione espressa dalla Banca Centrale Europea nell’agosto del 2011.
200 L’iter parlamentare comincia al Senato il 5 aprile, si concluderà il 31 maggio e l’applicazione definitiva della legge da parte della Camera è del 27 giugno: il giorno successivo il presidente Xxxxx presenta la legge al Consiglio europeo come prova dell’impegno riformatore dell’Italia.
201 X. XXXX, Flessibilità e tutele nella riforma del lavoro in WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT – 155/2012, p. 7, Le critiche non si sono limitate al periodo di gestazione, ma sono continuate anche dopo il varo della normativa. «Tali giudizi confermano un paradosso di fondo: quello di una legge fortemente contrastata pur essendo ritenuta inevitabile ed al fine approvata da un’ampia maggioranza parlamentare, la più vasta che si ricordi in materia di lavoro, compreso lo Statuto del 1970. Il paradosso è sottolineato ulteriormente dalla buona accoglienza della riforma da parte delle autorità europee e internazionali»
misure approvate un “semplice ritocco”202 della preesistente legislazione del la- voro.
Il principale obiettivo della legge Fornero era quello di predisporre un modello italiano di flexicurity, ispirata ai principi della flexicurity europea203 che viene con- siderata dalle istituzioni comunitarie come disciplina ideale del mercato del lavoro, già molto utilizzata nei paesi del centro e del nord dell’Europa204. La particolarità della flexicurity italiana è, tuttavia, legata alle radicate norme in difesa del posto di lavoro205, prima fra tutte l’art.18 Stat. Lav., “motivate dalla carenza di efficaci strumenti di tutela e di accompagnamento sul mercato del lavoro”, nonché alle resistenze, individuali e collettive, alla mobilità fra posto e posto di lavoro206.
Nell’ambito di tale obiettivo, la Legge Fornero si è occupata di eliminare l’anoma- lia insita nell’esistenza di una molteplicità di tipi contrattuali, progressivamente affermatisi nel nostro diritto del lavoro, che non trova peraltro riscontro nei paesi vicini207: anomalia che ha trovato terreno di coltura nella instabilità e nella preca- rietà della nostra economia.
Giova, a questo punto, analizzare quali sono state le principali novità in materia di contratto a tempo determinato.
Anche questa volta, come già nella normativa precedente, si ribadisce la preva- lenza del contratto a tempo indeterminato, definito “contratto dominante”, come forma di occupazione stabile per eccellenza208.
202 C. DELL’ARRINGA, La riforma del lavoro: aspetti economici, in X. XXXXXXX-X. XXXXXXXXXX, (a cura di) La nuova riforma del lavoro, Xxxxxxx Editore,p. 42 ss.
X.XXXXXXXXX, La via italiana alla flexicurity: la riforma degli ammortizzatori sociali nel Jobs Act, Rivista trimestrale n. 3/2015 in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx .
204 X. XXXXXX, La riforma dei licenziamenti.
205 X. XXXXXXX., op. cit.
206 X. XXXX, Flessibilità e tutele nella riforma del lavoro… cit., p. 17.
207 X. XXXXXXX, Dalla flexicurity alle scelte riformatrici del Jobs Act, Lavoro@Confronto-n.11- Settembre/Ottobre 2015 in xxxx://xxx.xxxxxx-xxxxxxxxx.xx. .
208 X. XXXXX XXXXXX, X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 73. Si veda, inoltre, la nuova formulazione del comma 1 dell’art 1 D.lgs. 2001: “il contratto di lavoro subordinato è stipulato di regola a tempo indeterminato”.
Si cerca, inoltre, di contrastare l’uso improprio della flessibilità introdotto dalle diverse tipologie di contratti, evitando, tra l’altro, la reiterazione di contratti a ter- mine. Inoltre una particolare attenzione viene data alla maggiore inclusione delle donne nel mondo del lavoro.
Nel caso di primo rapporto di lavoro a tempo determinato, di durata inferiore a
12 mesi, non è più necessario specificare la motivazione: ciò a prescindere dall’ambito in cui si svolge la mansione lavorativa, vale a dire sia che si stipuli un contratto con un datore di lavoro sia che lo si faccia con un utilizzatore e, lo stesso, tanto nel caso di contratto a tempo determinato, quanto in quello di prima missione nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato209.
Tuttavia, il contratto stipulato senza causali non può essere prorogato, né conver- tito in contratto a tempo indeterminato; è, ciò non di meno, consentita la protraibi- lità di fatto del rapporto, potendo lo stesso giungere in concreto a 13 mesi e 20 giorni210.
La legge 92/2012 interviene anche sulla forma del contratto211, stabilendo che “l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indiret- tamente, da atto scritto” .
Il contratto a tempo determinato può avere una durata massima di trentasei mesi, non prorogabili. Nel computo dei tre anni, oltre i quali non è più possibile assumere con contratto a tempo determinato, rientrano, in base al novum legislativo, anche i periodi di attività prestata dal lavoratore attraverso la c.d. somministrazione.
La riforma Xxxxxxx interviene anche sui periodi temporali di prosecuzione di fatto dell’attività lavorativa, il cui decorso è sanzionato con la conversione in contratto tempo indeterminato.
209 Comma 1 bis art. 1 D.lgs. 2001 introdotto dall’art 1 c 9 lettera b) legge 2012.
000 X. XXXXXXXX, Xx riforma del contratto a termine nella legge 28 giugno 2012 n. 92, in WP C.S.D.L.E. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”. IT- 2012, n. 153, p. 17.
211 Sostituendo il comma 2 dell’art. 1 D.lgs. del 2001, il cui testo risulta modificato come segue: “l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1, fatto salvo quanto previsto dal comma 1bis relativamente alla non operatività del requisito”.
Il D.lgs. n. 368/2001 stabiliva che, qualora il rapporto di lavoro fosse continuato oltre il ventesimo giorno (per i contratti di durata inferiore a sei mesi) oppure oltre il trentesimo giorno (negli altri casi), il contratto si sarebbe considerato a tempo indeterminato a partire dalla scadenza dei suddetti termini. Con la Riforma Fornero il termine del ventesimo giorno diventa «oltre il trentesimo giorno», mentre la sca- denza del trentesimo giorno viene portata al «cinquantesimo giorno».
Viene, poi, aggiunto che il datore di lavoro ha l'onere di comunicare al Centro per l'impiego territorialmente competente, entro la scadenza del termine inizialmente fissato, che il rapporto continuerà oltre tale termine, indicando altresì la durata della prosecuzione. Si tratta di un aggravio burocratico212, peraltro, privo di san- zione, il quale è stato considerato, in dottrina, “incoerente rispetto alla fisiologica occasionalità della prosecuzione di fatto del rapporto” e che “pare sottendere una finalità di controllo rimasta tuttavia inespressa”213.
Rilevanti novità si hanno anche in relazione alla disciplina della riassunzione.
Il D.lgs. n. 368/2001 prevedeva, all’art. 5 comma 3, che qualora il lavoratore fosse stato riassunto a tempo determinato entro dieci giorni (dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi), ovvero venti giorni (dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi), il secondo contratto si sarebbe consi- derato a tempo indeterminato. La legge Fornero prolunga i dieci giorni a «sessanta giorni» e i venti giorni a «novanta giorni», aderendo, così, alla giurisprudenza co- munitaria, la quale aveva stigmatizzato le disposizioni di quei paesi che prevedono ridotti intervalli di tempo tra un contratto e l’altro214.
Si deve, tuttavia, precisare che i contratti collettivi sono stati legittimati dalla legge a ridurre questi periodi: il che potrebbe, in concreto, vanificare l’obiettivo della
212 X.XX XXXXXX, Riforma del lavoro: come cambiano il contratto a termine e il contratto a chiamata, 2012, in Rivista giuridica “Filodiritto”, in xxx.xxxxxxxxxxx.xxx ; X.XXXXXXXX, op. cit.
213 X. XXXX, Il contratto a tempo determinato dopo la legge 92/2012, in DRI, 2012, p. 961.
214 X. XXXXXX, La riforma del lavoro a tempo determinato in X. XXXXXXXXX (a cura di), Riforma del lavoro, Xxxxxxx, Milano, 2012, p. 63.
riforma di allungare i predetti periodi e, per tale via, assicurare maggior tutela ai lavoratori a termine215.
2.3.2 Un giudizio complessivo sulla Legge Fornero
Analizzate le principali novità della c.d. Legge Fornero, non resta che occuparsi del profilo di maggior interesse - il nuovo regime della causale - al fine di com- prendere le critiche mosse in dottrina al novum legislativo.
In dottrina si è osservato216 come la normativa previgente (D.lgs. del 2001) preve- desse l’obbligo di causale (ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo), a pena di inefficacia del termine e salvo il pagamento dell’indennizzo. Gli stessi autori hanno evidenziato che, con la modifica legislativa introdotta dalla legge n. 92/2012, diveniva possibile stipulare un contratto a tempo determinato privo di causale, in presenza di due condizioni: che il contratto stipulato fosse il primo e che lo stesso non avesse una durata superiore ad un anno.
