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PARTE PRIMA
LE TIPOLOGIE CONTRATTUALI
30 XXXXX XXXXXXXX
CAPITOLO PRIMO
LE NUOVE REGOLE IN MATERIA DI CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO, LAVORO SOMMINISTRATO, APPRENDISTATO E LAVORO A TEMPO PARZIALE:
UN CONTRIBUTO PER UN USO CORRETTO DELLA FLESSIBILITÀ IN ENTRATA
di Xxxxx Xxxxxxxx
LE NUOVE REGOLE IN MATERIA DI CONTRATTO A TEMPO DETERMINATO 31
SOMMARIO: 1. I contratti di lavoro temporanei: un tentativo per superare la dimensione della eccezionalità. – 2. Il contratto a tempo determinato e le integrazioni normative tese a favorire il ricorso a tale tipologia contrattuale: il contratto acausale di fonte legale. – 2.1. Segue: il contratto acausale di fonte collettiva. – 2.2. Segue: la prose- cuzione “di fatto” del contratto dopo il termine di originaria scadenza. – 2.3. Segue: il regime risarcitorio in caso di illegittima apposizione del termine. – 2.4. Il contratto a tempo determinato e le integrazioni normative tese a contrastarne un uso impro- prio: il periodo massimo di utilizzo, gli intervalli temporali tra un contratto e l’altro, l’ampliamento dei termini di impugnazione e l’incremento del costo contributivo. –
3. La somministrazione di lavoro: continua, anche se con qualche imprecisione, il cammino verso la irrilevanza delle ragioni giustificatrici. – 4. Il contratto di apprendi- stato: effettività del momento formativo e garanzie per una stabile occupazione. – 5. Le clausole flessibili ed elastiche nel part-time: il ripristino del c.d. diritto di ripensa- mento. – Postilla: il decreto legge 20 marzo 2014, n. 34 in materia di contratti a ter- mine e apprendistato
1. | I contratti di lavoro temporanei: un tentativo per supera- re la dimensione della eccezionalità. |
La legge n. 92/2012, dedicata a ridefinire la disciplina del mercato del lavo- ro nel nostro Paese, riserva alla regolamentazione dei contratti di lavoro su- bordinati flessibili alcuni interventi che, pur innestandosi nel preesistente tes- suto normativo senza stravolgerne l’assetto complessivo, sono destinati ad av- viare un sensibile cambiamento di rotta nell’uso della flessibilità in entrata.
Il contesto nel quale il legislatore del 2012 si è trovato ad operare in questo specifico segmento del mercato del lavoro non è dei più lineari e ciò soprattut- to per i contratti temporanei (contratto a tempo determinato e contratto di somministrazione).
Con riferimento al contratto a termine – nonostante l’adozione di un inter- vento legislativo (d.lgs. n. 368/2001) che, nello spirito della direttiva 1999/ 70/CE, avrebbe dovuto favorire l’utilizzo di questa tipologia contrattuale al- l’insegna «di un compromesso virtuoso tra limiti e flessibilità» 1 al fine di sod- disfare le esigenze di entrambe le parti del rapporto – si è consolidata una in- terpretazione giurisprudenziale di tale rigidità 2 da far rimpiangere il preceden- te impianto normativo che, grazie alla tassativa tipizzazione delle ragioni giu- stificatrici, bilanciata dalla possibilità per la contrattazione collettiva di indivi- duare causali sostanzialmente affrancate dall’invasivo controllo della giuri- sprudenza, consentiva un utilizzo del contratto a tempo determinato più go- vernabile sotto il profilo gestionale 3.
Le considerazioni sopra formulate valgono anche per il contratto som- ministrato, nonostante la presenza di una disciplina legale, quale quella con- tenuta nel d.lgs. n. 276/2003, che «ha avuto il merito di conquistare la som- ministrazione di lavoro al terreno della piena legalità» 4 sovvertendo in modo
1 X. XXXX, Il contratto a tempo determinato dopo la legge n. 92/2012, in Dir. rel. ind., 2012, p. 957, il quale evidenzia il sostanziale fallimento delle finalità del d.lgs. n. 368/2001 sottoli- neando, con espressione quanto mai efficace, che lo stesso «è rimasto piuttosto vittima di una sorta di eterogenesi dei fini»
2 Cfr. Cass. 27 aprile 2010, n. 10033, in Riv. it. dir. lav., 2011, II, p. 41 e ancora Xxxx. 11 maggio 2011, n. 10346, in Guida dir., 2011, 26, p. 64; per la giurisprudenza di merito appaio- no oltremodo significative le sentenze citate da X. XXXXXXXXXX, La riforma del contratto a tem- po determinato, in La nuova riforma del lavoro, a cura di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx, Milano, 2012, p. 98, nota 1. Sulla questione per una interessante e quanto mai pertinente ana- lisi si rinvia al saggio di X. XXXXXXXX, ffccezionalità del contratto a termine e ragioni giustifica- trici, in Arg. dir. lav., 2007, p. 668. Da ultimo, per un’ampia ricognizione del dato giurispru- denziale vedi X. XXXXXXX, Il contratto a tempo determinato nella giurisprudenza di merito, in Il contratto di lavoro a termine – Novità applicative, a cura di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxxxxxx, Utet, Torino, 2012, p. 9.
3 Il riferimento è all’art. 1 della legge n. 230/1962 e all’art. 23 della legge n. 56/1987 nella in- terpretazione offerta dalle Sezioni unite della Cassazione nella nota sentenza 2 marzo 2006, n. 4588, in Mass. Giur. lav., 2006, p. 644, con nota di C. TIMELLINI, La delega in bianco ai sindacati nel contratto a termine.
4 X. XXXXX, La somministrazione di lavoro dopo le recenti riforme, in Dir. rel. ind., 2012, p. 967. Sottolinea «la autonomia del rapporto di lavoro tramite agenzia interinale rispetto a quello a tempo determinato» evidenziando tra l’altro la funzione diversa della somministrazione tem- poranea di lavoro rispetto al contratto di lavoro a termine che si configura, grazie alla direttiva comunitaria 2008/104/CE, «come uno strumento positivo in termini di valore sociale ed eco- nomico per la sua capacità di aprire l’accesso al mondo del lavoro» X. XXXXXXX, Il lavoro tem- poraneo in ffuropa, in Lav. dir., 2013, p. 785. Più in generale, per un critica all’«appiattimento del lavoro tramite agenzia sul modello tipologico e concettuale del lavoro a termine» cfr. M.
significativo l’impianto normativo che regolava il lavoro temporaneo. Anche in questo caso si è formata una interpretazione giurisprudenziale che, nella sostanza, ha equiparato tale tipologia contrattuale al contratto a termine vo- lutamente disattendendo la chiara volontà del legislatore per il quale la somministrazione di lavoro a termine nasce come strumento gestionale per sopperire all’ordinaria attività dell’utilizzatore, senza che sia richiesto né il requisito della temporaneità, né che le ragioni giustificatrici siano specifi- camente indicate secondo le modalità previste per il contratto a tempo de- terminato 5.
È un dato di fatto che si è in presenza di una legislazione che, pur ammet- tendo nella sua formulazione letterale anche un uso ordinario, seppur con- trollato, degli strumenti di flessibilità in entrata, ha conosciuto una applicazio- ne chiusa ad ogni tentativo di affrancare le assunzioni temporanee dal requisi- to della eccezionalità 6, accompagnata, peraltro, da un giudizio sociale di disva-
XXXXXXXXXX, Somministrazione di lavoro: ritorno al passato, in La nuova riforma del lavoro, a cu- ra di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx, Milano, 2012, p. 109.
5 Emblematiche alcune sentenze della giurisprudenza di merito: Trib. Bergamo 10 marzo 2011, in xxxxxx.xxxxxxx.xx, specifica che «il ricorso alla somministrazione a tempo determinato (...) come quello al contratto a termine, deve essere dettato da motivi eccezionali e transitori, senza che tragga in inganno l’espressione utilizzata dal legislatore relativa all’ordinaria attività dell’utilizzatore» e ancora Trib. Monza 27 ottobre 2009, in Riv. crit. dir. lav., 2009, p. 984, che partendo da presupposto che «sia il contratto a termine, sia il contratto di somministra- zione a tempo determinato realizzano la medesima funzione pratica» afferma che «gli oneri formali (...) devono essere i medesimi in entrambi i tipi di assunzione; ne consegue che (...) il contratto di somministrazione deve assolvere i medesimi oneri di specificazione previsti dall’art. 1, comma 2, d.lgs. n. 3ł8/2001»; Trib. Padova 4 febbraio 2011, in Foro pad., 2012, I, p. 115 afferma che «se non si vuole rendere pleonastiche le disposizioni di cui agli artt. 20, comma 4, 21, lett. c) e 27 d.lgs. n. 27ł/2003 il requisito della temporaneità (...) costituisce requisito essen- ziale del contratto».
Nel panorama giurisprudenziale non mancano sentenze di diverso avviso che ritengono non
necessario l’elemento della temporaneità quale requisito della somministrazione a tempo de- terminato, vedi Trib. Vicenza 17 febbraio 2011, in Dir. rel. ind., 2011, p. 1136 con nota di M. DEL CONTE, Somministrazione di lavoro e limiti al sindacato giudiziale.
6 Sotto questo profilo deve far riflettere la considerazione di X. XXXX, Il contratto, cit., p. 939 secondo cui per la giurisprudenza «nessun ripensamento è stato indotto dall’inserimento nel comma 1 [dell’art. 1, d.lgs. n. 368/2001] della precisazione che le ragioni possono essere anche riferibili alla ordinaria attività del datore di lavoro». Sempre sul ruolo della giurisprudenza quanto mai significative (e condivisibili) appaiono le riflessioni, di carattere generale, di R. DEL PUNTA, Il giudice del lavoro tra pressioni legislative ed aperture di sistema, in Riv. it. dir. lav., 2012, I, p. 478 che ha evidenziato come la giurisprudenza lavoristica «trovandosi a fare i conti con le nuove esigenze di conciliazione fra istanze sociali e istanze economiche che si sono con- densate nel diritto del lavoro della flessibilità e della crisi» abbia provato a tenere indenne la disciplina del lavoro dalle dinamiche evolutive del sistema giuridico utilizzando «riferimenti sistematici» che «in troppi casi hanno mantenuto tratti unilaterali e ideologici, legati ad una idea del giudice del lavoro che sarebbe ora che entrasse (ma questo è ancora lungi dall’acca- dere) nel baule dei ricordi».
lore in quanto ritenuta causa di precarizzazione della condizioni di vita del la- voratore 7.
In questo contesto il legislatore del 2012, con grande determinazione, ha deciso di intervenire sul punto nodale della flessibilità in entrata infrangen- do formalmente un tabù presente da sempre nel nostro ordinamento quale è sicuramente quello, a livello di sistema, della necessaria ed oggettiva tempo- raneità delle ragioni poste a fondamento di un’assunzione a durata limitata 8, quasi a voler sottolineare che «una certa quota di contratti non standard sia ormai immanente o strutturale nel mondo attuale di organizzazione delle imprese» 9.
L’intervento riformatore prende le mosse dal comma 01 dell’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 precisando che «il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro» sostituendo, così, la precedente formulazione per la quale «il contratto di lavoro subor- dinato è stipulato di regola a tempo indeterminato».
È necessario rilevare (con riferimento alla riscrittura del comma sopra ri- chiamato) che la modifica non è stata intesa come una forma di apertura nei confronti della flessibilità in entrata, al contrario si registrano, in prevalenza,
7 X. XXXX, Flessibilità e tutele nella riforma del lavoro, in WP C.S.D.L.ff. “Xxxxxxx X’Xxxx- na”, 155/2012, p. 32 rileva come la fattispecie sia da sempre oggetto di polemiche in quanto
«accusata di essere la forma storica di lavoro precario». X. XXXXXXX, Genesi e portata di una riforma del lavoro, in La nuova riforma del lavoro, a cura di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxxxx, cit., p. 7 sottolinea, molto efficacemente, che quello della flessibilità in entrata «è un tema fumoso ed in parte ideologico (…) che va maneggiato con cura (…) la cui analisi deve essere preceduta da una riflessione, il più possibile laica sulla funzione dei contratti non standard, in particolare a termine». Per comprendere quanto sia culturalmente difficile che nel nostro diritto del lavoro trovi cittadinanza l’istituto della flessibilità come strumento gestionale scevro da implicazioni di carattere ideologico si rimanda alla lettura di un recente saggio di X. XXXXXXXXX, La transizio- ne infinita verso la flessibilità “buona”, in Lav. dir., 2013, p. 155 nel quale uno dei più autorevoli esponenti della dottrina giuslavoristica italiana dopo aver affermato che «flessibilità equivale a duttilità/indeterminatezza/precarietà» ed averla messa in diretta contrapposizione con «indero- gabilità/rigidità/fissità» precisa che quando il legislatore manifesta un accentuato favor per la prima triade «è naturale che il giurista del lavoro viva la vicenda non tanto come l’esortazione ad inoltrarsi in un territorio inesplorato, quanto piuttosto come la spoliazione del suo patrimo- nio di sapere» mettendo in evidenza come gli elementi che qualificano la flessibilità «si sostitui- scono alla coerenza sistemica» dell’impianto normativo su cui si fonda il diritto del lavoro.
8 Ipotesi legali di assunzioni a termine che non richiedono l’indicazione della causale sono presenti da tempo nell’ordinamento, ma non costituiscono un superamento delle ragioni giusti- ficatrici in quanto tali, quanto piuttosto una tipizzazione legale della temporaneità intrinseca rispetto ad una determinata organizzazione produttiva (vedi in tal senso quanto disposto dalla legge n. 84/1986 nel settore aeroportuale e dalla legge n. 266/2005 nel settore postale, normati- va poi confluita nell’art. 2, comma 1 e 1-bis, d.lgs. n. 368/2001) o soluzioni create per far fronte ad ipotesi del tutto eccezionali quali l’opportunità di creare, anche se temporaneamente, occu- pazione a favore di lavoratori in mobilità (art. 8, comma 2, legge n. 223/1991)).
9 X. XXXXXXX, Genesi e durata, cit., p. 7.
valutazioni da parte degli addetti ai lavori che sottolineano una sostanziale continuità tra il vecchio e il nuovo testo del comma nel senso dello sfavore nei confronti delle forme contrattuali non standards e non manca chi ritiene che la nuova formulazione costituisca un ulteriore irrigidimento 10 o, addirittura, chi afferma che «sul piano prescrittivo, e non più solo in termini di auspicio di politica del diritto, il contratto a tempo indeterminato è la regola e quello a termine, conseguentemente, una eccezione» 11. In tale ottica le ulteriori modi- fiche che si muovono all’insegna della liberalizzazione delle tipologie contrat- tuali in esame vengono necessariamente qualificate in controtendenza o come del tutto irrazionali.
Letta in questo modo la variazione terminologica sarebbe di difficile com- prensione e, soprattutto, in palese contraddizione, non solo con le altre modi- fiche apportate sempre dalla legge n. 92/2012, ma anche con gli interventi normativi che, a partire dal 2008, hanno interessato la materia, quelli adottati successivamente alla legge di riforma in commento 12 e, da ultimo, quelli che
10 X. XXXX, L’improbabile equilibrio tra rigidità “in entrata” e flessibilità “in uscita” nella legge
n. 92/2012 di riforma del mercato del lavoro, Arg. dir. lav., 2012, pp. 817-818 e ID., Il contratto a tempo determinato dopo la legge n. 92/2012, in WP C.S.D.L.ff. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”, 154/2012,
§ 2, nel quale si specifica comunque che «l’ulteriore irrigidimento della disciplina del 2001» rileva «quale tassello del complessivo disegno di contrasto del lavoro precario (inteso, per tale, come detto, ogni lavoro non subordinato a tempo indeterminato)».
11 X. XXXXXXXXXX, La riforma del contratto, cit., p. 97. L’A. specifica ulteriormente che «la controversa tesi della temporaneità della causale, sino ad ora di derivazione dottrinale, e, in par- te, giurisprudenziale, sembra così trovare un significativo fondamento normativo nel riformula- to comma 01». Nel panorama dottrinario non mancano posizioni che sviliscono totalmente la funzione della modifica qualificandola come «espressione alquanto ritualistica e non priva di una certa retorica» X. XXXXXXX, Flessibilità in entrata: nuovi e vecchi modelli di lavoro flessibile, in Riv. it. dir. lav., 2012, I, p. 370 e, ancora, che ritengono trattarsi di «disposizione peraltro priva di un effettivo valore aggiunto sul piano interpretativo rispetto alla formulazione prece- dente» X. XXXXXXXX, Il riordino delle tipologie flessibili di lavoro subordinato nella legge n. 92/2012, in Riv. crit. dir. lav., 2012, p. 645. Deve registrarsi in materia anche un intervento del Ministero del lavoro che nella circolare 22 aprile 2013, n. 7258, a proposito del significato da attribuire alla disposizione in questione, resta ancorato ad una concezione molto “italiana” e non in linea con gli orientamenti del diritto comunitario, precisando che un contratto a tempo determinato è tale se caratterizzato da elementi di “specialità” che devono essere «sia di caratte- re sostanziale che formale» la cui mancanza impone che il rapporto «deve essere ricondotto alla forma comune» e cioè al contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
12 Si segnala a questo proposito la recente legge n. 221/2012 che ha convertito con xxxxxx- che il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179 che consente alle «imprese start-up innovative» per un periodo di quattro anni dalla loro costituzione di utilizzare contratti a termine (anche in somministra- zione) per una durata variabile da un minimo di sei ad un massimo di trentasei mesi senza l’in- dicazione di alcuna ragione giustificatrice per lo svolgimento di attività inerenti o strumentali al- l’oggetto sociale, rinnovabili e prorogabili senza le limitazioni previste dal d.lgs. n. 368/2001 e con la possibilità di allungare fino a quattro anni la durata dei contratti temporanei a condizio- ne che la stipula del contratto avvenga presso la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio. Per una prima valutazione di questa normativa cfr. X. XXXX, Le oscillazioni del
hanno di recente modificato la stessa legge n. 92/2012 (v. infra, § 2.1)
La normativa comunitaria costituisce un valido supporto argomentativo per una diversa interpretazione del nuovo comma 01 dell’art. 1 cit.
