CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO
CONSIGLIO NAZIONALE DEL NOTARIATO
Studio n. 1-2011/I
Il “contratto di rete”
Approvato dalla Commissione studi d’impresa il 20 aprile 2011
Sommario: 1. La rete (contrattuale) di imprese; 2. Le parti, la forma e la pubblicità del contratto; 3. La rilevanza della funzione del contratto sottostante al fine di configurare una rete normativamente riconosciuta; 4. Del possibile contenuto del contratto che fonda una rete di imprese; I. Il programma di rete; II. Le cause di recesso (e di esclusione); III. L’adesione di ulteriori contraenti; IV. Le decisioni dei partecipanti; V. Ulteriori possibili clausole: sanzioni per l’inadempimento degli obblighi contrattuali, uffici, “logo” comune; 5. L’amministrazione e la rappresentanza; 6. Il fondo patrimoniale comune.
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1. La rete (contrattuale) di imprese
Introdotto nel nostro ordinamento con l’art. 3 comma 4-ter del decreto legge 10 febbraio 2009, n.5, convertito, con modificazioni, dalla L.9 aprile 2009, n.33, e poi oggetto di una significativa rivisitazione ad opera della L.122/2010, il “contratto di rete” ha certamente attratto l’interesse degli operatori, desiderosi di coglierne appieno le potenzialità di strumento di rafforzamento delle strutture imprenditoriali, oggi particolarmente indebolite dalle contingenze storiche.
Ai sensi del vigente comma 4-ter dell’art. 3 del D.L. 5/2009, “con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati, attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica, ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa”. Si prevede, nel medesimo alinea, la possibilità (e non la necessità) di istituire un fondo patrimoniale comune e di nominare “un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o di fasi dello stesso”.
L’analisi del quadro normativo complessivo sembra evidenziare l’assenza di regole civilistiche caratterizzanti, eccezione fatta, a tutto concedere, per quelle relative alla responsabilità patrimoniale in caso di costituzione (facoltativa – lo si sottolinea ancora) di un fondo comune, regole enunciate tramite un difficoltoso rinvio agli art. 2614 e 2615 c.c., “in quanto compatibili”.
Al contempo, ed in chiara funzione incentivante, la conclusione di “contratti di rete” è premiata con il riconoscimento di alcuni vantaggi fiscali alle imprese partecipanti in relazione agli utili investiti nel programma comune (1) e con l’applicazione delle disposizioni dell’art. 1, comma 368, lettere b), c) e d) della l. 23 dicembre 2005 n. 266, sui distretti produttivi, previa autorizzazione ministeriale. Atteso ciò, e sebbene un impiego non adeguatamente sorvegliato nella terminologia possa indurre diverse suggestioni, l’immagine che sembra affiorare dal tessuto normativo è quella, non già di un tipo contrattuale nuovo (2) (cioè di un modello di accordo a contenuto patrimoniale precostituito dalla legge per integrare, temperare, rifiutare o rimpiazzare regole convenzionali fissate dai paciscenti, nell’esercizio della libertà loro riconosciuta dall’art. 1322 c.c.), bensì di un insieme di requisiti (clausole, vincoli formali) in presenza dei quali contratti, genericamente funzionali alla cooperazione interaziendale, comunque nominati, consentono alle imprese contraenti di beneficiare delle agevolazioni e delle politiche di sostegno nazionali.
In altri termini, la disposizione in esame sembra non già offrire cittadinanza nel nostro ordinamento ad un nuovo tipo contrattuale, ma soltanto fondare la nozione di “rete di imprese” quale antecedente di agevolazioni e immunità, nozione rintracciabile ed operante al fine predetto indipendentemente dalla qualificazione tipologica del contratto di volta in volta concluso (3).
L’intento sembra pertanto quello di legare “l’applicazione delle norme sulle reti all’esistenza di un accordo contrattuale del quale vengono delineati i contorni” (4).
Si ha così “rete di imprese”, ai sensi dell’art. 3 comma 4-ter del D.L.5/2009, ogniqualvolta un contratto plurilaterale di cooperazione interaziendale, comunque qualificato secondo il diritto comune (consorzio senza attività esterna, associazione temporanea di imprese ….), e, perfino, contratti di scambio (eventualmente collegati) conclusi in funzione della predetta cooperazione (appalti, somministrazioni ecc.) presentino i requisiti di contenuto e di forma previsti nella disposizione citata (5). Sembrerebbe, tuttavia, da escludere dalla tipologia contrattuale compatibile con la nozione di “rete di imprese”, di cui alla legge in esame, il consorzio con attività esterna, stante che questo si caratterizza per e comporta l’applicazione di una disciplina che – come si chiarirà (v. infra §§ 5 e 6) – è irriducibile alle condizioni di qualificazione di una collaborazione interaziendale come “rete d’imprese”; e ciò in punto di (i) entificazione, (ii) organizzazione - necessariamente corporativa, nel consorzio, cioè articolata per competenze distinte e correlate
figure decisionali e dichiarative (uffici ed organi) - e (iii) di regime pubblicitario. Giova, peraltro, subito rilevare che un’interpretazione (solo o prevalentemente attenta al dato) letterale del testo normativo solleverebbe, in un’ottica costituzionalmente sensibile, un serio problema di violazione del principio di parità di trattamento, posto che, irragionevolmente, i benefici di legge verrebbero negati a iniziative di integrazione interaziendale proprio quando queste sono – come è da dirsi per i consorzi con attività esterna - più stabili, evolute e riconoscibili (perché, appunto, entificate, organizzate corporativamente e soggette a pubblicità come tali). Il che potrebbe legittimare una coraggiosa interpretazione, costituzionalmente orientata, che, dando prevalenza alla ratio legis sui vincoli testuali, includesse tra le “reti d’imprese” qui considerate anche quelle risultanti da un consorzio con attività esterna (6).
Alla qualificazione come “rete” del contratto (comunque denominato) consegue l’accesso alle provvidenze ed ai vantaggi che una qualsiasi legge riconosce alle imprese che “fanno” rete, essendo questa, se non l’unica, almeno la principale ragione della disciplina in esame. E salvo quanto eventualmente sarà possibile ricavare in via interpretativa dal rinvio alle norme contenute negli artt.2614 e 2615 c.c., in quanto compatibili.