Dunque, secondo la dottrina, due sono stati gli scopi della riforma del 2012: la stessa, se da un lato ha cercato di garantire una maggiore flessibilità, dall’altro ha introdotto elementi di segno contrario, tesi essenzialmente a disincentivare l’uso del contratto a termine in favore del contratto a tempo indeterminato. In particolare il lavoro a tempo determinato viene disincentivato mediante la previsione di un contributo previdenziale aggiuntivo pari all’1,4%217: il fatto che con questo con- tributo aggiuntivo il legislatore abbia voluto “disincentivare l’utilizzo del contratto a termine, risulta evidente dalla previsione del rimborso, limitato ad un periodo di
215 X. XXXXX XXXXXX, X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 83: rispettivamente a venti e trenta giorni nei casi i cui l’assunzione a tempo determinato avvenga nel quadro dell’avvio di una nuova attività o della produzione di un prodotto innovativo, della prosecuzione di un importante progetto di ricerca, del rinnovo di un’importante commessa. Lo stesso Ministero del Lavoro può individuare le condizioni in cui si possono applicare le riduzioni previste.
216 X. XXXXX, X. XXXXX, op. cit.
217 Escluse le ipotesi di contratti stipulati per ragioni sostitutive e per attività stagionali (art. 2 commi 28 e 29).
6 mesi, di tale maggiore costo nell’ipotesi in cui il lavoratore a termine fosse as- sunto con contratto a tempo indeterminato (art. 2 comma 30)”218.
In dottrina è stato, altresì, precisato che «l’introduzione della “a-causalità” del contratto a termine è in linea con quanto già affermato dalla Corte di Giustizia europea secondo la quale l’Accordo quadro siglato dalle Parti Sociali europee non aveva l’obiettivo di contrastare i contratti a termine in quanto tali, bensì la loro reiterazione»219.
Ciò che preme, ulteriormente, evidenziare, ai fini dell’analisi dei successivi svi- luppi normativi, è che “la crepa aperta dalla Fornero nel sistema della necessaria causalità del rapporto a tempo determinato renderà possibile di lì a poco il passag- gio al sistema generalizzato del rapporto a termine a-causale”.
La possibilità di stipulare contratti a termine a-causali non è nuova nel nostro ordinamento, in quanto già l’art. 2 del D. Lgs. 368/2001 la prevedeva da tempo per le aziende dei servizi aeroportuali. Nella legge n. 92 tale possibilità è generalizzata a tutti i settori, ma limitata a un primo contratto a termine a-causale di un anno. Questo per impedire la possibilità di abusi secondo le indicazioni europee.
Giova a questo punto illustrare quelli che sono i profili positivi della Riforma, per come sono stati evidenziati da parte della dottrina. Si deve premettere che il contratto a termine, privo della motivazione, può essere utilizzato dallo stesso da- tore di lavoro una volta sola e non più ripetuto; d’altra parte il suo utilizzo è sempre possibile una “prima volta”, anche se il lavoratore ha avuto precedenti contratti220. Ne deriva che «la possibilità di un contratto a termine “libero”, di una durata an-
218 X. XXXXX, X. XXXXX, op. cit., p.18.
219 X. XXXXX, La riforma Fornero-Xxxxx e il nuovo contratto a tempo determinato, in Nel xxxxxx.xx del 28/6/2012. Ha ritenuto che «l’innalzamento dei termini da rispettare nell’intervallo tra un contratto e il successivo, risponde efficacemente all’obiettivo di limitare o di scoraggiare fortemente la reiterazione dei contratti a tempo secondo l’ottica espressa dalla Corte di Giustizia europea». L’autore precisa, tuttavia, che
«la Corte con la sentenza del 23 aprile 2009 ha temperato il principio della “a-causalità” stabilendo che le “ragioni obiettive” che consentono la reiterazione non possono che riferirsi a esigenze “provvisorie” del datore di lavoro e non a quelle “permanenti e durevoli”».
220 X. XXXXX, op. cit.
nuale, prorogabile di due mesi, dà alle imprese un margine significativo di flessi- bilità nell’assunzione di nuovi lavoratori, specie al primo impiego, giacché le stesse possono utilizzare il contratto a-causale come se fosse un periodo di prova più lungo di quelli attualmente possibili»221. Una simile possibilità potrebbe, indi- rettamente, ridurre il ricorso ad altri contratti a termine successivi al primo, che comunque restano possibili fino a un massimo di 36 mesi.
La novità normativa ha avuto, inoltre, come obiettivo e merito quello di eliminare il contenzioso, divenuto di difficile gestione, in materia di giustificazioni necessa- rie a legittimare l’apposizione del termine al contratto di lavoro222.
Nonostante tali rilievi positivi, non è mancato in dottrina chi ha espresso forti riserve. Si è osservato come, sebbene l’intento del legislatore fosse quello di ren- dere quello a tempo indeterminato il contratto «dominante», nei fatti i risultati della riforma sono stati ben altri: il novum legislativo si è tradotto “in un forte incentivo, per le imprese, all’utilizzo, in sede di prima assunzione”, del contratto a termine liberalizzato, “con ulteriore intensificazione delle dinamiche di turn-over e, dun- que, di precarizzazione della forza-lavoro coinvolta”. Rileva, tale dottrina, che un simile assetto regolativo, oltre che un problema di coerenza con le finalità generali della riforma, finisce per “sollevare, quantomeno in astratto, anche una questione di compatibilità con i vincoli derivanti dalla direttiva 1999/70/CE”223.
Infine la riforma è stata criticata in relazione ai suoi risultati pratici, in termini di dati occupazionali224. Ciò si è tradotto, secondo l’opinione in commento, in un notevole arretramento delle politiche del lavoro italiane.
221 X. XXXX, Flessibilità e tutele…, cit., p. 34.
222 L.A. COSATTINI, op. cit., p. 30.
223 X. XXXXXXXX, Tipologie di lavoro subordinato in Libro dell’anno del Diritto 2013, par 2.1.
224 X. XXXXXXXX, op. cit., p. 133, sottolinea come la riforma che aveva nelle intenzioni l’obiettivo primario della crescita, vide però un aumento della disoccupazione di due punti in due anni, mentre l’occupazione perse un punto percentuale. In particolare va evidenziato che la disoccupazione giovanile addirittura salì dal 35,3% (2012) al 42,7% (2014) e il problema della inattività dei giovani che non studiavano, non avevano e non cercavano lavoro divenne sempre più pressante. Si ebbe in altre parole, secondo X. XXXXXXXX «il cambio di prospettiva dalla tutela delle persone nella flessibilità alla difesa dei lavoratori dalla flessibilità». Contra X. XXXXXX, La formazione dei lavoratori in somministrazione, in Dir. Relaz. Ind. Fasc. 3, 2012, De Jure, p. 719, sottolinea che in Italia le statistiche relative all’occupazione
2.4 IL C.D. JOBS ACT (D. LGS. N. 81/2015)
2.4.1 Considerazioni generali
Prima di analizzare la normativa introdotta dal c.d. Jobs Act, giova riprendere, sinteticamente, i principali schemi contrattuali di impiego flessibile225, introdotti e/o modificati dalla Legge Biagi.
Tra le numerose tipologie di contratti di lavoro, oltre al lavoro a tempo determinato liberalizzato dal D.lgs. n.368 del 2001, ricordiamo:
- il lavoro part-time che prevede un tempo di lavoro inferiore a quello pieno, modificato dall’art. 46 legge Biagi;
- il lavoro interinale, già considerato dal “pacchetto Treu” del 1997, la cui rego- lamentazione è stata poi modificata dalla legge Biagi226;
- l’apprendistato, introdotto dall’art. 48 del D. Lgs. 276/2003, che consente al dipendente di ottenere dal datore di lavoro una formazione specializzata tale da garantirgli una successiva qualifica professionale;
- il lavoro a progetto, una forma di contratto di lavoro autonomo introdotta nel nostro ordinamento con la legge Biagi nel 2003, in cui nel contratto viene spe- cificato il progetto aziendale per cui viene assunto il lavoratore;
e alla disoccupazione hanno tuttavia scarso significato, poiché nel nostro paese convivono due mercati del lavoro: «Da un lato, quello delle regioni settentrionali, con performance non lontane da quelle dei paesi europei più sviluppati (nel Nord il tasso di occupazione è del 65% e quello di disoccupazione è pari al 5,2%), dove anche la disoccupazione giovanile si attesta su livelli più bassi e si riduce progressivamente dalla classe di età 20-24 in poi; dall'altro, quello meridionale, dove il tasso di disoccupazione giovanile è altissimo (per i giovani sotto i 24 anni è pari al 30,7%, a fronte del 12,2% al Nord) e per le giovani donne siamo a livelli di esclusione – il 35,5% delle giovani donne meridionali sono disoccupate, a fronte del 14,6% delle coetanee del Nord».