Non è casuale che la formulazione utilizzata dal legislatore ricalchi la ter- minologia presente nel secondo capoverso del preambolo all’accordo quadro sul contratto a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE nel quale le parti firmatarie, se da una parte sottolineano che «i contratti a tempo inde- terminato sono e continueranno ad essere la forma comune dei rapporti di la- voro», dall’altra «riconoscono che i contratti a tempo determinato rispon- dono, in alcune circostanze, sia alle esigenze dei datori di lavoro sia a quelle dei lavoratori».
Sempre nell’accordo sopra menzionato la stessa terminologia qualificato- ria è presente nel sesto considerando che, a sua volta, si colloca all’interno di altre valutazioni (quinto considerando) che valorizzano «le formule flessibili di lavoro» come strumento per modernizzarne l’organizzazione, «onde ren- dere produttive e competitive le imprese», il tutto in un contesto il cui obiet- tivo principale (clausola 1 dell’accordo) è quello di migliorare la qualità del contratto a termine e di arginare il fenomeno della reiterazione dei contratti a termine.
A queste considerazioni deve poi aggiungersi la constatazione in ordine alla tendenza della legislatura nazionale alla progressiva liberalizzazione dell’uso dei contratti temporanei nella quale si iscrive anche la legge n. 92/2012. Se nel 2007, con la legge finanziaria, è stato introdotto il principio della “regola”, con riferimento al contratto a tempo indeterminato e, conseguentemente, del- l’eccezione per il contratto a termine, poi, nel 2008, con la legge n. 133/2008, è stato iniziato un processo inverso precisando, nell’art. 1, comma 1 del d.lgs.
n. 368/2001, che le ragioni organizzative che legittimano il ricorso al contratto a termine sono riferibili anche all’ordinaria attività del datore di lavoro (art. 21, comma 1, legge n. 133/2008), processo quest’ultimo che continua con la legge n. 92/2012 e che, come si è visto (nota 12), non è destinato ad arrestarsi, come peraltro dimostra l’ultimo intervento di modifica della stessa legge n. 92/2012 ad opera della legge n. 99/2013 (v. infra, § 2.1). Stessa valutazione va fatta con riferimento al lavoro somministrato che ha conosciuto, ancor prima della legge n. 92/2012, con il d.lgs. n. 24/2012, modalità di deciso ampliamento in ordine alle sue ipotesi di utilizzo (v. infra, § 3).
Proprio in ragione di una lettura complessiva della normativa nazionale e comunitaria nel senso sopra prospettato, e con l’idea che il legislatore abbia almeno l’aspirazione ad interventi tra di loro consequenziali – e non in con-
pendolo: flessibilità e rigidità nell’accesso al lavoro subordinato dopo la legge Fornero, in Riv. giur. lav., 2012, I, p. 673 ss.; X. XXXXX XXXXXX-X. XXXXXXXXX, Il termine nel contratto di lavoro: ri- flessioni a margine della riforma Fornero, in Arg. dir. lav., 2013, p. 572 ss.
trotendenza (se non addirittura irrazionali) quanto meno all’interno di uno stesso articolo di legge – è plausibile sostenere che la modifica del comma 01, e cioè la sostituzione del termine «regole» con «comune»», stia a significare che, nel novero delle possibili forme di assunzione ce ne siano alcune meno utilizzate, e cioè, non comuni, ma che queste non necessariamente debbano costituire una “eccezione” rispetto alla “regola” dovendosi ritenere (ed anche augurarsi) che le assunzioni subordinate a tempo indeterminato siano le nor- mali, e statisticamente più numerose forme di lavoro, il tutto senza penalizzare il ricorso al contratto a termine 13.
A sostegno dell’assunto valgano anche alcune considerazioni formulate dalla dottrina economica: in sede di valutazione della riforma è stato sottolineato che la nuova normativa «va nella direzione di assegnare un carattere di “normalità” al contratto a tempo determinato» e che «ora il contratto di lavoro a tempo de- terminato (se pure entro certi limiti) è un contratto che ha una sua “dignità” che non è più così lontana da quella del contratto a tempo indeterminato» 14.
La modifica del comma 01, accompagnata all’introduzione del comma 1- bis (del quale si dirà in prosieguo), acquista una precisa valenza sistemica con- sentendo non solo di sgombrare il campo da quelle interpretazioni che, all’in- domani della sua originaria formulazione, hanno ritenuto che nel nostro ordi- namento sia stato rivitalizzato lo spirito dell’abrogata legge n. 230/1962 15, ma
13 Nello stesso senso X. XXXXX, La somministrazione, cit., p. 973 il quale, analizzando l’evo- luzione della normativa in materia di somministrazione di lavoro, con un’attenzione anche a quella che disciplina il contratto a termine, rileva, tra l’altro, che si è in presenza «di indicazio- ni, ancor troppo gracili per poter supportare robuste ricadute sul piano sistematico, ma sono indicative di una linea di tendenza dell’ordinamento che va oltre la dimensione della eccezio- nalità». Cfr. anche X. X XXXXX-X. FEDELE, Le modifiche alla disciplina del contratto a termine, in AA.VV., La riforma del lavoro, Xxxxxxx, Milano, 2013, p. 20 i quali mettono in evidenza la «for- male abolizione del principio regola/eccezione» anche se non mancano di sottolineare, menzio- nando sul punto l’orientamento giurisprudenziale, che ci si trova di fronte ad una innovazione avente «il solo scopo di rendere il contesto più coerente, sul versante della mera forma, con la previsione della liberalizzazione del primo contratto a termine».
La rilevanza sul piano dogmatico della riforma, letta nell’insieme delle nuove regole deputa-
te a governare le varie tipologie di flessibilità in entrata, sia subordinate che autonome, è stata messa molto efficacemente in evidenza da X. XXXXXXX, Flessibilità in entrata, cit., p. 610 ss., il quale, dopo aver rilevato che le esigenze per le quali si può stipulare un contratto a termine possono essere «finanche stabili o organiche» e che, nel contempo, si registra un restringimento dell’area del lavoro autonomo con conseguente ampliamento dell’area della subordinazione, sottolinea che «il lavoro subordinato (...) si deve predisporre ad incorporare esigenze di flessibi- lità (...) e da ciò deriva una maggiore elasticità nell’impiego del contratto a tempo determinato sino a quando non raggiunge un limite invalicabile».
14 C. DELL’ARINGA, La riforma del lavoro: aspetti economici, in la nuova riforma del lavoro, a cura di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxxxx, cit., p. 45.
15 X. XXXXXX, La riforma del lavoro a tempo determinato, in X. XXXXXXXXX (a cura di), Ri- forma del lavoro, Xxxxxxx, Milano, 2012, p. 52 sottolinea questo aspetto richiamando anche la dottrina che si era fatta portatrice della tesi.
di supportare una lettura comunitaria della nostra legislazione nazionale in materia di flessibilità in entrata che, da una parte, vede nell’utilizzo del con- tratto a termine (come della somministrazione) uno strumento gestionale utile allo sviluppo dell’occupazione ed al soddisfacimento di oggettive esigenze aziendali, e, dall’altra, si preoccupa di combattere la distorsione del fenomeno costituito da un uso reiterato di tali tipologie contrattuali nei confronti dello stesso lavoratore.
2. | Il contratto a tempo determinato e le integrazioni nor- mative tese a favorire il ricorso a tale tipologia contrat- tuale: il contratto acausale di fonte legale. |
Nell’ambito di una disciplina tesa a valorizzare la flessibilità in entrata come strumento per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro a supporto di un’attiva politica per l’occupazione 16, si iscrive la novità sicura- mente più significativa dell’intera riforma dedicata alla rivisitazione della fa- se di ingresso nel mercato del lavoro: nell’art. 1 del d.lgs. n .368/2001 viene inserito il comma 1-bis, che introduce una fattispecie di contratto a termine acausale, per il quale non è necessario indicare ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, per legittimare l’apposizione del termine.
In caso di primo rapporto a tempo determinato di durata non superiore ad un anno, concluso tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore e per lo svolgimento di qualunque tipo di mansione, non è richiesto il requisito previ- sto dal comma 1 dello stesso articolo (specificazione della causale).
La nuova regolamentazione della materia acquista una significativa rile- vanza metodologica. Per la prima volta nel nostro ordinamento viene legit- timata una tipologia di flessibilità in entrata che non necessita di un sostrato organizzativo oggettivamente temporaneo o legato a peculiari situazioni sog-
16 X. XXXXXXXX, Contratto a termine: nuove regole, in X. XXXXXXX-X. XXXXXXXX (a cura di), Commentario alla riforma Fornero, Ipsoa, Milano, 2012, evidenzia la finalità sostanziale della norma che è quella di «provare a smuovere le acque stagnanti del mercato del lavoro consen- tendo una prima esperienza lavorativa nella speranza che la stessa contribuisca ad aumentare le possibilità di un successivo rapporto stabile»; nello stesso senso X. XXXXXXXXX, La riforma del lavoro 2012, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2012, p. 18 il quale sottolinea come il legislatore intende va- lorizzare «il primo isolato contratto a termine quale strumento di flessibilità e di occupazione anche in funzione sperimentale». La finalità della acausalità come incentivo all’occupazione con fini anche sperimentali è sempre più condivisa in dottrina, cfr., da ultimo, X. XXXXXXXXXXX, I requisiti sostanziali (soggettivi e oggettivi) dei contratti a termine, in R. DEL PUNTA-X. XXXXX (a cura di), I rapporti di lavoro a termine, Xxxxxxx, Milano, 2013, p. 125 ss. e X. XXXXX GRANDI-X. XXXXXXXXX, Il termine nel contratto di lavoro, cit., p. 562 ss.
gettive (si veda l’art. 8, comma 2, legge n. 223/1991 17, la cui scelta non è sot- toposta a forme di controllo esterne alla sfera di azione del datore di lavoro e che, ad eccezione della forma scritta ad substantiam, è sostanzialmente equi- parata al contratto a tempo indeterminato potendo il dipendente essere utiliz- zato per soddisfare qualsivoglia esigenza aziendale 18.
In tal modo il contratto a termine diventa una delle modalità ordinarie con la quale l’impresa procede alla prima occupazione e ciò non solo per chi si af- faccia per la prima volta nel mondo del lavoro, ma anche per i lavoratori che hanno avuto pregresse esperienze lavorative.
17 La norma in questione consente di stipulare liberamente un contratto a termine per la du- rata massima di 12 mesi con lavoratori iscritti nelle liste di mobilità la cui esclusione dal campo di applicazione del d.lgs. n. 368/2001 è stata definitivamente sancita con l’aggiunta, nell’art. 10 dello stesso decreto al comma 1 della lett. c-ter), fatta eccezione per gli artt. 6 e 8 che discipli- nano, rispettivamente, il divieto di discriminazione e i criteri di computo per i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato (art. 7, comma 1, d.l. n. 76/2013, convertito con legge n. 99/2013).
18 È pressoché unanime in dottrina il significato attribuito al concetto di acausalità ed alle sue ricadute sul piano giuridico e fattuale, vedi in tal senso tutti gli autori, citati nel presente saggio, che hanno commentato la normativa in esame.
Tuttavia, nonostante la chiara indicazione letterale della norma, il panorama dottrinario si è arricchito di una interpretazione che, partendo dal presupposto che il contratto a termine, «alla luce di indicazioni ricavabili dal sistema», non possa essere privo, nella sostanza, di una giustifi- cazione, ritiene che la previsione di cui al comma 1-bis «esclude semplicemente che il datore di lavoro non sia tenuto a provare l’esistenza di detta causale e che, correlativamente, il lavoratore possa contestarne la sussistenza» il tutto allo scopo di arrivare poi ad ammettere una sindacabi- lità in ordine alla legittimità del contratto (e quindi la necessità che venga poi esplicitata una motivazione) ritenendo, ad esempio, che ciò sia possibile nel caso in cui lo stesso datore stipuli tanti primi contratti a termine con lavoratori diversi e che tale ipotesi possa essere configurata come una frode alla legge in quanto in tal modo si aggira il comma 01 dell’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 o l’art. 1, comma 1, lett. a), legge n. 92/2012 sul rilievo prioritario che le predette nor- me assegnano al contratto a tempo indeterminato la funzione di contratto dominante (C. XXXX- XX, Flessibilità del lavoro e potere organizzativo, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2012, p. 62 ss.). La tesi non sembra convincente in quanto assegna valenza di sistema alla circostanza che gli esempi legali di esonero dall’apposizione di una causale giustificativa del termine siano tutti comunque caratte- rizzati da ragioni oggettive e/o soggettive non richieste solo perché già preventivamente indivi- duate dal legislatore, quindi comunque presenti. È appena il caso di rilevare che questa corretta constatazione non costituisce un principio di rango costituzionale che deve necessariamente informare tutta la legislazione, la regola è ben altra ed è rinvenibile nell’impossibilità per il legi- slatore ordinario di mettere a sistema il principio della libera recedibilità dal contratto di lavoro da parte del datore di lavoro essendo necessaria comunque la presenza di un valido motivo di recesso la cui mancanza fa scattare in capo al lavoratore una tutela di tipo ripristinatorio e/o risarcitorio. Ebbene, non è questo il caso contemplato dal nuovo comma 1-bis dell’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 per il quale solo il primo ed unico rapporto a tempo determinato tra le stesse parti, peraltro per la durata massina di un anno, è libero di essere attivato e poi risolto; il tutto in un quadro di ragionevolezza (e non di arbitrio legislativo) in quanto la norma ha la dichiarata finalità di favorire l’occupazione ponendosi in tal modo come strumento di attuazione dell’art. 4, comma 1, Cost.
È di tutta evidenza che si ampliano le finalità che il legislatore intende per- seguire. Accanto a quelle rivolte comunque al soddisfacimento di esigenze oc- casionali e temporanee se ne aggiungono altre quali «la sperimentazione sog- gettiva del singolo lavoratore» 19 ovviando in tal modo alle carenze del patto di prova che, causa la sua brevità, soprattutto per le qualifiche medio – alte, non consente una ponderata verifica delle capacità professionali del lavoratore.
La acausalità del primo contratto è destinata a favorire anche sperimentazio- ni di tipo organizzativo da parte dell’azienda che può essere invogliata in tal senso anche grazie alla possibilità di ricorrere ad incrementi di mano d’opera con la certezza di non incorrere nella stabilizzazione di posizioni lavorative dal futuro obiettivamente incerto in quanto legato a nuovi processi produttivi.
In particolare, la funzione sperimentale di tipo soggettivo è riconosciuta, apertis verbis, dalla circolare n. 18/2012 del Ministero del lavoro avente ad oggetto le prime indicazioni operative sulla legge n. 92/2012: la deroga alla indicazione della causale è ammessa «una e una sola volta tra due medesimi soggetti» e non più utilizzabile nel caso in cui, in precedenza, sia già interve- nuto tra le stesse parti un primo rapporto lavorativo di natura subordinata sulla base della considerazione che «non appare coerente con la ratio normati- va estendere il regime semplificato a rapporti in qualche modo già sperimenta- ti». Sempre il Ministero del lavoro è intervenuto nuovamente sui criteri ap- plicativi della previsione normativa con lettera circolare 22 aprile 2013, n. 7258 nella quale ha precisato che il contratto acausale può essere stipulato solo se «non siano intercorsi tra il medesimo datore di lavoro e lavoratore precedenti rapporti di natura subordinata» e sottolineato che non rilevano, ai fini della legittimità del contratto stesso, «pregressi rapporti di lavoro di na- tura autonoma tra i medesimi soggetti».
Ed è proprio sulla interpretazione della formulazione «primo rapporto» che si registrano discordanti opinioni in dottrina che spaziano da tesi estensi- ve, per le quali sul presupposto che «il termine “primo” è indicato senza ulte- riori qualificazioni» ritengono che «da una parte tale contratto a causale non può essere ripetuto dallo stesso datore di lavoro neppure a distanza di tempo, ma dall’altra parte il suo utilizzo è sempre possibile una “prima volta” a nulla rilevando che sia stato titolare di un precedente rapporto di lavoro di qualsiasi genere, subordinato o autonomo» 20, a tesi restrittive, per le quali è da esclude-
19 Così X. XXXXXX, La riforma del lavoro a tempo determinato, in X. XXXXXXXXX (a cura di), Riforma del lavoro, cit., p. 54. Mette in discussione la possibilità di utilizzare il lavoro tempora- neo «come finalità latu sensu di prova» X. XX XXXXXXX, Uno sguardo di insieme tra flessibilità buona e flessibilità cattiva, in Il nuovo diritto del mercato del lavoro, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxx, Utet, Torino, 2013, p. 38 ss.
