INDICE
INDICE
Premessa pag. | 3 |
Capitolo I L’attività della pubblica amministrazione fra diritto pubblico e diritto privato | |
1. L’attività amministrativa di diritto privato | 6 |
2. I contratti della pubblica amministrazione | 11 |
3. La formazione del contratto | 14 |
4. Il contratto come fase successiva all’aggiudicazione | 21 |
5. Contratti d’appalto di lavori, servizi e forniture;differenze | 27 |
6. Il contenuto del contratto di appalto di opere pubbliche | 31 |
7. La disciplina economica del contratto | 35 |
8. Possibilità di modificare e rinegoziare la proposta e le clausole contrattuali | 38 |
9. Modificazioni soggettive del contraente e limiti all’autonomia negoziale | 43 |
10. Poteri di vigilanza e direzioni lavori | 51 |
11. Jus variandi | 53 |
12. Recesso fra diritto privato e funzione pubblica | 54 |
13. La risoluzione del contratto | 57 |
Capitolo II La scelta del contraente secondo il Codice dei contratti pubblici | |
1. Il recepimento delle direttive 2004/17/ce e 2004/18/ce | 62 |
1
2. Le nuove forme di aggiudicazione | 63 |
3. La scelta del contraente e discrezionalità della p.a. | 75 |
Capitolo III Xxxxx e Turchia | |
1. La ―formazione‖ giuridica dei Paesi dell’area Euro – mediterranea | 79 |
2. Xxxxx | 82 |
2.1 Gli appalti pubblici | 83 |
2.2 Il tender | 86 |
2.3 La normativa appalti | 89 |
2.4 L’offerta | 92 |
2.5 L’apertura delle buste | 97 |
2.6 La valutazione delle offerte | 98 |
2.7 Performance bond | 100 |
3. Turchia | 103 |
3.1 L’Autorità di Vigilanza | 106 |
3.2 Normative | 107 |
Conclusioni | 202 |
Bibliografia | 205 |
Premessa
È frequente nel nostro ordinamento l’utilizzo di istituti tipici del diritto civile per regolare settori di competenza della pubblica amministrazione ed è naturale la compresenza di regole pubblicistiche e privatistiche, reciprocamente interferenti.
Relativamente ai contratti di appalti pubblici si assiste all’interazione di due momenti fondamentali: il soddisfacimento dell’interesse pubblico e la utilizzazione degli strumenti di diritto privato.
Il primo, tipico di ogni funzione pubblica, si realizza attraverso la previsione dell’obbligo di rispettare i canoni fondamentali di trasparenza, efficienza, parità di condizioni nell’accesso al mercato, economicità, ecc..
Il secondo, basandosi sul presupposto della parità dei contraenti, consente la stipulazione del contratto mediante la utilizzazione di tutti gli strumenti del diritto civile, nel rispetto dell’autonomia contrattuale in base alla quale le parti sono libere di determinarne il contenuto, ovviamente nei limiti imposti dalla legge e sempre che si realizzino interessi meritevoli di tutela secondo il nostro ordinamento.
L’amministrazione persegue sempre l’interesse pubblico che rappresenta il suo fine, anche quando agisce mediante strumenti di carattere privatistico.
Questi ultimi vengono disciplinati dalle disposizioni del diritto comune in cui sono trasfusi tutti quei principi che consentono alla p.a. di perseguire il proprio interesse tutelando, allo stesso tempo, gli interessi e le aspettative dei privati quali il buon andamento, l’efficacia, l’imparzialità, la trasparenza, la concorrenzialità tra gli operatori, la ragionevolezza e la proporzionalità.
Il negozio giuridico stipulato tra privato e pubblica amministrazione produce gli effetti tipici del modello civilistico.
Gli atti ed i comportamenti delle amministrazioni nel corso dello
svolgimento del rapporto devono essere valutati anche alla luce dell’interesse pubblico perseguito e in base ai principi di derivazione comunitaria.
L’attività amministrativa di diritto privato non si concretizza in un trasferimento complessivo dello statuto pubblicistico sul piano dei rapporti privatistici, dovendo sempre tenere ben presente l’esigenza imprescindibile di contemperare l’autonomia negoziale nell’ambito dell’autonomia funzionale della pubblica amministrazione e di dover bilanciare comunque i diversi interessi in gioco.
I modelli privatistici utilizzati dall’amministrazione a volte presentano alterazioni, prescrizioni integrative e derogatorie dovute all’esigenza di tutelare i diversi interessi.
L’apparato pubblico si è andato sempre più integrando nella società civile, passando da una posizione di originaria supremazia a quella di soggetto prevalentemente al servizio della collettività, interprete e curatore esclusivo dei suoi interessi in quanto erogatore di beni e utilità. L’evoluzione del sistema amministrativo ha fatto si che questi ultimi (beni ed utilità) siano dispensati attraverso soluzioni istituzionali e strumenti profondamente diversi rispetto al passato, con l’inevitabile conseguente mutamento sia delle funzioni esercitate dal potere pubblico che degli strumenti di esercizio di tali funzioni.
Alcuni compiti istituzionali sono stati devoluti a soggetti privati poiché l’iniziativa privata può garantire meglio, in determinati settori, il soddisfacimento degli interessi collettivi.
In altri casi amministrazioni e privati concorrono alla realizzazione di obiettivi di interesse generale, attraverso il ricorso agli istituti di diritto comune e a nuove forme organizzative.
I settori delle opere pubbliche e dell’urbanistica in particolare hanno visto lo sviluppo di forme di azione concordata, nelle quali, pur sussistendo, sotto un profilo gestionale e organizzativo, una forte componente pubblicistica, vi è sempre di più la partecipazione degli
interessati ai procedimenti di scelta e sempre più diffuso è il ricorso all’organizzazione imprenditoriale e finanziaria dei privati.
La comparazione con la Turchia che ha come obiettivo l’ingresso in Europa ed ha calibrato gran parte della propria attività legislativa sulle direttive europee e con la Xxxxx, anche questo un Paese con caratteristiche peculiari, crocevia di culture ed interessi diversissimi fra di loro, con una forte ambizione di sviluppo ed arricchimento, consapevole delle proprie potenzialità, ancora tutte da sfruttare, è stata interessante per conoscere realtà molto diverse dalla nostra che si caratterizzano per un fortissimo fermento, una vivace spinta verso il progresso e con un profondo desiderio di evoluzione.
Capitolo I
L’attività della pubblica amministrazione fra diritto pubblico e diritto privato
Paragrafo I.
L’attività amministrativa di diritto privato
La persona giuridica pubblica è centro di imputazione di tutte le conseguenze giuridiche astrattamente ipotizzabili nell’ambito dell’autonomia privata, con le limitazioni, però, eventualmente derivanti dallo statuto dei singoli enti pubblici o dalla particolare natura dell’attività svolta.
Le persone giuridiche pubbliche possono, pertanto, dar vita a qualunque tipo di contratto, al pari dei soggetti di diritto privato nel pieno esercizio della propria autonomia, fermo restando l’obbligo di perseguire l’interesse pubblico anche impiegando strumenti privatistici1.
Il fenomeno dell’utilizzo di strumenti privatistici per regolare i più svariati settori della vita pubblica è divenuto sempre più frequente, fino ad assistere ad una tendenziale privatizzazione dei rapporti giuridici dei quali è parte il soggetto pubblico.
L’attività amministrativa di diritto privato è attività amministrativa in senso proprio avente ad oggetto interessi pubblici per la cura dei quali vengono utilizzati istituti e norme del diritto privato.
Oggi questa concezione dell’attività di diritto privato della pubblica amministrazione è cristallizzata, ma fino a pochi anni fa tale attività veniva considerata alternativa e secondaria, meramente ausiliaria rispetto a quella di diritto pubblico.
1 E. CASETTA, Manuale di Diritto Amministrativo, ed Xxxxxxx, Milano 2006, pag. 563; X. XXXXXXXX, Capacità giuridica, in Dig. disc. priv., sez. civile, vol. II, 1988, Torino, Utet, pagg. 218 ss.; A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, Jovene, 1989, pag. 735.
Lo Stato era considerato come un’entità essenzialmente pubblicistica che si identificava soprattutto con il momento autoritativo dell’azione. La conseguenza di tale impostazione era la diffidenza verso l’utilizzo di strumenti privatistici.
Per avere l’esatta visione della problematica basti pensare che il riconoscimento della piena capacità giuridica alle amministrazioni pubbliche è divenuta una questione rilevante all’interno del dibattito dottrinale soltanto in tempi relativamente recenti sebbene la stipulazione di contratti fosse attività del tutto normale e legislativamente prevista.
Gli enti pubblici possiedono la medesima capacità giuridica delle persone fisiche, fatti salvi i limiti derivanti dalla natura degli stessi e da espressi divieti imposti dalla legge.
Il diritto amministrativo sta confluendo sempre più nel diritto privato ed è ormai costante l’utilizzo di istituti tipici del diritto civile per disciplinare settori di competenza della pubblica amministrazione. Conseguentemente, è frequente l’interazione di norme di diritto pubblico e norme di diritto privato.
Il potere pubblico ha subito negli anni una profonda trasformazione, andandosi ad integrare nella società civile e trasformandosi gradualmente in un soggetto prevalentemente al servizio della collettività, interprete e curatore esclusivo dei suoi interessi; tale trasformazione ha, ovviamente, interessato tutti gli strumenti di esercizio delle funzioni di poteri pubblici e, quindi, la trasformazione ha caratterizzato tutte le forme organizzative.
Il settore delle opere pubbliche, in particolare, ha visto lo sviluppo di forme di azione concordata nelle quali, pur sussistendo una forte componente pubblicistica dal punto di vista gestionale ed organizzativo, è divenuta fondamentale la partecipazione degli interessati, ricorrendo all’organizzazione imprenditoriale e finanziaria dei privati per i procedimenti di scelta. A tale proposito, infatti, si ricorre sempre più
spesso, ad esempio, alla pianificazione concordata, alle società miste, al
project financing ed al dialogo competitivo2.
L’utilizzo degli strumenti negoziali di diritto privato è sempre più frequente ed in dottrina ferve il dibattito sul se e quando sia consentito all’amministrazione, qualora sia opportuno e necessario per la tutela dell’interesse pubblico, adottare atti unilaterali nel corso dell’esecuzione di un contratto stipulato con un privato, fatta salva comunque la corresponsione dell’indennizzo.
Il diritto amministrativo, esercitato in forme consensuali, con gli strumenti del diritto privato, è soggetto al regime generale che si fonda sulla garanzia e la funzione dell’interesse pubblico; vige sempre il rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa.
L’amministrazione, di conseguenza, deve sempre agire in ossequio ai principi costituzionali e comunitari che ne regolano l’azione e che consentono il miglior perseguimento dell’interesse pubblico, pur nel rispetto delle situazioni giuridiche soggettive del privato.
L’utilizzo di regole e strumenti propri del diritto privato ha consentito all’amministrazione di dotarsi di strumenti di governo più agili e snelli, uniformando le regole del settore pubblico e di quello privato, rendendo più forte la partecipazione dei privati anche ad iniziative che perseguono interessi collettivi e, quindi, di assicurare un ordinamento pienamente democratico nel quale la garanzia di parità di tutti i soggetti giuridici sancita dall’art. 3 della Costituzione, sia garantita, effettiva e concreta3.
2 S. VINTI, Limiti funzionali all’autonomia negoziale della pubblica amministrazione nell’appalto di opere pubbliche, CEDAM, 2008, pag. 4.
3 Sul concetto di attività pubblica tradizionalmente intesa: X. XXXXXXXXXX, Rapporti giuridici privati e pubblici e interessi individuali e collettivi, in Studi in onore di Xxxxx Xxxxx pel XXV anno del suo insegnamento, vol. II, Napoli, 1906, 269 e 273, secondo il quale l’attivita è pubblica soltanto quando, direttamente o indirettamente, è riferibile allo Stato e
―la ragione ultima, vera ed esclusiva della natura pubblica dell’attività dello Stato‖ risiede ―nello scopo (...) di soddisfare gli interessi collettivi del popolo, vuoi di conservazione, vuoi di benessere e prosperità‖; X. XXXXXXXXXX, Il concetto di pubblico nel diritto (1905), in Scritti giuridici scelti, Camerino, 1992, I, 267. In tema di provvedimento amministrativo,
E’ da porre in risalto, però, che l’uso dei modelli privatistici da parte dell’amministrazione è caratterizzata da frequenti alterazioni, prescrizioni integrative e derogatorie, dovute proprio all’esigenza di tutelare e bilanciare i diversi interessi in gioco.
Per quanto riguarda, in particolare, l’attività della pubblica amministrazione nella stipulazione dei contratti d’appalto, questa è caratterizzata da limiti funzionali4.
Il principio di collaborazione deve necessariamente coesistere e conciliarsi con il principio di supremazia dell’amministrazione.
In questo settore bisogna coniugare due momenti fondamentali dell’attività della pubblica amministrazione:
1) soddisfare l’interesse pubblico di cui la p.a. è responsabile, attraverso il rispetto dei principi fondamentali della trasparenza, efficienza, efficacia, parità di trattamento, economicità;
2) utilizzare, per la stipulazione, tutti gli strumenti posti a disposizione dei contraenti dal diritto civile e costituenti l’autonomia contrattuale (art. 1321 c.c.)
L’obiettivo fondamentale da perseguire è l’interesse pubblico ma bisogna tutelare al contempo gli interessi e le aspettative dei privati, e,
con particolare riferimento al concetto di imperatività, tra gli altri: M.S. XXXXXXXX, Diritto amministrativo, Milano, Xxxxxxx, 1993, pagg. 235 ss., secondo cui il provvedimento amministrativo consiste nell'atto mediante il quale l’autorità amministrativa dispone in ordine all'interesse pubblico di cui è attributaria, esercitando la propria potestà e correlativamente incidendo sulle posizioni soggettive del privato; ID., voce Atto amministrativo, in Enc. Dir., vol. IV, Milano, Xxxxxxx, 1959, 157 ss.; X. XXXXXXX, Atti e poteri amministrativi, in Dizionario amministrativo, I, Milano, Xxxxxxx, 1983, pagg. 101 ss. Sull’evoluzione della figura del provvedimento e sulla doppia qualificazione degli atti della pubblica amministrazione quali dichiarazioni negoziali e atti amministrativi, nell’ottica della funzionalizzazione anche delle manifestazioni di volontà negoziale dell'amministrazione: F.G. SCOCA, La teoria del provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul procedimento, in Dir. amm., 1995, pagg. 1 ss..
4 Cfr. XXXXXXXXXX MATTEUCCI, La funzione amministrativa e il diritto privato in
Atti dell’incontro di studio:L’azione amministrativa progetto di revisione della legge
n. 241/1990, Università degli Studi G. D'Annunzio di Chieti - Pescara, 30 maggio 2003, Bologna, Il Mulino, 2003, 35 ss.; secondo l’A., il carattere funzionale dell'attività amministrativa, anche quando esercitata nelle forme del diritto privato, permane e non può essere rimosso; ID., Regime giuridico dell'attivita amministrativa e diritto privato, in Dir. pubbl., 2003, pagg. 405 ss., ove si analizzano i tre disegni di legge relativi alle modifiche alla legge sul procedimento amministrativo che hanno preceduto l’ultimo, poi sfociato nella legge n.15/05.
pertanto, nella disciplina comune vanno trasferiti il principio del buon andamento, l’efficacia, l’imparzialità, la trasparenza, la concorrenzialità tra gli operatori, la ragionevolezza e la proporzionalità.
Il negozio giuridico stipulato tra privato e pubblica amministrazione produce gli effetti tipici del modello civilistico, anche se atti e comportamenti della p.a. nel corso dello svolgimento del rapporto devono essere valutati anche alla luce dell’interesse pubblico perseguito e connotato dai principi di derivazione comunitaria5.
L’attività negoziale della pubblica amministrazione in materia di pubblici appalti, sempre rivolta al perseguimento del fine pubblico, si distingue in due fasi:
1. la fase pubblicistica, rappresentata dal procedimento di scelta del contraente sino al momento dell’aggiudicazione;
2. la fase privatistica immediatamente successiva all’aggiudicazione, costituita dalla stipulazione del contratto fino alla conclusione del rapporto.
Ognuna di queste due fasi produce effetti diversi l’una sull’altra a seconda del particolare caso concreto che di volta in volta si verifica; molti atti del procedimento amministrativo in tema di appalti pubblici sono, infatti, suscettibili di essere guardati sia sotto l’angolo visuale del diritto pubblico sia sotto quello del diritto privato.
Basta pensare al bando di gara, che può essere considerato sia come un atto amministrativo, lex specialis della procedura selettiva, sia come un invito a offrire così come l’aggiudicazione, che può essere vista come l’atto conclusivo del procedimento in cui la pubblica amministrazione esprime definitivamente la propria volontà o come accettazione della proposta contrattuale.
5 Cfr. A. MASSERA, I principi generali dell’azione amministrativa tra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario, in Dir. amm., 4, 2005, pag. 707; X. XXXXXXX, L’influenza del diritto amministrativo comunitario sui diritti amministrativi nazionali, in Riv. It. Dir Pubbl. Com., 1993, pagg. 329 ss; X. XXXXXXXXX, Il diritto amministrativo
Paragrafo II.
I contratti della pubblica amministrazione
Gli strumenti privatistici, più utilizzati dalla p.a., sono i contratti anche se le amministrazioni dispongono di altre tipologie di atti di diritto privato non negoziali.
La dottrina ha schematizzato i contratti della pubblica amministrazione in tre diverse categorie6:
1. contratti di diritto comune;
2. contratti speciali;
3. contratti ad oggetto pubblico.
Nella prima categoria rientrano la vendita e la locazione. Fra i contratti speciali rilievo assoluto è stato assunto dall’appalto di lavori, che è la categoria negoziale cui l’amministrazione ricorre attraverso la procedura dell’evidenza pubblica ogni qualvolta abbia la necessità di soddisfare bisogni istituzionali che richiedono l’intervento di soggetti terzi. La categoria dei contratti speciali oggi non ha più un ambito limitato ai contratti dello Stato e degli enti territoriali, applicandosi la stessa anche agli enti pubblici non economici, a tutti gli organismi di diritto pubblico, alle imprese pubbliche ed ai soggetti privati che operino in virtù di diritti speciali o esclusivi concessi con atto dell’autorità competente.
La terza categoria è stata caratterizzata in questi ultimi anni dalla
italiano e l’influenza comunitaria, in Riv. It. Dir Pubbl. Com, 5, 2004, pagg. 1179 ss..
6 Secondo M.S. XXXXXXXX, in Diritto amministrativo, III ed, Milano, Xxxxxxx, 1993, pag. 356, i contratti che concludono le amministrazioni pubbliche si dividono in tre grandi categorie. La prima è quella dei contratti ordinari o di diritto comune (vendite, locazioni, contratti d'opera, somministrazioni), contratti che ciascun soggetto può concludere utilizzando la propria autonomia privata e le conseguenti norme del diritto privato; la seconda è quella dei contratti speciali, ovvero retti da norme del diritto privato speciale; la terza è costituita dai c.d. contratti ad oggetto pubblico, che si collegano in modo strettissimo a provvedimenti amministrativi, dei quali costituiscono un necessario complemento (le convenzioni che accedono a Beni pubblici), o una integrazione, o infine una alternativa di realizzazione (ad es. le convenzioni urbanistiche). In questa concezione i contratti ad evidenza pubblica non formano una categoria come le altre ma sono a se stanti, nel senso che rappresentano esclusivamente una categoria procedimentale, che dal punto di vista sostanziale può essere applicata ai contratti speciali, ordinari o ad oggetto pubblico.
maggiore diffusione, basti pensare alla crescita del fenomeno dell’urbanistica consensuale7.
