FONDO ASILO, MIGRAZIONE ED INTEGRAZIONE 2014 – 2020
Progetto co-finanziato
dall'Unione Europea
FONDO ASILO, MIGRAZIONE ED INTEGRAZIONE 2014 – 2020
OS2 Integrazione/Migrazione legale ON2 Integrazione - 02- Promozione dell'accesso ai servizi per l'integrazione lette)
FAMI MULTIAZIONE – Progetto InterAzioni in Piemonte Azione 2 “FacilitAzione”
SEMINARIO
InterAzioni Abitative:
luoghi, risorse e strumenti per l'inclusione dei migranti
Torino, 5 dicembre 2018
Sala Conferenze Ires Piemonte - xxx Xxxxx 00, Xxxxxx
Introduzione ai lavori - Xxxxxxxxxx Xxxxxx, presidente Cicsene
La povertà abitativa
L’abitare è un sistema complesso di azioni e relazioni strutturate e la casa è a tutti gli effetti un’area di welfare (cfr. Xxxxxxx Xxxxxx, La casa come area di welfare, 2005) in cui trovano risposta bisogni primari di tipo sociale, economico e simbolico. La povertà abitativa è un fenomeno multidimensionale e processuale che definisce complessivamente la mancanza della casa, la sua inadeguatezza o la difficoltà nel mantenerla, attraverso categorie analitiche di tipo fisico, legale, sociale, economico e territoriale.
In Italia ci sono, secondo i dati Istat 2017, 13 milioni di poveri, cioè il 21,5% della popolazione residente. Quasi 5 milioni di persone vivono in condizioni di povertà assoluta, più di 8 milioni sono in povertà relativa. Dati Istat più recenti, riferiti al 2018, parlano addirittura di 18 milioni di persone in condizione di esclusione sociale e rischio povertà. In particolare, Istat certifica come l'incidenza della povertà relativa sia decisamente più elevata nelle famiglie in cui sono presenti stranieri, con valori in media oltre tre volte superiori rispetto alle famiglie di soli italiani.
Gli stranieri residenti nel Piemonte al 1° gennaio 2018 sono 423.506 e rappresentano il 9,7% della popolazione residente. La componente immigrata della popolazione, più povera in termini assoluti e relativi, è proporzionalmente più toccata anche dal fenomeno specifico della povertà abitativa. Essa, naturalmente, colpisce senza distinzione cittadini italiani e stranieri; questi ultimi, tuttavia, si trovano spesso ad affrontare un sovrappiù di disagio, legato alla condizione di migranti. I nuovi abitanti hanno in media redditi inferiori a quelli degli autoctoni e ciò determina difficoltà maggiori nel soddisfare i requisiti di solvibilità richiesti dal mercato privato della locazione, mentre l’accesso alle misure di welfare abitativo è talvolta limitato dal criterio della lungoresidenza. Inoltre, come rileva il Sunia nello studio Abitare per gli stranieri (2016), gli immigrati non sempre trovano un sistema di informazione, coordinamento e aiuto che li guidi nel nuovo contesto in cui si inseriscono. La conoscenza personale è spesso l’unica strategia per trovare una sistemazione; la rete relazionale iniziale, legata alla catena migratoria, costituisce sì un punto di forza nella prima fase di inserimento, ma rischia di tradursi in elemento di ghettizzazione se resta il principale canale informativo attraverso cui passa la conoscenza del paese ospitante.
Il diritto alla casa
Il diritto all’abitare – direttamente o indirettamente – è ampiamente riconosciuto e tutelato a livello internazionale, europeo, italiano e piemontese; ciò non toglie che in Europa, a tutt’oggi, sia il diritto più difficilmente esigibile per chi si trovi a rischio povertà.
La Regione Piemonte, con la LR 3/2010, riconosce e promuove il diritto all'abitazione mediante politiche territoriali e abitative tese ad assicurare il fabbisogno delle famiglie e delle persone meno abbienti e di particolari categorie sociali; equipara i requisiti di accesso all’edilizia sociale tra cittadini comunitari ed extra comunitari, introducendo un requisito di anzianità di residenza comune (da tre a cinque anni), volto a dimostrare un radicamento sul territorio. La LR 5/2016, inoltre, prevede che la Regione Piemonte intervenga per garantire a ogni persona parità di trattamento (ovvero l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata su nazionalità, sesso, colore della pelle, ascendenza od origine nazionale, etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione o convinzioni personali, opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, appartenenza a una minoranza nazionale, patrimonio, nascita, disabilità, età, orientamento sessuale e identità di genere, e ogni altra condizione personale o sociale) nell'accesso ai servizi e nell'acquisizione di beni e attua azioni positive per il superamento di eventuali condizioni di svantaggio legate alle forme di discriminazione diretta e indiretta. Tra gli ambiti di intervento in cui la Regione agisce prioritariamente, vi è il diritto alla casa.
