COLLEGIO DI MILANO
COLLEGIO DI MILANO
composto dai signori:
(MI) GAMBARO Presidente
(MI) LUCCHINI GUASTALLA Membro designato dalla Banca d'Italia (MI) SANGIOVANNI Membro designato dalla Banca d'Italia
(MI) SANTARELLI Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(MI) GIRINO Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXXXX XXXXXX
Nella seduta del 23/01/2014 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
In data 8 marzo 2006 una società vendeva ad un’altra società, per un importo pari a
€ 17.448.000 oltre IVA, un complesso immobiliare che veniva acquisito in pari data dall’intermediario resistente per € 24.000.000 oltre IVA. Sempre lo stesso giorno, quest’ultimo stipulava con un terza società un contratto di leasing di pari valore avente ad oggetto il medesimo immobile. In data 20 maggio 2008 la società ricorrente subentrava quale utilizzatrice nel contratto che le parti, ricorrente e resistente, poi estingueranno anticipatamente il 10 giugno 2010. Con avviso di accertamento per l’anno 2006 datato 29 dicembre 2011, l’Agenzia delle Entrate contestava al resistente e alle altre società sopracitate l’aver, attraverso l’articolata operazione compiuta l’8 marzo 2006, perseguito l’intento “di far ottenere disponibilità finanziarie al gruppo imprenditoriale riconducibile all’utilizzatrice, prescindendo dall’effettivo valore del bene oggetto del contratto” da cui la “volontà simulatoria in capo ai partecipanti, società di leasing inclusa” ravvisabile “principalmente nella sproporzione tra il prezzo di acquisto dei beni oggetto di leasing di [società prima acquirente il complesso immobiliare] e quello di cessione a [intermediario
resistente], considerato che tali atti si sono conclusi dinanzi allo stesso notaio. (...) E’ accaduto quindi che in un solo giorno, l’immobile ha subito una rivalutazione di circa il 38%”. In questo modo la società originaria venditrice avrebbe beneficiato, in tesi dell’ufficio accertatore, di ulteriori disponibilità finanziarie liquide direttamente erogate dal resistente, sotto forma di corrispettivo superiore al valore di mercato del bene. Con particolare riguardo al resistente, l’Agenzia delle Entrate ne sottolineava da un lato “la piena consapevolezza che l’intento delle parti era, tra gli altri, quello di porre in essere un’azione evasiva nei confronti del fisco, nonché priva di ogni ragione economica”, dall’altro l’indebita detrazione IVA per complessivi € 1.310.400 calcolata sulla quota imponibile che costituirebbe finanziamento (€ 6.552.000), in quanto tale invece esente dall’imposta. Siffatto accertamento veniva impugnato dal resistente che incaricava all’uopo dei legali di fiducia (v. fattura all. al ricorso).
L’8 febbraio 2013 il resistente emetteva nei confronti della ricorrente una fattura di €
14.598,09 con causale “rimborsi spese legali ‘immobiliare’ – consulenza e rappresentanza in giudizio per l’avviso di accertamento [di cui sopra]. A questo punto seguiva uno scambio di comunicazioni tra le parti in cui per un verso la ricorrente contestava l’addebito dell’importo fatturato dall’intermediario, non rilevando il presupposto in ragione del quale quest’ultimo le avesse richiesto il rimborso delle predette spese legali, per altro verso il resistente sosteneva che l’addebito era avvenuto in osservanza delle disposizioni contrattuali e in proporzione tra le parti coinvolte nell’operazione di leasing. Specificamente, il resistente evidenziava come il fondamento della pretesa risiedesse nelle Condizioni Generali di Contratto, il cui art. 4 prevedeva “...l’utilizzatore si obbliga inoltre a tenere indenne il concedente e, quindi, a risarcirlo dietro sua semplice richiesta di tutte le spese di carattere legale o giudiziale, ivi compresi gli onorari ed i compensi di qualsiasi natura spettanti ad avvocati, consulenti anche tecnici e professionisti in genere, agenzie specializzate nel recupero dei crediti, che il concedente medesimo dovesse sostenere in relazione sia alla conclusione, esecuzione o risoluzione del presente contratto sia all’acquisto, alla proprietà, all’utilizzo o alla restituzione dell’immobile, ed in dipendenza da iniziative, anche giudiziali, assunte sia nei confronti o da parte di terzi sia nei confronti o da parte dello stesso utilizzatore (...). Pertanto il resistente invitava la ricorrente al saldo della fattura.