Attualmente l’attività contrattuale8 relativa agli appalti della pubblica amministrazione e la connessa scelta del contraente vengono suddivise in due fasi distinte, di cui una pubblicistica, rappresentata dal procedimento di scelta del contraente sino al momento dell’aggiudicazione ed un’altra fase, immediatamente successiva, rappresentata da tutto ciò che segue l’aggiudicazione stessa, dalla stipulazione del contratto sino alla esecuzione del rapporto, e che è qualificata come privatistica.
Entrambe le fasi sono rivolte al perseguimento del fine pubblico. L’attività negoziale della p.a. può risultare compressa, o comunque fortemente connotata, in ragione della funzione esercitata, perché l’autonomia dell’amministrazione si conforma di volta in volta alla funzione che questa è chiamata a svolgere9.
I limiti all’autonomia negoziale della p.a. sono limiti posti dalla funzione cui il negozio è preordinato, nel quadro dei principi comunitari, costituzionali e dell’ordinamento vigente; è la legge innanzitutto che pone il vincolo all’agire discrezionale tipico della pubblica amministrazione che individua a monte gli interessi pubblici affidati alla sua cura.
Il principio di legalità comporta che tutti i soggetti pubblici debbano
7 Sul tema si è formata una ricca letteratura amministrativa fra i tanti vanno tenuti presente: DE LISE, Contratti in materia urbanistica, in XXXXXXXXX E SATURNO, Il diritto privato della pubblica amministrazione, Padova, 2006, pagg. 679 ss.; X. XXXXX, Programmazione amministrativa e pianificazione del territorio, Torino, 2003; P. URBANI, Urbanistica consensuale , Torino, 2000.
8Cfr. M.S. XXXXXXXX, Diritto amministrativo, cit., pagg. 363 ss.; X. XXXXXXX XXXXXX, Qualche riflessione su “accordi" e "contratti di diritto pubblico”, in Gli Accordi privati, pubblica amministrazione e la disciplina generale del contratto, a cura di X. Xxxxxxxxxx, X. Follieri e G. Vettori, Napoli, ESI, 1995; X. XXXXX, I contratti dell’amministrazione tra diritto pubblico e diritto privato — I contratti ad evidenza pubblica, Milano, Xxxxxxx, 1996; ID., Accordi e contratti della pubblica amministrazione tra suggestioni interpretative e necessità di sistema, Dir. amm., 3, 2002.
9 Cfr. X. XXXXXXXX, Le privatizzazioni tra pubblico come soggetto e pubblico come regola, in Dir. Pubbl., 1995, pagg. 416 ss..
necessariamente perseguire, pena l’illegittimità della propria azione, gli scopi ed i fini imposti dalla Costituzione e dalla legge, quale strumento di esercizio della sovranità popolare; è la maggiore garanzia contro l’uso indiscriminato dei poteri autoritativi della amministrazione ed è volto a determinare a priori le modalità della cura dell’interesse pubblico e l’incidenza che tale cura può avere sugli interessi dei privati10.
Sull’art. 97 della Costituzione si fonda l’ulteriore principio cardine in materia di appalti pubblici, quello di concorsualità, di cui all’art. 3 del
r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, norme di contabilità generale dello Stato, e l’art. 37 del r.d. 23 maggio 1924, n. 827, regolamento di contabilità, disposizioni riferite a tutti i contratti dai quali derivi una spesa.
L’attività che caratterizza il diritto degli appalti è fortemente procedimentalizzata per soddisfare le esigenze di trasparenza dell’azione amministrativa e, nello stesso tempo, garantire sia il rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento, dai quali discende la scelta più efficiente, efficace ed economica, che quelli di par condicio competitorum e massima concorrenzialità, direttamente derivati dai precetti comunitari.
L’attività contrattuale della p.a. si caratterizza sia per la discrezionalità amministrativa e per i limiti che derivano dal rispetto dei canoni di natura pubblicistica, sia per l’autonomia negoziale nell’applicazione della quale l’amministrazione è obbligata al rispetto dei principi di correttezza nelle trattative, buona fede ed affidamento, nonché tutela del contraente debole.
10 Cfr. M.S. XXXXXXXX, Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, Xxxxxxx, 2000, pag. 262; X.XXXXXXX IRELLI, Diritto amministrativo e diritto comune: principi e problemi, in Scritti in onore di X. Xxxxxxx, Padova, 1998, pag. 563.
Paragrafo III.
La formazione del contratto
La peculiarità dei contratti di appalti pubblici sta nel fatto che disposizioni di natura squisitamente pubblicistica sono chiamate a costituire parte integrante di un negozio che possiede tutti gli elementi essenziali qualificanti del diritto privato11.
Ed invero, la circostanza che la cura dell'interesse pubblico sia l'elemento caratterizzante ogni attività contrattuale della pubblica amministrazione, in ogni caso funzionalizzata a tali obiettivi, non è idonea ad escludere ogni forma di autonomia contrattuale, ma più semplicemente a condizionarne l'esercizio e a renderla, per taluni aspetti, limitata.
Lo stesso art. 1374 c.c. dispone che il contratto obbliga le parti non solo a quanto in esso stabilito, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi 12.
La dottrina tradizionale riteneva che dal contratto non potessero derivare conseguenze non determinate direttamente dalla volontà delle parti, in nome della liberà riconosciuta dal nostro ordinamento, salvo il solo caso di lacune od omissioni nel regolamento contrattuale, da colmarsi, mediante un intervento suppletivo della legge, degli usi o dell'equità; tuttavia, successivamente, non ha potuto negare che spesso il contenuto del contratto sia frutto anche dell'intervento normativo, senza che possa operarsi alcuna distinzione tra fonti autonome e fonti eteronome.
Le fonti autonome ed eteronome concorrono entrambe a formare il regolamento contrattuale; il contratto non esprime esclusivamente la
11 Cfr. X. XXXXXXXXX, Tendenze recenti dell’amministrazione italiana e accentuazione delle interferenze tra diritto pubblico e diritto privato, in Scritti in onore di X. Xxxxxxx; G. ALPA, Orientamenti giurisprudenziali sull’attività contrattuale della pubblica amministrazione, in Giust. civ., 1990, pagg. 133 ss..
12 Cfr. X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, cit., pag. 335; X. XXXXXX’, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, Xxxxxxx, 2004, pag. 93, pagg. 101 ss..
volontà delle parti, ma obbliga queste ultime anche a conseguenze non pattuite espressamente, conservando la natura di atto nel quale si manifesta al massimo grado quell'autonomia riconosciuta nel nostro ordinamento dall'art. 1325 c.c.13.
L'ordinamento ha sentito la necessità di adeguare lo strumento contrattuale alle esigenze economiche dell'intera collettività, facendo in modo che possa assolvere, a fianco della tradizionale funzione di suprema manifestazione di autonomia privata e di autoregolamentazione, alla funzione di mezzo per il perseguimento di interessi superindividuali14.
Nel contratto d'appalto viene così in evidenza proprio la funzione
―sociale‖ del negozio, inteso, quindi, non come scambio di due volontà per il raggiungimento dell’interesse di una delle due parti contraenti, quanto piuttosto come strumento per il soddisfacimento dell’interesse pubblico, variamente articolato; in questo senso il richiamo alla legge operato dall'art. 1374 c.c. deve intendersi come richiamo a tutte le norme integratici del contratto, indipendentemente dalla loro natura, imperativa o integrativa15.
La disciplina privatistica è ricca di esempi che ci dimostrano come il fenomeno descritto in materia di pubblici appalti non è così estraneo al nostro ordinamento: vi sono, infatti, numerosi casi nei quali il legislatore pone in generale vincoli espressi all'autonomia contrattuale, pone limiti alla libertà di determinare il contenuto dell’accordo (ad es. artt. 2597, 1679 c.c.).
Il soggetto, a volte, non è nemmeno libero di contrarre, ma vi è obbligato o dalla stessa volontà privata o dalla legge; si pensi al contratto preliminare al cui inadempimento può conseguire non il mero obbligo
13 Cfr. A. DI MAJO, Categorie giuridiche e rapporti sociali, Milano, pag. 106.
14 Relativamente all’autonomia privata, cfr. R. SACCO, Autonomia nel diritto privato, in Dig. Disc. priv., vol. I, Torino,1987, pag. 517; X. XXXXXXXXX, Note sul problema costituzionale dell’autonomia privata, in Studi per il decennale della Costituzione, Milano, Xxxxxxx, 1958.
15 Cfr. X. XXXXXXX, Il negozio giuridico, in Tratt. Dir. Civ. e comm., diretto da X.
di risarcire il danno, ma la possibilità della parte adempiente di ottenere una sentenza che sostituisca d’autorità il contratto non concluso. Altre restrizioni all’autonomia privata si rinvengono nei limiti costituiti dalla contrarietà a norme imperative, ordine pubblico e buon costume, così come nell’ipotesi di sostituzione automatica di clausole prevista dall’art. 1339 c.c.. Nel primo caso, non vi può essere alcuna tutela giuridica per l’inadempimento all’obbligazione e il contratto stipulato è nullo, attesa la contrarietà delle pattuizioni a principi posti a tutela di interessi collettivi; nel secondo caso, la norma dispone l’inserzione automatica delle clausole imposte dalla legge in sostituzione di quelle difformi eventualmente apposte dalle parti; il contratto resta in vita e le parti contraenti private restano vincolate da un apparato che non è più frutto esclusivo della loro volontà, ma di quest’ultima, per come integrata o sostituita dalla fonte eteronoma.
L’ampliamento del regolamento contrattuale, a prescindere dall’incontro delle rispettive volontà, è rappresentato dalle clausole d’uso, che si intendono inserite nel contratto a meno che non risulti espressamente che le parti non le abbiano volute (art. 1340 c.c.).
Vi è, poi, l’art. 1341 c.c., secondo il quale il contenuto contrattuale può anche essere fissato unilateralmente da uno dei contraenti mediante condizioni generali di contratto16 che sono efficaci e vincolano la parte che non le ha predisposte, se quest'ultima le ha conosciute o avrebbe potuto conoscerle utilizzando l’ordinaria diligenza.
Come è evidente, in questo caso, il contenuto del contratto non è il prodotto dell'accordo di due parti, ma l'accettazione di una delle due di quanto già stabilito dall’altra, senza alcuna possibilità di trattare o di
Cicu e X. Xxxxxxxx, Milano, 1988, pag. 44;
16 S. XXXXX, X. XXXXX, Responsabilità precontrattuale e contratti standard, Commentario del Codice Civile, Artt. 1337-1342, fondato da X. Xxxxxxxxxxx, Milano, Xxxxxxx, 1993, pagg. 300 ss.; A. GENOVESE, Le condizioni generali di contratto, Padova, Cedam, 1954, pagg. 30 ss.; X.X. XXXXXX, Diritto civile. Il contratto, vol. III, Milano, Xxxxxxx, II ed., 2000, pag. 350. Per quanto riguarda la giurisprudenza vedi: Corte di Cassazione, sez. I, 27 aprile 1991, n. 4638, in Mass. Foro it., 1991; Id., 23 maggio 2006, n. 12153, in Mass. Foro it., 2006, 1035.
negoziare su taluni aspetti delle condizioni generali.
Secondo quanto dispone, poi, il comma successivo, non hanno effetto, se non specificamente approvate per iscritto, quelle condizioni che stabiliscono a favore di chi le ha predisposte limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, oppure sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria.
In dottrina le condizioni generali di contratto sono considerate quelle clausole che vengono predisposte unilateralmente e secondo uno schema destinato a essere impiegato per disciplinare in modo uniforme una pluralità indefinita di rapporti contrattuali, contrapponendosi alle clausole specificamente elaborate per singoli rapporti.
Si ha la predisposizione unilaterale di condizioni generali di contratto anche nelle ipotesi che vengano adottate clausole contrattuali, su iniziativa di una parte, secondo uno schema negoziale già proposto da terzi.
Il tema della predisposizione unilaterale delle clausole contrattuali e della disciplina applicabile assume notevole interesse relativamente al capitolato generale ed ai capitolati speciali predisposti dalle stazioni appaltanti ed inserite nei contratti d’appalto di opere pubbliche.
Per quanto riguarda il capitolato generale17, la giurisprudenza, facendo leva sulla natura regolamentare dello stesso e cioè sul fatto che non si tratta di clausole contrattuali, ma di regolamenti pubblici, sottratti per loro natura alla disciplina dei contratti, ha negato l’applicabilità dell’art. 1341 c.c.
17 Dubbi in ordine alla applicabilità dell’art. 1341c.c. sono stati espressi da S. XXXXX,
G. PATTI, Responsabilità precontrattuale e contratti standard, cit., pagg. 416 ss.; X. XXXXXXXX, Capitolati generali dello Stato e applicazione dell’art. 1341, secondo comma Codice Civile, in Studi in ricordo di Xxxx Xxxxxxxxxx, Milano, Xxxxxxx, 1988,
Con riferimento, invece, ai capitolati speciali e allo schema di contratto, la questione è più complessa18.
A tale proposito occorre sottolineare che le stazioni appaltanti possono adottare capitolati contenenti la disciplina tecnica e di dettaglio della generalità dei contratti d'appalto stipulati, oppure dei singoli contratti.
I capitolati speciali devono essere redatti nel rispetto di tutte le norme di rango superiore in materia di lavori pubblici e, nel caso di specie, del d.lgs. n. 163/06; devono, poi, essere conosciuti dai partecipanti alle gare, mediante allegazione agli atti di gara, costituendo parte integrante del contratto stesso e fissandone le condizioni particolari.
La finalità di tali documenti è, evidentemente, quella di semplificare l’attività contrattuale, non disgiunta da una funzione di garanzia per l’amministrazione.
II capitolato speciale deve essere presente non solo all’atto della formazione del contratto ma, in veste di schema, come componente del progetto preliminare (qualora si tratti di affidare un appalto concorso o una concessione di lavori secondo l’art. 18, d.P.R. n. 554/99, ora art.
17 del nuovo regolamento di esecuzione del d.lgs. n. 163/06), del progetto definitivo (nel caso di appalto integrato, insieme allo schema di contratto secondo l’art. 25, d.P.R. 554/99), e in ogni caso, unitamente allo schema di contratto, costituisce un documento di natura contrattuale che compone il progetto esecutivo (ai sensi dell’art. 35, lett. m, d.P.R. 554/99).
Il capitolato speciale può anche contenere disposizioni destinate a operare in fase di gara, con riferimento agli obblighi e oneri delle parti
pagg. 221 ss..
18 Secondo l’art. 5 del d.lgs. n. 163 del 2006, nonché l’art. 110 del d.P.R. n. 554/99 (ora art. 137 del nuovo regolamento di esecuzione del d.lgs. n.163/06) il capitolato speciale è uno di quegli atti, insieme al capitolato generale, agli elaborati grafici progettuali, all’elenco prezzi, ai piani di sicurezza e al cronoprogramma, che costituisce parte integrante del contratto e deve essere in quest’ultimo richiamato.
concorrenti, purché queste siano portate a conoscenza degli interessati. D’altra parte, la tipologia delle disposizioni che devono obbligatoriamente essere inserite nel capitolato speciale evidenzia come si tratti di elementi strutturali essenziali rispetto all’oggetto del contratto e non di condizioni di minore importanza o di dettaglio, che il partecipante alla gara deve accettare senza poterne fare oggetto di negoziazione diretta, se pure una forma di garanzia è costituita dal fatto che le stesse debbano necessariamente essere rispettose delle fonti di rango superiore.
Analoghe considerazioni possono essere svolte con riferimento allo schema di contratto, che pure costituisce un documento essenziale da allegare sin dal progetto definitivo, per l’ipotesi di affidamento di appalto integrato, ed, in ogni caso, al progetto esecutivo: in particolare, lo schema di contratto deve contenere, per quanto non disciplinato dal regolamento stesso e dal capitolato generale, quelle clausole dirette a regolare il rapporto tra stazione appaltante e impresa in relazione alle specifiche caratteristiche dell’intervento, con riferimento ai termini di esecuzione e penali, al programma di esecuzione dei lavori, alle sospensioni o ripresa dei lavori, agli oneri a carico dell’appaltatore, alle modalità di contabilizzazione dei lavori, alla liquidazione dei corrispettivi, ai controlli e alle modalità e termini di collaudo, nonché alle modalità di risoluzione delle controversie.
Proprio per quanto concerne la predisposizione unilaterale da parte della stazione appaltante dello schema di contratto e del capitolato speciale, ci si è chiesti in passato se tali documenti contrattuali potessero essere considerati quali condizioni generali di contratto, con conseguente applicabilità della disciplina dell’art. 1341 c.c..
La giurisprudenza ormai consolidata, seppure non ha potuto disconoscere la circostanza della predisposizione unilaterale da parte della stazione appaltante del contenuto del capitolato speciale, ha escluso che potesse farsi riferimento alla disciplina delle condizioni
generali di contratto, escludendo l’applicazione del secondo comma dell’art. 1341 c.c..
Il capitolato speciale, sebbene predisposto unilateralmente da uno dei contraenti nei confronti di una persona indeterminata, nella stragrande maggioranza dei casi è predisposto dal soggetto pubblico esclusivamente per disciplinare il rapporto contrattuale con il vincitore della procedura concorsuale e non, al contrario, per disciplinare in modo uniforme una serie indefinita di rapporti.
Secondo i giudici di legittimità, infatti, il richiamo che venga effettuato nel testo del contratto ad una disciplina fissata in un distinto documento, sulla premessa della piena conoscenza di tale documento e della sua natura integrativa per la parte in cui il testo negoziale difetti di una specifica regolamentazione, fa sì che quella disciplina assuma il valore di clausole concordate, e quindi sottratte all’esigenza di specifica approvazione per iscritto ai sensi dell’art. 1341 c.c., secondo comma.
Pertanto la pubblica amministrazione, ed è anche in ciò la peculiarità dei contratti da essa stipulati, predispone, tramite i propri funzionari, unitamente agli altri atti di natura amministrativa relativi alla procedura concorsuale, taluni documenti contenenti un nucleo di regole di natura contrattuale sottratte alla successiva influenza del contraente vincitore della procedura concorsuale, che quest'ultimo può esclusivamente accettare nel momento della stipulazione del contratto, non potendosi successivamente dolere di quegli stessi contenuti.
I documenti contrattuali che costituiranno la base dei futuri rapporti negoziali e ne condizioneranno interamente lo svolgimento, vengono redatti unitamente agli atti della procedura concorsuale, e coerentemente con questi ultimi, in un iter che si sviluppa, o dovrebbe svilupparsi, unitariamente a partire dal momento della programmazione dell’opera e sino ad arrivare alla sottoscrizione del contratto.
L’offerta dei concorrenti ha natura giuridica di proposta contrattuale,
formulata sulla base delle condizioni fissate dall’amministrazione nel bando di gara o nella lettera di invito, da qualificarsi come invito ad offrire.
Tali proposte contrattuali che, a garanzia della certezza dei rapporti con l’amministrazione, devono essere espresse con chiarezza e precisione e non possono venire formulate in modo indeterminato o per relationem, sono modulate proprio sulla base di una attenta ponderazione di tutti gli atti di gara, sia qualora l’offerta riguardi esclusivamente il prezzo, sia quando il criterio sia quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa; in termini astratti, modificando le condizioni iniziali di base (ovvero taluni elementi del capitolato), anche le proposte contrattuali dovrebbero poter essere riformulate, poiché sono state inizialmente redatte facendo proprie quelle stesse condizioni, che implicitamente sono inserite nell’offerta.