Dall’esame testuale complessivo dell’articolato normativo sembra emergere che elementi necessari per dar luogo ad una rete “riconosciuta” siano:
a) la presenza di almeno due imprenditori;
b) l’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva sul mercato;
c) la determinazione di modalità concordate fra le parti per misurare l’avanzamento, individuale e collettivo, verso tali obiettivi;
d) la definizione del programma di rete, che contenga l’enunciazione dei diritti ed egli obblighi assunti da ciascun partecipante, e le modalità di realizzazione delle scopo comune;
e) la durata del contratto;
f) le modalità di adesione di altri imprenditori;
g) le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune.
Ogni altro profilo (lato sensu) organizzativo, sebbene indicato dalla legge, è eventuale (7), e la sua assenza non assume rilievo agli effetti del riconoscimento dell’accordo interaziendale, comunque nominato, come rete di imprese (sempre ai fini della legge in discorso).
All’impostazione proposta consegue che l’analisi delle norme dell’art. 3 comma 4-ter del D.L. 5/2009, come novellato, si riduce ad un excursus, per lo più di valenza esemplificativa, delle
clausole che devono formare il contenuto dell’accordo interaziendale perché si dia luogo ad una rete “riconosciuta” agli effetti di questa legge e di quante le siano ancorate, ferma la necessità che i patti siano conformi alle regole dettate per il tipo cui è eventualmente ascrivibile l’accordo medesimo.
2. Le parti, la forma e la pubblicità del contratto
Alla rete funzionale al conseguimento dei vantaggi normativi possono partecipare solo imprenditori (8). Senza discriminazione, parrebbe, tra imprenditori commerciali e agricoli, da un lato, e piccoli e medio-grandi dall’altro. Ed in questo senso depone anche, in prospettiva sistematica, il comma 367 dell’art. 1 della legge che contempla i distretti produttivi (266/2005), laddove prevede che “l’'adesione [ai distretti] da parte di imprese industriali, dei servizi, turistiche ed agricole e della pesca è libera”.
Per converso, architettura, contenuti della disciplina e obiettivi di politica legislativa sottesi sembrano precludere aperture interpretative ad enti di erogazione o professionisti.
In tal senso milita anche la regola per la quale “il contratto di rete è soggetto ad iscrizione nella sezione del Registro delle Imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante” (comma 4- quater [enfasi aggiunta]), che presuppone la qualità di imprenditore di ogni partecipante (9).
In ragione del fatto che la qualità di imprenditore di persone od enti deve, ai fini delle legge in esame, risultare dall’iscrizione nel registro delle imprese, diviene, in questo contesto, inutile riproporre la storica questione del momento a decorrere dal quale taluno può essere considerato imprenditore.
In ordine alla forma, la legge prescrive che il contratto “deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata”; ma solo “ai fini degli adempimenti pubblicitari di cui al comma 4 quater”. In coerenza alla ricostruzione prospettata, il requisito di forma ad substantiam è quello eventualmente previsto dalla disciplina del tipo contrattuale sottostante (10); la forma prevista dalla legge in esame essendo classificabile come meramente “integrativa”, cioè condizionante la qualificazione come “rete d’imprese” e l’accesso ai benefici che tale qualificazione comporta.
La nuova formulazione del comma 4-quater prevede che “l’efficacia del contratto inizia a decorrere da quando è stata eseguita l’ultima delle iscrizioni prescritte a carico di tutti coloro che ne sono stati sottoscrittori originari”.
La lettera della norma si presta ad alimentare suggestioni inesatte: l’efficacia cui fa riferimento deve essere intesa non già come idoneità del contratto interaziendale stipulato a
produrre effetti fra le parti (ex art. 1372 c.c.), ma come rilevanza del medesimo quale (atto costitutivo di una) rete di imprese a tutti gli effetti normativamente ricollegati a tale qualificazione. La ragione della scelta normativa sembra ravvisabile nella volontà di evitare che i partecipanti possano sfruttare in maniera impropria i vantaggi, anche fiscali, che la legge connette alla partecipazione alla rete (11), ed è funzionale all’obiettivo di incentivare, fra l’altro, l’istituzionalizzazione delle forme di collaborazione e di coordinamento fra imprese fino ad ora
vissute nella prassi.
Ai medesimi oneri, formale e pubblicitario, sono naturalmente assoggettate anche le modifiche contrattuali, nonché i mutamenti soggettivi dei contraenti, poiché la pubblicità viene eseguita con riferimento ad ogni impresa partecipante, come se si trattasse di “qualità” di quest’ultima, e, pertanto, ogni nuova adesione, così come ogni recesso, dovranno risultare da atto pubblico o scrittura privata autenticata ai fini dell’adempimento degli obblighi pubblicitari.
Poiché le prescrizioni formali sono dirette, per quanto ora detto, ad evitare incertezze in ordine al contenuto del rapporto di rete, a cominciare dall’obiettivo perseguito dalle parti, non sembra possibile, quantomeno con riferimento agli aspetti del rapporto indicati dalla legge, procedere ad un rinvio per relationem a fonti subcontrattuali, compresi i regolamenti, se non per la determinazione di elementi di dettaglio e suscettibili di inferenza dal contenuto convenzionale, nel senso forte del termine.
3. La rilevanza della funzione del contratto sottostante al fine di configurare una rete normativamente riconosciuta
Come si ricava dal testo di legge, qualunque accordo interaziendale si presta ad essere “contratto di rete” nella misura nella quale tollera le clausole coessenziali alla nozione di rete di cui alla legge in esame: la qualificazione (“rete di imprese”) è da pensarsi come il risultato cui mirano le parti, il perché ci si accorda (un motivo comune e determinante, se si vuole), non come l’oggetto (nel senso debole di contenuto) dell’intesa.
Il primo periodo del comma 4-ter dell’art. 3 è nitido sul punto: si può far rete collaborando in qualunque forma o ambito predeterminato attinente all’esercizio delle imprese aderenti; oppure scambiandosi informazioni, ma anche prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica; ovvero ancora esercitando in comune una o più attività rientranti nell’oggetto delle imprese partecipanti.
L’unico profilo oggetto di previsione analitica è quello attinente alla descrizione della funzione della rete, e quindi del programma negoziale risultante da un accordo di cooperazione interaziendale comunque nominato.
Perché vi sia rete agli effetti della disciplina in esame è necessario che siano contrattualmente perseguiti lo scopo di accrescere (individualmente e collettivamente) la capacità innovativa e la competitività sul mercato delle imprese partecipanti.
Si ribadisce che del contenuto necessario del contratto fa parte “l’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti” nonché le modalità di misurazione del conseguimento di tali obiettivi (lett. b).
