L’Odissea del lavoro a chiamata
L’Odissea del lavoro a chiamata
di Xxxxxxx Xxxxxxxxxx
1. Ancora ripensamenti sul lavoro intermittente
Il d.l. n. 76/2013 al Titolo II, si occupa anche del contratto di lavoro intermittente. Disciplinato dal d.lgs. n. 276/2003, reintrodotto dal d.l. n. 112/2008 a seguito dell’abrogazione da parte della legge n. 247/2007 e riformato solo un anno fa, dalla legge n. 92/2012, il job on call continua ad essere oggetto di ripensamenti legislativi.
Da ultimo, il provvedimento in analisi interviene senza una logica ben definita: da un lato restringe il ricorso all’istituto, ponendo un limite al periodo complessivo di impiego di un lavoratore intermittente, dall’altro rivede sensibilmente il regime sanzionatorio previsto per la mancata comunicazione preventiva della chiamata di cui al comma 3-bis dell’art. 35, d.lgs. n. 276/2003, che di fatto viene ridotta ad un mero adempimento burocratico.
Con l’introduzione del comma 2-bis, all’art. 34 del d.lgs. n. 276/2003, viene ulteriormente limitata la possibilità di fare ricorso a tale tipologia contrattuale, che se finora, fermo restando i requisiti soggettivi e oggettivi,(1) era utilizzabile senza preclusioni temporali, oggi risulta ammessa «per un periodo complessivamente non superiore alle
quattrocento giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari» (art. 7, comma 2, lett. a) d.l. n. 76/2013). In caso di superamento di tale durata, il rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato. Sembra pacifico che la soglia delle quattrocento giornate si applichi al singolo rapporto di lavoro, e non anche a tutti quelli intrattenuti dalla stessa persona presso aziende differenti. Una diversa interpretazione che volesse calcolare il limite temporale sulla base delle giornate di lavoro prestate da ogni lavoratore nell’arco di un triennio renderebbe di fatto inutilizzabile l’istituto, non potendo il datore di lavoro verificare la storia lavorativa pregressa di ogni dipendente a chiamata. Tuttavia, per evitare ogni dubbio, sarebbe necessario un chiarimento in sede di approvazione del decreto.
Ad ogni buon conto la previsione risulta in contrasto con la natura stessa del lavoro intermittente, fattispecie ammessa per l’espletamento di prestazioni di carattere discontinuo, non solo a tempo determinato, ma anche indeterminato, pure per periodi di durata significativa, purché non vi sia una esatta coincidenza tra la durata del contratto e la durata della prestazione. Finiranno così per essere penalizzati proprio i lavoratori più stabili, quelli che rispondono con maggiore frequenza “alla chiamata” o che vengono “chiamati” più spesso dal datore di lavoro. Quest’ultimo, infatti, per non incorrere nella sanzione della trasformazione a tempo indeterminato, per prestazioni di breve durata sarà costretto a ricorrere alla somministrazione di lavoro ovvero ad assumere un altro lavoratore intermittente, con un inevitabile aumento dei costi a carico delle imprese. La norma chiarisce da quando va calcolato il nuovo limite: rientrano nel computo solo le giornate di effettivo lavoro prestate successivamente all’entrata in vigore del provvedimento (art. 7, comma 3 del decreto).
