Audizione Commissione Lavoro Camera dei Deputati del 9 luglio 2019
Audizione Commissione Lavoro Camera dei Deputati del 9 luglio 2019
nell'ambito dell'esame delle proposte di legge C. 707 Polverini, recante norme in materia di rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro, di rappresentatività delle organizzazioni sindacali e di efficacia dei contratti collettivi di lavoro, nonché delega al Governo per l'introduzione di disposizioni sulla collaborazione dei lavoratori alla gestione delle aziende, in attuazione dell'articolo 46 della Costituzione, e C. 788 Xxxxxxxx, recante norme sull'accertamento della rappresentatività delle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro privati
Intervento del Segretario Generale di CNAL-FILP, Xxxxxxxxx Xxxxxx.
In rappresentanza di CNAL-FILP (Confederazione Nazionale Lavoratori-Fronte Italiano per il Lavoro e la Partecipazione) riteniamo che sia ineludibile ed improcrastinabile definire per via legislativa tre questioni fondamentali: il riconoscimento della personalità giuridica del sindacato, la rappresentatività dello stesso, sia sul piano nazionale che territoriale ed aziendale, e la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese.
A tal fine necessita una Legge statale chiara e di ampio respiro, che non sia, però, il mero recepimento di accordi interconfederali, ma che garantisca il rispetto della Costituzione, della democrazia e, quindi, del pluralismo sindacale.
Noi riteniamo che il provvedimento legislativo numero 788 a firma dell’xx. Xxxxxx Xxxxxxxx non risponda a tali principi e a tali obiettivi. Infatti, con tale proposta di legge, in sostanza, si trasforma in Legge l’accordo siglato, il 10 gennaio 2014, da Cgil, Cisl e Uil e da Confindustria, soggetti che non rappresentano la maggioranza dei lavoratori nè tanto meno delle imprese. Infatti, in tale accordo, la parte imprenditoriale è rappresentata solo da Confindustria che, ormai, rappresenta poche multinazionali ma non la struttura reale imprenditoriale italiana, che è formata dalle piccole e medie imprese. Così come per la parte sindacale, le tre Confederazioni non rappresentano il mondo del lavoro, ma solo una minima parte di esso, anche in considerazione della diffusa disaffezione dei lavoratori verso un sindacato oramai superato e che diventa sempre più “azienda” anzichè corpo sociale.
Non si può non riconoscere – e di questo deve tenere conto una Legge che voglia essere quanto più rispondente alla realtà e finalizzata alla vera rappresentanza – che, in tanti settori strategici per il Paese, il mondo del sindacalismo autonomo è maggioranza.
Proprio per gli aspetti fin qui rappresentati, ci appare più completa e adeguata a raggiungere tale scopo la proposta di legge n. 707 a firma dell’xx. Xxxxxx Xxxxxxxxx.
Infatti, tale provvedimento affronta i temi veri che, fino ad oggi, non si è voluto affrontare e che attengono l’attuazione di norme fondamentali della Costituzione, che investono i principi di democrazia, trasparenza e legalità: l’articolo 39 relativo al riconoscimento della personalità giuridica delle Organizzazioni Sindacali e l’articolo 46 in materia di partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese.
Il riconoscimento della personalità giuridica del sindacato è fondamentale per il rispetto del ruolo sociale che il sindacato riveste e ai fini della sua vera rappresentatività.
Il comma 1 dell’art. 39 della Costituzione definisce il principio della libertà sindacale che può essere declinata in molteplici forme: la libertà per le organizzazioni sindacali di determinare in piena autonomia il proprio ambito di attività; la libertà di azione afferente le trattative contrattuali e le relazioni industriali; la libertà per tutti i lavoratori di costituire un sindacato, di aderirvi, di raccogliere contributi etc. la cosiddetta “libertà sindacale positiva”; la libertà per i lavoratori di non aderire ad alcun sindacato e, comunque, di poter ritirare in ogni momento la propria delega, la cosiddetta “libertà sindacale negativa”.
La Costituzione, in maniera inequivoca, ha sancito che non può essere imposto alcun obbligo alle Organizzazioni Sindacali se non la loro registrazione con il conseguente riconoscimento di personalità giuridica. Effettuata la registrazione e la certificazione degli iscritti, le XX.XX. hanno la facoltà di stipulare contratti collettivi nazionali di lavoro con efficacia erga omnes.
Ebbene, tale disposizione non ha mai trovato applicazione, pertanto, i CC.NN.LL. mantengono una efficacia di diritto comune vincolante esclusivamente tra le parti firmatarie, che non può essere estesa alla totalità dei lavoratori. Ciò ha prodotto notevole contenzioso con conseguente giurisprudenza a sostegno della pluralità contrattuale.
Il motivo della mancata applicazione integrale dell’articolo 39 è stata l’opposizione delle XX.XX. maggiormente rappresentative, contrarie ad accettare un meccanismo di registrazione. Tale meccanismo, infatti, presupporrebbe una verifica effettiva del numero di iscritti in ogni categoria e, perciò, una maggiore trasparenza e anche correttezza democratica nella gestione dell’Organizzazione.
Ad oggi, invece, le stesse hanno, pertanto, cercato di regolamentare ed estendere l’efficacia dei contratti collettivi attraverso una regolazione, non legislativa, che avrebbe, di fatto, compresso la libertà sindacale costituzionalmente tutelata, ma attraverso accordi a livello interconfederale, stipulati tra confederazioni sindacali ed imprenditoriali, talvolta anche con la partecipazione del Governo (il Protocollo Ciampi del 23 luglio 1993; l’Accordo quadro sulla riforma del sistema contrattuale del 22 gennaio 2009, quest’ultimo senza la partecipazione della CGIL) (l’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011; il Protocollo d’intesa del 31 maggio 2013; il Testo Unico sulla Rappresentanza del 10 gennaio 2014; l’Accordo interconfederale del 28 febbraio 2018; l’Accordo del 9 marzo 2018).