Stranieri e casa
Scenari immobiliari (Rapporto Immigrati e casa, 2017) propone un interessante panorama della condizione abitativa dei cinque milioni di stranieri regolarmente residenti in Italia. Se la stragrande maggioranza, il 64,7%, vive in affitto, l’8,9% abita presso il luogo di lavoro e il 7,3% alloggia presso parenti o altri connazionali. Il 19,1% vive in una casa di proprietà.
I protagonisti assoluti degli acquisti sono i lavoratori immigrati di lunga residenza, con alle spalle almeno una decina d’anni di soggiorno in Italia e una situazione lavorativa stabile, che permetta loro di accedere a una forma di finanziamento. Oltre la metà delle compravendite nel 2016 è stata effettuata da immigrati di provenienza est- europea, il cui ruolo crescente sul mercato degli acquisti è sostenuto dalla crescente integrazione di queste nazionalità. Seguono gli asiatici dell’area indiana (India e Pakistan) con il 13,1% degli scambi e i cinesi (12,9%). In calo la quota di abitazioni acquistate da cittadini immigrati dai Paesi del nord Africa, che dal 14% del 2006 scendono ad appena il 5% del 2016.
Gli acquisti sono localizzati prevalentemente fuori dalle città (55,3%), secondo un trend che si è consolidato dal 2006 coinvolgendo anche i comuni più periferici, caratterizzati da un’offerta di usato più abbondante e a basso costo.
La grande maggioranza degli stranieri alla ricerca di una soluzione abitativa si rivolge al mercato della locazione, con soluzioni spesso costose, ma insoddisfacenti. L’utenza immigrata, infatti, incontra problemi specifici ed è più esposta a situazioni di abuso e discriminazione, diffidenza dei potenziali locatari e timore di deprezzamento dell’immobile, incremento dei canoni di locazione, ricorso a contratti non regolari, richiesta di garanzie aggiuntive. A contrasto di tale fenomeno si pone la citata legge regionale di lotta alla discriminazione n. 5/2016. Rilevante poi è il Protocollo di intesa siglato tra l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Unar) e la Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali (Fiaip) volto alla prevenzione e al contrasto di ogni tipo di discriminazione nel settore immobiliare (2012).
Le garanzie economiche troppo spesso non sono sufficienti a instaurare un clima di fiducia tra proprietari e potenziali inquilini stranieri. L'attività necessaria, complementare alla concessione di garanzie economiche nei confronti dei proprietari, è l'accompagnamento. L'accompagnamento – in ambito abitativo - significa "accompagnare le due parti", dimostrando imparzialità ed equidistanza, agendo nella tutela di entrambe e cogliendo i problemi nel momento del loro manifestarsi, evitando l'incancrenirsi di situazioni degenerative.
Per chi non riesca ad accedere all’acquisto o a mantenersi sul mercato privato della locazione, la risposta pubblica tradizionale di contrasto alla povertà abitativa – la casa popolare – appare oggi del tutto insufficiente. Gli alloggi ERP sono una risposta solo parziale alla quantità di domande che attualmente vengono presentate.
Le politiche della casa appaiono dunque un ambito particolarmente bisognoso di ricerca e innovazione relativamente agli strumenti di risposta al disagio, capaci di offrire soluzioni abitative efficaci nel promuovere l'inclusione della componente immigrata.
Un welfare di comunità
Il gruppo Welfare Cantiere Regionale (Xx.Xx.Xx.), nell’immaginare le strategie e gli assetti futuri del welfare piemontese, prevede di coinvolgere in un quadro comune gli attori pubblici e privati del territorio, coniugando politiche sociali, politiche del lavoro e dello sviluppo economico, per realizzare gli obiettivi generali di coesione sociale, sviluppo territoriale e riduzione delle diseguaglianze. In ambito abitativo, si tratta di spostare l’attenzione dalle politiche della casa – dove la casa è intesa come mero manufatto - alle politiche dell'abitare, volte a prendere in carico e mettere al centro la persona, il nucleo familiare e il suo intorno di prossimità. Adottare una visione che ponga al centro la persona e la sua rete di relazioni, anziché le tipologie di servizi di cui necessita, significa sposare una logica di inclusione e di coesione sociale, valorizzare le relazioni tra i membri della comunità e promuovere un'assunzione collettiva di responsabilità sociale.