20 X. XXXX, Flessibilità e tutele, cit., p. 33 ed ivi ulteriori indicazioni bibliografiche favorevoli e contrarie alla testi esposta nel testo con riferimento alle quali, per una ricognizione aggiornata; cfr. anche X. XXXXX XXXXXX-X. XXXXXXXXX, Il termine nel contratto di lavoro, cit., p. 564 ss.
re la possibilità di assumere lavoratori dei quali ci si è avvalsi anche mediante contratti di lavoro autonomo o collaborazioni a progetto ritenendo possibile che solo rapporti non lavorativi quali stage e tirocini non precludano l’assun- zione acausale 21.
La formulazione della lett. a) del comma 1-bis, unito al suo campo di ap- plicazione, circoscritto al lavoro subordinato, e la natura comunque eccezio- nale della previsione rispetto alla regola generale costituita dalla causalità dei contratti a termine fanno propendere per una interpretazione in linea con quanto sostenuto nell’ultima circolare ministeriale sopra riportata cosi che de- ve ritenersi ammissibile il ricorso al contratto acausale a condizione che tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore non sia mai intercorso un rappor- to di lavoro di natura dipendente.
Le finalità della previsione normativa vengono potenziate dalla eliminazio- ne (in sede di revisione del testo del comma 1-bis ad opera dell’art. 7 d.l. 28 giugno 2013, n. 76, convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 99) del divieto ori- ginariamente previsto in ordine alla possibilità di prorogare questo tipo di contratto: è ora possibile sfruttarne a pieno le potenzialità istaurando un pri- mo contratto acausale per un periodo di tempo anche inferiore ai dodici mesi per poi decidere di prorogarlo, per una sola volta e con il consenso del lavora- tore, fino alla sua durata massima e ciò senza la necessità di indicare le ragioni che giustificano la prova trattandosi di un contratto nato originariamente sen- za alcuna causale.
Le modifiche apportate all’art. 1 d.lgs. n. 368/2001, con l’introduzione del comma 1-bis, avvicinano il nostro ordinamento agli standards europei 22: trova formale ingresso nel nostro sistema normativo uno dei princìpi di fondo della direttiva comunitaria sul contratto a termine che vuole punire, in modo effica- ce e dissuasivo, solo il ricorso all’uso reiterato del contratto.
La liberalizzazione del primo ed unico contratto è in linea con la clausola 5 dell’accordo allegato alla direttiva, sulla necessaria presenza di ragioni giustifi- cative per la valida apposizione della clausola del termine, che opera un rife- rimento espresso solo alla ipotesi di successione di contratti, interpretazione
21 X. XXXXXXXX, La riforma del contratto a termine nella legge 28 giugno 2012, n. 92, in WP C.S.D.L.ff. “Xxxxxxx X’Xxxxxx”.it, 153/2012, p. 9 e, da ultimo, X. XXXXXXXXXXX, I requisiti so- stanziali, cit., p. 128.
22 Sotto questo aspetto si registra una costante attenzione del legislatore nazionale ad ade- guarsi alle regole europee: l’art. 12 della legge n. 97/2013 (contenente disposizioni per l’adem- pimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, legge europea 2013) modifica i criteri di computo dei dipendenti assunti con contratto a termine ai fini del raggiungimento dei limiti numerici prescritti dall’art. 35 dello Statuto dei lavoratori riscrivendo l’art. 8 d.lgs. n. 368/2001: a partire dal 1° gennaio 2014 il computo viene effettuato sul numero medio mensile dei lavoratori impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell’effettiva durata del rapporto.
questa confermata ad abundantiam dal considerando n. 7 premesso alle clau- sole dell’accordo quadro.
Al fine di sgombrare il campo da possibili strumentalizzazioni interpretati- ve è opportuno chiarire che la tesi, desumibile da una oramai consolidata giu- risprudenza comunitaria 23 e interna 24, per la quale la direttiva nel suo com- plesso riguarda anche il contratto unico è stata formulata con espresso riferi- mento alla clausola di non regresso e alle condizioni generali di regolamenta- zione del rapporto di lavoro.
Chiariti i termini di raffronto con la normativa comunitaria, la regola con cui è necessario confrontarsi è costituita dalla clausola di non regresso atteso che, prima dell’intervento riformatore, nel nostro ordinamento non era possi- bile stipulare contratti a termine privi di causale giustificativa.
Ciò premesso deve preliminarmente rilevarsi che la normativa di specie, emanata a distanza di oltre dieci anni dalla direttiva comunitaria e dalla nor- mativa nazionale di attuazione, si iscrive in un disegno legislativo di grande re- spiro che abbraccia l’intero mercato del lavoro italiano disciplinando fles- sibilità in entrata e in uscita, ammortizzatori sociali, servizi per l’impiego e in- centivi all’occupazione; in questo contesto può senz’altro ritenersi che la pre- visione normativa di cui si discute non sia annoverabile tra le disposizioni di attuazione che devono confrontarsi con la clausola in esame.
In ogni caso anche ove si volesse ritenere necessario un confronto con la regola comunitaria non può non rilevarsi che, ad una valutazione dell’intero provvedimento, la clausola di non regresso (nella sua accezione di «divieto pretestuoso di riduzione di tutele dell’insieme delle disposizioni di diritto inter- no determinato dalla presunta necessità di attuare una direttiva») è pienamente rispettata in quanto: i) la reformatio in peius relativa al primo contratto è am- piamente compensata dalle altre norme presenti sempre nella legge n. 92/2012 che inaspriscono le misure di contrasto all’uso reiterato di successivi contratti a termine e, più in generale, ostacolano il proliferarsi di altre forme anomale di lavoro precario; ii) il campo di applicazione della nuova disciplina è generaliz- zato e non circoscritto a determinate categorie di lavoratori 25.
23 Cfr. le sentenze della Corte di giustizia 22 novembre 2005, Xxxxxxx, in Riv. it. dir. lav., 2006, II, p. 205; 23 aprile 2009, Angelidaki, in Foro it., 2009, IV, c. 496; 24 giugno 2010, Sorge, ivi, 2010, IV, c. 541, nonché l’ord. 11 novembre 2010,Xxxx, in Riv. it. dir. lav., 2011, II, p. 860 che si segnala per la sua chiarezza nella parte in cui (punto 29) precisa che «nessuna disposizio- ne dell’accordo quadro obbliga gli Stati membri ad adottare una misura che imponga di giusti- ficare ogni primo o unico contratto di lavoro a tempo determinato (...) con ragioni obiettive». Per una riflessione d’insieme sulla giurisprudenza comunitaria vedi, da ultimo, Il contratto di lavoro a termine – Novità applicative, a cura di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxxxxxx, cit. ed in particolare i contributi di X. Xx Xxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx.
24 Cfr., per tutte, Cass. 21 maggio 2008, n. 1298, in Riv. it. dir. lav., 2008, II, p. 891.
25 Da parte della dottrina si registra una sostanziale convergenza nel ritenere compatibile il primo ed unico contratto a termine acausale con l’ordinamento comunitario cfr. A. VALLEBO-
2.1. | Segue: il contratto acausale di fonte collettiva. |
La concitata fase di rivisitazione a cui è sottoposto il nostro ordinamento giuslavoristico non risparmia neanche la riforma conclusasi con la legge n. 92/2012.
Il panorama delle novità introdotte dal comma 1-bis dell’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 si arricchisce di una ulteriore tipologia di contratto acausale ad ope- ra del dl.l. n. 76/2013, convertito dalla legge n. 99/2013, che integra il comma 1-bis citato. Alla fattispecie legale di contratto acausale se ne aggiunge una se- conda di fonte collettiva: è possibile stipulare un contratto a termine senza «il requisito di cui al comma 1 (...) b) in ogni altra ipotesi individuata dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».
Si tratta di una modifica oltremodo significativa che, se opportunamente utilizzata, è destinata ad affrancare definitivamente, anche nell’ordinamento italiano, il contratto a tempo determinato da una congenita diffidenza ed ele- varlo ad un ordinario strumento di gestione della forza lavoro.
Per cogliere la rilevanza di quest’ultimo intervento è necessario un raffron- to con l’originaria formulazione del comma 1-bis introdotto dalla legge n. 92/2012.
In quella occasione il legislatore aveva avviato una timida apertura alla fon- te collettiva condizionandone comunque l’operatività alla presenza di tipizzate ragioni di tipo organizzativo, dalla stessa legge individuate, (avvio di nuova at- tività, lancio di un prodotto o un servizio innovativo, implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico, fase supplementare di un significativo progetto di ricerca, rinnovo o proroga di una commessa consistente), indivi-
NA, La riforma, cit., p. 18; X. XXXX, Il contratto a tempo determinato, cit., p. 960; X. XXXXXXXX, Xxxxxxxxx a termine, cit., p. 100; X. XXXXXX, La riforma del lavoro, cit., p. 54, X. XXXXXXXXXXXX, Il contratto a tempo determinato dopo la legge 28 giugno 2012, n. 92, in Arg. dir. lav., 2012, p. 1170; X. XXXX, Il contratto a tempo determinato dopo la riforma Fornero, in Lav. giur., 2012, p. 1142; X. XXXXXXXXX, Il contratto a tempo determinato, in AA.VV., La riforma del mercato del lavoro – Aspetti sostanziali e processuali, Xxxxxx, Xxxxxx, 0000, x. 00; X. XX XXXXX-X. FEDELE, Le modifiche alla disciplina, cit., p. 23 ss.
Di diverso avviso X. XXXXXXXX, La riforma del contratto a termine, cit. L’A., dopo un esame dei parametri individuati dalla giurisprudenza comunitaria per valutare l’esistenza o meno di un peggioramento della disciplina nazionale rispetto a quella precedentemente esistente, ritiene che «in una logica di valutazione complessiva delle innovazioni e di bilanciamento tra esse, il saldo sia negativo», anche se conclude ritenendo che «il principio di non regresso sia stato for- temente depotenziato e renda assai problematica la limitazione del potere normativo degli Stati membri» e X. XXXXXX, Flessibilità del lavoro, cit., p. 152 per la quale la previsione di un contrat- to a termine acausale non solo «non può considerarsi in linea con le previsioni della direttiva (...) ad una lettura (...) non limitata all’art. 5», ma è contraria anche al «complessivo sistema di stabilità del posto di lavoro» desumibile nel nostro ordinamento dagli artt. 4 e 35 Cost.
duando un limite quantitativo (6% del totale dei lavoratori occupati nell’am- bito dell’unità produttiva) e privilegiando per tale funzione la contrattazione collettiva nazionale (interconfederale o di categoria) potendo operare, quella decentrata, solo su delega della nazionale.
Questa particolare tipologia di contratto a termine, fornito comunque di una causale di tipo oggettivo, era comunque destinata a rimanere sulla carta in quanto, per espressa previsione legislativa, posta in alternativa con quella, ge- nuinamente sfornita di ragioni giustificative, disciplinata dalla prima parte del- lo stesso comma 1-bis.
È appena il caso di rilevare che molto difficilmente le associazioni dei dato- ri di lavoro avrebbero precluso ai propri iscritti la possibilità di utilizzare una tipologia di contratto a termine caratterizzata da una totale ed incondizionata deroga a ragioni giustificatrici, libera, tra l’altro, da ogni preventivo confronto con le organizzazioni sindacali, in cambio del ricorso ad un contratto tempo- raneo che comunque avrebbe presupposto l’esistenza di processi organizzativi idonei a giustificarlo e, conseguentemente, sarebbe stato suscettibile di un controllo ex post sull’effettività della causale 26.
A questo proposito era stata anche evidenziata la sostanziale inutilità di una pattuizione collettiva che sarebbe andata a legittimare contratti a termine che, in presenza dei requisiti imposti dalla legge, ben avrebbero potuto essere stipulati ai sensi dell’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 368/2001 27.
È di tutta evidenza il cambio di marcia avviato dal legislatore del 2013, ri- spetto alla precedente formulazione della norma, al fine di dotare il mercato del lavoro italiano di uno strumento di flessibilità in entrata effettivamente ca- pace di intercettare le esigenze aziendali, all’interno di un modello regolativo nel quale il ruolo centrale del contratto collettivo è sicuramente in grado di scongiurare il pericolo di fenomeni di precarietà diffusa ed incontrollata.
Si tratta di un ritorno ad un meccanismo normativo incentrato sulla delega alla contrattazione collettiva (per lungo tempo presente nel nostro ordina- mento con l’art. 23 della legge n. 56/1987 28 e poi eliminato con la riforma del contratto a termine del 2001) dotato di notevole potenzialità che si apprezza
26 A questo proposito è stato sottolineato che si era di fronte ad una forma di contratto acausale “impuro” e ciò in quanto «sebbene la norma non imponga al datore di lavoro la ragio- ne sottesa all’assunzione a termine, sarà comunque tenuto a dimostrare in giudizio la effettiva sussistenza del processo organizzativo (…) e il nesso causale di tale processo con il contratto a termine stipulato», D. XXXXX-X. XXXXXXXXXX, La riforma del contratto a tempo determinato, in La nuova riforma del lavoro, a cura di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxxxx, cit., p. 102. Sulla questione cfr. anche le osservazioni di X. XXXXXXXXXXXX, Il contratto a termine, cit., p. 1171.
27 X. XXXX, Il contratto a tempo determinato, cit., p. 8.
28 La norma consentiva ai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali mag- giormente rappresentative di individuare ipotesi, oltre quelle legali, per la valida apposizione del termine al contratto di lavoro.
in tutta la sua rilevanza proprio rileggendo la giurisprudenza formatasi sempre sull’art. 23 cit. (la cui struttura normativa riflette la nuova lett. b) del comma 1-bis cit.) e, in particolare, la nota sentenza della Cassazione, a Sezioni unite, 2 marzo 2006, n. 4588 29, che, risolvendo un contrasto giurisprudenziale proprio sul significato da attribuire al rinvio a favore della contrattazione collettiva, lo ha qualificato come una delega in bianco legittimando così la disciplina patti- zia ad individuare causali svincolate da ogni limite di carattere oggettivo.
La formulazione della lett. b) del comma 1-bis consente alle parti sociali, anche (e soprattutto) a livello aziendale, di prevedere ipotesi di assunzioni a termine sganciate (questa volta per espressa volontà dello stesso legislatore) dai vincoli legali in ordine alla individuazione delle causali giustificative che possono anche riguardare situazioni soggettive legate, a titolo di esempio, ad incentivare l’occupazione di fasce deboli di lavoratori o in territori afflitti da forte disoccupazione, il tutto utilizzando contratti a termine acausali che, a differenza di quelli previsti dalla lett. a) dello stesso comma 1-bis, possono non necessariamente costituire una prima assunzione, possono avere durata supe- riore a dodici mesi e possono essere prorogati o rinnovati a seconda delle esi- genze cui le parti sociali, in sede di accordo collettivo, decidono di far fronte nel rispetto dei soli limiti di carattere generali imposti dal d.lgs. n. 368/2001 relativamente alla durata massima del contratto a termine in capo ad uno stes- so lavoratore (36 mesi) ed alle modalità di proroga e di rinnovo 30.
2.2. | Segue: la prosecuzione “di fatto” del contratto dopo il termi- ne di originaria scadenza. |
Un’ulteriore modifica alla disciplina dell’istituto concerne l’arco temporale successivo alla scadenza del contratto nel quale non opera la conversione (si passa da 20 a 30 giorni per il contratto di durata fino a sei mesi e da 30 a 50 giorni per il contratto superiore a sei mesi).
In tal senso dispone il nuovo testo dell’art. 5, comma 2, d.lgs. n. 368/2001 ampliando, così, il lasso temporale durante il quale l’attività lavorativa può
29 In Mass. Giur. lav., 2006, p. 644 e in Dir. prat. lav., 2006, f. 24, inserto a cura di C. TIMEL- LINI, Lavori a termine e contratti collettivi a cui si rinvia per l’ampia ricognizione giurispruden- ziale.
30 Il Ministero del lavoro con circolare 29 agosto 2013 n. 35 a questo proposito specifica «a titolo esemplificativo» che il contratto acausale di fonte collettiva potrà «avere una durata mag- giore di dodici mesi ovvero che lo stesso potrà essere sottoscritto anche da soggetti che abbiano precedentemente avuto un rapporto di lavoro subordinato». Sulle ultime modifiche apportate alla legge n. 92/2012 vedi X. XXXXXX, La nuova disciplina dei contratti a tempo determinato, in Il nuovo diritto del mercato del lavoro, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxx, cit., p. 63.
proseguire oltre la scadenza del termine iniziale dietro corresponsione di una maggiorazione secondo la misura fissata dal comma 1 dello stesso art. 5 cit.
La norma, così come originariamente modificata dalla legge n. 92/2012, in- troduceva un nuovo adempimento per il datore di lavoro che aveva l’obbligo di comunicare tale prolungamento al Centro per l’impiego con l’indicazione della durata della prosecuzione, entro la scadenza del termine inizialmente fis- sato (art. 5, comma 2-bis, d.lgs. n. 368/2001).
