COLLEGIO DI NAPOLI
COLLEGIO DI NAPOLI
composto dai signori:
(NA) QUADRI Presidente
(NA) XXXXXXXX Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) MAIMERI Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) RUSSO Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(NA) GUIZZI Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXXXX XXXXXXXX
Nella seduta del 02/09/2014 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
La controversia sottoposta alla cognizione del Collegio concerne il tema della validità di una polizza fideiussoria rilasciata da un intermediario poi risultato non autorizzato al rilascio di fideiussioni nei confronti del pubblico. Questi, in sintesi, i fatti oggetto del procedimento.
Con reclamo presentato per il tramite di un avvocato in data 10 gennaio 2014, l’attuale ricorrente, titolare di un’impresa individuale, si è rivolto all’intermediario attuale resistente, dolendosi del fatto che la fideiussione rilasciatagli da quest’ultimo per ottenere l’autorizzazione alla costruzione di un impianto eolico, era stata ritenuta inidonea dall’ente pubblico competente in quanto era risultato che l’intermediario era iscritto nel solo elenco generale di cui all’art. 106 TUB e non anche a quello speciale di cui all’art. 107 TUB.
A valle del risconto reso dall’intermediario con nota del 28 gennaio 2014, giudicato non del tutto soddisfacente, il ricorrente si è rivolto all’Arbitro Bancario Finanziario reiterando le doglianze del reclamo.
In particolare, in punto di fatto il ricorrente espone di essersi rivolto all’intermediario resistente, individuato attraverso un broker, chiedendogli il rilascio di una polizza fideiussoria a favore dell’ente pubblico competente a garanzia dell’esecuzione delle opere
di ripristino dei luoghi ad avvenuta ultimazione dell’impianto e dei lavori di rimozione dei manufatti e ripristino dei siti a seguito della dismissione. Al momento della sottoscrizione del contratto, il ricorrente, a fronte di un importo garantito pari a € 125.000,00 per la durata di un anno, versava all’intermediario, quale corrispettivo, la somma di € 1.550,00.
Tuttavia, prosegue il ricorrente, rimessa la polizza all’ente pubblico beneficiario, quest’ultimo - in esito ad approfondimenti svolti presso la Banca d’Italia – comunicava di non poter concedere alla parte istante l’autorizzazione in quanto la società emittente, iscritta nel solo elenco generale di cui all’art. 106 TUB e non anche a quello speciale di cui all’art. 107 TUB, non risultava abilitata allo svolgimento nei confronti del pubblico dell’attività di rilascio di fideiussioni. Il ricorrente si è visto, quindi, costretto a richiedere la garanzia ad altro intermediario, sostenendo nuovi costi e subendo danni per il ritardo, pari a “5 mesi accertati”, nell’inizio dei lavori di costruzione dell’impianto, il quale - per godere delle agevolazioni concesse dal GSE - deve essere ultimato entro il 30/12/2014.
Aggiunge ancora il ricorrente di avere, in fase precontrattuale, specificato all’intermediario che il beneficiario della richiesta garanzia era un ente pubblico, in relazione ad un procedimento amministrativo riguardante la realizzazione di un impianto eolico, e che l’intermediario resistente, certamente consapevole di non essere iscritto nell’elenco speciale di cui all’art. 107 TUB, non ha chiarito con grave violazione dei doveri di correttezza di non essere in possesso dei necessari requisiti per l’emissione della polizza.
Sulla base di quanto esposto, il ricorrente ha concluso chiedendo all’Arbitro di accertare la nullità della polizza fideiussoria, in quanto rilasciata dalla società resistente “in carenza di potere” e, conseguentemente, di dichiarare la medesima resistente tenuta alla restituzione del corrispettivo pari a € 1.550,00 , oltre interessi legali e le spese di procedura.
L’intermediario si è costituito depositando controdeduzioni con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il resistente espone, in fatto, di avere, prima della sottoscrizione del contratto, trasmesso al cliente una bozza da sottoporre all’ente beneficiario, “al fine di ottenerne la relativa approvazione”. Solo una volta ricevuto tale benestare, esso ha quindi incassato il corrispettivo concordato, emettendo (in data 8 maggio 2013) l’atto di fideiussione. Prosegue ancora il resistente sottolineando che sol con nota del 10 gennaio 2014, il ricorrente ha contestato la nullità del contratto sottoscritto, e che la controparte ha presentato ricorso all’ABF nonostante la disponibilità manifestata, pur nella convinzione della piena legittimità del proprio operato e della validità della polizza, a restituire il corrispettivo percepito.
