POSTE ITALIANE SPA
POSTE ITALIANE SPA
SPEDIZIONE IN A. P. 70% - ROMA
3 /2003
AGENZIA PER LA RAPPRESENTANZA
NEGOZIALE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI
MAGGIO/GIUGNO 2003
REDAZIONE XXX XXX XXXXX 000
00000 XXXX
INTERVISTE
IL NUOVO CONTRATTO DEL COMPARTO SCUOLA
OSSERVATORIO UNIONE EUROPEA I LAVORI
DELLA CONVENZIONE. ULTIMI AGGIORNAMENTI SULLE POLITICHE SOCIALI
FLASH NOTIZIE
ATTIVITÀ SVOLTA DALL’ARAN
INSERTO
RAPPRESENTANZA
E RAPPRESENTATIVITÀ
NEL MONDO DEL LAVORO
numero 3 • maggio/giugno 2003
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DIRETTORE
Xxxxx Xxxxxxx
DIRETTORE RESPONSABILE
Xxxx Xxxxx Xxxxxxxx
COMITATO TECNICO-SCIENTIFICO
Xxxxxxxx Di Xxxxx Xxxxxxxxx D’Xxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxx
Xxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxx Xxxx Xxxxxxxx Xxxxxxxx
Xxxxxx Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx Xxxxx Xxxxxx Xxxxxxx
SEGRETERIA DI REDAZIONE
Xxxxxxx Xx Xxxxxx
PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE
Xxxxxx Xxxxxxxx
REDAZIONE
Telefono 0000000000
Fax 0000000000
e-mail: xxxxxxxx@xxxxxxxxxxx.xx
STAMPA
Aut. Tribunale di Roma n. 630 del 27.12.95
Sped. In Abb. post. L. 662/96 art. 2 C. 20/c
ANNO VIII N. 3 MAGGIO-GIUGNO 2003
EDITORIALE
Una nuova attenzione per la scuola
di Xxxxx Xxxxxxx 3
INTERVISTE
Il nuovo contratto del Comparto Scuola:
il punto di vista di Xxxxx Xxxxxxxxx 4
COMMENTI
Note sul contratto scuola
di Xxxxxxxx Xxxxxxxx 7
CCNL Scuola. Aspetti retributivi
di Xxxxxx Xxxxxxxxxx 14
OSSERVATORIO UNIONE EUROPEA
I lavori della Convenzione.
Ultimi aggiornamenti: le politiche sociali
di Xxxxxxx Xxxxxxxx 16
FLASH NOTIZIE
a cura di Xxxxxxx Xxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxxxx
Attività svolta dall’Aran 22
COMPARTI
Università
di Xxxxxxx Xxxxxxxxx 38
INSERTO:
Rappresentanza e rappresentatività nel mondo del lavoro
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UNA NUOVA ATTENZIONE PER LA SCUOLA
Il contratto per il Comparto Scuola, appena firmato, comunque lo si voglia considerare, è indubbiamente un successo per le relazioni sindacali nel settore pubblico:
per numero di dipendenti
e per peso “politico” esso rappresenta nel nostro ambiente ciò che
il contratto dei metalmeccanici rappresenta nel mondo privato. Ma le analogie finiscono qui, perché troppo diverse sono
le prospettive e le implicazioni anche per quanto riguarda il futuro del nostro paese.
La scuola italiana è alle prese
con una riforma di portata storica ed aveva perciò bisogno al proprio interno di un quadro di relazioni sociali chiaro, condiviso e il meno conflittuale possibile.
Abbiamo lavorato insieme
ai sindacati per darci un sistema concordato di regole al quale ogni componente dovrà attenersi.
Xxxx non semplice da realizzare nel momento stesso in cui si dovevano mettere a regime alcune novità epocali; tanto per citarne alcune non secondarie:
il decentramento a livello regionale e la definitiva sistemazione dell’autonomia degli Istituti scolastici con i connessi poteri/doveri
del dirigente scolastico.
Sul piano economico i risultati sono certamente di riguardo: gli incrementi retributivi erogati, sia ai docenti sia agli appartenenti al ruolo ATA, rappresentano uno sforzo di grande rilievo in un panorama economico notoriamente non entusiasmante sia in Italia che nel resto del mondo. Mi preme ricordare che nel periodo che va dal 1995 ad oggi sono stati erogati, a titolo di incrementi retributivi, più di 11.000 miliardi delle vecchie lire corrispondenti
ad aumenti medi che superano
- a regime - il 20% a fronte di un’inflazione pari al 14% nello stesso periodo.
Ritengo si tratti di fatti e non di parole che dimostrano
finalmente una nuova attenzione per la scuola di oggi e per quella del futuro.
Vorrei, da ultimo, ricordare un’ulteriore innovazione che potrebbe sembrare secondaria ma non lo è affatto: ci siamo dati carico di redigere un contratto con parole nuove e quanto più
comprensibili anche ai non addetti ai lavori compattando in un unico testo tutti i risultati della contrattazione dal 1994 (anno di nascita del nuovo sistema) ad oggi.
È stato un grande sforzo ma anche un segnale di novità
e di avvicinamento tra la Pubblica Amministrazione e il cittadino.
Xxxxx Xxxxxxx
Presidente ARAN
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IL NUOVO CONTRATTO DEL COMPARTO SCUOLA
IL PUNTO DI VISTA DI XXXXX XXXXXXXXX
COMPONENTE DEL COMITATO DIRETTIVO ARAN
Le relazioni sindacali non attraversano un periodo facile: nel negoziato per un comparto importante come quello della scuola si sono avvertite le frizioni esistenti?
Una premessa, c’è da rivedere
lo stereotipo secondo il quale le trattative nel settore pubblico sono più facili, soft, consociative, pilotate: è vero
il contrario; sono trattative “autentiche” con i conflitti e le tensioni che animano ogni negoziato sindacale.
E non c’è nulla di strano: dovrebbe essere sempre così e così è stato.
È chiaro che la trattativa è avvenuta in un momento particolare, dato che
esistevano tensioni palpabili nell’ambito delle relazioni industriali- basta ricordare il referendum per l’articolo 18 o le difficoltà per il contratto dei metalmeccanici - ma in questo caso è stata dedicata attenzione soprattutto
al merito. Vi è stato uno sforzo da parte di tutti per distinguere tra il clima generale e il momento di transizione attraversato dalla scuola che meritava grande attenzione; tra i problemi generali e la trattativa particolare.
Per queste ragioni il negoziato s’è concluso con un ampio consenso, con una maggioranza “stragrande”.
I momenti di tensione e di acceso confronto, che pure ci sono stati, dipendevano da questioni di merito e non da pregiudiziali esterne. Una
trattativa condotta in maniera corretta.
La piattaforma per questo contratto era stata decisa prima della riforma Moratti. Quanto il testo approvato è stato redatto nell’ottica di consentire un rapido adeguamento alle novità che saranno introdotte?
Occorre appunto ricordare che l’atto d’indirizzo a carattere normativo che noi abbiamo ricevuto, e in base al quale è stata condotta la trattativa, porta
la data del 30 settembre 2002, e non contiene riferimenti puntuali alla riforma. Ci sono comunque molti aspetti sui quali il contratto si dovrà adeguare.
Per questo scopo nel testo finale è stato inserita una “norma di rinvio” (art. 43) in cui si afferma che “la disciplina di cui al presente e ai precedenti Capi è suscettibile delle modifiche che in via pattizia si renderanno necessarie
in relazione all’entrata in vigore
della Legge n. 53/2003 e delle connesse disposizioni attuative”.
Un altro aspetto da tenere d’occhio per il futuro in materia di “evoluzione”
contrattuale è la questione delle carriere, sulla quale ci dovrà necessariamente essere una nuova interazione.
Nella discussione di questo contratto se ne è tenuto conto con una sorta di gentlemen agreement secondo
il quale nel secondo biennio contrattuale
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(nel quale si parla solo di questioni economiche) le parti potranno riaprire le trattative anche dal punto di vista normativo.
La Gilda e i Cobas sono stati molto duri: per i primi, “è fallito l’obiettivo di dare dignità agli insegnanti”, per i secondi,
si tratta di una “miserabile mancia”. Quanto hanno ragione e quanto torto?
Credo proprio che questi giudizi nascano da una lettura affrettata del contratto.
Dal punto di vista retributivo si tratta di un contratto tutt’altro che povero. Gli aumenti sono mediamente più alti rispetto a quelli di altri comparti
della Pubblica Amministrazione
e la tendenza, già dal quadriennio passato, è quella di articolare
gli aumenti per correggere l’appiattimento delle retribuzioni, che è una delle caratteristiche tipiche della scuola italiana rispetto a quella di altri paesi.
Non si tratta di una mancia.
La dignità non è solo un fatto di stipendio e si è cercato proprio di riaffermare
le funzioni del docente riconoscendo diritti a tutti coloro che lavorano nella scuola.
Esiste un’area ben identificata nel contratto degli insegnanti con una normativa che li identifica sempre meglio.
Dal punto di vista dei problemi della rappresentatività dei contraenti, quanto il settore pubblico è “avanti” a quello privato e quanto il contratto firmato risponde alle necessità del personale docente e non docente?
A mio avviso il settore pubblico è “avanti” rispetto a quello privato per la misurazione precisa della rappresentanza
e per un accertamento democratico dei sindacati che hanno possibilità
di confrontarsi, oltre che sulle deleghe, sulla “presa” sui lavoratori.
Si tratta di un importante fattore di stabilità, perché si è visto che
quando mancano certezze condivise, è assai più difficile avere un consenso così ampio. Il sistema adottato
dal settore pubblico è un elemento di trasparenza e, quindi, di stabilità.
Le riforme più “volute” dal governo sono quelle relative alla carriera - meritocratica - dei docenti e alle prerogative dei capi di istituto.
Due temi sui quali i sindacati hanno alzato la barriera rinviando la discussione ad un tavolo futuro oppure mantenendo quelli che l’Associazione Nazionale Presidi, ricordando Xxxxx Xxxxx, definisce “lacci e lacciuoli” per i dirigenti scolastici. Tutto rinviato al prossimo contratto?
Primo: la questione della carriera è cruciale. In tutta la Pubblica Amministrazione esiste una carriera legata al merito, elemento di giudizio per premiare e stimolare la qualità del lavoro.
È importante che ci sia nella scuola. Non voglio dire che la qualità della scuola dipende dalla carriera, ma certamente dipende “anche” dalla carriera.
E, a questo punto, credo due cose:
1) quando un contratto riguarda
un milione di persone non è pensabile che gli aumenti retributivi non tengano conto del merito;
2) i sindacati dovrebbero abbandonare quella “mitologia egalitaria” che mi sembra ancora si trascinino.
Il cammino verso una definizione
delle carriere, comunque, è cominciato: l’articolo 22 di questo contratto prevede l’istituzione di una commissione trilaterale (Aran, Ministero della P.I.
e sindacati) per ideare meccanismi di carriera.
È chiaro che l’Aran mette la sede e lo studio tecnico delle linee per
la contrattazione collettiva, ma che è decisivo il ruolo del ministero.
Questa decisione non è il solito modo per rinviare o “non fare” ma, al contrario, crea un’occasione importante: infatti per la prima volta si discuterà di un tema imprescindibile senza impegno immediato di contrattazione e, cosa
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ancora più importante, a farlo saranno gli stessi soggetti che poi saranno chiamati a realizzarlo.
Secondo: i capi di istituto. Anche in questo caso, credo che si tratti di osservazioni un po’ frettolose.
Non voglio comunque entrare in polemica con l’Anp.
È evidente che il confronto si è svolto con le organizzazioni sindacali a ciò legittimate dalla loro rappresentatività. Quanto al “nodo” dei collaboratori l’articolo 31 del contratto prevede che: “il dirigente scolastico può avvalersi, nello svolgimento delle proprie funzioni organizzative ed amministrative, di docenti da lui individuati ai quali possono essere delegati specifici compiti. Tali collaborazioni sono riferibili a due unità di personale docente retribuibili, in sede di contrattazione d’istituto, con i finanziamenti a carico del fondo
per le attività aggiuntive previste per collaborazioni col dirigente scolastico.” Per quanto riguarda invece il ruolo della contrattazione d’istituto, basterebbe ricordare che nelle società moderne non c’è nessuna organizzazione in cui, chi ha il potere
e l’onere di decidere, non debba confrontarsi con il personale e i suoi rappresentanti. Più nello specifico, vi era poi un passaggio dell’atto d’indirizzo che prescriveva all’Aran di “garantire un forte impulso
al confronto su problematiche
di particolare rilevanza che abbiano riflessi diretti o indiretti con la materia contrattuale, anche in relazione
a quanto stabilito dagli accordi governo-sindacati del 4 e 6 febbraio
2002”.
Naturalmente non si tratta di cadere in una sorta di pancontrattualismo ma di tenere presente che, in un settore delicato e complesso come quello scolastico, il rapporto deve
necessariamente essere non conflittuale ma collaborativo-partecipativo.
In una cornice, però, non dilatabile a piacere. E questo contratto,
adempiendo puntualmente ad un’altra prescrizione dell’atto d’indirizzo pone limiti temporali evitando negoziati infiniti. Un modo perché il dialogo sia portatore di trasparenza e non
un elemento di paralisi o di blocco, crei il miglior clima tra dirigenti e personale e si risolva in un beneficio, non solo per le parti, ma per gli alunni.
Che cosa comporta l’aver mantenuto solo la mobilità nella contrattazione integrativa nazionale per la scuola
e aver ripartito le altre materie tra i livelli regionale e delle istituzioni scolastiche?
Questo contratto va nella direzione del decentramento e snellimento della contrattazione (nazionale per
le linee generali e poi decentrata) che nel settore pubblico, in questi ultimi anni, è stata davvero pesante.
Il sistema delle relazioni è stato rivisto alla luce di quanto è avvenuto
nella struttura ministeriale che si è snellita delegando prerogative al livello regionale ed alle istituzioni scolastiche.
In questo modo si è ridimensionato il livello contrattuale di ministero, delegando nuove competenze
alle direzioni regionali.
Adesso ci dovrà essere uno sforzo comune, intendo anche dei sindacati, per gestire questo nuovo stato di cose.
Per finire: sulla base della riforma presentata dal ministro Xxxxxxx, quanto il prossimo contratto dovrà essere diverso?
È presto per dire qualcosa sul futuro
e penso che adesso si possa essere lieti che un negoziato complesso e faticoso come questo si sia concluso.
Grazie ad un lavoro di largo respiro ci troviamo davanti ad un testo completo e, soprattutto, leggibile.
Diritti e doveri sedimentati in un decennio sono esposti chiaramente anche senza ricorrere ad un esperto.
E, in aggiunta allo sforzo finanziario globale, non è poco.
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NOTE
SUL CONTRATTO SCUOLA
A datare dall’atto d’indirizzo del Comitato di settore, lo scorso mese di ottobre,
la trattativa in Agenzia ha registrato lunghe interruzioni, legate all’incertezza sulle effettive risorse finanziarie disponibili e alla correlata assenza delle XX.XX. al tavolo contrattuale, sia pure per lo sviluppo della sola parte normativa.
Soltanto dal 14 aprile u.s., a seguito dell’integrazione al precedente atto d’indirizzo, è stato possibile riprendere utilmente la contrattazione, ed un mese dopo, il 16 maggio, alla fine di una trattativa che ha registrato anche momenti aspri e difficili, il CCNL
della Scuola è stato sottoscritto unitariamente dai Sindacati confederali e dal maggior Sindacato autonomo rappresentativo della Scuola.
Si ritiene, pertanto, legittimo motivo di soddisfazione che una delle notoriamente più complesse
e difficili trattative nel settore pubblico, coinvolgente oltre un milione
di lavoratori, sia stata positivamente portata a termine in tempi reali
di contrattazione rapidissimi, con significativa unitarietà di adesioni e, almeno per quel che risulta fino a questo momento, con l’apprezzamento di tutte le parti rappresentate.
Di tanto, naturalmente, va dato parallelamente atto alle XX.XX. firmatarie per senso di responsabilità ed impegno profuso.
In linea con il relativo atto d’indirizzo, l’Agenzia ha redatto, contestualmente al
CCNL, un testo coordinato comprensivo delle disposizioni contenute nei 19 accordi (CCNL, sequenze, e accordi successivi) sottoscritti nel periodo 1994-2001. Ciò, in sostanza, realizza l’obiettivo di produrre un testo unico di tutte le disposizioni contrattuali, nel quale sono peraltro presenti, in nota, i testi completi di tutte le disposizioni normative e contrattuali richiamate.
Questo, certamente, facilita
la leggibilità e la comprensione del CCNL anche ad un qualsiasi
cittadino non particolarmente esperto, mentre il personale scolastico può rinvenire, in un unico contesto, tutte
e norme che disciplinano il proprio rapporto di lavoro.
Si tratta della prima semplificazione di questo genere realizzata
nel settore del pubblico impiego dall’entrata in vigore del D.Lgs.
n. 165/2001, e l’auspicio è che possa contribuire a ridurre significativamente contenzioso e controversie.
Il contratto non ha tralasciato di affrontare anche tematiche
del tutto innovative, alcune di grande rilevanza politica e sociale, come
le molestie sessuali, sulle quali si è espresso anche il Parlamento europeo
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nell’ambito di recenti Risoluzioni indirizzate agli Stati membri dell’Unione, mentre nel caso delle norme disciplinari, ha operato una rivisitazione della regolamentazione contrattuale già esistente al fine di adeguarla
alla Legge n. 97/2001 nel frattempo intervenuta, la cui emanazione
ha costituito l’occasione per attualizzare il sistema delle sanzioni disciplinari, sia pure limitatamente al personale ATA. Per il personale docente e educativo delle scuole di ogni ordine e grado, infatti, continuano ad applicarsi
le norme di cui al Titolo I, Capo IV della Parte III del D.Lgs. n. 297/94, in attesa della legge di riordino degli organi collegiali della scuola.
Il testo contrattuale si compone di quattordici Capi, per un totale di 143 articoli, 14 Tabelle allegate
e 60 disposizioni normative richiamate e illustrate nelle note a fine testo,
con a monte una premessa, dichiarata parte integrante del contratto, che indica quali sono i testi contrattuali firmati dal 4 agosto 1995 all’8 marzo 2002 riunificati nel testo coordinato, unitamente alle modalità di lettura e di utilizzo del testo medesimo.
Il Capo II affronta un tema che si è dimostrato particolarmente difficile e controverso nella specifica
contrattazione di comparto, cioè quello delle relazioni sindacali.
Nei precedenti contratti, qui come in tutto il pubblico impiego, si era infatti venuta costruendo una fitta
ragnatela di relazioni tra amministrazione e sindacati, a vari livelli: di ministero,
di regione, di provveditorato, e infine, con l’avvento dell’autonomia scolastica, d’istituto. Si trattava di una ragnatela
in parte necessaria.
Una moderna concezione delle relazioni
con il personale implica infatti la definizione di rapporti, anche
formali, quanto più possibile articolati nelle diverse sedi decisionali, a scopi preventivi e terapeutici dell’inevitabile conflittualità.
Tuttavia, qui come in tutto il pubblico impiego, il sistema delle relazioni sindacali ha debordato in un’eccessiva complessità.
Troppi livelli (ben cinque, e ciò non è propriamente nelle previsioni dell’accordo del 23 luglio) e forse troppe competenze, con rischi
di rallentare e rendere macchinoso il processo decisionale.
Tutto ciò avrebbe richiesto che parti di buona volontà e dotate di grande pazienza aprissero un confronto per ripensare il sistema, rendendolo più snello ed efficace, senza per questo ipotizzare di smantellarlo.
Tuttavia la buona volontà e la pazienza nelle relazioni sindacali sono merce rara. Più diffusa è la cultura
del sospetto, magari preventivo. Da un lato, il sospetto dei sindacati verso il datore di lavoro che ogni
intento di razionalizzazione nasconda la volontà di togliere “diritti”, parola diventata di recente magica
e onnicomprensiva.
Dall’altro, il sospetto del datore di lavoro verso i sindacati, che
la pervicacia nel difendere le frontiere acquisite sia soltanto un segnale
di conservatorismo e di difesa
di privilegi. È questa una materia, insomma, sulla quale ragionare è difficile, mentre è piuttosto facile litigare: ed è quanto è puntualmente avvenuto in questa occasione.
A un certo punto del negoziato, infatti, il MIUR ha ritenuto che uno dei punti dolenti del funzionamento della scuola italiana fosse l’eccessiva quantità di lacci e laccioli sindacali che, al centro come in periferia, rallentano il processo decisionale.
Opinione ovviamente legittima, sennonché lo strumento per risolvere
il problema avrebbe avuto probabilmente
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necessità di un preliminare momento di condivisione.
Di fronte alla minaccia di un drastico ridimensionamento della loro presenza e dei loro poteri, i sindacati sono (com’era logico aspettarsi) insorti come un sol uomo.
La vicenda ha insomma rivitalizzato, almeno nel settore, un’unità d’azione tra tutti i sindacati (compresa gran parte degli autonomi) che era in crisi un poco dappertutto.
Chiedere ai sindacati un forte ridimensionamento delle relazioni sindacali per via contrattuale è infatti – come rammenta il xxxx. Xxxxxxxxx -
un po’ come chiedere a qualcuno
di controfirmare il decreto con cui gli si mozza una mano, senza sottovalutare l’impopolarità di misure che nell’ambiente scolastico avrebbero dato poteri molto grandi a una figura professionale che sembra non troppo amata dal personale, il dirigente scolastico.
La trattativa ha avuto, per questo, un andamento insolito, nel pubblico impiego. Forse per la prima volta, infatti, i sindacati si sono trovati per un lungo periodo sulla difensiva, costretti a cercar di riconquistare qualcosa che davano per acquisito. Alla fine, sono riusciti a ricollocarsi, almeno in parte, sulle posizioni
da tempo occupate.
Ciò nonostante, l’Agenzia è riuscita
a snellire di molto il livello di contrattazione integrativa nazionale, ridotto ad una sola materia (mobilità), ed i diversi livelli d’informazione, contrattazione
e concertazione, anche in logica aderenza alla nuova organizzazione istituzionale, sono stati ripartiti tra il livello regionale e quello
delle istituzioni scolastiche, fissando tempi precisi, brevi e perentori per lo svolgimento delle trattative.
Ciò ha consentito di velocizzare
i tempi connessi all’informazione, alla concertazione e alla contrattazione, evitando duplicazioni dei livelli
di trattativa sulla stessa materia
(ad esempio, le risorse finanziarie connesse al fondo d’istituto,
alle funzioni strumentali, al piano dell’offerta formativa e alle funzioni aggiuntive per il personale ATA, sono state disciplinate in sede di CCNL,
in modo tale da poter affluire direttamente alla gestione delle scuole, senza passaggi intermedi nazionali, regionali o provinciali).
Così la contrattazione integrativa (art. 4), come accennato, è stata ridotta, a livello nazionale, alla sola materia della mobilità, peraltro di norma biennale
e comunque necessariamente legata alla definizione degli organici, mentre presso le Direzioni scolastiche regionali (comma 3) è stata collocata la maggior parte della contrattazione integrativa inerente agli specifici bisogni
del territorio, fissando peraltro (commi 4 e 5) termini di trattativa congrui sotto il profilo temporale, sì da evitare ogni possibile e dannosa lungaggine
o strumentalizzazione, da qualsiasi delle parti eventualmente proveniente. Anche in materia di informazione (art.5) è stato razionalizzato e snellito l’elenco delle materie soggette
a questo tipo di partecipazione sindacale, non escludendo (comma 2) la possibilità, per le XX.XX. firmatarie del CCNL, di chiedere un tavolo
di concertazione su taluna delle materie elencate.
La stessa concertazione, tuttavia, viene ugualmente sottoposta a termini brevi e perentori di conclusione.
Contrattazione e informazione
a livello di singola istituzione scolastica (art. 6) sono invece restate pressoché invariate rispetto alla previsione
dei precedenti CCNL, in parte per i motivi poc’anzi illustrati, in parte perché, in effetti, è regola comune
in tutto il pubblico impiego (oltre che
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esplicitamente previsto dall’art. 45 del D.Lgs. n. 165/2001) che l’autorità salariale (in questo caso il dirigente scolastico) contratti i compensi accessori e le connesse modalità
di organizzazione del lavoro.
Anche per questo tavolo di trattative, comunque, sono stati introdotti tempi certi e limitati (commi 2, 4 e 5) per
la durata delle stesse.
Negli articoli 7 e 8, infine, sono state riprese e attualizzate le previgenti discipline circa la composizione delle delegazioni trattanti ed il diritto di assemblea sul posto di lavoro.
Molto significativo, nel Capo che riguarda i docenti, è l’art. 22, in quanto impegna le XX.XX., conformemente alle esigenze espresse dal MIUR,
ad elaborare, d’intesa con l’Agenzia
e con lo stesso MIUR, un meccanismo di carriera professionale, e questo attraverso una commissione di studio che verrà attivata entro 30 giorni
dalla sottoscrizione definitiva del contratto. Le stesse XX.XX. riconoscono inoltre (comma 2) che a tale meccanismo
di carriera debba necessariamente accompagnarsi un sistema di valutazione del servizio scolastico nazionale.
Si tratta di un’apertura di non poco conto, considerando che la materia tocca uno dei nervi più tradizionalmente scoperti e sensibili dell’universo scuola, ragione, per le stesse XX.XX. ma anche per passati Governi, di clamorose contestazioni e sconfitte sotto il profilo della rappresentatività e della condivisione politica.
È facile immaginare, pertanto, quanto sia stato difficile e segnato da forte conflittualità ottenere un impegno
di questo tipo da parte delle XX.XX., peraltro sotto l’ombrello di un titolo quale “Intenti comuni”.
L’impegno assunto, comunque vada, servirà a fare definitiva chiarezza
su quest’annoso problema, nel senso che potrà effettivamente produrre, per via pattizia, un condiviso meccanismo di carriera per i docenti assistito
da un reale ed efficace sistema
di valutazione, oppure, parafrasando la favola di Xxxxxxxx e del suo Re,
la continua mancata scelta dell’albero cui farsi impiccare sarà chiaro segnale che la materia dovrà trovare soluzione in un ambito diverso da quello contrattuale.
All’iniziale art. 22 fa specularmente richiamo l’ultimo articolo del Capo docenti, il 43, dove pure si riconosce che tutta la normativa fin qui riordinata e messa in campo può subire modifiche, per xxx xxxxxxxx, xx fine
di renderla coerente con il sistema che delinea l’entrata in vigore della Legge
n. 53/2003 e delle connesse disposizioni attuative.
