GIUSEPPA CARIOLA
Tendenze Evolutive del Diritto Amministrativo
Corso di Alta Formazione
XXXXXXXX XXXXXXX
ACCORDI TRA AMMINISTRAZIONE E PRIVATI
Tesi finale
* * * * *
Anno accademico 2003/2004
1. Nozione
Prima dell’intervento della legge 7 agosto 1990, n. 241 sul procedimento amministrativo era controversa in dottrina la configurabilità di un contratto di diritto pubblico tra Amministrazioni o tra Amministrazione e privati aventi come causa il perseguimento di funzioni pubbliche. Era diffusa l’opinione che l’Amministrazione potesse perseguire la cura dei pubblici interessi esclusivamente attraverso l’azione unilaterale ed autoritativa.
Si riteneva che il provvedimento amministrativo fosse il mezzo esclusivo a disposizione dei pubblici poteri per soddisfare gli interessi della collettività. Si escludeva l’impiego del contratto perché il vincolo scaturente dall’incontro delle volontà appariva inconciliabile con il principio del costante perseguimento dell’interesse della collettività da parte del soggetto pubblico. Altra dottrina dubitava dell’ammissibilità di un contratto tra parti non collocate su di un piano di parità in considerazione del fatto che l’Amministrazione interveniva nella sua veste autoritativa e non come mero contraente privato. Altri autori osservavano che da tali accordi non derivava un obbligo giuridicamente rilevante per l’Amministrazione in quanto questa doveva restare libera di determinarsi nelle sue scelte senza essere legata agli impegni assunti in convenzione.
Gli accordi che comunque intervenivano tra l’Amministrazione ed il cittadino non davano a quest’ultimo adeguata tutela nel caso in cui la parte pubblica, in spregio alle pattuizioni raggiunte, non avesse adottato il provvedimento convenuto o ne avesse adottato uno dal contenuto difforme da quello concordato. Gli strumenti di tutela a disposizione del privato erano costituiti dalla possibilità di esperire il procedimento del silenzio inadempimento per ottenere così un atto da impugnare ovvero dal rimedio di fare annullare il provvedimento in quanto illegittimo per il vizio di eccesso di potere.
Oggi la legge 241/1990, innovando in materia di azione amministrativa, oltre a consentire che le Amministrazioni possano concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune (art. 15), riconosce all’art. 11 che l’Amministrazione, in accoglimento di osservazioni e proposte, può concludere senza pregiudizio dei diritti dei terzi ed, in ogni caso, nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con l’interessato al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero, nei casi previsti dalla legge, in sostituzione di questo.
Si sancisce così il tramonto della tesi secondo la quale il soggetto pubblico debba operare esclusivamente attraverso il modulo unilaterale ed autoritativo come pure l’abbandono dello schema della riservatezza dello svolgimento del procedimento amministrativo. Viene introdotto il principio di partecipazione dei cittadini interessati al procedimento.
Conseguentemente si assiste ad un cambiamento del modello di relazione tra Stato e cittadino. Dal modello autoritativo si passa a quello partecipativo, fondato sul dialogo, sulla collaborazione e sul consenso delle parti pubbliche e private.
Nello spirito della riforma il privato destinatario del provvedimento non si trova più in una totale soggezione di fronte all’esplicazione del potere pubblico; egli è ammesso ad intervenire al procedimento per prospettare e fare valere i propri interessi apportando un contributo alla costruzione del provvedimento finale.
Appare ovvio che con questo istituto si perseguono, in attuazione di quanto è espresso nell’art. 97 della Costituzione, più alti livelli di efficienza, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa perché l’autorità agente è messa in grado di acquisire tutti gli interessi coinvolti nell’azione amministrativa, ponderarli e coordinarli con l’interesse pubblico primario alla cui attuazione è volto l’accordo. Inoltre la negoziazione del contenuto del provvedimento previene conflitti d’interessi ed impugnative da parte del privato interessato con conseguente diminuzione del contenzioso.
Allo stato il procedimento amministrativo può concludersi in due modi:
- attraverso un atto autoritativo ed unilaterale, espressione dell’esercizio di poteri solitari, ove la scelta discrezionale dell’Amministrazione si impone al privato;
- attraverso un accordo ove il privato partecipa al processo di formazione della scelta discrezionale dell’Amministrazione con la formulazione di osservazioni e proposte.