In data 6 giugno 2013 la ricorrente sporgeva reclamo, nuovamente contestando la
pretesa creditoria del resistente che non poteva trovare ragione nel citato art. 10 delle Condizioni Generali, non potendosi infatti ricondurre, l’esborso né direttamente né indirettamente “alla conclusione o risoluzione del contratto” ovvero “all’acquisto, alla proprietà o all’uso dell’immobile”, le spese legali rilevando invero quali spese accessorie connesse unicamente ad un‘autonoma scelta del resistente – l’indebita detrazione IVA per il 2006 – al quale l’utilizzatore risultava del tutto estraneo.
Non avendo ottenuto riscontro al reclamo, la ricorrente presentava ricorso il 30 luglio 2013 domandando l’accertamento dell’infondatezza della pretesa del resistente e della conseguente insussistenza di obbligo alcuno a carico della società. A supporto della propria istanza la ricorrente, dopo aver narrato i fatti come sopra descritti, poneva l’accento sul più volte citato art. 10, rilevandone primariamente l’invalidità/inefficacia per indeterminatezza/indeterminabilità dell’oggetto, laddove la clausola prevedeva che l’utilizzatore dovesse farsi carico di tutte le spese, imposte e tasse “anche di cui le parti
al momento non abbiano la possibilità di quantificare l’ammontare o prevedere l’esistenza”; in seconda istanza, contestandone comunque l’applicabilità al caso di specie altrimenti dovendosi ritenere la ratio dell’articolo nel riversare sull’utilizzatore le conseguenze economiche di atti (anche illeciti) unilateralmente ed arbitrariamente posti in essere dalla controparte. Infatti, l’Agenzia delle Entrate aveva accertato a carico del
resistente una maggiore IVA a debito per € 20.143.850, fatto al quale la ricorrente era del tutto estranea e relativamente al quale non poteva essere chiamata in causa anche solo a titolo di partecipazione alle spese. Inoltre precisava come la fattispecie della cessione del contratto realizzasse una successione a titolo particolare nel rapporto giuridico, il che, nel caso in lite, aveva comportato per la ricorrente il subentro esclusivamente nel contratto di locazione finanziaria, giammai nella rete dei rapporti “a monte” originanti l’accertamento fiscale.