Lo strumento contrattuale deve recare indicazione espressa del programma di rete.
Il rilevantissimo interesse di politica legislativa non può essere trascurato sul piano ermeneutico, ma deve piuttosto indurre ad un’interpretazione coerente.
Il vantaggio che consegue alla partecipazione deve essere riferibile direttamente alle imprese aderenti e propiziarne, un miglioramento qualitativo (sotto il profilo tecnologico e per la loro capacità di competere sui mercati).
In altri termini, l’attività svolta in rete e l’obiettivo strategico che tramite il contratto nello specifico si persegue si devono porre in posizione di servizio rispetto alle attività o alle articolazioni dell’attività che le imprese aderenti svolgono e continuano a svolgere in proprio.
L’impresa aderente, tramite la partecipazione alla rete, deve poter migliorare le sue performance, la sua capacità individuale di produrre un risultato positivo: in tale prospettiva sembra trovare compiuta giustificazione anche il riferimento all’oggetto e all’attività delle imprese aderenti, contenuto, in particolare, nel primo periodo.
Poiché l’attività svolta in rete deve essere funzionale, nei termini anzidetti, all’attività delle imprese aderenti, ne deriva il suo carattere ausiliario delle iniziative imprenditoriali coinvolte.
Al di là di tale caratterizzazione, non sembra che l’autonomia privata incontri ulteriori limiti.
Sotto questo profilo la novella legislativa rende pienamente ragione alla tesi per la quale al centro della fattispecie vi è la condivisione di un programma di cui le attività delle imprese partecipanti sono parte integrante (12).
Pare evidente, oggi più di ieri, che possono stipulare un contratto che “dia vita” ad una rete non solo imprese che esercitano la medesima attività, ma anche imprese che agiscono in settori complementari, ad ognuna delle quali sia affidato il compito di svolgere una porzione del programma o delle commesse ottenute agendo in rete, con l’obiettivo di conseguire lavori complessi, accrescendo, grazie all’integrazione, la competitività delle imprese partecipanti, cioè la
possibilità di concorrere per ottenere “commesse” alle quali singolarmente non potrebbero aspirare (13).
Resta sempre la necessità, secondo il testo normativo, che il conseguimento dell’obiettivo strategico specificato nell’accordo di cooperazione sia misurabile sulla base dei criteri selezionati negozialmente dalle parti: proposizione che vale come indicazione dell’idoneità, quantomeno potenziale, del contratto (sottostante e comunque nominato) a condurre a risultati “strutturali” per l’impresa aderente (che deve migliorare); il che non sempre può accadere laddove detto contratto miri a coordinare la partecipazione ad un affare specifico, per esempio ad un singolo appalto (14). Scelta che, peraltro, certifica l’interesse pubblicistico per la figura in esame, e la volontà di valutare i risultati conseguiti con i contributi e le agevolazioni fiscali.
Le considerazioni che precedono non sembrano tuttavia imporre al notaio l’onere di svolgere uno scrutinio diverso, se vogliamo più penetrante, rispetto a quello previsto in generale allorchè si affronta il tema della causa del singolo negozio.
Piuttosto, peculiare attenzione dovrà prestarsi alla ragionevolezza - ed anche al dettaglio ed alla concretezza - dei criteri di misurazione dell’avanzamento delle parti verso gli obiettivi strategici a cui è indirizzato il programma di azione convenuto, avanzamento che deve essere sia individuale sia collettivo. Anche di quest’ultimo profilo gli obiettivi ed i criteri di misurazione dovranno tenere conto.
Dal punto di vista redazionale quanto detto evidenzia la necessità di una stesura nitida dell’obiettivo che la “rete d’imprese” si pone, oltrechè del programma, che deve essere precisamente articolato, poiché fonte dei diritti e degli obblighi dei contraenti.
Peraltro, come detto, l’obiettivo strategico è peculiare per ogni accordo fondativo di una rete; dunque nulla esclude che una medesima impresa possa partecipare a più reti che si propongono obiettivi diversi purchè tutti connessi o inerenti all’attività svolta dall’impresa stessa, e sempre che quest’ultima abbia le capacità di far fronte alla pluralità di obblighi nascenti da più (contratti costitutivi di più) reti.
4. Del possibile contenuto del contratto che fonda una rete di imprese
Particolare attenzione occorrerà porre alla redazione dei contratti, comunque nominati, tramite i quali due o più imprenditori intendano dar luogo ad una rete riconoscibile come tale ai sensi dell’art. 3 comma 4-ter del D.L.5/2009 come novellato.
Le considerazioni che seguono hanno valore orientativo, dovendo essere adattate o rilette alla luce delle norme che connotano il tipo negoziale che “ospita” una rete fra imprese (cioè il tipo
contrattuale in concreto utilizzato per costruire una rete funzionale al godimento dei benefici normativamente riconosciuti).
I. Il programma di rete
Innanzitutto si richiede che il contratto – indipendentemente dalla sua qualificazione tipologica - rechi chiara la “definizione di un programma di rete, che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante” e le modalità di realizzazione dello scopo comune.
Il “programma di rete” sembra rappresentare quello che in altri ambiti normativi è definito l’oggetto, ossia la selezione delle attività che dovranno essere svolte “in rete”, cui ragguagliare i diritti e gli obblighi negoziali dei contraenti.
L’esperienza ha già dimostrato che tale profilo dell’accordo interaziendale rappresenta il nucleo essenziale della trattativa e che alle clausole inerenti è necessario prestare particolare attenzione, poiché le stesse, in definitiva, stabiliscono “come si fa rete” nel caso specifico.
La definizione di diritti ed obblighi rappresenta infatti la traduzione in termini giuridici delle modalità di attuazione della rete fra le parti, e da essa dipende la possibilità di conseguire l’obiettivo strategico; rappresenta altresì il campo in cui si confrontano le diverse istanza della classe imprenditoriale, fra esigenze di collaborazione e “istinto” di competizione.
Se gli obblighi a cui essi convengono di soggiacere possono essere di contenuto vario, sia negativo (consistendo in un non facere), sia positivo, in coerenza con il concreto assetto di interessi che sta alla base della creazione della rete e con le norme imperative che presiedono al singolo tipo, certo è che, nel rispetto dei principi generali, i comportamenti dovuti devono essere almeno determinabili, anche mediante ricorso a forme di arbitraggio ex art. 1349 c.c., in funzione dell’adeguamento del contenuto degli obblighi medesimi al mutamento dello scenario economico nel quale la rete è chiamata ad operare.