Ebbene, una legge sulla rappresentatività non è più procrastinabile: non è più possibile legittimare una XX.XX. in base ad un principio del mutuo riconoscimento senza una effettiva verifica ed una certificata misurazione della rappresentatività nazionale che, secondo noi, dovrebbe raggiungere minimo il 4%.
Accertata la rappresentatività nazionale, non si può non considerare e prevedere che, a livello territoriale, di fatti, sussiste un’altra rappresentatività, che è quella aziendale, settoriale e territoriale.
Tale rappresentanza è detenuta da Organizzazioni Sindacali, che rappresentano un numero cospicuo di lavoratori della categoria, anche se non sono firmatarie del CCNL, sottoscritto dalle Confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, e sono legittimate a sottoscrivere Accordi in deroga, nei limiti consentiti dal CCNL, e i cosiddetti Contratti di secondo livello.
Va superata, perciò, l'antica, oramai, definizione di Confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale per passare ad una fase di riconoscimento anche di quelle Confederazioni sindacali rappresentative sul piano territoriale e settoriale.
Analoga differenziazione dovrà essere applicata alle Associazioni dei datori di lavoro, conferendo all'INPS il compito della rilevazione della rappresentanza, che, anche in questo caso, andrà distinta tra rappresentatività nazionale e quella settoriale e territoriale.
Infine, se sul piano nazionale, è necessario che le Organizzazioni sindacali raggiungano una percentuale del 4% per categoria, sui piani territoriali e aziendali va considerato che la percentuale che il sindacato deve raggiungere dovrebbe essere almeno del 10% per la stipula del contratto di secondo livello.
Quindi, accanto alla rappresentatività nazionale, vi è una rappresentatività aziendale e territoriale di cui bisogna tenere conto e che va, quindi, così, disciplinata nella Legge da approvarsi.
Così come bisogna riconoscere la rappresentanza sindacale per quelle organizzazioni che nascono in quelle imprese dove già vige la RSU e magari è stata eletta anche da poco.
Sarebbe, infatti, fortemente antidemocratico non consentire il riconoscimento delle prerogative dei diritti di contrattazione alle Organizzazioni Sindacali che non erano costituite al momento delle elezioni.
Occorre, dunque, una nuova legge sulla rappresentatività che non si fondi soltanto su una capacità rappresentativa numerica, ma anche su una rappresentatività contrattuale a livello aziendale e sulla capacità rappresentativa degli scenari economici e sostanziali.
E’ questa la visione politica che deve essere alla base di una buona legge sulla rappresentatività del sindacato.
Una legge che deve tendere alla vera rappresentanza del lavoratore, alla centralità della contrattazione aziendale e al pluralismo del mondo sindacale.
Altro che “sindacato unico”, come qualcuno, in totale controtendenza rispetto alla volontà popolare, vagheggia!
Identità e rappresentatività territoriale e aziendale del sindacato, dunque.
Altro tema importante è quello della partecipazione. L’art. 46 della Costituzione recita che, ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende.
I lavoratori sono chiamati in causa tutte le volte che l’azienda si trova di fronte alla crisi economica e a subire i più pesanti sacrifici. Ciò che, invece, non trova ancora attuazione in Italia è la partecipazione alla gestione dell’impresa che servirebbe a creare la comunione tra lavoratore e datore di lavoro, la partecipazione ai piani industriali ed anche, probabilmente, la prevenzione delle crisi aziendali.
Quanti fondi pubblici sono stati sprecati e quanta disoccupazione ha creato l’assenza di una verifica costante e di una partecipazione attiva alla gestione dell’impresa di chi vive il posto di lavoro?
Oggi, mentre in Italia il lavoro vive una fase di massima precarietà ed incertezza, ben 21 Paesi europei, dalla Germania fino alla piccola Svezia, da anni, hanno superato le peggiori crisi economiche proprio applicando la partecipazione, con numerose aziende in crisi che hanno trovato una via di uscita grazie alla partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese e alla sinergia che è stata creata tra lavoratori ed imprenditori.
Nei suddetti Paesi si è affermato un modello di “Partecipazione/Condivisione” per la gestione strategica delle imprese attraverso il quale i lavoratori e i sindacati collaborano per lo sviluppo dell’impresa, esercitando una forma effettiva di controllo e di contro-potere verso gli imprenditori e la classe dirigente delle imprese.
In Italia, invece, nonostante l’art. 46 della Costituzione preveda il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione dell’impresa, il contenuto della “partecipazione” non è definito da alcuna norma applicativa.
Inoltre, nel nostro Paese non ha trovato attuazione la direttiva europea 94/45/CE del 22 settembre 1994, riguardante “l’istituzione di un Comitato Aziendale Europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie”.
Ad oggi, l’unica forma seria e costruttiva di rappresentanza e di partecipazione dei lavoratori in azienda legalmente prevista è quella del “rappresentante” per la sicurezza, disciplinata dal D.lgs. 19 settembre 1994, n. 626, in applicazione della direttiva comunitaria 89/391, in materia di sicurezza e salute dei lavoratori sul luogo del lavoro. Ma, seppur importante, tale norma è insufficiente.
Occorre, dunque, che il testo legislativo che codesta Commissione e, poi, il Parlamento, si approssima ad esaminare, declini con precisione e concretezza le modalità di partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa.
Confederazione Nazionale Lavoratori Centro Direzionale Napoli isola G5 – 00000 Xxxxxx
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