Nelle controdeduzioni depositate il successivo 3 ottobre, il resistente innanzitutto sosteneva di aver inoltrato risposta al reclamo, procedendo poi a contestare nel dettaglio le singole istanze della ricorrente. Con riguardo all’eccezione di invalidità/inefficacia della clausola n. 10, evidenziava come l’art. 1346 c.c. non andasse inteso in senso rigoroso, dovendosi invece ritenere sufficientemente identificato un oggetto di cui fossero indicati gli elementi essenziali che non lasciassero dubbi sull’identità dello stesso prevista e voluta dai contraenti. Precisamente l’art. 10 conteneva l’indicazione generale che specifica le voci di costo come tale sufficiente a conferire concretezza e determinabilità all’oggetto. Inoltre, le clausole di esonero da responsabilità e quelle regolanti il trasferimento di ogni rischio sull’utilizzatore dovevano apprezzarsi alla luce vuoi del collegamento contrattuale intercorrente tra il contratto di locazione finanziaria e di compravendita, vuoi del fatto che il concedente non aveva alcun interesse ad acquisire né la proprietà né la disponibilità materiale del bene, limitandosi a finanziare l’operazione per assicurare la disponibilità del bene stesso da parte dell’utilizzatore. In riferimento all’inapplicabilità della clausola al contratto di leasing, riteneva il resistente che le spese oggetto di contestazione non rappresentassero una sanzione né costi/oneri conseguenti ad atti unilaterali posti in essere dalla concedente, quanto piuttosto costi a titolo di spese legali che l’Intermediario era stato chiamato a sostenere per lo svolgimento delle attività difensive nell’ambito di un procedimento tributario avente ad oggetto “la liceità della complessiva operazione di acquisto e concessione in locazione finanziaria del bene oggetto del contratto in esame”. Infine, risultava chiaro come, con la sottoscrizione del negozio di cessione, la ricorrente/cessionaria, oltre ad aver assunto l’obbligo di pagare i residui canoni di locazione e (eventualmente) il prezzo di riscatto, si fosse impegnata a rispettare tutte le clausole contrattuali stipulate dalla società cedente. Pertanto il resistente richiedeva all’Arbitro il rigetto del ricorso in quanto infondato.
DIRITTO
La controversia verte in merito al riaddebito di spese legali, sostenute dall’intermediario resistente (società concedente) e da questi rifatturate, nella misura di euro 14.598,09 euro, al cliente (utilizzatore in regime di leasing) in relazione ad un contenzioso tributario che avrebbe coinvolto l’immobile oggetto del contratto di locazione finanziaria.
In via preliminare, il Collegio è chiamato ad esprimersi sull’ammissibilità della domanda svolta dalla ricorrente e tesa all’accertamento negativo della debenza fondata sulla nullità della clausola contrattuale che avrebbe consentito la suddetta rifatturazione. Sostiene la ricorrente che la clausola sarebbe nulla per contrasto con l’art. 1346 c.c. in ragione della carenza del requisito di determinabilità dell’oggetto della prestazione.
Il Collegio è privo di potestà decisionale sulla predetta domanda fondata sul rilievo di nullità in ragione dei limiti di competenza temporale stabiliti dalla Sez. I, § 4, 2° alinea Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (in breve “Reg. ABF”). Tale norma, che esclude la
competenza dell’Arbitro Bancario Finanziario per fatti o comportamenti anteriori al 1.1.2009, va intesa nel senso che, in caso di controversia avente ad oggetto un rapporto di durata sorto anteriormente al limite temporale cognitivo posto dal Reg. ABF ma ancora efficace (i.e. produttivo di effetti) successivamente a tale data, occorra aver riguardo al petitum onde verificare se esso si fondi su vizi genetici del rapporto (nel qual caso vi sarà incompetenza temporale) oppure su una divergenza tra le parti che riguardi effetti del negozio giuridico prodottisi successivamente al predetto limite (nel qual caso vi sarà competenza temporale).
Nel caso di specie la domanda imperniata sulla nullità è basata su un asserito vizio della clausola, venuta ad esistenza sin dalla sottoscrizione del contratto che ha avuto luogo nel 2006. La successiva cessione grazie alla quale l’odierna ricorrente è subentrata nella posizione dell’originaria utilizzatrice a sua volta è avvenuta nel maggio 2008. Si verte dunque in tema di un vizio genetico che si colloca in data anteriore al limite temporale sopra richiamato. Ne consegue che la domanda di nullità non può essere valutata in quanto esula dalla competenza decisionale ratione temporis di questo Arbitro.
Di converso, la fatturazione effettuata dal resistente in forza della predetta clausola ha avuto luogo nel gennaio 2013. Ne consegue che, fermo il limite di non conoscibilità della lamentata causa di nullità, questo Arbitro conserva invece il potere di conoscere della sua applicazione onde giudicare se la stessa sia lecita nel caso di specie e di conseguenza statuire sulla domanda tesa ad accertare la non debenza dell’importo richiesto.