La tradizionale risposta al disagio abitativo, ovvero l'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, non ha infatti portata sufficiente per far fronte all'emergere delle nuove fragilità e all'acutizzarsi di quelle esistenti. Le Agenzie preposte alla gestione del patrimonio residenziale pubblico incontrano forti difficoltà nel sostenere i costi di manutenzione delle strutture. Lo scenario in cui siamo proiettati vede un forte ridimensionamento del numero di immobili disponibili per uso sociale in quest’ambito.
Per quanto riguarda il patrimonio edilizio privato, si registra oggi un record di case vuote, abbandonate o sfitte. Il fenomeno è il risultato di un combinato disposto di varie cause tra cui, evidentemente, la crisi economica, il calo demografico, la diffidenza verso potenziali inquilini stranieri e la sfiducia da parte dei proprietari di immobili nell'affittare le loro abitazioni a inquilini fragili, in un quadro normativo vissuto come carente di efficace tutela per il proprietario da parte dello Stato. Molti sono, oggi, i proprietari che preferiscono sostenere i costi di un alloggio sfitto, piuttosto che rendersi disponibili alla locazione. A Torino, secondo alcune stime, vi sono tra i 60.000 e 70.000 alloggi vuoti, un numero ingente, anche presumendo che alcuni di questi, in realtà, siano affittati senza un regolare contratto. A fronte di una dotazione di alloggi pubblici non sufficiente e di un clima di sfiducia da parte dei proprietari privati, appare fondamentale la capacità, da parte delle istituzioni e di tutti gli attori che lavorano per favorire l'inserimento abitativo delle fasce più svantaggiate della popolazione, di creare condizioni favorevoli affinché sia resa disponibile per uso sociale una quota crescente di alloggi privati, promuovendo l’incontro sostenibile e la fiducia tra inquilino e proprietario.
In quest'ottica è stato concepito il sistema piemontese delle Agenzie Sociali per la Locazione (ASLO), che favoriscono l'inclusione abitativa di fasce vulnerabili mettendo in contatto proprietari privati e nuclei o singoli in difficoltà economica. Le ASLO sono oggi 35 e i fondi loro destinati permettono di sostenere le necessità abitative delle famiglie, attraverso la conclusione di contratti concordati di unga durata, a canoni inferiori a quelli praticati sul libero mercato e proporzionati secondo le fragilità e le disponibilità delle parti. Possono accedere alle risorse messe in campo dalla Regione i Comuni ad alta tensione abitativa e i Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti (48 su 1197). Il fenomeno della povertà abitativa è tuttavia diffuso su tutto il territorio regionale e la possibilità di accedere a risorse per favorire l'incontro tra piccoli proprietari privati e potenziali inquilini che versano in condizioni di vulnerabilità dovrebbe essere garantita a tutti i Comuni.
Sono peraltro le stesse Amministrazioni che - in alcuni casi - risultano restie a promuovere misure capaci di facilitare l'inclusione abitativa delle fasce in difficoltà economica: alcuni Comuni, infatti, non attivano o non promuovono gli Accordi Territoriali, stipulati con le principali Associazioni di proprietari e inquilini, i quali a seconda della
localizzazione e metratura degli alloggi indicano fasce di oscillazione calmierate del canone di locazione, prevedendo a compensazione vantaggi fiscali per i proprietari.
La prevista costituzione di 30 distretti della coesione sociale (4 distretti in provincia di Alessandria; 1 in provincia di Asti; 1 in provincia di Biella; 5 in provincia di Cuneo; 3 in provincia di Novara; 14 nella città metropolitana di Torino; 1 in provincia di Verbania; 1 per provincia di Vercelli) intende da un lato ridefinire, in maniera omogenea, gli ambiti di programmazione dell’edilizia sociale, conformemente agli ambiti sociali e sanitari, in un’ottica di integrazione delle politiche; dall'altro, incaricare il Comune capofila del distretto di stimolare le amministrazioni dello stesso ambito a omogeneizzare le misure di contrasto al disagio abitativo e ad attivare gli Accordi Territoriali.