E’ importante precisare che l’amministrazione per accordi in ogni caso rappresenta l’estrinsecazione della funzione amministrativa e l’accordo raggiunto in ogni caso rileva come atto che persegue l’interesse pubblico primario al pari del provvedimento. L’istituto degli accordi non significa delega di potere pubblico in capo al privato. La cura degli interessi pubblici rimane nella titolarità esclusiva dell’Amministrazione. L’accordo verte non sul potere pubblico ma sulle modalità del suo esercizio.
2. Natura giuridica
E’ discussa la natura giuridica degli accordi tra Amministrazione e privato.
Secondo la tesi privatistica questi moduli convenzionali sono riconducibili nel genus del contratto perché sono la risultante dell’incontro delle volontà della parte pubblica e della parte privata. La natura privatistica sarebbe confermata dal rinvio, operato dall’art. 11 della legge 241/1990, ai principi del Codice Civile in materia di obbligazioni e contratti per quanto riguarda la disciplina applicabile, sia pure col limite della
compatibilità per la presenza come parte di un soggetto pubblico portatore di un potere funzionalizzato al perseguimento di fini pubblici.
Il rapporto che si instaura crea reciproci vincoli tra le parti come il contratto di diritto comune anche se si riconosce un privilegio solo alla Pubblica Amministrazione e non al contraente privato in ordine alla facoltà di recesso unilaterale dal vincolo assunto.
Secondo la preferibile tesi pubblicistica queste convenzioni sono da qualificare atti a struttura bilaterale non negoziali aventi come causa la cura degli interessi pubblici e per oggetto l’esercizio del potere. Molti sono gli argomenti a sostegno della natura pubblicistica.
L’uso del termine accordi in luogo di contratto; l’obbligo della forma scritta ad substantiam in deroga al principio civilistico della libertà di forma; il mancato rispetto del principio di uguaglianza tra le parti in quanto all’Amministrazione è riconosciuta una posizione di privilegio, costituito dal potere di sciogliere unilateralmente il vincolo assunto – sia pure in caso di sopravvenute ragioni di necessità – in deroga alla regola dell’art.1373 C.C. che sancisce l’irrevocabilità del consenso espresso.
Inoltre, E in particolare, la diversa concezione della patrimonialità dell’interesse. Nel contratto tale requisito è immancabilmente presente, mentre nell’accordo tra Amministrazione e privato il requisito della patrimonialità assume un significato diverso: qui l’attività è comunque funzionalizzata al perseguimento dell’interesse pubblico anche quando l’amministrazione per il suo raggiungimento deve effettuare valutazioni economiche.
Altro elemento differenziale tra le due figure sta nella diversa rilevanza dei motivi. Il regolamento pattizio di diritto comune è insensibile alle successive vicende degli interessi delle parti e deve essere osservato a prescindere dal fatto che l’assetto di interessi concordato non sia rispondente a quanto sperato dalle parti.
Nell’accordo l’Amministrazione agisce sempre nella veste di titolare di un potere amministrativo discrezionale. L’accordo deve in ogni caso essere stipulato nel perseguimento di un pubblico interesse e, pertanto, questa attività funzionalizzata del soggetto pubblico comporta un regime giuridico dell’atto diverso da quello privatistico che può giustificare anche il recesso dalla convenzione.
Naturalmente va sottolineato che la presenza accanto all’attività pubblica dell’amministrazione di quella privata del cittadino non rendono l’atto finale un atto privato. L’Amministrazione rimane depositaria esclusiva delle scelte discrezionali perché il cittadino non diventa partecipe del potere amministrativo. Senza dubbio l’amministrazione per accordi fa sì che la scelta di azione nel caso concreto non è imposta dall’alto al cittadino ma sia codeterminata e come tale accettata.
3. Tipi
Ai sensi dell’art. 11 della legge citata gli accordi di cui si tratta sono di due tipi: gli accordi sostitutivi del provvedimento e gli accordi integrativi del provvedimento finale e determinativi del contenuto discrezionale dello stesso. Gli accordi di norma intervengono tra Amministrazione e destinatario del provvedimento finale.
L’accordo sostitutivo, come il termine stesso esplicita, tiene luogo del provvedimento finale del procedimento.
L’accordo integrativo o endoprocedimentale non elimina il provvedimento finale; di conseguenza il procedimento si conclude sempre con l’emanazione dell’atto unilaterale nel cui contenuto è trasfuso il contenuto dell’accordo raggiunto.