Nel merito, la clausola in questione, secondo uno stilema ricorrente nella contrattualistica di leasing e del resto giustificato in ragione del ruolo meramente finanziario svolto dall’intermediario, dispone che gravino sull’utilizzatore determinate voci di spesa e, per quanto qui rileva, specificamente essa recita: “...l’utilizzatore si obbliga inoltre a tenere indenne il concedente e, quindi, a risarcirlo dietro sua semplice richiesta di tutte le spese di carattere legale o giudiziale, ivi compresi gli onorari ed i compensi di qualsiasi natura spettanti ad avvocati, consulenti anche tecnici e professionisti in genere, agenzie specializzate nel recupero dei crediti, che il concedente medesimo dovesse sostenere in relazione sia alla conclusione, esecuzione o risoluzione del presente contratto sia all’acquisto, alla proprietà, all’utilizzo o alla restituzione dell’immobile, ed in dipendenza da iniziative, anche giudiziali, assunte sia nei confronti o da parte di terzi sia nei confronti o da parte dello stesso utilizzatore (...)”. La difesa della ricorrente, oltre al menzionato (e quivi, per le anzidette ragioni, non sindacabile) motivo di nullità, ha altresì argomentato la sua domanda sostenendo, per un verso, l’inapplicabilità al caso di specie della suddetta pattuizione che verrebbe piegata e distorta verso il perseguimento di un fine diverso da quello suo proprio (ossia, a detta della ricorrente, di riversare sull’utilizzatore le conseguenze economiche derivanti dal compimento di atti unilateralmente ed arbitrariamente posti in essere dall’altra parte) e, per altro verso, che il subentro dell’odierna ricorrente nella posizione del contraente originario per effetto di cessione deve intendersi limitato al solo rapporto derivante dal contratto di locazione finanziaria e “non anche esteso ai più complessi rapporti ‘a monte’ di tale contratto”, rapporti quest’ultimi che sarebbero stati all’origine dell’avviso di accertamento.
La seconda argomentazione non persuade il Collegio. L’estraneità dell’odierna
ricorrente alla fase genetica del negozio non sarebbe di per sé sufficiente ad esimerla dal rispetto della condizione contrattuale in parola: il subentro derivante dalla cessione implica infatti una totale sostituzione del cessionario al cedente e dunque l’applicazione dell’intero pattuito. Al contrario la prima argomentazione, afferendo alla determinazione del perimetro di applicabilità della clausola, merita ogni più debita riflessione.
L’avviso di accertamento, da cui ha preso le mosse il procedimento giudiziario che ha visto coinvolto l’intermediario resistente, era diretto negli esclusivi confronti di quest’ultimo a cui si contestava l’indebita detrazione dell’Iva sull’acquisto tanto dell’immobile oggetto del contratto qui controverso quanto di altri immobili di altri soggetti. In tesi, l’avviso di accertamento (che il resistente ha trasmesso alla ricorrente solo parzialmente e con l’oscurazione dei nominativi degli altri soggetti coinvolti e che la ricorrente ha di conseguenza depositato in tale menomata forma) si appunta sulla pretesa sopravvalutazione degli immobili rispetto al loro effettivo valore di mercato e ciò al fine di costituire, in favore dell’utilizzatore (in caso di lease-back) ovvero ad un venditore ad esso collegato o correlato (in caso di leasing ordinario), una provvista supplementare, la quale, sempre a detta dell’ufficio accertatore, integrerebbe un dissimilato rapporto di finanziamento ulteriore e diverso rispetto a quello su cui si impernia la locazione finanziaria. Di tal guisa, il resistente concedente avrebbe procurato siffatto improprio finanziamento sotto le mentite spoglie di un (eccessivo) prezzo di acquisto, come tale gravato di Xxx, che quindi il resistente avrebbe portato in detrazione, secondo l’ufficio, indebitamente a motivo del descritto dissimulato rapporto. Donde il contenzioso con l’Erario, donde la necessità di sostenere un costo difensivo, donde infine la rifatturazione pro quota (posto che l’accertamento riguardava svariate diverse posizioni) del relativo costo in capo alla ricorrente.