Non è più necessaria l’istituzione di un fondo comune. Qualora tuttavia sia prevista, la legge contempla la possibilità di imporre contrattualmente l’obbligo di contributi ulteriori e successivi all’apporto iniziale, per esempio a copertura dei costi di gestione della rete, alla stregua di quanto previsto anche nella disciplina del consorzio. L’esigenza sottesa a tale obbligo, infatti, accomuna tutte le forme di cooperazione interaziendale, come reso evidente dalla previsione di analoga disposizione nella disciplina del X.X.XX. (15) e, ancor di più, dal secondo comma dell’art. 2615-ter c.c., e scaturisce dalla funzione dell’attività svolta dal “plesso di imprese”, attività essenzialmente di servizio alle imprese associate ed improduttiva di un reddito autonomo. La stessa ragione, confrontata con la durata del contratto, rende impossibile la predeterminazione contrattuale
dell’entità del contributo, essendo questa condizionata dall’andamento dei mercati, che può determinare un mutamento dei costi della struttura e dei servizi. Resta, tuttavia, necessaria la previsione di parametri di riferimento sulla base dei quali calcolare l’entità dell’obbligo gravante sul partecipante, affinchè l’oggetto non ne sia indeterminabile; ed infatti la legge in esame richiede che il contratto ne specifichi i criteri di valutazione, e quindi di determinazione. In proposito pare certamente plausibile trarre ispirazione dalla collaudata esperienza consortile, che si appoggia, nella maggior parte dei casi, sulla predisposizione di bilanci preventivi, oltre che consuntivi.
A fronte di scelte della maggioranza che conducano ad un incremento dell’entità degli obblighi a carico di tutti gli aderenti, nel rispetto del principio di parità di trattamento, un correttivo possibile può essere rappresentato dal riconoscimento del diritto di recesso all’aderente non consenziente, recesso a cui può ascriversi una funzione, lato sensu, determinativa delle obbligazioni poste a suo carico.
Se imposto, nel silenzio del contratto si deve presumere che l’entità del contributo sia uguale per tutti i partecipanti, alla stregua del principio desumibile non solo dall’art. 2253 c.c., ritenuto applicabile ai consorzi (16), ma anche dall’art. 21 secondo comma del Reg. CEE. 25 luglio 1985, n.2137/85.
II. Le cause di recesso (e di esclusione)
La previsione di cause di recesso è facoltativa.
Deve ritenersi coerente alla funzione della “rete d’imprese” anche la clausola di recesso ad nutum - altro essendo lo scrutinio di compatibilità con il contratto “ospitante” - introdotta dalle parti nell’ambito di una loro libera valutazione dell’assetto concreto di interessi e della rilevanza della partecipazione di ogni singola impresa al programma, secondo una prassi negoziale ricorrente anche rispetto al contratto di consorzio.
Nell’ottica della corretta esecuzione del rapporto e della tutela degli altri partecipanti appare tuttavia congruo mutuare la disciplina propria delle società cooperative, che prevede un obbligo di preavviso e la cessazione del rapporto differita almeno per quanto attiene all’adempimento degli obblighi assunti dal recedente.
Fra le cause negoziali di recesso risulterà certamente opportuna quella rappresentata dal venire meno dei requisiti soggettivi per la partecipazione, ipotesi che abbraccia situazioni diverse, dalla cessazione tout court dell’attività di impresa fino all’apertura della fase di liquidazione delle
società o di procedure concorsuali. In tal senso una specificazione contrattuale appare chiarificatrice.
Tenuto conto che gli obiettivi della rete devono risultare coerenti alle attività svolte dalle imprese aderenti, come evidenziato dalla norma definitoria tramite il riferimento all’oggetto sociale (meglio direbbesi: dell’impresa, stante la sicura apertura della rete a imprese anche individuali e non societarie), la modifica di quest’ultimo può costituire non solo un’ipotesi di recesso ma, se foriera della cessazione dell’attività per la quale si partecipa alla nostra “rete (contrattuale) d’imprese”, anche una causa di esclusione. E, come tale, risultare dallo strumento contrattuale.
In tutti i casi nei quali il recesso dipende da decisione dell’aderente (come per esempio l’apertura della fase di liquidazione o la modifica dell’oggetto sociale), si può prevedere che permanga in capo al recedente l’obbligo di portare a termine l’esecuzione delle prestazioni poste a suo carico dal contratto ed esigibili, salvo diversa previsione contrattuale o diversa scelta dell’organo gestionale. Un conto infatti è recedere dal rapporto associativo, un altro è interrompere l’esecuzione delle prestazioni che di quel rapporto costituiscono esecuzione, come reso evidente dall’ultimo comma dell’art. 2532 c.c. in materia di recesso da società cooperativa.
In termini più generali, la delega concessa all’autonomia privata in tema di recesso manifesta l’intento di consentire un adeguamento delle ipotesi di cessazione del rapporto e degli obblighi da esso scaturenti alle specificità del programma e quindi dell’attività di comune interesse, ampliando il novero dei casi di scioglimento del rapporto desumibili dal diritto comune dei contratti o piegandoli alle esigenze specifiche.
Al contempo, tuttavia, non si può negare la funzione integratrice delle norme imperative dettate in ragione dello specifico rapporto oggetto di coordinamento quando risponde ad uno schema contrattuale tipico (17).
Nella medesima prospettiva è, inoltre, problematico escludere, sulla base dei principi generali e quindi anche in assenza di espressa previsione, la facoltà di recesso per giusta causa, che può ricorrere, per esempio, in caso di modifica degli elementi essenziali del contratto a maggioranza, se ammissibile, o in caso di violazione del principio di correttezza nell’esecuzione del contratto da parte dell’organo incaricato di eseguire il contratto.
III. L’adesione di ulteriori contraenti
La rete è immaginata come naturalmente aperta (art. 3 comma 4-ter, lett d) D.L.5/2009).
Il che tuttavia non significa che il contratto sottostante debba essere necessariamente aperto e che pertanto risulti illegittima la clausola che esclude l’adesione di altre imprese, poiché non si può certo ritenere che l’interesse alla partecipazione alla rete sia configurabile soltanto come interesse di categoria.