Tuttavia, poiché le stazioni appaltanti, contrariamente alla regola generale di revocabilità della proposta sino al momento della conclusione del contratto, inseriscono normalmente negli atti di gara previsioni volte a porre un limite temporale di irrevocabilità delle proposte, la modifica delle condizioni già inserite nello schema di contratto o nel capitolato speciale d’appalto sarebbe, anche sotto questo profilo, del tutto illegittima, non residuando sul punto alcuna autonomia negoziale per l’amministrazione.
Paragrafo IV.
Il contratto come fase successiva all’aggiudicazione
L’art. 16, comma 4, del r.d. n. 2440/23 stabiliva la regola, ormai definitivamente superata, della corrispondenza dell’aggiudicazione della gara alla formazione del vincolo negoziale, valevole in tutti i casi in cui la scelta del contraente fosse avvenuta con il sistema dei pubblici
incanti o con la licitazione privata, attribuendo alla stipula del contratto la mera funzione di documentare l’avvenuto incontro delle volontà, già raggiunto con l’aggiudicazione.
Con il nuovo Codice dei contralti pubblici la corrispondenza fra aggiudicazione e stipula del negozio è venuta definitivamente meno, determinando uno slittamento della fase di conclusione del contratto. Si è, così, passati dalla c.d. serie negoziale, cioè dall’insieme di atti che sono alla base della formazione del vincolo negoziale, alla serie c.d. procedimentale di formazione della volontà della pubblica amministrazione.
Il d.lgs. n. 163/06, all’art. 11, comma 7, stabilisce espressamente che l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta19. L’assenza di obblighi negoziali, tuttavia, non implica che l’ordinamento abbia in tal modo attribuito all’amministrazione la facoltà di interrompere arbitrariamente le negoziazioni attivate e giunte ormai nelle fasi terminali vista l’avvenuta aggiudicazione, anche perché porre nel nulla le trattative, in assenza di idonee ragioni giustificative, costituisce pur sempre un comportamento illecito e foriero di responsabilità.
La pubblica amministrazione è sottoposta, così come i privati, ai principi del codice civile informanti l’attività negoziale, ivi incluso l’obbligo, sancito dall’art. 1337 c.c., di comportarsi secondo buona fede nelle trattative propedeutiche alla conclusione di un contratto, senza che si delineino zone franche per i titolari di potestà pubblicistiche.
In capo alla stazione appaltante potrà profilarsi una responsabilità precontrattuale20, non solo quando sia rimasta colpevolmente inerte, ma,
19 R. DE NICTOLIS, Il nuovo contenzioso in materia di appalti pubblici, Milano, 2007, pag.162; Corte di Cassazione, SS.UU., 28 dicembre 2007, n. 27619, in Ed. e Terr., 3, 2008, pagg. 81 ss..
20 Cfr. M.S. XXXXXXXX, La responsabilità precontrattuale dell’amministrazione pubblica, in Scritti in onore di X.X. Xxxxxx, III, Milano, Xxxxxxx, 1963 pagg. 270 ss.;
X. XXXXXX, La responsabilità della pubblica amministrazione, Milano, Xxxxxxx, 1955, pag. 144; G.M. RACCA, La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione tra autonomia e correttezza, Napoli, Jovene, 2000.
in alcuni casi, anche laddove la mancata stipula del contratto sia dipesa dall’adozione di un provvedimento di riesame, la cui legittimità sotto il profilo amministrativo non esclude, di per sé, l’illiceità della condotta complessivamente tenuta dall’amministrazione alla stregua delle categorie di matrice civilistica.
L’aggiudicazione, quindi, pur non determinando il sorgere di obbligazioni contrattuali in capo alla stazione appaltante, ormai inscindibilmente legate alla formale stipula del contratto, non può dirsi scevra di qualsivoglia rilevanza giuridica quantomeno in termini di legittimo affidamento del concorrente aggiudicatario che, ove rimanga insoddisfatto, potrà ricorrere alle ordinarie azioni a tutela delle proprie ragionevoli aspettative sulla conclusione del contratto; quest’ultima rappresenta, comunque, un adempimento obbligatorio per la stazione appaltante, ultimo della serie che caratterizza la fase dell’evidenza pubblica.
L’art. 11 del d.lgs. n. 163/06 stabilisce che la stazione appaltante debba procedere alla conclusione del contratto non prima di trenta giorni della comunicazione ai controinteressati del provvedimento di aggiudicazione ed entro sessanta giorni, o nel diverso termine previsto nel bando o nella lettera d’invito, dall’acquisto di efficacia dell’aggiudicazione definitiva, e precisa che l’inutile decorso del termine finale consente al privato unilateralmente di sciogliersi da ogni vincolo o recedere dal contratto mediante atto notificato alla stazione appaltante. La norma pone la stazione appaltante in posizione di privilegio rispetto all’aggiudicatario, che, a prescindere da ogni considerazione sull’imputabilità del ritardo, viene esentata ope legis dall’indennizzare l’aggiudicatario, dovendo al più corrispondere il rimborso delle spese contrattuali documentate, ingenerando una macroscopica disparità accentuata dal corrispondente, ma decisamente più rigoroso, regime di responsabilità previsto per il privato che è sottoposto all’escussione della cauzione provvisoria qualora, per una qualsiasi circostanza, non presti il
proprio consenso alla stipula del contratto.
In ogni caso, a prescindere dagli eventuali ritardi, la stazione appaltante è tenuta a stipulare il contratto (salvo, ovviamente, l’esercizio dei poteri di autotutela) secondo le forme stabilite dal comma 13 dell’art. 11 del d.lgs. n. 163/06; vale a dire, a seconda delle norme vigenti per ciascuna stazione appaltante, mediante atto pubblico notarile, mediante forma pubblica amministrativa, ovvero mediante scrittura privata fermo restando, in ogni caso, l’onere dell’impiego della forma scritta, richiesta finanche nelle stesse definizioni contenute nell’art. 3, d.lgs. n. 163/06, dove si qualificano gli appalti pubblici come contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra una stazione appaltante e uno o più operatori economici.
L’inderogabilità della forma scritta viene affermata anche in rapporto alla rinnovazione del negozio che, ove consentita, non può mai operare tacitamente, pena la nullità del contratto rinnovato.
Anche per gli atti di transazione, oggi generalmente ammessi per espresso disposto dell’art. 239 del d.lgs. n. 163/06 per dirimere le controversie relative a diritti soggettivi nascenti dall’esecuzione dei contratti pubblici di lavori, viene espressamente richiesta la forma scritta a pena di decadenza.
La forma del contratto di appalto pubblico e degli atti ―derivati‖ continua perciò a essere tassativamente predeterminata da una normativa di settore che ha sacrificato sull’altare della trasparenza dell’azione amministrativa il generale principio di libertà delle forme, comprimendo anche sotto questo aspetto l’autonomia dell’amministrazione cui risulta preclusa, pena la nullità delle relative pattuizioni, la possibilità di concludere contratti in forma verbale.
Per quanto riguarda la possibilità di utilizzare il pactum de contrahendo21, sebbene esso sia impiegato nella pratica commerciale
21 X. XXXXXXXXX, Il contratto preliminare, Milano, Xxxxxxx, 1970; X. XXXXXX, Il contratto preliminare, Napoli, Jovene, 1967; X. XXXXXXX, Il contratto preliminare , in Trattato di diritto privato, a cura di X. Xxxxxxx, Torino, Giappichelli, 2000, pag.
quasi esclusivamente in rapporto ai contratti di compravendita, questo strumento può essere utilizzato dai privati senza limitazioni di sorta, in rapporto a diversi tipi negoziali, ivi incluso il contratto di appalto, ogni qual volta venga reputato utile o opportuno far sorgere un vincolo giuridico pur in assenza di alcune delle condizioni indispensabili per concludere il contratto definitivo.
Il contratto preliminare è un mezzo essenziale in quei casi in cui non si può, da una parte, concludere il contratto definitivo senza il preventivo rilascio di autorizzazioni che chiedono tempo, e dall’altra non si vuole correre il rischio di gravi pregiudizi.
Vi possono essere fattispecie in cui la stessa esigenza di prevenzione venga avvertita dall’amministrazione che potrebbe, per ipotesi, essere interessata a ridurre i tempi necessari per la realizzazione dell’opera, individuando subito l’appaltatore mediante le ordinarie procedure e stipulando con questo un contratto preliminare ed assicurandosi così la possibilità di provvedere senza ulteriori indugi alla diretta stipula del contratto definitivo una volta integrate tutte le condizioni necessarie prima mancanti.
La mancanza di una disciplina specifica ha indotto la dottrina a interrogarsi sull’ammissibilità dell’impiego del pactum de contrahendo nel settore delle opere pubbliche.
L’assenza di una disposizione ad hoc non rappresenta, di per sè, un ostacolo; diversamente dall’attività pubblicistica, informata ai principi di legalità e tipicità e richiedente espresse disposizioni di legge attributive del potere, l’attività privatistica della p.a. può estendersi anche oltre quanto tipizzato dall’ordinamento.
L’amministrazione può anche concludere contratti atipici. L’orientamento negativo rispetto alla possibilità di esperire nei confronti dell’amministrazione l’azione di esecuzione in forma specifica prevista dall’art. 2932 c.c. è venuto meno grazie all’intervento dalla stessa Xxxxx
565.
di Cassazione22 sulla base della considerazione che quel divieto, funzionale al rispetto della divisione dei poteri, non potesse impedire al giudice di adottare una pronuncia costitutiva di un contratto rispetto al quale l’amministrazione non assume la veste di titolare di potestà pubblicistiche, bensì di operatore che, nell’ambito della sua capacità di diritto privato, si è obbligato a prestare il proprio consenso alla stipula di un successivo negozio senza che in quest’ultimo comportamento (dovuto) residuino spazi per l’esercizio di un qualsivoglia potere discrezionale riservato.
L’affermata esperibilità dell’azione ex art. 2932 c.c. non ha, però, spianato la strada all’utilizzo del contratto preliminare nel campo dei lavori pubblici dove si frappone un ulteriore ostacolo, non già processuale, ma sostanziale, legato all’obbligo imposto dalla normativa di settore di attivare, in via preliminare, complesse procedure di programmazione e progettazione delle opere che producono un’anticipazione dei contenuti dell’appalto, e dei relativi limiti di spesa, tale da rendere sostanzialmente inammissibile o, comunque, inutile l’impiego del preliminare.
L’aver imposto la preventiva determinazione di tutti gli elementi del contratto, nonché, la preordinazione di tutte le condizioni necessarie per l’effettiva esecuzione dello stesso attribuendo al responsabile del procedimento un correlativo obbligo di effettuare, prima dell’approvazione del progetto in ciascuno dei suoi livelli, le necessarie verifiche circa la rispondenza dei contenuti del documento alle effettive disponibilità finanziarie, e all’esistenza dei presupposti di ordine tecnico e amministrativo necessari per conseguire la piena disponibilità degli immobili, se non ha determinato l’insorgenza di un divieto all’utilizzo del preliminare, ne ha comunque di fatto impedito un proficuo utilizzo.
22 Cfr. Sent. Corte di Cassazione, SS.UU., 18 novembre 1992, n. 12309, in Vita not., 1993, 802; Corte di Cassazione, SS.UU., 7 ottobre 1983, n.5838, in Foro it., 1983, I,
2366; Id., 1 ottobre 2002, n. 14079, in Dir. e giust., 2003, 10, 67 ss..
L’unica alternativa percorribile al fine di soddisfare le esigenze sopradescritte potrebbe essere rappresentata dal nuovo istituto di matrice comunitaria dall’accordo quadro, contemplato dall’art. 59 del d. lgs. n. 163/06, che permette di preselezionare l’appaltatore sulla base di uno schema di contratto soltanto parziale, la cui compiuta definizione viene rimessa al momento della conclusione dei singoli contratti applicativi.
Le effettive possibilità di avvalersi di tale strumento nell’ambito dei lavori pubblici, tuttavia, sono state fortemente ridimensionate dalla disciplina di settore che ne ha ristretto l’ambito di applicazione ai soli lavori di manutenzione, escludendone espressamente l’applicabilità per la progettazione e per gli altri servizi di natura intellettuale.
Ha, quindi, prevalso un indirizzo limitativo dell’autonomia negoziale dell’amministrazione che si vede preclusa la possibilità di anticipare l’individuazione dell’esecutore di lavori pubblici mediante l’impiego del contratto preliminare o di analoghi istituti.
Paragrafo V.
Contratti d’appalto di lavori, servizi e forniture;differenze
Il contratto d’appalto di opere pubbliche è regolato da una disciplina speciale particolarmente dettagliata che ne abbraccia tutti gli aspetti: da quelli esecutivi, sino alla fase del collaudo.
La disciplina dell’appalto di opere, in ragione della sua maggiore specificità, nonché per la sua portata derogatoria rispetto alla disciplina privatistica, si differenzia dalla disciplina dei contratti d’appalto di servizi e forniture.
La diversità è dovuta al diverso oggetto, basti pensare che l’opera pubblica produce una trasformazione stabile nel tempo, viene realizzata per l’esercizio di un servizio pubblico, in favore della collettività che
nella maggior parte dei casi ne usufruisce direttamente (es. strade, ospedali, aeroporti) ed è destinata a durare nel tempo e, pertanto, per la particolare connotazione pubblicistica, sono state previste peculiari forme di garanzia anche dopo l’ultimazione dell’opera.
Le prestazioni dei contratti d’appalto di servizi e forniture sono limitate nel tempo, generalmente, non necessitano di un particolare sistema di garanzie successivamente al completamento del servizio ed hanno per oggetto un’attività svolta direttamente in favore del committente e solo indirettamente in favore della collettività23.
L’attività che caratterizza l’appalto di opere pubbliche è quella che rappresenta nel migliore dei modi tutte le peculiarità di cui è portatrice la
p.a. nel momento in cui si accinge a stipulare contratti, con una profonda natura derogatoria rispetto ai contratti di diritto comune.
Il contratto di opere pubbliche è stato oggetto della prima disciplina speciale, destinata a regolarne tutti gli aspetti, rappresentata dalla legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, denominata ―legge sui lavori pubblici‖ e dal
r.d. 25 maggio 1895, n. 350, in ragione della riconosciuta importanza rispetto alle altre figure contrattuali.
Il contratto d’appalto di servizi e di forniture, con il quale l’appaltatore si obbliga a fornire un determinato servizio o determinati beni in favore della
23 In tale ottica i servizi resi direttamente alla collettività sono servizi pubblici (i servizi pubblici essenziali di trasporto, o la raccolta e smaltimento dei rifiuti, ecc.) e non sono ricompresi nelle norme, comunitarie ed interne, relative all’appalto pubblico di servizi, disciplinanti invece le prestazioni effettuate in favore degli enti committenti; tuttavia, occorre registrare una disomogeneità nella stessa nozione di appalto pubblico di servizi tra la normativa nazionale e quella comunitaria. Sulla nomenclatura dei servizi contenuta nella direttiva 18 giugno 1992, n. 92/50/CEE e nel decreto di recepimento: A. XXXXXXXX, X. PISELLI, Le categorie di servizi di cui agli All. 1 e 2 del d.lgs. n. 157/1995, in Appalti pubblici di servizi e concessioni di servizio pubblico, a cura di F. Mastragostino, Padova, Cedam, 1998, pagg. 189 ss.; AA.VV., I servizi pubblici, in Trattato di diritto amministrativo, diritto amministrativo speciale, a cura di X. Xxxxxxx, Tomo II, Milano, Xxxxxxx, 2000; X. XXXXXXX, Pubblica amministrazione e servizi pubblici, in Dir. amm., 3, 2003, pag. 493. Un’interessante analisi in ordine alla nozione stessa di servizio pubblico e alle modifiche del regime di erogazione dello stesso si trova in X. XXXXXXXXXX, I servizi pubblici, intervento al Convegno Dieci anni di riforme amministrative, tenutosi a Roma il 27 maggio 2004, in Giorn. dir. amm., numero speciale, 2004, pagg. 33 ss.
pubblica amministrazione, è disciplinato da norme speciali (di contabilità pubblica o di derivazione comunitaria, o norme ad hoc per le forniture ed i servizi) che regolano la formazione della volontà dell’amministrazione e le modalità di scelta del contraente. Tuttavia si tratta di norme che regolamentano l’ appalto solo fino al mo mento dell’ aggiudicazione definitiva.
E’ pur vero che il r.d. n. 827/24, riferito a tutti i contratti dai quali derivi un'entrata o una spesa, contiene un’apposita sezione relativa alla fase esecutiva (Sezione III del Capo IV), ma essa è assai scarna rispetto al corpo di leggi e regolamenti successivi che hanno riguardato i soli contratti d’appalto di opere pubbliche.
Anche a seguito dell’entrata in vigore del nuovo codice degli appalti i contratti di servizi e forniture non hanno ricevuto una disciplina unitaria; essi sono sostanzialmente regolati dalle stesse norme che disciplinano i contratti di lavori pubblici, dalle direttive comunitarie, dalle disposizioni di recepimento delle stesse per gli appalti sopra la soglia comunitaria ed, in parte, da norme nazionali di settore.
Come già accennato, l’opera pubblica produce una trasformazione stabile nel tempo ed è destinata a svolgere una pubblica funzione o ad essere comunque strumentale all’esercizio di un pubblico servizio; è realizzata in favore della collettività che, nella maggior parte dei casi, ne fruisce direttamente (si pensi a strade, ospedali, aeroporti, stazioni ferroviarie, uffici pubblici) ed implica tempi lunghi di esecuzione e notevoli impegni finanziari.
Nell’appalto di opera pubblica, sono maggiori i rischi di insuccesso dell’intera operazione, che possono essere evitati con una maggiore ingerenza della p.a. nella fase esecutiva.
Negli appalti di servizi e forniture si rinviene poco di tutto quanto è previsto per gli appalti di lavori: innanzitutto, può non esservi la soddisfazione in via diretta di un interesse pubblico
determinato; al contratto viene data esecuzione in tempi ridotti rispetto a quelli ordinariamente occorrenti per l ’esecuzione di un’opera, con minimo rischio di contenzioso.
Pertanto nel regolamento contrattuale di un appalto di forniture o servizi si trovano molteplici richiami alla disciplina del codice civile e sono poche le clausole del tutto peculiari alla natura pubblicistica del contratto stesso.
Le norme del codice civile relative al contratto d’appalto (Capo VII c.c.) sono per la maggior parte riferite al contratto che ha ad oggetto la realizzazione di un’opera. A parte la nozione di appalto contenuta nell’art. 1655 c.c. comprensiva sia dell’appalto di opere che di servizi, le norme successive si riferiscono, per lo più, all’appalto d’opera risultando invero incompatibile la loro applicazione integrale alle altre ipotesi; si pensi alle norme sulle variazioni concordate del progetto (art. 1659 c.c.); all'avviso al committente dei difetti della materia (art. 1663 c.c.); alle difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili (art. 1664, comma 2, c.c.); alla rovina e difetti di cose immobili (art. 1669 c.c.). Ciò è dovuto anche alla circostanza che i contratti di appalto di servizi sono figure assai duttili ed eterogenee, che possono essere notevolmente diverse tra loro e che soprattutto possono racchiudere elementi di fattispecie contrattuali diverse, come la compravendita o la somministrazione. Senza considerare, poi, che il legislatore, nella materia dei servizi, ha preferito talvolta creare norme ad hoc secondo la peculiarità della prestazione resa, piuttosto che dar vita ad una disciplina unitaria. Quanto alle forniture, è lo stesso codice civile a relegarle al diverso ambito dei contratti di somministrazione e di vendita, ritenendole così fattispecie estranee all’appalto.