Era stato osservato che in tal modo «la prosecuzione del rapporto perde la sua natura “di fatto”» 31 essendo la stessa assoggettata ad una precisa formaliz- zazione che sostanzialmente la assimilava ad una mini-proroga, anche se non poteva ritenersi che, in questo caso, fosse necessario il consenso del lavoratore il quale, informato in ordine al prolungamento della durata del contratto oltre il termine originariamente previsto, avrebbe avuto la possibilità di manifestare preventivamente la sua intenzione in merito al proseguimento o meno della sua prestazione lavorativa.
In effetti si veniva a determinare «un appesantimento burocratico, incoe- rente rispetto alla fisiologica (nell’esperienza) occasionalità della prosecuzio- ne di fatto del rapporto» 32, non bisogna dimenticare, a questo proposito, che la normativa sulla prosecuzione di fatto per un ridotto periodo di tempo tro- va ingresso nel nostro ordinamento con l’art. 12 della legge n. 196/1997 che aveva il dichiarato obiettivo di attenuare gli effetti sanzionatori della discipli- na sul contratto a termine fissata dalla legge n. 230/1962 per la quale la pro- secuzione, anche per un solo giorno, del contratto oltre il termine originaria- mente previsto dava luogo alla conversione in un rapporto a tempo indeter- minato.
La disposizione risultava anche sostanzialmente inutile non essendo previ- sta alcuna specifica sanzione e non essendo possibile, in mancanza di tale adempimento, sostenere che in tal caso si potesse applicare quella della con- versione 33.
Il legislatore del 2013 ha fatto tesoro delle perplessità evidenziate dalla dot- trina ed ha abrogato il comma 2-bis dell’art. 5 cit. restituendo così alla prose-
31 X. XXXXXX, La riforma del lavoro, cit., p. 63.
32 X. XXXX, Il contratto a tempo determinato, cit., p. 5.
33 Nello stesso senso la lettera circolare del Ministero del lavoro 22 aprile 2013, n. 7258 nella quale si precisa che «la mancata e/o tradiva comunicazione non produce alcuna conseguenza sul piano sanzionatorio in quanto non espressamente prevista», così anche X. XX XXXXX-X. FE- DELE, Le modifiche alla disciplina, cit., p. 59, di diverso avviso X. XXXXXXXXX, Il contratto di xx- xxxx, xxx., x. 00 il quale rileva che, pur in assenza di una specifica sanzione, il fatto che sia previ- sto un onere in capo al datore di lavoro ove lo stesso intenda procedere alla prosecuzione del contratto e che tale onere non sia rispettato, la tesi della conversione «è tutt’altro che peregrina, giacché, secondo i principi generali, il mancato assolvimento di un onere determina il venir me- no del vantaggio accordato all’onerato».
cuzione di fatto del contratto a termine la sua originaria funzione implementa- ta dall’ampliamento dei tempi di durata.
I correttivi apportati dall’ultima “mini-riforma” risolvono anche un pro- blema interpretativo concernente la prosecuzione di fatto (c.d. periodo cusci- netto) del contratto acausale: con apposito inciso inserito nel comma 2 del- l’art. 5 del d.lgs. n. 368/2001 si estendono gli effetti sanzionatori della conver- sione nell’ipotesi in cui il contratto acausale continui di fatto oltre i 30 o i 50 giorni a seconda che il suo termine iniziale sia inferiore o superiore a sei mesi, con ciò legittimando, anche per tale contratto, la prosecuzione di fatto.
L’attuale formulazione del comma 2 dell’art. 5, e l’esplicita esclusione dal
c.d. periodo cuscinetto solo nel caso in cui uno o più contratti a termine supe- rino il periodo massimo di 36 mesi, consentono di ritenere ammissibile la pro- secuzione di fatto del contratto acausale anche dopo la sua durata massima di 12 mesi 34.
Prima dell’intervento riformatore del 2013, si era discusso in ordine alla possibilità o meno che la prosecuzione di fatto potesse riguardare anche un contratto acausale di durata annuale, intendendo tale limite come soglia mas- sima invalicabile e ciò in analogia con la regola generale, sancita nello stesso comma 2 dell’art. 5 cit., che non consente ad uno o più contratti a termine, comprese eventuali proroghe e rinnovi, di superare la durata di trentasei me- si 35.
Effettivamente il quadro normativo risultante dalla c.d. riforma Fornero non brillava per chiarezza: da una parte il comma 1-bis dell’art. 1 legittimava l’acausalità del contratto «nell’ipotesi di primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a dodici mesi», utilizzando una formulazione che po- teva essere intesa nel senso di escludere ogni ipotesi di superamento del limite massimo annuale, dall’altra il comma 2-bis dell’art. 4 escludeva espressamente dalla proroga il contratto acausale, mentre nessun riferimento al medesimo contratto si rinveniva nell’ipotesi di prosecuzione di fatto del contratto.
In dottrina era stato messo in evidenza che «la possibilità di un contratto a termine libero di un anno, prorogabile di due mesi, dà alle imprese un margi- ne significativo di flessibilità nell’assunzione di nuovi lavoratori», con ciò rite- nendo possibile la prosecuzione del contratto oltre il termine annuale 36. Da altri autori era stato opportunamente evidenziato come il legislatore avesse in- teso «favorire un fisiologico ampliamento della durata del contratto a prescin-
34 Possibilità ammessa dallo stesso Ministero del lavoro con circolare 29 agosto 2013, n. 35 per la quale «un contratto acausale potrà avere una durata massima di dodici mesi e cinquanta giorni».
35 X. XXXXXX, La riforma del lavoro, cit., p. 63 il quale, vigente il comma 2-bis dell’art. 5 cit., propende per la soluzione negativa in ragione della regola della preventiva comunicazione in- trodotta dalla nuova legge per la prosecuzione del rapporto dopo la originaria scadenza.
36 X. XXXX, flessibilità e tutele, cit., p. 34.
3.
dere dalla effettiva sussistenza delle esigenze tecniche ed organizzative» preci- sando che in ragione della formulazione letterate della norma la prosecuzione del contratto «non può essere mai assimilata ad una proroga» 37 e che nulla esclude che tale norma valga anche per il primo contratto a-causale il quale – dunque – potrebbe arrivare a durare altri cinquanta giorni (in tutto 13 mesi e 20 giorni) 38. Anche il Ministero del lavoro con circolare 22 aprile 2013, n. 7258 aveva precisato che «la durata massima del primo contratto a termine acausale, nell’ipotesi di fruizione del c.d. periodo cuscinetto, è pari complessiva- mente a 12 mesi e 50 giorni».
Tuttavia non era da escludere una interpretazione più sostanziale che valo- rizzando la condizione legittimante la acausalità, costituita dal fatto, in sé e per sé rilevante, per il quale un contratto senza giustificazione non può mai supe- rare la durata di dodici mesi, potesse ritenere illegittimo un contratto a termi- ne, privo di ragioni, che prosegua oltre la durata massima consentita 39.
2.3. | Segue: il regime risarcitorio in caso di illegittima apposizione del termine. |
Nel novero degli interventi finalizzati a favorire il ricorso al contratto a termine si iscrive anche l’interpretazione autentica della norma che disciplina il regime risarcitorio causato dalla illegittima apposizione del termine.
L’art. 32, comma 5 della legge n. 183/2010 prevede che, «nei casi di conver- sione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo una indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ad un massimo di dodici mensilità del- l’ultima retribuzione globale, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 della legge 15 luglio 19łł, n. ł04».
La norma, intervenendo sui criteri generali fissati dal codice civile per la
37 In questo senso ampiamente X. XXXXXXXX, La riforma del contratto a termine, cit., p. 34.
38 Precisa X. XXXX, Le oscillazioni, cit., p. 674.
39 Vigente le originarie modifiche al d.lgs. n. 368/2001 apportate dalla legge n. 92/2012, X. XXXXXXX, Flessibilità in entrata, cit., p. 575 esclude «decisamente» la possibilità che il termine di dilazione si applichi anche al contratto a termine acausale «visto che viene precisato categori- camente che tale rapporto non può avere una durata superiore a 12 mesi e non può essere og- getto di proroga» da ciò deducendosi che comunque sia possibile la prosecuzione di fatto del contratto acausale all’interno della durata massima prevista. Esclude ogni possibile dilazione X. XXXXXXXX, Il contratto a termine, in Guida alla riforma Fornero – I Quaderni di Wikilabour, a cura di X. Xxxxx e X. Xxxxxxxxx, il quale arriva a sostenere l’impossibilità della prosecuzione di fatto del contratto acausale anche se di durata inferiore ai dodici mesi in quanto equipara (senza fornire spiegazioni sul punto) lo sforamento del termine di durata disciplinato dall’art. 5 alla proroga regolata invece dall’art. 4.
quantificazione del risarcimento del danno, ha immediatamente sollevato numerose questioni di costituzionalità: la Corte, con sentenza n. 303/2011, ne ha sancito la piena legittimità, valorizzando la sua intrinseca finalità che è quella di
realizzare un equilibrato componimento dei contrapposti interessi. Al lavoratore garantisce la conversione del contratto di lavoro a termine in un contratto di lavoro a tempo indeterminato, unitamente ad una indennità che gli è dovuta sempre e comunque senza necessità né del- l’offerta della prestazione né di oneri probatori di sorta. Al datore di lavoro, per altro verso, as- sicura la predeterminazione del risarcimento del danno dovuto per il periodo che intercorre dalla data di interruzione del rapporto fino a quella dell’accertamento giudiziale del diritto del
lavoratore al riconoscimento della durata indeterminata di esso 40.
Il ragionamento seguito dai Giudici della Consulta che, tra l’altro, hanno avuto modo di precisare che la regola risarcitoria riguarda esclusivamente il periodo antecedente alla sentenza che accerta la illegittimità del termine, è sta- to fatto proprio anche dalla Cassazione che, in più di una sentenza, ha con- fermato la onnicomprensività dell’indennità risarcitoria 41.
Nonostante l’autorevolezza dei precedenti giurisprudenziali, alcuni giudici di merito, sconfinando in una «premeditata violazione» 42 del principio conte- nuto nella norma in esame, hanno comunque sostenuto che la stessa non esclude l’applicazione delle regole generali in materia di risarcimento fissate dall’art. 1218 c.c. ritenendo che la stessa abbia introdotto un’ulteriore sanzio- ne afflittiva per il datore di lavoro responsabile di un uso illegittimo del con- tratto a termine 43.
In questa situazione, con grande tempismo, è intervenuto nuovamente il legislatore fornendo l’interpretazione autentica della norma per la quale l’in- dennità prevista dal comma 5 dell’art. 32 cit. «ristora per intero il pregiudizio
40 Corte cost. 11 novembre 2011, n. 303, in Riv. it. dir. lav., 2012, II, p. 252 con note di X. XX XXXXX, La Corte costituzionale, il contratto a tempo determinato e la singolare specialità del diritto del lavoro e di X. XXXXXXX, La Consulta e la ponderazione degli interessi nel contratto a termine: stabilizzazione versus indennità risarcitoria forfetizzata.
41 Cfr., per tutte, la prima sentenza emessa in materia dalla Suprema Corte: Xxxx. 31 gennaio 2012, n. 1411, in Foro it., 2012, I, c. 730.
42 Così X. XXXXXXXX, Il sistema sanzionatorio nel rapporto di lavoro a tempo determinato e la proposizione della domanda giudiziale, in Lav. giur., 2012, p. 773.
43 In tal senso Trib. Napoli 16 novembre 2011, in Guida lav., 2011, 47, p. 21 con nota di X. XXXXXXXX, Contratto a termine e Collegato lavoro: disattesa l’interpretazione della Consulta e App. Roma 2 febbraio 2012, in Mass. Giur. lav., 2012, p. 348. Non manca in dottrina chi avalla la posizione assunta da questa giurisprudenza ritenendo queste interpretazioni «molto analiti- che e sagaci» sottolineando, senza tuttavia fornire argomentazioni sul punto quanto mai neces- sarie vista la circostanziata decisione della Consulta, che le stesse sono «volte a rendere la nor- ma originaria maggiormente coerente con i principi di diritto civile in materia di risarcimento dei danni» X. XXXXXXX, Flessibilità in entrata, cit., p. 577.
subìto dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimen- to con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro» (art. 1, comma 13, legge n. 92/2012).
La disposizione risolve in modo inequivocabile la querelle interpretativa sorta tra la giurisprudenza di merito 44 e la Corte costituzionale e quella di Cas- sazione: il lavoratore non potrà pretendere alcun altro tipo di risarcimento ol- tre quello previsto dalla norma, e ciò, evidentemente, in ragione del fatto che a questa peculiare sanzione economica si accompagna la “ricostituzione” di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, circostanza, quest’ultima, in grado di ristorare in modo sicuramente adeguato il danno, patrimoniale e non, di un soggetto che ha subito il torto di essere assunto illegittimamente con un con- tratto a termine.
L’intervento del legislatore trova il suo avallo nella stessa sentenza della Corte costituzionale sopra menzionata che ha avuto modo di chiarire che: i) la regola generale di integralità della riparazione e di equivalenza della stessa al pregiudizio cagionato al danneggiato non ha copertura costituzionale, purché sia garantita l’adeguatezza del risarcimento; ii) la previsione normativa sotto- posta al vaglio di costituzionalità determina un congruo e ragionevole risarci- mento in quanto l’indennità prevista dall’art. 32, comma 5, cit. si aggiunge alla stabilizzazione del rapporto di lavoro che «costituisce la protezione più intensa che possa essere riconosciuta ad un lavoratore precario»; iii) l’indennizzo forfet- tario non può mai coprire il periodo successivo alla sentenza con riferimento al quale, ove il datore di lavoro non dovesse procedere alla ricostituzione del rapporto, è comunque tenuto a corrispondere al lavoratore le retribuzioni do- vute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva, evitando così che si possa determinare un danno «destinato a crescere con il decorso del tempo, sino ad attingere a valori non esattamente prevedibili» 45.
44 Anche dopo la sentenza della Consulta e quello della Corte di Cassazione una sorpren- dente giurisprudenza di merito ha continuato a ritenere che la fattispecie risarcitoria fosse carat- terizzata da un duplice indennizzo, il primo dovuto ai sensi dell’art. 32, comma 5 che copre il solo periodo intercorrente dalla scadenza del termine al deposito del ricorso con il quale il lavo- ratore impugna il contratto, il secondo, che abbraccia l’arco temporale successivo al deposito del ricorso e fino alla pronuncia della sentenza di conversione, pari a tutte le retribuzioni matu- rate, oltre accessori, così App. Roma 2 febbraio 2012, n. 267, in Riv. giur. lav., 2012, II, p. 493 ed ivi altre pronunce con nota di X. XXXXXX, L’indennizzo ex art. 32 del Collegato lavoro tra giu- risprudenza e interventi legislativi.
45 La stretta rispondenza tra i principi enucleati dalla Corte costituzionale in materia di dan- no risarcibile e quelli fatti propri dal legislatore anche a seguito dei chiarimenti sull’art. 32, comma 5, cit. escludono «qualsiasi possibilità di contestare sotto il profilo costituzionale la limi- tazione del pregiudizio introdotta dal legislatore» (così X. XXXXXXXX, La riforma del contratto a termine, cit., p. 31).
Per completezza di informazioni sulle “vicende giudiziarie” che hanno coinvolto l’art. 35, comma 5, cit., si segnala anche il sostanziale avallo della norma da parte del Giudice comunita-
Il chiarimento fornito dal legislatore, in sede di interpretazione autentica, in ordine alla valenza della “onnicomprensività” del risarcimento e la stretta corre- lazione di quest’ultimo con la conversione del contratto implica che, anche in caso di successione di più contratti, si configuri «un unico ed unitario risarci- mento forfetizzato che copre ogni voce di danno anteriore alla conversione» 46.
2.4. | Il contratto a tempo determinato e le integrazioni normative tese a contrastarne un uso improprio: il periodo massimo di utilizzo, gli intervalli temporali tra un contratto e l’altro, l’am- pliamento dei termini di impugnazione e l’incremento del co- sto contributivo. |
Le modifiche menzionate nei precedenti paragrafi hanno l’evidente scopo di favorire il ricorso a tale tipologia contrattuale escludendo alla radice possi- bili impugnazioni da parte del lavoratore, rendendo meno rischioso lo sfora- mento del termine finale del contratto e dando certezza al datore di lavoro sul tetto massimo del risarcimento al quale si espone stipulando un contratto a termine fornito di causale ove la stessa dovesse essere ritenuta illegittima in sede di controllo giudiziario.
In linea con le finalità di carattere generale che si è posto il legislatore per un uso corretto della flessibilità in entrata si registrano alcune misure finaliz- zate ad ostacolare un ricorso reiterato del contratto a termine con l’obiettivo di evitare l’utilizzo sistematico del contratto e conseguentemente la c.d. preca- rizzazione del lavoratore 47.