Nel mezzo, alcune disposizioni che hanno significato un notevole miglioramento rispetto al sistema previgente, o che sono state oggetto di aspra conflittualità tra l’Agenzia
e le XX.XX., fino al punto da far prevedere la possibile rottura delle trattative.
Così le precedenti “Funzioni obiettivo” sono state trasformate (art. 30)
in “Funzioni strumentali al piano dell’offerta formativa”, cioè sciolte dalla precedente rigidità tematica
(5 obiettivi fissati per tutto il territorio nazionale) e liberate dalla farraginosa e complessa procedura
di approvazione che le caratterizzava. Con la nuova impostazione prevista dall’art. 30, tali funzioni diventano effettivamente strumentali
e di supporto al piano dell’offerta formativa liberamente definita dal collegio dei docenti, e,
di conseguenza, dagli stessi docenti scelte e individuate.
Basti pensare che nella precedente versione dell’articolo in questione, a parte la rigidità tematica del dover
necessariamente scegliere tra cinque
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obiettivi proposti a livello centrale per tutto il territorio nazionale, l’approvazione dei progetti delle singole scuole avveniva ugualmente a livello centrale di MIUR per ogni istituzione scolastica, sì da provocare inevitabilmente scompensi e ritardi tali da far affluire i relativi finanziamenti all’istituzione scolastica, nella maggior parte dei casi, ad anno scolastico abbondantemente avviato e, spesso,
in chiusura, vanificando di fatto le finalità del piano dell’offerta formativa (POF).
La nuova impostazione, viceversa, effettivamente esalta e riempie
di contenuti l’autonomia didattica delle istituzioni scolastiche, affidando concrete responsabilità alle capacità progettuali del collegio dei docenti (comma 2) e garantendo la tempestività del finanziamento, già ora predeterminato nella stessa misura dell’anno precedente e, quindi, solo materialmente da far giungere
alle scuole a cura del MIUR (comma 1). Molta conflittualità, come accennato,
ha invece determinato la disciplina delle collaborazioni con il dirigente scolastico prevista dall’art. 31, che sottende l’ormai annosa questione del “vicario”.
Qui si è registrato il dissenso della maggior parte dei dirigenti scolastici rappresentati dall’ANP che, pur essendo esclusa
da questo tavolo di contrattazione, ha più volte fatto giungere proteste circa un’asserita violazione delle prerogative dirigenziali garantite dall’art. 25
del D.Lgs. n. 165/2001, in particolare per quanto concerne il comma 5 relativo alla scelta dei collaboratori.
In effetti le questioni poste dalla dirigenza scolastica non sembra che possano tecnicamente trovare soluzione nell’ambito di questa contrattazione
di comparto, da un lato formalmente vincolata a preesistenti intese assunte a livello generale dal Governo con
le XX.XX., e per altro aspetto improponibili sotto il profilo della logica e della concretezza ad un tavolo contrattuale.
La richiesta di rinuncia a consolidate prerogative sindacali, soprattutto nel campo della contrattazione sull’organizzazione e sulla connessa
retribuzione del lavoro, equivale infatti, come già prima accennato, a chiedere alle XX.XX. di controfirmare un decreto di amputazione delle proprie mani.
Questo per dire, in sostanza, che i problemi e i disagi avvertiti
dalla dirigenza scolastica non possono tecnicamente trovare correttivi se non nello stesso contesto in cui sono nati, ovvero quello normativo, magari in occasione dell’imminente riforma degli organi collegali della Scuola.
Vale comunque la pena di sottolineare che, pur non essendo citata l’espressione “vicario”, l’art. 31 mette comunque a disposizione del dirigente scolastico due collaboratori di sua libera scelta, retribuibili con
i finanziamenti a carico del fondo d’istituto, sia pure mediante contrattazione. Particolarmente innovativo è poi l’art.
33 che estende al personale docente, in servizio a tempo indeterminato, l’analoga facoltà, già prevista per
il personale ATA, di accettare rapporti di lavoro a tempo determinato in
un diverso ordine o grado di istruzione, o per altra classe di concorso, per
una durata non inferiore ad un anno (questo al fine di non creare turbativa nell’assetto e nello svolgimento dell’anno scolastico).
La facoltà consente al docente,
in sostanza, di provare un diverso impegno di lavoro senza dover ricorrere alla complessa procedura del passaggio di ruolo o peggio, se l’esperienza
si dimostra negativa, all’ancora più complessa procedura di restituzione al ruolo di provenienza.
Le disposizioni contrattuali relative
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al personale ATA hanno compiutamente definito un quadro innovativo che era stato iniziato già col CCNL 26-5-1999.
I criteri d’impostazione partono dall’oggettiva considerazione della diversità esistente tra la professionalità docente e quella ATA.
La prima è peculiare del comparto scuola e non ha possibile comparazione in nessun altro comparto contrattuale pubblico, la seconda professionalità invece è molto simile a quella
dei dipendenti ministeriali.
L’atto di indirizzo del quadriennio 2002- 2005 per il comparto scuola ha comunque dato indicazione sia
di tenere distinta la normativa specifica dei docenti da quella degli ATA sia
di valorizzare le peculiarità delle due professioni, soluzione questa che,
in attesa di un maggior approfondimento della questione, appare di giusto equilibrio.
In tale contesto, pertanto, il periodo di prova del personale ATA è stato
adeguato nella durata a quello previsto per il personale del comparto ministeri: due mesi per le professionalità più basse e quattro mesi per quelle più alte. Con l’art. 46, e con le tabelle C e C1,
si è, poi, completato un sistema classificatorio del personale ATA e si sono definiti, all’art. 47, percorsi
di mobilità professionale sia orizzontale che verticale tra le 11 professionalità ATA esistenti che sono state ripartite
in cinque aree professionali.
Si sono superate le rigide ed analitiche declaratorie delle mansioni afferenti le singole professionalità per andare
a definire delle professionalità di area, sintetiche, che accentuano il carattere di polivalenza e di flessibilità nell’impiego del personale ATA.
Per accrescere, inoltre, la possibilità di mobilità del personale ATA,
e quindi dare modo a ciascuno
di trovare una collocazione per sé più soddisfacente, si è perfezionato l’art. 58, creato dalla sequenza contrattuale 8-3-2002, che consente a questi lavoratori di accettare, nell’ambito
del comparto scuola e ove ne abbiano titolo, rapporti di lavoro a tempo determinato per un minimo di un anno scolastico, mantenendo “dormiente”,
a zero assegni e per tre anni,
il precedente rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
In tal maniera viene positivamente sciolto il dilemma che capitava a molti ATA i quali, per guadagnare subito, accettavano la prima possibilità
di impiego, anche se non molto qualificato; su questo posto ottenevano poi la nomina a tempo indeterminato
e talora, in un secondo momento, gli veniva offerta la nomina a tempo determinato su un profilo lavorativo di maggior prestigio.
A questo punto si apriva per costoro
il dilemma di scegliere tra il licenziarsi per assumere il nuovo incarico riaffrontando tutta la lunga trafila, comprendente il superamento
di un nuovo periodo di prova, per divenire nuovamente a tempo indeterminato su un migliore lavoro, oppure restare sul lavoro di basso profilo a tempo indeterminato senza correre alcun rischio.
L’art. 58 del presente CCNL è pensato per permettere al lavoratore ATA
di conseguire un più alto profilo di lavoro minimizzando il rischio del cambiamento.
Si è stabilito che il rapporto di lavoro a tempo determinato deve avere
la durata minima di un anno scolastico per evitare spezzettamenti incongrui
e organizzativamente dannosi per il rapporto di lavoro.
L’interessato abbandona i diritti
e i doveri che gli competevano per il rapporto di lavoro che diviene
“dormiente”, per sottoporsi “in toto” alla disciplina del nuovo rapporto
di lavoro a tempo determinato, con ciò
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evitando anche possibili successivi equivoci circa il trattamento previdenziale e di quiescenza spettante per tale periodo.
L’art. 60 è anch’esso ideato per consentire al personale ATA il conseguimento della migliore collocazione possibile nell’ambito delle norme legislative
e contrattuali vigenti. Concettualmente questo articolo consente l’operazione inversa a quella consentita dal precedente art.58:
il lavoratore può chiedere in qualsiasi momento la restituzione ad una precedente e più bassa qualifica lavorativa.
In questo caso l’interesse del lavoratore può dipendere dal fatto che
il precedente impiego avesse una sede di lavoro oggi preferibile per l’interessato.
Il provvedimento è disposto
dal Direttore generale della regione di ultima titolarità nella precedente qualifica ed ha decorrenza dall’anno scolastico successivo a quello in cui
viene formulata l’istanza, onde evitare, anche in questo caso, uno spezzettamento del rapporto
di lavoro non funzionale alle esigenze della scuola.
Xxxxxxxx Xxxxxxxx
Direttore Generale
Servizio Contrattazione ARAN
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CCNL SCUOLA. ASPETTI RETRIBUTIVI
L’intesa raggiunta sul Comparto Scuola conferma, nella sostanza, l’intenzione di attribuire,
alla contrattazione che si svolge sul luogo di lavoro, buona parte
dei compiti in materia di definizione di istituti retributivi che, da sempre, hanno formato oggetto di confronto e decisione presso l’amministrazione centrale. In realtà il recente passato è stato caratterizzato dalla spinta
a regolare la maggior parte
degli istituti tra il contratto nazionale ed il contratto collettivo nazionale integrativo. La scuola, infatti,
si è prestata ad una maggiore centralizzazione dei livelli decisionali proprio perché possiede ben due livelli di contrattazione nazionale.
L’ipotesi siglata affronta questo problema indicando anche una soluzione.
In sostanza il contratto nazionale collettivo resta a svolgere la funzione di regolazione dei diritti essenziali e delle politiche retributive definite sulla base dell’accordo di luglio ’93, mentre il contratto collettivo
integrativo nazionale si svuota quasi del tutto per lasciare spazio,
in piccola parte, alla contrattazione regionale e, in larga parte, a quella integrativa cioè di singolo posto
di lavoro.
Tale scelta è apparsa inevitabile dopo la sofferta decisione di formare le rappresentanze sindacali unitarie presso ciascuna istituzione scolastica. Peraltro da diversi anni veniva invocato un ruolo più autonomo della scuola la cui realizzazione passa anche attraverso la disponibilità di più significative leve gestionali che i contratti collettivi di lavoro dovevano assicurare.
Un passo, senza dubbio importante, appare, in ogni caso, lo snellimento del contratto nazionale integrativo, poiché la recente esperienza aveva mostrato scarsi vantaggi sia per
il datore sia per le XX.XX., dovendosi entrambi sottoporre a faticose trattative in cui si dovevano contemperare esigenze generali con soluzioni molto specifiche
e riferite a modeste realtà operative. Evidentemente lo smantellamento di tale livello di contrattazione implica una serie di conseguenze
in ordine alla nuova architettura del processo di negoziazione cui deve collegarsi una coerente
distribuzione delle risorse finanziarie occorrenti a sostenere gli accordi, di volta in volta, raggiunti.
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Vale la pena ricordare che il contratto integrativo del 31 agosto 1998, il più rilevante sottoscritto presso
il Ministero dell’Istruzione, definiva con esattezza importi pro-capite, criteri e modalità di erogazione delle più rilevanti componenti retributive, quali le cosiddette funzioni obiettivo. Stabiliva altresì, con altrettanta precisione, (poi si è rivelata troppa), anche criteri e misure del compenso che doveva premiare i docenti che fossero risultati vincitori di una complessa ed articolata selezione.
Inoltre al predetto contratto spettava il compito di identificare il volume delle risorse che alimentavano
il fondo d’istituto attraverso dei parametri definiti omogeneamente per tutte le scuole, salvo taluni correttivi posti a salvaguardia di alcune più complesse situazioni lavorative
(es. insegnamento nelle carceri o negli ospedali).
In buona sostanza veniva consegnato al Direttore scolastico un prodotto la cui applicazione comportava modesti margini discrezionali.
Dopo la valorizzazione del contratto integrativo a livello di istituto,
e quindi l’avvio delle rappresentanze sindacali unitarie, si è riempito
il contenitore delle materie
da regolare, lasciando altresì margini applicativi alle parti in modo da rendere le scelte negoziali più aderenti
alle singole realtà lavorative, anche attraverso un processo di formazione delle volontà di tipo negoziato.
Per attuare questo cambiamento sono stati necessari interventi
di modifica del sistema di formazione dei fondi d’istituto in modo che già il contratto collettivo nazionale indicasse ai singoli istituti come procedere per la quantificazione delle risorse loro necessarie senza dover attendere, come accadeva
in precedenza, un ulteriore contratto integrativo.
Per la verità il processo di modifica sconta una prima fase intermedia nella quale coesistono regole “vecchie” e regole “nuove” per
la formazione del fondo d’istituto. Infatti, per non alterare delicati equilibri esistenti, il fondo sarà alimentato dalle medesime risorse che già, in applicazione del contratto integrativo nazionale del 1998,
lo finanziavano, aggiungendo ad esse le risorse dei due contratti 2000-2001 e 2002-2003, attraverso quote individuali definite a livello nazionale. Questa soluzione “ponte” permetterà di velocizzare l’avvio della contrattazione nel prossimo anno scolastico nella consapevolezza che, con maggiore conoscenza di dati,
già dal prossimo biennio contrattuale sarà possibile individuare nuovi e più articolati parametri di finanziamento che sostituiranno quelli transitoriamente definiti.
Anche una grandissima parte
di istituti contrattuali che riguardano il salario accessorio, in precedenza disciplinati nell’integrativo nazionale, sono stati ricollocati.
Alcuni nel contratto nazionale (quelli più consolidati e generalmente utilizzati quali ore eccedenti, indennità di bilinguismo), altri
nel contratto integrativo quali
i compensi per le attività aggiuntive deliberate dal Consiglio di circolo o d’istituto nell’ambito del POF.
Xxxxxx Xxxxxxxxxx Direttore Generale Servizio Studi ARAN
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I LAVORI
DELLA CONVENZIONE ULTIMI AGGIORNAMENTI: LE POLITICHE SOCIALI
GENESI E COMPOSIZIONE
La dichiarazione di Laeken sul futuro dell’Unione Europea, frutto dell’omonimo Vertice Europeo
del Dicembre 2001, conteneva quattro interrogativi fondamentali:
1. Il primo concerneva la necessità di semplificazione degli attuali Trattati, ponendo al centro dell’attenzione il dibattito circa l’opportunità di mantenere la
distinzione tra comunità ed Unione, nonché la struttura in tre pilastri, che ne è diretta conseguenza;
2. Il secondo, che discendeva dal primo, riguardava la necessità di un’eventuale ristrutturazione dei Trattati
e la necessità di stabilire
una puntuale distinzione fra trattato di base e altre disposizioni
del trattato, concretizzando tale distinzione in una scissione
dei testi: scissione che porterebbe con sé una distinzione fra
le procedure di modifica
e di ratifica del trattato di base e delle altre disposizioni;
3. Il terzo si incentrava sull’integrazione, all’interno del Trattato di base,
della Carta dei diritti fondamentali.
4) Il quarto ed ultimo affrontava
l’eventualità che il completamento dei processi, esposti nei tre punti precedenti, potesse portare
alla creazione di un testo costituzionale interrogandosi, nel caso affermativo, su natura e contenuti di tale testo.
È a questa complessa serie d’interrogativi che sta cercando di rispondere
la Convenzione sull’avvenire dell’Europa, che ha iniziato i propri lavori ai primi
di marzo 2002, e che ha ricevuto proprio dalla Dichiarazione di Xxxxxx un preciso mandato ad agire,
una struttura ed una composizione.
Si tratta di un organo a rappresentanza mista, composto da:
- un Presidente (X. Xxxxxxx x’Xxxxxxx) e due Vicepresidenti (X. Xxxxx e
J.L. Dehaene);
- 102 membri, ripartiti tra rappresentanti dei governi dei paesi membri e di quelli aderenti, rappresentanti del parlamento europeo e rappresentanti
dei parlamenti nazionali dei paesi membri e dei paesi aderenti;
- 12 osservatori, ripartiti tra
il Comitato Economico e Sociale, il Comitato delle Regioni
ed i partners sociali europei.
Ruolo di particolare impulso è poi svolto dal Praesidium, composto
dal Presidente ed i due Vicepresidenti, nonché dai rappresentanti di tutti
i governi cui è stata conferita la Presidenza dell’Unione durante i lavori
della Convenzione (quindi, sino ad oggi, Spagna, Danimarca e Grecia), da due
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rappresentanti dei parlamenti nazionali, due del Parlamento europeo e due della Commissione.
Ad ogni riunione è poi invitato un membro della Convenzione designato
dai rappresentanti dei paesi aderenti. Merito principale di questo organo, grazie anche all’ampia gamma di poteri e funzioni conferitigli dalla Dichiarazione di Laeken, è stato quello di assicurare un notevole coordinamento dei lavori, evitando così di ridurre la “macchina Convenzione” ad un vuoto
ed inconcludente assemblearismo: pericolo, questo, inizialmente paventato da molti, soprattutto
in considerazione dell’ampiezza del dibattito e dei suoi attori.
Un’ampiezza, peraltro, favorita
dal Praesidium stesso, che ha da subito cercato un forte coinvolgimento
del Forum, tramite il quale le più svariate voci della società civile (parti sociali, ambienti economici, organizzazioni non governative,
ambienti accademici ecc…), possono portare un contributo più o meno diretto all’andamento del dibattito.
Un ruolo più organico e sistematico di quello del Forum è poi stato svolto dagli 11 Gruppi di Lavoro creati all’interno della Convenzione,
e composti in massima parte dai convenzionali stessi, al fine di approfondire temi specifici della riforma dei Trattati.
Quest’ultima, è bene ricordarlo, è solo il punto di partenza, o meglio
lo strumento attraverso cui
la Convenzione intende raggiungere il suo obiettivo finale, in linea
con le prospettive emerse a Laeken.
L’elaborazione, cioè, di un vero
e proprio testo costituzionale, che riunisca disposizioni che oggi riguardano in modo distinto Comunità ed Unione.
TRATTATO CHE ISTITUISCE
UNA COSTITUZIONE PER L’EUROPA
In virtù della metodologia di lavoro fissata dai convenzionali nella sessione d’apertura, la redazione del Trattato
Costituzionale si compone di tre fasi.
1. Fase di ascolto, che comporta l’individuazione delle attese
e delle esigenze degli Stati membri, dei loro governi e parlamenti, nonché di quelle della società europea nel suo complesso,
2. Fase di riflessione, incentrata
sul confronto delle diverse opinioni formulate e sulla valutazione
della loro portata e conseguenze,
3. Fase propositiva, cioè di sintesi e di elaborazione di proposte.
Attualmente, la Convenzione si trova nel pieno della terza fase, prodromica all’elaborazione di quel testo definitivo che sarà oggetto di studio della prossima Conferenza Intergovernativa, in seno alla quale la nuova Unione Europea verrà finalmente alla luce.
Le accese polemiche che stanno caratterizzando l’elaborazione
del testo, del tutto comprensibili data la complessità del tema trattato, fanno da più parti dubitare che i convenzionali possano rispettare i tempi inizialmente prefissatisi.
In base a questi ultimi, il testo completo e “definitivo”, cioè comprensivo
di una rielaborazione dettata
dai molteplici emendamenti proposti, dovrebbe essere presentato nel corso del Vertice Europeo che si terrà
a Salonicco il 20 Giugno, a conclusione della Presidenza greca.
Nonostante il rispetto di queste scadenze si prospetti quantomeno improbabile, la Convenzione,
ed in particolare il suo Presidente, restano fiduciosi. Infatti, nel corso dell’ultima sessione plenaria, svoltasi il 15 e 16 maggio, è stata ribadita l’intenzione del Praesidium
di presentare un testo finale davanti alla plenaria del 30 e 31 maggio,
e di consacrare la plenaria del 5-6 e 7
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giugno all’esame degli emendamenti presentati a questa prima versione finale. Il tutto nell’intento di arrivare
a Salonicco con un elaborato definitivo.
Pressoché definitiva è invece
la struttura del nuovo Trattato, così come presentata il 28 ottobre 2002. In base a questo primo “scheletro”, la Costituzione sarà composta da tre Parti principali.
• Una Parte I, suddivisa in 10 Titoli, dedicata ai principi fondamentali dell’Unione, alle sue istituzioni
e competenze, nonché agli aspetti finanziari,
• Una Parte II, suddivisa in sei Capi dedicati alle Politiche dell’Unione, più un Titolo specifico dedicato allo Spazio di libertà, sicurezza
e giustizia, suddiviso a sua volta in quattro Capi dedicati ai singoli aspetti di politiche giudiziarie,
di polizia (ecc…),
• Una Parte III, dedicata alle Disposizioni generali e finali, tra cui vengono inseriti due principi cardine del diritto comunitario: quello di sussidiarietà e quello
di proporzionalità.
Nella fase attuale, gli sforzi dei convenzionali e del Forum nella sua quasi totalità sono concentrati
sulla Parte I, ed in particolare sul Titolo IV, dedicato alle Istituzioni dell’Unione. L’ultima sessione plenaria ha rispecchiato pienamente i dibattiti sulla questione che sembra aver irrimediabilmente catalizzato l’attenzione di tutta la “macchina convenzione” nell’ultimo periodo:
criteri elettivi e turn over della Presidenza del Consiglio, ovvero l’eterna lotta
tra Stati membri “grandi” e Stati membri “piccoli”.
È ormai a tutti noto, infatti, che la proposta di sostituire l’attuale Presidenza
a rotazione del Consiglio Europeo con
una presidenza stabile dal mandato pluriennale, ha incontrato una notevole resistenza da parte degli Stati membri più piccoli, convinti che conseguenza diretta di questo cambiamento sia
una diminuzione del loro peso politico all’interno dell’Unione.
Oltre a considerare l’impossibilità
di mantenere l’attuale metodo del turn over semestrale in un’Unione
a venticinque, è necessario notare la sterilità della diatriba, che sta
pressoché monopolizzando il dibattito, a discapito di questioni forse più concrete, quali le competenze dell’Unione, sempre per restare
nella Parte I della proposta di testo costituzionale, o le singole politiche dell’Unione, analizzate nella Parte II.
I sostenitori dello squilibrio derivante da una Presidenza “permanente”
si basano principalmente sull’argomentazione che tale carica sarebbe praticamente sempre ricoperta da un rappresentante di uno Stato “grande”. Argomentazione che
ad una lettura superficiale può sembrare del tutto valida.
Ma nel momento in cui si considera che un eventuale Presidente
del Consiglio permanente dovrebbe essere eletto, secondo la proposta di testo costituzionale, tramite
una maggioranza qualificata, la validità della suddetta tesi rimane irrimediabilmente viziata, come viene messo in luce da due esponenti
di spicco dell’European Policy Center: Xxx Xxxxxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxx.
In base all’acuta analisi di questi due autori, dovendo definire il criterio della maggioranza qualificata come una “doppia maggioranza”, derivante dalla combinazione degli Stati membri e della popolazione, è matematicamente impossibile che i sei Stati più “grandi” possano imporre i loro candidati.
Per farlo, in un’Unione a venticinque, necessiteranno del voto di almeno sette Stati “piccoli”.
Un ipotetico candidato di uno Stato “piccolo”, per contro, dovrebbe scendere a compromessi con Stati “grandi” per superare l’“ostacolo popolazione”.
Quindi, il criterio elettivo della
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maggioranza qualificata sarebbe
in grado di esercitare in questo ambito, anche se sotto prospettive diverse, quello stesso ruolo di bilanciamento esercitato attualmente dal metodo della ponderazione dei voti.
Nel tentativo, in entrambi i casi, di riunire in un unicum i criteri
della sovranità statale e della popolazione. Inoltre, e molto più semplicemente, non si vede perché i diversi candidati dovrebbero essere presentati separatamente dai “grandi”
e dai “piccoli” Stati. Se così fosse,
si tratterebbe senza dubbio di un fattore del tutto nuovo, dato che una tale dinamica non ha mai caratterizzato l’elezione del Presidente della Commissione Europea, dove criterio
di designazione chiave è sempre stato il forte impegno dimostrato
dal candidato nel processo di integrazione europea, nonché la sua “accettabilità” da parte del più grande numero di Stati membri. E quest’ ultima caratteristica
si è molto spesso riscontrata presso candidati provenienti da Stati più piccoli, proprio in quanto capaci
di rappresentare un compromesso all’interno di quelle “lotte intestine” che caratterizzeranno l’Unione,
fin tanto che quest’ultima, in quanto tale, non sarà effettivamente più “forte” della somma di Stati di cui è composta. E, per finire, secondo la formulazione proposta dal Praesidium, un eventuale Presidente del Consiglio permanente dovrebbe essere, o essere stato
per almeno due anni, un membro del Consiglio europeo. Implicazione pratica di questa condizione è che, ricollegandosi a quanto sopra detto,
i membri provenienti da stati “piccoli” sono sovrarappresentati in una rosa di ipotetici candidati.
LE POLITICHE SOCIALI
Come accennato precedentemente, le questioni di ordine istituzionale hanno pressoché monopolizzato l’agenda delle ultime sessioni plenarie della Convenzione.
Ciò a discapito di questioni più specifiche, quali possono essere quelle
scaturenti dall’analisi della Parte II del Trattato costituzionale, dedicata alle Politiche dell’Unione.
Tra queste, un ruolo mai sufficientemente centrale è conferito alla Politica Sociale. Basti notare che ad essa non è dedicato un Capo autonomo, come nel caso della politica economica e monetaria
o del mercato interno.
La Politica Sociale è, infatti, inserita
nel Capo dedicato alle “Politiche in altri settori specifici”, dove politiche sociali, agricoltura e pesca, politiche dei consumatori, dei trasporti (ecc…) vengono confusamente messe
sullo stesso piano.
Il tentativo di ricavare uno spazio più ampio in favore di questo settore, rende necessario abbandonare una pura analisi strutturale, spostandosi su un’ottica di più ampio respiro, tale da coinvolgere la dimensione sociale dell’Unione generalmente intesa.
In tal modo, è possibile procedere su due binari paralleli: quello
dei principi fondamentali dell’Unione, contenuti nel preambolo del futuro Trattato costituzionale, e quello
della Politica Sociale strictu senso. Quanto al primo aspetto, è indubbio che la creazione di una Costituzione europea porterà nuovo slancio
ai diritti sociali.