Paragrafo VI.
Il contenuto del contratto di appalto di opere pubbliche
Il contenuto del contratto è una delle peculiari caratteristiche dell’appalto di opere pubbliche il quale, invece di essere liberamente determinato dalle parti (stazione appaltante o contraente) o risultare sottoposto alle sole disposizioni del codice civile in materia di appalti, è disciplinato, per la quasi totalità del suo contenuto, dalla normativa pubblicistica di settore, cioè da atti che hanno natura vincolante per le parti a prescindere dal loro consenso24.
In particolare, determinano il contenuto dell’appalto pubblico il regolamento di esecuzione delle opere pubbliche e il capitolato generale. Si tratta di disposizioni aventi natura regolamentare ed in quanto tali direttamente applicabili ai contratti di appalto di opere pubbliche, anche a prescindere dall’espresso rinvio che le parti abbiano fatto nel testo dell’accordo che danno vita ad una sorta di contenuto contrattuale predeterminato e obbligatorio, che lascia poco spazio alla autonomia delle parti, vincolate al rispetto di quanto stabilito in via generale ed astratta da norme di natura regolamentare.
L’art. 43 del nuovo regolamento di esecuzione del d.lgs. n. 163/06 stabilisce il contenuto minimo dello schema di contratto predisposto dalle stazioni appaltanti ―per quanto non disciplinato dal presente regolamento e dal capitolato generale d'appalto‖. Le stazioni appaltanti possono, quindi, disciplinare esclusivamente gli aspetti residuali.
Il legislatore ha ritenuto di sovrapporre le proprie disposizioni a quelle eventualmente difformi stabilite dalle parti.
Le disposizioni del codice civile ed i principi da queste desumibili hanno valore suppletivo, applicandosi in assenza di norme speciali, che nella gerarchia delle fonti assumono una posizione di preminenza.
24 X. X. XXXXXXXX, Le norme tecniche per l’edilizia, in Riv. Giur. Edilizia, 1974, II, 189 ss.; X. XXXXX, X. XXXXXX, Norme tecniche per l’edilizia, Milano, Xxxxxxx, 2001.
Il regolamento di esecuzione delle opere pubbliche n. 554/9925 è stato adottato in attuazione dell’art. 3, comma 1, della legge n. 109/94. Per la materia dei lavori pubblici, con riferimento all’ambito della programmazione, progettazione, direzione lavori, attività di collaudo e di supporto, alle procedure di affidamento e agli incarichi di progettazione, alle forme di pubblicità degli atti procedimentali e ai rapporti funzionali tra i soggetti che concorrono alla realizzazione dei lavori il regolamento ha forza di delegificazione, in virtù del richiamo dell’art. 3 al comma 2 dell’art. 17, legge 23 agosto 1988, n. 400.
Nell’ambito, invece, delle diverse materie dettagliatamente elencate al comma 6 dell’art. 3, legge n. 109/94 il regolamento definisce, con funzione attuativa, le norme di natura esecutiva, riguardanti il rapporto contrattuale.
Il regolamento, adottato con d.P.R. n. 554/99 (entrato in vigore dopo tre mesi dalla pubblicazione), è automaticamente applicabile a quei soggetti tenuti al rispetto delle norme della legge n. 109/94, secondo l’art. 2, comma 2.
Proprio la parte del regolamento dedicata alla disciplina del contratto è stata ritenuta, in un primo tempo, eccedente la delega legislativa conferita dall’art. 3, comma 1, della legge n. 109/9426. Tuttavia, il fatto che il regolamento fosse indicato dalla legge n. 109/94 come ―elemento costituente l’ordinamento generale della materia‖ e che la legge stessa stabilisse la necessità di emanare un nuovo capitolato generale (necessità che non vi sarebbe affatto stata se la disciplina del contratto fosse quella previgente) hanno indotto a concludere che il legislatore avesse conferito al Governo una delega di natura generale, estesa ad ogni aspetto del settore dei lavori pubblici, volta a delegificare
25 AA.VV., L’attuazione della legge quadro sui lavori pubblici, a cura di X. Xxxxxxx, X. Xxxxxxxxxx e G. De Marzo, Milano, Xxxxxxx, 2000; X. XXXXXXX, Appalti di lavori pubblici dopo il regolamento generale, 2000, Milano, Xxxxxxx, 47 ss.;
26 V. LAVAGNA, La delegificazione: possibilità, forme e contenuti, in Scritti per il XX anniversario dell’Assemblea costituente, IV, Firenze, 1969, 326; X. XXXXXXXXXX, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, Cedam, IV ed., 1993, 152 ss..
e dettare norme attuative e integrative, oltreché a semplificare e snellire il sistema delle fonti, ottenendo maggiore chiarezza e certezza delle norme applicabili.
A seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 163/06 è stato adottato il nuovo regolamento contenente, come accennato, la disciplina attuativa ed esecutiva per contratti di lavori, servizi e forniture di amministrazioni ed enti statali e, limitatamente a taluni aspetti che costituiscono principi vincolanti, anche per i contratti delle regioni e di ogni altra amministrazione o soggetto equiparato.
Al nuovo regolamento viene demandata la disciplina di diversi istituti relativi alla fase esecutiva del contratto.
Oltre alle materie menzionate in precedenza, che hanno già trovato una propria analitica regolamentazione nel d.P.R. n. 554/1999 (fatta salva la disciplina delle procedure accelerate per la deliberazione, prima del collaudo, sulle riserve dell’appaltatore, oggi direttamente contenuta a livello primario), vengono affidate al nuovo regolamento di esecuzione anche ulteriori campi di intervento come la disciplina dell’intervento sostitutivo della stazione appaltante in caso di inadempienza retributiva e contributiva dell’appaltatore (lett. r) o la tutela dei diritti dei lavoratori (lett. s-bis).
Tra le materie che il codice dei contratti demanda al nuovo regolamento vi è anche il sistema di garanzia globale di esecuzione, destinato a operare per i contratti pubblici aventi ad oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione di lavori pubblici di importo superiore a settantacinque milioni di euro.
Già la legge n. 109/94 aveva previsto l’adozione del capitolato generale d'appalto27, ai sensi dell'art. 17, comma 3, della legge n. 400/88, emanato con decreto del Ministro dei lavori pubblici del 19
27 Una ricostruzione di tutte le posizioni dottrinali e giurisprudenziali si può leggere nella pubblicazione della Ragioneria Generale dello Stato, I capitolati d’oneri, Roma, 1962; sul nuovo capitolato generale si veda: X. XXXXX, Il nuovo capitolato generale dei lavori pubblici (d.m. 19 aprile 2000, n. 145), in Riv. giur. edilizia, 5, 2000, 393 ss..
aprile 2000 n. 145, il quale detta le clausole fondamentali comuni ai contratti d’appalto di lavori pubblici. Si tratta di un atto normativo, di natura inderogabile, al cui rispetto le parti sono vincolate a prescindere da ogni loro consenso; trova applicazione alle amministrazioni dello Stato, anche a ordinamento autonomo, agli enti pubblici, compresi quelli economici, agli enti e alle amministrazioni locali, alle loro associazioni e consorzi, nonché agli altri organismi di diritto pubblico.
Anche il capitolato oggi vigente è destinato a essere sostituito dal nuovo, da emanarsi (art. 5, comma 8, d.lgs. n. 163/06) dal Ministro per le infrastrutture nel rispetto delle disposizioni del decreto stesso nonché del suo regolamento di esecuzione e che, a differenza del precedente, si applicherà obbligatoriamente agli appalti di lavori delle amministrazioni aggiudicatrici statali, mentre potrà essere meramente richiamato nei bandi o negli avvisi delle stazioni appaltanti diverse dalle prime, nel qual caso la sua natura sarà evidentemente contrattuale e non normativa.
Proprio secondo l’art. 5, comma 8, nonché secondo l’art. 110 del
d.P.R. n. 554/99 (ora art. 137 del nuovo regolamento di esecuzione del d.lgs. n. 163/06) il capitolato generale costituisce parte integrante del contratto, se menzionato nel bando o nell’invito (ai sensi dell’art. 137) e deve essere in esso richiamato, sostituendosi di diritto alle eventuali clausole difformi del contratto o del capitolato speciale, ove non diversamente disposto dalla legge o dal regolamento, secondo il meccanismo dell’inserzione automatica di clausole di cui all'art. 1339 c.c.. L’art. 138 del nuovo regolamento di esecuzione del d.lgs. n. 163/06 dispone che il capitolato generale e i contratti disciplinino, fra l'altro: a) il termine entro il quale devono essere ultimati i lavori oggetto dell’appalto e i presupposti in presenza dei quali il responsabile del procedimento concede proroghe; b) le responsabilità e gli obblighi dell’appaltatore per i difetti di costruzione; c) le modalità di riscossione dei corrispettivi dell’appalto.
Da quanto esposto si ricava che il contenuto della prestazione dedotta in contratto, nei suoi elementi essenziali, viene per lo più determinato da fonti eteronome e residuino all'autonomia dei contraenti (pubblici e privati) spazi davvero esigui.
Paragrafo VII.
La disciplina economica del contratto
La disciplina economica del contratto è un significativo esempio di normativa eteronoma, inderogabile e di carattere generale, destinata a sostituirsi alla volontà delle parti, che tocca ogni aspetto essenziale del rapporto negoziale e trova fonte nella legge, nel regolamento e nel capitolato generale. Le principali e più importanti disposizioni riguardanti gli aspetti economici del contratto sono contenute nel d.lgs.
n. 163/06, nonché nel regolamento di esecuzione e nel capitolato generale.
La cessione dei crediti, espressamente vietata dall’art. 339 della legge
n. 2248/1865, all. F, a meno che non intervenisse l'autorizzazione della stazione appaltante, oggi è disciplinata dall’art. 117 del d. lgs. n. 163/06. Quest’ultimo consente agli appaltatori di utilizzarla nell’ambito delle operazioni di factoring previste dalla legge 21 febbraio 1991, n. 52 e al verificarsi di determinati presupposti. La disciplina è, quindi, più rigorosa rispetto a quella privatistica, secondo cui (art. 1260 c.c.) il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo credito, anche senza il consenso del debitore ceduto, purché il credito non abbia carattere strettamente personale e il trasferimento non sia espressamente vietato dalla legge28.
L’art. 133 del d.lgs. n. 163/06 si occupa poi della disciplina della
28 A. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, L’appalto di opere pubbliche, Milano, Xxxxxxx, 2003, pag 996.
liquidazione degli interessi in caso di ritardo nei pagamenti stabilendo che, in caso di ritardo nell’emissione dei certificati di pagamento relativi agli acconti o alla rata di saldo rispetto ai termini indicati nel contratto, all’appaltatore spettano gli interessi legali e moratori. Dispone, inoltre, che l’appaltatore ha la facoltà, trascorsi inutilmente i termini o nel caso in cui l’ammontare delle rate di acconto raggiunga un quarto dell’importo contrattuale, di agire ai sensi dell'art. 1460 c.c. o, previa costituzione in mora, di promuovere giudizio arbitrale per la risoluzione del contratto. Il diritto a percepire gli interessi nella misura indicata dalla legge sorge per il solo fatto del ritardo nel pagamento da parte dell’amministrazione, a prescindere da ogni imputabilità di questo e senza alcuna necessità di una previa intimazione o diffida, in deroga all’art. 1219 c.c.29.
La disposizione tutela, da una parte, la parte pubblica da conseguenze più gravose che i ritardi potrebbero generare in un comune regime civilistico, riconoscendole le peculiarità proprie della sua organizzazione e dei complessi procedimenti attraverso i quali realizza la propria attività, dall’altra il contraente privato in ordine ai tempi e alle modalità di pagamento da parte della p.a..
Il comma 2 dell’art. 117 d.lgs. n. 163/06 conferma la definitiva abrogazione della revisione dei prezzi, escludendo l’applicabilità dell’art. 1664, comma 1, c.c. e richiamando, al successivo comma 3, l’istituto del prezzo chiuso, strumento di adeguamento del corrispettivo costituito da una sorta di indicizzazione del prezzo di aggiudicazione.
Il regolamento n. 554/99 dedica poi un intero titolo alla tenuta della contabilità dei lavori, dettando disposizioni che vengono riprese anche nel nuovo regolamento, destinate al monitoraggio e alla registrazione dei lavori, affinché ogni operazione incidente sul costo dell’opera possa risultare da apposito documento contabile.
29 Cfr. Corte di Cassazione, Sez. I, 19 marzo 1991, n. 2933, in Arch. Giur. oo. pp., 1991, 806.
Il sistema è improntato ad una particolare rigorosità formale, nel senso che le forme di tenuta della contabilità devono ritenersi obbligatorie e le amministrazioni possono discostarsi dal modello prestabilito solo nel caso di lavori in economia.
Particolare importanza rivestono anche le disposizioni in tema di iscrizione delle riserve nel registro della contabilità, esemplificative della rigorosità formale alla quale è improntata tutta la normazione in materia di contabilità e della circostanza che, mentre l’appaltatore è rigidamente vincolato al rispetto delle procedure descritte per poter avanzare le proprie pretese ed ottenere eventualmente indennizzi o maggiori compensi, ciò non è previsto per le pretese dell’amministrazione nei confronti dell’appaltatore che non risultano legate a procedure particolari.
Tutte le norme relative alla disciplina economica del contratto rispondono, dunque, all’esigenza di bilanciare contrapposti interessi e dare adeguata tutela alle aspettative del privato anche in ordine alla certezza nei tempi e nelle modalità di pagamento ed alle necessità della parte pubblica, rappresentate dal costante controllo sulla spesa, attuato attraverso la verifica continua circa la corrispondenza tra liquidazione dei corrispettivi, pattuizioni assunte in contratto e rapida individuazione delle ragioni di eventuali discordanze o maggiori pretese dell’appaltatore.
Tali disposizioni costituiscono un’evidente manifestazione della funzione del contratto d’appalto e non sono disponibili nemmeno da parte dell’amministrazione contraente che, se pure posta in una posizione di sostanziale parità con l’appaltatore per quanto concerne la fase esecutiva, secondo i più autorevoli orientamenti, è pur sempre vincolata dalla persistente funzionalizzazione della propria attività.
Paragrafo VIII.
Possibilità di modificare e rinegoziare la proposta e le clausole contrattuali
Il termine ―rinegoziazione‖ viene utilizzato sia in relazione all’ammissibilità di variazioni dell’offerta dell’aggiudicatario che, anche su richiesta dell’amministrazione, intervengano dopo la chiusura della procedura di gara, ma prima della stipula del contratto; sia in relazione alla possibilità di rivedere il regolamento pattizio nel corso della esecuzione dell’appalto, in rapporto a eventi sopravvenuti incidenti sull’equilibrio sinallagmatico30.
La rinegoziazione in entrambe le accezioni si ricollega alla necessità da parte delle amministrazioni di selezionare, attraverso le procedure ad evidenza pubblica, la migliore offerta.
Tale finalità ha determinato la creazione del principio generale della immutabilità delle condizioni contrattuali fissate nella proposta aggiudicataria secondo le condizioni individuate negli atti di gara; intangibilità che, se, da un lato, consente di garantire il rispetto della par condicio competitorum e di soddisfare le esigenze di economicità e buon andamento (palesemente frustrate qualora si consentissero va- rianti implicanti un aumento del prezzo offerto o un peggioramento della qualità della prestazioni), dall’altro, determina l’emersione di un ulteriore limite all’autonomia negoziale dell’amministrazione.
Risultano, infatti, precluse alle stazioni appaltanti facoltà pacificamente spettanti ai privati che possono proseguire nelle trattative fino alla conclusione del contratto, conservando in ogni caso la facoltà di modificare, ovviamente consensualmente, gli elementi del rapporto
30 X. XXXXXXXXXXX, La rinegoziazione nei contratti ad evidenza pubblica, in Giust. amm., 2006, pag. 846; X. XXXXXXXX, Le clausole di rinegoziazione nei contratti ad evidenza pubblica, in Foro amm. TAR, 2006, pag. 1911; G. SICCHIERO, La rinegoziazione, in Contratto e imprese, 2002, pag. 775.
anche una volta sorto il vinculum iuris31.
Nell’attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni, invece, il principio della immutabilità delle condizioni contrattuali è stato ulteriormente accentuato dalla rigorosa applicazione data dalla giurisprudenza al divieto di c.d. ―rinegoziazione‖, con risultati non sempre positivi in termini di efficienza dell’attività amministrativa e di tutela degli interessi della collettività.
Applicando formalmente il principio sopra enunciato si è esclusa l’esperibilità di trattative successive all’aggiudicazione considerate distorsive dei principi di evidenza pubblica, anche se implicanti un vantaggio per l’amministrazione riconoscendosene l’ammissibilità, peraltro neppure univocamente, solo laddove la scelta del contraente si sia svolta ab origine al di fuori di procedure formali.
Il divieto della rinegoziazione è stato recentemente ribadito anche rispetto a fattispecie in cui la modifica dell’offerta dell’aggiudicatario rappresentava l’unica via per porre riparo ad errori in cui era incorsa la stazione appaltante in fase di definizione dell’oggetto dell’affidamento o nell’elaborazione della progettazione della opera.
Il Consiglio di Stato32 ha in proposito elaborato una differenziazione nel trattamento giuridico del contratto a seconda che lo stesso sia stato stipulato sulla scorta di un’inammissibile rinegoziazione oppure risulti concluso a valle di procedure di gara annullate per la presenza di uno dei consueti vizi che colpiscono gli atti dell’evidenza pubblica, affermando che, nel primo caso, diversamente dal secondo, il relativo regime di invalidità debba necessariamente essere quello della nullità.
Almeno con riguardo agli appalti di lavori pubblici si tende ad affermare che le sole ipotesi in cui si potrebbe ammettere un mutamento del contenuto delle prestazioni dedotte in contratto sarebbero, da un lato, quelle tassativamente elencate dall’art. 132 del
31 X.X. XXXXXX, Diritto civile, L’obbligazione, IV, Milano, Xxxxxxx, 1993, pag. 443.
32 Si veda: Cons. Stato, sez. V, 13 novembre 2002, n. 6281, in Giorn. dir. amm., 2003, 503/02.
d.lgs. 163/06 (che riprende il testo della previgente disciplina sulle varianti in corso d'opera di cui all’art. 25, legge n. 109/94) e, dall’altro, sul piano del corrispettivo pattuito, quelle indicate dall’art. 133 del d.lgs. n. 163/06, legittimanti, entro stringenti limiti e sempre in via eccezionale (in deroga al principio di immutabilità del prezzo ribadito nello stesso comma 3 dell’art. 133 del d.lgs. n. 163/06), la revisione dei prezzi previsti per i materiali da costruzione33.
Al di fuori delle specifiche fattispecie sopra menzionate sembrerebbe dover trovare applicazione il principio d’immutabilità delle condizioni contrattuali cristallizzatesi all’esito della gara; e ciò anche quando la sopravvenienza in corso di esecuzione del rapporto di nuove circostanze di fatto, non predeterminate nella disciplina di settore, alteri il precedente equilibrio tra prestazione e controprestazione.
Qualche apertura a forme di rinegoziazione si rinviene in due recenti pronunce del Consiglio di Stato in cui (in rapporto ad appalti di servizi e forniture) si avalla la scelta di alcune stazioni appaltanti di prevedere nella lex specialis clausole di rinegoziazione34 che fissino cioè preventivamente le circostanze al ricorrere delle quali si può provvedere ad una modifica di elementi anche essenziali del rapporto, ivi incluso il prezzo; oltretutto per quest’ultimo si considera legittimo prevedere non solo la possibilità di riduzione, ma anche di incremento.