Ritiene questo Arbitro che la spesa defensionale in questione non possa ricadere
nell’alveo dei costi di cui la clausola summenzionata dispone l’addossamento a carico del cliente. Due le ragioni che fondano detto convincimento in capo al Collegio.
In primo luogo, il tenore della clausola è inequivoco nel riversare sull’utilizzatore i costi in parola solo se afferenti “alla conclusione, esecuzione o risoluzione” del contratto ovvero “all’acquisto, alla proprietà o all’uso dell’immobile”. Deve dunque trattarsi di spese defensionali che il resistente abbia sostenuto in contenziosi che abbiano riguardato il contratto ovvero l’acquisto, la titolarità o l’uso del bene. Non è chi non veda come nel caso in parola, la pretesa erariale sia incentrata non già sulla conclusione, risoluzione, esecuzione del contratto di leasing né sull’acquisto, sul possesso o sull’uso del bene, bensì su quell’ulteriore, diverso e in tesi dissimulato rapporto di finanziamento che si sarebbe sovrapposto al contratto di leasing grazie alla sopravvalutazione del bene. Ulteriore, diverso, dissimulato rapporto di finanziamento che dunque non può in alcun modo ricondursi al contratto di leasing. E, si noti, la conclusione non muterebbe anche quand’anche l’originario stipulante, cui la ricorrente è subentrata, pur fosse partecipe dell’ordito denunciato dall’ufficio. Quivi prescindendo dalle responsabilità delle parti (e financo dal fondamento della pretesa erariale e dall’esito – rimasto ignoto nel presente procedimento – del contenzioso), il distinguo fra i due sovrapposti segmenti contrattuali, ossia il leasing “a prezzo giusto” e il dissimulato finanziamento mediante la lievitazione del prezzo, fa sì che, in ogni caso, non possa al secondo e distinto rapporto applicarsi la disciplina del primo.
In secondo luogo, la contestazione dell’ufficio si appunta non già sull’invalidità del
contratto di leasing né, parrebbe, sulla liceità in sé della pattuizione di un prezzo eccessivo in fase di acquisto (altro sarebbe stata, in tutta evidenza, la contestazione di un prezzo vile ai fini di una ripresa della minore imposta pagata) bensì sulla conseguente e autonoma scelta del resistente di portare in detrazione l’Iva afferente al sovrappiù pagato rispetto al valore effettivo. Il processo causativo del fatto oggetto di contestazione vede quale esclusivo protagonista l’intermediario resistente e si fonda sulla condotta da questi tenuta successivamente all’operazione di acquisto. In effetti, là dove il resistente non avesse portato in detrazione l’imposta pagata (rectius, la proporzionale quota di imposta afferente all’eccedenza di prezzo), l’ufficio nulla avrebbe rilevato nell’operazione in parola.
Quanto precede vale dunque a riconoscere pieno fondamento all’argomentazione della ricorrente circa l’inapplicabilità della clausola sopracitata alla refusione di spese giudiziali sostenute per la difesa in un procedimento provocato da una contestazione che prescinde dal contratto di leasing per isolarvi, al suo interno, un diverso e dissimulato rapporto.
Ne consegue il pieno accoglimento del ricorso.
P.Q.M.
Il Collegio accoglie il ricorso e accerta l’insussistenza di ogni obbligo della ricorrente a provvedere ai versamenti richiesti dall’intermediario per i fatti di cui in controversia.
Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di € 200,00 quale contributo alle spese della procedura, e alla ricorrente la somma di € 20,00 quale rimborso della somma versata alla presentazione del presente ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1