Al contrario, la necessaria ma libera determinazione dell’obiettivo strategico che le parti si prefiggono di conseguire tramite la stipulazione di un accordo interaziendale e la necessaria coerenza del medesimo all’attività specifica svolta dalle imprese aderenti orientano alla conclusione per la quale il comune interesse perseguito è frutto di una scelta negoziale e quindi riservata ai contraenti. Spetterà allora insindacabilmente a questi ultimi decidere in merito al grado di apertura del contratto all’adesione di nuove imprese, potendosi anche stabilire una chiusura totale (18).
Peraltro la stessa disposizione dell’art. 1332 c.c. dà conto che la possibilità di adesioni successive ad un contratto plurilaterale è rimessa all’autonomia privata, limitandosi ad introdurre una disciplina integrativa allorchè il contratto sia carente in ordine alle modalità tramite le quali si può attuare le regola negoziale della “porta aperta”.
In applicazione della disposizione da ultimo richiamata si può inoltre ritenere ammissibile che la decisione in merito all’adesione di nuove imprese sia affidata ad un ufficio esecutivo del programma di rete e non richieda l’adesione di tutti i contraenti originari.
Resta la necessità di stipulare l’atto di adesione in forma pubblica o di scrittura privata autenticata, agli effetti della pubblicità presso il registro delle imprese della nuova impresa aderente.
IV. Le decisioni dei partecipanti
Nell’ambito del contenuto necessario – sempre in funzione dell’accesso ai benefici accordati alla rete dalla legge in esame - sono comprese le regole che presiedono le decisioni dei partecipanti. In particolare, il contratto deve indicare: “f) le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune che non rientri, quando è stato istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti a tale organo, nonché, se il contratto prevede la modificabilità a maggioranza del programma di rete, le regole relative alle modalità di assunzione delle decisioni di modifica del programma medesimo”.
La norma prende in considerazione solo la modificabilità a maggioranza del programma di rete, ossia del punto c) del terzo periodo ed alimenta il dubbio che la modifica di ogni altra regola debba essere soggetta alla regola del consenso unanime.
Muovendo dall’impostazione accolta (adeguatezza delle clausole del contratto a quelle previste dalla legge per accedere ai benefici accordati o da accordarsi alle “reti [contrattuali] di imprese”), si deve, per coerenza, ritenere che la disciplina della modificabilità del contratto sia quella del tipo sottostante (o che “ospita” la rete – come metaforicamente si suggerisce), ferma la necessità dell’esistenza di una rigorosa previsione delle regole decisionali in merito all’elemento di maggior rilievo, ossia il programma comune.
V. Ulteriori possibili clausole: sanzioni per l’inadempimento degli obblighi contrattuali, uffici, “logo” comune
Coerenza con l’impostazione qui accolta raccomanda di ritenere che la norma in esame si limiti a indicare i “frammenti” di disciplina convenzionale che devono ricorrere per riconoscere nell’accordo interaziendale una rete di imprese agli effetti di legge.
Il che non esclude la legittimità della presenza di ulteriori clausole ammesse o imposte dal tipo negoziale sottostante.
Emerge con frequenza nella prassi l’interesse a posizionare e a promuovere il “sodalizio” sul mercato con un “logo”, così come di prescegliere un luogo presso il quale istituire gli uffici di rappresentanza della rete ai quali i terzi possano fare riferimento.
Non sembra possibile revocare in dubbio la compatibilità di tali opzioni organizzative con le finalità della legge in esame, poiché esse rispondono ad esigenze meritevoli di tutela non lesive di alcun interesse alieno alle imprese “in rete”. Deve, naturalmente, aversi l’accortezza di evitare indebite confusioni con i concetti di ragione o denominazione sociale e di sede legale, che orienterebbero piuttosto alla riqualificazione di ogni “rete” come ente, in spregio alle caratteristiche del tipo contrattuale che ospita la rete ed alla nozione legislativa stessa di “rete d’imprese”.
Si devono altresì ritenere non incompatibili regole sanzionatorie dell’inadempimento agli obblighi assunti da parte di un aderente, a cominciare (come anticipato) dall’esclusione o dalla risoluzione del contratto rispetto al singolo, in applicazione di quanto previsto per i contratti plurilaterali nell’art. 1459 c.c., fino alla previsione di penali o alla sospensione dal diritto di godere dei benefici derivanti dalla partecipazione alla rete (19).
5. L’amministrazione e la rappresentanza
Perché il contratto possa dar luogo ad una rete “riconosciuta” (per le finalità della legge) non è necessaria la previsione di una figura organizzativa (ufficio, o, meno propriamente, organo) comune incaricata di dare esecuzione al contratto stesso.
Qualora tuttavia una tal figura sia contemplata, si chiarisce che il rapporto tra preposto all’ufficio (inteso, genericamente, come complesso di competenze) e imprese preponenti è dell’ordine del mandato, come si evince dalla previsione espressa per la quale l’ufficio agisce come “mandatario comune”; segnatamente di un mandato con rappresentanza. Infatti, si autorizza la nomina di un “organo comune” incaricato “di gestire, in nome e per conto dei partecipanti [corsivo aggiunto], l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso” (secondo alinea del primo periodo); si richiede, se istituito, che siano regolamentati i suoi poteri di rappresentanza come mandatario comune (lett. e).
Le previsioni suddette sembrano congeniali a formazioni associative (anche dotate di rilievo meramente personale) non organizzate per uffici, e quindi, a maggior ragione, prive di struttura corporativa. Il linguaggio della norma rinvia, infatti, alle modalità di sostituzione nell’attività giuridica contemplate nel IV Libro del Codice Civile.
Il contratto deve prevedere le modalità di rimpiazzo dell’incaricato: la necessità di una qualificazione del rapporto gestorio in termini di mandato collettivo emerge solo nel caso in cui non soccorra alcuna regola contrattuale, al fine di applicare l’art. 1726 c.c..
Qualora i componenti dell’organo siano più di uno, troverà applicazione l’art.1716 c.c., con conseguente facoltà di azione disgiunta. Si tratta peraltro di norma derogabile, così che l’autonomia privata, pacificamente, potrà optare per forme di esecuzione congiunta del mandato o congiunta a maggioranza.
Il mandato può avere un oggetto più o meno ampio, poiché al gestore i partecipanti possono commettere l’esecuzione del contratto o di una o più parti o fasi di esso; l’oggetto dello stesso non coincide, quindi, necessariamente col contenuto del programma di rete, salvo che le parti abbiano ritenuto di non precisare l’ampiezza dei poteri.
Si tratterà di definire composizione, numero degli incaricati, regole di organizzazione e procedure di attuazione delle decisioni, competenze, in particolare in merito alla rappresentanza.