225 X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXX, I nuovi contratti di lavoro, Aggiornato al decreto competitività, Seac, Trento.
226 Il lavoro interinale è stato trasformato dalla legge Biagi in “lavoro in somministrazione”.
- il lavoro intermittente o a chiamata, introdotto anch’esso dalla Legge Biagi, con il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro per lo svolgimento di una prestazione su chiamata.
Su tale panorama legislativo, sono intervenuti innumerevoli interventi norma- tivi227, che hanno riguardato soprattutto la disciplina del rapporto a tempo deter- minato che perciò risultava profondamente modificata. In particolare la stessa co- stituiva il frutto di un’opera di stratificazione228 e di una continua sovrapposizione di norme interpolative: il che rendeva problematico avere un quadro certo e affi- dabile della materia229. Di conseguenza era estremamente difficile dare una cor- retta interpretazione delle disposizioni vigenti230, soprattutto per quanto concer- neva la normativa applicabile alla data di conclusione del rapporto. Ne derivava che l’instaurazione di rapporti a tempo determinato risultava, nonostante la sem- plificazione degli obblighi di giustificazione per l’apposizione del termine, causa di innumerevoli contenziosi231.
Per tali motivi il governo in carica232 si poneva come obiettivo prioritario quello di riordinare la materia in modo da renderla organica ed unitaria. A tal fine veni- vano, perciò, emanati una serie di decreti legislativi, i quali oggi vengono denomi- nati, complessivamente, con la locuzione “Jobs Act”233.
Veniva data in quest’opera di sistemazione priorità assoluta alla riscrittura di una nuova disciplina del contratto a tempo determinato234. Ed infatti già l’art.1 della
227 X. XXXX., In tema di Jobs Act…, cit.
228 X.XXXXXXXX, X. XXXXXXX, Contratto a tutele crescenti e Xxxxx, Decreti legislativi 4 marzo 2015, n.22 e n.23, X. Xxxxxxxxxxxx Editore, Torino, 2015.
229 L.A. COSATTINI, op. cit, p. 35.
230 X. XXXXXXX, op. cit.
000 X. XXXXX, X. XXXXXX, X.XXXXXXXXX, op. cit.
232 Il Governo c.d. Xxxxx.
233 X.XXXXXXXXXX, Il contratto a tutele crescenti: spazi di applicabilità in caso di apprendistato e somministrazione, in I decreti attuativi del Jobs Act: prima lettura e interpretazioni, Adapt labour studies, e-Book n. 37/ 2015, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx. .
234 Ed infatti già l’art.1 della legge delega 183/2014, al comma 7 dichiarava, allo scopo di “rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo e di rendere più efficiente l’attività ispettiva”, di voler conferire al governo la delega per l’emanazione di Decreti Legislativi volti a “individuare e analizzare tutte le forme
legge delega 183/2014, al comma 7, allo scopo di aumentare la flessibilità in in- gresso nel mercato del lavoro, enuncia lo scopo di “promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti”.
In base alla delega suddetta235, veniva emanato il D.lgs. n.81 del 2015236, il quale ha costituito il tessuto normativo sul quale è poi intervenuto il Decreto Dignità. Giova a questo punto analizzare le innovazioni apportate dal decreto legislativo n. 81/2015237 alla disciplina del lavoro a tempo determinato e a quella della sommi nistrazione di lavoro a tempo determinato.
contrattuali esistenti, ai fini di poterne valutare l’effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale, in funzione di interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali” e “promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti”.
235 Al fine di dare attuazione alla legge delega, oltre al d.lgs. n. 81/2015 che rileva ai fini che qui interessano, sono stati adottati otto decreti legislativi, oltre a un decreto correttivo, che intervengono su numerosi ambiti del settore del lavoro:
1.delega in materia di ammortizzatori sociali, per tutelare tutti i lavoratori attraverso interventi nel xxxxx xxx xxxxxxxx xx xxxxxx (Xxxxx Integrazione) e in caso di disoccupazione involontaria l’ASpI, già introdotta dalla c.d. riforma Fornero;
2.delega in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive, con lo scopo di rafforzare i servizi per l'im- piego mettendo in comunicazione servizi pubblici e privati e di monitorare le politiche attive per il lavoro; 3.delega in materia di semplificazione delle procedure e degli adempimenti. In particolare si mira alla di- minuzione degli atti amministrativi relativi al contratto di lavoro, attraverso la semplificazione e l’accorpa- mento come l'unificazione delle comunicazioni alle P.A. per gli stessi eventi, l'obbligo di trasmissione di dati tra le diverse amministrazioni, l'abolizione della tenuta di documenti cartacei e la revisione degli adem- pimenti in materia di libretto formativo del cittadino;
4.delega in materia di riordino delle forme contrattuali con l’obiettivo di «individuare e analizzare tutte le forme contrattuali esistenti, ai fini di poterne valutare l'effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale, in funzione di interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali» e disciplina delle mansioni con la possibilità di "de- mansionamenti" e controllo a distanza dei lavoratori;
5.delega dell'attività ispettiva;
6.delega in materia di contratti a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio. Si punta inoltre all’in- troduzione, anche in via sperimentale, del compenso orario minimo;
7.delega in materia di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro, avente lo scopo di garantire adeguato sostegno alla genitorialità e favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori.
236 “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’art. 1 comma7 della legge 10 dicembre 2014 n. 183”
237 D.lgs. n. 81/2015, Disposizioni in materia di rapporto di lavoro in GU del 24/06/2015.
A tal fine è necessario premettere che con l’art. 55 è stato abrogato l’intero corpus normativo contenuto nel D.lgs. n. 368/2001, il quale, come è noto, regolamentava proprio il contratto a termine238, sostituendolo con gli articoli dal 19 al 40 del Capo III.
L’art. 19 conferma, in primis, la scelta a favore del contratto di lavoro a tempo determinato a-causale239.
Nonostante l’espressa eliminazione dell’obbligo della causale per l’apposizione del termine, va sottolineato che, talvolta, specificare le relative motivazioni può risultare proficuo per il datore di lavoro, giacché la legge prevede che l’apposi- zione della ragione sostitutiva esonera dal versamento dell’aliquota aggiuntiva Inps dell’1,41% e dall’applicazione di alcuni dei limiti quantitativi previsti dall’art. 23 dello stesso decreto.
L’art.19 stabilisce, inoltre, che la durata massima di tale contratto è di trentasei mesi, anche quando si sono succeduti più contratti tra lo stesso datore e lo stesso lavoratore. Ai fini del computo dei suddetti trentasei mesi valgono anche i periodi di eventuale somministrazione240.
Lo stesso vale per i contratti di somministrazione a tempo determinato.
Unico presidio a tutela del lavoratore241 è dato dalla previsione che, “qualora il limite dei trentasei mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, quest’ultimo si trasforma in contratto a tempo indetermi- nato dalla data di tale superamento”242.
238 P. RAUSEI, Tutto Jobs Act, Ipsoa, dicembre 2016, p. 223.
239 Articolo 19: “al contratto di lavoro subordinato può essere apposto un termine di durata non superiore a 36 mesi”, “Nessun obbligo di motivazione per giustificare l’apposizione del termine, quindi, la scelta a favore del contratto di lavoro a tempo determinato acausale trova ad opera del Jobs Act la sua conferma e consacrazione”, in L.A. COSATTINI, op. cit., p. 37.
240 X. XXXXXXX, Jobs Act, atto II: la legge delega sul mercato del lavoro, in X. XXXXXXX – X.XXXXXXXXXX (a cura di), I decreti attuativi del Jobs Act: prima lettura e interpretazioni, Adapt labour studies, e-Book n. 37/2015, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx. .
000 X. XXXX, Xx tema di Jobs Act…, cit.
242 Art. 19 D.lgs. 81/2015.
Viene ribadito il principio per cui la durata massima deve essere calcolata tenendo conto, non solo dei periodi di effettiva attività, ma anche dei periodi di interruzione fra un rapporto e l’altro. Deroghe a questa norma sono consentite nei casi stabiliti dalla contrattazione collettiva nazionale, territoriale o aziendale, ovvero per le at- tività stagionali, già indicate come tali nel D.lgs. n. 368/2001. Si deve sottolineare, quindi, come, in continuità con il previgente quadro normativo, i contratti a ter- mine conclusi per lo svolgimento di attività stagionali costituiscano un’eccezione al limite di durata massima stabilito ex lege o, in alternativa, dalla contrattazione collettiva243.
Il comma 3 dello stesso articolo considera, poi, l’eventualità di far seguire ai rapporti a tempo determinato che abbiano raggiunto il limite massimo di trentasei mesi fra stessi soggetti e per le stesse mansioni, un ulteriore contratto a tempo determinato della durata massima di dodici mesi. Tale ulteriore contratto andrà, però, stipulato presso la Direzione territoriale del lavoro competente per territorio (sostituita, in seguito, dall’Ispettorato territoriale del lavoro). In caso di mancata stipula presso l’ente citato o in caso di superamento del limite di durata, la sanzione prevista consiste nella trasformazione del rapporto in contratto a tempo indetermi- nato dalla data della stipulazione244.