Nella richiamata giurisprudenza il potere di fissare clausole di rinegoziazione viene correttamente legato alla predefinizione di queste in sede di gara, circostanza che sarebbe di per sé idonea a scongiurare qualsivoglia pericolo di alterazione della par condicio dei contendenti, finendo, quindi, per attribuire un ampio potere all’amministrazione che, per come ricostruito, sembra poter trovare applicazione non solo nell’ambito del tipo di affidamenti in cui la giurisprudenza lo ha elaborato (forniture e servizi), ma anche rispetto ai lavori pubblici.
33 A. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, L’appalto di opere pubbliche, cit., pag. 814.
34 X. XXXXXXXX, Le clausole di rinegoziazione nei contratti ad evidenza pubblica, cit..
Anche in tale ipotesi la preventiva conoscenza delle circostanze legittimanti la rivisitazione del regolamento contrattuale assicura a tutti i contendenti una posizione di parità che scongiura in nuce quei pericoli che il generale divieto di rinegoziazione tende a evitare.
D’altro canto, anche sul piano della corretta formazione della volontà negoziale del concorrente privato si deve notare come la predeterminazione, in sede di lex specialis, delle clausole permetta a quest’ultimo di formulare la propria offerta consapevolmente, ponderando tutti i rischi e/o vantaggi connessi all’avverarsi della condizione di rinegoziazione.
Il divieto di modifiche al contratto, in ogni caso, non può più essere riguardato sotto il profilo esclusivo della possibile alterazione delle condizioni di gara, quanto piuttosto sotto quello della preventiva determinazione della spesa, in ossequio alla più volte richiamata esigenza di programmazione e di rispetto dei principi di contabilità pubblica.
Non è un caso se negli ultimi tempi una tendenza della giurisprudenza a trattare uniformemente e con il medesimo rigore le ipotesi di rinegoziazione impropria e propria ha portato a sanzionare con la nullità un accordo transattivo intervenuto successivamente alla conclusione del negozio tra amministrazione e privato in quanto reputato comunque modificativo delle originarie condizioni di aggiudicazione.
La descritta limitazione delle facoltà negoziali dell’amministrazione deve essere superata almeno quando l’insorgenza di sopravvenienze (nel corso dell’esecuzione del rapporto) alteri l’equilibrio delle prestazioni; e ciò anche al di fuori degli angusti limiti delineati dall’art. 132 del d.lgs. n. 163/06 in materia di jus variandi della stazione appaltante.
A tanto si giunge attraverso un rapido raffronto con la disciplina delle concessioni di lavori pubblici che, a tutela dell’equilibrio economico finanziario del rapporto, prevede un meccanismo generale che, al
ricorrere di variazioni in corso di esecuzione dei presupposti e delle condizioni incidenti negativamente sugli investimenti e sulla connessa gestione affidata al concessionario, legittima la revisione del piano stesso, autorizzando in difetto il concessionario a recedere unilateralmente dal contratto.
Si tratta di un sistema connotato da un’estrema flessibilità e di portata così generale da indurre una parte della giurisprudenza a ritenere sussistente un vero e proprio ―principio di conservazione dell’equilibrio economico finanziario della concessione‖ che avvicina il regime delle concessioni di lavori pubblici a quello previsto dal codice civile per i contratti sinallagmatici a esecuzione continuata o periodica (di cui all’art. 1467 c.c.).
Il verificarsi di una sopravvenienza non contemplata tra le ipotesi legittimanti l’esercizio dello jus variandi e l’istituto della revisione prezzi, può legittimare, in forza dell’art. 1467 c.c. (sempre, ovviamente, che ne ricorrano le stringenti condizioni), la stazione appaltante e l’appaltatore a procedere a una rinegoziazione delle condizioni originarie del contratto mediante trattative destinate a svolgersi inter pares e al di fuori dell’evidenza pubblica, quindi attraverso negoziati informali esulanti da un qualsivoglia confronto comparativo concorrenziale.
Può dirsi in conclusione che residuano limitatissimi margini di autonomia per la stazione appaltante, ogni qualvolta voglia procedersi con il rinegoziarsi il contratto già concluso, ovvero negoziarne uno diverso da quello posto a base di gara, e la funzione di questi limiti è da ricercarsi nei principi stessi dell’evidenza pubblica oltre che nelle norme di contabilità.
Paragrafo IX.
Modificazioni soggettive del contraente e limiti all’autonomia negoziale
Gli artt. 1674 c.c. e 81 l.f. in relazione all’appalto privato prevedono la possibilità che l’appaltatore sia sostituito da altri. Tanto si ricava indirettamente, dagli artt. 1406 c.c. relativo alla cessione del contratto, e 2558 c.c. riguardante la successione nei rapporti aziendali.
Secondo l’art. 1674 c.c. il contratto d’appalto non si scioglie per la morte dell’appaltatore e l’obbligazione si trasferisce in capo agli eredi, salvo che la considerazione della sua persona sia stata motivo determinante del contratto; l’appalto, infatti, non è un contratto di natura fiduciaria e occorre accertare di volta in volta se esso sia stato concluso o (non) intuitu personae, partendo dal presupposto che l’impresa, intesa come organizzazione aziendale per l’esecuzione di determinate prestazioni, perduri oltre la vita del titolare originario.
Ai sensi del comma 2, il committente può, comunque, recedere dal contratto, se dimostra che gli eredi dell’appaltatore non danno affidamento per la buona esecuzione dell’opera o del servizio.
In caso di fallimento di una delle parti l’art. 81 della legge fallimentare (nel testo successivo al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5), prevede lo scioglimento del contratto d’appalto, a meno che il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, non dichiari di voler subentrare nel rapporto dandone comunicazione all’altra parte e offrendo idonee garanzie. Nel caso di fallimento dell’appaltatore, il rapporto contrattuale si scioglie se la considerazione delle qualità soggettive dello stesso abbia costituito motivo determinante della conclusione del contratto, salvo che il committente non consenta, comunque, la prosecuzione del rapporto35.
35 X. XXXXXXXX, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Torino, Utet, 1961, 1262; X. XXXXXXXX, L’incidenza del fallimento sul contratto d’appalto, in Riv. Trim. app., 2001, 449; Cfr. Corte di Cassazione, 9 luglio 1999, n. 7203, in Dir. fall. 2000, II,
Al contratto d’appalto privato può poi applicarsi la disposizione di cui all’art. 2558 c.c., in materia di successione ex lege nei rapporti aziendali: che dispone che, se non sia diversamente pattuito, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio della stessa che non abbiano carattere personale, considerando la successione nei contratti quale effetto naturale della cessione d’azienda, al fine di garantirne la sopravvivenza, evidenziando, quindi, il legislatore un favor verso il mantenimento dell’unità funzionale dell’azienda.
Il terzo contraente può solo recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa (art. 2558, comma 2, c.c.), salve le responsabilità dell’alienante36.
Infine, l’art. 1406 c.c. prevede che ciascuna parte possa sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto a prestazioni corrispettive, se queste non siano state ancora eseguite purché l’altra parte vi consenta. Ai sensi dell’art. 1408 c.c. dal momento in cui la cessione acquista efficacia, il cedente è liberato dalle proprie obbligazioni verso il contraente ceduto, a meno che quest’ultimo non abbia espressamente dichiarato di non volerlo liberare, nel qual caso può agire contro di lui qualora il cessionario non adempia le obbligazioni assunte. L’effetto della cessione è dunque quello di operare una successione a titolo particolare nella qualità di parte contraente e comporta una serie di importanti conseguenze in tema di garanzie e responsabilità: ecco perché il consenso dell’altra parte è elemento costitutivo del perfezionarsi della cessione, a differenza dell’ipotesi prevista dall’art. 2558 c.c..
Diversa è l’ipotesi del subappalto, pur ricompreso nell’ambito dei mutamenti soggettivi del contraente, poiché consiste nella possibilità che altri soggetti si sostituiscano all’appaltatore originario
726.
36 Cfr. G.F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, I, Diritto dell’impresa, Torino, Utet, III ed., 2000, pagg. 151-159; F. XXXXXXX, X. XXXXX, Imprenditori e società, Milano, Xxxxxxx, XII ed., pagg. 156 ss..
nell’esecuzione di parte della prestazione pattuita.
Mentre la cessione comporta il trasferimento in capo a un altro soggetto di tutti gli elementi essenziali dell’appalto, attivi e passivi, il subappalto comporta la creazione di un rapporto derivato, ma distinto, tra l’originario appaltatore e il terzo subappaltatore, che sostanzialmente assume la veste di un collaboratore del primo.
L'art. 1656 c.c. vieta il subappalto salva l’autorizzazione del committente.
Non sono previste particolari cautele.
Nell’ambito delle opere pubbliche, invece, ogni modifica del soggetto esecutore, derivante da cessione del contratto, cessione d’azienda o altre ipotesi, rappresenta sia un vulnus ai principi dell’evidenza pubblica e alla rigidità delle relative procedure, sia una deroga ai principi pubblicistici di immodificabilità del soggetto contraente e necessità di esecuzione diretta della prestazione.
II nodo centrale della sostituzione dell’appaltatore di opere pubbliche è che quest’ultimo, prima di risultare miglior offerente, è stato ammesso alla procedura concorsuale sulla base di specifici requisiti tecnici ed economici (verificati dal committente) ed ha comprovato il rispetto degli obblighi di legge previsti dalla disciplina di settore, specialmente in tema di requisiti morali e rispetto della normativa antimafia37.
I principi di parità di trattamento, correttezza e più ampia apertura al mercato concorrenziale impongono, infatti, alle stazioni appaltanti uno specifico procedimento di formazione della propria volontà contrattuale all’interno del quale assumono un valore fondamentale tutte le norme di ammissione dei partecipanti alla procedura di gara, e non possono consentire, il linea di principio, il subentro di soggetti che non abbiano superato la fase di ammissione.
37 G. SALA, Il subappalto e le altre modificazioni soggettive nell’appalto, in L’appalto di opere pubbliche, a cura di X. Xxxxxxx, Milano, Cedam, II ed., 2004, pag. 742; X. XXXXX, Le modificazioni soggettive nell’appalto di opere pubbliche, Milano, Xxxxxxx, 1990, pagg. 13 ss..
In tema di divieti e vincoli imposti ai mutamenti soggettivi, la disciplina pubblicistica, in particolare a seguito dell’introduzione della normativa antimafia, è passata da disposizioni piuttosto rigide che impedivano senza eccezioni la cessione del contratto, a norme che, nell’ottica di non ostacolare talune fisiologiche modificazioni volte a consentire un miglioramento della produttività e delle capacità tecniche delle imprese, hanno disciplinato quelle modifiche che avvengono nell’ambito di più complesse trasformazioni societarie o comunque di cessioni aziendali, preoccupandosi tuttavia di consentire alle stazioni appaltanti tutte le verifiche necessarie ad accertare il possesso dei requisiti per eseguire l’opera, o la parte residua, in capo ai nuovi soggetti.
Fenomeni di cessione d’azienda o di trasformazioni societarie poste in essere per migliorare la competitività e ottenere sempre più importanti commesse pubbliche sono del tutto naturali e non rappresentano di per sé un pregiudizio per le stazioni appaltanti, qualora queste siano messe nelle condizioni di verificare ogni aspetto dei mutamenti intervenuti.
Originariamente, il divieto di cessione del contratto era stabilito dall’art. 339 della legge n. 2248/1865, all. F, che prevedeva comunque la possibilità di autorizzazione da parte dell’amministrazione; successivamente la norma è stata abrogata da disposizioni che hanno comportato anche modifiche alla normativa in tema di prevenzione mafiosa, disponendo l’incedibilità assoluta del contratto, a pena di nullità (art. 18, legge n. 55/90), al preciso scopo di garantire massima trasparenza nell’aggiudicazione delle commesse pubbliche, ed evitare che attraverso la cessione del contratto fosse consentita l’elusione degli obiettivi criteri di selezione imposti dalla legge38.
La legge n. 109/94, all’art. 35, per la prima volta introduce una sorta di
38 X. XXXXXX MAGGIORE, Istituzioni di diritto fallimentare, Padova, Cedam, 1994, pag. 506; A. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, L’appalto di opere pubbliche, cit., 1183;
X. XXXXXXXX, L’incidenza del fallimento sul contratto d’appalto, cit., 517.
―deroga‖ al principio generale di immodificabilità dell’appaltatore39. Attualmente l’art. 116 del d.lgs. n. 163/06, che ha ripreso testualmente l’art. 35 della legge n. 109/94, disciplina compiutamente le cessioni di azienda, gli atti di trasformazione, scissione e fusione delle imprese che eseguano appalti pubblici.
Tali vicende non hanno effetto nei confronti della stazione appaltante se i nuovi soggetti, risultanti dalle varie operazioni indicate, non abbiano proceduto alle comunicazioni previste dalla normativa antimafia e non abbiano documentato il possesso dei requisiti di qualificazione previsti dal codice; la stazione appaltante può opporsi al subentro, con effetti risolutivi, solo qualora le comunicazioni effettuate evidenzino irregolarità in tema di normativa antimafia.
Qualora l’amministrazione non si opponga entro sessanta giorni decade da ogni ulteriore facoltà.
Controversa è la natura della opposizione: se rappresenti un provvedimento di natura amministrativa o atto di carattere privatistico. L’amministrazione non può esercitare alcuna facoltà di opposizione se il cessionario sia in regola con la legislazione vigente, dovendo esclusivamente valutare, nell’ambito dei propri poteri pubblicistici, il possesso dei requisiti: la valutazione è di carattere vincolato e non presenta profili che la possano ricondurre a un atto di esercizio di autonomia negoziale.
Sempre in tema di modificazioni soggettive delle imprese esecutrici di contratti d’appalto, occorre sottolineare il disfavore del legislatore anche con riferimento alle modifiche che possano intervenire all’interno dell’associazione temporanea di imprese o di un consorzio, nel senso della sostituzione di un’impresa componente del raggruppamento e già selezionata, con altre non previamente qualificate.
Il divieto di modificazione dell’ATI muove in linea di principio dalla
39 A.V. SINISI, Cessione di ramo d’azienda: natura ed effetti nell’appalto di opere pubbliche, in Urb. e app., 9, 1998, 939.
fase concorsuale per riverberarsi su quella contrattuale e dell’esecuzione.
La legge n. 415/98, con l’introduzione del comma 5 all’art. 13 (della legge n. 109/94), ora sostituito dall’art. 37, n. 8, del d.lgs. n. 163/06 ha, infatti, consentito di presentare offerta anche ad associazioni temporanee di imprese e consorzi di concorrenti non ancora costituiti: tuttavia, nell’ottica di evitare eventuali modificazioni dei componenti del raggruppamento tra la fase di qualificazione e quella di aggiudicazione, ha imposto alle singole partecipanti di sottoscrivere l’offerta, unitamente all’impegno, in caso di aggiudicazione, di conferire mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno degli associandi, da indicare in sede di offerta, che stipulerà il contratto in nome e per conto proprio e dei mandanti. Vige però il divieto tassativo di qualsiasi modificazione alla composizione dei raggruppamenti temporanei e dei consorzi rispetto all’impegno presentato in sede di offerta, proprio ad evitare il subentro di imprese che non abbiano superato la fase di ammissione alla procedura concorsuale, pena l’annullamento dell'aggiudicazione o la nullità del contratto, nonché l’esclusione dei concorrenti riuniti in associazione dalle procedure di affidamento relative al medesimo appalto.
Corollario della immodificabilità delle associazioni temporanee di imprese è la previsione che i concorrenti riuniti in raggruppamento temporaneo eseguano le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione assunta nel raggruppamento, ad evitare accordi collaterali tra gli imprenditori volti a consentire a taluni di essi di partecipare alla procedura solo in virtù del possesso di determinati requisiti, sottraendosi poi agli obblighi esecutivi e alle connesse responsabilità.
Tuttavia, in caso di fallimento, morte, interdizione, inabilitazione dell’imprenditore mandatario, la stazione appaltante (o anche nei diversi casi previsti dalla normativa antimafia) in alternativa rispetto
alla facoltà di recesso, può sostituirlo con altro operatore economico
— non previamente selezionato — purché quest'ultimo possegga i requisiti di qualificazione adeguati ai lavori ancora da eseguire, proseguendo così nel rapporto contrattuale già instauratosi con l’associazione.
Se gli stessi eventi colpiscono l’impresa mandante, ove il mandatario dell’associazione non indichi un soggetto subentrante che sia in possesso dei necessari requisiti di qualificazione, è obbligato all’esecuzione o direttamente o mediante altri mandanti, sempre che questi ultimi siano in possesso dei requisiti di idoneità.
Il principio che dunque muove tutta la disciplina pubblicistica in tema di modificazioni soggettive, è quello di verificare le qualità oggettive e l’organizzazione complessiva dell’impresa e non le qualità personali dell’imprenditore, poiché l’amministrazione contraente agisce sempre con criteri oggettivi e riproducibili, e non è autorizzata a compiere scelte personali e insindacabili.
In ordine al subappalto di opere pubbliche la prima normativa antimafia (legge 13 settembre 1982, n. 642) sanzionava dapprima con una pena pecuniaria e poi con una sanzione penale la concessione di opere senza l’autorizzazione dell’autorità competente; quest’ultima era subordinata all’accertamento della idoneità tecnica del subappaltatore e al possesso dei requisiti per l’iscrizione all’albo nazionale dei costruttori.
Si è in seguito introdotta anche una limitazione quantitativa al subappalto, disponendosi l’impossibilita di subappaltare una percentuale superiore del 30% della categoria prevalente, nel tentativo di bilanciare due esigenze contrapposte, da un lato quella di reprimere possibili infiltrazioni mafiose nell’esecuzione di opere pubbliche, e dall’altro non comprimere eccessivamente la libertà di iniziativa economica privata e quella delle imprese di organizzare autonomamente la propria produzione, anche per conseguire prestazioni
qualitativamente più elevate.
La legge introduce inoltre, a pena di nullità, un limite inderogabile al margine di guadagno dell’appaltatore principale ricavato dalla differenza tra quanto percepisce dalla stazione appaltante e quanto corrisponde, per le medesime lavorazioni, al subappaltatore.
In ogni caso, il legislatore sottopone la possibilità di ricorrere al subappalto a una serie di adempimenti procedimentali volti a tutelare gli interessi pubblici a vario titolo coinvolti (art. 118 del d.lgs. n. 163/06, che ripropone quasi integralmente l’art. 34 della legge n. 109/94), che anche in questo caso rendono piuttosto rigido il procedimento che conduce all’autorizzazione da parte del committente.
In sede di offerta le imprese devono già indicare i lavori o le parti di opera che intendono subappaltare, in modo analitico e non generico, come da tempo la giurisprudenza ha avuto modo di precisare (art. 118, n. 1)40; mentre la mancata o generica indicazione non comporta esclusione dalla gara, ma solo impossibilità di procedere al subappalto, se l’impresa è in possesso comunque dei requisiti di qualificazione per l’esecuzione delle opere, l’indicazione diviene invece vera e propria condizione di ammissibilità dell’offerta qualora l’impresa non possegga i requisiti per l’esecuzione diretta di tutte le lavorazioni di cui si compongono le opere.
Stipulato il contratto con l’aggiudicatario, questi deve provvedere al suo deposito presso la stazione appaltante, almeno venti giorni prima dell’inizio dell'esecuzione delle relative prestazioni (art. 118, n. 2), la quale provvede al rilascio dell’autorizzazione entro trenta giorni dalla relativa richiesta (prorogabile una sola volta).