In quest’ultima materia, si assiste ad uno dei pochissimi interventi suppletivi del legislatore, che, mediante una norma dispositiva in quanto espressamente derogabile, conferisce all’“organo”, o, per meglio dire, al preposto all’ufficio la rappresentanza, di fonte quindi legale, delle imprese aderenti limitatamente “alle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nonché nelle procedure inerenti ad interventi di garanzia per l’accesso al credito,
all’utilizzazione di strumenti di promozione e tutela dei prodotti italiani ed allo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione, previsti dall’ordinamento”; norma che tradisce più di ogni altra la mens legis sottesa all’introduzione del
c.d. contratto di rete.
Il paradigma del mandato rappresentativo di fonte contrattuale si confronta, non senza difficoltà, con quello del mandato senza rappresentanza che – dando credito alle parole della legge
- è contemplato dalla norma che abilita i distretti (ai quali le reti contrattali di imprese sono assimilati) a “… stipulare, per conto delle imprese, negozi di diritto privato secondo le norme in materia di mandato di cui agli articoli 1703 e seguenti del codice civile [enfasi aggiunta]”. Per le reti contrattuali assimilate ai distretti che non hanno provveduto alla istituzione di un c.d. organo, può azzardarsi che ciascuno dei partecipanti sia ex lege abilitato ad agire per conto degli altri. Ma la questione – tutt’altro che pacifica nella soluzione – non sembra rilevante per il notaio richiesto della redazione dell’atto autentico, presupposto (tra gli altri) dell’accesso alla qualificazione della collaborazione interaziendale come “rete di imprese”.
Nulla impedisce che, anche in presenza di un mandato da esercitarsi congiuntamente o a maggioranza sul piano decisionale, la rappresentanza delle imprese aderenti, ossia la legittimazione ad agire in nome e per conto altrui, sia attribuita ad un solo soggetto. La volontà delle parti si traduce in un limite al potere di rappresentanza, poiché la legittimazione del procuratore è subordinata al consenso di tutti o di più soggetti in ordine all’atto da compiere.
Accogliendo istanze della prassi, emerse a seguito dei primi tentativi di adozione del nuovo strumento contrattuale, la legge consente espressamente che il mandatario sia non solo un soggetto estraneo al gruppo dei partecipanti (poiché la qualità non è espressamente richiesta), ma altresì una persona giuridica, come già ammesso per il G.E.I.E.
6. Il fondo patrimoniale comune
La legge non ne considera la previsione come dato rilevante per identificare una rete fra imprese.
Qualora tuttavia un fondo sia previsto, dispone l’applicazione degli artt. 2614 e 2615 c.c., se ed in quanto compatibili. (20)
La legge consente alle imprese che rivestono la forma della s.p.a. di alimentare il fondo comune mediante costituzione di un patrimonio a ciò destinato ai sensi dell’art. 2477 primo comma lett.a) c.c., purchè tale soluzione sia coerente al programma della rete. Naturalmente la facoltà è riservata alle società per azioni perché solo la società per azioni è abilitata a destinare
patrimoni a servizio di singoli affari, con conseguente effetto di separazione delle attività destinate, rispetto al patrimonio residuo dell’ente. La disposizione risulta di particolare complessità interpretativa, richiedendo in primo luogo, un approfondimento sulle ragioni della necessità di una preventiva previsione contrattuale, e poi una plausibile attribuzione di significato al sintagma “apporto di un patrimonio destinato”. A tutta prima viene da pensare che l’espressione debba intendersi in senso figurato quale destinazione di risorse patrimoniali all’attuazione del programma di rete realizzata tramite la separazione patrimoniale cui dà luogo la destinazione iscritta nel registro delle imprese (ed eventualmente trascritta, se estesa a immobili)
– secondo il diritto comune della s.p.a.: modalità esecutiva del programma di rete che deve essere espressamente autorizzata in quanto tali risorse permangono della gestione degli amministratori della s.p.a. destinante e non sono (non possono essere) affidate ai mandatari dei partecipanti della rete (se nominati).
Ciò detto, al fondo comune si applica, in quanto compatibile, la disciplina degli art. 2614 e 2615 c.c.., disciplina storicamente oggetto di polemiche interpretative tutt’ora non sopite, in particolare con riferimento al regime di responsabilità del consorzio e dei consorziati per le obbligazioni assunte dagli organi consortili nell’esercizio delle loro funzioni, e quindi di incerta applicazione anche nella sedes materiae che le è propria (21).
Il rinvio alle norme suddette sembra, in prima approssimazione, legittimare l’applicabilità di due regole: i creditori particolari dei partecipanti non possono far valere i loro diritti sul fondo comune (che è indivisibile fra gli aderenti per la durata del contratto di rete – art. 2614); per le obbligazioni assunte in nome dei partecipanti alla rete dalle persone (fisiche o giuridiche) che ne hanno la rappresentanza, i terzi possono far valere i loro diritti solo sul fondo comune.
Partendo dal dato per cui la disciplina in esame non sembra riferirsi a soggetti di diritto (la “rete di imprese” non è entificata), i primi interpreti si sono orientati nel senso di ravvisare nella costituzione di una rete contrattuale una forma ulteriore di destinazione capace di fondare un patrimonio separato, costituito dalle risorse messe a disposizione del programma da ogni partecipante e non aggredibile dai di lui creditori particolari (c.d. insensibilità del patrimonio separato) (22).
Non sembra di ausilio ad un tentativo di sistematizzazione il riferimento alle ragioni storiche che indussero a promulgare l’attuale formulazione dell’art. 2615 c.c. (resa necessaria dall’intento di tutelare i gestori, altrimenti personalmente responsabili per le obbligazioni consortili).
Come si è già detto, peculiarità della rete, oggetto della legge in esame, sta nell’assenza di un soggetto di diritto e quindi nella ricaduta diretta degli effetti dell’azione dei gestori sui patrimoni
degli aderenti, in quanto “rappresentati” e non semplici mandanti. Il che dovrebbe mettere fuori gioco l’applicazione del secondo comma dell’art. 1705 c.c..
Visto il segnalato richiamo alle regole di azione previste nel IV Libro del Codice Civile, è – come anticipato (supra § 1) - altamente opinabile che il giudizio di compatibilità delle norme in tema di consorzio con attività esterna, alle quali la legge in discorso rinvia, possa concludersi con un esito positivo (23).