In tal senso, un ruolo fondamentale è rappresentato dall’inserimento
nel testo della Carta dei diritti fondamentali firmata a Nizza,
che in tal modo acquisterà pieno valore giuridico.
Tale inserimento, intorno al quale era incentrato uno degli interrogativi posti dalla Dichiarazione di Laeken, è divenuto ormai un dato certo, anche grazie al notevole contributo apportato in tale direzione dal Gruppo di Lavoro II ”Integrazione della carta/adesione alla CEDU (Convenzione Europea
dei Diritti dell’Uomo)”.
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Nella relazione finale del gruppo, pubblicata il 22 ottobre 2002, emerge chiara la necessità di un’integrazione a pieno titolo del testo, nella sua interezza, nel Trattato.
Il conferimento ai diritti fondamentali, tra cui quelli prettamente sociali, rivestono un ruolo di prim’ordine,
di una forza giuridicamente vincolante,
rappresenta senza dubbio un passo fondamentale nell’affrancamento delle politiche sociali da quelle economiche. Permette inoltre di fornire al Trattato quell’approccio omnicomprensivo
e di sintesi che sta alla base
della redazione della Carta di Nizza. La quale, è bene ricordarlo, non contiene la codificazione di nuovi diritti, non ancora riconosciuti a livello europeo, bensì semplicemente
la creazione di un catalogo compiuto di quelli già esistenti.
Passando al secondo aspetto, cioè quello delle politica sociale prettamente
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intesa, il bilancio non è altrettanto positivo. Basti pensare che il Gruppo di lavoro XI “Europa sociale”, presieduto dal Greco Katiforis, è stato l’ultimo dei gruppi
di lavoro creati all’interno
della Convenzione a vedere la luce, nel dicembre 2002. Grazie, peraltro, alle enormi pressioni esercitate in tal senso dall’insieme degli attori implicati nelle politiche sociali a livello europeo, tra cui i tre partners sociali intercategoriali (CES, UNICE/UEAPME e CEEP) che rivestono ovviamente
un ruolo di prim’ordine.
Il gruppo, cui è stato conferito un solo mese di tempo per portare a termine
i propri lavori, ha elaborato
una relazione finale xxxxxx quanto alle aspettative degli attori sociali riguardo al Trattato costituzionale.
Il documento, pubblicato il 4 febbraio 2003, enuncia, infatti, una precisa serie di obiettivi, il cui inserimento o meno nel Trattato costituzionale rappresenterà la cartina di tornasole in ordine al grado di ascolto, da parte dei convenzionali, della voce
e delle prerogative degli attori sociali.
Volendo sinteticamente passare in rassegna le priorità avanzate
dal Gruppo “Europa sociale”, si noti in particolare:
• Quanto ai valori, la richiesta di inserimento nell’art. 2
del Trattato, oltre che del valore della dignità umana, di quelli della giustizia sociale,
della solidarietà e dell’uguaglianza, in particolare sotto l’ottica
della parità tra uomini e donne;
• Quanto agli obiettivi sociali dell’Unione, la richiesta
di inserimento nell’art. 3
del Trattato di alcuni principi cardine della Politica Sociale, tra cui basti citare la piena occupazione,
la giustizia e pace sociale,
lo sviluppo sostenibile, la coesione economica, sociale e territoriale;
• Quanto alle competenze dell’Unione in materia sociale, la richiesta di un ampliamento di quelle attuali, anche se
complessivamente reputate adeguate.
Il Gruppo chiede in particolare un’estensione delle competenze dell’Unione nel settore della sanità pubblica, nonché un’estensione dell’ambito d’azione ex art. 16 TCE, dedicato ai servizi d’interesse generale;
• Quanto alle parti sociali, la richiesta di un espresso riconoscimento
del loro ruolo all’interno
del Trattato costituzionale, tramite l’inserimento di disposizioni adeguate sulla loro consultazione, nonché attraverso il potenziamento delle modalità attuali per la negoziazione dei contratti collettivi.
L’esame degli emendamenti al testo presentato il 30 maggio è attualmente in corso. È quindi prematuro valutare se il Gruppo di Lavoro “Europa Sociale” ha effettivamente inciso sulla redazione della futura Costituzione Europea.
È in ogni caso auspicabile che i Convenzionali possano arrivare al vertice di Salonicco del 20 Giugno con un testo organico, tale da creare una base di lavoro univoca per la Conferenza Intergovernativa, che inizierà i suoi lavori a fine Xxxxxxx, nel quadro della Presidenza italiana.
Xxxxxxx Xxxxxxxx
CEEP di Bruxelles
(Contiamo di tenervi aggiornati sull’evoluzione della situazione.)
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EVENTO CONTENUTO/NOTE |
25 marzo 2003 L’interpretazione autentica è stata richiesta dal Tribunale Comparto Ministeri di Bari – Sezione lavoro. Verbale della riunione La questione concerne l'interpretazione autentica per l'interpretazione del CCNL del 16 febbraio 1999, e in particolare autentica dell'articolo 33 dell'art. 33 che, tra l'altro, attribuisce ai dipendenti del CCNL 1998-2001 dell'ex Ministero dei trasporti e della navigazione, sottoscritto il 16 febbraio a parità di livello contrattuale, indennità 1999 per il personale di amministrazione di diverso importo, con particolare dei livelli riferimento all'art. 45 del D.Lgs. n. 165/2001 in cui Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx si prevede che "le pubbliche amministrazioni garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale". Considerato che la sigla sindacale CGIL/FP ha dichiarato la propria indisponibilità, in linea di principio e per tutti i comparti, a partecipare alle trattative per le interpretazioni autentiche e che tale presa di posizione costituisce di fatto un impedimento al raggiungimento dell’accordo di interpretazione autentica in questione, in considerazione del fatto che il Consiglio di Stato, nel parere n. 955 del 2001, ha ritenuto che i suindicati accordi interpretativi, ai fini della loro validità, devono essere sottoscritti all’unanimità da tutte le parti che hanno a suo tempo stipulato il contratto collettivo da interpretare. L’ARAN, pertanto, ha attestato la sussistenza del mancato accordo. |
25 marzo 2003 L’interpretazione autentica è stata richiesta dal Tribunale Comparto Ministeri civile di Roma – Sezione lavoro. Verbale della riunione La questione concerne l'interpretazione autentica per l'interpretazione del CCNL del 16 maggio 1995, e in particolare, autentica dell'articolo 21, con riferimento all'art. 21, commi 1 e 7, se ai fini commi 1 e 7, del CCNL della maturazione del periodo di 18 mesi in cui 1994-1997 sottoscritto il il dipendente mantiene il diritto alla conservazione 16 maggio 1995 per il del posto (comma 1) e delle conseguenti personale dei livelli decurtazioni stipendiali (comma 7), xxxxxxx Xxxx xxx.xxxxxxxxxxx.xx sommarsi tutte le assenze per malattia intervenute nei tre anni precedenti l'episodio morboso, anche non continuative ed al di fuori del periodo di vigenza del CCNL, con la conseguenza che, al di fuori di tale vigenza, ogni nuova assenza del lavoratore debba essere considerata "nuova" rispetto alle precedenti e quindi assoggettata ad un regime più favorevole. Considerato che: - erano assenti le Confederazioni e Organizzazioni Sindacali: CGIL, CGIL/FP, UIL, UIL/PA, RDB/CUB, CIDA, USPII; - la sigla sindacale CGIL/FP ha dichiarato la propria indisponibilità, in linea di principio e per tutti i comparti, a partecipare alle trattative per le |
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EVENTO CONTENUTO/NOTE |
interpretazioni autentiche e che tale presa di posizione costituisce di fatto un impedimento al raggiungimento dell’accordo di interpretazione autentica in questione, in considerazione del fatto che il Consiglio di Stato, nel parere n. 955 del 2001, ha ritenuto che i suindicati accordi interpretativi, ai fini della loro validità, devono essere sottoscritti all’unanimità da tutte le parti che hanno a suo tempo stipulato il contratto collettivo da interpretare. L’ARAN, pertanto, ha attestato la sussistenza del mancato accordo. |
25 marzo 2003 L’interpretazione autentica è stata richiesta dal Tribunale Comparto Ministeri di Padova – Sezione lavoro. Verbale della riunione La questione concerne l'interpretazione autentica per l'interpretazione del CCNL del 16 febbraio 1999 e in particolare, con autentica dell'articolo 1, riferimento al rinvio ad eventuali successive norme comma 2, del CCNL 1998- di raccordo operato dall'art. 1, comma 2, 2001 sottoscritto il 16 l'individuazione della disciplina da applicare agli febbraio 1999 per il ufficiali giudiziari per quanto riguarda gli istituti personale dei livelli dell'orario di lavoro, delle mansioni, dei recuperi o Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx riposi compensativi, dell'orario plurisettimanale, delle pause e dei turni di reperibilità e dei buoni pasto. Considerato che: - erano assenti le Confederazioni e Organizzazioni sindacali: CGIL, XXXX/XX, XXX, XXX/XX, XXX/XXX, XXX/XX; - la sigla sindacale CGIL/FP ha dichiarato la propria indisponibilità, in linea di principio e per tutti i comparti, a partecipare alle trattative per le interpretazioni autentiche e che tale presa di posizione costituisce di fatto un impedimento al raggiungimento dell’accordo di interpretazione autentica in questione, in considerazione del fatto che il Consiglio di Stato, nel parere n. 955 del 2001, ha ritenuto che i suindicati accordi interpretativi, ai fini della loro validità, devono essere sottoscritti all’unanimità da tutte le parti che hanno a suo tempo stipulato il contratto collettivo da interpretare. L’ARAN, pertanto, ha attestato la sussistenza del mancato accordo. |
25 marzo 2003 L’interpretazione autentica è stata richiesta dal Tribunale Comparto Ministeri di Reggio Calabria – Sezione lavoro. Verbale della riunione La questione concerne l'interpretazione autentica per l'interpretazione del CCNL del 16 febbraio 1999, e in particolare, con autentica dell'articolo 15, riferimento all'art. 15, B), lettera b) e all'art. 20, A) B), lett. b) e 20, A) del "se tali clausole escludono o meno preselezioni |
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EVENTO CONTENUTO/NOTE |
CCNL 1998 - 2001 informate a criteri non coincidenti con quelli sottoscritto il 16 febbraio previsti dal citato art. 15, B), lett. b)". 1999 per il personale dei Considerato che: livelli - erano assenti le Confederazioni e Organizzazioni Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx sindacali: XXXX, XXXX/XX, XXX, XXX/XX, XXX/XXX, XXX/XX; - la sigla sindacale CGIL/FP ha dichiarato la propria indisponibilità, in linea di principio e per tutti i comparti, a partecipare alle trattative per le interpretazioni autentiche e che tale presa di posizione costituisce di fatto un impedimento al raggiungimento dell’accordo di interpretazione autentica in questione, in considerazione del fatto che il Consiglio di Stato, nel parere n. 955 del 2001, ha ritenuto che i suindicati accordi interpretativi, ai fini della loro validità, devono essere sottoscritti all’unanimità da tutte le parti che hanno a suo tempo stipulato il contratto collettivo da interpretare. L’ARAN, pertanto, ha attestato la sussistenza del mancato accordo. |
25 marzo 2003 Il CCNL sull’interpretazione autentica dell’art. 17 Comparto Ministeri del CCNL 16 febbraio 1999 è stata richiesta, ai sensi CCNL dell’art. 64 del D.Lgs. n. 165/2001, dal giudice sull'interpretazione del lavoro del Tribunale ordinario di Venezia. autentica dell'art 17 del La controversia è rivolta ad appurare le motivazioni CCNL 1998-2001 per le quali non sono stati previsti sviluppi sottoscritto in data 16 economici “super” per le posizioni economiche B1 febbraio 1999, e B2, escludendo di fatto i dipendenti ivi inquadrati concernente la mancata dalla possibilità di attribuzione degli stessi. previsione degli sviluppi Con l’interpretazione autentica le parti hanno economici denominati confermato che gli sviluppi super sono previsti solo "super" nelle posizioni per le posizioni economiche A1, B3, C1, e C3, economiche B1 e B2 dei per i quali sono definiti i relativi trattamenti livelli economici individuati nelle Tabelle E ed F allegate Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx al CCNL medesimo, come incrementati dal CCNL per il secondo biennio economico 2000-2001 per il personale dei Ministeri sottoscritto il 21 febbraio 2000. |
7 aprile 2003 Il giudice del Tribunale del lavoro di Palmi ha chiesto Comparto Scuola all’ARAN l’interpretazione autentica dell’articolo Interpretazione autentica in oggetto a seguito del ricorso promosso dell'articolo 23 del CCNL da un responsabile amministrativo presso una scuola 4.8.1995 richiesta dal media statale. Giudice del lavoro di La dipendente, in considerazione delle patologie Palmi sofferte, proponeva istanza di risoluzione Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx del rapporto di lavoro per motivi di salute. Sottoposta agli accertamenti medico-legali dalla Commissione competente, è stata riconosciuta “affetta da infermità non dipendente da causa di servizio che costituisce impedimento |
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permanente al servizio”. Il Provveditorato agli studi ha decretato risolto il rapporto di lavoro per inabilità assoluta con decorrenza immediata ai sensi dell’art. 512 del D.Lgs. n. 297/94. La ricorrente ha allora richiesto che le venisse liquidata l’indennità sostitutiva del preavviso come previsto dall’articolo 23 del CCNL 4.8.95. L’ARAN e le Confederazioni e Organizzazioni Sindacali hanno concordato che ”l’istituto giuridico della dispensa dal servizio per assoluta e permanente inidoneità fisica a svolgere qualsiasi proficuo lavoro, previsto dall’articolo 512 del Testo Unico 297/1994, non è stato disapplicato dall’articolo 23, commi 1, 2, 3 e 4 del CCNL 4 agosto 1995. Infatti questo articolo ha solo stabilito, aggiuntivamente rispetto al dettato del 512, che, ricorrendo l’ipotesi, si paghi al lavoratore l’indennità sostitutiva del preavviso. |
8 aprile 2003 L’ARAN e le Confederazioni e Organizzazioni Comparto Scuola Sindacali rappresentative, su richiesta del Giudice Interpretazione autentica del lavoro del Tribunale di Milano, hanno sottoscritto concernente l'esistenza l’accordo di interpretazione autentica prendendo dell'area quadri nel atto che nel vigente CCNL, allo stato, non è né Comparto Scuola prevista, né disciplinata la categoria “quadri”, così relativo al personale dei come in ogni altro comparto del pubblico impiego. livelli nel CCNL 1998-2001 Al giudice, infatti, si era rivolta una dipendente Xxxx xxx.xxxxxxxxxxx.xx con qualifica di direttore dei servizi generali ed amministrativi per l’accertamento del diritto ad essere inquadrata nella categoria “quadro” |
17 aprile 2003 Il protocollo siglato istituisce il Comitato paritetico Accordi quadro per la certificazione dei dati elettorali ed associativi Protocollo di intesa per delle Organizzazioni Sindacali ai fini la costituzione dell'accertamento della rappresentatività. ed il funzionamento Il Comitato paritetico è un organismo bilaterale Aran del Comitato paritetico - Sindacati, composto da rappresentanti della parte di cui all'art. 43 pubblica e delle Organizzazioni Sindacali ammesse del D.Lgs. n. 165/2001 alla contrattazione collettiva nazionale. Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx I componenti sono designati per la parte pubblica dal legale rappresentante dell'Aran e per la parte sindacale dalle organizzazioni per il tramite delle Confederazioni cui aderiscono. Il Comitato esercita i seguenti compiti: - procede alla certificazione dei dati relativi ai voti e alle deleghe; - delibera, ai fini della misurazione del dato associativo, che non siano prese in considerazione le deleghe di organizzazioni sindacali che richiedono ai lavoratori un contributo economico inferiore di più della metà rispetto a quello mediamente richiesto, per l’area o comparto; - delibera sulle controversie relative alla |
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rilevazione dei voti e delle deleghe effettuate dalle proprie articolazioni di comparto. Le decisioni sono assunte con il voto favorevole di entrambe le componenti (Aran e XX.XX). Qualora emettano voti discordanti è richiesto il parere del CNEL. |
17 aprile 2003 L’ipotesi di accordo sull’interpretazione è stata Accordi quadro richiesta dal Tribunale di Terni – Sezione lavoro. Ipotesi di contratto La questione concerne l'interpretazione dell'art. 18, sulla richiesta di comma 1 del CCNQ del 7 agosto 1998, segnatamente interpretazione autentica sul significato da attribuire all'espressione "altra sede dell'art. 18 del CCNQ del della propria amministrazione", ovvero se con essa 7 agosto 1998 sull'utilizzo si intenda altra Asl del Comparto Sanità oppure altra dei diritti e delle sede della stessa Asl di appartenenza del dipendente. prerogative sindacali Considerato che la logica dell'art. 18 del CCNQ Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx del 7 agosto 1998 è quella di garantire, al dirigente sindacale che riprende servizio al termine del distacco sindacale retribuito o della aspettativa sindacale non retribuita, la più ampia mobilità consentendogli, dietro propria richiesta, di essere trasferito, con precedenza rispetto agli altri eventuali richiedenti, nella sede dove ha svolto attività sindacale purché siano rispettate le condizioni oggettive previste dal comma 1 della norma in esame. Con la presente Ipotesi di accordo le parti hanno affermato che il dirigente sindacale che riprende servizio al termine del distacco o della aspettativa sindacale può, a domanda, essere trasferito, alle condizioni previste dall'art. 18, comma 1, anche in una amministrazione diversa del medesimo comparto di appartenenza. |
7 maggio 2003 L’interpretazione autentica è stata richiesta dal Tribunale Dirigenza Sanità area IV di Trapani – Sezione Lavoro. (medica e veterinaria) I ricorrenti, tutti medici anestesisti e rianimatori, Verbale della riunione chiedono che venga riconosciuto dall'Azienda per l'interpretazione di appartenenza la sussistenza di un diritto autentica dell'art. 16 soggettivo allo svolgimento della prestazione del CCNL 8.6.2000 nelle forme della "pronta disponibilità integrativa", e degli artt. 19 e 20 del indipendentemente dalla dotazione organica CCNL 5.12.1996 dell'area della struttura di appartenenza e dalla sua copertura. della dirigenza medica L'ARAN ha predisposto il testo di una proposta e veterinaria di interpretazione autentica, tale proposta è stata Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx oggetto di ampio dibattito senza che si sia verificato l'unanime consenso delle Organizzazioni Sindacali firmatarie del CCNL (consenso richiesto per l'interpretazione autentica dall'art. 49 del D.Lgs. n. 165/2001), in quanto l'Organizzazione e la Confederazione Sindacale CGIL hanno dichiarato di non voler sottoscrivere la proposta di accordo in questione, al contrario, tutti gli altri |
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sindacati si sono dichiarati favorevoli alla proposta che hanno sottoscritto. Si deve comunque prendere atto che non è stato possibile pervenire al richiesto accordo di interpretazione autentica. L’ARAN, pertanto, ha attestato la sussistenza del mancato accordo. |
7 maggio 2003 Il testo del CCNL integrativo in esame, si configura Dirigenza Sanità area IV quale strumento essenziale per soddisfare (medica e veterinaria) la previsione contenuta nell’art. 63 del CCNL Ipotesi di CCNL sottoscritto l’8 giugno 2000 in cui le parti rinviano integrativo del CCNL ad una fase negoziale successiva la regolamentazione dell'8 giugno 2000 di alcune specifiche materie e si impegnano Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx a ricondurre alla disciplina pattizia, armonica con quella del settore privato, tutti gli istituti ancora regolati da norme pubblicistiche. Con il presente contratto che conclude per l’area della dirigenza medica e veterinaria la stagione 1998–2001, si procede, tra l’altro, al completamento della suddetta operazione dando continuità, in base alla decorrenza delle disposizioni negoziali, ad alcuni istituti relativi alla disciplina del rapporto di lavoro tuttora applicati dalle aziende in virtù degli usi normativi. Ha rivisitato i diritti sindacali (il diritto di assemblea, contributi sindacali ed il patronato sindacale), e la disciplina del rapporto di lavoro (struttura, cause di sospensione, mobilità, formazione e disposizioni di particolare interesse, tra cui particolare riguardo alla ricostituzione del rapporto di lavoro). Il titolo III si apre con il capo I dedicato alla retribuzione e alla sua definizione, alla struttura dello stipendio, al lavoro straordinario e disciplina, inoltre, l’indennità di rischio radiologico, le trattenute per sciopero breve ed i trattamenti di trasferta, di trasferimento e di fine rapporto. Nel Capo II, del Titolo sul trattamento economico, agli artt. 35 e 36 vengono attribuiti ai dirigenti della presente area gli incrementi economici derivanti dall’applicazione dello 0,92% (ottenuto dalla rivisitazione del tasso di inflazione avvenuta ad opera della Legge Finanziaria n. 388 valida per il 2001, e dal riconoscimento dello 0,32 quale anticipo sullo scostamento del tasso di inflazione programmato rispetto ai tassi reali del biennio precedente). Coerentemente con gli incrementi, l’art. 37, destina le risorse residue dopo l’aggiornamento degli stipendi tabellari, al fondo per la retribuzione di posizione etc. L’art. 38, che chiude il Capo, reca clausole integrative ed interpretative del CCNL 8 giugno 2000 che hanno quasi tutte valore di interpretazione |
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EVENTO CONTENUTO/NOTE |
autentica e non comportano spesa ma servono a dare certezza a materie che, in alcuni casi, sono state oggetto di chiarimenti ai quesiti a suo tempo intervenuti, anche al fine di prevenire il contenzioso. Con il Titolo IV, diviso in quattro Capi, vengono disciplinate materie diverse e particolari, in taluni casi per raccordare discipline legislative e contrattuali, in altri per dare continuità di applicazione ad istituti previsti dalla disciplina pubblicistica riconosciuta tuttora valida dalle parti. Ad esempio, l’art. 39 riguarda le modalità di applicazione dei benefici economici previsti da discipline speciali. L’art. 42 risolve il problema delle tabelle di equiparazione del personale dirigenziale transitato alle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente ARPA, previsto dall’art. 1, comma 2 ed art. 62, comma 2 del CCNL 8 giugno 2000, I biennio economico. Ed infine il Capo IV detta le disposizioni finali, tra cui l’art. 43, in armonia con recenti prescrizioni comunitarie, e prevede l’adozione da parte delle Aziende, di un codice di comportamento contro le molestie sessuali nei luoghi di lavoro, fornendo alle stesse, in allegato, un codice-tipo. Infine l’art. 44 si occupa delle norme finali. I commi 2 e 3 assumono una particolare importanza. Nel comma 2 sono segnalati gli articoli per i quali è sancita la decorrenza nell’ambito del biennio contrattuale 2000-2001 (sia pure dal 31 dicembre 2001) al fine di dare continuità e certezza agli istituti in essi regolati, tutti derivanti dalla precedente disciplina pubblicistica, evitando così lacune normative. |
7 maggio 2003 Il testo del CCNL integrativo in esame, si configura Dirigenza Sanità area III quale strumento essenziale per soddisfare la (amministrativa, previsione contenuta nell’art. 64 del CCNL sanitaria, tecnica sottoscritto l’8 giugno 2000 in cui le parti rinviano e professionale) ad una fase negoziale successiva la regolamentazione Ipotesi di CCNL di alcune specifiche materie e si impegnano integrativo del CCNL a ricondurre alla disciplina pattizia, armonica con dell'area della Dirigenza quella del settore privato, tutti gli istituti ancora dei ruoli sanitario, regolati da norme pubblicistiche. professionale, tecnico ed Con il presente contratto, che conclude per l’area amministrativo del SSN della dirigenza ruoli sanitario, professionale, tecnico stipulato l'8 giugno 2000 ed amministrativo la stagione 1998–2001, si procede, Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx tra l’altro, al completamento della suddetta operazione dando continuità, in base alla decorrenza delle disposizioni negoziali, ad alcuni istituti relativi alla disciplina del rapporto di lavoro. Ha rivisitato i diritti sindacali (il diritto di assemblea, contributi sindacali ed il patronato sindacale), e la disciplina del rapporto di lavoro (struttura, |
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cause di sospensione, mobilità, formazione e disposizioni di particolare interesse, tra cui particolare riguardo alla ricostituzione del rapporto di lavoro). Il titolo III si apre con il capo I dedicato alla retribuzione e alla sua definizione, alla struttura dello stipendio, al lavoro straordinario e disciplina, inoltre, l’indennità di rischio radiologico, le trattenute per sciopero breve ed i trattamenti di trasferta, di trasferimento e di fine rapporto. Nel capo II del Titolo sul trattamento economico all’art. 35 vengono attribuiti ai dirigenti della presente area gli incrementi economici derivanti dall’applicazione dello 0,92% (ottenuto dalla rivisitazione del tasso di inflazione avvenuta ad opera della legge finanziaria n. 388 valida per il 2001, e dal riconoscimento dello 0,32 quale anticipo sullo scostamento del tasso di inflazione programmato rispetto ai tassi reali del biennio precedente). Con il Titolo IV, diviso in quattro Capi, vengono disciplinate materie diverse e particolari, in taluni casi per raccordare discipline legislative e contrattuali in altri per dare continuità di applicazione ad istituti previsti dalla disciplina pubblicistica riconosciuta tuttora valida dalle parti . Ad esempio, l ’art. 38 riguarda le modalità di applicazione dei benefici economici previsti da discipline speciali. Con il Capo III, suddiviso negli artt. 41 e 42, viene data concreta applicazione alle disposizioni introdotte dalla legge 10 agosto 2000, n. 251 concernente la “disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della professione ostetrica” Ed infine il Capo IV detta le disposizioni finali, tra cui l’art. 43, in armonia con recenti prescrizioni comunitarie, prevede l’adozione da parte delle Aziende, di un codice di comportamento contro le molestie sessuali nei luoghi di lavoro, fornendo alle stesse, in allegato, un codice-tipo. Infine l’art. 45 si occupa delle norme finali. I commi 1 e 2 assumono una particolare importanza. Nel comma 1 sono segnalati gli articoli per i quali è sancita la decorrenza nell’ambito del biennio contrattuale 2000- 2001 (sia pure dal 31 dicembre 2001) al fine di dare continuità e certezza agli istituti in essi regolati, tutti derivanti dalla precedente disciplina pubblicistica, evitando così lacune normative. |