Il comma 4 dispone, confermando sul punto il panorama normativo e giurispru- denziale previgente245, che l’apposizione del termine del contratto deve risultare direttamente o indirettamente da atto scritto a pena di inefficacia.
243 X.XXXXXXX, X. RAUSEI, Il Jobs Act e quel piccolo, pericoloso “cadeau” ai mercanti di braccia, 2015, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx .
244 X. XXXXXXXX, Il Jobs Act e la definitiva liberalizzazione della somministrazione di lavoro, in “Guida al Jobs Act”, in” i Quaderni di wikilabour”, 2015, in xxx.xxxxxxxxxx.xx. .
245 Il Jobs act conferma la disciplina previgente sotto molteplici aspetti. Si consideri l’obbligo per il datore di consegnare al lavoratore una copia del contratto entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della prestazione; tale obbligo decade solo nel caso in cui la prestazione non superi i 12 giorni. Viene ripreso e ribadito al comma 5 dell’art .19, l’onere di informazione a carico del datore ed a favore dei lavoratori e delle rappresentanze sindacali in merito ai posti vacanti. L’Art. 20 ribadisce quanto già indicato dal D. lgs. n. 368/2001 che l'apposizione di un termine alla durata di un contratto di lavoro subordinato non è ammessa:
a) per la sostituzione di lavoratori in sciopero;
b) presso aziende nelle quali si sono avuti, entro i sei mesi precedenti, licenziamenti collettivi che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce
Per quanto attiene al rapporto, in termini di utilizzo, tra contratto di lavoro a tempo indeterminato e quello a termine, il legislatore fissa una rigida proporzione: non possono essere assunti lavoratori a tempo determinato in misura superiore al 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1° gennaio dell'anno di assunzione (art.23). Nel caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, il limite percentuale va calcolato in base al numero dei lavoratori a tempo indeter- minato al momento dell’assunzione. Questo divieto non opera nei confronti dei datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti: rispetto a questi ultimi è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato246.
Il comma 4 dello stesso articolo prevede una sanzione di tipo amministrativo in caso tali limiti non vengano osservati.
Sempre in relazione al rapporto, in termini di utilizzo, delle due tipologie con- trattuali, l’art. 25 ribadisce, ancora una volta, lo storico principio di non discrimi- nazione247, in base al quale al lavoratore a tempo determinato spetta il trattamento
il contratto di lavoro a tempo determinato;
c) presso unità produttive nelle quali vi sia o una sospensione del lavoro o una riduzione dell'orario in regime di cassa integrazione, riguardanti lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato;
d) in aziende che non hanno effettuato la valutazione dei rischi prevista dalla normativa volta alla tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Se sussiste una violazione di tali divieti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato. L’art 21 fornisce, inoltre, una compiuta disciplina anche in materia di proroghe e rinnovi, in un’ottica di conti- nuità rispetto a quanto previsto dall’art. 5 del D. Lgs. 368/2001. Si stabilisce che «il termine del contratto a tempo determinato può essere prorogato, con il consenso del lavoratore, solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a trentasei mesi, e, comunque, per un massimo di cinque volte nell'arco di trentasei mesi a prescindere dal numero dei contratti. Qualora il numero delle proroghe sia superiore, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della sesta proroga».
Se poi, stabilisce l’art.22, il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno succes- sivo e al 40 % per ciascun giorno ulteriore. Se infine il rapporto di lavoro continua oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a sei mesi, ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini. L’art 24, rela- tivo al diritto di precedenza a favore dei lavoratori già assunti dallo stesso datore con contratto a termine, ribadisce la normativa vigente, aggiungendo che per un usufruire di tale diritto il lavoratore deve manife- stare la sua volontà per iscritto.
246 Sono, inoltre, esentati dal limite quantitativo, i contratti a tempo determinato conclusi da imprese che aprono nuove attività, start-up innovative, aziende con attività di tipo stagionale, aziende che producono specifici spettacoli o programmi radiofonici o televisivi, o che sostituiscono lavoratori assenti, o che assu- mono lavoratori con più di 50 anni.
247 X. XXXXXXXX, op. cit.
economico e normativo in atto nell'impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili. Una sanzione amministrativa è prevista in caso di inos- servanza della parità di trattamento, che aumenta nel caso in cui riguardi più di 5 dipendenti.
Per quanto attiene le tutele giurisdizionali, rimane fermo, nei suoi fondamenti, l’impianto previgente delineato dal c.d. Collegato Lavoro248.
L’art. 29 esclude dall’applicazione del presente capo: i lavoratori inseriti nelle liste di mobilità; i contratti di lavoro a tempo determinato con i dirigenti, che non possono avere una durata superiore a 5 anni; i rapporti per l’esecuzione di speciali servizi di durata non superiore a 3 giorni, nel settore del turismo e dei pubblici esercizi, fermo restando l’obbligo di comunicare l’istaurazione del rapporto di la- voro entro il giorno antecedente; i contratti a tempo determinato stipulati con il personale docente e ATA per il conferimento delle supplenze e con il personale sanitario, anche dirigente, del Servizio sanitario nazionale.
248 L’Art. 28 ricorda che l'impugnazione del contratto a tempo determinato deve avvenire entro centoventi giorni dalla cessazione del singolo contratto. È stato modificato il comma 1 che prevede che “grava sul dipendente l’onere di procedere all’impugnazione del contratto a termine con qualsiasi atto scritto anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organiz- zazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso, entro 120 giorni dalla cessazione di ogni singolo contratto di lavoro a termine, e che per evitare la decadenza il lavoratore ha poi l’onere di procedere all’instaurazione del giudizio avanti alla sezione lavoro del tribunale competente entro i centottanta giorni successivi all’impugnazione in via stragiudiziale”. Il comma 2 di quest’articolo, per quanto riguarda le tutele previste per il dipendente in caso di conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeter- minato, sostiene che “il giudice condanna il datore al risarcimento del danno a favore del lavoratore stabi- lendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 men- silità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR. La predetta indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro”. Si tratta quindi di un’indennità onnicomprensiva, e il comma 3 prevede “che l’importo massimo è ridotto alla metà e quindi a 6 mesi di retribuzione, ove la contrattazione collettiva imponga al datore l’assunzione anche a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’am- bito di specifiche graduatorie”.
Gli articoli dal 30249 al 40 si occupano del contratto di somministrazione di la- voro «tracciandone i limiti e dettandone la disciplina»250.
Per il ricorso al contratto di somministrazione a tempo determinato la legge non richiede causali: eventuali limitazioni possono derivare, tuttavia, dalla contratta- zione collettiva251. Dunque, se i suddetti limiti non sono previsti, il ricorso a tale forma contrattuale appare piuttosto agevole, essendo priva di significative condi- zioni e oneri252.
Nonostante tali considerazione, si deve precisare come il legislatore si occupi di circoscrivere, in una certa misura, il ricorso alla suddetta tipologia contrattuale: viene disposto che il numero dei lavoratori somministrati a tempo indeterminato non può eccedere il 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l'utilizzatore al 1° gennaio dell'anno di stipula del predetto contratto.
Possono essere somministrati a tempo indeterminato esclusivamente i lavoratori assunti dal somministratore a tempo indeterminato; diversamente la somministra- zione di lavoro a tempo determinato è utilizzata nei limiti quantitativi individuati dai contratti collettivi applicati dall'utilizzatore253.
Inoltre i lavoratori somministrati sono informati dall'utilizzatore circa i posti va- canti presso quest'ultimo, anche mediante un avviso generale affisso all'interno dei locali dell'utilizzatore254.
249 L’art. 30 definisce il contratto di somministrazione di lavoro, a tempo indeterminato o determinato. È il contratto mediante il quale «un'agenzia di somministrazione autorizzata mette a disposizione di un utilizzatore, che può essere qualunque soggetto privato ma in alcuni casi anche la PA, uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell'interesse e sotto la direzione e il controllo dell'utilizzatore».
250 X. XXXXXXX, op. cit., p. 38.
251 X. XXXXXXX, X. RAUSEI, op. cit.
252 X. XXXXXXX, op. cit., p. 39.
253 X. XXXXXXX, Il D.lgs. 81/2015: la somministrazione del lavoro in Xxxxxxx.xx del 3/06/2016: «Se quindi il contratto collettivo non prevede percentuali di contingentamento, non vi sarà alcun limite quantitativo alla somministrazione di lavoro».
254 X. XXXXXXXXXX, Lavoro a tempo determinato e somministrazione, cit.
Infine si deve sottolineare come rimane fermo l’impianto normativo pregresso anche in relazione ai divieti di somministrazione255 e al requisito formale256, non- ché all’esercizio dei poteri datoriali (direttivo e disciplinare)257.