Forme innovative di abitare
L’impegno pubblico e l’iniziativa privata hanno portato alla sperimentazione di numerose soluzioni alternative alla dicotomia tra mercato privato e casa popolare, tra le quali soluzioni abitative temporanee, spesso supportate da percorsi di accompagnamento all’autonomia abitativa di medio e lungo termine, soluzioni abitative a basso costo, forme di abitare sostenibili caratterizzate dalla condivisione di spazi di vita e di beni e servizi, esperienze di abitare condiviso volte all’incontro interculturale, soluzioni di rifugio diffuso, esperienze di reciprocità e scambio, gestioni immobiliari sociali, esperienze di condominio solidale caratterizzate da mutuo sostegno e scambio tra famiglie e tra generazioni.
Gli alloggi sociali sono "realizzati o recuperati da operatori pubblici e privati, con il ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche - quali esenzioni fiscali, assegnazione di aree od immobili, fondi di garanzia, agevolazioni di tipo urbanistico - destinati alla locazione temporanea per almeno otto anni ed anche alla proprietà" (Decreto Ministero Infrastrutture 22/04/2008).
La coabitazione è una soluzione efficace e sostenibile ove la volontà di condividere spazi quotidiani della propria vita sia espressa direttamente dai beneficiari e nella misura in cui le pratiche di accompagnamento siano incisive e facilitino l'incontro dei bisogni dei diversi coabitanti. Pensata per offrire soluzioni temporanee e sostenibili per le fasce meno abbienti della popolazione, la coabitazione può tuttavia risultare poco efficace in presenza di beneficiari fragili sul piano delle competenze relazionali. La condivisione dei luoghi del quotidiano da parte di diversi nuclei familiari può rappresentare una soluzione evidentemente appetibile dal punto di vista della sostenibilità economica ma, se non scelta e adeguatamente preparata, rischia di condurre a una forma diversa di povertà abitativa (qual è a tutti gli effetti la mancanza di privacy con l’innesco di processi conflittuali). In generale - e con particolare attenzione alla componente immigrata - le sperimentazioni di coabitazione che hanno visto l'inclusione in una stessa unità abitativa di nuclei familiari di diversa cultura d’origine hanno spesso generato contrasti tra i beneficiari, anche in presenza di un supporto di accompagnamento. Al contrario, esperienze di coabitazione tra nuclei o singoli della stessa cultura di origine hanno più spesso prodotto risultati positivi.
Purtroppo, spesso neanche soluzioni abitative alternative incontrano efficacemente i bisogni e le necessità dei richiedenti protezione internazionale in uscita da progetti di accoglienza, siano essi SPRAR o CAS. Dopo mesi - a volte anni - di convivenza, il desiderio di un luogo fisico proprio nel quale sviluppare la propria intimità e la propria esistenza si scontra con la necessità di individuare soluzioni economicamente sostenibili che consentano di vivere in un ambiente dignitoso. Con riferimento a questo target di popolazione, la condizione di precarietà è molto acuta e – in queste settimane – resa anche più urgente e sensibile dai cambi normativi in atto. Il Piemonte è la quarta regione italiana per accoglienze dopo la Lombardia (13%), la Campania (9%) e il Lazio (8%) e ospita 12.941 richiedenti protezione internazionale. Il termine del periodo di accoglienza nei sistemi SPRAR o CAS può rappresentare uno snodo drammatico, spesso in assenza di redditi e garanzie economiche per i locatori. I dati testimoniano come anche i beneficiari dello status di rifugiato (in Piemonte 5% - 7% dei totali richiedenti) non riescano a trovare soluzioni abitative sostenibili: i tirocini da 600 euro mensili, con scadenza semestrale, sono insufficienti a offrire garanzia sul mercato della locazione. Gli aventi diritto all’asilo o ad altra forma di protezione internazionale (in Piemonte il 18% del
totale), se in uscita da progetti SPRAR beneficiano di un contributo per la casa troppo esiguo. Le persone in uscita da percorsi di accoglienza CAS non godono di alcun beneficio.