Emblematica sotto questo profilo la modifica apportata al comma 4-bis dell’art. 5 del d.lgs. n. 368/2001 che fissa in 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, il termine di durata massima delle assunzioni a termine in caso di
rio che, investito dal giudice nazionale per un presunto contrasto con la clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva comunitaria sul contratto a termine in ordine alla parità di tratta- mento tra lavoratore con contratto a tempo indeterminato e lavoratore con contratto a termine, ha ritenuto pienamente legittima la differente tutela risarcitoria prevista in caso di risoluzione per licenziamento del contratto a tempo indeterminato e in caso di cessazione di un contratto a tempo determinato la cui clausola del termine sia risultata illegittima (Corte giust., C 361-2012, Carratù, di prossima pubblicazione in Riv. it. dir. lav., 2014, con nota di X. Xxxxxxx).
46 X. XXXX, Il contratto a tempo determinato, cit., p. 966. Nello stesso senso X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 31.
47 In uno dei primi contributi apparsi all’indomani del disegno di legge, tradottosi poi nella legge n. 92/2012, questo approccio di duplice valenza nei confronti della flessibilità in entrata è stata etichettato con efficace capacità di sintesi, con il termine “buona“ e “ cattiva” da F. CA- RINCI, Complimenti dottor Xxxxxxxxxxx: il disegno di legge governativo in materia di riforma del mercato del lavoro, in Lav. giur., 2012, p. 529.
successione di più contratti tra le stesse parti e per lo svolgimento di mansioni equivalenti.
La novella del 2012 inserisce nel computo dei 36 mesi anche la durata dei contratti di somministrazione a tempo determinato intervenuti per lo svolgi- mento di mansioni equivalenti tra le stesse parti del contratto a termine che, in questo caso, rivestendo il «datore di lavoro» la formale qualifica di soggetto utilizzatore, vengono correttamente indicate dalla legge con il termine di «me- desimi soggetti». Si precisa, infine, che nel computo rientrano sia i contratti di somministrazione per i quali necessita una causale giustificativa che quelli pri- vi di giustificazione.
Sul fronte degli intervalli temporali si registra un ripensamento del legisla- tore, all’esito di una verifica sul campo in ordine agli effetti delle modifiche all’originario testo del comma 3 dell’art. 5 del d.lgs. n. 368/2001.
Con la legge n. 92/2012 era stato allungato l’intervallo temporale tra un contratto ed un altro in caso di riassunzione a termine, che passava dagli ori- ginari dieci a sessanta giorni, se la durata del contratto originario non superava i sei mesi, e dagli originari venti a novanta giorni, nel caso in cui il contratto avesse avuto una durata superiore al semestre.
Già in sede di inasprimento di questa misura rivolta a combattere un uso distorto del contratto a termine il legislatore aveva avvertito il pericolo che termini così lunghi avrebbero potuto determinare delle oggettive disfunzioni organizzative, impedendo il rinnovo necessario (e legittimo) di un contratto a termine con danni per entrambe le parti. A tal fine, si era attenuato il rigore della modifica lasciando la possibilità alla contrattazione collettiva nazionale (interconfederale o di categoria) e, su delega di quest’ultima, anche alla con- trattazione decentrata, di ridurre, «stabilendone le condizioni», la durata del- l’intervallo temporale, che comunque non poteva essere riportato nei termini originari (10 e 20 giorni) ma fissato in 20 e 30 giorni in ragione della durata del primo contratto, in presenza di tipizzati processi organizzativi 48.
Le possibili ricadute negative sull’organizzazione aziendale delle lunghe pause tra un contratto e l’altro avevano indotto sempre il legislatore ad adot- tare un sorta di clausola di salvaguardia: in mancanza di un intervento in ma- teria da parte della contrattazione collettiva, entro dodici mesi dall’entrata in vigore della legge, il Ministero del Lavoro era abilitato ad “individuare le spe- cifiche condizioni” affinché potessero operare, nell’ambito dei processi orga- nizzati già indicati, le riduzioni degli intervalli di non lavoro, dopo aver sentito le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
48 È lo stesso legislatore che sempre nello stesso comma indica le singole fattispecie indivi- duandole nell’avvio di una nuova attività, nel lancio di un prodotto o di un servizio innovativo, nell’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico, nella fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo.
Con l’intervento della legge n. 99/2013 si assiste ad un vero e proprio ribal- tamento delle regole fissate dalla legge n. 92/2012. Con il nuovo comma 3 dell’art. 5: i) si riporta l’intervallo temporale agli originari 10 e 20 giorni; ii) si ribadisce l’esclusione dal suo campo di applicazione dei lavoratori stagionali, cogliendo l’occasione di chiarire che a questi ultimi sono si applica neanche il comma 4 per il quale due assunzioni a termine successive senza soluzione di continuità sono comunque illegittime e punite con la conversione a decorrere dalla vigenza del primo contratto; iii) si legittima la contrattazione collettiva, in tutte le sue articolazioni, ad individuare ogni altra possibile ipotesi in cui la regola dell’intervallo tra i contratti non trova applicazione.
Quest’ultima previsione, in linea con quella già esaminata in materia di contratto a termine acausale, riveste una sicura valenza metodologica raffor- zando quel modello regolativo, a cui sembra ispirato il legislatore del 2013, che vede nella contrattazione collettiva un valido strumento per liberalizzare l’uso di forme contrattuali flessibili, al fine di migliorare l’efficienza dell’orga- nizzazione aziendale e incrementare l’occupazione, e, nel contempo, per argi- nare un uso improprio di queste tipologie contrattuali a danno dei lavoratori.
Sempre in un’ottica anti-abusiva deve leggersi la disposizione contenuta nell’art. 1, comma 11, legge n. 92 che aumenta a 120 giorni il termine utile per l’impugnazione stragiudiziale del contratto a termine originariamente fissati dall’art. 32, comma 3, legge n. 183/2010 in 60 giorni 49.
L’allungamento del termine di decadenza si era reso necessario a seguito dell’aumento del lasso di tempo (fino a 90 giorni) che doveva trascorrere tra due contratti a tempo determinato e ciò per evitare che il lavoratore potesse essere condizionato, nella sua scelta di impugnare o meno il contratto a ter- mine, dalla circostanza che il datore avrebbe potuto ancora decidere se rias- sumerlo o meno con un ulteriore contratto a termine. In tal modo l’aumento del termine decadenziale eliminava il rischio di un possibile contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. «restituendo al lavoratore una effettiva libertà di scelta in or- dine alla attivazione dei mezzi di tutela garantitagli dall’ordinamento» 50.
Il ripristino dell’originaria durata della vacatio tra due contratti a termine in caso di riassunzione (fino ad un massimo di 20 giorni) ha lasciato immutati i più lunghi termini decadenziali per una eventuale impugnazione, la cui dura- ta, se pur decisamente superiore a tutte le altre ipotesi disciplinate dall’art. 32 cit. che restano fissate in 60 giorni, non allunga irragionevolmente i tempi complessivamente previsti per il ricorso al giudice: l’art. 1, comma 11, della legge n. 92/2012 che ha fissato in 120 giorni i termini di impugnazione stra-
49 A fronte dell’ampliamento dei termini di impugnazione stragiudiziale vengono ridotti quelli per l’impugnazione giudiziale che passano da 270 a 180 giorni, con la conseguenza che il tempo massimo concesso al lavoratore per far valere i suoi diritti in caso di contratto a termine ritenuto illegittimo è pari a complessivi 300 giorni.
50 S. GIUBBONI, Il riordino delle tipologie, cit., p. 647.
giudiziale ha, nel contempo, ridotto a 180 giorni quelli per l’impugnazione giudiziale.
Nell’ambito della riforma dell’istituto si registra, infine, una disposizione che, comunque, tende a disincentivare un uso continuativo (anche se legitti- mo) del contratto a tempo determinato attraverso un incremento del suo costo contributivo.
L’art. 2, comma 28 della legge n. 92/2012 prevede a carico del datore di la- voro che assume con contratto a termine un contributo addizionale pari al- l’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali destinato a confluisce nel fondo per il finanziamento dell’ASpI (Assicurazione Sociale per l’Impie- go). Sono esonerate dal contributo aggiuntivo due tipologie di contratti a ter- mine in ragione del loro uso fisiologico, si tratta delle assunzioni stagionali e di quelle utilizzate per sostituire personale momentaneamente assente.
Il legislatore coglie poi l’occasione per incentivare il datore di lavoro alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro nati con un contratto a termine preve- dendo che il contributo aggiuntivo sia restituito, in misura non superiore alle ultime sei mensilità, qualora, alla scadenza del termine, il contratto venga tra- sformato in uno a tempo indeterminato 51.
3. | La somministrazione di lavoro: continua, anche se con qualche imprecisione, il cammino verso la irrilevanza delle ragioni giustificatrici. |
Nel tentativo di ampliare il ricorso ad una flessibilità in entrata con valenza positiva, il legislatore interviene anche sulla disciplina del contratto di som- ministrazione a termine.
Tale tipologia contrattuale è stata già oggetto di alcune modifiche all’inse- gna di un allentamento dei vincoli imposti dalla nostra legislazione interna, adottate per dare esecuzione alla direttiva comunitaria 2008/104.
In particolare, per quello che interessa in questa sede, merita segnalare la esclusione della previsione di causali giustificative per particolari categorie di lavoratori 52 e la legittimazione della contrattazione collettiva ad individua-
51 Il beneficio spetta anche se la stabilizzazione del lavoratore inizialmente assunto a termine non sia immediata, ma avvenga successivamente alla cessazione del contratto a termine nel limi- te massimo di sei mesi.
52 Il d.lgs. n. 24/2012, che ha recepito la direttiva 2008/104/CE in materia di lavoro tramite agenzia interinale, ha aggiunto il comma 5-ter all’art. 20 del d.lgs. n. 276/2003 che consente di stipulare contratti di somministrazione a termine acausali qualora si preveda di utilizzare sog- getti disoccupati percettori dell’indennità ordinaria, soggetti comunque percettori di ammortiz- zatori sociali, anche in deroga, da almeno sei mesi e soggetti definiti svantaggiati o molto svan-
re ipotesi per le quali è possibile stipulare contratti acausali 53.
In questo contesto si inserisce la legge n. 92/2012 che, sotto questo specifi- co aspetto, accomuna il contratto a termine alla somministrazione a tempo de- terminato stabilendo la acausalità del «primo rapporto concluso tra un datore di lavoro o utilizzatore e un lavoratore» 54.
La formula utilizzata dal legislatore non brilla per chiarezza 55, è appena il caso di sottolineare che nel lavoro somministrato manca un rapporto contrat- tuale diretto tra lavoratore e utilizzatore quindi non può configurarsi l’ipotesi astrattamente prevista dal legislatore.
In ogni caso la lettura complessiva dell’intervento del legislatore sulla somministrazione a termine non pone problemi operativi; rileva, a tal fine, l’esplicito richiamo al comma 1-bis, art. 1 del d.lgs. n. 368/2001 all’interno dell’art. 20, comma 4 del d.lgs. n. 276/2003 che disciplina le modalità con le quali il contratto di somministrazione a tempo determinato deve essere sti- pulato.
Nella sostanza gli effetti della mancanza di ragioni giustificatrici si riverbe- rano sull’utilizzatore: nella prassi operativa l’agenzia di somministrazione e l’utilizzatore nello stipulare il contratto di somministrazione a termine indica- no le ragioni produttive di quest’ultimo che, a loro volta, costituiscono la cau- sale del contratto di lavoro tra l’agenzia stessa ed il lavoratore, quindi è corret-
taggiati ai sensi dei nn. 18) e 19) del regolamento (CE) n. 800/2008. Per un approfondimento sui criteri per individuare le tipologie di lavoratori c.d. svantaggiati cfr. X. XXXXX, La sommini- strazione di lavoro, cit., p. 985 ss.
53 Sempre il d.lgs. n. 24/2012 ha aggiunto il comma 5-quater all’art. 20 del d.lgs. n. 276/2003 che consente ai contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative di individuare specifiche ipotesi per le quali non è necessario indicare ragioni di carattere tecnico, produttivo e organizzativo o sostitutivo per legittimare il ricorso a contratti di somministrazione a tempo determinato.
54 Per una valutazione critica sulla scelta del legislatore di accomunare la somministrazione di lavoro al contratto a tempo determinato cfr. X. XXXXXXXXXX, Somministrazione di lavoro, cit.,
p. 109 e X XXXXXXXX, La somministrazione di lavoro, in Il nuovo mercato del lavoro, a cura di
X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxx, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2012, p. 74. Evidenzia la equipara- zione della somministrazione al contratto a termine ad opera delle leggi n. 92/2012 e n. 99/2013, X. XXXX, La nuova disciplina della somministrazione e l’abrogazione del contratto di inserimento (tra pedagogismo e pragmatismo), in Il nuovo diritto del mercato del lavoro, a cura di
X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxx, cit., specie p. 80 ss.
55 Sottolinea a questo proposito X. XXXXXX, La riforma, cit., p. 72 l’improprietà terminolo- gica del legislatore e X. XXXXXXX, Somministrazione: esenzione dalla causale e limite di durata, in Guida lav., suppl., 3/2012 e 17/2012 ritiene ambigua la formulazione. X. XXXXXXX, La nuova disciplina del contratto a tempo determinato, in Guida lav., suppl. 3/2012, p. 28 riferisce «di una tecnica legislativa imprecisa» rilevando che «non si capisce se l’esenzione dalla causale vale sia per il contratto di lavoro che stipula l’Agenzia per il lavoro con il dipendente, sia per il contrat- to commerciale di somministrazione che stipula l’impresa utilizzatrice con l’Agenzia medesi- ma». X. XXXXXXXX, La somministrazione, cit., sottolinea che «la norma così come formulata non potrebbe essere riferita con certezza al contratto commerciale di somministrazione».
to affermare che, a seguito della liberalizzazione introdotta in materia, è con- sentito stipulare il primo contratto di somministrazione «senza indicazione delle specifiche esigenze dell’utilizzatore» 56.
Sempre a questo proposito è stato opportunamente osservato che il legisla- tore ha voluto chiaramente riferirsi all’impresa utilizzatrice «e non anche, o solo, all’agenzia di somministrazione» facendo derivare da ciò l’irrilevanza del rapporto tra il lavoratore e l’agenzia con la conseguenza che, ai fini del re- quisito della prima missione, conta il rapporto con l’impresa utilizzatrice, ben potendo l’agenzia di somministrazione inviare lo stesso lavoratore per una pluralità di missioni a condizione che l’utilizzatore sia sempre diverso 57.
Gli ultimi interventi ad opera della legge n. 99/2013, che consentono la proroga dei contratti temporanei acausali, hanno risolto un problema inter- pretativo circa la possibilità di prorogare comunque questa tipologia di con- tratto di somministrazione che si riteneva possibile anche in vigenza della pre- cedente formulazione del comma 1-bis più volte citato 58.
Anche la somministrazione a termine acausale di fonte legale è prorogabile nel limite massimo di durata complessiva pari a 12 mesi.
Tuttavia un problema di raccordo con la specifica normativa prevista per tale tipologia di contratto si potrebbe porre con riferimento al numero delle proroghe possibili sempre nel limite massimo di durata annuale.
Se per il contratto a tempo determinato l’art. 4 del d.lgs. n. 368/2001 pre- vede espressamente che la proroga può verificarsi una sola volta, l’art. 22, comma 2, d.lgs. n. 276/2003, che disciplina la somministrazione di lavoro, in- dica la normativa sul contratto a termine come disciplina generale di riferi- mento, precisando poi, nel secondo periodo dello stesso comma, che «in ogni caso» la proroga gode di una sua regolamentazione specifica nel rispetto di quanto stabilito dalla contrattazione collettiva applicata dall’agenzia di som- ministrazione che, nel caso di specie, rende possibile prorogare per sei volte l’iniziale contratto di lavoro somministrato 59. Ciò premesso, sotto il profilo strettamente interpretativo, si potrebbe ritenere che, sempre nel limite massi- mo di 12 mesi, questa tipologia contrattuale sia prorogabile più volte.
La tecnica legislativa utilizzata per accomunare, sempre sotto il profilo del- la acausalità, sia il contratto a termine che quello somministrato supera alcune criticità anche con riferimento alla delega concessa alla fonte collettiva, grazie alla parziale riscrittura del comma 1-bis.
56 X. XXXXXX, La riforma, cit., p. 72.
57 X. XXXXX, La somministrazione, cit., p. 990.
58 Ha sostenuto con pertinenti argomentazioni la tesi della prorogabilità della somministrazio- ne a termine acausale prima delle ultime modifiche legislative X. XXXXXX, La riforma, cit., p. 73.
59 Cfr. art. 42 del CCNL lavoratori somministrati.
I criteri di delega alla contrattazione collettiva per individuare ulteriori ipo- tesi di lavoro in somministrazione senza causale giustificatrice fissati dalla lett.
b) del comma 1-bis si muovono sulla stessa linea di quelli già prevista in mate- ria dal d.lgs. n. 24/2012 60 eliminando così una sostanziale incompatibilità tra le due fonti a seguito delle regole fissate inizialmente dalla legge n. 92/2012 che individuava una gerarchia nei livelli di contrattazione, fissava un limite percentuale all’utilizzo di lavoratori somministrati e, soprattutto, richiedeva la presenza di una causale che, seppur tipizzata dal legislatore ed avallata dalla contrattazione collettiva, comunque avrebbe ingenerato un onere probatorio in capo al datore di lavoro in caso di impugnazione del contratto da parte del lavoratore.