255 Art.32 Divieti prevede che il contratto di somministrazione di lavoro è vietato:
a) per la sostituzione di lavoratori in sciopero;
b) presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione di lavoro, salvo che il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti o abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi;
c) presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell'orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si rife- risce il contratto di somministrazione di lavoro;
d) da parte di datori di lavoro che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi secondo la normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
256 Art. 33 (“forma del contratto”) concerne la forma del contratto di somministrazione che deve essere stipulato in forma scritta e contenere i seguenti elementi:
a) gli estremi dell'autorizzazione rilasciata al somministratore;
b) il numero dei lavoratori da somministrare;
c) l'indicazione di eventuali rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore e le misure di prevenzione adottate;
d) la data di inizio e la durata prevista della somministrazione di lavoro;
e) le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e il loro inquadramento;
f) il luogo, l'orario di lavoro e il trattamento economico e normativo dei lavoratori.
Con il contratto di somministrazione di lavoro l'utilizzatore assume l'obbligo di comunicare al sommini- stratore il trattamento economico e normativo applicabile ai lavoratori suoi dipendenti che svolgono le medesime mansioni dei lavoratori da somministrare e di rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questo effettivamente sostenuti in favore dei lavoratori. Le suddette informazioni, nonché la data di inizio e la durata prevedibile della missione, devono essere comunicate per iscritto al lavoratore da parte del somministratore all'atto della stipulazione del contratto di lavoro ovvero all'atto dell'invio in missione presso l'utilizzatore.
257 L’art. 35 (“tutela del lavoratore, esercizio del potere disciplinare”) dispone che, per tutta la durata della missione presso l'utilizzatore, i lavoratori del somministratore hanno diritto, a parità di mansioni svolte, a condizioni economiche e normative complessivamente non inferiori a quelle dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore. L'utilizzatore è obbligato in solido con il somministratore a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e a versare i relativi contributi previdenziali. I contratti collettivi applicati dall'utiliz- zatore stabiliscono modalità e criteri per la determinazione e corresponsione delle erogazioni economiche correlate ai risultati raggiunti e all’andamento economico dell'impresa. I lavoratori somministrati hanno altresì diritto a fruire dei servizi sociali e assistenziali di cui godono i dipendenti dell'utilizzatore addetti alla stessa unità produttiva. Il somministratore, ma ove concordato anche l’utilizzatore, deve obbligatoria- mente informare i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attività produttive e li adde- stra all'uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento dell'attività lavorativa per la quale essi vengono assunti. L'utilizzatore osserva nei confronti dei lavoratori somministrati gli obblighi di preven- zione e protezione cui è tenuto, per legge e contratto collettivo, nei confronti dei propri dipendenti. Nel caso in cui adibisca il lavoratore a mansioni di livello superiore o inferiore a quello dedotto in contratto, l'utilizzatore deve darne immediata comunicazione scritta al somministratore, consegnandone copia al la- voratore medesimo. Il mancato adempimento di quest’obbligo espone l’utilizzatore al risarcimento del danno. Il potere disciplinare è riservato al somministratore, al quale l'utilizzatore deve fornire gli elementi oggetto della contestazione. L'utilizzatore risponde nei confronti dei terzi dei danni a essi arrecati dal lavo- ratore nello svolgimento delle sue mansioni. L’utilizzatore ha facoltà di assumere il lavoratore al termine della missione presso la sua azienda.
Il legislatore, distanziandosi rispetto al passato, detta una disciplina espressa per quanto attiene ai rapporti di lavoro.
L’art. 34 stabilisce che, in caso di assunzione a tempo indeterminato, il rapporto di lavoro tra somministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina prevista per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Nel contratto di lavoro è determinata l’indennità mensile di disponibilità, corrispo- sta dal somministratore al lavoratore per i periodi nei quali egli rimane in attesa di essere inviato in missione, nella misura prevista dal contratto collettivo applicabile al somministratore.
In caso di assunzione a tempo determinato, invece, il rapporto di lavoro tra som- ministratore e lavoratore è soggetto alla disciplina prevista (capo III) per il rapporto a termine, in quanto compatibile.
Il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere proro- gato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore.
2.4.2 Un giudizio complessivo sul Jobs Act
Analizzato l’impianto normativo del D.lgs. n. 81/2015, non resta che dare atto di quelli che sono stati i giudizi, positivi e negativi, espressi dalla dottrina.
A tal fine, è bene ricordare che la riforma si poneva il prioritario obiettivo258 di incentivare il ricorso al contratto a tempo indeterminato, rendendone più conve- niente l'utilizzo «rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indi- retti»259.
I diritti sindacali e garanzie collettive sono regolati dall’art.36 e assicurano ai lavoratori delle agenzie di somministrazione l’esercizio dei diritti sindacali previsti dalla legge. Per esercitarli il lavoratore sommini- strato potrà partecipare alle assemblee del personale dipendente delle imprese utilizzatrici.
258 Obiettivo che si evince, facilmente, dalla lettura del decreto e dagli stessi criteri della delega contenuta nella legge n. 183/2014.
259 D. Lgs 81/2015 Art. 1, comma 7, lettera b).
Tuttavia, è stato osservato260 che, sebbene il decreto contenga una serie di norme volte a favorire il ricorso al contratto a tempo indeterminato rispetto al contratto a termine261, rimangono normativamente predominanti nel sistema del decreto, in termini di agile utilizzo, quelli che sono stati definiti “gli istituti più utilizzati dal precariato”262. Ciò è legato al fatto che gli incentivi normativi e finanziari destinati a pesare a favore dell’uso del contratto a tempo indeterminato sono esterni al D.lgs.
n. 81/2015263. Su questo argomento si ritornerà nel prosieguo.
La dottrina ha osservato che alcune modifiche, inserite nel c.d. Jobs Act, hanno mutato dalle fondamenta la fisionomia del contratto di lavoro a tempo determinato. Il riferimento è, in particolare, alla circostanza che l’obbligo di causale sia stato totalmente soppiantato dal semplice requisito temporale e da quello meramente quantitativo-percentuale, i quali possono non costituire, da soli e in tutte le circo- stanze, un efficace limite 264.
260 X. XXXXXXX, Commento al D. Lgs. n.81 del 15/6/2015 “Le tipologie contrattuali e lo jus variandi”, in xxxxxxxxxxxxxxx.xx
261 Come nel caso di superamento del periodo di 36 mesi per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti e del mancato rispetto della procedura e del limite di 12 mesi previsti per un ulteriore contratto a termine (si veda l’art. 19); di inosservanza dei divieti posti alla conclusione di un contratto a termine (si veda l’ art. 20); di previsione di una sesta proroga e di stipula di un contratto a termine entro 20-30 giorni dalla scadenza del precedente (si veda l’art. 21); di continuazione del contratto a termine oltre i 30-50 giorni dalla sua scadenza (si veda l’art. 22).
262 X. XXXXXXX, Commento al D.Lgs. n. 81…, cit., p. 6 “gioca in modo esplicito il blocco degli istituti più utilizzati dal precariato: l’assoggettamento alla disciplina dei rapporti di lavoro delle collaborazioni coordinate e continuative a partire dal 1 gennaio 2016, il superamento del lavoro a progetto e dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro, la stabilizzazione dei collaboratori coordinati e continuativi anche a progetto e di persone titolari di partite IVA. Ma gli incentivi normativi e finanziari destinati a pesare a favore dell’uso del contratto a tempo indeterminato sono esterni al d.lgs. n. 81/2015, quali dati da una monetizzazione al ribasso predeterminata in base all’anzianità per il licenziamento ingiustificato e, ai sensi della legge di stabilità del 2015, dall’esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori”.
263 Quali quelli costituiti da una monetizzazione al ribasso predeterminata in base all’anzianità per il licenziamento ingiustificato e, ai sensi della legge di stabilità del 2015, dall’esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori.
264 X. XXXXXXXX, Commento al D. Lgs. 15/6/2015, n. 81: le tipologie contrattuali e lo ius variandi. xxxxxxxxxxxxxxx.xx, p. 154. «Per il nostro ordinamento costituiscono, infatti, una svolta radicale l’eliminazione della necessità di legare l’assunzione a termine ad una ragione oggettiva o soggettiva qualsiasi e la sostituzione di questo requisito sostanziale con requisiti, per la singola assunzione, esclusivamente temporali (la durata del contratto non può superare i 36 mesi, ma con possibilità, all’interno del singolo contratto, di 5 proroghe) e quantitativi (il numero complessivo dei contratti a termine stipulati da ciascun datore di lavoro non può superare il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1 gennaio dell’anno di assunzione)».
Il principale timore è, da sempre, legato alla crescita della precarietà, dei ricatti occupazionali e della soggezione dei lavoratori, a cui non avrebbe fatto riscontro, secondo l’opinione in commento, un apprezzabile incremento dell’occupazione265.