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EVENTO CONTENUTO/NOTE |
13 maggio 2003 In linea con la nuova legislazione, sono regolati i Comparto Università congedi per maternità e parentali nonché i congedi CCNL relativo per la formazione e l’aspettativa per dottorato di al personale dei livelli ricerca o borsa di studio. per il biennio economico Un apposito articolo adegua il contratto alle norme 2000-2001 in materia di conciliazione e arbitrato. Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx È prevista la previdenza complementare tramite la costituzione di un Fondo nazionale, al quale, per garantire un ampio numero di iscritti e minimizzare in tal modo le spese di gestione, le parti competenti potranno definire che sia un Fondo pensione unico con i lavoratori di altri comparti. Una sezione disciplina le problematiche relative ai lettori ed esperti di lingua straniera nelle Università. Gli aumenti sono pari a 52 euro medi mensili dall’1.1.2001, sulla voce stipendio. L’indennità di Xxxxxx è aumentata di circa 9 euro mentre 10 euro medi mensili costituiscono il finanziamento aggiuntivo per la contrattazione integrativa. Inoltre, l’indennità di Ateneo è considerata utile, dal 1° gennaio 2001, ai fini del calcolo della base per l’indennità di buonuscita. |
14 maggio 2003 Il Consiglio dei Ministri, nel corso del procedimento Comparto Ministeri di approvazione dell’ipotesi del contratto Verbale di rettifica in oggetto, ha espresso osservazioni, in seguito dell'ipotesi di CCNL alle quali, l’ARAN ha convocato le Confederazioni relativa al personale e le Organizzazioni Sindacali rappresentative per dei livelli per l'anno informarle ed apportare le integrazioni necessarie, 2002-2005 sottoscritta ferme restando tutte le clausole contrattuali il 28 febbraio 2003 sottoscritte. Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx In particolare, riguardano: - i termini, iniziale e finale, del procedimento disciplinare, che sono da intendersi perentori; - il conglobamento dell’indennità integrativa speciale nella voce stipendio tabellare non ha effetti diretti o indiretti sul trattamento economico fruito dal personale in servizio all’estero in base alle vigenti disposizioni. - il conglobamento nello stipendio dell’indennità integrativa speciale non modifica le modalità di determinazione della base di calcolo in atto del trattamento pensionistico anche con riferimento all’articolo 2 comma 10 della Legge n. 335/95. |
16 maggio 2003 L’ipotesi di contratto interessa tutto il personale Comparto Scuola della scuola, pari a circa un milione e cento mila Ipotesi di accordo del persone – di cui circa 850 mila docenti e circa 260 CCNL per il quadriennio mila assistenti tecnici amministrativi. normativo 2002-2005 Presenta numerose innovazioni normative che |
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EVENTO CONTENUTO/NOTE |
e primo biennio vanno nel segno di una razionalizzazione delle economico 2002-2003 procedure e di un perfezionamento degli istituti Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx esistenti. In particolare: 1) Il contratto comprende tutti gli accordi (19) sottoscritti nel periodo 1994-2001, divenendo sostanzialmente un “testo unico” di tutte le disposizioni che facilita la leggibilità e la comprensione della normativa ad un qualsiasi cittadino. 2) È stato snellito il livello di contrattazione integrativa nazionale, lasciandovi una sola materia (la mobilità). I diversi livelli di contrattazione sono stati ripartiti tra il livello regionale e quello delle istituzioni scolastiche. 3) Sono stati velocizzati i tempi connessi all’informazione, alla concertazione e alla contrattazione, evitando la moltiplicazione dei livelli di trattativa sulla stessa materia e le lungaggini della contrattazione. 4) Per il personale docente, pur in mancanza di risorse che consentissero l’elaborazione di una carriera professionale, è stata istituita una Commissione paritetica che avvierà immediatamente una completa analisi delle soluzioni tecniche possibili per proporre entro la fine del 2003 un percorso di carriera professionale docente in linea con i processi di riforma e le caratteristiche qualitative e di valutazione indicate dal MIUR. 5) È stata prevista per i docenti, come già lo era per il personale tecnico amministrativo, la possibilità di accettare incarichi a tempo determinato, per non meno di un anno, presso scuole di diverso ordine e grado. 6) Le professionalità del personale ATA sono state ricomprese nell’ambito di cinque aree professionali funzionali alle necessità delle scuole, evitando gli eccessi dei preesistenti profili (undici) che descrivevano minuziosamente le mansioni. Questo consente di varare, per la prima volta, una vera e propria carriera del personale tecnico amministrativo in modo da accrescerne anche la motivazione individuale. È un contratto, in sintesi, che si muove nell’ottica di consentire un più rapido ed efficace adeguamento alla riforma in atto. Per quanto riguarda la parte economica, l’aumento di stipendio avverrà in due tranches: la prima a partire dal primo gennaio 2002 e la seconda dal |
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EVENTO CONTENUTO/NOTE |
primo gennaio 2003. Per il personale docente l’aumento globale medio sarà di Euro 147 di cui 89 Euro di incremento stipendio, 35 Euro di aumento medio sulla retribuzione professionale docenti (RPD) e 14 Euro per il Fondo destinato alla contrattazione integrativa. Gli ulteriori 9 Euro sono invece finalizzati a coprire il costo del conglobamento dell’indennità integrativa speciale nella voce stipendio. Questa operazione permetterà di avere una indennità di buonuscita più elevata per coloro che andranno in pensione dopo il 1° gennaio 2003. Per il personale tecnico-ammistrativo (ATA) l’incremento complessivo sarà invece di 93 Euro dei quali 65 Euro destinati alla voce stipendio, 9 Euro per aumentare il compenso individuale accessorio e 10 Euro destinati ad alimentare le risorse della contrattazione integrativa. Il conglobamento dell’indennità integrativa speciale è stato previsto anche per questa categoria. |
19 maggio 2003 L’interpretazione autentica è stata richiesta dal Tribunale Dirigenza Sanità area IV di Mondovì – Sezione Lavoro, la questione concerne, (medica e veterinaria) tra l'altro, la mobilità tra Aziende sanitarie Verbale sulla ed ospedaliere. interpretazione autentica Infatti la ricorrente, medico dirigente di anestesia dell'art. 20, comma 3, e rianimazione, chiede se in caso di mobilità da una CCNL 1998-2001 dell'area ASL ad un'altra le ferie maturate e non godute della dirigenza medica e nel periodo di lavoro prestato presso l'ASL veterinaria del SSN di provenienza: stipulato l'8 giugno 2000 - debbano essere usufruite nell'ASL di destinazione; Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx - debbano essere pagate come indennità sostitutiva delle ferie non godute e conseguentemente quale delle due ASL sia tenuta a corrispondere il suddetto compenso. Le parti, infatti, nel verbale hanno voluto sottolineare la presenza di una lacuna nella materia oggetto della richiesta interpretazione autentica (fruizione delle ferie in caso di mobilità), perdurata fino alla sigla dell’ipotesi di CCNL integrativo del contratto dell’8 giugno 2000, siglato il 7 maggio 2003, che all’art. 5 la disciplina. Tuttavia non essendo dato valore di interpretazione autentica alla clausola contrattuale, questa non potrà avere valore retroattivo ma decorrerà dall’entrata in vigore dell’ipotesi di contratto siglata il 7 maggio 2003, attualmente in fase di approvazione da parte del Comitato di Settore. Le parti, coerentemente con quanto stabilito dalla citata Ipotesi di accordo, ritengono di non dover pervenire alla richiesta interpretazione autentica che avrebbe valore retroattivo. |
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EVENTO CONTENUTO/NOTE |
19 maggio 2003 L’interpretazione autentica è stata richiesta dal Dirigenza Sanità are IV giudice del Tribunale di Tortona – Sezione Lavoro, (medica e veterinaria) in relazione: Verbale sulla - al mancato riconoscimento al ricorrente interpretazione autentica del periodo di servizio prestato presso il Corpo degli artt. 5 e 12 del Sanitario della Marina militare, in qualità CCNL - II biennio di Ufficiale Medico della Marina militare, economico 2000-2001 - e ai fini del computo dell'esperienza art. 35 del CCNL 1998- professionale maturata per la corresponsione 2001 dell'area della dell'indennità di esclusività; dirigenza medica e - al mancato riconoscimento del numero di giorni veterinaria del SSN di ferie spettanti dopo tre anni di servizio stipulati l'8 giugno 2000 ai sensi dell'art. 21, comma 2, del CCNL Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx 5 dicembre 1996; - alla mancata corresponsione della retribuzione individuale di anzianità in godimento, di cui all'art. 35 del CCNL quadriennio 1998-2001. Dopo ampio dibattito, si è redatto il verbale di incontro della riunione finale dal quale risulta la posizione delle parti stesse in ordine alla clausola controversa, sulla quale non vi è stato accordo. Le parti, infatti, nel convenire che la materia è già stata in precedenza regolata con il CCNL di interpretazione autentica degli articoli 5 e 12 del CCNL – II° biennio economico 2000/2001 – stipulato il 12 luglio 2002, hanno ritenuto di non dover pervenire alla richiesta interpretazione autentica. |
22 maggio 2003 L’accordo di interpretazione si è reso necessario Comparto Università a seguito della richiesta formulata dal giudice Interpretazione autentica del lavoro del Tribunale di Modena al quale si sono dell'art. 74, comma 4, del rivolti alcuni dipendenti dell’Università. CCNL 9-8-2000 relativo al I ricorrenti vantavano il diritto ad essere inquadrati, personale dei livelli a seguito del concorso al quale avevano partecipato Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx per la categoria C4, nella categoria D1 poiché pur essendo stato bandito antecedentemente alla stipulazione del contratto, questo si è concluso successivamente. Le parti negoziali hanno confermato di aver inteso, al comma 4 dell’articolo in oggetto, che la posizione economica D1 dovesse essere attribuita anche al personale, vincitore di concorso pubblico per la ex VII qualifica funzionale - per l’accesso alla quale era previsto il diploma di laurea - , bandito antecedentemente alla data di sottoscrizione del contratto nazionale di lavoro ed assunto successivamente al contratto stesso. |
22 maggio 2003 L’interpretazione autentica richiesta dal giudice Comparto Università di Cagliari riguarda il sistema di inquadramento Interpretazione autentica del personale nelle nuove categorie. dell'art. 74 del CCNL Alcuni dipendenti dell’Università erano inquadrati |
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1998-2001 relativo nella quinta qualifica funzionale secondo al personale dei livelli le declaratorie dell’articolo 78 della L. 312/80 Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx e delle tabelle allegate al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 24 settembre 1981. Il CCNL sottoscritto il 9 agosto 2000 (art.55) ha sostituito alle qualifiche funzionali le categorie (B, C, D, EP) ed ha previsto, dalla data di entrata in vigore, la confluenza nella categoria “B”, posizione economica “B3” della ex V qualifica funzionale. Invece, il personale inquadrato nella ex V qualifica a seguito di concorso pubblico per l’accesso al quale era richiesto il possesso del diploma di istruzione secondaria di II grado, è inquadrato nella categoria “C”, insieme al personale della ex VI ed ex VII qualifica funzionale, in posizione economica C1. I ricorrenti non rientrano però nella previsione dell’articolo 74 perché al momento dell’inquadramento nella ex V qualifica funzionale, erano sprovvisti del diploma d’istruzione secondaria di II livello. L’ARAN e le Confederazioni e Organizzazioni sindacali, in attuazione alla richiesta di interpretazione autentica, hanno concordato che “le parti hanno legittimamente delineato il sistema di inquadramento, né può configurarsi un contrasto tra la norma contrattuale in oggetto e l’articolo 52 del D.Lgs. n. 165/2001, trattando quest’ultimo la disciplina delle mansioni svolte dal lavoratore e non l’inquadramento in categorie contrattuali. Da una corretta applicazione della stessa normativa contrattuale, infatti, e non da una sua presunta illegittimità, possono trovare una soluzione adeguata le singole posizioni individuali dei ricorrenti e ciò sulla base delle funzioni legittimamente assegnate a ciascuno”. |
29 maggio 2003 L’interpretazione autentica è stata richiesta dal Tribunale Comparto Ministeri di Orvieto – Sezione lavoro. Verbale della riunione La questione concerne il riconoscimento del diritto per l'interpretazione alla rivalutazione del compenso di cui alle autentica dell'articolo 34 medesime clausole contrattuali anche agli ufficiali del CCNL 1994-1997 giudiziari addetti agli Uffici NEP con decorrenza sottoscritto il 16 maggio anteriore alla data di stipulazione dell'accordo 1995 e dell'articolo 7, integrativo (22 ottobre 1997). comma 3, del CCNL Considerato che: del 22 ottobre 1997 per - erano assenti le Confederazioni e Organizzazioni il personale dei livelli sindacali: CGIL, CGIL/FP, CISL, FPS/CISL, CONFSAL, Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx RDB/CUB, RDB/PI, FLP CIDA e USPPI; - la sigla sindacale CGIL/FP ha dichiarato la propria indisponibilità, in linea di principio e per tutti i comparti, a partecipare alle trattative per le interpretazioni autentiche e che tale presa di posizione costituisce di fatto un impedimento al |
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EVENTO CONTENUTO/NOTE |
raggiungimento dell’accordo di interpretazione autentica in questione, in considerazione del fatto che il Consiglio di Stato, nel parere n. 955 del 2001, ha ritenuto che i suindicati accordi interpretativi, ai fini della loro validità, devono essere sottoscritti all’unanimità da tutte le parti che hanno a suo tempo stipulato il contratto collettivo da interpretare. L’ARAN, pertanto, ha attestato la sussistenza del mancato accordo. |
29 maggio 2003 L’interpretazione autentica è stata richiesta dal Tribunale Comparto Ministeri di Reggio Calabria – Sezione lavoro. Verbale della riunione La questione concerne l'interpretazione autentica per l'interpretazione del CCNL del 16 febbraio 1999, e in particolare, con autentica dell'articolo 15, riferimento all'art. 15, B), lettera b) e all'art. 20, A) B), lett. b) e 20, A) "se tali clausole escludono o meno preselezioni del CCNL 1998-2001 informate a criteri non coincidenti con quelli sottoscritto il 16 febbraio previsti dal citato art. 15, B), lett. b)". 1999 per il personale Considerato che: dei livelli - erano assenti le Confederazioni e Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx Organizzazioni sindacali: CGIL, XXXX/XX, XXXX, XXX/XXXX, XXXXXXX, XXX/XXX, XXX/XX, XXX; - la sigla sindacale CGIL/FP ha dichiarato la propria indisponibilità, in linea di principio e per tutti i comparti, a partecipare alle trattative per le interpretazioni autentiche e che tale presa di posizione costituisce di fatto un impedimento al raggiungimento dell’accordo di interpretazione autentica in questione, in considerazione del fatto che il Consiglio di Stato, nel parere n. 955 del 2001, ha ritenuto che i suindicati accordi interpretativi, ai fini della loro validità, devono essere sottoscritti all’unanimità da tutte le parti che hanno a suo tempo stipulato il contratto collettivo da interpretare. L’ARAN, pertanto, ha attestato la sussistenza del mancato accordo. |
6 giugno 2003 L’accordo definitivamente sottoscritto prevede che Dirigenza area V il dirigente, assegnato a dirigere all'estero (Scuola) una istituzione scolastica, svolga i compiti previsti Accordo successivo ai nel contratto dello specifico quadro ordinamentale sensi dell'art. 45 del che attualmente regola le scuole italiane all'estero, CCNL 1.3.2002 per il in coerenza con i principi dell'autonomia. personale dell’area V Al dirigente scolastico all'estero si applicano della Dirigenza scolastica gli istituti normativi ed economici previsti dal CCNL da destinarsi all'estero del marzo 2002, con particolare riferimento Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx agli istituti che regolano l’impegno di lavoro, la revoca dell'incarico dirigenziale, gli incarichi aggiuntivi, la verifica dei risultati e valutazione dei dirigenti, la conciliazione ed arbitrato, la cui sede di riferimento è la Direzione Generale per |
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EVENTO CONTENUTO/NOTE |
la Promozione e la Cooperazione Culturale presso il MAE, la responsabilità civile e il patrocinio legale, la struttura della retribuzione, il finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato, la retribuzione di posizione, la retribuzione di risultato. Per quanto riguarda la retribuzione di posizione, questa è corrisposta in misura pari alla parte fissa della retribuzione di posizione prevista dall'art. 43, comma 1, del CCNL 1.3.2002 per il personale della dirigenza scolastica area V. |
12 giugno 2003 A seguito della certificazione positiva da parte Comparto Ministeri della Corte dei conti è stato definitivamente CCNL relativo sottoscritto il CCNL del personale dei livelli al personale dei livelli che diventa immediatamente operativo. per il quadriennio Le Amministrazioni provvederanno – nei tempi normativo 2002-2005 tecnici necessari – alla sua applicazione. e biennio economico Interessa 204.000 lavoratori dei ministeri per i quali 2002–2003 l’aumento medio complessivo a regime è di 106 Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx euro mensili per tredici mensilità. Sono previste due tranches di aumento stipendiale al 1° gennaio 2002 e al 1° gennaio 2003 per complessivi 75 euro. La restante quota è finalizzata all’aumento dell’indennità di amministrazione (11 euro al mese) e al salario variabile definito in contrattazione integrativa (11 euro al mese). Infine è stata razionalizzata la busta paga con il conglobamento della indennità integrativa speciale (contingenza) nella voce stipendio. Il costo di questa operazione (circa 9 euro mensili) permetterà di avere una indennità di buonuscita più elevata a chi andrà in pensione dal 1° gennaio 2003 in poi. Gli aumenti stabiliti consentono la crescita della retribuzione media complessiva del 5,66% così come definito nell’accordo del febbraio 2002 tra Governo e Sindacati e confermato dalla Legge Finanziaria per il 2003. La trattativa inoltre si è sviluppata su novità normative che vanno nel senso di migliorare la rispondenza della pubblica amministrazione alle esigenze del cittadino e rappresentano un ulteriore passo avanti nell’ammodernamento della macchina statale stabilito nelle leggi di riforma. In particolare è stato avviato, con una dichiarazione congiunta, il riesame della classificazione del personale del Comparto anche in considerazione della Legge n. 145/2002 che introduce la vice-dirigenza. |
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EVENTO CONTENUTO/NOTE |
12 giugno 2003 L’ipotesi riguarda circa 60 mila lavoratori. Comparto Enti pubblici Nel Comparto sono ricompresi gli Enti previdenziali non economici (INAIL, INPS, INPDAP, IPOST ecc..), i Consigli Ipotesi di CCNL relativo e gli Ordini professionali, gli Enti Parco, l’ACI al personale dei livelli e le rispettive strutture provinciali. per il quadriennio Per quanto attiene gli aspetti normativi è stato dato normativo 2002-2005 e il ampio risalto allo sviluppo delle attività biennio economico 2002- di aggiornamento e formazione del personale 2003 ed inoltre è stato deciso di costituire una commissione Sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx paritetica per l’approfondimento delle novità da introdurre nel sistema di classificazione del personale, per rispondere in maniera più efficace alla domanda di servizi da parte dell’utenza sul territorio. L’aumento medio complessivo a regime è di 128 euro mensili per tredici mensilità. Sono previste due tranches di aumento stipendiale al 1° gennaio 2002 e al 1° gennaio 2003 per complessivi 87 euro. È stata istituita l’indennità di Ente finanziata in gran parte con risorse precedentemente erogate sotto altra forma ed in quota residuale (17 euro mensili con risorse di questo contratto). Il fondo per il salario variabile, definito in contrattazione integrativa, è stato integrato con circa 12 euro al mese. Infine è stata razionalizzata la busta paga con il conglobamento della indennità integrativa speciale (fino al 70% del suo valore) nella voce stipendio. Il costo di questa operazione (circa 12 euro mensili) permetterà di avere una indennità di fine servizio più elevata a chi andrà in pensione dal 1° gennaio 2003 in poi. Gli aumenti stabiliti consentono la crescita della retribuzione media complessiva del 5,66% così come definito nell’accordo del febbraio 2002 tra Governo e Sindacati e confermato dalla Legge Finanziaria per il 2003. |
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UNIVERSITÀ
Il 13 maggio 2003 è stato definitivamente firmato il CCNL relativo al personale del Comparto Università per il biennio economico 2000-2001.
È impossibile comprendere le ragioni di tanto ritardo se non si ripercorre brevemente la storia del CCNL relativo al quadriennio normativo 1998-2001, sottoscritto il 9 agosto 2000.
Ebbene, questo contratto ha vissuto uno scontro molto duro tra le posizioni del sindacato e quelle della parte pubblica. Il sindacato rivendicava, tra l’altro, l’adeguata collocazione dei numerosi dipendenti che nelle università svolgevano mansioni superiori;
il Comitato di settore chiedeva soluzioni che favorissero il superamento
della frammentazione dei profili professionali e del mansionismo esasperato del personale, con l’obiettivo dell’accrescimento dell’efficienza
e dell’efficacia dell’azione amministrativa.
La lunga vertenza, con l’accordo
sulla revisione del sistema di classificazione, si è chiusa con uno scambio vero:
la possibilità per i lavoratori di veder apprezzata, tramite formazione
e selezione, la propria professionalità; l’opportunità per le amministrazioni di ritenere esigibili tutte le mansioni previste all’interno delle nuove categorie, in cui sono ricomprese tutte le professionalità.
Visti anche i tempi necessari per
giungere a questa sintesi, il CCNL normativo ha rinviato la definizione
di molti istituti contrattuali a successive sequenze contrattuali, alcune
delle quali molto delicate e costose,
le quali, alla fine, si sono tutte ritrovate nel confronto sul secondo biennio economico.
Pur con molte difficoltà, tuttavia, il CCNL per il biennio economico 2000-2001 ha affrontato e risolto alcuni dei problemi più complessi, lasciati irrisolti
dalla precedente tornata contrattuale,
a iniziare dalla vicenda dei collaboratori ed esperti linguistici.
A questo proposito, occorre ricordare che l’Italia rischiava salatissime sanzioni se non si fosse adeguata alle decisioni della sentenza della Corte di Giustizia Europea del 26 gennaio 2001.
L’art. 22 del contratto permette
alle università di adeguarsi a tale sentenza e, nello stesso tempo, con la previsione di una riserva di posti da attribuire tramite prove selettive, da effettuarsi nel rispetto delle sentenze della Corte costituzionale, offre la possibilità
del definitivo superamento
di una situazione che ha creato molti problemi alle università stesse.
Inoltre, il CCNL, oltre a prevedere gli aumenti della retribuzione base, in linea con il resto del pubblico impiego, e delle risorse destinate
al finanziamento del salario accessorio, incrementa le misure individuali dell’indennità di ateneo, previste dall’art. 65 del CCNL del 9 agosto 2000, e, soprattutto, rende utile detta indennità ai fini del calcolo della base per l’indennità di buonuscita.
L’art. 7 del CCNL è dedicato ai congedi
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per maternità e parentali, completando così, anche per questo comparto,
una disciplina che l’ARAN ha reso omogenea in tutti i contratti del lavoro pubblico.
Alcuni articoli si occupano di congedi e aspettative da poter utilizzare
per la formazione, il dottorato di ricerca e le borse di studio, temi tutti molto sentiti nelle università e l’art 11, diritto allo studio, integra l’art. 32 del precedente contratto normativo, dando
una sistemazione più compiuta alla materia.
L’art. 12 estende ai dipendenti delle università che dovessero trovarsi
in particolari situazioni psico-fisiche le tutele già previste per i lavoratori di altri comparti.
Vi sono, inoltre, diversi articoli che completano la disciplina del contratto normativo, come l’art. 13, arbitrato
e conciliazione, l’art. 14, previdenza complementare, l’art. 15, copertura assicurativa, l’art. 18, valutazione dell’anzianità di servizio, oppure
la integrano, come l’art. 16, mansioni del lavoratore, l’art. 19, disposizioni particolari.
L’art. 20 chiarisce quali disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali trovano applicazione nel comparto
e come potranno essere affrontate eventuali lacune che si dovessero verificare nell’ambito della disciplina del rapporto di lavoro per effetto della generale disapplicazione
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delle norme di cui all’art. 69 del D.Lgs. n. 165/2001.
Infine, l’art. 21 rinvia ancora una volta la definizione di una tabella nazionale delle corrispondenze tra le figure professionali del comparto Università
e quelle del comparto Sanità.
E qui siamo in presenza di uno dei temi più delicati di questo comparto, sempre evocato e sempre rimandato
a tempi migliori.
Inevitabile l’ulteriore rinvio, date
le considerazioni fatte in premessa. Ma tutti i protagonisti del rinnovo contrattuale del quadriennio 2002-2005 conoscono già l’argomento con cui si aprirà l’agenda dei lavori.