Trascorso il termine di trenta giorni senza che l’amministrazione abbia emesso un provvedimento, l’autorizzazione si intende rilasciata.
40 X. XXXXXX, Disciplina intertemporale del subappalto. L’individuazione della categoria prevalente. Requisiti del subappaltatore, in App. urb. edil., 1999, 453.
Qualora sussistano i presupposti indicati dalla legge, l’autorizzazione41 costituisce evidentemente atto dovuto e non di natura discrezionale, precludendo all’amministrazione ogni valutazione in ordine ai profili di opportunità del subappalto e idoneità (in senso generale) del subappaltatore concretamente proposto.
Paragrafo X.
Poteri di vigilanza e direzione lavori
Ai sensi dell'art. 1662 c.c. il committente privato ha il diritto di controllare lo svolgimento dei lavori dell’appaltatore e di verificarne a proprie spese lo stato. L’eventuale mancato controllo non determina alcun effetto pregiudizievole sul correlato diritto del committente alla buona esecuzione dell’opera.
Le amministrazioni aggiudicatrici, invece, sono tenute per legge ad istituire un ufficio di direzione lavori per la realizzazione delle opere affidate mediante appalto e ad esercitare attraverso lo stesso un’attività di controllo e di ingerenza.
Al direttore dei lavori vengono attribuiti una serie di compiti tra i quali: l’accettazione dei materiali immessi in cantiere, la verifica del rispetto degli obblighi dell’appaltatore nei confronti dei propri dipendenti, nonché la verifica di validità del programma di manutenzione. Il controllo sull’attività esecutiva dell’appaltatore non è tuttavia sempre una prerogativa di diretta spettanza della stazione appaltante.
Dalla lettura dell’art. 130 del d.lgs. n. 163/06 si desume che l’obbligo per l’amministrazione di istituire un ufficio di direzione lavori sia
41 I. XXXXX, Xxxxx note sulla discrezionalità della pubblica amministrazione appaltante in materia di autorizzazione al subappalto di opere pubbliche, in Riv. trim. appalti, 1988, 93; X. XXXXX, in AA.VV., La riforma dei lavori pubblici, a cara di A. Xxxxxxxxx, Torino, Xxxxxxxxxxxx, 2000, 2693.
limitato ai soli lavori affidati in appalto e non si estenda alle altre modalità di realizzazione delle opere pubbliche42.
Più nel dettaglio, nelle concessioni di costruzione e gestione le funzioni di direzione lavori vengono svolte dal concessionario, mentre alla stazione appaltante residua soltanto la c.d. ―alta vigilanza‖, espressamente menzionata dall’art. 141, comma 8, del d.lgs. n. 163/06 tra i compiti attribuiti al responsabile del procedimento in questo tipo di affidamenti.
Lo stesso può dirsi per gli affidamenti a general contractor, in cui l’assenza di una normativa specifica che disciplini la fase esecutiva del rapporto rende indispensabile l’intervento suppletivo delle parti43 che, in sede di regolamentazione pattizia, dovranno definire i confini dei poteri di vigilanza della stazione appaltante pubblica.
Ebbene, il principale strumento giuridico mediante cui si esplica il controllo nel corso dello svolgimento dell’appalto è rappresentato dall’ordine di servizio che, ai sensi dell'art. 128, d.P.R. n. 554/99, ha forma scritta e viene impartito dal direttore dei lavori44 all’appaltatore.
La cogenza dell’ordine di servizio è legata alla sua conformità al progetto, al contratto e alle regole dell’arte, senza che possa rinvenirsi nello stesso quella forza giuridica che caratterizza ordinariamente i provvedimenti amministrativi autoritativi, idonei a modificare unilateralmente la sfera giuridica dei destinatari.
L’ordine di servizio, quindi, non ha una propria autonoma capacità precettiva svincolata dal contratto.
La vera differenza, che qualifica l’appalto pubblico, è che vigilanza e
42 Cfr. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. CAPUZZA, La nuova legge degli appalti pubblici, Roma, 2006, 324.
00 X. XXXXXXX, X. GALLI, Il general contractor, Milano, Giuffrè, 2005,126; X. XXXXXXXX, L’affidamento a contraente generale, ne I Contratti con la pubblica amministrazione, a cura di X. Xxxxxxxxx, in Trattato dei contratti, diretto da X. Xxxxxxxx ed E. Xxxxxxxxx, vol 8, tomo II, Milano, Utet, 2008, 950 ss.
44 Cfr. E. XXXXXXX XXXXXXX, La nozione di appalto pubblico, Milano, Xxxxxxx, 1999, 43, che qualifica i poteri del direttore dei lavori come discrezionali ed autoritativi.
influenza non sono eventuali, ma rappresentano attività necessarie all’esercizio doveroso della funzione.
Paragrafo XI. Jus variandi
Il committente privato può ordinare variazioni del progetto senza soggiacere alle stringenti limitazioni previste per l’appalto di opere pubbliche, definite oggi dall’art. 132 del d.lgs. n. 163/06.
Al di fuori delle ipotesi tassative ivi previste (sottoposte anche a soglie quantitative), grava, infatti, sulla stazione appaltante pubblica il generale divieto di apportare variazioni all’originario progetto dell’opera. Quantomeno sotto il profilo della capacità di incidere unilateralmente sull’oggetto delle prestazioni dovute dalla controparte contrattuale non può allora sostenersi che il committente pubblico disponga di poteri più penetranti di quelli spettanti all’omologo privato45, risultando vero l’esatto contrario.
La natura eccezionale dei casi in cui è ammissibile modificare il progetto dell’opera pubblica e la necessità di interpretare la normativa de qua in modo restrittivo è stata peraltro recentemente confermata dalla giurisprudenza che ha escluso la possibilità di sopperire a carenze progettuali mediante l’adozione di varianti, quando, pur essendosi individuato l’aggiudicatario, non sia ancora stato formalizzato il contratto la cui conclusione resta quindi preclusa; reputandosi la diversa opzione contraddittoria con il principio di buon andamento e di efficienza, il cui doveroso ossequio non consentirebbe all’amministrazione di stipulare un contratto nella consapevolezza che il rapporto in eundo non sia idoneo alla compiuta realizzazione dell’opera, ma richieda significativi
45 X. XXXXXXX, Manuale dei contratti pubblici, Maggioli, 1080.
aggiustamenti.
In ordine invece agli strumenti di scioglimento del rapporto contrattuale si registra uno sbilanciamento in favore del contraente pubblico depositario di facoltà non sempre previste nella disciplina dell’appalto di diritto comune.
Paragrafo XII.
Recesso fra diritto privato e funzione pubblica
Le ipotesi di scioglimento del contratto di appalto previste dalla disciplina di settore non esauriscono le cause di estinzione del negozio, ma ne costituiscono solamente una parte, cui devono ag- giungersi i tradizionali rimedi risolutori contemplati nel codice civile per i contratti sinallagmatici46 (quali la c.d. risoluzione per mutuo consenso, la risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione ex art. 1672 c.c. o per inadempimento ex art. 1453 c.c., nonché l’estinzione del contratto per adempimento delle prestazione dedotte, ecc.).
La disciplina del recesso del committente pubblico prevista dall’art. 134 del d.lgs. n. 163/06, sostituisce l’omologo istituto di diritto comune di cui all’art. 1671 c.c..
La disciplina speciale e quella generale (civilistica) differiscono, almeno per quanto può desumersi da un’interpretazione letterale delle norme, solo per gli aspetti indennitari, e segnatamente per la quantificazione del lucro cessante (giacché nell’uno come nell’altro caso è comunque previsto il pagamento dei lavori già eseguiti e dei materiali presenti in cantiere).
Nell’appalto pubblico il quantum del ―prezzo‖ che dovrà essere
46 F. G. XXXXX, X. POLICE, La risoluzione del contratto di appalto di opere pubbliche, in Riv. trim. app., 1997, 7; A. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, L’appalto di opere pubbliche, cit., 1167.
corrisposto dal committente per esercitare il proprio ―diritto‖ di recesso non è interamente commisurato all’effettivo pregiudizio subito dall’appaltatore, ma è (almeno parzialmente) predeterminato in via forfettaria nella misura del decimo dell’importo delle opere non eseguite (a cui deve aggiungersi il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere).
La specialità della disciplina non trova tanto la sua ratio in un intento di contenimento della spesa pubblica, quanto nella volontà di assicurare all’amministrazione la possibilità di stimare in via preventiva il costo del recesso, senza esporsi a rischi finanziari imponderabili.
Ma gli aspetti più problematici legati al recesso del committente pubblico sono inscindibilmente legati alla sua qualificazione.
La giurisprudenza è ormai costante nell’affermare la natura privatistica della facoltà di recesso del committente pubblico e anche la dottrina maggioritaria47 si è espressa nello stesso senso, valorizzando il parallelismo tra il potere de quo e l’omologo istituto contemplato dall’art. 1671 c.c., dove il diritto di recesso risulta ordinariamente ancorato al tipo negoziale dell’appalto.
D’altronde, la tesi di quanti intravedono nella predeterminazione dell’indennizzo spettante all’appaltatore una forma di ―supremazia pubblicistica‖ è recisamente smentita dalla constatazione che nell’appalto interprivato le parti possono addirittura prevedere (validamente) una clausola contrattuale che disconosca del tutto il diritto dell’appaltatore di percepire indennità in caso di recesso ad nutum del committente.
La giurisprudenza, infatti, interpreta l’art. 1671 c.c. come una norma di carattere derogabile (diversamente da quanto può dirsi con riguardo alle norme contenute nel codice dei contratti pubblici) consentendo quindi ai privati, nella loro più ampia autonomia, di regolare
47 A. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, L’appalto di opere pubbliche, cit., 179; F.G. XXXXX, X. POLICE, La risoluzione del contratto di appalto di opere pubbliche, in Riv. trim. app., 1997, 44; AA.VV., La disciplina dei contratti pubblici, a cura di X. Xxxxx e
X. Xxxxx, Milano, Ipsoa, 2007, 1171.
liberamente gli effetti patrimoniali del recesso.
Non sembra quindi possibile ravvisare supremazie ―speciali‖ in rapporto a norme che finiscono per attribuire alla stazione appaltante pubblica meno di quanto l’autonomia negoziale possa riconoscere al committente privato.
La questione maggiormente dibattuta in proposito è la sindacabilità del recesso da parte della p.a. e la conseguente valutazione dei limiti della stessa. L’assunto dell’assoluta insindacabilità delle ragioni poste a fondamento dell’esercizio del recesso della p.a., oltre a mal conciliarsi con la natura pubblicistica dell’ente titolare del diritto, determinerebbe preoccupanti vuoti di tutela, oltre a risultare del tutto sganciata dagli approdi cui giunta la teoria dell’abuso del diritto.
Per rispondere al quesito dell’applicabilità o meno della norma con- tenuta nell’art. 1345 c.c. — che sanziona con la nullità i contratti conclusi per un motivo illecito comune alle parti — agli atti unilaterali negoziali, tra cui pacificamente si annoverano il recesso48 e, più in generale, gli atti estintivi di rapporti contrattuali si è partiti dall’art. 1324 c.c., che estende l’ambito di influenza della disciplina generale sui contratti agli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, purché la singola regola presa in considerazione risulti compatibile con la struttura dell’atto unilaterale49.
L’irrilevanza, ai fini della validità del contratto, dell’illiceità del motivo non comune ai contraenti è stata spiegata in dottrina nella necessità di tutelare l’affidamento della controparte.
La conclusione, condivisa anche dalla giurisprudenza di legittimità, è stata la ritenuta applicabilità dell’art. 1345 c.c. anche agli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, incluso il recesso che, ove ispirato da finalità illecite, risulterà nullo e quindi ab origine improduttivo di effetti
48 X.X. XXXXXX, Diritto civile. Il contratto, Milano, Xxxxxxx, 2000, 315;
49 X.XXXXXXX, Il diritto comune dei contratti e degli atti unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, Napoli, Jovene, 1997.
estintivi.
Inoltre, attraverso il richiamo al divieto di atti emulativi (art. 833 c.c.), al principio di correttezza nel rapporto obbligatorio (1175 c.c.), nonché alla clausola generale della buona fede nell’esecuzione del contratto (1375 c.c.), la dottrina ha teorizzato la funzionalizzazione del diritto al bene privato per la cui tutela l’ordinamento ha riconosciuto la posizione giuridica attiva, ravvisando nelle vane forme di utilizzo deviato (pur non illecite) di questo delle forme di abuso reprimibili.
Le valutazioni effettuate a livello dottrinale sono state di recente recepite dalla giurisprudenza la quale ha affermato in termini generali che dinanzi ai diritti potestativi l’interesse del soggetto passivo non può rimanere del tutto sfornito di giuridica tutela. A fronte dell’esercizio del potere di sacrificare un interesse altrui, si ritiene che sia il rispetto dei generali principi di civiltà giuridica a imporre il riconoscimento in capo al soggetto passivo quantomeno della possibilità di conoscere i motivi che animano la condotta del titolare del diritto, in modo da consentire al soggetto leso di contrastarli, statuendosi che ―alla situazione di mera soggezione tende a sostituirsi quella di interesse legittimo nel diritto privato‖.
Paragrafo XIII.
La risoluzione del contratto
L’appalto pubblico può essere risolto mediante l’azione di risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. o, in alternativa, con determinazione unilaterale dell’amministrazione ai sensi degli artt. 135 (risoluzione del contratto per reati accertati) e 136 (risoluzione del contratto per grave inadempimento, grave irregolarità e grave ritardo) del d.lgs. n. 163/06, che riproducono le disposizioni degli artt. 118 e 119 del d.P.R. n. 554/99.
Un consolidato orientamento giurisprudenziale, condiviso anche dalla più ampia dottrina, escludendo l’applicabilità della regola contenuta nell’art. 1458 c.c., attribuisce alla risoluzione efficacia retroattiva50.
La risoluzione, quindi, anche in questi casi pone nel nulla la causa giustificativa delle reciproche attribuzioni patrimoniali già effettuate da ciascuno dei contraenti e dovrebbe imporre il ripristino della situazione giuridica ed economica preesistente alla conclusione del contratto risolto, come se questo non fosse mai venuto in essere.
Tuttavia, il corollario, secondo cui ciascun contraente è tenuto a restituire o ricevere in restituzione rispettivamente la prestazione ricevuta o quella eseguita, generalmente discendente dalla natura retroattiva della risoluzione, trova un ostacolo insuperabile nelle dinamiche dei contratti d’appalto pubblico, in cui la realizzazione, pur parziale, di lavori strumentali alla realizzazione di un’opera di interesse generale non solo non permette la riduzione in pristino, ma obbliga — per espresso disposto degli artt. 135, comma 2, e 136, comma 1, del d.lgs. n. 163/06 (già art. 340 della legge n. 2248/1865, all. F) — la stazione appaltante alla corresponsione in favore dell’appaltatore di una somma di denaro equivalente alle lavorazioni regolarmente eseguite.
La pervasività dell’interesse alla realizzazione dell’opera pubblica emerge anche sotto altri profili e caratterizza i rimedi risolutori dell’appalto pubblico in modo così significativo da rendere difficile la riconduzione tout court degli stessi agli ordinari schemi di diritto comune.
Per la difficoltà di distinguere il diritto potestativo dell’amministrazione (di natura privatistica) dal potere discrezionale (pubblicistico) si è a lungo discusso sulla natura della rescissione51.
50 A. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXXXX, L’appalto di opere pubbliche, cit., 41.
51 Emblematiche delle incertezze giurisprudenziali paiono tre pronunce del 1984 delle
sezioni unite della Corte di Cassazione emesse a distanza di pochi mesi, sempre in sede di definizione del riparto di giurisdizione.
La sentenza n. 4819 qualificava l’atto come un provvedimento amministrativo, ma non
Negli ultimi anni, il Consiglio di Stato ha costantemente negato la propria giurisdizione sugli atti di risoluzione della stazione appaltante, escludendone la natura provvedimentale; anche la Corte di Cassazione si è prevalentemente orientata nel senso della loro natura privatistica.
Non manca, tuttavia, qualche pronuncia delle sezioni semplici che, pur affermando la giurisdizione del G.O., continua a ravvisare nella c.d. rescissione del contratto di appalto di opere pubbliche un mezzo di natura autoritativa che si sostanzierebbe in un atto amministrativo espressione di autotutela della p.a..
La circostanza che la decisione dell’amministrazione di risolvere unilateralmente il contratto sia ―discrezionale‖ e debba essere ispirata alla tutela dell’interesse pubblico alla tempestiva ed economica realizzazione dell’opera evoca indubbiamente paradigmi pubblicistici, ma non permette di immaginare un trattamento differenziato rispetto alla lettura in chiave privatistica del recesso, che risulta addirittura caratterizzato da più ampi spazi di discrezionalità.
II fenomeno della c.d. rescissione per inadempimento dell’appaltatore (di cui al citato art. 136 del d.lgs. n. 163/06) ha delle evidenti assonanze
negava la giurisdizione del Giudice ordinario reputato competente a verificarne ―la legittimità o liceità per ciò che attiene alla sussistenza e rilevanza del presupposto di colpa‖ ai fini della decisione sulla domanda di risarcimento del danno proposta dall’appaltatore, escludendo invece la possibilità di pronunciare statuizioni che
―presuppongano o realizzino il mantenimento o il ripristino del contratto autoritativamente risolto...‖ (in quanto le stesse si risolverebbero sostanzialmente nell’annullamento o nella revoca dell’atto di esercizio del potere). La pronuncia n. 5840, al contrario, escludeva la configurabilità di poteri autoritativi dell’amministrazione committente in fase di esecuzione del rapporto, inquadrando in termini privatistici i relativi atti.
La sentenza n. 5841, infine, aderiva preliminarmente alla tesi pubblicistica dell’atto, ma affermava la sussistenza della giurisdizione del Giudice ordinario sulla domanda con la quale l’appaltatore chiedeva in via principale la dichiarazione di illegittimità e inefficacia del provvedimento di rescissione del contratto, pur senza invocare la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni.
con l’istituto dell’art. 1456 c.c. (clausola risolutiva espressa) che permette ai privati di prevedere convenzionalmente, nel caso in cui una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità pattuite, l’insorgenza in capo alla parte non inadempiente del diritto potestativo discrezionale di risolvere unilateralmente il contratto con una dichiarazione in cui si manifesti chiaramente la volontà di produrre l’effetto risolutorio. Analogamente all’atto di rescissione della p.a., la dichiarazione di volersi valere della clausola risolutiva espressa — pacificamente qualificata come un negozio giuridico unilaterale recettizio52 — produce immediatamente gli effetti estintivi (ex tunc) e l’intervento del giudice in tali casi assolve a una funzione meramente dichiarativa e non costituiva (come viceversa accade nella risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c.).
Dunque, se l’atto con cui la p.a. dispone unilateralmente la risoluzione del contratto all’avverarsi dei presupposti stabiliti dagli artt. 135 e 136 del d.lgs. n. 163/06 ha la medesima natura della dichiarazione con cui il privato manifesta la propria intenzione di avvalersi della clausola risolutiva, deve affermarsi che il primo è, al pari della seconda, un negozio giuridico unilaterale recettizio.
La medesima natura di negozio unilaterale recettizio può essere attribuita, inoltre, anche all’atto con cui si dispone la risoluzione del contratto nei casi previsti dall’art. 135 del d.lgs. n. 163/06, vale a dire quando sia stata disposta nei confronti dell’appaltatore una o più misure di prevenzione di cui all’art. 3 della legge n. 1423/56 oppure sentenza di condanna passata in giudicato per frodi in danno della stazione appaltante, di subappaltatori, di fornitori, di lavoratori o di altri soggetti comunque interessati ai lavori, nonché per violazione degli obblighi attinenti alla sicurezza sul lavoro.