Non mancavano in dottrina anche voci contrarie266.
Si sottolinea l’utilità della riforma perché rispondente ad un’emergenza occupa- zionale mai verificatasi fino ad allora: la semplificazione dei requisiti avrebbe aiu- tato a raggiungere pienamente l’obiettivo della flessibilità. Si evidenziava, infatti, che per i giovani sarebbe stato meglio un contratto a termine anche “a singhiozzo”, piuttosto che un contratto ancora più precario.
Si poteva, dunque, pensare che, passata la fase dell’emergenza che aveva attri- buito un tale spazio applicativo al contratto a tempo determinato, si sarebbe potuto ritornare verso il tradizionale favor per la stipula di contratti a tempo indetermi- nato267.
D’altronde, a favore dell’utilizzo del contratto a tempo indeterminato, era inter- venuta, nella legge di stabilità, in attuazione dell’art. 1, comma 7, lett. b, della legge delega, la rilevantissima previsione che esonerava i datori di lavoro per tre
265 X. XXXXXXXXXXX, A chi piace veramente il Jobs Act, in xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xxxxx.xx., 2015.
266 X. XXXXXXXX, Contratto a tempo determinato versus contratto a tutele crescenti: gli obiettivi e i risultati del Jobs Act tra flessibilità e incentivi economici, ritiene che il fatto che il Jobs Act abbia abolito la necessità di menzionare la causa del ricorso all’assunzione a tempo determinato, sposta il rapporto di lavoro da una dimensione qualitativa ad una quantitativa, dal momento che si vieta di assumere a termine un numero di lavoratori superiore al 20% dei dipendenti a tempo indeterminato. Non si tratta certamente di una novità: infatti l'articolo 10 del decreto legislativo n. 368/2001 già affidava ai contratti collettivi nazionali più rappresentativi l’individuazione di limiti quantitativi di utilizzazione del contratto a tempo determinato. Xxxxxxx, X. XXXXXXXX che «la novità sta semmai nel fatto che nell'articolo 23 del decreto legislativo n. 81/2015 quella percentuale non è più eventuale, ma diventa limite legale che si sostituisce all'abolita regola della causalità». Questo cambiamento di prospettiva rende più semplice l’ipotetico controllo giudiziale: infatti, se prima era molto difficile indagare sulle cause del singolo rapporto di lavoro, ora diventa più semplice esaminare dati obiettivi come il rapporto tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori assunti in modo stabile. Di conseguenza si potrebbe addirittura concludere che il limite percentuale garantirebbe che il ricorso al contratto a termine è effettivamente minoritario rispetto al numero dei contratti stabili, per cui il contratto a tempo indeterminato diventerebbe nell’azienda effettivamente prevalente così come la direttiva europea auspicava.
267 X. XXXXXXXX, op. cit.
anni dalla contribuzione previdenziale per le assunzioni a tempo indeterminato ef- fettuate dal 1 gennaio 2015. La stessa ha avuto l’effetto di far “aumentare in modo consistente le assunzioni a tempo indeterminato, prima in sostituzione di quelle precarie e poi anche in aggiunta alle stesse”268.
A questo punto è opportuno chiedersi in che modo si sia perseguito l’obiettivo di incentivare il contratto a tempo indeterminato.
I recenti interventi fanno sì che la scelta tra le diverse tipologie «si giochi aperta- mente sul piano dei costi»269: in questa logica, il legislatore del Jobs Act ha intro- dotto il contratto “ a tutele crescenti”270, la cui nomenclatura si riferisce, espressa- mente, al diverso regime di tutela contro i licenziamenti.
Esso si concretizza, per i nuovi assunti, nell’applicazione di un’indennità al posto della reintegrazione. L'obiettivo era, evidentemente, quello di rendere meno one- roso il costo del recesso, al fine di incentivare il ricorso al contratto a tempo inde- terminato: in tal modo sono venute meno le motivazioni che, tendenzialmente, in- ducono i datori di lavoro a preferire il tempo determinato271.
Accanto a tale agevolazione normativa, sono stati introdotti consistenti benefici economici in favore del contratto a tempo indeterminato, in particolare modo di carattere fiscale e contributivo272, volti a ridurre drasticamente il costo del contratto
268 X. XXXXXXXX, Commento al D.Lgs. 15/6/2015…, cit., p. 166, «Tutto questo si realizzerà se gli esoneri contributivi continueranno per incoraggiare le assunzioni a tempo indeterminato: vi è chi ritiene che comunque i datori preferiranno le assunzioni a termine, con contratti brevi la cui risoluzione non ha i costi né monetari né umani del licenziamento; altri ritengono che le imprese, alla scadenza del contratto, se ci sarà un’occasione stabile di lavoro, trasformeranno il lavoro a termine in lavoro a tempo indeterminato, per non vanificare la formazione impartita e le conoscenze acquisite. Questo è stato e sarà il normale comportamento delle aziende, ma ciò non risolve tutti i problemi, sia perché esso riguarda le professionalità medio-alte, sia perché presuppone una crescita economica che è ancora molto debole».
000 X. XXXX, Xx riforme del lavoro: una retrospettiva per analizzare il Jobs Act, p. 12-13.
270 X. XXXXXXXXXX, Il contratto a tutele crescenti…, cit.
271 Ibidem.
272 X. XXXXXXXX, op. cit., «occorre anzitutto rilevare come il beneficio normativo operi in modo diverso rispetto a quello contributivo: mentre il primo si limita ad aggiungere flessibilità ad una fattispecie che il datore di lavoro ha già ritenuto confacente alle sue esigenze, il secondo viceversa produce un immediato vantaggio economico che potrebbe porsi esso stesso come unica ragione della scelta della fattispecie». In effetti il costo del lavoro può assumere un valore determinante in settori dell’occupazione a basso valore aggiunto e ad alta intensità lavorativa: proprio quelli in cui troviamo minori livelli retributivi e maggiore flessibilità del lavoro. Gli effetti dell'incentivo economico andavano quindi in particolar modo a concentrarsi in quelle aree del mercato dove il ricorso al lavoro a termine è maggiore. «Gli sgravi
a tempo indeterminato, che diventa così più conveniente rispetto a quello a ter- mine. Il riferimento è, sotto il profilo contributivo, all'integrale esonero, per la du- rata dei 36 mesi, dal pagamento dei contributi dovuti dal datore di lavoro per le assunzioni a tempo indeterminato effettuate nel 2015, e successivamente anche nel 2016, comunque nei limiti di un importo annuale pari per ogni lavoratore a 8.060 euro, fermo restando il pagamento dei contributi INAIL.
I suddetti benefici economici hanno lo scopo di promuovere il contratto a tempo indeterminato rispetto al lavoro flessibile e, al contempo, di creare nuova occupa- zione, sebbene vi sia la consapevolezza che la stessa dipenda anche da ben diversi ed ulteriori fattori273.
Il problema, si appunta, tuttavia sulla circostanza che non si tratti di benefici strutturali, destinati ad operare a regime. Ci si chiede infatti cosa potrà accadere
contributivi inoltre potrebbero aver condizionato non soltanto la scelta iniziale del tipo contrattuale ma anche i passaggi dal contratto a tempo determinato a quello a tempo indeterminato e ciò per la semplice ragione che una circolare dell'Inps ha riconosciuto quei benefici anche alle trasformazioni dei contratti a termine. Leggendo quindi i dati sull'occupazione relativi al periodo di applicazione degli incentivi possiamo ottenere delle utili indicazioni. Taluni studiosi hanno sottolineato che gli incentivi sono stati utilizzati soprattutto per la stabilizzazione di rapporti preesistenti, altri invece hanno posto l’accento sul numero elevato degli occupati a tempo indeterminato arrivando alla conclusione che l’intera operazione era stata un successo. Trascorsi tre anni dall’introduzione degli incentivi sembra possibile analizzare i dati, sicuramente positivi dal momento che già i flussi relativi al 2015 hanno registrato un forte incremento delle assunzioni a tempo indeterminato cresciute complessivamente su base annua del 46,9%, con un notevole incremento nei mesi finali dell'anno in vista della scadenza del beneficio. Complessivamente nel 2015 si sono registrati oltre 930mila nuovi rapporti a tempo indeterminato. Nel biennio di applicazione dei benefici contributivi, dunque, sono stati attivati oltre un milione di nuovi rapporti a tempo indeterminato con una crescita dell'occupazione stabile di oltre 380 mila unità e una riduzione del tasso di disoccupazione dal 12,7% del 2014 all'11,7% del 2016. Questi dati incoraggianti vanno rapportati a quanto accaduto negli anni successivi. Infatti, da quando non hanno più beneficiato degli incentivi, le assunzioni a tempo indeterminato sono fortemente diminuite, mentre quelle a tempo determinato hanno ripreso ad aumentare a ritmi sostenuti. In particolare, nel periodo gennaio-ottobre 2017, le assunzioni a tempo indeterminato sono calate del 3,7% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, mentre quelle a tempo determinato sono aumentate del 28%.