In tal modo anche la disciplina contenuta nel d.lgs. n. 368/2001, appli- cabile anche alla somministrazione a termine, è in linea con la direttiva euro- pea 2008/104 il cui obiettivo è quello di eliminare restrizioni e divieti all’uso del lavoro somministrato i cui limiti devono essere ispirati al «miglioramento della base minima di tutela dei lavoratori» e «giustificati soltanto da ragioni di interesse generale che investono in particolare la tutela dei lavoratori, le prescri- zioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro nonché la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato e la prevenzione degli abusi» 61.
L’equiparazione delle due tipologie contrattuali che consentono assunzioni temporanee avrebbe meritato una maggiore attenzione, da parte del legi- slatore, anche nel definire le conseguenze sanzionatorie in caso di un loro ac- certato uso illegittimo.
Il riferimento è all’art. 32, comma 5, legge n. 183/2010 nella parte in cui prevede una indennità onnicomprensiva a favore del lavoratore, che si aggiun- ge alla conversione del rapporto originariamente a termine e che copre l’intero periodo decorrente dalla cessazione dello stesso alla sentenza di conversione.
Il legislatore del 2012 (v. retro, § 2.3.) coglie l’occasione per una interpre- tazione autentica della norma con riferimento al contratto a tempo determinato al fine di sgombrare il campo da possibili equivoci interpretativi, ma omette ogni indicazione per il lavoro somministrato, dimenticandosi che in materia si è formato un orientamento giurisprudenziale non univoco in ordine alla applica- bilità o meno della disposizione anche alla somministrazione di lavoro 62, dimen-
60 Il decreto ha inserito il comma 5-quater nell’art. 20 d.lgs. n. 276/2003 che consente ai con- tratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali stipulati dalle organizzazioni sindacali compara- tivamente più rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro di individuare ipotesi di somministrazione acausale.
61 Così dispone il considerando n. 18.
62 Tra le pronunce contrarie all’applicabilità dell’art. 32, comma 5 ai casi di somministrazio- ne irregolare cfr. Trib. Napoli 3 febbraio 2011, in Riv. it. dir. lav., 2012, II, p. 348 e 8 febbraio 2011, in Not. giur. lav., 2011, 175; App. Venezia 5 ottobre 2011, n. 544, in Guida lav., 2011, 45,
44; Trib. Torino 18 gennaio 2012, in Guida lav., 2012, 17, 56, che fanno leva sul tenore letterale
ticanza che caratterizza anche il recente intervento ad opera della legge n. 99/2013.
Una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione 63, pur in assenza di una indicazione esplicita del legislatore, potrebbe aver risolto la problema- tica. La Corte, investita della questione con riferimento ad un contratto di la- voro temporaneo stipulato ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a) della legge n. 196/1997, ritiene «in sede nomofilattica» che l’art. 32, comma 5, cit. «riguardi anche il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo».
dell’art. 32, osservando che la norma si riferisce al solo «contratto a tempo determinato» e che il legislatore, ove ha inteso prendere in considerazione la somministrazione, lo ha fatto espressa- mente (ad esempio nell’art. 32, comma 4); Trib. Milano 2 dicembre 2010, n. 5058, in Riv. crit. dir. lav., 2010, p. 1040 ss.; Trib. Bergamo 10 marzo 2011, in Riv. crit. dir. lav., 2011, p. 855 ss.; App. Venezia 5 ottobre 2011, n. 544, in Guida lav., 2011, 45, p. 44; Trib. Milano 28 novembre
2011, in Riv. crit. dir. lav., 2011, p. 861 ss.; Trib. Velletri 23 febbraio 2012, in Guida lav., 2012, 28, p. 29, che escludono l’applicazione in ragione del fatto che, mentre l’azione di nullità del termine illegittimo consente la conversione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’originaria parte datoriale, l’art. 27, comma 1, d.lgs. n. 276/2003 prevede la costituzione di un rapporto di lavoro non con il formale datore ma con il terzo utilizzatore; Trib. Napoli 3 feb- braio 2011, in Riv. it. dir. lav., 2012, II, p. 348; App. Venezia 5 ottobre 2011, n. 544, in Guida lav., 2011, 45, p. 44; Trib. Milano 28 novembre 2011, in Riv. crit. dir. lav., 2011, p. 861; Trib.
Vicenza 30 gennaio 2012, in Guida lav., 2012, 30, p. 43, ove viene preso in considerazione l’aspetto derogatorio dell’art. 32 cit. che, avendo carattere eccezionale, non può essere interpre- tato estensivamente o analogicamente in maniera tale da ricomprendere nel suo campo applica- tivo la fattispecie della somministrazione irregolare.
Sostengono l’applicabilità dell’indennità onnicomprensiva anche alla somministrazione: Trib. Roma 30 novembre 2010, n. 18986 e 1° dicembre 2010, n. 19101, in Guida lav., 2011, 1,
p. 12, che si limitano alla mera applicazione della norma senza particolari argomentazioni; Trib. Milano 3 novembre 2010, in Guida lav., 2011, 9, p. 28; Trib. Napoli 17 novembre 2011, in Gui- da lav., 2012, 8, p. 18; Trib. Brescia 12 gennaio 2012, in Guida lav., 2012, 7, p. 30, nelle quali il giudice ha ritenuto applicabile l’indennità alla somministrazione a termine sulla base del fatto che differenti discipline nel sistema sanzionatorio in materia di contratto a termine e di sommi- nistrazione introdurrebbero una incomprensibile disparità di trattamento tra il lavoratore a termine ed il lavoratore somministrato a tempo determinato; Trib. Padova 4 febbraio 2011, in Guida lav., 2011, 9, p. 12 e 29 novembre 2011, in Guida lav., 2011, 50, p. 27; Trib. Rovigo 1° febbraio 2011, in Guida lav., 2011, 42, p. 42, ove si osserva che l’azione di nullità di un contrat- to di somministrazione, finalizzata a ottenere una sentenza costitutiva di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore, presuppone pur sempre la “conversione” del rapporto a termine in un rapporto a tempo indeterminato; negli stessi termini Trib. Napoli 17 novembre 2011, in Guida lav., 2012, 8, p. 18, ove il giudice aggiunge che l’inciso «casi di conversione» è di per sé ido- neo a far ritenere applicabile l’indennità forfetaria a tutte le ipotesi in cui operi la stabilizzazione del rapporto in capo al lavoratore.
Per un approfondimento sulle ragioni che depongono a favore dell’applicazione dell’art. 32,
comma 5, anche al lavoro somministrato si rinvia a X. XXXXXXXX, La somministrazione di mano d’opera dopo il c.d. collegato lavoro: spunti di riflessione, in Mass. Giur. lav., 2011, p. 118 e ID., La somministrazione, cit., p. 84 anche per ulteriori indicazioni bibliografiche.
63 Cass. 17 gennaio 2013, n. 1148, in Riv. it. dir. lav., 2013, II, p. 331 con nota di X. XXXXXX- LO, Il regime sanzionatorio forfettizzato si applica al lavoro temporaneo illegittimo e alla sommini- strazione a termine irregolare.
Il ragionamento del giudice di legittimità è oltremodo convincente in quan- to tiene conto dell’impianto generale della norma ed è destinato anche ad estendersi al lavoro somministrato per espressa indicazione della stessa Corte. In particolare, nella motivazione della sentenza, si mette in evidenza che il le- gislatore, nel comma 5 dell’art. 32, nel fissare la regola del risarcimento forfet- tizzato da un minimo di 2,5 ad un massimo di 12 mensilità nei casi di conver- sione del contratto a tempo determinato non indica «normative di riferimento, né aggiunge ulteriori elementi selettivi» e ciò contrariamente a quanto previsto nel comma 4 dello stesso articolo nel quale, nel menzionare i termini di deca- denza per la impugnazione delle varie fattispecie, «il legislatore è analitico e indica, per ciascuna ipotesi, la disciplina di riferimento».
All’esito di questa considerazione preliminare il presupposto logico per de- cidere l’ambito di applicazione della norma in esame viene individuato in «due (sole) condizioni: 1° se il contratto sia a tempo determinato e 2° se vi sia un fe- nomeno di conversione».
Con riferimento al contratto di lavoro temporaneo a tempo determinato sono presenti entrambi i presupposti che legittimano l’applicazione dell’art. 32, comma 5, cit.: quanto alla natura a termine del contratto non possono sor- xxxx dubbi in ragione della sua espressamente qualificazione in tal senso; quanto alla conversione è lo stesso legislatore che, nell’art. 10 della legge n. 196/1997, indica varie ipotesi di illegittimità al cui verificarsi il contratto di la- voro temporaneo si considera a tempo indeterminato.
Sotto quest’ultimo profilo nella sentenza viene precisato che, sempre in base al dettato normativo, anche il vizio riguardante il contratto commerciale di for- nitura, sotteso al contratto per prestazione di lavoro temporaneo, è sanzionato con la conversione a tempo indeterminato e quindi anche in ipotesi del genere si applica l’indennità secondo quanto previsto dall’art. 32, comma 5.
La Cassazione, nell’evidente consapevolezza della rilevanza della decisione in ragione delle diverse posizioni assunte sulla questione dalla giurisprudenza di merito, coglie l’occasione per affrontare anche il tema dell’applicabilità del regime indennitario forfettizzato al lavoro somministrato la cui disciplina, co- me noto, se da un lato ricalca, nelle sue linee essenziali, le regole che governa- no il lavoro temporaneo, dall’altro si diversifica proprio in relazione agli aspet- ti sanzionatori.
Rilevano sotto questo profilo due norme l’art. 21 e l’art. 27 del d.lgs. n. 276/2003: nel primo caso, si prevede che «in mancanza di forma scritta il contratto di somministrazione è nullo e i lavoratori sono considerarti a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore», nella seconda ipotesi, in presenza di una somministrazione irregolare, è sancita la «costituzione di un rapporto di lavoro» alle dipendenze del soggetto che ha utilizzato la prestazione lavora- tiva.
In entrambi i casi il legislatore non utilizza formule di tipo dichiarativo per le quali l’originario contratto a durata limitata è qualificato ope legis a tempo
indeterminato, quindi non ci si trova in una ipotesi di dichiarata conversione di un contratto a termine in uno a tempo indeterminato.
Ciò premesso la sentenza estende anche all’ipotesi di somministrazione ir- regolare l’applicazione dell’art. 32, comma 5, cit., mentre la esclude nel caso in cui il contratto di somministrazione sia nullo per mancanza della forma scritta.
Per arrivare a tale conclusione la decisione prende in considerazione la norma interpretativa, contenuta nella legge n. 92/2012, intervenuta sempre sul comma 5 dell’art. 32, specificando che l’indennità, in misura unica ed onni- comprensiva, spetta ogni qualvolta «il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro».
Ed è proprio sul termine “ricostituzione” che la sentenza fonda le sue ra- gioni per estendere anche alla somministrazione irregolare il criterio indenni- tario forfettizzato precisando che il legislatore, in sede di interpretazione au- tentica, con tale termine ha voluto «indicare che il concetto di conversione com- prende non solo provvedimenti di natura dichiarativa, ma anche di natura costi- tutiva quale potrebbe essere considerato quello previsto dall’art. 27 (...) e non anche quello previsto dall’ultimo comma dell’art. 21 ...» 64.
In conclusione, grazie all’intervento del giudice di legittimità, anche il lavo- ro somministrato, al pari di quello a tempo determinato, diventa maggior- mente appetibile per il datore di lavoro che può essere invogliato ad utilizzare tale tipologia di contratto in quanto non solo non ha più bisogno di dovere indicare, sempre e comunque, le ragioni di un suo utilizzo, ma ha anche la ga- ranzia di un tetto massimo nella quantificazione del risarcimento del danno nel caso in cui il contratto dovesse essere ritenuto illegittimo a seguito di un controllo in sede giudiziaria.
64 A proposito di questa sentenza è opportuno chiarire che, per estendere anche alla sommi- nistrazione irregolare la regola dell’indennità forfettizzata, la Suprema Corte recupera la norma interpretativa intervenuta sull’art. 32, comma 5, nella parte in cui specifica che il nuovo criterio risarcitorio abbraccia tutte le ipotesi di «ricostituzione del rapporto di lavoro» (art. 1, comma 13, legge n. 92/2012) e, sulla base di questa locuzione, sottolinea che il concetto di conversione
«comprende non solo provvedimenti di natura dichiarativa, ma anche di natura costitutiva» quale quello previsto dall’art. 27 d.lgs. n. 276/2003 con riferimento alla somministrazione irregolare. Pertanto l’applicazione a quest’ultima tipologia contrattuale dello speciale regime risarcitorio non si fonda sulla sostanziale identità delle discipline dei due contratti a tempo, ma esclusiva- mente sulla interpretazione letterale dell’art. 32, comma 5. In tal modo la Suprema Corte si po- ne in linea sia con la Corte costituzionale, che con la Corte europea che hanno escluso assimila- zioni tra le discipline del contratto a tempo determinato e della somministrazione a termine. La prima (Corte cost. 11 novembre 2011, n. 303, in Riv. it. dir. lav., 2012, II, p. 252) evidenziando che le due discipline «risentono dell’obiettiva eterogeneità delle situazioni», la seconda (Corte giust., sent. 11 aprile 2013, C/290/2012, Xxxxx Xxxxx, inedita) sottolineando che la normativa sul lavoro a termine non si applica alla somministrazione a termine non essendo possibile al- cuna assimilazione tra due contratti diversi, regolati, tra l’altro, da due distinte direttive comu- nitarie.
4. | Il contratto di apprendistato: effettività del momento for- mativo e garanzie per una stabile occupazione. |
Nel novero di una flessibilità in entrata finalizzata ad accrescere l’occu- pazione si iscrivono i ritocchi alla normativa sull’apprendistato (recentemente riscritta dal d.lgs. 14 settembre 2011, n. 167, “testo unico sull’apprendistato”) che la riforma valorizza nella sua funzione di forma di accesso privilegiata al mercato del lavoro in quanto tipologia di rapporto a tempo indeterminato, de- stinata, nella sua vocazione originaria, a stabilizzare il lavoratore una volta formato.
Sul ruolo centrale, sotto il profilo occupazionale, assegnato dalla legge n. 92/2012 a questa forma contrattuale non possono esserci dubbi e ciò sia per l’esplicita qualificazione operata dallo stesso legislatore che indica l’appren- distato «come modalità prevalente di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro» (art. 1, comma 1, lett. b), sia per le altre misure adottate quali l’abrogazione del contratto di inserimento (art. 1, comma 14) e le indicazioni per le future modifiche da apportare alla disciplina dei tirocini formativi e di aggior- namento che dovrà essere revisionata «anche in relazione alla valorizzazione di altre forme contrattuali a contenuto formativo» (art. 1, comma 34) 65.
Trattandosi, comunque, di un particolare contratto nel quale la garanzia della stabilità vige solo durante l’obbligo formativo, esaurito il quale è possi- bile la risoluzione del rapporto liberamente, nel solo rispetto dell’art. 2118 c.c., il legislatore integra la recente normativa del 2011 con alcuni innesti tutti finalizzati a conferire una certa affidabilità, sotto il profilo occupazionale e formativo, al contratto stesso.
Vengono apportate modifiche che non intaccano la struttura della figura contrattuale che resta contraddistinta dalla mancanza di ragioni giustificatrici del recesso al termine della fase formativa.
Il contratto di apprendistato, anche dopo le modifiche del 2012, resta un
65 X. XXXXXXXXXXX, Il nuovo apprendistato dopo la legge di riforma del mercato del lavoro, in Riv. it. dir. lav., 2012, I, p. 697 sottolinea che «con la l. n. 92/2012 il contratto di apprendistato rimane nell’ordinamento unico contratto di lavoro subordinato a finalità formative». Per un approfondimento sul valore dell’apprendimento nel contesto giuslavoristico vedi, della stessa autrice, Apprendimento e tutela del lavoro, Xxxxxxxxxxxx, Torino, 2012. X. XXXXXXXX, nella Pre- messa al Commentario Il nuovo diritto del mercato del lavoro, a cura di X. Xxxxxxxx e X. Xxxx- nam, cit., p. 8, sottolinea che «il primo, e forse più significativo intervento, è costituito dalla ra- dicale riforma dell’apprendistato destinato, oramai, a costituire il principale modo di accesso all’occupazione». Nello stesso commentario vedi X. XXXXXXX, La nuova disciplina dell’appren- distato: art. 1, 1ł°-19° comma, l. 28 giugno 2012, n. 92 e art. 2, 2°-3° comma, art. 9, 3° comma,
d.l. 28 giugno 2013, n. 7ł, p. 142 ss. che illustra tutte le modifiche apportate a tale tipologia
contrattuale in materia di prestazioni ed assistenza sociale e di apprendistato professionalizzato non affrontate nel presente saggio.
contratto a tempo indeterminato con il primario obiettivo dell’obbligo forma- tivo che, se da una parte vincola il datore di lavoro a consentirne il pieno espletamento, dall’altra, lascia alle parti la libertà di decidere se proseguire o meno il rapporto di lavoro una volta conseguita dal prestatore di lavoro la qualifica professionale 66.