In altri termini, in assenza di un soggetto di diritto, non sembrerebbero ravvisabili “obbligazioni della rete” garantite dal fondo (se costituito) e da questo soltanto (c.d. localizzazione della garanzia patrimoniale nel patrimonio separato); dovrebbero prospettarsi solo “obbligazioni dei partecipanti alla rete”, il nome dei quali viene speso secondo le regole del diritto comune della rappresentanza.
Dunque, alla luce dell’attuale testo risulterebbe possibile spingersi ad affermare la responsabilità solidale dei partecipanti per le obbligazioni assunte nello svolgimento dell’attività di rete; solidale sì, ma che non può escludersi essere sussidiaria rispetto a quella offerta dal patrimonio eventualmente esistente a servizio della “rete” – valorizzando una graduazione della responsabilità patrimoniale sistematicamente associata alla separazione patrimoniale (graduazione che, a seconda dell’intensità, ha accreditato la distinzione tra localizzazione perfetta ed imperfetta). Efficacemente – nonostante la caratterizzazione giornalistica del linguaggio – si è detto che la rete – dotata di un fondo comune – è, quanto ai rapporti cc.dd. esterni, qualcosa di più della società civile del codice del 1865 e qualcosa di meno della società semplice del codice del 1942 (Xxxxxxxx Xxxx).
Il che forse non era quello che ci si aspettava; profilo comunque troppo delicato per affidarlo alla sola interpretazione e, comunque, destinato ad essere messo a punto più in sede giudiziaria che notarile.
Xxxxx Xxxxxxx - Xxxxx Xxxxx
1) In argomento è stata emanata dalla Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Normativa, la Circolare n.15/E del 14 aprile 2011.
2) In senso contrario G. VILLA, Reti di impresa e contratto plurilaterale, in Giur. Comm., I, 2010, p.947, per il quale “la previsione così introdotta nel sistema delinea quindi un particolare tipo contrattuale, in verità vicino al consorzio con attività esterna (art. 2612 c.c.)..”. In particolare, secondo l’A. “la legge tipizza il contratto di rete quale contratto plurilaterale.”. Nel senso che la disciplina darebbe vita ad un nuovo tipo contrattuale X. Xxxxx, Frammenti ricostruttivi sul contratto di rete, in Giur. Comm., I, 2010, p.862, per il quale il contratto di rete “è un contratto tipico rientrante nella categoria dei contratti
plurilaterali con scopo comune. … La qualificazione del contratto di rete come contratto tipico non esclude nemmeno la possibilità di riconoscergli grande ampiezza anche sul piano della funzione..”
3) Si conviene con la considerazione che la predeterminazione normativa di requisiti contrattuali necessari per la qualificazione come “rete di imprese” valga a marcare in maniera netta la differenza rispetto ai distretti industriali, “concetto empirico, fondato su dati economici e sociali”. G. Villa, op.cit., p.945.
4) G. VILLA, op.cit., p.946.
5) Secondo X. XXXXXXX, Il nuovo contratto di rete: “learning by doing”?, in Contratti, 2010, p.1143, “il contratto di rete costituisce una figura transtipica. Esso non rappresenta soltanto un nuovo tipo contrattuale che si affianca ai tanti modelli già esistenti di reti di imprese a carattere contrattuale od organizzativo. La sua disciplina si colloca tra quella generale del contratto e quella del singolo tipo, dal momento che può svolgere una pluralità di funzioni coincidenti con uno o più pluralità di tipi esistenti ovvero dare luogo alla creazione di nuovi tipi contrattuali. Tale collocazione consente da un lato di impiegare modelli contrattuali già esistenti, connotandoli in senso più marcatamente reticolare, e, dall’altro, di combinare più figure causalmente definite, per costituire reti di imprese complesse, in grado di governare segmenti, anche rilevanti, della filiera produttiva.” In tal senso anche, X.XXXXXXXX, Dalle reti di imprese al contratto di rete: un percorso (in)compiuto, in Le reti di imprese e i contratti di rete, a cura di X.XXXXXXXX, Torino, 2009, p.27, per la quale “il contratto di rete “potrebbe essere impiegato per dar veste ad operazioni economiche riconducibili a una pluralità di figure tipiche o atipiche (meglio social –tipiche) già previste dall’ordinamento o conosciute nella prassi: dall’a.t.i. al consorzio (nella duplice forma del consorzio con attività interna o esterna), dalla joint venture alle reti di produzione o di distribuzione”.
6) Ne conseguirà, per coerenza, la necessità di sommare, ai requisiti di forma, contenuto e pubblicità tipici dei consorzi con attività esterna, quelli previsti dalla disciplina in esame per accedere ai vantaggi riconosciuti alle reti di imprese, alla stregua di quanto accade ogni qualvolta un ente voglia accedere alla disciplina fiscale prevista per le ONLUS.
7) La dottrina ritiene che dalla nozione di rete contrattuale contenuta nel testo normativo siano ricavabili almeno tre tipologie di rete. “1) Una forma leggera di rete, diretta allo scambio di informazione o prestazioni. Si tratta della tipizzazione di un contratto plurilaterale di scambio che trova dunque diretto riconoscimento legislativo e una prima, ancorchè incompleta disciplina. 2) Una forma più intensa avente oggetto di collaborazione introdotta come era stato auspicato nei primi commenti al testo precedente. 3) Una terza forma che si riferisce all’esercizio in comune di attività da parte delle imprese partecipanti alla rete.” X. Xxxxxxx, Il nuovo contratto di rete: “learning by doing”?, cit., p.1146.
8) Così X. XXXXXXX, Il contratto di rete e il diritto dei contratti, in Contratti, 2009, p.920.
9) Il che peraltro non impedisce a enti o a professionisti o comunque a soggetti non iscritti nel registro delle imprese di stipulare, nei limiti consentiti dalle leggi speciali ad essi dedicate, joint venture o contratti associativi innominati per conseguire scopi affini, senza tuttavia che si possa parlare di contratto di rete, agli effetti soprattutto dei vantaggi e delle provvidenze previste dalla legislazione a favore dei partecipanti alla rete
10) Per la tesi per cui il requisito formale non sarebbe preteso per la validità del contratto, ma solo per il riconoscimento degli effetti tipici cosicchè la sua carenza costringerebbe esclusivamente ad una riqualificazione in termini di accordo di cooperazione innominato, di joint venture. G. VILLA, Coordinamento e contratto plurilaterale, in Le reti di impresa e i contratti di rete, a cura di P. XXXXXXXX, cit., p.108; X. XXXXXXX, Condizioni generali di contratto e reti atipiche, in Le reti di imprese e i contratti di rete, a cura di P. IAMICELI, Torino, 2009, p.91.