Questi dati ci spingono a concludere che «da un lato il ricorso al termine costituisce ormai una componente strutturale della domanda di lavoro che non subisce flessioni neppure in condizioni economiche favorevoli; dall'altro, alimenta il sospetto che l'incremento delle assunzioni a tempo indeterminato registrato nel pe- riodo in esame sia stato indotto, in misura nettamente prevalente, dall'esclusivo obiettivo di fruire del be- neficio contributivo».
000 X. XXXX, Xx tema di Jobs Act. Il riordino dei tipi contrattuali. cit. A questo punto, se l’incremento dell’occupazione crescerà si potrà dire che il Jobs Act avrà raggiunto i suoi obiettivi, sempre che l'incremento del lavoro stabile risulti duraturo, mentre non potrà dirsi altrettanto se i risultati dovessero essere temporanei. In tal caso si dovrebbe concludere che la scelta del tipo di contratto sia stata condizionata unicamente dall’incentivo economico.
allorquando scadranno i suddetti incentivi economici274. È, infatti, ipotizzabile che alcuni datori di lavoro potrebbero aver assunto a tempo indeterminato unicamente per il vantaggio economico che esso comportava. Ne deriva il timore che, venuto meno il motivo della convenienza, i datori possano recedere dal contratto stipulato con i lavoratori, tenendo conto dell’ampia recedibiltà prevista dal Jobs Act, nonché della circostanza che il godimento del beneficio non è legato al mantenimento in vita del rapporto lavorativo275.
È facilmente immaginabile, a questo punto, supporre che si torni a privilegiare il contratto a tempo determinato che offre l’indubbio vantaggio di poter scadenzare la durata del rapporto in base alle esigenze aziendali, con la possibilità di ricorrere a proroghe e rinnovi anche oltre i 36 mesi, stipulando, infine, un ulteriore contratto di 12 mesi presso la Direzione territoriale del lavoro.
Si pone, perciò, il problema di riconsiderare la normativa relativa al contratto a termine riducendo, in primo luogo, la possibilità di abusi e tenendo conto dell’eventualità, fortemente probabile, di un consistente ricorso a questa fattispecie dopo la scadenza degli incentivi previsti per la fruizione del contratto a tempo in- determinato276. È stata, così, suggerita la necessità di procedere alla revisione di una nuova disciplina del contratto a termine per poter influenzare le scelte future tra le due fattispecie277.
Analizzate le critiche di sistema, non resta che esaminare i principali profili di dettaglio della riforma che sono stati oggetto di contestazione.
In primis, si deve evidenziare come il favor per il ricorso al contratto a termine si manifesti nella circostanza che, mentre in precedenza il limite dei 36 mesi si
274 X. XXXXXXXXX, op. cit.
275 X. XXXXXXXX, op. cit. par. 12, «La disciplina del beneficio economico e quella del contratto a tutele crescenti potrebbero così aver generato una singolare inversione di funzioni: il primo da strumento potrebbe essersi trasformato in fine, mentre il secondo da obiettivo dell'incentivo potrebbe essersi trasformato in mero strumento per il suo conseguimento».
276 X. XXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXX, X. XXXXXXXXX, op. cit.
277 Ibidem.
xxxxxxxx a contratti stipulati per lo svolgimento di mansioni professionalmente xxxx- xxxxxxx, ora, in coerenza con la nuova disciplina dello ius variandi, i contratti de- vono essere stipulati per mansioni «di pari livello e categoria legale di inquadra- mento».
Di conseguenza, basterà che il datore di lavoro assuma di nuovo il dipendente a termine per una mansione inclusa in un livello professionale diverso da quello in cui erano comprese le mansioni oggetto del contratto o dei contratti precedenti278. Le nuove aperture, sottolinea la dottrina, possono condurre ad abusi. «Non si può abusare, tuttavia, di queste nuove aperture» 279.
La seconda novità della riforma, soggetta a critica, è costituita dalla previsione per la quale, in caso di superamento dei trentasei mesi, «il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento» e ciò in difformità rispetto a quanto stabilito dall’art. 5 del D.lgs. n. 368/2001, il quale disponeva che
«il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto»280. In definitiva, il Jobs Act ha previsto una trasformazione peggiorativa (con effetti ex nunc) rispetto a quella disposta dal D.lgs. n. 368/2001 che comportava la conversione del rapporto ex tunc, cioè a partire dalla stipula del primo contratto.
Infine non è mancato chi ha tracciato un giudizio complessivo sul nuovo assetto normativo dedicato alla generale categoria del lavoro flessibile. La riflessione si è, in particolar modo, concentrata sui rapporti tra il lavoro a termine e quello in som- ministrazione.
Va subito evidenziato, infatti, che il D.lgs. n. 81/2015 non ha posto limiti di na- tura qualitativa alla stipulazione né di contratti di somministrazione né di contratti
278 X. XXXXXXXXXX, Il contratto a tutele crescenti…, cit.
279 X. XXXXXXXX, Commento al D.lgs. 15/6/2015…, cit., p. 170 «come è avvenuto in un caso, denunciato in un commento al decreto in esame dell’Ufficio Giuridico della Cgil, dove si descrive la situazione posta in essere dal CCNL per i dipendenti da Poste italiane, inseriti in vari livelli pur svolgendo praticamente le stesse mansioni e quindi assumibili a tempo determinato per numerose volte, di 3 anni in 3 anni, in diversi livelli. Necessario quindi sanzionare gli abusi nella ripetizione dei contratti».
280 D.lgs. 368/2001 art. 5 c. 4.
a tempo determinato, ma solo di natura quantitativa, per cui il datore di lavoro non è legittimato ad organizzare la sua struttura basandosi, esclusivamente o prevalen- temente, sul lavoro temporaneo (somministrato o a termine), dovendo necessaria- mente rispettare un certo rapporto percentuale tra lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e lavoratori non strutturati281.
Inoltre, per il contratto a tempo determinato, esiste anche un limite di durata di trentasei mesi per il rapporto complessivo con il singolo lavoratore. Pertanto, è stato notato come l’analisi delle percentuali di lavoratori flessibili ammessi, nell’ambito della medesima struttura lavorativa, conduce ad ipotizzare che circa il 50% dei lavoratori di un’azienda potrebbe, in linea astratta, appartenere al “bacino della flessibilità” 282. Questo massiccio ricorso al lavoro flessibile di persone as- sunte sia indirettamente, cioè attraverso un’agenzia di somministrazione, sia diret- tamente, con la stipulazione di contratti a termine, contrasta con il principio con- tenuto nella L. n.183/2014 (art. 1 comma 7 lett. b)283, il quale affidava al Governo il compito di «promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti». Contrasta infine con l’art. 1 del D.lgs. n. 81/2015 che recita: «Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di la- voro».
281 X. XXXXXXXXXXX, op. cit.
282 V. FILI’, Prime note sulla somministrazione di lavoro, in Xxxxxxxxxxxxxxx.xx p. 199, «se sommiamo la percentuale prevista dal comma 1 dell’art. 23 per la stipulazione di contratti a termine (20%, modificabile dalla contrattazione collettiva) con quella prevista dal comma 1 dell’art. 31 relativa al numero di lavoratori somministrati sulla base di un contratto di somministrazione a tempo indeterminato (20%, modificabile dalla contrattazione collettiva), arriviamo già al 40%, cui vanno addizionate le ipotesi previste dal comma 2 dell’art. 31 e cioè quella che prevede la somministrazione a tempo determinato dei lavoratori in senso lato svantaggiati, a cui non si applica alcun limite, e quella concernente la percentuale di utilizzabilità del contratto di somministrazione a tempo determinato rimessa ai contratti collettivi».
283 X. XXXXXXXX, op. cit.
Ne deriva che la disciplina predisposta dal Jobs Act finisce, nei fatti, per contra- stare con quelle che sono state le intenzioni e gli obiettivi di fondo, originariamente perseguiti con la stessa.
Dunque se questo è l’assetto normativo e preso atto del fatto che la rinnovata idea di flessibilità potrebbe produrre gli effetti sperati in termini occupazionali, ciò che preme attenzionare è la possibilità di abuso della disciplina.
Posto che il lavoro in somministrazione si aggancia per definizione284 al concetto di “temporaneità” nel senso che l’invio di un lavoratore, tramite agenzia interinale, presso un’impresa utilizzatrice deve essere temporaneo, ne deriva, quindi, che la reiterazione illimitata della missione del medesimo lavoratore presso lo stesso uti- lizzatore rappresenta chiaramente un abuso. In relazione a tali vicende, «la disci- plina italiana della somministrazione è silente»285. Ci si potrebbe, in estrema sin- tesi, trovare davanti ad una “staffetta tra contratti”: la somministrazione potrebbe essere utilizzata dal datore di lavoro che ha esaurito il limite massimo di contratti a termine previsti, qualora questi voglia assicurarsi la presenza di un determinato lavoratore nella sua azienda. Tutto ciò trasforma l’utilizzo della somministrazione “in una trappola, che condanna il somministrato alla perpetua flessibilità a tutto vantaggio dell’utilizzatore che, lungi dallo stabilizzare, precarizza con missioni successive senza limiti”286. Questo è certamente un punto di fragilità della norma- tiva del Jobs Act rispetto ai precedenti interventi in materia287, nei quali la presenza di limiti qualitativi alla stipulazione dei contratti di somministrazione rendeva, ov- viamente, la loro legittima reiterazione meno facile.