La mancanza di connessione tra gli attori coinvolti nei vari progetti di accoglienza e gli attori coinvolti nella sfera dell'abitare determina un ulteriore ostacolo all'inclusione abitativa. Per questo, si ritiene ancora una volta quanto mai urgente e necessario adottare un approccio multidisciplinare nella gestione dei sistemi di accoglienza, promuovendo il principio della sussidiarietà circolare, che risponde a esigenze di responsabilizzazione e di partecipazione della molteplicità di attori che concorrono, ciascuno con le proprie specificità, a conseguire finalità condivise.
L'accoglienza e l'inclusione nei piccoli Comuni
Quando si parla di immigrazione in Italia il riferimento immediato è quasi sempre quello delle città, grandi e medie, dove la visibilità del fenomeno e le tensioni che può provocare sono più evidenti. La maggior parte dei migranti - invece - vive in città di piccole dimensioni e nei Comuni più piccoli.
I piccoli Comuni oggi sono chiamati a rispondere a due fenomeni, che rappresentano il carattere contraddittorio della migrazione: il fenomeno dello spopolamento e il fenomeno dell'accoglienza.
Ad esempio, in Piemonte, regione caratterizzata dalla presenza di molti piccoli centri montani e pedemontani, i piccoli Comuni, i borghi e le borgate hanno perso oltre 74 mila abitanti negli ultimi sei anni. Diverse fragilità colpiscono queste aree e contribuiscono a una demografia declinante: dall'insufficienza delle connettività infrastrutturali (trasporti e banda larga), alle carenze nei servizi alla cittadinanza (scuole, presidi sanitari, uffici postali, sportelli bancari e commercio locale), alle minori opportunità lavorative: fattori determinanti nell'indurre gli abitanti, soprattutto i più giovani, a lasciare i piccoli paesi per aree urbane più attrattive.
Allo stesso tempo, sono molti i piccoli Comuni che si sono aperti all’accoglienza dei migranti anche attraverso l’insediamento di centri SPRAR e CAS. Il fenomeno incrocia il bisogno dei migranti di inserirsi in progetti di accoglienza e la necessità dei Comuni di rivitalizzare i propri servizi e ripopolare il territorio.
Il modello di accoglienza di Pettinengo (BI) - conosciuto in ambito italiano ed europeo come buona pratica, modello possibile per le piccole comunità montane – ha creato un’economia di comunità che ha a sua volta innescato processi di integrazione tra i vari soggetti coinvolti nel progetto, generando fenomeni di solidarietà e inclusione sociale.
A Lemie (TO), l'arrivo di famiglie con bambini ha rivitalizzato il paese e ha permesso l'erogazione di alcuni servizi essenziali; l'attivazione di tirocini semestrali ha permesso ai migranti di avvicinarsi al mondo del lavoro e il volontariato di restituzione ha generato un clima di fiducia reciproca tra abitanti del luogo e migranti.
Il caso di Xxxxxx (TO), con la sua politica di recupero dell’esistente, le sue iniziative economiche, politiche, sociali e culturali, fa convivere esperienze di valorizzazione di tradizioni in un'ottica di innovazione e apertura alle diversità e ha creato opportunità reali di ripopolamento del territorio. Grazie all'insediamento di giovani imprenditori e associazioni giovanili, il paese ha sperimentato una ripresa economica e demografica che è avvenuta dal basso. Le diverse iniziative promosse dall'Amministrazione hanno suscitato l'interesse di vari stakeholder che hanno deciso di investire nel territorio, creando economia e opportunità di inserimento di nuovi abitanti.
In queste esperienze, si rivela sempre decisiva la presenza di un agente di cambiamento, una persona o un ente (non necessariamente italiano) dotato di vision e di capacità progettuale, organizzativa e non assistenziale. Appare importante la capacità di affrontare l’inserimento degli stranieri con la comunità locale, nel quadro di una progettualità territoriale non emergenziale che sappia costruire risposte alle fragilità personali, sociali, economiche non solo per gli stranieri, ma per la comunità nel suo complesso. Occorre fronteggiare alcuni problemi: tra i ricorrenti, la mancanza di servizi e la difficoltà negli spostamenti, ma anche il semplice desiderio di accedere a realtà urbane percepite come più stimolanti.
È forse la dimensione del piccolo Comune, però, a consentire di dare pieno significato all’espressione “mettere al centro la persona”: ogni straniero accolto è una persona diversa da tutte le altre e vi è una forte esigenza di personalizzazione dei percorsi di accoglienza, per ottenere vera inclusione e positive ricadute per il beneficiario e per la comunità tutta.