Nessuna semplificazione, dunque, sul fronte aziendale, ma anzi un ulteriore irrigidimento: le imprese, dall’entrata in vigore della nuova disciplina, saranno chiamate a monitorare costantemente il Libro Unico (LUL) e verificare, per ogni lavoratore intermittente impiegato, le giornate lavorative concretamente prestate. Attività quest’ultima, che si aggiunge alla comunicazione obbligatoria per l’instaurazione del rapporto di lavoro intermittente (tramite il Sistema CO con il modello UniLav) e alla comunicazione preventiva da effettuarsi in occasione di ogni chiamata alla prestazione (o di un ciclo integrato di prestazioni). Al riguardo, l’art. 7, comma 2. lett. b) del provvedimento in esame dispone che la sanzione
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pecuniaria amministrativa prevista per il datore di lavoro che ometta la suddetta comunicazione preventiva (da 400 euro a 2.400 euro, per ogni lavoratore interessato) non trova applicazione qualora, «dagli adempimenti di carattere contributivo precedentemente assolti, si evidenzi la volontà di non occultare la prestazione di lavoro» Probabilmente il Legislatore ha compreso che la sanzione di cui all’art. 35, comma 3-bis, d.lgs. n. 276/2003, era totalmente incongrua rispetto al valore della condotta antidoverosa. Ora ciò che rileva, in sostanza, è l’adempimento degli obblighi contributivi connessi alla prestazione lavorativa effettivamente resa ed il datore di lavoro non potrà essere sanzionato se non c’è finalità fraudolenta dietro alla mancata comunicazione. Ma allora perché non abrogare l’obbligo di comunicazione prima dell’inizio della prestazione, la cui funzione, alla luce della nuova previsione, risulta circoscritta ad un mero adempimento burocratico? Adempimento che peraltro, dal 18 luglio 2012 ad oggi è stato oggetto di ben sei provvedimenti ministeriali (2) (da ultimo il decreto interministeriale 27 marzo 2013) chiamati a delineare le modalità di attuazione della chiamata, “semplificandole”.
Inoltre, viene prorogata l’entrata in vigore delle previsioni della c.d. Legge Fornero in relazione ai contratti intermittenti in corso all’entrata in vigore della Riforma (18 luglio 2012). In particolare viene previsto che i contratti a chiamata non compatibili con le previsioni introdotte dalla Legge n. 92/2012 cessano di produrre effetti dal 1° gennaio 2014, anziché dal 18 luglio 2013. Non è chiaro perché il Legislatore abbia ritenuto opportuno spostare ancora tale termine: il rischio è quello di creare una notevole confusione tra gli operatori, che anche dopo l’entrata in vigore di ulteriori, nuove norme in materia, dovranno gestire alcuni contratti intermittenti secondo i requisiti antecedenti alla Legge n. 92/2012, altri secondo le regole della Legge n. 92/2012, applicando per tutti le previsioni di cui al d.l. n. 76/2013.
Per completezza si segnala che tra le misure stralciate in sede di approvazione del decreto, per favorire le opportunità di nuova occupazione derivanti dalla iniziativa Expo 2015 di Milano, era stata
2 Al riguardo si segnalano: circ. Min. lav. n. 18/2012 e n. 20/2012, nota Min. lav. n. 11799 del 9 agosto 2012, nota n. 12728 del 14 settembre 2012, nota circolare del Min. lav. del 26 novembre 2012 ed infine, decreto interministeriale 27 marzo 2013, (Gazzetta Ufficiale n. 141 del 18 giugno 2013).
prevista anche la possibilità di ricorrere al lavoro a chiamata in deroga alle disposizioni di legge, entro determinate condizioni e limiti.
2. Conclusioni
Per una «promozione dell’occupazione» appare necessario ripartire (anche) dal contratto di lavoro intermittente. In realtà il lavoro a chiamata, se fino a qualche anno fa è intervenuto a soccorrere i pensionati ed i giovani studenti in cerca di un lavoro saltuario per arrotondare gli studi, attualmente risulta fortemente limitato. Ciò non solo per la notevole burocratizzazione dell’istituto, ma anche per la restrizione dei requisiti temporali, ad opera del d.l. n. 76/2013, e soggettivi (3), da parte della c.d. Legge Fornero. Estendere la possibilità di impiego come lavoratori intermittenti, ad esempio anche ai giovani fino a 29 anni e ai soggetti al di sopra dei 50 anni potrebbe garantire una occupazione, seppure a carattere discontinuo, a tanti disoccupati o destinatari di ammortizzatori sociali, che oggi rischiano di essere completamente esclusi dal mercato del lavoro.