L’opzione interpretativa pare coerente con l’intenzione del legislatore e con la realtà economica. Se sotto il primo profilo, infatti, una delle ragioni dell’intervento normativo è certamente rappresentato dalla volontà di consentire l’istituzionalizzazione degli accordi di cooperazione interaziendale al fine di usufruire di benefici pubblici, anche di natura fiscale, o per facilitare l’accesso al credito; sotto il secondo profilo, occorre non dimenticare la prassi conosceva e conosce un fitto humus di accordi di tale natura, nazionale e sopranazionale, che preesistevano alla novità normativa.
Atteso ciò, non si ravvisano ragioni per ritenere che oggi non sia più possibile per le imprese ricorrere a forme di coordinamento prive dei requisiti indicati dalla legge, “a prezzo” di non poter beneficiare delle agevolazioni riservate al contratto di rete.
La carenza del requisito formale si traduce solo nell’impossibilità di qualificare il rapporto nascente dal contratto come “rete di imprese” agli effetti della norma in esame e di quelle che alla stessa si riferiscono.
11) In proposito si prevede che, almeno fino al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2012, gli utili destinati al fondo comune del contratto di rete non concorrono a formare reddito di impresa, a meno che non siano distratti o venga meno l’adesione alla rete. Come già segnalato, in argomento si veda la Circolare 15/E del 14 aprile 2011 dell’Agenzia delle Entrate, Direzione Centrale Normativa.
12) P. IAMICELI, op.cit., p.31.
13) In tal senso gli esempi proposti dalla dottrina che più di ogni altra ha studiato il fenomeno delle reti di imprese sono molteplici e condivisibili, dall’istituzione di laboratori di ricerca comune al “coordinamento di un progetto di ricerca articolato in fasi, ciascuna di competenza di una diversa impresa aderente”; dal coordinamento di una rete di subfornitura condividendo standard di produzione o metodi di certificazione di qualità al coordinamento di un sistema distributivo orientato alla ricerca di nuovi mercati o all’impiego di nuove strategie di marketing all’amministrazione, conclusione ed esecuzione coordinata di contratti di appalto da parte degli aderenti. Così, P. IAMICELI, op.cit., p.32. Secondo X. XXXXXXX, Introduzione, in Il Contratto di rete, Commentario, a cura di X. Xxxxxxx, Bologna, 2009, p. 29, “il contratto di rete offre, sul piano causale, diverse possibili combinazioni: (1) dal puro coordinamento di attività indipendenti svolte dalle singole imprese partecipanti a (2) forme di collaborazione caratterizzate dallo svolgimento di attività strumentali svolte direttamente dalla rete aventi ad oggetto la prestazione di servizi alle imprese partecipanti, a (3) forme di attività in cui la relazione con le attività delle singole può essere meno stringente perché la rete svolge attività complementari a quelle delle imprese partecipanti. Dunque dal coordinamento, alla strumentalità ed accessorietà fino alla complementarietà”.
14) Così anche X. XXXXXXX, Introduzione, cit., p.31, per il quale “non tutte le attività comuni possono generare una rete ma solo quelle con obiettivi strategici. Dunque il contratto di rete può essere impiegato solo per la realizzazione di tali obiettivi. Altri strumenti andranno usati per forme di collaborazione non strategica”. La valutazione dovrà essere condotta casisticamente alla luce del vantaggio che consegue ad ogni impresa aderente; la partecipazione ad un singolo appalto di grande rilevanza, infatti, può far acquisire alla singola imprese “quell’esperienza” che può essere poi spesa nella partecipazione ad altri appalti: in tal modo la singola impresa ha guadagnato in competitività.
15) Ai sensi dell’art. 21, comma secondo, Reg. CEE. 25 luglio 1985, n.2137/85,”i membri del gruppo contribuiscono al saldo dell’eccedenza delle uscite rispetto alle entrate nella proporzione prevista nel contratto di gruppo o, in mancanza di questa, in parti uguali”.
16) X. XXXXXXXX, Consorzi e società consortili, in Trattato Cicu Messineo, Milano, 1985, p.304.
17) In tal senso X. Xxxxxxxxx, Il recesso nelle reti contrattuali, in Le reti di imprese e i contratti di rete, a cura di X. XXXXXXXX, Xxxxxx, 0000, p. 361, che cita l’art. 6 della legge subfornitura in materia di preavviso per il recesso o l’art. 3 della legge franchising.
18) In tal senso, nella disciplina dei consorzi, X. Xxxxxx, L’interesse consortile, Milano, 2008, pp.8 e ss.
19) Sul tema diffusamente X. XXXXXXX e X. XXXXXXX, Xxxxxxx e responsabilità nella rete, in Il Contratto di rete, Commentario, a cura di X. XXXXXXX, Bologna, 2009, pp.91 e ss.
20) M. ONZA, Il contratto di rete: alcuni profili di qualificazione e di disciplina, inedito, consultabile sul sito dell’Associazione Culturale “Orizzonti del diritto commerciale”.
21) Per una recente riproposizione delle diverse tesi in merito X. XXXXXX, L’interesse consortile, Milano, 2008, pp.217 e ss.
22) M. XXXX, op.cit.; X. XXXXXXXX, il contratto di rete, Il Notariato, 2010, p.442. Nello stesso senso si sono indirizzate le relazioni di X. XXXXXXXX, “Contratti di rete: profili sistematici”, e
X. XXXXXX, “Il regime patrimoniale delle reti di imprese”, in corso di pubblicazione, presentate al Convegno “Professione e ricerca. Attualità e problematiche in materia di contratti e diritti reali”, organizzato dal Comitato Regionale fra i Consigli Notarili Pugliesi a Savelletri di Fasano il 18-19 giugno 2010.
23) Si veda anche X. XXXXX, op.cit., p.859, per il quale “maggiori e più sostanziali perplessità emergono con riguardo al primo comma dell’art-2615, che limita la responsabilità patrimoniale del consorzio sul fondo consortile. … Soprattutto, l’organizzazione comune del consorzio, elemento qualificante della stessa definizione consortile, è un’organizzazione che, secondo molti interpreti, è di tipo corporativo, tale da attivare un controllo reciproco tra gli organi. In mancanza, nella disciplina legale della rete, di ogni analoga previsione, viene revocato in dubbio il superamento della prova di compatibilità richiesta dal legislatore.”
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