Anche in questo caso si riconosce, al verificarsi di una di queste
52 X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, Napoli, ESI, 2000, 997.
circostanze, il diritto potestativo del committente pubblico di risolvere il contratto sulla scorta di una valutazione di opportunità del responsabile del procedimento che dovrà (per espressa disposizione di legge) tener conto dello stato dei lavori e delle eventuali conseguenze nei riguardi delle finalità dell’intervento.
La lettura in termini privatistici delle ipotesi di risoluzione appena trattate e del recesso del committente pubblico, oltre a coniugarsi con l’ormai costante affermazione della giurisdizione del Giudice ordinario sulle relative questioni, mette in crisi quei limiti che anche la dottrina più avveduta ha continuato a frapporre in questo genere di controversie, sostenendo che l’appaltatore, in caso di inosservanza delle regole poste per l’esercizio delle predette facoltà, non potrebbe chiedere il ritorno in vita del contratto di xxxxxxx, ma solo il risarcimento dei danni, segnando così una significativa differenza, quanto agli effetti, tra la c.d. rescissione nell’appalto pubblico e la risoluzione nell’appalto privato. L’affermazione secondo cui il Giudice ordinario non potrebbe annullare atti di tal genere per il divieto posto dall’art. 4 della legge n. 2248/1865, all. E sembra infatti vacillare una volta qualificati gli atti di recesso e di rescissione come negozi unilaterali recettizi: il divieto posto al giudice ordinario dall’art. 4 della legge citata è infatti limitato ai provvedimenti emessi dall’amministrazione nell’esercizio di una potestà pubblicistica e non si estende agli atti di diritto civile, con riferimento ai quali i poteri del Giudice ordinario non subiscono compressioni e non si differenziano da quelli che lo stesso giudice ha rispetto agli atti dei soggetti giuridici privati.
Capitolo II
La scelta del contraente secondo il Codice dei contratti pubblici
Paragrafo I
Il recepimento delle direttive 2004/17/CE, 2004/18/CE
Il nuovo codice degli appalti pubblici italiano ha recepito le direttive comunitarie 2004/17/CE e 2004/18/CE53, entrambe del marzo 2004 e relative la prima ai settori cosiddetti speciali, cioè alle procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali e la seconda relativa ai settori ordinari ed, in particolare, al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti di lavoro, di forniture e di servizi in materia di contratti pubblici.
La Direttiva 2004/18/CE ha inteso innanzitutto, aggiornare e razionalizzare le norme comunitarie preesistenti, in materia di appalti pubblici. Si è trattato, essenzialmente, di un’operazione di coordinamento tra precedenti normative, rispondente ad un’esigenza di semplificazione e non certo di riforma sostanziale dell’impianto normativo esistente. L’obiettivo di semplificazione del legislatore comunitario viene raggiunto accorpando in un unico testo (quello appunto della direttiva 2004/18) le tre direttive classiche, dando vita ad un programma di riordino delle norme comunitarie, in materia di appalti pubblici, che raccoglie in un corpus unitario le norme vigenti, senza modificarne la portata sostanziale. Grazie a questo lavoro di refusione in un solo testo normativo, è stato possibile coordinare le diverse discipline degli appalti di servizi, di forniture e di lavori, eliminando le frequenti incongruenze normative. Altro scopo, perseguito dalla
53 X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXX, Le nuove direttive europee negli appalti pubblici, in Giorn. Dir. Amm., Quaderni, diretto da X. Xxxxxxx, 9, 2004.
direttiva 2004/18 CE, è stato quello di aggiornare la normativa vigente, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica ed economica. Numerose sono le innovazioni ed i nuovi istituti introdotti dal nuovo codice. Il Codice, in ottemperanza alla disciplina comunitaria, infatti, ha introdotto una serie di strumenti ed istituti, ad esempio, al fine di garantire da un lato il rispetto dei principi di efficienza, economicità, tempestività dell’operato delle stazioni appaltanti; ma dall’altro anche il rispetto dei principi della libera concorrenza, della parità di trattamento, della non discriminazione e della trasparenza previsti dall’art. 2 e, più in generale, dall’art. 97 della Costituzione e dalla legge n. 241 del 1990.
Paragrafo II
Le nuove forme di aggiudicazione
Particolare interesse meritano le nuove forme di aggiudicazione che sono state introdotte dal Codice degli Appalti54, tutte volte a rendere maggiormente efficiente e flessibile l’azione delle stazioni appaltanti nell’espletamento delle procedure di gara, basti pensare al dialogo competitivo, disciplinato dall’art. 5855, applicabile nell’ipotesi di appalti
54 X. XXXXXXX, Criteri di selezione delle offerte e verifica delle offerte anormalmente basse (artt. 81 - 89), in Commento al Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, a cura di X. Xxxxxx, Torino, Utet, 2006, 339 ss.; A. XXXXXXXX, X. XXXXXXX, X. CAPUZZA, in Commentario al Codice dei contratti pubblici di lavori, servizi, forniture (Decreto Legislativo 12 aprile 2006, n. 163), Roma, Ist. Giur. OO.PP., 2006, 174 ss.; R. DE NICTOLIS, Il nuovo codice degli appalti pubblici, Roma, EPC, 2006, 145 ss..
55 L'art. 58 ha mutuato dall’art. 23 della direttiva n. 18 del 2004, che fa riferimento a particolari difficoltà nel definire l’impostazione giuridica e finanziaria del progetto, oltre che alla difficoltà nel definire i mezzi tecnici atti a soddisfare i suoi bisogni o le sue necessità dimostrando di voler ampliare il campo di applicazione dell’istituto anche ad ipotesi in cui la particolare complessità sia rappresentata da fattori relativi al finanziamento del progetto. L’istituto si potrebbe rivelare particolarmente utile per l'esecuzione di importanti progetti di infrastrutture, di trasporti integrati, di grandi reti informatiche, o per tutte quelle ipotesi in cui vi sono progetti che comportano un finanziamento particolarmente complesso e strutturato (se pure il legislatore, con l’intervento correttivo sul d.lgs. n. 163/06, ha escluso l’applicabilità del dialogo competitivo alle infrastrutture strategiche); cfr. X. XXXXXXXX, X. CARROZZA, Il difficile equilibrio tra flessibilità e concorrenza nel dialogo competitivo disciplinato dalla direttiva 2004/18/CE, in xxx.xxxxxxxx.xx.
particolarmente complessi e mediante il quale le stazioni appaltanti possono avviare per l’appunto un dialogo con i candidati ammessi
―finalizzato all’individuazione ed alla definizione dei mezzi più idonei a soddisfare le loro necessità od obiettivi‖ potendo discutere in tale fase tutti gli aspetti dell’appalto. Altra importante novità per il nostro ordinamento è rappresentata dall’accordo quadro, disciplinato dall’art. 59, stipulabile fra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici per i lavori di manutenzione e negli altri casi in cui i lavori sono caratterizzati da una sostanziale serialità, della durata massima di quattro anni, ed il cui scopo è quello di stabilire le clausole relative agli appalti da aggiudicare in un dato periodo.
La nozione di dialogo competitivo56 è fornita dall’art. 1, par. 11, lettera
c) della direttiva 2004/18 recepito dall’art. 3, comma 41 del codice: Il
―dialogo competitivo‖ è una procedura alla quale qualsiasi operatore economico può chiedere di partecipare e nella quale l’amministrazione aggiudicatrice avvia un dialogo con i candidati ammessi a tale procedura al fine di elaborare una o più soluzioni atte a soddisfare le sue necessità e sulla base della quale o delle quali i candidati selezionati saranno invitati a presentare le offerte. Ai fini del ricorso alla procedura di cui al primo comma, un appalto pubblico è considerato
―particolarmente complesso‖ quando l’amministrazione aggiudicatrice:
1) non è oggettivamente in grado di definire, conformemente all’articolo 23, paragrafo 3, lettere b), c) o d), del nuovo Codice, i mezzi tecnici atti a soddisfare le sue necessità o i suoi obiettivi; 2) non è oggettivamente in grado di specificare l’impostazione giuridica o finanziaria di un progetto. Nella direttiva 2004/18/CE viene precisato
56 C. CONTESSA, X. XXXXXXX, La procedura di dialogo competitivo tra partenariato pubblico-privato e tutela della concorrenza, in Urb. e app., 5, 2006, 501 ss., X. XXXXXXX, Il dialogo competitivo ed i possibili riflessi sul partenariato pubblico privato, in atti del Seminario su “Il dialogo competitivo ed i riflessi sul partenariato pubblico privato”, in xxx.xxxxxxxx.xx; X. XXXXXX, Il nuovo diritto europeo degli appalti, in Urb. e app., 6, 2004, 755 ss.; E. XXXXXXX, La realizzazione di opere pubbliche con la partecipazione di capitale privato, in Urb, e app., 1, 2005, 146 ss..
che ―Nel dialogo competitivo e nelle procedure negoziate con pubblicazione di un bando di gara, tenuto conto della flessibilità che può essere necessaria nonché dei costi troppo elevati connessi a tali metodi di aggiudicazione degli appalti, occorre consentire alle amministrazioni aggiudicatrici di prevedere uno svolgimento della procedura in fasi successive in modo da ridurre progressivamente, in base a criteri di attribuzione preliminarmente indicati, il numero di offerte che continueranno a discutere o a negoziare. Tale riduzione dovrebbe assicurare, purché il numero di soluzioni o di candidati appropriati lo consenta, una reale concorrenza‖. Alla luce di tali disposizioni emerge: 1) il carattere eccezionale dell’istituto rispetto alle ordinarie procedure aperte o ristrette, subordinato all’oggettiva impossibilità dell’amministrazione di definire i mezzi tecnici atti a soddisfare le sue necessità o i suoi obiettivi, o specificare l’impostazione giuridica o finanziaria di un progetto; 2) la particolare complessità dell’appalto; 3) la non imputabilità alle amministrazioni aggiudicatrici dell’impossibilità di definire i mezzi tecnici atti a soddisfare le sue necessità o i suoi obiettivi, o specificare l’impostazione giuridica o finanziaria di un progetto.
In sede di recepimento nel nuovo Codice è stato previsto:
di introdurre una definizione di ―appalti particolarmente complessi‖;
l’obbligo delle amministrazioni aggiudicatrici di fornire specifica motivazione in merito alla sussistenza dei presupposti per ricorrere al dialogo competitivo;
di consentire il dialogo competitivo in relazione agli ―obiettivi‖ delle amministrazioni aggiudicatrici: in effetti l’art. 29 utilizza due sinonimi ―necessità‖ e ―esigenze‖, mentre l’art. 1, par. 11, lettera c) utilizza l’espressione ―necessità o obiettivi‖ ; conformemente ai principi ormai invalsi nella legislazione nazionale, la possibilità di indicare solo
gli obiettivi amplifica notevolmente l’apporto collaborativo dei privati all’attività della P.A.;
di escludere la responsabilità delle amministrazioni aggiudicatrici nell’ipotesi in cui nessuna delle soluzioni risponda alle necessità e obiettivi in precedenza indicati;
la possibilità, tenuto conto dell’incidenza dell’apporto dei privati durante il dialogo, di precisare i criteri di valutazione delle offerte in relazione alle particolarità delle soluzioni prospettate;
una disciplina di raccordo con la finanza di progetto, volta a consentire alle amministrazioni aggiudicatrici il dialogo competitivo quando nessuna delle proposte corrisponde all’interesse pubblico ai sensi dell’articolo 154, con la previsione che i soggetti che hanno presentato le proposte sono ammessi a partecipare al dialogo.
In definitiva l’Istituto del dialogo competitivo è previsto per appalti particolarmente complessi, ma non per l’affidamento delle opere della Legge Obiettivo; con il dialogo competitivo le stazioni appaltanti pubblicano un bando di gara, eventualmente integrato da un documento descrittivo, con le esigenze che i partecipanti devono soddisfare. Successivamente i partecipanti al dialogo competitivo sviluppano una o più soluzioni tecniche e/o finanziarie e la stazione appaltante ne individua una o più e su queste chiede di formulare le offerte economiche.
L’aggiudicazione avviene con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e le stazioni appaltanti possono prevedere premi e incentivi, per i partecipanti. Ovviamente le stazioni appaltanti non possono ricorrere al dialogo competitivo in modo abusivo o in modo da ostacolare, limitare o distorcere la concorrenza. Con l’articolo 59 del nuovo Codice viene recepito l’istituto, previsto nella direttiva 2004/18/CE degli ―accordi - quadro‖, in passato previsto solo nei settori speciali. La principale differenza rispetto all’istituto previsto dalla direttiva 93/38 e ora dalla direttiva 2004/17 è costituito dall’obbligo di
ricorrere alla previa gara per la stipula dell’accordo quadro, mentre nei settori speciali il previo confronto concorrenziale è solamente condizione per l’affidamento con procedura negoziata senza bando a favore dei soggetti firmatari dell’accordo.
L’articolo 59 del nuovo Codice recepisce la norma comunitaria con l’unica particolarità costituita dall’obbligo di indicare i criteri di affidamento dei singoli appalti nel caso in cui non si rilanci il confronto competitivo tra i soggetti firmatari dell’accordo (comma 7).
Per i lavori il recepimento dell’accordo quadro viene circoscritto a lavori standardizzati e ripetitivi, quali la manutenzione e altre ipotesi da prevedersi nel nuovo regolamento (il vigente DPR n. 554/1999 contempla al posto degli ―accordi - quadro‖ i contratti aperti).
L’art. 60, poi, stabilisce che:
1. Le stazioni appaltanti possono ricorrere a sistemi dinamici di acquisizione. Tali sistemi sono utilizzati esclusivamente nel caso di forniture di beni e servizi tipizzati e standardizzati, di uso corrente, esclusi gli appalti di forniture o servizi da realizzare in base a specifiche tecniche del committente che, per la loro complessità, non possano essere valutate tramite il sistema dinamico di acquisizione.
2. Per istituire un sistema dinamico di acquisizione le stazioni appaltanti seguono le norme della procedura aperta in tutte le sue fasi fino all’attribuzione degli appalti da aggiudicare nell’ambito di detto sistema.
3. Tutti gli offerenti che soddisfano i criteri di selezione e che hanno presentato un’offerta indicativa conforme al capitolato d’oneri e agli eventuali documenti complementari sono ammessi nel sistema.
4. Le offerte indicative possono essere migliorate in qualsiasi momento, a condizione che esse restino conformi al capitolato d’oneri.
5. Per l’istituzione del sistema e per l’aggiudicazione degli appalti nell’ambito del medesimo le stazioni appaltanti utilizzano
esclusivamente mezzi elettronici conformemente all’articolo 77, commi 5 e 6.
6. Ai fini dell’istituzione di un sistema dinamico di acquisizione le stazioni appaltanti:
a) pubblicano un bando di gara indicando che si tratta di un sistema dinamico di acquisizione;
b) precisano nel capitolato d’oneri, tra l’altro, la natura degli acquisti previsti che sono oggetto di detto sistema, nonché tutte le informazioni necessarie riguardanti il sistema di acquisizione, l’attrezzatura elettronica utilizzata, nonché, i dettagli pratici e le specifiche tecniche di connessione;
c) offrono per via elettronica, dalla pubblicazione del bando e fino a conclusione del sistema, l’accesso libero, diretto e completo al capitolato d’oneri e a qualsiasi documento complementare e indicano nel bando di gara l’indirizzo Internet presso il quale è possibile consultare tali documenti.
7. Le stazioni appaltanti accordano a qualsivoglia operatore economico, per tutta la durata del sistema dinamico di acquisizione, la possibilità di presentare un’offerta indicativa allo scopo di essere ammesso nel sistema alle condizioni di cui al comma 3.
8. Le stazioni appaltanti concludono la valutazione delle offerte indicative entro quindici giorni a decorrere dalla presentazione dell’offerta indicativa. Possono tuttavia prolungare il periodo di valutazione a condizione che nessun appalto sia messo in concorrenza nel frattempo.
9. Le stazioni appaltanti informano al più presto l’offerente di cui al comma 7 in merito alla sua ammissione nel sistema dinamico di acquisizione o al rigetto della sua offerta indicativa.
10. Ogni appalto specifico deve essere oggetto di un confronto concorrenziale. Prima di procedere a detto confronto concorrenziale, le stazioni appaltanti pubblicano un bando di gara semplificato e invitano
tutti gli operatori economici interessati a presentare un’offerta indicativa, conformemente al comma 3, entro un termine che non può essere inferiore a quindici giorni a decorrere dalla data di invio del bando di gara semplificato. Le stazioni appaltanti procedono al confronto concorrenziale soltanto dopo aver terminato la valutazione di tutte le offerte indicative introdotte entro questo termine.
11. Le stazioni appaltanti invitano tutti gli offerenti ammessi nel sistema a presentare un’offerta per ogni appalto specifico da aggiudicare nel quadro del sistema. A tal fine essi fissano un termine sufficiente per la presentazione delle offerte.
12. Le stazioni appaltanti aggiudicano l’appalto all’offerente che ha presentato la migliore offerta in base ai criteri di aggiudicazione enunciati nel bando di gara per l’istituzione del sistema dinamico di acquisizione. Detti criteri possono, all’occorrenza, essere precisati nell’invito menzionato nel comma 11.
13. La durata di un sistema dinamico di acquisizione non può superare quattro anni, tranne in casi eccezionali debitamente giustificati.
14. Le stazioni appaltanti non possono ricorrere a un sistema dinamico di acquisizione in modo da ostacolare, limitare o distorcere la concorrenza.
15. Non possono essere posti a carico degli operatori economici interessati o dei partecipanti al sistema contributi di carattere amministrativo,
Un altro importante istituto di derivazione comunitaria è l’avvalimento, disciplinato dall’art 49 del Codice. In sede di gara l’art. 49 prevede la possibilità di soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico, organizzativo, ovvero di attestazione della certificazione SOA avvalendosi dei requisiti di un altro soggetto. Rispetto alla formulazione della direttiva europea si prevede che in una gara non possa avvalersi dei requisiti della stessa impresa più di un concorrente. Il concorrente potrà avvalersi dei
requisiti di una sola impresa per ciascun requisito o categoria; il bando di gara potrà peraltro ammettere l’avvalimento di più imprese ausiliarie in ragione dell’importo dell’appalto o della peculiarità delle prestazioni; ma, in tale ipotesi, per i lavori non sarà comunque ammesso il cumulo tra attestazioni di qualificazione SOA relative alla stessa categoria. Il concorrente e l’impresa ausiliaria sono responsabili in solido nei confronti della stazione appaltante. Gli obblighi relativi alla normativa antimafia si applicano anche nei confronti del soggetto ausiliario. Non è richiesto alcun rapporto di controllo o collegamento fra i due soggetti. Il concorrente porterà in gara l’attestazione dell’impresa ausiliaria integrata da una sua dichiarazione attestante i requisiti oggetto dell’avvalimento, il possesso dei requisiti di ordine generale ed un’ulteriore dichiarazione con la quale l’impresa ausiliaria si impegna a mettere a disposizione per tutta la durata dell’appalto le risorse di cui è carente il concorrente.
Non è consentito che partecipino alla stessa gara sia l’impresa ausiliaria che quella che si avvale dei requisiti.
Il bando potrà comunque prevedere che, in relazione alla natura dell’appalto, qualora sussistano requisiti tecnici connessi con il possesso di particolari attrezzature possedute da un ristrettissimo ambito di imprese operanti sul mercato, queste possano prestare l’avvalimento nei confronti di più di un concorrente, sino ad un massimo indicato nel bando stesso, impegnandosi a fornire la particolare attrezzatura tecnica, alle medesime condizioni, all’aggiudicatario.