Ancora, rimanendo nell’analisi dei rapporti tra somministrazione e contratto a termine, in dottrina si è messo in luce che, nel caso in cui «la somministrazione sia
284 V. FILI’, op. cit., «le definizioni di “agenzia interinale”, “lavoratore tramite agenzia interinale”, “impresa utilizzatrice” e “missione” ruotano tutte intorno al concetto di “temporaneità.
285 V. FILI’, ivi p. 202.
286 Ibidem.
287 X. XXXXXXX, Jobs Act, atto II: la legge delega sul mercato del lavoro, cit.
posta in essere in violazione dei limiti quantitativi di cui all’art. 31, viene conside- rata somministrazione irregolare consentendosi al lavoratore di chiedere, anche soltanto nei confronti dell’utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione»288.
Si tratta di una soluzione opposta rispetto a quella adottata per il contratto a termine (art. 23, comma 4), ove il legislatore espressamente statuisce che “in caso di vio- lazione del limite percentuale di cui al comma 1, restando esclusa la trasforma- zione dei contratti interessati in contratti a tempo indeterminato, per ciascun lavo- ratore si applica una sanzione amministrativa (…)”289. Nel caso, quindi, di irrego- larità del contratto di somministrazione il legislatore si dimostra molto più severo nei confronti dell’utilizzatore, rispetto al datore di lavoro “ a termine”290.
L’ultimo periodo del comma 1 dell’art. 31 prevede che «possono essere sommi- nistrati a tempo indeterminato esclusivamente i lavoratori assunti dal somministra- tore a tempo indeterminato». Da ciò emerge come “il legislatore abbia voluto in- centivare l’assunzione a tempo indeterminato da parte delle agenzie di sommini- strazione, “naturalmente” portate a propendere per le assunzioni a termine”291. Dunque se l’agenzia intende stipulare contratti di somministrazione a tempo inde- terminato, è tenuta ad assumere a tempo indeterminato i lavoratori da sommini- strare, fermo restando che i lavoratori assunti a tempo indeterminato dall’agenzia non dovranno necessariamente svolgere la loro prestazione presso un unico utiliz- zatore ma potranno ruotare tra utilizzatori diversi con cui l’agenzia ha stipulato contratti di somministrazione sia a tempo indeterminato sia a termine292.
Appare chiara quale sia la voluntas legis: incentivare l’assunzione con contratti di lavoro a tempo indeterminato293.
288 X. XXXXXXXXXX, Lavoro a tempo determinato…, cit.
289 V. FILI’, op. cit., p. 210.
290 Ibidem.
291 X. XXXXXXXX, op. cit.
292 V. FILI’, op. cit., p.211.
293 Infatti, l’art. 1 del d.lgs. n. 81/2015 ribadisce che il contratto a tempo indeterminato «costituisce la forma comune di rapporto di lavoro». X. XXXXXXXX, op. cit., parte dalla considerazione che, se il Jobs Act si
Infine, allo scopo di prospettare un quadro completo di quelli che sono stati i punti critici del c.d. Jobs Act, è necessario soffermarsi sulla sua compatibilità con il diritto europeo, il quale, si noti, lasciava comunque liberi i legislatori nazionali di stabilire condizioni differenziate per raggiungere l’obiettivo comune.
La direttiva europea si limitava, genericamente, a mettere in guardia dagli abusi i legislatori nazionali294: al riguardo indicava talune misure che le normative interne potevano adottare al suddetto fine. Il legislatore italiano, nell’esercizio della sua discrezionalità, ha scelto di recepire, tra le varie misure percorribili, il limite di durata dei trentasei mesi e quello quantitativo delle cinque proroghe. Dunque, si potrebbe concludere che la disciplina del Jobs Act risulti conforme alla direttiva europea. A ben vedere, la dottrina ha sottolineato come i maggiori contrasti con la disciplina europea riguardino proprio il limite dei trentasei mesi, «il quale, dopo l'abolizione della causalità, ha assunto la funzione di unica vera misura di preven- zione degli abusi»295.
In conclusione, si può affermare come, sebbene vi sia un formale rispetto di quelle che sono le indicazioni europee, nella sostanza rimangano numerosi i rilievi critici che hanno investito il nuovo impianto normativo, così come delineato dal
c.d. Jobs Act296.
pone l’obiettivo di favorire l’assunzione a tempo indeterminato, bisogna analizzare l’incidenza che, negli anni successivi, avranno i due tipi di contratto: quanto più il contratto a tempo determinato continuerà a prevalere nelle nuove assunzioni, tanto meno la riforma avrà raggiunto il fine di incentivare il ricorso al contratto a tempo indeterminato, fermo restando che, in questo confronto fra le 2 tipologie, la maggiore convenienza del contratto a tempo indeterminato non dipende soltanto dall’adozione di incentivi, ma anche da come viene regolamentato il contratto a tempo determinato.
294 X. XXXXXXXX, op. cit.
295 X. XXXXXXXX, xxx par. 10.
296 X. XXXXX, X. XXXXXX, X. XXXXX, X. XXXXXXXXX, op. cit.
CAPITOLO III
IL CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO E IL CON- TRATTO DI SOMMINISTRAZIONE ALLA LUCE DEL DECRETO DIGNITÀ
Sommario: 3.1 Considerazioni sulla natura del provvedimento e sul nome. – 3.2. Gli obiettivi del decreto legge n. 87 del 2018 e i primi commenti dottrinari. – 3.2.1. Il contrasto alla precarietà. –
3.2.2. Le “soluzioni facili”: la dignità del lavoro dipende dalla sua stabilità? -3.3. L’andamento del mercato del lavoro prima del decreto dignità. -3.4. I contratti a termine in Italia. -3.5. Recenti modifiche del mercato del lavoro in Italia. – 3.6. L’impatto territoriale alla luce dei dati: lavoro a termine e ripartizioni territoriali alla luce dei dati prima del decreto dignità. -3.7. Decreto-legge 12 luglio 2018 n. 87. – 3.8. Modifiche apportate dal decreto dignità. -3.8.1. Modifiche al contratto a termine. – 3.8.2. La durata del contratto e il regime delle causali. -3.8.3. La forma del contratto a termine. – 3.8.4. Il termine di impugnazione. – 3.8.5. I vincoli alla proroga e al rinnovo. – 3.8.6. La disciplina del rinnovo. – 3.8.7. La disciplina delle proroghe. - 3.8.8. Il regime sanzionatorio.
– 3.8.9. Le attività stagionali. – 3.8.10. L’ entrata in vigore delle modifiche legislative. – 3.8.11. Le norme del d.lgs. n. 81/2015 non modificate dal decreto dignità. – 3.9. Riflessioni e soluzioni in astratto prospettabili. – 3.10. La somministrazione. – 3.10.1. Le modifiche alla somministra- zione. –3.10.2 L’istituto della somministrazione fraudolenta. – 3.10.3. La disciplina dei limiti quantitativi e di durata. – 3.11. Ulteriori chiarimenti: la circolare n.17 del 2018. – 3.12. Gli svi- luppi normativi legati all’emergenza “Covid”.
3.1 CONSIDERAZIONI SULLA NATURA DEL PROVVEDIMENTO E SUL NOME
Ancora una volta la disciplina laburista in commento è stata oggetto di modifiche con il mutamento del governo in carica297, sebbene si debba sottolineare come
297 F. DI NOIA, “Lo chiamavano dignità”: prime note su tecnica e politica a margine del D. l. n. 87/2018, conv. in l. n. 96/2018, in WP CSDLE “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.IT- 381/2018, p. 2, precisa: «All’irresistibile e ormai cronica tentazione di porre mano alla disciplina lavoristica ha ceduto anche il neo governo Conte, contribuendo a rafforzare l’idea che il corpus normativo italiano in questo specifico settore abbia la forma dell’acqua e quindi muti a seconda del contenitore o della superficie con i quali di volta in volta entra in contatto. La parola d’ordine è “cambiare” e del resto, per un governo autoproclamatosi del cambiamento, il modo migliore per segnare in maniera plastica la discontinuità con gli esecutivi del quinquennio precedente (i governi presieduti da Xxxxxx Xxxxx - dal 28 aprile 2013 fino 22 febbraio 2014- e da Xxxxxx Xxxxx- dal 22 febbraio 2014 al 12 dicembre 2016) deve essere sembrato quello di prenderne d’assalto uno degli interventi più incisivi».