Xxxxxxx Xxxxxxxxx
Servizio Contrattazione ARAN
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MAGGIO GIUGNO 2003
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L’ARAN ha ricordato Xxxxxxx X’Xxxxxx, dedicando alla sua memoria una borsa di studio: iniziativa non semplicemente voluta, ma affettivamente sentita. Non può, infatti, sfuggire a quanti leggeranno questa breve presentazione che la pur limitata storia dell’ARAN si è intrecciata con il percorso scientifico dell’illustre giuslavorista e la sua produzione ha avuto certamente significativi effetti di ricaduta sull’Agenzia che ha visto crescere le proprie competenze, la sua capacità organizzativa e quella di studio. L’opera di D’Xxxxxx è vasta e pregnante: dall’aggiornamento del D.Lgs. n. 29 alle modifiche del contenzioso, alla disciplina dello sciopero nei pubblici servizi, ma come è stato già detto, con autorevolezza e conoscenza, dal presidente Xxxxxxx, “significativo” è il suo lavoro sulla rappresentatività. La premiazione di due studiose, che a pari merito si sono aggiudicate la borsa, con tesi di ricerca su importanti temi di lavoro nel settore pubblico, ha fornito l’occasione per un seminario nel corso del quale si è giustamente approfondita la materia della rappresentanza e della rappresentatività sindacale e che, appena qualche rigo più su, è stata definita significativa. Tra le innovazioni volute dal Professore, difatti, vi è stata anche quella di rendere la piena rappresentanza delle Amministrazioni, da parte dell’ARAN, più effettiva e più rispondente ai principi del federalismo e la competenza dell’accertamento dei soggetti sindacali rappresentativi da ammettere al tavolo delle trattative. Dalla tavola rotonda - presieduta da Xxxxxx Xxxxxxxxxxxx - alla quale hanno partecipato Xxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxx, Xxxxxxx Xxxxx, Xxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxxx e Xxxxxxx Xxxx – oltre che naturalmente il presidente dell’ARAN, Xxxxx Xxxxxxx - è emerso un segnale importante: sulla strada della “rappresentanza e della rappresentatività” il settore del pubblico impiego ha realizzato un’esperienza fortemente positiva che non si riscontra nell’ambito del privato, dove ancora non è applicata alcuna misurazione della rappresentatività dei sindacati. Nella sua relazione il presidente Xxxxxxx ha invitato a considerare la possibilità di estendere a taluni settori privati, che interessano milioni di cittadini, come ad esempio nel settore del trasporto, il metodo usato dalla Pubblica Amministrazione per definire la rappresentatività. Il diritto del lavoro nel settore pubblico ha compiuto molti passi avanti anche grazie alle riforme apportate da D’Xxxxxx, soprattutto se confrontati con il mondo del lavoro privato, passi contrastati e non facili, perché un’autentica riforma dello Stato, rimuovendo vecchie norme e sconvolgendo antichi equilibri è difficile che non incontri forti resistenze. Xxxxxxx Xxxxxxxx Ufficio Informazione e Comunicazione ARAN |
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CONCORSO IN MEMORIA DEL PROF. MASSIMO D’ANTONA PREMIO EX EQUO CONFERITO ALLA DOTT.SSA XXXXX XXXXX PER IL LAVORO: LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA E GLI ASPETTI PROCEDURALI CON LE SEGUENTI MOTIVAZIONI: Per la ricchezza dei contenuti e della ricerca bibliografica e la puntuale analisi esegetica del dato positivo e per la padronanza della materia e dei problemi che sono emersi a livello sistematico, in relazione alla disciplina del contratto collettivo di diritto comune nel settore privato. La Commissione sottolinea come, sia la trattazione sistematica degli argomenti, sia lo stile della dott.ssa Xxxxx rivelino buone doti di approfondimento e attitudine alla ricerca. La Commissione: Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Presidente Xxxx. Xxxxxx Xxxxxxx, Prof. Xxxxx Xxxxxxxx |
CONCORSO IN MEMORIA DEL PROF. XXXXXXX X’XXXXXX PREMIO EX EQUO CONFERITO ALLA DOTTORESSA XXXXXXXXX X.X. NICOSIA PER IL LAVORO LA DIRIGENZA PUBBLICA RESPONSABILIZZATA: MODELLI A CONFRONTO CON LE SEGUENTI MOTIVAZIONI: La Commissione ha rilevato nel lavoro della dott.ssa Nicosia una tensione alla correttezza metodologica ed elementi di originalità. Il lavoro evita di cadere nelle trappole del formalismo giuridico e attinge alla letteratura ed alla esperienza in materia di organizzazione pubblica, con ciò improntando la ricerca ad un salutare xxxxxxxxxxx.Xx tal modo la candidata ha potuto destrutturate la categoria della dirigenza pubblica, analizzando in termini appropriati i distinti modelli in cui essa si articola. La Commissione: Xxxx. Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Presidente Xxxx. Xxxxxx Xxxxxxx, Prof. Xxxxx Xxxxxxxx |
III
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SALUTO E PRESENTAZIONE XXXX. XXXXX XXXXXXXXXX
PRESIDE DELLA FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE UNIVERSITÀ DI ROMA “LA SAPIENZA”
A nome della Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Roma “La Sapienza” sono molto lieto ed onorato di porgere il saluto
ai partecipanti al seminario di studio su Rappresentanza e rappresentatività nel mondo del lavoro, organizzato
in occasione della premiazione dei vincitori del Concorso bandito dall’ARAN in memoria del prof.
Xxxxxxx X’Xxxxxx, ordinario di Diritto del lavoro in questa Facoltà.
Un saluto particolarmente affettuoso rivolgo alla Signora Xxxx X’Xxxxxx, mentre ai colleghi giuslavoristi Xxxx, Ghera, Xxxxxxx, Persiani, Romagnoli e Xxxx va il sincero grazie per la loro fattiva presenza alla Tavola rotonda.
Xxxxxx e ringrazio, infine, il presidente dell’ARAN Avv. Xxxxx Xxxxxxx, che terrà la relazione introduttiva su L’esperienza normativa sulla rappresentanza e la rappresentatività nel pubblico impiego. Dirò essenzialmente due cose.
La prima è che il ricordo di Xxxxxxx X’Xxxxxx si fa sempre più vivo, proprio in relazione ai temi di cui si discuterà oggi. Un intellettuale vive e non si celebra solo formalmente, discutendo in modo appassionato gli argomenti che l’hanno visto protagonista
sulla cattedra e nella società.
I premi che verranno assegnati oggi costituiscono un modo opportuno per
onorare la memoria di Xxxxxxx X’Xxxxxx e per renderlo presente. Poche parole, invece, per introdurre il tema. Il titolo generale dell’incontro diverge da quello della relazione introduttiva dell’avvocato Xxxxxxx.
Il primo abbraccia la problematica in senso più generale; il secondo si sofferma invece sul settore più specifico del pubblico impiego.
Già questa differenziazione deve farci pensare.
Essa risulta rilevante sia dal punto di vista concettuale che da quello
normativo. Il D.Lgs. n. 396/97 ha infatti modificato il precedente decreto
n. 266/93 per quanto riguarda la contrattazione collettiva
e la rappresentatività del settore del pubblico impiego. Rimane,
dunque, escluso tutto il settore privato sulla base dell’art. 19 dello Statuto
dei lavoratori, anche tenendo conto dei risultati del referendum del 1995. Il problema è, però, quello di risalire dagli intrecci normativi sul tema della rappresentanza e della
rappresentatività (che hanno fatto dire a Xxxxxx e Romagnoli che “il concetto di sindacato maggiormente rappresentativo è un rebus capace
di inchiodare intere generazioni
di operatori giuridici“ nella condizione socratica di sapere di non sapere)
a quelli semantici.
Rappresentanza costituisce - com’è noto - un termine polisemico.
In senso generale esso individua
la rappresentazione delle cose da parte del singolo. In senso più specifico
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rappresentanza può essere intesa come conoscenza scientifica o come conoscenza artistica.
In particolare la rappresentazione artistica si evidenzia come presenza di un terzo che non è esistito
o che non si può trovare nel luogo di rappresentazione .
Rappresentanza e rappresentazione, nell’uso specialistico, definiscono differenti piani d’analisi.
Nel Das Wesen der Repraesentation di un grande weimariano come Xxxxxxx Xxxxxxxx si sottolinea come, con il termine Vertretung, vengano rappresentati gli interessi, mentre con
Repraesentation si configuri il rapporto di rappresentazione politica.
Nella voce Representation, pubblicata sull’Enc. of the social sciences, agli inizi degli anni ’60, Xxxxxxxx Xxxxxxx ha, invece, evidenziato come si possano identificare tre tipi di rappresentanza:
1. la giuridica, basata su un mandato tra rappresentante e rappresentato;
2. la sociologica, fondata
su una somiglianza esistenziale tra i due poli;
3. la politica, dove il rappresentante evidenzia un rapporto
di responsabilità come responsività nei confronti dei rappresentati.
La grande dicotomia tra pubblico e privato, che si pone alla base
dello Stato moderno, sembra caratterizzare la discussione tra rappresentanza giuridica e politica.
Nel pubblico, ed in particolare a livello costituzionale, si parla di rappresentanza politica, contrapponendovi il divieto
di mandato imperativo (art. 67 Cost.). Ma si parla anche di rappresentanza per quanto riguarda il Capo dello Stato (v. art. 87 Cost.), che rappresenta l’unità nazionale.
La rappresentanza politica è collegata all’atto elettivo di un collegio,cui corrisponde una responsabilità che può essere invocata solo nel momento della successiva elezione.
Durante il periodo fascista si parlò, invece, di rappresentanza istituzionale
al fine di giustificare l’eliminazione del metodo elettivo e del rapporto conseguente di rappresentanza
e di responsabilità, cosicché in maniera singolare la nozione sorge - con significazioni invero non sempre coerenti - nell’ambito degli allievi
di Xxxxx Xxxxxxxx, che l’aveva
(con Xxxxxxxx Xxxxxxx) approfondita in quegli anni.
La nozione di rappresentatività si incardina sul piano della somiglianza sociologica e pone il problema
della misurazione della stessa attraverso l’individuazione di opportuni indicatori empirici.
A me sembra che due significazioni principali del termine rappresentanza circolino nell’ambito del diritto del lavoro.
Da un lato quella basata sull’elezione e sugli iscritti, e quindi sul peso
della presenza delle organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi
di lavoro; dall’altro quella istituzionale in cui al di là di qualsiasi rapporto elettivo o di rappresentatività vi è
un riconoscimento del ruolo svolto da certe organizzazioni sindacali da parte della controparte pubblica o privata .
Ne deriva un’ambiguità che richiama le affermazioni oramai antiche
di Xxxxxxxx Xxxxxx sulla necessità
di introdurre regole democratiche non soltanto nell’arena politica, ma anche in quella in cui i singoli esercitano
la propria attività lavorativa.
Il chi e il dove si partecipa in Italia è stato, in sostanza, limitato al settore delle istituzioni politiche, dove
le stesse risentono di una grave crisi e vengono poste in pericolo
dal riallineamento del sistema tradizionale dei partiti e dall’emergere di fenomeni plebiscitari e populistici.
Per il settore sindacale - al di là
della doverosa precisazione dell’ambito in cui esso si articola - lo stesso testo
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costituzionale evidenzia i limiti concreti della situazione costituente e il peso del passato.
La Cost. all’art. 39 terzo comma ci afferma che essi, se registrati, hanno personalità giuridica e possono, rappresentati unitariamente
in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro
con efficacia obbligatoria per tutti
gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.
Si tratta di un chiaro riferimento ad un passato, che aspirava ad una democrazia organica impossibile da raggiungere sulla base
della disomogeneità della società civile e politica postbellica e della realtà
del bargaining .
I sindacati italiani, strettamente collegati ad un panorama partitico frammentato e centrifugo, non potevano corrispondere agli standards proposti dal Costituente.
Dopo la traversata nel deserto,
successiva alla rottura dell’unità sindacale, con lo Statuto dei lavoratori si è avuto la convivenza del metodo elettivo nei Consigli di fabbrica
o di azienda e della nomina nelle rappresentanze sindacali aziendali, mentre l’ordinamento
con la Legge n. 902/77 sull’attribuzione dei patrimoni residui delle disciolte organizzazioni sindacali fasciste, si è inventata - attraverso i punti A e B
della Tab. allegata - una rappresentanza istituzionale fatta passare per rappresentatività.
Settore pubblico e settore privato, sulla base dei due decr. legislativi citati, risultano ancora divisi e la quota
del 4% per il riconoscimento della rappresentatività costituisce un’interessante analogia con altre
soglie vigenti nel settore elettorale.
La sensazione è che tutto sia ancora molto confuso e che, più che le regole, valgano i rapporti di forza,
in un sistema che procede
ad un faticoso e contrastato riallineamento. Ma proprio per questo non bisogna scoraggiarsi e bisogna rilanciare.
In questa prospettiva bisogna imparare ancora una volta da Xxxxxxx X’Xxxxxx a riflettere sempre, a non cedere mai,
a continuare a trattare e a sperare.
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L’ESPERIENZA DELLA NORMATIVA SULLA RAPPRESENTANZA
E RAPPRESENTATIVITÀ NEL PUBBLICO IMPIEGO
AVV. XXXXX XXXXXXX
PRESIDENTE ARAN
Quando abbiamo pensato ad un argomento su cui discutere insieme con alcuni giuslavoristi per onorare la memoria di Xxxxxxx, ci è venuto spontaneo il riferimento ai temi della rappresentatività.
Certo, la sua opera è stata molto più vasta: basti pensare alla novella
del D.Lgs. n. 29/93, alle modifiche sul contenzioso pubblico e privato,
alle normative sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali.
Il suo lavoro sulla rappresentatività è però, a mio giudizio, il più significativo, perché interviene su una materia
di grandissima rilevanza, pubblica e privata, sulle relazioni sindacali e sui rapporti di lavoro nel nostro
Paese: grandissima rilevanza se solo pensiamo che si innesta sulle iniziative e sul dibattito pluridecennale relativo all’ancora non applicato articolo 39 della Costituzione.
Le innovazioni proposte da Xxxxxxx, quindi, se pure prendevano le mosse dalle peculiarità del pubblico impiego, nella consapevolezza che definire alcune regole per la rappresentanza
e per la rappresentatività sindacale fosse necessario per favorire lo stesso, complesso e contraddittorio, processo di riforma del pubblico impiego,
nel medesimo tempo guardavano a tutto il mondo del lavoro non nella prospettiva di applicazioni pedisseque ma nello stimolo di
trovarne di adeguate in settori diversi e articolati.
Per questo, ci sembra utile partire
da una riflessione e un’analisi sul sistema nel pubblico, sulla sua applicazione
in questi anni, sui risultati, i problemi, gli insegnamenti.
Permettetemi qualche brevissimo cenno storico.
L’ARAN nasce come Agenzia per la rappresentanza negoziale
delle pubbliche amministrazioni ma nella sua prima impostazione
si configura prevalentemente come un’Agenzia governativa che si avvale dell’intesa con le Regioni e del parere dell’Anci (Associazione nazionale
dei comuni d’Italia) ed UPI (Unione province italiane) per gli affari di loro interesse.
Nel periodo che va dal ‘93 al ‘97,
la competenza a gestire le relazioni sindacali e l’individuazione dei soggetti sindacali rappresentativi da ammettere alle trattative rimane radicata presso
il Dipartimento della Funzione pubblica e continua ad essere regolata, in via transitoria, sulla base delle circolari
da questa emanate.
La revisione delle regole sulla rappresentatività viene affidata dall’art. 47 (nella versione originaria del D.Lgs.
n. 29/93) ad un accordo interconfederale, ma con il noto referendum del giugno 1995 (abrogativo, in modo parziale, anche dell’art. 19 dello Statuto),
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l’articolo viene abrogato ed il successivo parere interpretativo del Consiglio
di Stato afferma l’esigenza di un provvedimento normativo per regolare la materia della rappresentatività
e rappresentanza.
La lacuna provocata dagli effetti abrogativi viene, sulla base di un’apposita direttiva del Dipartimento della Funzione pubblica, provvisoriamente colmata dai provvedimenti dell’ARAN diretti all’accertamento dei soggetti
da chiamare al tavolo negoziale per i CC.CC.NN.LL. del secondo biennio 1996-1997.
L’accertamento che reca spunti di novità (alcuni poi recepiti nella legislazione successiva) viene impugnato
dalle XX.XX. e Confederazioni escluse dinanzi al TAR Lazio.
L’esito di quel contenzioso non ha visto la luce perché nel frattempo è stata portata a termine la stagione negoziale e, soprattutto, perché sono intervenuti i DD.Llgs. n. 396/97 e n. 80/98
di realizzazione della delega Xxxxxxxxx.
Con questi decreti l’accertamento
dei soggetti sindacali rappresentativi è stato definitivamente affidato
alle competenze dell’ARAN.
Per la messa a regime del sistema il legislatore ha previsto un arco
temporale assolutamente breve (meno di un anno), considerato l’intersecarsi di norme di legge ed accordi ai quali affidare il completamento
della disciplina.
Entro il 5 marzo del 1998 l’ARAN ha provveduto ad applicare le disposizioni transitorie; l’accertamento è avvenuto utilizzando la rilevazione dei dati 1996 del Dipartimento della Funzione pubblica senza avere a disposizione
un archivio dei soggetti (tantissimi)
ed in un clima di arrembaggio da parte dei sindacati più piccoli spinti
ad aggregarsi per raggiungere la soglia
legale pur senza avere in comune
una strategia sindacale, e con problemi di denominazione (specie nelle federazioni nascenti da tali aggregazioni momentanee) del cui travaglio è ampia traccia nei Contratti Collettivi Nazionali Quadro del 7/8/1998 e 27/1/1999.
A questa prima ricognizione è seguita una raffica di ricorsi dinanzi al TAR, che hanno avuto esito negativo per
i sindacati ricorrenti, in quanto i giudici hanno ritenuto l’accertamento
della rappresentatività semplicemente applicativo di norme di legge non derogabili. Ma il sistema era ben lungi dall’entrare a regime dal momento che la normativa prevedeva la stipulazione dell’accordo sulle elezioni delle RSU come propedeutico all’avvio
della stagione negoziale e da concludersi entro il 30/6/1998.
Tale accordo era, peraltro, indispensabile perché i voti riportati nelle elezioni avrebbero dovuto fare media con
il dato associativo ai fini dell’accertamento della rappresentatività delle XX.XX.
nel biennio successivo 2000-2001, quindi a regime.
Oggi non siamo in grado di dire per quale miracolo siamo riusciti
a rispettare le cadenze per la stipulazione dell’accordo sulle elezioni delle RSU
ed il conseguente CCNQ sulla ripartizione dei distacchi e permessi alle XX.XX. ammesse, ma il 7 agosto 1998, data della firma di entrambi, è per noi
una data storica.
La messa a punto degli accordi citati, la difesa in giudizio degli stessi, l’avvio e la realizzazione delle elezioni sono
stati un punto di orgoglio per l’Agenzia ma hanno anche destato la meraviglia di Xxxxxxx che confessò,
in un’occasione pubblica, che non si sarebbe mai aspettato una così rapida e soddisfacente realizzazione di quella riforma tanto complessa e delicata.
L’entrata a regime del sistema non ha eliminato il contenzioso né ha evitato problemi perché la conflittualità che si rileva all’interno delle federazioni formate da più sindacati permane ed è spesso violenta, ma, comunque, dopo
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questo difficile avvio e la sua messa a regime, ora l’accertamento avviene biennalmente e con regolarità pur essendo, ovviamente, un cammino ancora disseminato di ostacoli.
Dopo questo sintetico riassunto
di una vicenda molto complessa, quali possono essere le riflessioni sull’applicazione della normativa espressa dal D.Lgs. n. 396/97 e le riflessioni
sul futuro?
Per fare ciò preferisco partire da una domanda, che non sembri provocatoria ma che è invece utile per una riflessione non ideologica: di tutta questa esperienza c’è qualcosa che potrebbe essere utilizzato nel resto del mondo del lavoro? Altra domanda: la normativa citata riguarda sia i criteri per la misurazione della rappresentatività sia le regole
e i nuovi istituti della rappresentanza.
È possibile scindere i due corni del dilemma?
Per rispondere non si può non partire da un’analisi delle differenze tra pubblico e privato.
LA RAPPRESENTANZA
Nel settore pubblico, la sostanziale uniformità delle amministrazioni favorisce l’istituzione generalizzata delle Rsu.
Anche in settori come i comuni, in cui vi possono essere amministrazioni molto piccole, la stessa normativa prevede la possibilità di Rsu comuni
a più amministrazioni.
In ogni caso si tratta di aggregazioni favorite dall’uniformità di questo tipo di amministrazioni, per compiti, dimensioni, e tipologie di personale. Nel privato, caratterizzato, in Italia, dalla diffusione delle piccole imprese, è tutto più difficile non solo
per giustificabili resistenze datoriali all’introduzione di nuovi soggetti dotati di poteri pregnanti in materia di diritti sindacali e di contrattazione, non solo per la resistenza di alcune organizzazioni sindacali all’introduzione di forme di rappresentanza che incidono sulla propria organizzazione,
ma anche perché è molto più difficile prevedere Rsu comuni a più imprese che, ove anche simili merceologicamente, possono essere difformi per molti motivi se, non, addirittura, in competizione tra loro.
Si deve anche ricordare che,
nel pubblico impiego, l’istituzione delle Rsu si lega al complessivo progetto di riforma dell’amministrazione. In un disegno in cui, nel passaggio dalla regolazione del rapporto di lavoro con provvedimenti amministrativi
a quella con “i poteri del privato datore di lavoro”, si dava grande spazio
alla contrattazione collettiva (anche
in misura maggiore rispetto al privato) , questo tipo di potere doveva essere connesso ad alcune garanzie.
E le garanzie erano: verifica di una soglia minima di rappresentatività (basata
su un mix tra deleghe e voti) che garantisse ai sindacati, che avessero raggiunto la soglia, il diritto a trattare con l’Aran a livello nazionale; valutazione del peso dei sindacati rappresentativi per una valida sottoscrizione del contratto da parte dell’Aran e, ultima, ma non meno significativa garanzia, costituzione
di organismi a base elettiva che partecipassero, con poteri analoghi alle organizzazioni sindacali,
alla contrattazione integrativa.
Su questo ultimo punto è significativo il fatto che il D.Lgs. n. 396/97 parli
di “organismi di rappresentanza unitaria del personale”, a dimostrazione dell’interesse del legislatore
ad un coinvolgimento fattivo dei lavoratori ad un processo contrattuale molto importante e va ricordato, inoltre, che la contrattazione integrativa, nel settore pubblico, è dotata di ampi poteri
e (da dati Aran) risulta diffusa nel 97% delle amministrazioni pubbliche contro il 30% del settore privato.
IX
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Questa situazione è la base
di una normativa ritagliata su queste specificità, in cui la stessa diffusione del potere e della pervasività
della norma contrattuale nel settore pubblico ha in qualche maniera imposto al legislatore alcune forzature, o meglio, alcune pressioni nel campo delle forme di rappresentanza.
Nel settore privato può essere lo stesso?
Alcuni punti possono o potrebbero
(al di là di differenziazioni di dettaglio) essere comuni, altri probabilmente no. Ci tornerò tra poco.
LA RAPPRESENTATIVITA’
Consideriamo, ad esempio, la misurazione della rappresentatività non solo come soglia per il diritto a trattare ma anche misurazione del “peso” per concludere l’accordo.
Nel nostro settore, la misurazione
del “peso” é legata alla considerazione espressa dallo stesso Xxxxxxx che, nel pubblico, l’Aran non potesse “scegliersi” la controparte e, quindi, non potesse affrontare il rischio, pesante per delle amministrazioni pubbliche, di contratti non stabili.
Parlo di contratti non stabili e non,
o non solo, di contratti a maggioranza. Questo per affermare che, nella dinamica delle relazioni industriali, il “peso”
non è l’unico fattore determinante: non tutto si esaurisce nella “conta” ma essa aiuta nella definizione dei rapporti tra i sindacati e come elemento
di valutazione per la controparte datoriale.
D’altronde, se un nuovo sistema
di misurazione della rappresentatività si fermasse solo alla definizione
della soglia per trattare, potrebbe apparire come la mera costituzione di una “ conventio ad excludendum”, con inevitabili tensioni sullo stesso limite di soglia.
Inoltre, lo accennavo nel ripercorrere l’esperienza concreta dell’Aran, ben potremmo trovarci di fronte
ad aggregazioni fittizie per superare la soglia ma con assoluta libertà
di azione e frammentazione un attimo dopo aver superato “l’esame”
di rappresentatività.
La valutazione del “peso”, anche in una fase successiva all’ammissione
alle trattative, favorisce, se non atteggiamenti unitari, quantomeno atteggiamenti coordinati.
Certo questo pone il problema di chi sia l’accertatore, il garante, l’arbitro di questo processo.
Anche su questo intendo ritornare. Peraltro, mi sembra che l’accertamento della rappresentatività possa essere importante come soglia e come peso anche in un campo contiguo alla stipula dei contratti: parlo dello sciopero
nei servizi pubblici essenziali.
I poteri attribuiti dalla Legge n. 83/2000 (in particolare l’art. 13 comma 1 lettera a) alla Commissione di Garanzia sembra possano avere un forte rapporto con la previsione di regole sulla rappresentatività.
Per esempio lo stesso potere, riconosciuto alla Commissione, di fare propria ed estendere anche ad altri soggetti la regolazione del conflitto previsto negli accordi sindacali credo non possa prescindere da questo.
Se l’importanza del peso, pur con
le precisazioni che ho cercato di fare, mi sembra valutabile positivamente, è necessario affiancare al dato
delle deleghe quello elettorale?
Tutti sappiamo che nel pubblico il dato elettorale va di pari passo con le rsu:
è quindi misuratore di rappresentatività e, nello stesso tempo, condizione necessaria per la costituzione di forme di rappresentanza. È possibile scindere le due facce e, se sì, è elemento necessario al misuratore?
Per la prima parte della domanda, risponderei di sì.
Alcuni elementi già citati (realtà produttiva italiana, rapporto e ingerenza
X
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nell’organizzazione dei sindacati) porterebbe a ritenere possibile procedere alle votazioni senza legami con la costituzione di rsu (salvo nelle imprese medie e grandi in cui vi è stata già un’esperienza in tal senso).
Si potrebbe dire che una cosa è
la votazione rivolta genericamente
a dare forza ad un sindacato e un’altra una votazione che direttamente conduce alla costituzione di strutture rappresentative, con poteri diretti
nella conduzione delle trattative in sede aziendale. Forse vi sarebbero i rischi
di astensionismo, si diminuirebbe il grado di partecipazione.
È senz’altro un rischio, ma forse varrebbe la pena di correrlo.
Altra questione è quella relativa
alla necessità di prevedere – comunque
– meccanismi elettorali oppure
di consentire l’accertamento attraverso il solo dato associativo.
So bene che il compromesso raggiunto nel pubblico rappresenta un equilibrio tra le due anime e le due concezioni del sindacato.
Non intendo perciò su questo punto esprimere opinioni che – oltretutto – rappresenterebbero un’invasione
di campo. Mi limito a fornire qualche dato.
La nostra esperienza ci dice che non si sono mai verificati grandi scostamenti tra deleghe e voti. È difficile che chi ha già una buona dote di xxxxxxx, risulti pesantemente sconfitto alle elezioni.
Ci potrà essere il caso di chi, primo
in deleghe risulti secondo nelle votazioni (o viceversa).
È accaduto qualche caso di organizzazioni che non rappresentative (per poco)
sul versante deleghe abbiano invece avuto un buon successo nelle votazioni che le ha rese rappresentative;
ma sempre con variazioni dell’ordine di qualche decimale. Le votazioni non sono state, quindi, un “referendum” sulla effettiva rappresentatività,
una sorta di “Giudizio di Dio” ma, invece, il mix deleghe e voti ha permesso una regolazione di “fino”
della rappresentatività, un accertamento “dinamico” e, elemento importante,
ha dato una legittimazione, una partecipazione diretta e un riconoscimento, per così dire,
“popolare” a organizzazioni sindacali che, comunque, nel settore pubblico avevano già provato sul campo la loro rappresentatività .