Tanto premesso in fatto, il resistente sostiene, in diritto, che il rifiuto dell’atto fideiussorio da parte dell’ente territoriale beneficiario sia stato determinato da un’erronea ricostruzione dei fatti. Secondo il resistente, l’ente pubblico avrebbe innanzitutto erroneamente ritenuto applicabile la disposizione di cui all’art. 75 del d. lgs. n. 163/2006 (il c.d. Codice dei lavori pubblici) all’iter in corso nei confronti dell’impresa istante, benché rientrante nei procedimenti di tipo autorizzatorio e/o concessorio per i quali non sono tout court applicabili le regole dell’evidenza pubblica.
Ma soprattutto, prosegue il resistente, il maggiore equivoco in cui sarebbe caduto l’ente beneficiario della polizza sarebbe collegato all’interpretazione erronea (complice, a suo dire, anche la nota non perspicua dell’Autorità di Xxxxxxxxx) delle modifiche alla disciplina degli intermediari finanziari ex artt. 106 e 107 del TUB, con l’istituzione dell’albo unico in luogo dei due distinti elenchi, previsto dal d. lgs. n. 141/2010 ma non ancora realizzato per mancanza della regolamentazione di attuazione. Xxxxxxx, infatti, il resistente di essere tuttora autorizzato, in quanto iscritto sin dall’11 gennaio 2002 nell’elenco generale degli intermediari finanziari, all’esercizio professionale – ai sensi dell’art. 106 TUB, vecchio
testo – nei confronti del pubblico l’attività di concessione di finanziamenti, di assunzione di partecipazioni e di intermediazione in cambi. In forza del regime transitorio, anche a seguito dell’entrata in vigore della riforma, il resistente potrebbe continuare, quindi, a operare nel settore della concessione di finanziamenti, che include – ai sensi dell’art. 3 del
D.M. 17 febbraio 2009, n. 29 – anche il rilascio di garanzie sostitutive del credito, impegni di firma e fideiussioni. Solo qualora tale ultima attività sia svolta in modo esclusivo, prevalente o rilevante, l’intermediario sarebbe tenuto a iscriversi nell’elenco speciale di cui all’art. 107 TUB, vecchio testo, rimanendo così assoggettata ai poteri di vigilanza prudenziale della Banca d’Italia.
Se ne deduce, quindi, secondo la prospettazione del resistente, che la garanzia prestata è pienamente valida ed efficace, in quanto proveniente da intermediario iscritto nell’elenco generale e che regolarmente svolgeva l’attività di rilascio di fideiussioni in via non esclusiva, prevalente o rilevante. Contraddittoria sarebbe, pertanto, la nota di Banca d’Italia nella parte in cui si dichiara apertamente la società resistente non abilitata al rilascio di garanzie, essendo a tal fine necessario “essere iscritti nel registro speciale di cui all’art. 11 del D.M. n. 29/2009”. Del resto, prosegue il resistente, da una ricerca condotta sul sito dell’Autorità di Xxxxxxxxx, risulterebbe che nessun intermediario è attualmente censito in tale registro speciale, nemmeno gli intermediari di cui all’art. 107 TUB che, secondo quanto dalla stessa Banca d’Italia confermato, possono senz’altro rilasciare fideiussioni e garanzie. Risulterebbe, quindi, ingiustamente penalizzante impedire l’accesso al settore a una società avente le caratteristiche di legge, come la resistente, solo in ragione del mancato censimento in un registro che di fatto non ha iscritti.
A valle della presentazione delle controdeduzioni da parte dell’intermediario, il ricorrente ha trasmesso una nota di replica, con cui precisa, in particolare, sia (i) che la bozza di fideiussione non è stata sottoposta all’ente prima della sottoscrizione e del pagamento del corrispettivo, essendo preclusa una negoziazione preventiva con l’ente pubblico nell’ambito di un procedimento amministrativo, sia (ii) che non sarebbe vero che la prima doglianza in proposito è stata quella formulata in sede di reclamo. Sottolinea al riguardo il ricorrente di essersi subito rivolto al broker attraverso cui aveva individuato il resistente come intermediario non appena avuta notizia dell’inidoneità dell’atto fideiussorio (comunicata dall’amministrazione competente in data 8 settembre 2013). Il ricorrente conferma, infine, che la società resistente aveva manifestato la propria disponibilità a retrocedere l’importo del premio, ma sostiene che nonostante numerose sollecitazioni, l’impegno non è stato soddisfatto.