Secondo la normativa vigente gli accordi sostitutivi non hanno un’applicazione generalizzata perché possono essere conclusi nei soli casi previsti dalla legge. Il legislatore ha voluto evitare che l’accordo sostitutivo diventi uno strumento atipico di azione del soggetto pubblico cui ricorrere per l’esercizio dei poteri amministrativi anche in assenza di specifica previsione normativa. In questa regola si intravede la resistenza del sistema ad ammettere che sia rimesso alle valutazioni di opportunità della Pubblica Amministrazione raggiungere l’accordo da cui scaturiscono in via immediata e diretta gli stessi effetti finali del provvedimento sostituito, senza i controlli e le garanzie previste dall’art. 11.
Per inciso va precisato che l’art. 7 del progetto di legge n. 3890-B sulle modifiche ed integrazioni alla legge
n. 241/1990, che definitivamente approvato dalla Camera nella seduta del 26 gennaio 2005, innovando l’art. 11 della legge 241 in esame, sopprime la regola della tipicità degli accordi sostitutivi, dando cosi il via libera alla piena applicazione dell’istituto. Peraltro viene previsto che a garanzia dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa la stipulazione dell’accordo sia preceduta da una determinazione dell’organo che sarebbe competente per l’adozione del provvedimento.
In ogni caso la previsione che il procedimento si concluda con l’accordo sostitutivo non preclude all’autorità l’emanazione del provvedimento in caso di mancato raggiungimento dell’ accordo e ciò perché, come anzi accennato, l’Amministrazione rimane titolare del potere di agire mediante il tradizionale strumento provvedimentale.
La fungibilità dell’accordo sostitutivo al provvedimento determina l’applicazione della stessa disciplina dei controlli riservata ai provvedimenti. Quindi l’accordo non esplica effetti, pur creando reciproci obblighi e vincoli tra le parti, se non viene superata la fase del controllo.
Per gli accordi integrativi non esistono limiti di applicazione: essi possono essere stipulati per ogni tipo di procedimento. A differenza degli accordi sostitutivi l’ accordo integrativo non è in grado di produrre gli effetti negoziati. Gli effetti costitutivi, estintivi modificativi delle situazioni giuridiche sono riconducibili al provvedimento finale. Di per sé l’accordo in esame produce effetti interinali tra la parte pubblica ed il soggetto privato. La parte stipulante privata, in attesa dell’adozione dell’atto finale, rimane completamente vincolata. L’Amministrazione, per suo canto, è tenuta ad adottare il provvedimento secondo le modalità e nei tempi dell’accordo raggiunto. Se l’amministrazione non adempie agli impegni assunti il privato è titolare di un diritto soggettivo al risarcimento dei danni e può adire il giudice amministrativo per fare dichiarare l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere ad emanare il provvedimento.
Intervenuto il provvedimento questa fattispecie risulta sottoposta ad un duplice regime: si applica la disciplina privatistica limitatamente alla parte di accordo negoziata; per il resto si applica la disciplina propria degli atti amministrativi.
4. Disciplina giuridica
A parte le differenze di regime sopra accennate i due moduli convenzionali sono sottoposti ad una disciplina in parte comune.
Gli accordi devono essere stipulati a pena di nullità per atto scritto salvo che la legge disponga altrimenti. L’onere formale è necessario per garantire la certezza dei rapporti ed i necessari controlli amministrativi. Ad essi si applicano i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili ove non sia diversamente stabilito. Al riguardo è pacifica l’applicazione del principio che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede. Alla stregua di tale principio anche la parte pubblica deve osservare le regole di correttezza, proporzionalità, adeguatezza nella fase di formazione, conclusione ed esecuzione del rapporto, pena l’obbligo di risarcimento del danno.
Sono applicabili anche le regole sull’interpretazione del contratto, sulle condizioni, non quelle sulla rescissione o risoluzione per inadempimento, sul lo scioglimento unilaterale dal vincolo per il quale il legislatore detta una disciplina specifica. Al riguardo l’art. 11 riconosce all’autorità agente il potere di recedere dall’accordo per sopravvenuti motivi di pubblico interesse salvo ed impregiudicato l’indennizzo per i pregiudizi verificatisi in danno del privato.
In dottrina questo potere di recesso viene ricondotto al genus dell’autotutela decisoria. In realtà si tratta di una forma di autotutela “legata”, perché si devono contemperare le ragioni della pubblica autorità a non rimanere vincolata agli impegni assunti, quando sopravvenute situazioni di fatto e di diritto esigono di
riconsiderare l’assetto di interessi raggiunto e le ragioni private. Proprio per queste esigenze l’istituto si pone in una via di mezzo tra il regime di autotutela decisoria ed il regime privatistico.