Il problema è, semmai, un altro. Chi può garantire tutto il processo di misurazione e accertamento?
Il problema ha una sua rilevanza per le deleghe ma è molto più grave
per i voti.
Nel nostro caso, come ricordavo prima, la fatica è stata enorme.
La normativa aveva già previsto
la formazione di un Comitato paritetico tra ARAN e Organizzazioni Sindacali “per garantire modalità di rilevazione certe e obiettive, per la certificazione dei dati e per la risoluzione
delle eventuali controversie”.
La costituzione di questo Comitato ha richiesto tempo e il sistema
di votazione con pesi diversi tra i vari sindacati, non vi nascondo, è stata degna delle complessità delle trattative per l’allargamento dell’unione europea.
Altro elemento importante: l’ARAN ha garantito, successivamente all’accertamento di rappresentatività, che le aggregazioni costituite per
il superamento della soglia, non fossero fittizie. L’attività di controllo,
i rapporti costanti con le amministrazioni (attraverso note di chiarimento, risposte a quesiti ecc.) hanno evitato
la frammentazione successiva e il sostanziale aggiramento della normativa.
In questo senso, si può dire che, in un settore caratterizzato, prima,
da una frantumazione e balcanizzazione
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delle sigle sindacali (prima del D.Lgs.
n. 396/97 erano 120 le XX.XX. ammesse
– soprattutto per intervento giudiziario
- al tavolo contrattuale), vi è, adesso, non solo una reale selezione
delle organizzazioni sindacali effettivamente dotate di rappresentatività fra i lavoratori, ma anche un maggiore coordinamento e aggregazione
fra le controparti sindacali.
Questo, mi preme sottolinearlo, non significa maggiore UNITA’ sindacale ma solo evitare che si affermino (e questa nel settore pubblico è stata una deriva storicamente presente) logiche autoreferenziali, del tutto interne
a micro o macro apparati senza alcun legame con le effettive esigenze degli stessi lavoratori iscritti.
Comunque, credo di poter affermare che l’Agenzia ha svolto questa parte
di funzioni assegnatele – di pura natura amministrativa e non di controparte sindacale – con un notevole senso
di equilibrio e con l’intento di favorire sempre soluzioni che avessero
il massimo di consenso.
È prova di tutto ciò il fatto che le decisioni finali dell’ARAN sull’accertamento della rappresentatività hanno avuto poche contestazioni giudiziarie
e che le decisioni giurisdizionali hanno sempre confermato la scelta dell’Agenzia. Chi potrebbe nel privato svolgere compiti analoghi?
Non credo a strutture amministrative preesistenti che sarebbero sempre sospettabili di avere atteggiamenti guidati dalla politica.
Se non fossero passate di moda
si potrebbe pensare ad una Authority – snella ed essenziale – che potrebbe garantire un’attività così delicata.
Per non essere frainteso preciso che “non” propongo che l’ARAN diventi una Authority.
QUALCHE CONSIDERAZIONE FINALE
Le valutazioni che ho svolto mi portano a ritenere fortemente positiva l’esperienza nel settore pubblico.
Un’esperienza da difendere, sicuramente migliorabile ma che ha condotto ad una razionalizzazione del sistema e ad una griglia di regole
che rendono più facile un’attività come le relazioni sindacali che potremmo considerare, per sua intrinseca natura, difficile e non semplificabile.
Un’esperienza che non dovrebbe rimanere isolata.
Le specificità del settore pubblico sono tali da giustificare allargamenti ad altri settori più graduali, più modulari, anche più parziali, ma non sono tali
da giustificare un assoluto isolamento. Per quanto riguarda il settore privato, le considerazioni prima svolte non portano a nessuna opzione precisamente definita.
Molti sono i problemi e le differenze e questa è materia di un dibattito più allargato. La prossima tavola rotonda porterà senz’altro un contributo sia sull’analisi della nostra esperienza sia su eventuali sviluppi.
Mi permetto solo di avanzare qualche suggerimento e di fare alcune puntualizzazioni.
Quando si parla di settore pubblico e di settore privato si tende,
inevitabilmente, a dare delle definizioni schematiche.
Così come il settore pubblico è, ormai, molto diversificato al suo interno anche quello privato lo è.
In una parte del settore privato (parlo in particolare del settore dei trasporti, ma non solo), le dimensioni
delle imprese, la tradizione culturale, la stessa storia sindacale presentano molte analogie con il nostro settore.
Ciò potrebbe permettere una normativa simile sia sulla
rappresentatività sia sulle forme
di rappresentanza che potrebbe anche contribuire a risolvere l’annoso problema dello sciopero nei trasporti legando alcune previsioni (non tutte, ovviamente), della normativa
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in materia, a punti di riferimento certi e incontrovertibili e la presenza
al tavolo contrattuale al rispetto
di alcune regole in materia di conflitto sindacale. Per esempio, il superamento della soglia di rappresentatività
per l’ammissione al tavolo potrebbe essere connesso anche al rispetto
di alcune regole in materia di sciopero. Alcune di queste regole potrebbero essere estese anche ai non rappresentativi. Peraltro si deve ricordare come,
nel settore dei trasporti, molti scioperi siano anche volti ad esercitare pressioni sulle aziende per l’ammissione al tavolo o, comunque, per ottenere forme
di riconoscimento.
La definizione per legge, almeno di una soglia di rappresentatività,
toglierebbe molti motivi di pressione e di conflitto tra organizzazioni sindacali e aziende.
Un altro punto mi preme sottolineare.
Il dibattito sulle regole in materia
di rappresentatività è, in questa fase, molto legato al problema dei “cd.” accordi separati.
A mio avviso si tratta di un dibattito fuorviante.
Un sistema di regole sulla rappresentatività sindacale aiuta le relazioni sindacali,
le rafforza e, nello stesso tempo, xxxxxxxx e legittima ulteriormente, rispetto all’attuale situazione, il ruolo dei sindacati e dei contratti da essi stipulati.
Di più non può fare. Non aiuta di per sé l’unità sindacale e non evita scelte difformi fra le organizzazioni sindacali; anzi, a mio avviso, almeno in una prima fase, non può che facilitare accordi
a maggioranza variabile.
Riguardo ad una questione diversa ma, in qualche modo connessa a questo punto, ossia l’introduzione dell’istituto del referendum, vorrei ricordare che
la nostra esperienza ci dice che, ove sia presente un sistema regolato,
il referendum perde valore anzi risulta addirittura controproducente
e delegittimante per le regole stesse. In conclusione non posso che sottolineare ancora il valore
di un dibattito come questo, non solo come riflessione su quello che è stato
fatto ma, soprattutto, per avere indicazioni sul futuro.
Non a caso lo stesso Xxxxxxx X’Xxxxxx, nel suo articolo “Nel cratere dei referendum sulla rappresentatività sindacale” paventava, più a lungo termine, gli effetti negativi
del referendum di abrogazione parziale dell’art. 19 dello Statuto.
Diceva Xxxxxxx: “Il referendum rompe l’equilibrio precario, ma determinante, tra legislazione di sostegno
del radicamento organizzativo
dei sindacati nelle imprese e garanzie di effettività dei contratti collettivi
di diritto comune.
E sospinge il diritto sindacale italiano lungo una deriva che lo allontana
dagli standard europei, che rispecchiano modelli partecipativi di relazioni collettive nell’impresa, e richiedono una rappresentanza dei lavoratori non subordinata alle dinamiche negoziali
e ai rapporti di forza”.
Nel suo ultimo importantissimo articolo, finito di scrivere solo due giorni prima del suo assassinio
“Il quarto comma dell’art. 39 della Costituzione, oggi”, Xxxxxxx analizzava chirurgicamente l’articolo 39
della Costituzione dimostrando non solo (ma su questo si era già pronunciata la Corte Costituzionale) la compatibilità del D.Lgs. n. 396/97 con la carta costituzionale ma anche la compatibilità, comunque, di percorsi analoghi, che, pur con i più diversi passaggi, tappe
e proposte e senza la minima pretesa di voler imporre alcun tipo di modello, intendessero porre nuove regole
in tema di rappresentanza e rappresentatività.
La definizione di questi percorsi è l’eredità, pesante, che ci ha lasciato e sulla quale invitiamo tutti al confronto.
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XXXX. XXXXXXXXX XXXX
FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE UNIVERSITÀ DI ROMA “LA SAPIENZA”
Diamo inizio a questa interessante tavola rotonda dopo la relazione dell’Avv. Xxxxxxx che ci ha ricordato ciò che è stato fatto da Xxxxxxx X’Xxxxxx, soprattutto per quanto riguarda
il Pubblico Impiego.
Il punto principale della relazione del Presidente dell’Aran è stato che
il sistema del settore pubblico, al di là degli elementi specifici e peculiari, può essere esportato.
Però l’Avv. Xxxxxxx sa che il discorso della politica legislativa, su questo versante, sembra chiuso anche
da quanto affermato nel libro bianco.
Certo è interessante il riferimento
sul nesso tra regole di rappresentatività e legge 146 sullo sciopero, perché
in effetti, dal punto di vista della politica legislativa, non possiamo escludere che quello sia il campo nel quale ci si possa esercitare.
Anche perché credo che sia un settore nel quale certe preoccupazioni, che possono esserci se ci muoviamo soltanto in riferimento all’articolo 39 Cost. (pensate alle possibili interferenze dell’azione amministrativa sulle determinazioni degli ambiti all’interno dei quali va misurata una rappresentatività), potrebbero essere
minori, in relazione alla esigenza di disciplinare il diritto di sciopero, nel campo dei servizi pubblici, nell’interesse di tutelare gli utenti.
Quindi abbiamo un bilanciamento che consente di considerare il principio
di libertà sindacale in termini più paritari, meno subordinati rispetto al principio di libertà in assoluto.
Quindi, sapendo che in questa prospettiva può essere ancora aperta la possibilità di un intervento, noi dobbiamo ragionare intorno al tema della rappresentanza e della rappresentatività, e Scognamiglio con efficacia ha detto che è un groviglio. Io, considerato il mio compito di fare solo un’introduzione, avevo preparato una breve scaletta per descrivere
un po’ questo groviglio.
E inizialmente dobbiamo fare i conti con quello che Xxxxxxxxxx all’inizio ci ha detto, dandoci una serie
di significati dei quali noi oggi parliamo, e credo che sarebbe utile iniziare proprio dall’accordo
sul significato che possiamo dare a questi termini.
In sostanza possiamo dire che quando parliamo di rappresentanza, intendiamo un meccanismo di imputazione
degli effetti dell’attività negoziale; per la rappresentatività, parliamo
di una selezione di soggetti legittimati a determinati effetti, quindi sono due piani un po’ diversi.
Questa differenza di piani dobbiamo
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osservare che non era riconosciuta dall’art. 39 della Costituzione, perché questo articolo conosceva
la rappresentanza ed anzi nel II comma, nella parte seconda, si esercitava
ad individuare una particolare forma di rappresentanza abilitata a stipulare contratti validi erga omnes.
Invece la figura della maggiore rappresentatività ha costituito tutto lo sviluppo del sistema di rilevazione
industriale, già generato dal dispiegarsi della realtà sociale, e del principio
di libertà sindacale fissato nel I comma. La rappresentatività ha rappresentato uno strumento essenziale per
la realizzazione di una legislazione di sostegno delle organizzazioni protagoniste del sistema di relazioni
industriali, un sostegno che richiedeva l’adozione di un criterio selettivo.
Si può dire che la rappresentatività si è innestata nel comma I della norma costituzionale, norma che è costituita da due rami: il primo, relativo all’affermazione della libertà sindacale, il secondo, il ramo che disciplina
il contratto erga omnes.
Il primo ramo ha conosciuto un rigoglioso sviluppo e questo ha tratto linfa vitale proprio dall’essiccamento del secondo ramo, di attuazione della seconda parte dell’art. 39. Ha rappresentato, quindi, una scelta felice del legislatore perché ha favorito l’esprimersi di dinamiche che si sono rilevate positive per
la crescita del sistema delle relazioni industriali.
Questa crescita è avvenuta all’insegna dell’unità delle organizzazioni sindacali, con unità di azione anche se non unità organizzativa.
In questo sistema, il criterio della maggiore rappresentatività andava a sancire
e nello stesso tempo a difendere l’egemonia che le organizzazioni storiche avevano conquistato sul terreno.
Quel sistema aveva reclamato una sua autosufficienza e così il problema
dell’attuazione della seconda parte dell’art. 39 sembrava essere definitivamente tramontato in parallelo con il fatto che le prospettive
di una disciplina dello sciopero, promesse dall’art. 40, venivano tenute lontane
da quella egemonia. In parallelo
al legislatore la dottrina ha appoggiato molto questa deriva, in particolare rispetto al principio dei “pacta sunt servanda”. La dottrina in questo aveva una fiducia assoluta e cioè nella possibilità dell’egemonia conquistata da questi attori. Nella stessa direzione si è mosso lo Statuto dei lavoratori che ha sancito il potenziamento del concetto di libertà sindacale e sappiamo che ci sono norme che vedono la prospettiva unitaria e la difendono.
Quindi questo è stato il clima per anni. Ma questo equilibrio ad un certo punto ha cominciato ad alterarsi, quando
il sistema delle relazioni industriali si è trovato a dover fronteggiare situazioni di difficoltà, quando ha dovuto abbandonare la contrattazione acquisitiva per quella concessiva.
In questo momento si è posto
il problema della efficacia soggettiva dei contratti. Ricordo il primo caso, a Catania, quando ci si chiese
se un accordo con diminuzione dell’orario fatto per tutte le commesse possa essere applicato anche
alle commesse della CISNAL che non aveva firmato.
Il Pretore argomentò che l’accordo valeva per tutti e teneva ancora questa logica della maggiore rappresentatività come criterio di legittimazione.
La verità è che tale sistema è entrato in crisi quando è venuta meno l’unità sindacale e soprattutto a partire
dal vulnus che si è prodotto a San
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Xxxxxxxxx quando nell’84 l’unità viene rotta in maniera clamorosa e ci si chiede chi sia legittimato a negoziare.
In quel caso fu Xxxxx ha risolvere il problema con un decreto poi
convertito in legge, anche se da allora una parte della sinistra ha cominciato
a porre il problema della rappresentatività. Si è cercato, sul piano parlamentare,
di dare rilevanza a questo problema della necessità di misurare la volontà della base.
Ricordo ad esempio la Legge n. 146/90 con la norma che prevede di fare ricorso alla verifica alla base quando non c’è un accordo tra le parti per
la regolazione dei servizi minimi.
Il sistema ha cominciato ad entrare
in fibrillazione, il legislatore ha continuato a valorizzare il criterio effettuale ed
a rinviare alle organizzazioni sindacali più rappresentative grosse fette
di potere regolativo, non facendosi carico dei criteri di legittimazione delle parti a questi processi.
La situazione è cambiata, dopo
il referendum negativo sull’art. 19 che ha castrato l’anima promozionale affermando che il sindacato può essere presente ora solo come firmatario
di un contratto dell’unità produttiva, dopo lo scoppiare di contraddizioni ad esempio sul problema di chi ascoltare tra due organizzazioni particolarmente rappresentative.
Poi il legislatore ha cominciato
a scegliere con una logica abilitativa; formula ambigua che infatti è stata modificata in quanto sembrava dare alla CGIL una posizione di privilegio.
Tanto è vero che qualcuno mise
in giro la voce che la negoziazione non sarebbe stata possibile senza la firma della stessa CGIL.
Questa soluzione avveniva su
n presupposto sbagliato, quella formula era abilitativa per una serie di soggetti posti in posizione gradata, era
un segno di disagio.
Sappiamo del tentativo che c’è stato nella passata legislatura di terminare l’operazione che Xxxxxxx aveva iniziato, quando è stato riempito
il cratere dell’art. 47 (del D.Lgs. n. 29/93, oggi il 43 del 165/2001) riprendendo
il titolo di un famoso articolo
di Xxxxxxx, ma il settore privato è ancora in attesa di una norma.
Xxxxx Xxxxxxx ricorda coma Xxxxxxx difese la costituzionalità della riforma in relazione all’art. 39 ma secondo me noi sapevamo già che con il 39 non avremmo avuto problemi sotto questo profilo esistendo una sentenza
della Corte Costituzionale che diceva “qua, comunque, c’è l’ARAN che negozia per tutti”. Infatti, come ci insegnò Xxxxxxx, l’art. 39 serviva
a risolvere il problema di come imporre ai datori di lavoro, non presenti
al tavolo delle trattative, una pattizione fatta da altri.
Questa norma del 51% minimo per poter validamente sottoscrivere
un contratto nel settore pubblico, è una regola interna, però trasferirla nell’impiego privato è più problematico in quanto il disegno di legge Xxxxxxxxx aveva un punto di debolezza perché
la rappresentanza è unitaria nella Carta Costituzionale, un metodo
di partecipazione contrario alla logica usata nel d.d.l.
Abbiamo di fronte a noi, quindi, come ha detto Xxxxxxxxxxxx, un groviglio di nodi problematici che richiedono di essere risolti e, nello stesso tempo, dobbiamo fare i conti con questa dichiarazione del Governo che ritiene che questa non sia materia sulla quale dover intervenire.
(testo non revisionato dal relatore)
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XXXX. XXXXXX XXXXXXXX
FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA UNIVERSITÀ DI ROMA “LA SAPIENZA”
1. Vorrei esporre alcune riflessioni sul significato che le nozioni
di rappresentanza e rappresentatività assumono nel contesto della concertazione.
L’interesse a svolgere queste riflessioni sta nel fatto che la concertazione è fuori dal sistema delineato dalla nostra Costituzione formale in quanto questa, se prevede che la legge intervenga
ad indirizzare e a coordinare l’attività economica (art. 41, terzo comma, Cost.), non prevede che questo intervento sia preparato o condizionato
da una concertazione tra Governo e parti sociali.
Soltanto di recente, forme di concertazione sono state previste e regolate da alcune legislazioni regionali.
Del resto, è noto come la concertazione abbia suscitato dubbi in ordine alla sua legittimità costituzionale proprio perché è sembrata uno strumento che potrebbe esautorare, nei fatti,
la funzione del Parlamento. Questo, infatti, finisce per essere chiamato a ratificare gli accordi
raggiunti tra esecutivo e forze sociali, se non addirittura a vedersi sottratta ogni competenza laddove quei patti siano destinati a trovare attuazione mediante una legge delegata.
2. La concertazione ha lo scopo
di ottenere il “consenso” delle parti sociali sulla politica economica
del Governo, nel presupposto che senza quel “consenso” quest’ultima,
anche se stabilita da una legge, non avrebbe effettività.
Xxx si può dire, dunque, che la concertazione presuppone la debolezza del Governo e la sua incapacità di far rispettare, per legge, la sua politica economica.
3. In questo contesto, il problema posto dall’antitesi tra rappresentanza e rappresentatività si pone in termini diversi da quelli tradizionali.
Il concetto di rappresentatività è stato introdotto nel nostro ordinamento per selezionare i sindacati abilitati
ad attingere certe prerogative senza accertare la loro effettiva capacità di rappresentanza e, cioè, come
prevedeva il quarto comma dell’art. 39 Cost., il numero dei loro iscritti.
Onde la rappresentatività esprime una presunzione di rappresentanza.
4. Per contro, se riferito al contesto della concertazione, il problema posto dall’antitesi tra rappresentanza
e rappresentatività perde di importanza.
La concertazione, infatti, funziona se è garantita l’effettività dei patti e,
quindi, la rappresentatività, in quanto esprime una presunzione, non basta a garantirla.
XVII
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L’effettività della concertazione può essere garantita soltanto se i soggetti che ad essa partecipano hanno
una rappresentanza effettiva e, cioè, sono idonei ad assicurare il consenso reale dei destinatari della politica economica concertata.
Ed è per questo che, nella concertazione, rappresentanza e rappresentatività finiscono per coincidere.
5. Riprova di ciò si può avere dalle seguenti considerazioni.
Quando il consenso è stato reale la concertazione è stata effettiva:
dall’ultimo rapporto CNEL risulta che il modello contrattuale definito,
con la partecipazione della CGIL, nell’accordo del 3 luglio 1993 ha, sostanzialmente, assicurato, anche
nel biennio 2000/2001, il mantenimento del lavoro nei limiti della coerenza
con le dinamiche economiche generali ed è stato, quindi, virtuoso, nonostante l’aumento dell’inflazione determinato dall’introduzione dell’Euro.
Per contro, la CGIL si è dissociata dal “Patto per l’Italia” del 2002 con
la conseguenza che quel patto non ha avuto effettività. In quell’occasione
il Governo Xxxxxxxxxx, sebbene forte in sede politica a ragione
della maggioranza parlamentare di cui è espressione, si è rivelato debole rispetto alla piazza, tant’è che ha dovuto rallentare, se non abbandonare, la progettata revisione dell’art. 18
della Legge n. 300 del 1970.
Al tempo stesso, il sindacato dissenziente era forte nella piazza ancorché,
in quell’occasione, il sindacalismo autonomo si è ulteriormente rafforzato rispetto alla centralità confederale.
6. E a questo punto, deve appena essere notato che la legittimazione delle forze sindacali nella piazza deriva dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.
Questa, con la sentenza n. 290 del 1974, aveva legittimato lo sciopero politico in quanto caratterizzato dal fine
di tutelare interessi che possono essere soddisfatti solo da atti di Governo
o da atti legislativi che, indubbiamente, sono “politici”.
Xxxx, in quell’occasione i giudici costituzionali hanno ritenuto che lo sciopero è “un mezzo che,
necessariamente valutato nel quadro di tutti gli strumenti di pressione usati dai vari gruppi sociali, è idoneo
a favorire il perseguimento dei fini di cui al comma 2 dell’art. 3 Cost.” e,
cioè, “l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione giuridica, economica e sociale del Paese”.
Al tempo stesso, la Corte, con
la sentenza n. 30 del 1990, ha postulato che l’azione sindacale è “concreta, genuina ed incisiva” quando perviene “a significativi livelli di reale consenso”.
7. Ed è per effetto di queste posizioni che l’argomento, oramai di moda, è quello di sapere se di “concertazione” si possa parlare soltanto quando
ad essa partecipano tutte e tre le grandi confederazioni sindacali in quanto queste, finché hanno agito sulla base
di un patto di unità d’azione, hanno potuto garantire la massima rappresentatività e, quindi, quel “consenso” che è necessario a rendere effettivi i risultati della concertazione. Se così è, quando una delle grandi confederazioni e, anzi la più grande, dissenta dalla concertazione, si ritiene che questa degraderebbe il “dialogo sociale”.
Ciò perché, se è vero che le tre confederazioni sindacali hanno, sicuramente, la stessa posizione sul
XVIII
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piano della rappresentatività, deve, oramai, essere constatato che senza la CGIL non sono garantiti, per dirla con le parole della Corte costituzionale, “significativi livelli
di reale consenso”.
8. Questa constatazione pone
un problema ulteriore rispetto a quello terminologico determinato dalla contrapposizione tra “concertazione” e “dialogo sociale”.
Pone il problema di sapere qual è il senso di una concertazione alla quale non partecipino tutte le confederazioni sindacali comparativamente più rappresentative secondo la nozione oramai adottata dal legislatore.
A mio avviso, una “concertazione” siffatta, o, se si vuole, un “dialogo sociale”, come avviene in tutte le forme di consultazione, avrebbe, ed ha, soltanto la funzione di fornire
al Governo, elementi utili a definire la sua politica sociale.
Per contro, come dimostra l’esperienza recente, gli accordi che venissero raggiunti in quella sede non avrebbero effettività.
9. Ne deriva che la soluzione del problema posto dalla partecipazione, o no,
di tutte le confederazioni sindacali
alla concertazione deve essere limitata al piano della effettività.
La concertazione si pone fuori
del sistema costituzionale e, quindi,
il problema non è quello della legittimità e validità degli accordi concertativi,
ma soltanto quello della loro tenuta “sociale” e “politica”.
Quindi, il mancato unanime consenso sindacale potrebbe non consentire alla concertazione di realizzare la sua funzione, nella misura in cui non garantisce il consenso della piazza.
Di conseguenza l’esecutivo è esposto alla sanzione politica della conflittualità sociale che trova espressione
con lo sciopero, appunto, politico.
10. La stessa conclusione non vale, però, per quanto attiene al contratto collettivo.
Questo, infatti, a differenza della concertazione, sta nel sistema costituzionale formale.
Il contratto collettivo è espressamente previsto dall’art. 39 Cost. e, su di esso, si è formata una giurisprudenza che,
a ragione della sua sostanziale uniformità, consente di ritenere che il contratto collettivo, anche
in mancanza di una legge sindacale, ha una sua analitica disciplina.
Proprio perché il contratto collettivo sta nel sistema costituzionale, la sua effettività non dipende soltanto da ciò che sia stato stipulato da tutte
le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative e, quindi, è in qualche modo irrilevante che una di esse, ancorché abbia
una rappresentatività sociale molto forte, non abbia ritenuto
di sottoscriverlo.
11. Il contratto collettivo, infatti, è
un vero e proprio contratto, ancorché atto di autonomia collettiva e non individuale.
Pertanto, esso è valido, efficace ed idoneo a produrre i suoi effetti, purché sia stipulato legittimamente.
E la legittimità della stipulazione non è condizionata da ciò che sia stipulato con il concorso di tutti
i sindacati rappresentativi, ma, semmai, a condizione che tutti siano stati messi in grado di svolgere la loro azione sindacale nella fase delle trattative
(art. 28, legge n. 300 del 1970).
12. A questa conclusione si deve pervenire proprio perché il principio
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della libertà sindacale sancito dal primo comma dell’art. 39 Cost. (che, in assenza di una legge sindacale, costituisce l’unica disposizione del nostro ordinamento che regola il sistema
delle relazioni industriali), esclude che la stipulazione del contratto collettivo debba avvenire nel rispetto del principio dell’unanimità.
Certo, l’unanimità è stata sostanzialmente rispettata negli ultimi quindici anni,
ma non già a ragione dell’esistenza di un principio di per sé cogente, ma soltanto perché, nei fatti, è stato rispettato il patto di unità di azione sindacale.
13. Cessata questa unità, condizionare la validità e l’efficacia del contratto collettivo alla stipulazione da parte
di tutte le maggiori organizzazioni confederali significherebbe limitare
la libertà di quelle che, in dissenso con altre, intendono sottoscriverlo.