DIRITTO
Questione preliminare che il Collegio è chiamato a risolvere, al fine di poter decidere nel merito la controversia, è se sia corretto l’assunto sulla base del quale l’ente competente ha respinto come inidonea la garanzia rilasciata dal resistente, ossia che l’intermediario non risulterebbe autorizzato al rilascio di fideiussioni nei confronti del pubblico.
A questo proposito ritiene il Collegio che la ricostruzione operata dall’ente pubblico, sulla scorta della nota della Banca d’Italia, sia corretta e che non pertinenti siano i rilievi addotti, per sostenere il contrario, dal resistente.
Xx xxxxxx, pur se iscritto nell’elenco generale di cui all’art. 106 TUB vecchio testo – che è senz’altro quello a cui occorre fare riferimento ratione temporis - , l’intermediario resistente non è tuttavia in possesso degli specifici requisiti previsti dal decreto ministeriale n. 29/2009 per lo svolgimento in via professionale dell’attività di rilascio di fideiussioni nei confronti del pubblico.
Tale disciplina regolamentare ha, infatti, riconosciuto espressamente al Ministro dell’Economia e delle Finanze, su indicazione della Banca d’Italia, il potere di stabilire requisiti di forma giuridica e patrimoniali ulteriori e/o diversi rispetto a quelli richiesti per l’iscrizione nell’elenco generale. E’ stato così stabilito che lo svolgimento dell’attività di rilascio di garanzie nei confronti del pubblico - sia esso costituito da clienti privati o da pubbliche amministrazioni – è subordinato, inter alia, al possesso di un capitale pari ad almeno € 1,5 milioni di euro investito in attività liquide e mezzi patrimoniali per almeno € 2,5 milioni. Ancora tale disciplina ha stabilito che le società che, dal momento dell’iscrizione nell’elenco ex art. 106 TUB o – se già iscritta – a seguito di variazione del proprio oggetto sociale, intendano esercitare la concessione di garanzia, devono provare di soddisfare le condizioni richieste con l’esibizione della documentazione indicata dal provvedimento BI del 14/5/2009. Nel medesimo provvedimento, si specifica poi che “gli intermediari finanziari inizieranno l’attività di rilascio di garanzie solo dopo aver ricevuto dalla Banca d’Italia la conferma dell’iscrizione sulla base della nuova documentazione prodotta” (art. 12, comma 8).
A mente di quanto precede, appaiono allora assolutamente inconferenti i rilievi svolti dal resistente riguardo alla correttezza delle informazioni rese dalla Banca d’Italia e alla presunta penalizzazione subita. L’Autorità di Xxxxxxxxx si è limitata, infatti, a informare l’amministrazione istante che il resistente non risultava abilitato al rilascio di fideiussioni nei confronti del pubblico. D’altra parte è un fatto non controverso che il resistente non ha mai comunicato l’intendimento di operare nel relativo settore finanziario, né – tantomeno – ha mai provato il possesso dei necessari requisiti patrimoniali.
Chiarito, dunque, che l’intermediario non era autorizzato al rilascio di fideiussioni in favore del pubblico, e che la sua condotta si presenta suscettibile di integrare gli estremi anche della fattispecie delittuosa di abusivo esercizio di attività finanziaria ai sensi dell’art. 132 TUB vecchio testo, la questione che però a questo punto si tratta di affrontare – ed è quella realmente decisiva – è se la violazione delle norme pubblicistiche che stabiliscono i presupposti per il legittimo esercizio dell’attività finanziaria sia destinata anche ad avere incidenza ex se sui contratti in cui tale attività si scandisce e a determinarne l’invalidità.
Si tratta, per vero, di un problema che involge questioni di vertice della teoria non solo del contratto ma anche dell’impresa, e che si riassume nell’interrogativo se alla qualificazione dell’impresa come “illecita” debba conseguire anche una qualificazione in chiave di nullità dei contratti che essa pone in essere.