L’ obiettivo viene perseguito potenziando l’effettività del momento forma- tivo con l’imposizione di una durata minima al contratto di apprendistato, a cui si accompagna un ampliamento del numero di apprendisti utilizzabili in azienda e una limitazione alla libera recedibilità, una volta terminato il perio- do di formazione, il tutto in un contesto di protezione dell’apprendista nel mercato del lavoro attraverso l’estensione a suo favore dell’assicurazione so- ciale per l’impiego (ASpI) 67.
A queste linee portanti dell’intervento riformatore si aggiungono alcun op- portuni chiarimenti in ordine alla concreta regolamentazione di specifici aspetti del rapporto, finalizzati a risolvere dubbi interpretativi, che riguardano l’utilizzazione dei lavoratori somministrati, la disciplina applicabile durante il periodo di preavviso e l’individuazione della figura professionale dell’arti- giano.
Entrando nel merito delle singole modifiche, la principale novità della ri- forma è sicuramente rinvenibile nell’ampliamento del numero di apprendisti utilizzabili in azienda 68 realizzata operando sul rapporto proporzionale tra ap- prendisti e maestranze specializzate e qualificate, che passa da 1 a 1 a 3 a 2. L’incremento è assoggettato ad un limite dimensionale riguardando solo le aziende che occupano da dieci dipendenti in su, mentre per quelle fino a nove dipendenti continua ad applicarsi il rapporto 1 a 1 con l’ulteriore specifi- cazione che, nel caso in cui il datore di lavoro non abbia alle proprie dipen- denze lavoratori specializzati e qualificati o comunque ne abbia un numero inferiore a tre, si possono assumere al massimo tre apprendisti. Esulano dal campo di applicazione della norma le imprese artigiane che conservano le re-
66 Si tratta di una peculiarità che legittima la libera recedibilità alla luce sia dei principi rin- venibili nella nostra carta costituzionale, sia di quelli comunitari contenuti nella Carta di Nizza con specifico riferimento alla regola che impone comunque il divieto del licenziamento privo di una giustificazione. Si rinvia sul punto alle considerazioni di X. XXXXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 712 ed ivi ulteriori indicazioni bibliografiche.
67 L’art. 2, comma 32, legge n. 92/2012 prevede questa forma di assicurazione sociale in caso di recesso del datore di lavoro dal contratto di apprendistato sia durante che al termine della fase formativa, indicando a tal fine, nei commi 31 e 36 dello stesso articolo, la misura del con- tributo a carico dell’azienda.
68 X. XXXXXXXXXX, L’apprendistato come ipotesi di contratto di lavoro prevalente, in La nuova riforma del lavoro, a cura di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxxxx, xxx., x. 000; G.M. XXXXX, Il contrat- to di apprendidtato, in Il nuovo mercato del lavoro, a cura di X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxx, cit., p. 105.
gole di maggior favore fissate in materia dall’art. 4 della legge n. 443/1985 (legge quadro sull’artigianato).
Nel definire i nuovi limiti quantitativi e i connessi criteri di computo il legi- slatore coglie l’occasione per fornire alcuni chiarimenti al fine di incentivare ulteriormente il ricorso all’apprendistato anche attraverso il contratto di som- ministrazione, eliminando possibili equivoci.
Il nuovo comma 3 del t.u. sull’apprendistato, nella versione riscritta dalla legge n. 92/2012, risolve ogni possibile dubbio interpretativo, comunque rin- venibile nella originaria formulazione della norma 69, da una parte escludendo la somministrazione a tempo determinato come possibile canale per assumere apprendisti, dall’altro ammettendo espressamente quella a tempo indetermi- nato chiarendo che nel numero complessivo degli apprendisti devono essere computati anche quelli utilizzati in somministrazione, ma solo con contratto a tempo indeterminato.
Più in generale deve osservarsi che il ricorso alla somministrazione a tempo indeterminato, come strumento per incentivare l’apprendistato viene suppor- tato anche da un’ulteriore integrazione, apportata sempre dalla legge n. 92/2012 alla disciplina della somministrazione, che ha aggiunto, all’art. 20, comma 3, d.lgs. n. 276/2003, una nuova ipotesi legale (lett. i-ter) per consentire l’utilizzo della somministrazione a tempo indeterminato ora ammessa anche «in tutti i settori produttivi, in caso di utilizzo da parte del somministratore di uno o più lavoratori assunti con contratto di apprendistato». Si tratta di «una norma di straordinario potenziale» 70 in quanto promuove, in ogni settore produttivo, una somministrazione a tempo indeterminato che, alla sola condizione che vengano utilizzati degli apprendisti, non necessita di alcuna ragione giustifica- tiva costituendo in tal modo un’opportunità di incremento dell’occupazione particolarmente appetibile per le imprese.
All’innalzamento della soglia di utilizzo di personale con contratto di ap- prendistato si aggiunge, per scongiurare finalità elusive dello scopo formativo, la previsione di una sua durata minima: il periodo di formazione non può es- sere inferiore a sei mesi, fatta eccezione per i datori di lavoro che svolgono la loro attività in cicli stagionali.
Le modifiche, che potremmo definire di sistema, si completano con una normativa di rilevante valore metodologico in quanto tesa a supportare la fina- lità ultima di questa tipologia contrattuale che, nell’ottica della riforma, vuole
69 L’originario testo del comma operava un generico rinvio all’art. 20, comma 3 del d.lgs. n. 276/2003 nel quale viene menzionata sia la somministrazione a termine che quella a tempo de- terminato menzionate, vedi in proposito le osservazioni di X. XXXXXXXXXXX, Il nuovo apprendi- stato, cit., p. 702.
70 Così X. XXXXXXXXXXX, Il nuovo apprendistato, cit., p. 703. Sottolinea X. XXXX, Le oscilla- zione, cit., p. 684 che «in tal modo l’apprendistato assume chiaramente i contorni di una speci- fica causale di accesso allo staff leasing».
essere quella di costituire un canale privilegiato per un accesso stabile al mer- cato del lavoro.
Per la prima volta nel nostro ordinamento, per legge 71, la possibilità di con- tinuare ad assumere apprendisti, per i datori di lavoro che occupano almeno 10 dipendenti, è condizionata alla conferma in servizio, dopo il periodo di formazione, di una percentuale degli apprendisti assunti nei 36 mesi prece- denti nella misura del 50%, ridotta per il primo triennio di vigenza della nor- ma, al 30% 72.
In caso di mancato rispetto, da parte del datore di lavoro, della percentuale di conferma in parte o in tutto è lasciata la possibilità di assumere un solo nuovo apprendista.
Sempre per volontà del legislatore non rientrano nel computo della pre- detta percentuale i lavoratori non confermati per non aver superato il periodo di prova, quelli che si sono dimessi e quelli licenziati per giusta causa 73 e, deve ritenersi, in via interpretativa, anche gli apprendisti assunti con contratto di somministrazione in ragione del chiaro ed inequivocabile dato letterale che riferisce la percentuale per la conferma agli apprendisti ai soli «dipendenti dal- lo stesso datore di lavoro».
La previsione è dotata anche di un meccanismo sanzionatorio: gli appren- disti assunti in violazione dei limiti sopra indicati sono considerati «lavoratori subordinati a tempo indeterminato, al di fuori delle previsioni del presente de- creto, sin dalla data di costituzione del rapporto» e cioè con perdita, per il dato- re di lavoro, di tutti i benefici connessi a questo tipo di assunzione e, soprat-
71 Sottolinea efficacemente X. XXXXXXX, L’apprendistato, in X. XXXXXXX-X. XXXXXXXX (a cura di), Commentario alla riforma Fornero, cit., p. 115 che il legislatore introduce «un onere di con- servazione in servizio»; si tratta di una regola già utilizzata per il contratto di formazione e lavo- ro e per quello di inserimento e comunque già presente in alcuni settori, con riferimento all’ap- prendistato, grazie alla contrattazione collettiva che, legittimata in tal senso dall’art. 2, comma 1, lett. i) del t.u., aveva già previsto una percentuale di conferma degli apprendisti, in alcuni casi con percentuali superiori a quelle fissate oggi dal legislatore, come riferisce sempre X. XXXXXXX, ff tu lavorerai come apprendista (l’apprendistato da contratto “speciale” a contratto quasi unico), in Quad. Arg. dir. lav., 2012, p. 78; cfr. anche X. XXXXX, Il nuovo apprendistato dopo la riforma del mercato del lavoro e gli accordi della contrattazione collettiva, in X. XXXXXXXXX (a cura di), Ri- forma del lavoro, cit., p. 108.
72 L’impatto comunque non indifferente della disposizione, accompagnata anche dalle con- seguenze sanzionatorie non irrilevanti (v. infra), ha consigliato il legislatore di escludere le pic- xxxx aziende e di graduare nel tempo la percentuale di stabilizzazione.
73 Non è dato comprendere le ragioni per le quali il licenziamento per giustificato motivo soggettivo non rientri nelle cause di esonero dal rispetto della percentuale, ed infatti entrambe le ipotesi di licenziamento si fondano su ragioni imputabili alla persona del lavoratore idonee, anche se con intensità diversa, a ledere il vincolo fiduciario. X. XXXXXXX, L’apprendistato, cit., p. 115, ritiene «inspiegabile» tale omissione; X. XXXXXXXX, Il riordino delle tipologie, cit., p. 649 al contrario, giudica la scelta del legislatore «non irragionevole, stando alla lettera della disposi- zione, che replica peraltro sul punto la previsione già dettata per il contratto di inserimento».
tutto, della possibilità del libero recesso alla fine del periodo di formazione 74.
Infine il legislatore coglie l’occasione per fornire alcuni chiarimenti che sgombrano il campo da possibili problemi applicativi: il primo riguarda la di- sciplina del libero recesso adottato ai sensi dell’art. 2118 c.c. al termine del pe- riodo di formazione; il secondo concerne la definizione dei profili profes- sionali artigiani ai fini dell’applicazione della maggiore durata dell’apprendi- stato che passa dai tre ai cinque anni.
Con riferimento alla prima questione viene integrata l’originaria previsione contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. m) del t.u. che si limitava a precisare che il preavviso decorre «dal termine del periodo di formazione» con ciò lasciando aperta la questione se, durante il preavviso, fosse applicabile o meno la disci- plina più favorevole prevista per l’apprendistato essendo comunque cessato il tempo della formazione.
Il legislatore del 2012 chiarisce che durante il preavviso continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato così che, in caso di risoluzione del rapporto di lavoro, anche dopo il regolare periodo di forma- zione, il datore di lavoro per la durata del preavviso potrà applicare la più fa- vorevole disciplina prevista per l’apprendistato 75. La precisazione rende anche chiara la modalità di tale forma libera di recesso che può avvenire solo al ter- mine del periodo di apprendistato e prima che inizi quello successivo al tempo di formazione con la conseguenza che «il recesso ex art. 2118 c.c. a ben vedere è esercitabile nello spazio di un giorno soltanto, quello esercitabile al termine del periodo di apprendistato» 76.
74 La presenza di clausole di stabilizzazione introdotte sia dalla legge che, come si è già rife- rito (nota 71) dalla contrattazione collettiva, ha indotto il Ministero del Lavoro a fornire alcune indicazioni per armonizzare le due fonti e ciò con specifico riferimento alle conseguenze san- zionatorie. A questo proposito nella circolare n. 18/2012 viene chiarito che la perdita dello sta- tus di contratto di apprendistato costituisce una regola sanzionatoria avente carattere generale applicabile anche in caso di sforamento della clausola contrattuale di stabilizzazione per le aziende che occupano fino a 10 dipendenti. La stessa circolare precisa poi che, per le aziende che occupano almeno 10 dipendenti, con riferimento alle quali trovano applicazione sia la clau- sola di stabilizzazione prevista dalla legge che quella fissata dalla contrattazione collettiva,
«produce effetti sul piano del rapporto contrattuale esclusivamente la disposizione introdotta dalla legge n. 92/2012 e solo al superamento dei limiti ivi previsti potranno determinarsi le cita- te conseguenze sanzionatorie (“trasformazione” del contratto). Ciò in ragione del fatto che la disposizione contenuta nella riforma introduce una disciplina specifica per le aziende che occu- pano almeno 10 dipendenti e pertanto “prevalente” rispetto a quella dell’art. 2, comma 1, lett. I), già in vigore».
75 X. XXXX, L’improbabile equilibrio tra rigidità in entrata e flessibilità in uscita nella legge n. 92/2012 di riforma del mercato del lavoro, in Arg. dir. lav., 2012, p. 822, paventa il pericolo che
«la norma (…) imponga il preavviso lavorato con conseguente incidenza, in ogni caso, sulla du- rata del preavviso medesimo delle cause di sospensione del rapporto. Conclusione davvero sconcertante se si pensa che allo spirare del termine la formazione è per definizione conclusa e il contratto ha esaurito la sua funzione».
76 X. XXXXXXXXXXX, Il nuovo apprendistato, cit., p. 709. Nello stesso senso X. XXXXXXXX, Ap-
La seconda questione viene risolta con una variazione terminologica che chiarisce cosa debba intendersi per le «figure professionali dell’artigianato» ai fini della possibilità di elevare a cinque anni la durata massima del contratto di apprendistato. Il nuovo testo dell’art. 4, comma 2, d.lgs. n. 167/2001 precisa che si tratta dei «profili professionali caratterizzanti la figura dell’artigiano» con ciò avallando l’interpretazione estensiva della norma non limitata alle sole im- prese artigiane, ma a tutti i profili professionali propri della figura dell’arti- giano a prescindere dall’inserimento di quest’ultimo in un’impresa artigiana 77.
5. | Le clausole flessibili ed elastiche nel part-time: il ripristi- no del c.d. diritto di ripensamento. |
La legge n. 92/2012, sempre nella dichiarata prospettiva di promuovere l’impiego virtuoso delle tipologie contrattuali flessibili, si occupa anche del la- voro a tempo parziale incentrando la sua attenzione sulle clausole «poten- zialmente vessatorie», poste a regolamentazione dell’istituto, in quanto idonee
«ad accentuare la condizione di subordinazione del part-time» 78 e ciò con l’o- biettivo preminente di ridimensionare il potere unilaterale del datore di lavoro nella gestione del tempo di lavoro del suo dipendente, ma anche di evitare da parte di quest’ultimo una libertà di scelta sostanzialmente discrezionale che potrebbe condizionare irragionevolmente l’organizzazione aziendale.
L’attenzione del legislatore è rivolta alla disciplina legale delle clausole fles- sibili ed elastiche, intendendosi, per le prime, la possibilità di modificare la collocazione temporale della prestazione lavorativa e, per le seconde, la possi- bilità di aumentare la durata della prestazione lavorativa.
Si tratta di clausole che, nel passato, sono state oggetto di una serie di in- terventi legislativi tra di loro contrapposti in quanto frutto di differenti impo- stazioni di politica del diritto in materia di flessibilità del mercato del lavoro che riflettono l’orientamento delle forze politiche succedutesi al governo del Paese negli ultimi dieci anni.
La possibilità di variare in corso d’opera la collocazione temporale della prestazione lavorativa, rispetto a quella originariamente prevista al momento della stipulazione del contratto a tempo parziale, è stata introdotta in occasio- ne del recepimento nel nostro ordinamento della direttiva 97/81/CE dal d.lgs.
prendistato, part-time e lavoro intermittente, in AA.VV., La riforma del lavoro, Xxxxxxx, Milano, 2013, p. 105.
77 In tal senso si era già espresso il Ministero del lavoro con risposta ad interpello n. 40/ 2011.
78 F.M. PUTATURO, Mini riforma del lavoro a tempo parziale, in Il nuovo mercato del lavoro, a cura di X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxx, cit., p. 111.
n. 61/2000 che costituisce la prima organica regolamentazione dell’istituto contrattuale.
La prima formulazione del decreto legislativo, emanato in vigenza di un governo di centro sinistra, affronta il tema della gestione flessibile del tempo di lavoro riservando un ruolo determinante alle Organizzazioni sindacali con una forte salvaguardia per il lavoratore nel riappropriarsi del suo tempo di non lavoro, una volta data la sua disponibilità alla flessibilità oraria.
L’art. 3 del menzionato decreto, nel comma 7, abilita i contratti collettivi na- zionali, quelli territoriali e quelli aziendali 79 a prevedere «clausole elastiche in or- dine alla sola collocazione temporale della prestazione lavorativa determinandone condizioni e modalità»; sempre lo stesso articolo, nel comma 9, condiziona la stipulazione della clausola al consenso del lavoratore che si deve perfezionare con una apposito patto scritto contestuale o successivo al contratto di lavoro.
Viene disciplinato anche il diritto di ripensamento da parte del lavoratore che, a norma del comma 10 sempre dell’art. 3, decorsi almeno cinque mesi e con un mese di preavviso, potrà denunciare il patto per ragioni di carattere familiare, per certificate esigenze di salute o per la necessità di attendere ad una altra attività lavorativa subordinata od autonoma. Sempre per legge ven- gono fissate alcune regole indispensabili per l’operativa della clausola: il lavo- ratore ha diritto di conoscere le variazioni del suo orario di lavoro con un preavviso almeno di dieci giorni e di godere di una maggiorazione retributiva.
La previsione normativa sopra brevemente illustrata – frutto di una scelta di politica legislativa che, soprattutto in materia di flessibilità, assegna una funzione autorizzatoria alla fonte collettiva – viene radicalmente cambiata nel 2003 a se- guito dell’avvicendarsi al governo del Paese di una compagine di centro destra.