In materia negoziale vige il principio della irretrattabilità del consenso: infatti l’art. 1373 C. C. sancisce che il contratto ha forza di legge tra le parti e può essere sciolto per mutuo consenso o nei casi previsti dalla legge. In materia di provvedimenti amministrativi non sussiste un analogo vincolo per l’Amministrazione. Ad essa è infatti riconosciuto il potere discrezionale di ritirare il provvedimento emanato quanto ad un riesame l’ha riconosciuto incompatibile con l’interesse pubblico attuale e concreto.
In materia di accordi amministrativi in discorso il potere di recesso è legato nel suo esercizio alla ricorrenza di determinate condizioni. A tutela dell’affidamento ingenerato nella parte privata non basta addurre a giustificazione del suo esercizio una differente valutazione dell’interesse pubblico originariamente valutato. Infatti l’autorità agente può esercitarlo solo in presenza di sopravvenuti motivi di pubblico interesse. Ad esso non si può ricorrere per fare valere vizi di merito dell’accordo né vizi originari di legittimità dell’atto; è pertanto precluso il potere di autotutela di che trattasi per fare valere l’annullamento dell’atto con effetti ex tunc.
Alla luce di queste considerazioni si può concordare con la dottrina più autorevole secondo cui, nonostante il nomen, questa figura si assimila alla revoca dell’atto amministrativo per sopravvenienza distinguendosi dalla stessa perché elimina ex nunc un rapporto e non un atto.
Per il vincolo assunto l’amministrazione agente, prima di esercitare il recesso, deve verificare che gli interessi pubblici sopravvenuti possano essere salvaguardati e soddisfatti solo sacrificando l’attuale assetto di interessi concordato. Inoltre in queste evenienze assume un’importanza rilevante la motivazione dell’atto: è necessario che l’Amministrazione motivi la sopravvenienza delle ragioni obbiettive di pubblico interesse che si pongono a giustificazione del suo esercizio. In mancanza di questi presupposti l’atto posto in essere sarebbe illegittimo per violazioni dei canoni di buona fede e correttezza dell’azione amministrativa e il privato può ricorrere al giudice amministrativo per ottenere la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni.
E’ stato oggetto di discussione la posizione giuridica del privato a fronte dell’esercizio del recesso: si può affermare che il privato si trova in una posizione di interesse legittimo; l’atto originario, esercitato legittimamente il recesso, non diviene illegittimo, ma diventa inopportuna la permanenza del rapporto da esso costituito.
Come contropartita di questa attività lecita l’ordinamento riconosce al privato il diritto all’indennizzo per gli eventuali danni subiti. Si è discusso come dovrebbe essere determinata l’indennità da offrire al privato come
ristoro dello scioglimento del rapporto. In dottrina è stata sostenuta sia la tesi che l’indennizzo dovrebbe coprire le spese ed i costi sostenuti sia la tesi che dovrebbe ristorare il mancato guadagno.
L’ultimo comma dell’art. 11 sancisce che le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi sostitutivi ed integrativi sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
È una soluzione opportuna in quanto nelle situazioni giuridiche soggettive che originano da questi moduli convenzionali si determina una commistione di interessi legittimi e di diritti soggettivi, la cui tutela può essere effettiva solo con l’attribuizione alla giurisdizione di un unico giudice.
È da ritenere che siano di competenza del giudice amministrativo anche le controversie sulla determinazione dell’indennizzo per il caso di recesso. Sul punto prima della legge 205/2000 si sosteneva che le controversie indennitarie fossero attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario in quanto questioni patrimoniali conseguenziali. Con l’intervento della legge 205/2000 è preferibile la tesi che assegna le controversie sulla sussistenza dell’indennizzo e sulla sua quantificazione al giudice amministrativo.
Del pari, a seguito dell’intervento della legge per ultimo citata, il privato può esperire davanti al giudice amministrativo pretese caducatorie, di condanna al risarcimento dei danni, di condanna all’adempimento (per esempio nel caso di illegittimo rifiuto del provvedimento di recepimento dell’accordo integrativo raggiunto). Occorre infine ricordare che gli accordi amministrativi non possono pregiudicare i diritti dei terzi. Questi ultimi sono legittimati ad impugnare davanti al giudice amministrativo direttamente l’accordo sostitutivo o il provvedimento finale nel quale si versa il contenuto dell’accordo sostitutivo.