Il problema è delicato, e lo è in misura ancora più accentuata nel caso che ci occupa, dove ci si confronta con un contratto che si riconduce al paradigma di un contratto tipico, quale appunto la fideiussione, e dove allora è sicuramente più difficile seguire la traiettoria interpretativa consueta, che vorrebbe, in casi del genere, concludere nel senso della nullità virtuale del contratto ai sensi dell’art. 1418, primo comma, cod. civ. Se, infatti, si accede a quell’indirizzo ermeneutico che sottolinea come la nullità virtuale non discenda da ogni violazione di norma imperativa che abbia una qualche connessione con l’attività contrattuale dei privati, ma solo allorché si stabilisca una incompatibilità tra i valori protetti dalla norma e la regola negoziale, si può anche ragionevolmente dubitare che in casi come quello di specie una simile incompatibilità davvero sussista, così come si potrebbe anche dubitare che la qualificazione in chiave di nullità del contratto sia la soluzione più appropriata per la tutela degli interessi individuali coinvolti (e basti pensare, in un contesto come quello che ci occupa, al fatto che affermare la nullità del contratto se, per un verso, significa – ed è quanto rileva nel caso in esame – permettere al debitore garantito di ottenere la restituzione del corrispettivo pagato per il rilascio della fideiussione, per altro verso significa anche accordare un beneficio allo stesso intermediario, il quale potrà evidentemente sottrarsi, evocando la nullità, all’adempimento dei suoi obblighi nei
confronti di quanti, tra i beneficiari di garanzie abusivamente rilasciate, al verificarsi dei relativi presupposti, intendessero procedere egualmente alla loro escussione).
E tuttavia, pur non potendosi disconoscere che la conclusione della nullità del contratto presenta alcuni profili di criticità, sembra al Collegio che essa sia quella in casi del genere da privilegiare, ancorché sulla base di una considerazione diversa da quella consueta, che invoca genericamente il contrasto con le norme imperative disciplinanti l’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria e, dunque, predica la nullità virtuale del contratto ex art. 1418 c.c.
Ritiene, infatti, il Collegio che se, in casi del genere, di nullità dell’atto di autonomia negoziale si può (e si deve) parlare, ciò avviene perché il contratto attraverso cui si scandice l’attività di impresa è caratterizzato – com’è stato detto con espressiva formula in quello che è ancora oggi il fondamentale studio in argomento – da una “inerenza teleologica e strutturale” alla stessa, con la conseguenza che in tali casi è la sua funzione che finisce per risultare illecita, giacché se al contratto non si comunicasse il disvalore espresso dalla illiceità dell’attività esso fungerebbe da strumento per conseguire proprio le utilità complessive di un’attività che risulta essere vietata.
Insomma, quel che si intende sottolineare è che l’inerenza dell’atto all’attività fa sì che sia la concreta causa negoziale del contratto a risultare illecita, il che è allora quanto consente
– in un caso come quello che ci occupa con cui ci si confronta con uno schema contrattuale tipico, quale appunto la fideiussione – di concludere per la nullità.
Alla luce di quanto esposto, deve pertanto dichiararsi la nullità della fideiussione e conseguentemente dichiararsi l’intermediario tenuto a restituire al ricorrente la somma di € 1.550,00, da questi versata come corrispettivo, oltre interessi legali: interessi la cui decorrenza deve fissarsi dalla data in cui è stato eseguito il pagamento, dovendosi ritenere l’intermediario accipiens di mala fede ai sensi dell’art. 2033 cod. civ., e ciò proprio in ragione del fatto che esso era ragionevolmente consapevole di svolgere l’attività di rilascio di garanzie nei confronti del pubblico senza soddisfare i requisiti prescritti dalla normativa.
Non sembra, invece, al Collegio che possa accogliersi la richiesta di rimborso delle spese di procedura, se con essa il ricorrente intende ottenere in particolare il rimborso delle spese di difesa, e ciò anche in considerazione del fatto che comunque l’intermediario già a valle delle controdeduzioni si era offerto di restituire il corrispettivo, come riconosce del resto lo stesso ricorrente nelle repliche, senza peraltro dare sufficiente prova di avere cercato di ottenere l’adempimento spontaneo della prestazione restitutoria.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, il Collegio dichiara l’intermediario tenuto alla restituzione dell’importo di € 1.550,00, oltre interessi legali dalla data del pagamento. Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di € 200,00 quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente la somma di € 20,00 quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1