Accanto alla possibilità di modificare la collocazione temporale si aggiun- ge, per il part-time verticale e misto, anche quella di variare la durata della prestazione lavorativa, il tutto in un quadro radicalmente cambiato del sistema delle fonti. Scompare «la c.d. doppia chiave di garanzia che caratterizzava la disciplina previgente» 80: in mancanza di regolamentazione da parte della fonte collettiva, le parti possono definire in sede di contratto individuale modalità e regole per introdurre nel rapporto di lavoro clausole flessibile ed elastiche e non è più riconosciuto al dipendente un diritto al ripensamento. Nel contem- po la legge interviene sui due aspetti più significativi, sotto il profilo operativo, costituiti dal tempo di preavviso, che viene fissato in due giorni e sulla mag- giorazione retributiva oggetto di forme di compensazione individuabili dalla
79 La norma diversifica i soggetti sindacali abilitati a contrattare indicando per il livello na- zionale e territoriale i sindacati comparativamente più rappresentativi e, per quello aziendale, le rappresentanze sindacali presenti in azienda con l’assistenza dei sindacati nazionali che hanno negoziato e sottoscritto il contratto.
80 X. XXXXXXX, Le modifiche alla disciplina delle clausole elastiche e flessibili nel part-time, in
X. XXXXXXXXX (a cura di), Riforma del lavoro, cit., p. 122.
contrattazione collettiva e, in mancanza, dalle stesse parti.
Negli anni successivi, alla alternanza delle forze politiche al governo del Paese ha fatto seguito un alternarsi di norme diverse: nel 2007 (legge n. 247/2007, art. 1, comma 44), in carica un Governo di centro sinistra, viene ripristinato il ruolo della contrattazione collettiva 81 che diventa l’unica fonte deputata a rendere con- cretamente operative le clausole flessibili ed elastiche sotto il profilo normativo ed economico, con conseguente ridimensionamento della negoziazione indivi- duale; nel 2008, a seguito del cambio di Governo, la legge di stabilità per l’anno 2012 abroga le norme contenute nella legge del 2007 ripristinando integralmente le regole introdotte in materia dal d.lgs. n. 276/2003 (legge n. 183/2011, art. 44).
Il quadro sinteticamente descritto mette in evidenza il succedersi di inter- venti normativi fortemente sbilanciati.
L’originario testo del decreto legislativo del 2001 si caratterizzava per una eccesiva attenzione alle esigenze del lavoratore tali da rendere difficilmente appetibile per le aziende il ricorso al lavoro a tempo parziale e ciò proprio in relazione alla flessibilità oraria fortemente condizionata da un diritto di ripen- samento che, per le modalità concrete di esercizio, riservava al dipendente un eccessiva discrezionalità.
Le modifiche apportate nel 2003, ritornate vigenti a decorrere dal novem- bre 2011, si qualificano, a loro volta, per una sostanziale mancanza di tutela del lavoratore sempre in relazione alle mutevoli esigenze di vita che potrebbe- ro condizionare la sua disponibilità ad essere “flessibile”.
In questo contesto è intervenuta la modifica apportata dalla riforma del 2012 che ha il dichiarato obiettivo di «contrastare un esercizio distorto della facoltà riconosciuta al datore di lavoro di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa originariamente pattuita» 82.
A tal fine la novella aggiunge un nuovo punto al comma 7 dell’art. 3 del d.lgs. n. 61/2000 ed un nuovo periodo al comma 9 dello stesso articolo.
Il punto 3-bis estende il possibile intervento della contrattazione collettiva in materia di clausole flessibili ed elastiche al fine di indicare «condizioni e modalità che consentono al lavoratore di chiedere l’eliminazione ovvero la modi- fica» delle stesse; nel nuovo periodo del comma 9 viene riconosciuto al lavora- tore, direttamente dalla legge, il diritto al c.d. ripensamento nel caso in cui lo stesso sia affetto da patologie oncologiche o si trovi nella condizione di stu- dente lavoratore secondo quanto previsto dall’art. 10 legge n. 300/1970.
81 Peraltro con «una chiara preferenza per la contrattazione collettiva nazionale ed uno sfa- vore verso la contrattazione aziendale» X. XXXXXX, Il contratto a tempo parziale, in I contratti di lavoro, a cura di X. Xxxxxxxxx, Utet, Torino, 2009, p. 1203 al quale si rinvia per una efficace ricostruzione ed analisi della normativa che ha disciplinato l’istituto fino all’ultimo intervento del 2011 che, peraltro, ripristina le regole fissate nel 2003.
82 Così si esprime la Relazione illustrativa alla legge con riferimento alle modifiche apportate alla normativa sul part-time.
Si tratta di un intervento di sicuro equilibrio 83. Senza ripristinare l’esclusiva funzione autorizzatoria della contrattazione collettiva, cosa questa che avrebbe appesantito la tecnica di regolamentazione dell’istituto contrattuale con effetti dissuasivi relativamente al suo utilizzo, il legislatore colma una lacuna del siste- ma innalzando opportunamente il livello di garanzia del lavoratore part-time, ma senza attribuirgli un potere discrezionale come avveniva in vigenza dell’ori- ginaria formulazione del d.lgs. n. 61/2000 in materia di flessibilità oraria 84 che allo stato, con l’integrazione apportata al comma 9 dell’art. 3 cit., resta, condivi- sibilmente, solo in due tassative ipotesi previste direttamente dalla fonte legale connesse a particolari condizioni soggettive del lavoratore costituite dalla pre- senza di una malattia oncologica o dallo status di lavoratore studente.
È stato osservato che la modifica apportata dalla legge n. 92/2012 non co- stituisce una novità in quanto già da tempo, in rilevanti settori produttivi, la contrattazione collettiva indica le modalità del recesso da parte del lavoratore o impone che, al momento della stipulazione delle clausole flessibili o elasti- che, si preveda la possibilità per il lavoratore di denunciare il patto. Si sottoli- nea, inoltre, che la previsione legale che riconosce al lavoratore la facoltà di recedere, priva di una indicazione temporale relativamente al preavviso, possa essere foriera di notevoli disservizi organizzativi in quanto il lavoratore po- trebbe comunicare la propria volontà di non effettuare la programmata pre- stazione il giorno prima, o, addirittura, lo stesso giorno 85.
I rilievi critici non sembrano pertinenti. Quanto alla mancata indicazione del termine di preavviso una disdetta del patto, nel giorno precedente o in quello stesso in cui le parti avevano già deciso che si sarebbe svolta la presta- zione, determinerebbe comunque un inadempimento contrattuale in capo al lavoratore che è tenuto ad eseguire il contratto di lavoro nel rispetto del prin-
83 Sottolinea X. XXXXXX, Lavoro a tempo parziale: meno flex, più security, in X. XXXXXXX-X. XXXXXXXX (a cura di), Commentario alla riforma Fornero, cit., p. 123 che «il fil rouge (della ri- forma – n.d.r.) è dato dal recupero, ex lege o per via di contrattazione collettiva, della “sensibili- tà” originaria del d.lgs. n. 61/2000 nei confronti della programmazione/conciliazione/condivi- sione dei tempi di lavoro con i tempi di cura, di studio e formazione della persona che lavora in un’ottica di sicurezza “esistenziale”».
84 Nella originaria disciplina del diritto di ripensamento la generica previsione di «esigenze di carattere familiare» indicate tra le condizioni legittimanti la revoca del consenso alla flessibili- tà oraria rendeva incontrollabile da parte datoriale l’esercizio di tale diritto rendendolo di fatto totalmente discrezionale.
85 Le osservazioni critiche sono di P. RAUSEI-X. XXXXXXXXXX, Il lavoro a tempo parziale, in La nuova riforma del lavoro, a cura di X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxxxx, xxx., x. 000. Gli stessi autori eviden- ziano che la riforma «non sembra coerente con i propositi della relazione di accompagnamento al testo» sottolineando che la stessa appare piuttosto diretta a limitare il ricorso all’uso delle clausole flessibili ed elastiche. Negative, nel complesso, anche le valutazioni di F.M. PUTATURO, Mini riforma, cit., p. 116 soprattutto per quello che la riforma non ha fatto che l’A. individua «nel completo disin- teresse manifestato in ordine» alla garanzia sul diritto alla maggiorazione economica del lavoratore per la sua disponibilità alla flessibilità oraria, o nella «scelta di negare l’ASpI al part-time verticale».
cipio di buona fede imposto dall’art. 1375 c.c.; quanto all’altra considerazione, relativa alla sostanziale inutilità della previsione normativa, in quanto già pre- sente nella fonte collettiva in rilevanti settori produttivi, valga la considerazio- ne che la stessa è destinata a fungere da stimolo affinché la materia sia disci- plinata in tutti i contratti collettivi così da rendere più appetibile l’uso di que- sto importante strumento di flessibilità oraria anche da parte dei lavoratori che, in tal modo, hanno la certezza, ove dovessero mutare le loro condizioni di vita, di poter recedere da un patto che potrebbe rilevarsi oltremodo oneroso.
Postilla: il decreto legge 20 marzo 2014, n. 34 in materia di contratti a termine e apprendistato
Mentre il presente volume era in fase di impaginazione è stato approvato il de- creto legge 20 marzo 2014, n. 34, in attesa di conversione, che ha apportato alcune modifiche alla disciplina del contratto a tempo determinato e dell’apprendistato.
Nonostante la non definitività del testo di legge si è ritenuto comunque uti- le, nell’ambito di una riflessione complessiva che ha l’obiettivo di offrire una chiave di lettura il più completa possibile del “nuovo diritto del lavoro”, te- nerne conto, anche in ragione della assoluta novità delle modifiche apportate e nella convinzione che, per l’impostazione data dall’attuale Presidente del Con- siglio alla sua azione di governo, le norme in questione saranno sicuramente convertite nel rispetto delle finalità sostanziali che si prefiggono di realizzare.
Il decreto, sul presupposto di voler generare «nuova occupazione, in parti- colare giovanile», emana due norme di semplificazione: una relativa ai contrat- ti a termine (art. 1) e l’altra in materia di apprendistato (art. 2), entrambe di carattere assolutamente dirompente.
Con riferimento alla disciplina del contratto a tempo determinato e di som- ministrazione, il decreto abroga quanto disposto dalla precedente legge n. 92/2012 sul contratto acausale, sia di fonte legale che collettiva, e liberalizza entrambe le tipologie contrattuali eliminando la necessità di apporre ragioni giustificative a qualsiasi tipo di contratto a termine e di somministrazione di lavoro a tempo determinato e con riferimento a qualunque tipo di mansione.
Le limitazioni per entrambe le tipologie contrattuali sono costituite unica- mente: a) dalla durata massima del contratto che, anche tenendo conto di eventuali proroghe, non può eccedere trentasei mesi; b) da un tetto massimo di utilizzo in base al quale «il numero complessivo di rapporti di lavoro costitui- ti da ciascun datore di lavoro ai sensi del presente articolo» non può superare il limite del venti per cento dell’organico complessivo.
Per il contratto a tempo determinato resta in vigore quanto stabilito dall’art. 10, comma 7, d.lgs. n. 368/2001 sia in relazione alla possibilità, da parte della contrattazione collettiva nazionale, di individuare diversi limiti di contingenta- mento, sia con riferimento alle tipologie di contratto esenti da ogni limitazione.
Anche per il contratto di somministrazione è lasciata inalterata la possibili- tà per la contrattazione collettiva nazionale di derogare al tetto massimo di uti- lizzo secondo quanto disposto dall’art. 20, comma 4, d.lgs. n. 276/2003.
Il criterio del limite del venti per cento dell’organico complessivo non si applica alle imprese che occupano fino a cinque dipendenti per le quali «è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato».
L’interpretazione offerta in ordine all’applicazione delle disposizioni sul con- tingentamento anche alla somministrazione a termine non è l’unica possibile, potendo desumersi l’estraneità rispetto a tale tipologia contrattuale della secon- da parte del nuovo comma 1, art. 1, d.lgs. n. 368/2001, e ciò in ragione del teno- re testuale della norma che, al contrario della prima parte, non richiama il ter- mine “utilizzatore” (si spera che il chiarimento avvenga in sede di conversione).
Una significativa modifica coinvolge anche la disciplina della proroga del contratto a tempo determinato, da sempre sotto rigido controllo da parte del legislatore. Il decreto interviene sull’art. 4 del d.lgs. n. 368/2001 in decisa con- trotendenza rispetto al passato: non più una sola proroga supportata da ragio- ni oggettive, ma più proroghe, fino ad un massimo di xxxx, con l’unica condi- zione che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale l’originario contratto a termine è stato stipulato.
A questo proposito è opportuno sottolineare che, contrariamente alle noti- zie riportate anche dalla stampa specializzata, nessuna modifica riguarda la successione di più contratti. In questo caso resta invariata la regola per la quale, ove le stesse parti dovessero decidere di stipulare un contratto successivo al pri- mo, è necessario che intercorra un lasso temporale di dieci o venti giorni a se- conda che il primo contratto sia stato di durata inferiore o superiore a sei mesi.
È di tutta evidenza la valenza decisamente innovativa delle modifiche ap- portate sulla flessibilità in entrata: i contratti di lavoro subordinati con clauso- la del termine finale costituiscono uno strumento gestionale ordinario che si accompagna alle assunzioni a tempo indeterminato nell’approvvigionamento di personale, con ciò portando a compimento il percorso avviato dalla legge n. 92/2012 di cui si è dato conto nel presente saggio.
La durata massima di trentasei mesi ed il limite percentuale pari al venti per cento dell’organico complessivo per il ricorso a tale tipologia contrattuale costituiscono pratica attuazione della regola per la quale il contratto a tempo indeterminato resta comunque la «forma comune» quella cioè maggiormente utilizzata nell’assunzione di personale.
La acausalità generalizzata di questa tipologia di assunzione ha inoltre il merito di ridimensionare fortemente il ruolo di controllo del giudice del lavo- ro che, spesso (come si è avuto modo di argomentare nel presente saggio), perseguendo finalità ideologiche più che di oggettiva applicazione della astrat- ta previsione legislativa alla fattispecie concreta, ha finito per vanificare i ten- tativi del legislatore di avvicinare il nostro ordinamento agli standards europei finalizzati alla incentivazione dell’occupazione.
La drastica iniziativa del Governo lascia ben sperare che il datore di lavoro, affrancato dal rischio di un invasivo controllo giudiziario nelle sue scelte di ti- po organizzativo, possa essere incentivato ad un incremento dell’organico, cir- costanza questa comunque destinata ad attivare un circuito virtuoso per ridur- re lo spaventoso tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile.
Non può comunque sottacersi in questa sede un rischio di tenuta della norma in sede di confronto con la direttiva europea sul contratto a termine: preoccupa, in particolare, la previsione che rende possibile reiterare per ben otto volte lo stesso rapporto a termine senza indicare «ragioni obiettive per la giustificazione» (clausola 5 lett. a) accordo quadro allegato alla direttiva). A questo proposito potrebbe fondatamente sostenersi che la norma interna, in- dicando la durata massima totale e il numero dei rinnovi dei rapporti, si attie- ne a quanto previsto dalle successive lettere b) e c) della suddetta clausola, ri- spettando così la norma comunitaria che vuole che lo Stato membro, al fine di prevenire gli abusi derivanti dalla successione di contratti o rapporti a termi- ne, adotti una delle misure analiticamente indicate con le lettere a), b) e c).
Nessun problema presenta il rispetto della c.d. xxxxxxxx di non regresso: è pacifico che la norma in esame non rientri nel novero di quelle attuative del contenuto della direttiva secondo quanto disposto dalla clausola 8, punto 3 dell’accordo quadro.
Le stesse finalità di lotta alla disoccupazione giovanile caratterizzano le mo- difiche della normativa sull’apprendistato.
In questa occasione il decreto opera due tagli e due innesti, tutti nel t.u. n. 167/2011: elimina la necessità della forma scritta del piano formativo individuale; abolisce l’obbligo, per il datore di lavoro che intenda continuare ad assumere ap- prendisti, di mantenere in servizio una quota parte degli apprendisti assunti in precedenza; determina nella misura del 35% della retribuzione del livello contrat- tuale di inquadramento il compenso delle ore di formazione con riferimento al- l’apprendistato per la qualifica ed il diploma professionale, fatta salva la possibilità dell’autonomia collettiva di disporre in senso più favorevole per l’apprendista; rende facoltativo l’originario obbligo di integrare la formazione aziendale con l’of- ferta formativa pubblica per l’apprendistato professionalizzante e di mestiere.
Si tratta di misure che confermano il fondamentale ruolo dell’apprendi- stato come canale privilegiato di accesso per i giovani nel mercato del lavoro con l’idea che tale tipologia contrattuale può essere ulteriormente favorita, so- prattutto per le aziende di piccole dimensioni, con misure che rendano eco- nomicamente sostenibile la formazione, lì dove la stessa riveste una significati- va rilevanza, e con l’eliminazione di oneri di natura burocratica e di vincoli, come quello imposto dalla legge n. 92/2012 relativo alla conferma in servizio esaurita la fase di formazione, che mal si conciliano con la ratio dell’istituto che deve garantire la durata del momento di apprendimento, ma non la obbli- gatoria conferma del rapporto, una volta conseguita la formazione.