E la conferma di questa conclusione deve essere tratta dal quarto comma dell’art. 39 Cost. che, prevedendo una rappresentanza proporzionata
al numero degli iscritti, postula, a mio avviso, necessariamente il principio della maggioranza.
14. Il contratto collettivo legittimamente stipulato anche soltanto da alcune sigle sindacali è valido ed efficace nel senso che: i datori di lavoro sono obbligati
ad applicarlo; costituisce un valido
e necessario punto di riferimento per il giudice quando si tratti di determinare la retribuzione proporzionata.
15. Un problema, se mai, sarebbe quello di verificare la rappresentatività dei sindacati stipulanti sulla base
della loro effettiva rappresentanza. Mancherebbero, allora, gli elementi di fatto necessari per operare tale
verifica, mentre quelli disponibili sono incerti.
Ed infatti, per i sindacati, la situazione è, nella sostanza, la stessa in cui si trovano i partiti. È noto che il numero
degli iscritti ai partiti è sicuramente inferiore al numero degli elettori che li votano; allo stesso modo il numero degli iscritti ai sindacati è minore
di quelli che condividono le linee politiche della loro azione sindacale.
16. Problema questo che Xxxxxxx X’Xxxxxx aveva già avvertito verso la fine degli anni ’80 quando aveva denunciato “la crisi della capacità
d’autoregolamentazione del pluralismo nel sistema sindacale” e, quindi,
aveva auspicato il passaggio
da una “rappresentatività presunta” ad una “rappresentatività misurata in relazione all’effettiva forza
e consistenza del sindacato”. Auspicio questo che, poi, lo stesso Xxxxxxx X’Xxxxxx riuscì a tradurre in legge attraverso la nozione
di sindacato comparativamente più rappresentativo, prima, e con la riforma del pubblico impiego, poi.
17. Ed infatti, per il contratto collettivo dei dipendenti della pubblica amministrazione, la legge prevede una particolare procedura per accertare la consistenza di ciascun
sindacato e, quindi, la sua rappresentanza effettiva.
E, molto probabilmente, sarebbe stato ragionevole che quella disciplina fosse estesa anche al contratto collettivo destinato a regolare i rapporti di lavoro intercorrenti con datori di lavoro privati.
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XXXX. XXXXXXX XXXXX
FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA UNIVERSITÀ DI ROMA “LA SAPIENZA”
Non ho preparato in modo particolare questo intervento perché il tema mi sembrava insito nel nostro DNA.
I cultori del diritto del lavoro, tra i quali mi annovero, non possono non avere
delle opinioni che comunque non saranno mai definite in modo definitivo, ma che sono radicate nella nostra cultura giuridica.
È un tema nel quale è imprescindibile il riferimento al pensiero e agli scritti
di X’Xxxxxx e per questo anche la scelta di tale sede, questa facoltà, dove lui ha insegnato e dove io ho avuto il piacere di averlo mio successore.
Questa mattina ho rivisto alcuni suoi scritti: il suo ultimo sull’art. 39 e il saggio breve, ma succoso, che ha pubblicato sul lavoro di diritto nell’88.
Che cosa si può dire di più di quello che è stato già detto da D’Xxxxxx?
Forse qualcosa di diverso, diversità imposta dall’evoluzione dell’ordinamento sociale, visto che il diritto del lavoro è innanzitutto un diritto di poteri sociali.
L’autonomia individuale e collettiva sono istituti giuridici e ciò determina l’esigenza di giuridificare questi poteri sociali.
Allora noi oggi ci troviamo di fronte
a situazioni di cui D’Xxxxxx si è occupato come politico del diritto e sono i temi
della differenziazione della rappresentatività. Una prima cosa si può dire sulla nozione di rappresentatività e sui suoi ambiti
di riferimento; secondo sulle sue applicazioni all’attuale fase dell’ordinamento giuridico del lavoro.
La rappresentatività è una nozione che si riferisce alla capacità della rappresentanza sindacale di realizzare i propri obiettivi
di tutela, una nozione che non è propria della legge, così come la rappresentatività assoluta o comparativa, ma è intrinseca
all’ordinamento intersindacale nel quale c’è un principio di effettività; non basta essere rappresentanti degli interessi collettivi ma bisogna anche essere capaci di realizzare il nesso organizzazione – attività. Allora la nozione di rappresentatività cambia secondo i suoi ambiti di riferimento.
C’è un primo ambito sulla titolarità degli esercizi sindacali, nelle imprese
in particolare c’è l’esigenza di selezionare delle soglie; poi abbiamo la rappresentatività nella contrattazione collettiva e qui distinguerei tra la contrattazione collettiva normativa e quella di categoria dove
la rappresentatività si deve misurare con il consenso dei singoli, per effetto
dell’inattuazione dell’art. 39 ma non solo. Il contratto collettivo riceve una convalida dall’accordo delle parti del rapporto individuale che lo recepiscono.
Qui non è necessario che il sindacato
sia maggiormente rappresentativo, almeno in teoria, e c’è un problema di scelta dell’interlocutore dall’altro lato, quello della controparte.
Questo spiega perché questo problema sia potuto restare nell’ombra nel settore privato e non nel pubblico, perché qui il contratto collettivo non è solo frutto di una minuziosa regolamentazione
del procedimento di stipulazione ma anche a monte espressione di un presupposto
di legittimazione rappresentativa.
Il contratto collettivo assume nel pubblico la funzione di regola per l’amministrazione stessa come risulta da disposizioni dell’art.
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45 dell’attuale Testo.
Qui è la ragione della differenza intrinseca tra il contratto collettivo di diritto comune e speciale.
C’è una contrattazione collettiva, poi, necessaria anche nell’ambito privatistico, la rappresentanza necessaria ovvero
la contrattazione aziendale specialmente gestionale dove la nozione della maggiore rappresentatività deve rispecchiare criteri differenti. Non ci si può accontentare
di una rappresentatività presunta come nella contrattazione collettiva di categoria ma bisogna andare alla rappresentanza effettiva. In ultimo c’è l’area della concertazione, il fenomeno corposo
di un’area molto più ampia di esercizio della libertà sindacale che è l’azione politica del sindacato, bene ha fatto Persiani
a ricordare la sentenza 290 della Corte Costituzionale che rifletteva le pronunce del ‘62 estese dal Branca dove si individuava nello sciopero uno strumento per la tutela degli interessi collettivi extracontrattuali, politici e la sua giuridificazione è tipica dell’ordinamento italiano.
Qui la maggiore rappresentatività raggiunge il suo apice perché a meno di non sdoppiare, come Persiani ha fatto, il profilo dell’effettività da quello della validità credo che per il giurista l’effettività sociale non può essere in contrasto con la validità.
Perciò la maggiore rappresentatività delle organizzazioni che partecipano
alla contrattazione hanno il requisito certo della effettività, ma anche l’attitudine
degli accordi a spiegare ed assistere le politiche cui sono preordinati.
Questo discorso ci porta a consentire con un altro dei risultati interpretativi di D’Xxxxxx e cioè sistematizzando
e razionalizzando un pensiero che già era stato fondamento delle numerose sentenze della Corte Costituzionale; il pensiero
sulla compatibilità tra il modello costituzionale dell’art. 39 e quello che si è sviluppato nell’ordinamento sindacale fuori
dalla Costituzione. Sono modelli alternativi in cui convivono due diverse nozioni
della rappresentatività sindacale: una quella
della maggiore rappresentatività come strumento di selezione e l’altra quella della maggiore rappresentatività numerica che è nel modello dell’art. 39
della Costituzione.
Poi c’è un quinto ambito, quello dell’esercizio dello sciopero dei servizi pubblici essenziali anche se c’è una regolazione specifica
e non possiamo fare a meno di soggetti maggiormente rappresentativi; non solo per individuare i soggetti titolari dell’esercizio del diritto di sciopero quanto per regolare
il conflitto. Punto cruciale della Legge 146 è che non basta regolare gli effetti dannosi
e pregiudizievoli per l’utenza dello sciopero dal punto di vista della procedimentalizzazione, ma bisogna intervenire sulle cause
della riduzione degli scioperi.
Allora credo che sia indifferibile per l’amministrazione pubblica, per garantire i diritti degli utenti, provvedere
ad una definizione della legittimazione rappresentativa a negoziare dei soggetti sindacali e quindi limitare l’esercizio del diritto di sciopero solo in quanto
le organizzazioni siano investite del potere di contrattazione collettiva, che poi è
il modello ARAN. Questo modello fa coincidere la maggiore rappresentatività o la selezione in funzione della
contrattazione collettiva. Bisogna guardarsi dall’illusione di poter esportare modelli
di questo genere nel settore privato, perché l’individuazione, ai fini della contrattazione collettiva, di sindacati maggiormente rappresentativi, è correlata all’imposizione dell’obbligo a negoziare, che può essere bilaterale come nello sciopero, o anche nell’amministrazione pubblica dove l’obbligo collide con la libertà dell’iniziativa economica.
Da questo punto di vista il modello alternativo all’art. 39 avrà sempre degli spazi vuoti.
Da ultimo vorrei dire che il problema poi segnalato dal collega Xxxx è un ulteriore ambito di riferimento della maggiore rappresentatività. Certamente quando è funzionale non all’esercizio di diritti
o prerogative del sindacato ma
al conseguimento di benefici per l’impresa, il significato è diverso e di rilevanza legale, integrando il precetto legale, individuando certi soggetti idonei a produrre un effetto e selezionato a priori dal legislatore.
(testo non revisionato dal relatore)
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XXXX. XXXXXX XXXXXXX
ORDINARIO DI DIRITTO DEL LAVORO UNIVERSITÀ DI ROMA TRE
Oggi è un’occasione per ricordare Xxxxxxx X’Xxxxxx. Il mio intervento sarà molto pratico e mi soffermerò in particolare sul rimarcare come nelle relazioni sindacali ci siano stati due momenti che hanno interrotto
o provocato un’interruzione del normale proseguimento delle stesse: il venir meno della contrattazione acquisitiva
e la frantumazione dell’unità d’azione del sindacato.
Due momenti diversi perché il venir meno della contrattazione acquisitiva e il nascere della contrattazione
gestionale sono stati degli elementi poi assorbiti dalla contrattazione collettiva. Le associazioni sindacali hanno dato una grande prova di capacità, sia quelle dei lavoratori che quelle imprenditoriali, nel saper utilizzare la contrattazione anche in fase di gestione della crisi.
Gli attori della contrattazione sono riusciti ad inglobare questo momento nella pratica delle relazioni sindacali. Oggi, invece, forse, l’unica cosa che unisce l’azione sindacale è una risposta negativa al quesito sull’art. 18, anche
se con alcune diversità all’interno della CGIL. In questo panorama c’è
una situazione contrattuale (che abbiamo sotto gli occhi perché i giornali ce ne parlano in continuazione) che è quella del contratto collettivo dei metalmeccanici dove l’ipotesi di un contratto separato è solo un’ipotesi, ma quanto mai reale.
Dico questo non solo perché ho letto con attenzione le cronache sindacali, ma perché mi ha colpito specialmente uno studio molto ben fatto, rintracciabile sul sito della FIOM, dove il coordinamento giuridico dei legali
della FIOM si occupa di fare un’analisi delle conseguenze di un contratto collettivo separato. Vengono indicate tutte le situazioni che si determinano se si dovesse arrivare ad un contratto collettivo separato.
Questa è un’ipotesi possibile; nella stessa Legge Delega sul mercato del lavoro, recentemente approvata, si avverte
la possibilità che alcune flessibilità possano essere previste anche senza il consenso di alcune organizzazioni
sindacali. Il fatto che il legislatore abbia inserito quella norma, con quella finalità, indica che quello è un ulteriore momento nel quale la divisione d’azione del sindacato si potrà porre.
Siamo di fronte ad un sistema di relazioni sindacali che si fonda sulla unità
di azione sindacale e sulla stipulazione di un contratto collettivo da parte delle tre organizzazioni: se questo non dovesse più avvenire, le regole cambierebbero radicalmente.
Cambierebbero non tanto per quanto riguarda l’efficacia soggettiva
del contratto collettivo, che sicuramente si continuerà ad applicare, ma soprattutto per quanto attiene alla parte obbligatoria del contratto, perché avremmo
un contratto che non prevede, per le organizzazioni che non hanno firmato, tutti i diritti di informazione
sindacale e di consultazione contenuti non nella legge ma nel contratto
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collettivo stesso.
Ci sarebbe inoltre un problema che attiene alla contribuzione sindacale, specialmente dopo la recente sentenza della Cassazione, e poi ci sarebbe
il tema della contrattazione di secondo livello. Salterebbe, quindi, il sistema dei rimandi contrattuali ma anche
i soggetti legittimati a negoziare
al secondo livello non sarebbero più tutte le organizzazioni sindacali confederali, ma solo quelle che hanno sottoscritto il contratto collettivo.
La conseguenza sarebbe che si cercherebbe in azienda una rivincita da parte di quelle organizzazioni che non abbiano firmato il contratto collettivo nazionale; una situazione destabilizzante per tutto il contratto collettivo.
A ciò si aggiunge la rilevanza
di un contratto separato sul piano della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro.
Qui, come diceva Xxxxxx Xxxx, le cose sono cambiate col referendum del ‘95. Io mi domando se era più sciagurato il referendum o quella giurisprudenza che aveva corrotto il sistema
della maggiore rappresentatività dell’art. 19, giurisprudenza che aveva portato a vanificare la forza selettiva di quel criterio della maggiore rappresentatività che veniva riconosciuto un po’ a tutti ed aveva portato ad attribuire la maggiore
rappresentatività a tutte le organizzazioni sindacali o a molte di esse.
A questo punto il referendum è stato, da parte del popolo italiano,
una inconsapevole reazione ad una giurisprudenza che aveva vanificato un concetto che nello Statuto aveva ben altra valenza e forza.
Quali sarebbero le conseguenze di un accordo separato per quanto
attiene alla rappresentanza nei luoghi di lavoro? Dirompenti, perché la RSA potrebbe essere nominata e mantenuta
soltanto, in base alle sentenze
della Cassazione, da quelle organizzazioni che abbiano firmato un contratto collettivo.
Questo criterio non è rilevante solo nelle RSA ma anche nelle RSU. Perciò non dobbiamo pensare che la rilevanza del contratto collettivo è
nell’art. 19, nel referendum, ma anche nell’accordo del dicembre ‘93 che ha costruito le RSU.
Questo perché il terzo riservato spetta solo ai sindacati che hanno stipulato
il contratto collettivo e perché lo stesso accordo prevede che l’esercizio
dei diritti di assemblea, affissione
ed alcuni altri, spettano solo a queste organizzazioni.
Nella clausola contenuta nell’ultimo comma dell’art. 4 dell’accordo inetrconfederale, là dove si dice che tali diritti spettano alle RSU, tranne
una parte ulteriore che spetta anche alle organizzazioni che hanno firmato il contratto collettivo; anche qui c’è una situazione che porterebbe a non riconoscere più tale diritto ed in caso di costituzione di nuova RSU,
nella nomina nuova, il sindacato che non ha firmato, si dovrebbe legittimare attraverso la raccolta del 5% durante
la candidatura, cosa difficilissima
sul piano dell’approccio sistematico. Di fronte a ciò la domanda che ci si pone è “tutta questa situazione verrebbe risolta se si utilizzassero
le regole che sono scritte nella contrattazione collettiva del settore pubblico”.
Il Prof. Persiani ha dato una risposta affermativa, io vorrei sottolineare due profili essenziali: il primo profilo
è che la disciplina del lavoro pubblico contrattualizzato pone un doppio sbarramento, nella procedimentalizzazione del sistema di contrattazione.
Il primo sbarramento attiene alla selezione dei sindacati ammessi
alla contrattazione; il secondo elemento attiene al perfezionamento del contratto che si perfeziona solo se c’è un 51% delle organizzazioni sindacali disponibili a firmare l’accordo.
Su questi due dati voglio soffermarmi e pensare alla applicabilità di questo
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sistema al diritto privato.
Il primo timore è che questo sistema porti il contratto collettivo distante dalla matrice di autonomia contrattuale che lo ha sempre caratterizzato, cioè che il principio di libertà ed autonomia contrattuale attraverso tale meccanismo verrebbe alterato in modo molto forte. La seconda osservazione è quella che ci riportava il Presidente Xxxxxxx, cioè che quelle regole sono servite per artificiose operazioni di aggregazione delle organizzazioni sindacali che,
per essere ammesse alla contrattazione, hanno creato degli ibridi collegamenti tra di loro pur di accedere al tavolo.
Poi mi domando se la rilettura
dei principi che sono stati enunciati dalla giurisprudenza costituzionale sia rassicurante sulla legittimità
di questo sistema, una volta introdotto nell’ordinamento sindacale del diritto privato, sotto due aspetti: primo, quello della libertà sindacale e della titolarità dell’autonomia collettiva (art. 39, 1° comma), perché se io nego ad una organizzazione sindacale la possibilità di essere ammessa alla trattativa dovrò confrontare questo dato con il principio
della titolarità dell’autonomia contrattuale dell’art. 39 1° comma; secondo, un’indagine che bisogna fare è se non abbiamo anche un problema relativo al diritto all’esercizio di sciopero, collegato ad una contrattazione collettiva, perché la titolarità di tale diritto sarebbe incapsulata, nel senso che lo sciopero potrebbe essere esercitato ma non fino al punto
di accreditare quel sindacato al tavolo delle trattative, perché il vincolo legale lo preclude.
Queste considerazioni di valutazione comparativa mi portano a fare l’ultima considerazione: ma in fondo il contratto collettivo separato non ha un suo valido strumento di verifica, non già
del perfezionamento del contratto, ma grazie al criterio dell’effettività del contratto collettivo?
È il criterio importante per capire se il contratto riesce ad assolvere
alla propria funzione che
tradizionalmente è quella di risolvere il conflitto.
Se la controversia sopravvive,
il principio dell’effettività non riesce
ad assolvere alla propria funzione che è quella di definire la controversia:
il contratto, di fatto, salterebbe. Non avrebbe interesse nessuno né il datore di lavoro né il sindacato
a mantenere un contratto rispetto
al quale il conflitto sopravvive e rispetto al quale il conflitto può essere riacceso.
Questo elemento della stipulazione e dell’effettività del contratto porta
anche ad una valutazione del requisito della firma del contratto come requisito che abilita il sindacato ad avere
la rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro e a tutti quei riconoscimenti che sono contenuti nell’accordo
delle RSU del dicembre ‘93.
Probabilmente visto che nell’art. 19
si stabilisce che il principio di selettività del sindacato si fonda sulla stipula
di un contratto collettivo normativo applicato nell’unità produttiva, si ha un elemento che tende a premiare un sindacato che arrivi a raggiungere un risultato effettivo.
Non ci si accontenta della firma
e dell’applicazione del contratto ma si vuole anche avere un sindacato che tramite gli accordi riesce a gestire
le relazioni contrattuali.
Quindi il bilancio tra le tecniche di contrattazione che xxxxxx
nelle relazioni collettive pubbliche
e tecniche che si utilizzano nel settore privato, a mio avviso, ancor oggi segna un punto a favore di quest’ultimo, nonostante la grave alterazione che si verifica a seguito della perdita
della unità di azione del sindacato.
(testo non revisionato dal relatore)
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XXXX. XXXXXXX XXXXXXXXX
ORDINARIO DI DIRITTO DEL LAVORO, FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE UNIVERSITÀ DI BOLOGNA
C’è un filo rosso che percorre mezzo secolo della nostra storia sindacale.
È la consapevolezza mai dissimulata
e anzi sempre esibita dai suoi maggiori protagonisti che – come si usava dire quando la grande industria dominava il sistema economico-produttivo – l’autonomia e il potere sindacale cominciano nella fabbrica, ma non
finiscono dentro i cancelli della fabbrica. L’enunciazione più schietta e meno ideologizzata che essa abbia avuto è rinvenibile nelle parole pronunciate parecchio tempo fa da uno dei più prestigiosi leaders della CGIL.
Ciò che si propone il sindacato, diceva Xxxxxxx Xxxx, è “far alzare gli occhi dei lavoratori al di sopra del banco
di lavoro per guardare l’ambiente che
li circonda e convincerxx a trasformarlo”. La missione non sarà disperata.
Ma può diventarlo e lo diventa senz’altro se il movimento sindacale marcia diviso e tarda a rendersi conto che l’autotutela di diritto privato è indispensabile per realizzare conquiste sociali, ma da sola non basta a difenderle e consolidarle: l’intervento dei pubblici poteri è necessario.
Per questo, l’unità sindacale è una risorsa preziosa e la prassi della concertazione sociale, di cui dirò più avanti, favorisce un intreccio virtuoso tra contrattazione collettiva e legge.
Oggi, il movimento sindacale è lacerato.
Ma all’inizio non era così.
Il patto che, dopo il collasso del regime fascista e tra le macerie di un paese distrutto dalla guerra, sancì la rinascita del sindacato libero reca la firma di tre uomini ormai passati alla storia: Xxxxxx, Grandi e Xx Xxxxxxxx, socialista il primo, democratico-cristiano il secondo, comunista il terzo.
Purtroppo, la CGIL unitaria del 1944 ebbe vita breve.
Si sgretolò con la dissoluzione dei governi di unità nazionale del dopo Liberazione. D’altra parte, era da escludere che –
in un paese come l’Italia dove c’era il più forte partito comunista dell’Occidente – l’organizzazione
sindacale non risentisse del fatto che comunismo e anticomunismo, diventati nel frattempo le fedi della guerra fredda, avevano spaccato in due
il mondo intero.
Perciò, la scissione sindacale del 1948 chiuse l’esperienza unitaria in una maniera che non sarà stata inattesa, ma traumatica sì; al punto che ci vorranno quasi vent’anni per svelenire il clima. Dalla scissione nacquero due confederazioni: la CISL, collaterale
alla DC che deteneva la maggioranza relativa nel Parlamento, e la UIL, vicina sia al partito socialdemocratico che repubblicano e dunque di ispirazione laica. In conseguenza, quel che restava della confederazione delle origini rinsaldava i legami coi partiti
della sinistra (come si usava dire allora) marxista.
Insomma, la divisione sindacale rispecchiava, e anzi ne era la risultante tutt’altro che accidentale,
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la segmentazione di un sistema politico che si articolava nei partiti di centro, che governavano il paese, e nei partiti di opposizione.
Anche l’antenato dell’attuale AN, il MSI, aveva un suo sindacato; che però era irrilevante: trascurabile la sua presenza organizzata e indigeribile la prospettiva politica che sapeva offrire.
Malgrado i turbinosi sviluppi del dopoguerra, nell’angolo di cielo che
i sindacalisti sono soliti scrutare, l’unità sindacale continuò a brillare come
una specie di stella polare.
L’unità sindacale cioè restò un sogno accarezzato dai (pochi) dirigenti persuasi che prima o poi esso si sarebbe realizzato, anche perché l’unità sindacale non aveva mai cessato di corrispondere alle aspettative popolari.
Il sogno non era né infantile né delirante.
Esso era alimentato dall’affermarsi
e diffondersi di una prassi contrattuale caratterizzata dall’unità d’azione
delle tre organizzazioni sindacali.
A tutti i livelli, e in particolare a quello aziendale.
Non a caso, le centrali sindacali maturano tardivamente la scelta comune di un comportamento unitario come agenti contrattuali anche perché tardivo è da noi il decollo della contrattazione decentrata nei luoghi di lavoro.
È da qui, ad ogni modo, che giungono le spinte più robuste al processo unitario: dalla pratica dell’azione contrattuale nell’ambito delle imprese; e ciò per la risolutiva ragione che
le maestranze si riconoscono nelle rivendicazioni a sostegno
delle quali si mobilitano, scoprendo così – con la caduta delle pregiudiziali legate all’affiliazione politica – l’esistenza di un interesse indivisibile e la necessità di gestirlo insieme.
Come dire che il veicolo dell’unità sindacale non aveva le ruote quadrate; piuttosto, aveva le gomme sgonfie.
Difatti, sospinto dal vento dell’autunno caldo del 1969 e col pieno di carburante che gli aveva permesso di fare
una legge promozionale come lo Statuto dei lavoratori del 1970, il veicolo si rimise in moto: con velocità diseguale, ma autonomamente, ossia senza
l’impulso né il placet preventivo
dei partiti politici, come era accaduto in origine.
Così, il sogno cominciò ad assumere forma e contenuti di un progetto
di riunificazione che pareva destinato ad evolvere verso un esito positivo.
L’ascesa dell’unità sindacale, però, si bloccò proprio quando il traguardo pareva prossimo.
Alle resistenze ideologiche, annidate in alcune federazioni della CISL
e in una parte consistente della UIL, si sommò la paura del cambiamento
manifestata da burocrazie sindacali che stavano imparando ad apprezzare
i vantaggi di una dignitosa routine professionale. D’altronde, nemmeno la CGIL era intenzionata ad appoggiare gratis un progetto che le avrebbe tolto la condizione privilegiata di centrale sindacale maggioritaria.
L’ostilità al progetto, però, proveniva anche – e forse soprattutto – da partiti ciascuno dei quali, prendendo terribilmente sul serio la qualità
di nuovo principe senza scettro che gli attribuiva la Costituzione del 1948, si era abituato a trattare il sindacato come un fido scudiero o giù di lì.
A dire la verità, il PCI non ostacola
il progetto più di quanto non gli convenga; un po’ perché attraversa una crisi organizzativa nei luoghi di lavoro e un po’ perché, interessato per tradizione ad ogni formula politica capace
di aggregare alleanze tra componenti sociali la cui eterogeneità possa ostacolarne la deriva anticomunista, ha la granitica certezza di influenzarle con la propria egemonia.
Proprio per questo, però, il partito più allarmato dal convertirsi del sogno
in un progetto era la DC. Infatti, se CISL e UIL faticavano a liberarsi dal complesso della “grande CGIL”, la DC temeva quella specie di istanza onnivora che ci stava dietro. “Riteniamo veramente che vi sia la possibilità per il PCI di rinunciare
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ad un collegamento strategico col sindacato?”, si domandava e domandava il segretario generale di quel partito nella prima metà degli anni ’70, con
una intonazione falsamente retorica che esprimeva in maniera eloquente la motivazione del rifiuto di concedere l’OK al ripristino dell’unità sindacale organica.
Come dire che è più semplice demolire l’unità sindacale che rifarla.
Tuttavia, nessuno ne recitò il requiem. Tutti si accontentarono di un suo simulacro che, per quanto pallido, autorizzava
a sperare nel lieto fine di quella che con un po’ di ottimismo poteva apparire una storia d’amore contrastata.
Non è certo questa l’occasione adatta per soffermarsi sulle vicende
di un trentennio. Un episodio va però ricordato, perché segnò la prima e più grave rottura dell’unità di azione sindacale. È lo scontro sul referendum voluto dal PCI di Xxxxxxxxxx per abrogare un provvedimento legislativo adottato dal governo Xxxxx, col consenso esplicito di CISL e UIL, per modificare l’automatismo che permetteva
a cadenza trimestrale l’adeguamento dei salari alle variazioni del costo della vita. È opportuno richiamarlo, questo episodio risalente agli anni ’80 inoltrati, non solo o non tanto per informare che la CGIL si astenne
dall’associarsi ufficialmente ai promotori di un referendum che la maggioranza degli elettori avrebbe bocciato,
ma anche per mettere in evidenza che nemmeno le roventi polemiche
della campagna referendaria affossarono la volontà unitaria. Essa rispuntò più
in fretta di quanto non fosse lecito aspettarsi e finì per prevalere,
in un quadro politico mutato, aprendo la strada a significative intese tra le quali spicca il patto tra governo, sindacati
dei lavoratori e degli imprenditori del 23 luglio 1993.
Come dire che, per quanto profondo,
lo strappo era stato interpretato
dai sindacati come potevano soltanto dei carissimi nemici nessuno dei quali desidera realmente l’estinzione
degli altri.
Oggi, sappiamo che, con l’accordo
del ‘93, la parabola della concertazione sociale aveva toccato il punto più alto. Esso infatti realizzò le condizioni che hanno permesso all’Italia di sconfiggere l’inflazione, risanare i conti pubblici, praticare con un’efficacia priva
di precedenti una politica dei redditi da lavoro dipendente e, infine,
di entrare nell’unione monetaria europea. Il successo fu poco meno che strepitoso. Per questo, nel dicembre del 1998 governo e sindacati decisero di concertare la concertazione.
Disegnarono cioè il complesso delle procedure atte ad estrarla dall’informalità e conferirle così, accanto alla dignità istituzionale, stabilità e sistematicità.
Può darsi che l’enfasi ritualistica sia stata eccessiva nella misura in cui
il maxi-accordo del ’98 prefigurava una cooptazione del sindacato negli apparati del potere pubblico
e nei relativi processi decisionali che minacciava, se non di farne un ostaggio, di indebolirne le radici con un mondo del lavoro in fibrillazione.
Xxxxxxxxx, è d’obbligo descrivere, sia pure sommariamente, l’esperienza politico-sindacale di cui la concertazione è la massima espressione.
Premesso che non è un prodotto casalingo – casomai, è un prodotto made in Europa – nel lessico
degli esperti di diritto costituzionale la concertazione è un metodo
di formazione della volontà politica dei decisori pubblici, complementare
rispetto ai procedimenti formali regolati dalla costituzione scritta.
Un metodo che si situa a metà strada tra contrattazione collettiva in senso proprio e partecipazione di soggetti privati all’esercizio di una funzione pubblica. Il sindacato lo pratica perché sa di appartenere alla categoria
dei gruppi privati a cui non sfugge l’inadeguatezza dei mezzi a loro disposizione per gestire interessi dei
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rappresentati che non sono soltanto privati; e il potere pubblico lo pratica perché sa di non poter sostituire interamente il sindacato nel ruolo di regolazione.
Dal canto loro, gli studiosi di sociologia della politica amano sottolineare che la concertazione esprime più propensione alla cooperazione che al conflitto; una propensione che si manifesta col radicarsi della persuasione che il conflitto è uno strumento di decrescente utilità. Vero è che lo sciopero di pressione sul potere pubblico, quando sia assistito (come in Italia) dalla garanzia costituzionale al pari dello sciopero economico, può provocare persino la caduta di un governo e, come disse una volta Xxxxxxx Xxxx, “i governi passano, il sindacato resta”. Però, il sindacato resta anche per prendere atto che può risultare più facile cambiare un governo che cambiare l’indirizzo fondamentale dell’azione del potere pubblico. Come se vertenze sindacati-governo e colpi a vuoto di due avversari che giocano su campi separati fossero la stessa cosa. Il che è disastroso per un sindacato che, scelta la politica delle riforme come pensiero che presiede all’azione, intuisce lucidamente che essa sta all’unità sindacale come la forza di trazione sta al veicolo. Quello uscito vincente dall’autunno caldo è infatti un sindacato che utilizza gli strumenti legali predisposti dallo Statuto dei lavoratori per far uscire la contestazione dalle fabbriche e, impadronitosi della cabina di regia, ne mantiene il controllo per proiettarla sulle riforme di struttura: casa, sanità, scuola. Per questo, le vicende sindacali degli anni ’70 hanno un valore pedagogico di massa indiscutibile: le conquiste ottenute con la lotta sindacale reggono se contemporaneamente si modificano i rapporti di potere nella società, ma questi non si modificano se l’azione sindacale non si sposta sul piano politico.
Per quanto pragmatica, la strategia sindacale che si delinea nel dopo- Statuto permette di rivisitare criticamente il passato e di ricavarne
importanti lezioni.
La prima è che i tempi in cui la CGIL pensava che un risultato elettorale premiante per l’opposizione fosse più desiderabile di un vittorioso round contrattuale sono ormai alle spalle. E ciò perché il solo modo per testimoniare la vitalità del sindacato è la sua capacità di promuovere e negoziare rivendicazioni che costituiscano una sfida per l’ordine costituito.
Come dire che la CGIL ha smesso di confondere il primato della politica col primato del partito assunto come proprio referente.
La seconda è che sono lontani anche i tempi in cui la CISL si contrapponeva alla CGIL in ragione di una differente concezione del movimento sindacale. Secondo una vulgata storiografica che si fida più dei luoghi comuni che dei fatti, la CGIL agisce come sindacato generale che si considera al servizio della classe – destinata a diventare un’entità totalizzante, secondo l’ideologia universalistica a cui si richiama – mentre la CISL si comporta come un’associazione privata con un orizzonte rivendicativo che privilegia gli interessi immediati degli associati.
Viceversa, non può collimare con la logica associativa di un gruppo chiuso il comportamento di un sindacato che bussa alla porta degli attici del potere politico per esservi ricevuto allo scopo di incidere sui processi di costruzione delle politiche pubbliche aventi riflessi sulla vita di milioni di persone. Eppure, è stato proprio il più autorevole dirigente di un sindacato che, come la CISL, aveva sempre predicato con calore l’abstention of the law a proporre
– all’epoca della Bicamerale presieduta da D’Alema – di modificare la costituzione scritta per assegnare un adeguato rilievo alla concertazione, trasformandola in una procedura vincolante di partecipazione delle grandi rappresentanze degli interessi
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organizzati alla elaborazione di politiche pubbliche.
Come dire che, col trascorrere dei decenni, la contrapposizione ideologico - culturale si è rivelata meno inconciliabile e più strumentale di quanto non si volesse far apparire nell’epoca in cui essa veniva teorizzata per definire
con nettezza l’identità della CISL.
Fatto sta che – entrata la concertazione nell’età matura, ossia durante i governi di centro-sinistra guidati da Prodi
e D’Alema – il progetto della riunificazione ritornerà con prepotenza nell’agenda politico-sindacale
ad iniziativa soprattutto della CISL. Il segretario generale pro tempore di quest’ultima dichiarò persino che la sua organizzazione era pronta
all’autoscioglimento qualora CGIL e UIL avessero dato il via libera all’unità sindacale organica.
È probabile che si trattasse di un bluff: nessuno degli interlocutori, però, “andò (come si dice col gergo dei giocatori
di poker) a vedere le carte”. Naturalmente, sarebbe sciocco ipotizzare che, pur essendo servita alle centrali sindacali per misurare con maggiore obiettività ciò che le univa e ciò che ancora le divideva realmente,
la concertazione sia nata e cresciuta per questo. Si trattava di nient’altro che
di una conseguenza preterintenzionale, perché la ragion d’essere e la finalità della concertazione sociale vanno ricercate nello stato di salute
della democrazia.
Xxxx’io insomma ritengo che la concertazione sia il sintomo
del malessere che colpisce tutte le democrazie rappresentative
contemporanee dove quote xxxxxxxxx di elettorato disertano le consultazioni elettorali. Dove alle elezioni si guarda come all’occasione in cui il popolo elegge il suo monarca, scegliendo la persona che, con l’amplificazione dei mezzi di comunicazione di massa, ha
il carisma del leader. Dove la funzione originaria delle elezioni, quella di dare una stabile rappresentanza ai cittadini, è diventata (se non marginale, certamente) secondaria.
Al tempo stesso, però, la concertazione è una medicina, perché disegna
un circuito capace di innestare processi di partecipazione sulla tradizione
della democrazia rappresentativa ad integrazione del funzionamento delle assemblee elettive.
Disgraziatamente, un intero ciclo storico durato (sia pure a ritmo di stop and go) oltre vent’anni non è stato sufficiente per stabilire con precisione se la concertazione fosse la terapia appropriata.
Xxxx, sono in molti a ritenere che, come succede non di rado, anche questa medicina abbia prodotto effetti collaterali indesiderati, perché ha contribuito a far emergere disfunzioni che contraddicono l’esigenza di una efficiente governabilità.
Essi reputano che, essendo troppo lunghe e spesso inconcludenti
le procedure, doveva succedere che l’opinione pubblica si orientasse
a favore di una forma di governo più definita quanto a poteri e responsabilità dei governanti. Come dire che si dovrebbe anche ad un eccesso
di concertazione se gli italiani hanno spazzato via con ripetuti referendum la legge elettorale d’impianto proporzionale che sagomava da cinquant’anni la rappresentanza politico-parlamentare e, fiduciosi che al di sotto dei dissensi esistesse
il collante di un nucleo di valori condivisi, si sono orientati verso il modello
della democrazia dell’alternanza. Secondo qualche osservatore, la stessa vittoria elettorale del centro-destra
nel 2001 sarebbe espressione
di un giudizio negativo sulla concertazione, dal momento che la campagna elettorale del centro-sinistra sconfitto fu in larga misura basata sui risultati ottenuti tramite la concertazione
e dunque era difficile separare
nel giudizio sul governo di centro- sinistra il giudizio sulle organizzazioni sindacali. La congettura però deve fare
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i conti col dato emerso da una ricerca condotta pochi anni fa per conto
del CNEL. L’Eurisko infatti ha rilevato che il 70% degli italiani interpellati valuta positivamente che il governo consulti i sindacati prima di prendere decisioni con ricadute sulla vita
dei cittadini.
Probabilmente, l’interpretazione più persuasiva dell’apparente contraddizione è quella che si riallaccia al risultato meno controvertibile di vent’anni
e passa di concertazione. In larga maggioranza, cioè, gli italiani non simpatizzeranno col culto della concertazione, sta bene; tuttavia sanno che vent’anni e passa di negoziati trilaterali sono serviti a favorire una evoluzione normativa il cui gradualismo permette di affermare che, se non è ancora quel che sarà, il diritto del lavoro non è più quel che era, riducendo però al minimo la turbolenza sociale
e la conflittualità nei luoghi di lavoro. Non è poco. Ma è tutto.
Adesso, comunque, anche il saldo attivo dell’esperienza rischia di deperire.
Nel 2001, infatti, è subentrato un governo che, eletto con una legge elettorale
di impianto maggioritario, agisce con un’auto-percezione della propria diversità antropologico-culturale tanto accentuata da rifiutare tutte le regole e prassi preesistenti.
A cominciare proprio dalla concertazione. Questo governo ha dichiarato di non avere alcuna intenzione di dispensare una legittimazione istituzionale interpretabile come una rinuncia sia pure parziale al proprio ruolo
di comando – tutt’al più, è disposto
a distribuire premi e favori in cambio
di un atteggiamento (non necessariamente sottomesso, ma) ispirato a criteri
di ragionevolezza duttili e flessibili al limite dell’opportunismo.
E ciò perché, convinto di avere fatto il pieno di legittimazione sociale
il giorno in cui ha vinto le elezioni, non ha bisogno di additivi.
Xx ritiene superflui. Come dire che si è assistito al deprezzamento della merce che il sindacato scambiava coi governi. Ricevendo un sostanzioso corrispettivo in termini di legittimazione
istituzionale, il sindacato dava ai governi legittimazione sociale. Adesso, questa merce non ha più mercato.
In conseguenza, si potrebbe persino sostenere che c’è più simmetria con l’opzione governativa nell’atteggiamento di intransigente chiusura della CGIL di Xxxxxx Xxxxxxxxx che nella continuata disponibilità
al confronto di CISL e UIL.
Nelle condizioni descritte, il tentativo di arrivare ad accordi col governo riproduce una caricatura della concertazione.
Del resto, la vicenda del Patto per l’Italia
– siglato senza la CGIL – si è snodata con movenze, cadenze e toni per cui è dato desumere che il governo fosse interessato più alla divisione del fronte sindacale, dilatabile dai mass-media come merita uno scoop sensazionalistico, che ad incassare un valore aggiunto in termini di consenso nel paese reale; un consenso che,
in ogni caso, non poteva non essere tiepido a causa della modestia dei risultati. Adesso, dunque, il sintomo del male oscuro delle odierne democrazie è sparito per decisione del governo
in carica. Con la razionalità di chi prende a calci il televisore perché trasmette brutte notizie.
La malattia troverà perciò altri modi per manifestarsi, magari più dirompenti, che continueranno a segnalarne l’inarrestabile progressione originata dall’incapacità delle élites dirigenti
di dare al grandioso processo del Novecento, che è culminato
nella creazione dello Stato-pluriclasse, uno sbocco più funzionale e funzionante di quello di cui sono stati autori, prima, e garanti poi i partiti politici. Dopotutto, la tendenza espansiva della concertazione si è sviluppata di pari passo con la crisi
dei partiti sponsorizzati dalle Costituzioni post-liberali del Vecchio Continente.
Una crisi che fa nascere una domanda
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di supplenza di cui il sindacato si è fatto carico.
Come ha potuto e come ha saputo. Peraltro, nemmeno i più acerbi critici della concertazione hanno sufficienti motivi per compiacersi che sia scomparsa, nella misura in cui ciò non ha ridato né smalto né fiato al Parlamento, perlomeno a giudizio di chi ha imparato a distinguere la centralità dei Parlamenti dal dominio assoluto di maggioranze compattamente protese ad attuare
il proprio programma elettorale a qualunque costo e dunque indipendentemente dal grado di convergenza che la coscienza
collettiva possa aver raggiunto in ordine all’opportunità di interventi autoritativi. Xxxx, il regime dell’alternanza può provocare, come in effetti è accaduto,
la sostituzione della tirannia della maggioranza parlamentare
alla legge del dialogo che è la sola compatibile col metodo democratico. Tirannia è una parola grossa.
Sta di fatto però che il diritto moderno non è riducibile alla semplice registrazione di un esito elettorale né la ritrascrizione formale di un rapporto di forze materiali.
Paradigmatica è la volontà del centro- destra di imporre al diritto del lavoro di “modernizzarsi” al di fuori
degli schemi di autodeterminazione che hanno conformato la costituzione materiale per attuare una costituzione formale ricca di promesse
di emancipazione sociale.
Agire così significa postulare che
la giustificazione della norma giuridica si esaurisca nella legalità della sua formulazione.
Significa cioè non rendersi conto che l’ottocentesca cultura positivistico- legalistica è stata messa in crisi
dalla pluralizzazione delle fonti regolative attivate dalla società civile. Significa avere dimenticato che il primo settore dell’ordinamento ove si è
potuto toccare con mano che il diritto non si legittima per il solo fatto
di essere posto da determinati organi e con certe procedure è stato proprio quello concernente il tipo di lavoro egemone del ‘900.
Oggi, dicevo in apertura, il movimento sindacale è lacerato.
I dissensi tra i sindacati “storici” che si sono moltiplicati e intensificati in epoca successiva al menzionato Patto per l’Italia ne documentano gli effetti devastanti.
Ciononostante, l’unità sindacale non è svanita come i sogni all’alba.
Ha lasciato dietro di sé tracce visibili. E ciò perché, prima di eclissarsi, ha partorito dei figli a cui ha affidato
il compito di stabilire un canale unificante di comunicazione diretta con la base.
Un compito a cui la vocazione unitaria iscritta nel codice genetico
degli organismi dei quali fanno parte vieta di sottrarsi, anche se nel frattempo sono rimasti orfani.
Sono le migliaia di delegati liberamente eletti dal personale nei luoghi di lavoro per istituire rappresentanze sindacali unitarie (RSU), in attuazione
di un accordo concluso tra tutte
le centrali sindacali e i loro partner sia nel settore privato che nel settore pubblico, sulla scia del maxi-accordo del luglio del ‘93.
Proprio perché sono numerosi
e soprattutto ingombranti, non ha tardato a circolare la voce che bisognerebbe sopprimerli, aumentando così le probabilità che la rottura dell’unità d’azione sindacale divenga irreversibile. Il calcolo non è sbagliato.
Chi ha sparso la voce sa perfettamente che l’insieme delle RSU operanti un po’ dovunque costituisce il capitale sociale di cui possono disporre gli uomini
(e le donne) di buona volontà che intendono continuare ad investire sull’unità sindacale, perché la giudicano una risorsa di cui sarebbe suicida privarsi se si vogliono soddisfare
le esigenze della democrazia politica
e della solidarietà in un paese che ne ha tanto bisogno.
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XXXX. XXXXXXX XXXX
SENATORE DELLA REPUBBLICA ORDINARIO DI DIRITTO DEL LAVORO,
UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE DI MILANO
Questa è un’occasione preziosa. Qui abbiamo sentito svolgere tesi “pesanti”. Credo che Xxxxxxx X’Xxxxxx sarebbe contento.
Io dovrei parlare molto di più di quanto non posso, perché qui abbiamo affrontato molti problemi assumendo posizioni diversissime: dall’intervento “tradizionale” di Xxxxxx Xxxxxxxx
a quello finale che ho trovato molto consolatorio da parte di Xxxxxxx Xxxxxxxxx.
Credo che la situazione non autorizzi atteggiamenti consolatori.
Pur essendo di orientamento positivo ho molta preoccupazione riguardo
la situazione attuale.
I temi di cui stiamo parlando sono stati silenti per anni. In Europa non ne parla nessuno.
Credo che questa sia la più grave crisi nei rapporti sociali dagli anni ’50:
sia perché le divisioni sindacali sono profonde e la trasformazione sociale acutizza le differenze, sia perché abbiamo un governo non amico.
Bene o male la DC ha sempre collaborato con il mondo del lavoro anche
in mancanza di una concertazione formale.
Ricordiamo che tutti i provvedimenti sociali degli anni del dopoguerra sono stati presi con largo consenso, compreso quello degli “esclusi” cioè
i comunisti. Ora i rapporti tra governo e sindacati stanno cambiando.
Chi oggi ha interesse a ritirare fuori l’art. 39 della Cost.?! Non a caso non se
ne parla nel cosiddetto patto per l’Italia. La CISL non lo ammetterebbe certo.
Col Governo siamo in un momento di grande tensione sia per i conflitti
sindacali sia per le modifiche del lavoro.
Sicuramente la moltiplicazione dei lavori non tonifica il sindacato.
Anche il solido sindacato italiano ha grossi problemi.
Effettivamente la rottura della unità sindacale è un fattore destabilizzante. Tutta Europa, in un modo o nell’altro, è vissuta in una sostanziale unità sindacale.
Sono d’accordo con quelli che hanno rilevato la presenza di almeno tre tipi e livelli diversi di azione collettiva:
la concertazione, la contrattazione collettiva nazionale e quella collettiva aziendale.
Quest’ultima sempre più importante ed anche con qualche variante territoriale perché c’è una tendenza fortissima al decentramento.
Apro e chiudo un inciso: il decentramento avrà effetti sull’ottimista valutazione
di Xxxxxxx secondo cui l’art. 19 regge bene perché l’applicazione
del contratto collettivo nazionale nell’azienda è un segno di solidità.
Non è detto che sia ancora così
in presenza di un forte decentramento e di una divisione sindacale che
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in azienda spesso è dirompente.
Ho l’impressione che la “pacificazione” sociale non sia molto favorita
da una norma come l’art. 19
dello Statuto che storicamente aveva avuto tale funzione.
Un commento sul tema concertazione.
Qui Romagnoli è stato abile a fare il recupero intracostituzionale
dello sciopero e della concertazione. Non sono d’accordo, invece, con quello che ha sostenuto Persiani.
Non è vero che la debolezza del Governo sia l’unico elemento da valutare.
Semmai questo è un fattore di degenerazione del metodo concertativo.
L’Europa almeno da dieci anni ha adottato come metodo di governo sociale una forma o l’altra di concertazione, compresi i governi di destra.
Questo è il centro del modello sociale europeo; scritto nei trattati.
La concertazione è un accordo, per lo più privo di effetti giuridici
diretti, formale o informale, tra le parti sociali ed il Governo che non può impegnare il Parlamento.
Noi nel ‘98 facemmo una minuziosa operazione di proceduralizzazione della concertazione in cui è chiarissima la distinzione fra le responsabilità
del piano del Governo e del Parlamento.
Semmai, adesso l’abuso della delega da parte di questo governo peggiora
la situazione perché se si fa un accordo che ha un certo valore e poi invece
di discutere in Parlamento si procede su base di delega: allora tutto torna nel circuito chiuso governativo
e si rischia di tagliare fuori
la rappresentanza parlamentare.
Ribadisco che la concertazione è
il metodo normale di governo sociale di paesi che vogliono avere
una democrazia non solo apparente.
Quindi non è una malattia ma un bene.
Sono cento anni che si dice che
la democrazia rappresentativa deve essere integrata (e non sostituita) da quella sociale.
L’unico commento che farei sulla concertazione è che non è possibile condurla con 35 sigle rappresentative. La moltiplicazione delle sigle riguarda non solo i sindacati; anche da parte dei datori di lavoro c’è un problema;
questi sono spesso opportunisticamente divisi.
Non credo che possiamo continuare così senza selezionare le rappresentanze.
I criteri di rappresentatività
nel pubblico impiego funzionano; mi sono letto quello che ha scritto Xxxxxxx.
Anche i due criteri associativo
ed elettorale non sono molto diversi e si combinano bene.
Sarebbe utile trasferirli nel privato? Credo che sarebbe utile, anzi necessario.
Le formule che usiamo ora (es. sindacati comparamente più rappresentativi), sono sintomo di perversione.
Inoltre abbiamo una giurisprudenza che ha fatto un cattivo servizio
al concetto di rappresentatività.
Io credo che criteri misurabili
di selettività dovrebbero essere estesi, e non solo nei settori parapubblici come i trasporti, per razionalizzare
gli interlocutori.
Nel settore privato il problema si presenta anche per i datori di lavoro; i contratti pirata non li fanno solo
i sindacati.
Nel settore commercio, ad es., dove la situazione è molto grave.
Semmai direi che occorre alzare
la soglia. Forse bisogna essere ancora più selettivi come in Spagna dove
gli interlocutori sono due o tre.
Per lo sciopero, non si può sostenere che chi non è rappresentativo non può scioperare.
Lo sciopero è un diritto individuale almeno in Italia (in Europa questo è un punto controverso). Io ritengo che
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il test del referendum sia quello più pertinente, soprattutto per lo sciopero nei servizi pubblici, considerati i danni del conflitto terziario.
Nella tradizione europea l’uso del referendum è molto diffuso;
di solito non in forme automatiche perché la legge non indica di fare
il referendum sempre, ma sulla base di valutazioni di opportunità.
Xxxxxx invece notare che per quanto riguarda il referendum rispetto
alla contrattazione collettiva non esiste una analoga inclinazione europea.
Più difficile è la questione della rappresentanza.
Qui stiamo riscontrando le tensioni crescenti, come ha detto Xxxxxxx. Certo il contratto collettivo stipulato in modo non unitario resta valido;
il problema è se svolge bene la sua funzione di pacificazione.
Anche applicare la regola
della maggioranza è molto difficile in questo momento.
Non credo che possiamo prendere la logica del pubblico impiego
e trasportarla nel privato.
Non solo per le cose che sono state dette che condivido ma anche perché la logica del pubblico impiego è diversa dal privato.
Nel settore pubblico il contratto ha riferimento a categorie fisse, stabilite in modo autoritativo.
Nel settore privato il sistema è basato sulla libertà di definizione delle categorie.
Come si risolve allora l’esigenza di efficacia dei contratti collettivi? In due modi: o in via indiretta,
in quanto il legislatore subordini il diritto del datore ad avere certi benefici, al fatto che si applichino i contratti collettivi.
Questo sistema premiale è stato applicato in diversi modi.
Ora si possono usare gli enti bilaterali anche se c’è il pericolo di un loro sovraccarico di funzioni.
Quindi una strada è di continuare con i mezzi di incentivazione e di coazione indiretta.
Un’altra via è quella dell’avviso comune europeo.
ll trattato di Amsterdam prevede che se le parti sociali si mettono d’accordo,
su questioni sociali, il legislatore europeo può recepirlo o meno;
se lo recepisce gli dà efficacia generale. Questa normativa europea ha precedenti nazionali.
Molti paesi danno efficacia generale ai contratti attraverso la ricezione
in decreto.
Anche l’Italia sta usando questa soluzione, perché sono sempre di più le normative di derivazione comunitaria (sui contratti a termine, sul part time).
Ma questo metodo può, a mio avviso, valere solo per l’attuazione
delle direttive europee non come strumento per conferire efficacia generale a tutti i contratti collettivi. Una ultima osservazione sui risvolti dei contratti collettivi separati i cui effetti sono molto preoccupanti,
in particolare per la parte obbligatoria. Ci sono conseguenze anche sul piano della parte normativa.
È da segnalare una sentenza sull’ENAV. L’azienda ha applicato il contratto solo ai sindacati stipulanti, non agli iscritti dei sindacati dissenzienti.
Il Pretore, decidendo ex art. 28, ha dato ragione all’azienda con una decisione che sarà certo molto controversa.
I benefici riservati sono una prassi da anni Cinquanta o da Stati Uniti. Oltretutto applicare il contratto separato può incontrare evidenti difficoltà gestionali e presentare
controindicazioni: applicare gli aumenti retributivi solo agli iscritti è un incentivo diretto alla sindacalizzazione. Speriamo che gli studiosi si sentano sollecitati a risolvere questi problemi.
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