Il contratto dovrà in ogni caso essere eseguito dall’impresa che partecipa alla gara, alla quale è rilasciato il certificato di esecuzione; l’impresa ausiliaria non potrà assumere il ruolo di appaltatore, o di subappaltatore. L’avvalimento viene esteso anche in sede di attestazione SOA, seppur con l’introduzione di alcune condizioni: rapporto di controllo con l’impresa ausiliaria, disponibilità di quest’ultima a rendere fruibili le proprie risorse oggetto dell’avvalimento per l’intero periodo
di validità dell’attestazione (con obbligo di comunicare le eventuali circostanze che farebbero venir meno tale disponibilità). Il rapporto di controllo non potrà che far riferimento all’art. 2359 c.c. e tale dovrà persistere per l’intero periodo dell’attestazione. In particolare andrà quindi verificato che tra la società avvalente e la società avvalsa esista un rapporto di controllo ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 2359 c.c. e pertanto che sussistano le seguenti condizioni:
1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
2) le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria;
L’attestazione Soa mediante avvalimento comporta la responsabilità solidale delle imprese nei confronti della stazione appaltante.
Altra importante introduzione è rappresentata dalle società miste, pubblico - private, la cui costituzione è prevista dall’art.1, comma 2 per la realizzazione e/o gestione di un’opera o di un servizio pubblico; il soggetto privato in questi casi deve essere scelto tramite procedura ad evidenza pubblica. Valore significativo assume, tra l’altro, l’incentivazione della informatizzazione delle procedure di gara, svolta attraverso pubblicazioni e comunicazioni e l’introduzione della contrattazione informatica a mezzo aste elettroniche e i sistemi dinamici.
Sia le direttive comunitarie che il Nuovo codice degli appalti disciplinano le aste elettroniche.
Entrambi le riportano nella sezione relativa ai ―criteri di aggiudicazione‖, anche se non si tratta di un criterio di aggiudicazione, ma, più propriamente di un processo elettronico di negoziazione e valutazione delle offerte che segue ad una tradizionale procedura di gara, sia essa una procedura aperta, ristretta o negoziata con bando.
L’inserimento della disciplina dell’asta elettronica nell’ambito dei criteri di aggiudicazione è dovuta alla volontà di escludere che questa
sia una nuova procedura di gara.
Sia le ―aste elettroniche‖ che i ―sistemi dinamici di acquisto‖ sono tecniche di acquisto fondate essenzialmente sull’utilizzo dei dispositivi elettronici.
In concreto sono due modalità di negoziazione ben distinte tra loro, tanto che vengono riportate in parti diverse del Nuovo Codice: le ―aste elettroniche‖ sono disciplinate nella parte relativa ai criteri di aggiudicazione (parte II, titolo I, capo III, Sezione V), mentre la disciplina dei ―sistemi dinamici di acquisto‖ (art. 60 del Codice) viene previsto nell’ambito delle procedure di gara (parte II, titolo I, capo III) In comune le aste elettroniche ed i sistemi dinamici di acquisto hanno la utilizzazione di sistemi elettronici e automatici di valutazione delle offerte.
In entrambi i casi il pericolo correlato ad una valutazione automatica delle offerte è quello di favorire la competizione ed il ribasso a discapito della qualità della prestazione.
In altre parole si tratta di meccanismi che rischiano di determinare una distorsione della concorrenza.
La consapevolezza dei rischi delle procedure in esame ha portato il Legislatore comunitario a prevedere che il ricorso alle aste elettroniche ed ai sistemi dinamici di acquisto deve avvenire nel rispetto delle norme previste dalle direttive e dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione e di trasparenza al fine di evitare che le amministrazioni possano in alcun modo ricorrere a tali strumenti
―abusivamente o in modo ad impedire, limitare o distorcere la concorrenza‖ .
L’art. 3, comma 15 del Nuovo codice contiene la definizione di asta elettronica che rispecchia fedelmente quella contenuta nelle direttive (art. 1, par. 7, dir. 2004/18/CE; art. 1, par. 6, dir. 2004/17/CE).
L’asta elettronica viene definita come un ―processo per fasi successive basato su un dispositivo elettronico di presentazione di nuovi prezzi,
modificati al ribasso, e/o di nuovi valori riguardanti taluni elementi delle offerte, che interviene dopo una prima valutazione completa delle offerte permettendo che la loro classificazione possa essere effettuata sulla base di un trattamento automatico‖.
L’asta elettronica è quindi il processo elettronico di negoziazione delle offerte.
Le procedure di gara rimangono quelle tradizionali (la procedura aperta, ristretta e negoziata), ma si riconosce la possibilità di prevedere nel bando di gara che la individuazione del concorrente aggiudicatario avvenga sulla scorta di una ―valutazione automatica delle offerte a mezzo elettronico‖.
Non è possibile ricorrere all’asta elettronica per gare che non siano precedute dalla pubblicazione del bando (ad esempio in seguito a trattativa privata).
Inoltre, poiché si tratta di un meccanismo di valutazione esclusivamente automatica delle offerte, le amministrazioni vi potranno ricorrere soltanto per l’aggiudicazone di ―appalti le cui specifiche possono essere definite in modo preciso‖ (cfr. art. 85, comma 1, del Codice, considerando 14, dir. 2004/18/Ce; e considerando 22, dir. 2004/17/Ce), così come potranno essere oggetto dell’asta elettronica solo gli elementi quantificabili in modo da poter essere espressi in cifre o percentuali. La aggiudicazione automatica mediante asta elettronica non può avvenire quando oggetto della valutazione sono elementi non soggetti a quantificazione. Sono quindi esclusi dall’ambito di applicazione delle aste elettroniche gli appalti di lavori e servizi che hanno per oggetto prestazioni intellettuali, come la progettazione di lavori. L’art. 357, comma 15 del codice degli appalti richiama il considerando 14, dir. 2004/18/CE e considerando 22, dir. 2004/17/CE e prevede che le amministrazioni nazionali non potranno ricorrere alle aste elettroniche nel caso di appalti di lavori o di servizi che abbiano per oggetto
prestazioni intellettuali.
L’asta elettronica si svolge in fasi. La prima fase prevede la classificazione delle offerte ( cfr art. 85, comma 9, Codice; art. 54, dir. 2004/18/CE, e art. 56, dir. 2004/17/CE) in base ai nuovi prezzi e/o ai nuovi valori presentati.
Se il criterio di aggiudicazione è quello del prezzo più basso l’offerta che si aggiudica l’appalto è facilmente individuabile in quella che contiene una maggiore percentuale di ribasso. Se, invece, il criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa è necessario specificare la formula matematica in base alla quale viene riclassificata l’offerta.
In quest’ultimo caso il problema fondamentale è quello di conciliare la automaticità dell’utilizzo di sistemi automatizzati e valutazioni più complesse rispetto alla mera verifica del ribasso necessarie per la individuazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Riguardo alla durata di un’asta elettronica, l’art. 85, comma 10 del codice degli appalti ha previsto che ―le stazioni appaltanti dichiarano conclusa l’asta elettronica alla data e ora di chiusura preventivamente fissata‖.
La direttiva comunitaria (cfr. art. 56, dir. 2004/17/CE, e, analogamente, il 54, dir. 2004/18/CE) prevede diverse modalità di chiusura di un’asta:
- allo scadere dell’ora fissata qualora nell’invito sia stata indicata una data inizio e di chiusura dell’asta (art. 56, par. 7, lett. a); - al raggiungimento del numero di fasi dell’asta fissate nell’invito (art. 56, par. 7, let i); - quando enti non ricevono più nuovi prezzi che rispondono alle esigenze degli scarti minimi.
L’indizione di un’asta elettronica ex art. 85, comma 5, d. lgs. n. 163/2006 richiede la indicazione della modalità di scelta del contraente nel bando di gara e la cui applicazione necessita delle previsioni regolamentari, ad oggi mancanti, ex art. 85, comma 12. Si differenzia
dalla procedura dell’asta elettronica la mera previsione dell’invio telematico delle offerte.
Quest’ultima previsione non fa scattare l’applicazione del codice degli appalti come stabilito anche da giurisprudenza recente (cfr. TAR Lazio n. 1972 del 3 marzo 2008).
Paragrafo III.
La scelta del contraente e discrezionalità della p.a.
Il diritto comunitario ha inciso anche sulla configurazione della discrezionalità amministrativa in ordine alla scelta del contraente cui affidare l’esecuzione di un pubblico appalto.
Le influenze comunitarie sono evidenti sia nel ricorso alla trattativa privata, che ha subito una riduzione notevole dell’ambito di applicabilità rispetto alle precedenti norme dell’ordinamento interno, sia in relazione alle procedure di affidamento diverse dalla trattativa privata che hanno nel tempo subito profonde e sostanziali modificazioni ed in definitiva una sempre più stringente procedimentalizzazione.
Per limitare la disamina agli appalti di lavori, occorre considerare che prima dell’entrata in vigore della legge n. 109/94, del decreto legislativo di recepimento della direttiva 89/440/CE (d.lgs. 19 dicembre 1991, n. 406), nonchè della legge 8 agosto 1977, n. 584, di recepimento della direttiva 26 luglio 1971, n. 71/304/CE, i metodi di scelta del contraente ed i criteri di aggiudicazione erano disciplinati esclusivamente dalla legge di contabilità e dal suo regolamento di esecuzione, mentre la normativa applicabile alla trattativa privata era l’art. 41 del r.d. n. 827/24.
In particolare, si rendeva lecito il ricorso alla trattativa privata quando l’urgenza dei lavori, acquisti, trasporti e forniture fosse tale da non
consentire l’indugio degli incanti o della licitazione, e in genere in ogni altro caso in cui ricorressero speciali ed eccezionali circostanze, tali da non consentire l’utilizzo delle forme degli artt. da 37 a 40 del regolamento.
Queste clausole di ―restrizione‖ del sistema, lasciavano evidenti possibilità di scelta alle amministrazioni, le quali, nell’esercizio di una facoltà piuttosto ampia, potevano dichiarare l’urgenza o la ricorrenza di circostanze eccezionali al fine di evitare i metodi dell’asta pubblica o della licitazione privata per la scelta del contraente.
Le norme di recepimento delle direttive comunitarie citate (n. 71/304 e
n. 440/89), l’art. 5 della legge n. 584/77 e, successivamente, l’art. 6 del d.lgs. n. 406/91, erano sulla questione molto più limitative del regolamento di contabilità dello Stato, poichè indicavano ipotesi tassative di ricorso alla trattativa privata, lasciando margini di manovra molto ristretti alle stazioni appaltanti, coerentemente con l’intento del legislatore comunitario di considerare l’istituto quale strumento eccezionale di affidamento ed imporre l’applicazione pressoché incondizionata del cosiddetto principio della gara.
La legge n. 109/94 ha poi recepito la direttiva comunitaria successivamente intervenuta (93/37/CE) andando oltre i limiti da questa imposti e consentendo l’affidamento a trattativa privata solo nelle ipotesi dettagliatamente indicate dall’art. 24.
Seppur sotto l’influenza di quello comunitario e proprio per garantire al massimo livello la concorrenza nel settore, il legislatore domestico aveva dunque ulteriormente compresso, sotto questo profilo, i pur limitati margini di autonomia negoziali riconosciuti dalla normativa comunitaria alle amministrazioni aggiudicatrici58.
Proprio 1’adeguamento alla normativa comunitaria ha comportato una progressiva procedimentalizzazione della trattativa privata, via via
58 L. GIANPAOLINO, La disciplina della trattativa privata e delle varianti nella l. 109/94 c.d. Xxxxxxx e sue successive modifiche, in Foro amm., 1998, 2587.
assimilata alle procedure ristrette, prevedendo, ad esempio, in taluni casi la previa pubblicazione del bando e, dunque, il rispetto di regole formali che peraltro non lasciano più l’amministrazione libera di concludere o meno il contratto.
A prescindere da ogni considerazione che ha talvolta indotto il nostro legislatore ad adottare una disciplina ancor più rigorosa per la trattativa privata, attraverso un progressivo processo di adeguamento all’ordinamento comunitario si sono profondamente modificate anche le modalità dell’esercizio dell’autonomia negoziale da parte della p.a., se solo si considera che espressione dell’autonomia negoziale tipica del diritto civile è anche la libertà di autodeterminazione nella scelta dell’altro contraente e che dal momento in cui tale autodeterminazione viene limitata, o comunque regolata da stringenti ed inderogabili norme pubblicistiche, risulta chiaro che si assiste a un fenomeno di condizionamento non solo dell’esercizio dei poteri discrezionali, tipici del soggetto pubblico e regolati dal diritto amministrativo, ma anche dell’autonomia negoziale di cui questo è portatore, vincolata com’è alla stretta osservanza delle disposizioni pubblicistiche sin dalle prime fasi in cui si esprime, quali, ad esempio, proprio la ricerca del contraente59. L’obbligo sostanzialmente generalizzato di esperire vere e proprie procedure concorsuali può incidere poi non unicamente sull’individuazione del soggetto concretamente chiamato a svolgere la prestazione, ma anche sui tempi di esecuzione di quest’ultima, sul prezzo offerto e sulle intrinseche caratteristiche tecniche dell’offerta e in definitiva sugli stessi contenuti contrattuali.
Quando le pubbliche amministrazioni stipulano il contratto dopo aver esperito una procedura concorsuale, sono obbligate a utilizzare lo stesso schema negoziale elaborato al momento dell’indizione della gara, unitamente agli altri documenti ed elaborati dell’appalto messi a disposizione dei concorrenti e ciò a prescindere dall’identità del
59 X. XXXXXXXX, Manuale di diritto privato, Milano, Ipsoa, 2000, 236.
contraente o dalle caratteristiche dell’offerta risultata vincitrice.
In definitiva, anche in relazione ai metodi di scelta del contraente ed alle conseguenti ripercussioni in tema di autonomia negoziale, la disciplina dettata per le procedure concorsuali, sia ristrette sia aperte, che si contrappongono alla trattativa privata, lascia margini molto esigui all’autonomia della p.a., nel senso che un significativo numero di clausole contrattuali possono risultare predeterminate dalla legge (o dal sistema che la legge ha imposto per la scelta dell’offerta migliore) e diverso, addirittura, può risultare lo stesso aggiudicatario, rispetto a quello che l’amministrazione avrebbe prescelto senza l’esperimento di una ordinaria procedura concorsuale; così come diverso risulta essere ancora il momento in cui si consacra l’incontro delle volontà del committente e dell’affidatario che, a differenza di ciò che avviene tra i privati, è rappresentato dalla aggiudicazione e non piuttosto dalla stipulazione del contratto.
Capitolo xxxxx Xxxxx e Turchia
Paragrafo I.
La “formazione” giuridica dei Paesi dell’area Euro-mediterranea
Per il mondo arabo il periodo post coloniale ha rappresentato una fase vivace di acculturazione giuridica, che ha visto la nascita e l’implementazione di modelli di codificazione e di redazione legislativa, secondo quella che viene definita la ―formazione‖ giuridica, fenomeno maggiormente comprensibile in correlazione con lo sviluppo economico e con la mutazione della posizione degli Stati nell’economia60.
Lo sviluppo normativo dei paesi analizzati, ha seguito la linea della uniformazione, o meglio, armonizzazione del diritto. Le singole legislazioni da principi e criteri comuni hanno elaborato delle legislazioni specifiche sui settori e tematiche delicate dello sviluppo economico e commerciale di ciascuno Stato (ad es. la holding companies, di commercial agencie, le c.d. banking laws).
Questo fenomeno ha portato alla formazione di alcune leggi modello che ogni Stato ha recepito in tutto o in parte.
Oggi appare più articolata la questione dell’influenza reciproca fra Stati. Ed è evidente l’influenza del diritto uniforme, della c.d. lex mercatoria e delle norme internazionali convenzionali e/o pattizie all’interno della normativa di ciascuno Stato61. Legge modello può essere considerata quella che maggiormente attua una forma di compromesso tra tradizione e modernità, tra rispetto dei principi, seppur formali, del diritto musulmano e gli standards esterni, cui molti Stati guardano
60 X. XXXXXXX, La globalizzazione nello specchio del diritto, Il Mulino, Bologna, 2005.
61 M. PAPA, ―I principi generali del diritto nelle codificazioni civili dei Paesi Arabi Maditerranei”, in Tradizioni culturali, sistemi giuridici e diritti umani nell’area del
facendo riferimento non soltanto alle norme uniformi, ma anche ad esperienze giuridiche straniere di carattere uniforme, su tutti il diritto comunitario.
Le influenze delle diverse economie, le differenti necessità macroeconomiche di ciascuno Stato hanno generato uno sviluppo della normazione che ha più velocità e che vedono il sorgere di un paese- riferimento o paese-modello differente.
Tutti i paesi, però, hanno elaborato, in questi anni, una legislazione di promozione ed attrazione degli investimenti stranieri che rappresenta, seppure con delle rilevanti diversità normative, un tratto comune di un’area che come obiettivo ha quello di colmare il proprio gap economico, accrescere la propria ricchezza e dare sviluppo alla propria economia.
La capacità di attrazione di investimenti diretti esteri è divenuta nell’ultimo decennio un punto focale delle politiche economiche di molti paesi in via di sviluppo. Tale strategia è basata sulla considerazione che l’afflusso di questi investimenti aumenti il potenziale produttivo del paese, nonché i livelli di produttività. Inoltre, si suppone che il capitale estero possa svolgere un ruolo di stimolo all’attività di investimento locale, sia a monte che a valle della catena produttiva, e di acquisizione, sviluppo e diffusione di tecnologia. In sintonia con tali considerazioni, si è verificato un continuo aumento del peso dei paesi in via di sviluppo sui flussi mondiali di investimenti diretti esteri in entrata, interrotto solo nel 1997-2000, a seguito del propagarsi degli effetti della crisi asiatica. In questo contesto, l’area del Sud del Mediterraneo si evidenzia per la sua debole performance, sia su scala mondiale che all’interno dell'area dei paesi in via di sviluppo. Infatti, mentre nell’ultimo decennio il tasso di crescita degli investimenti esteri a livello mondiale è stato costante e molto forte, e, in particolare, di quelli diretti appunto verso i paesi in via di sviluppo, i paesi mediterranei
Mediterraneo, il Mulino, Bologna, 2003, 289-315.
sembrano essere rimasti al margine di tali processi. Dal punto di vista della dimensione del mercato, è importante fare riferimento all’accordo di Partenariato Euro-Mediterraneo, sottoscritto a Barcellona nel 1995. Attualmente l’iniziativa si è tradotta in accordi di Associazione e in accordi con i paesi dell’Europa centrale e orientale per l’allargamento dell’Unione europea la zona potrà includere quaranta Stati e dai 600 agli 800 milioni di persone. Tale processo di liberalizzazione potrà aumentare l’attrattiva dei paesi mediterranei per gli investimenti dall’estero, ma allo stesso modo sottoporrà l’area alla concorrenza di altri paesi facenti parte della zona menzionata, sia in termini di capacità di attrazione di investimenti, che in termini di competitività cui è necessario puntare. Tuttavia mentre la geografia, la cultura e la lingua favorirebbero una maggiore integrazione regionale, l’assenza di una politica comune e di una programmazione economica su vasta scala ha finora limitato la spinta verso obiettivi condivisi da tutte le identità nazionali dell’area. Il potenziale di integrazione e sviluppo di essa rimane comunque notevole per numerosi motivi, tra i quali un prodotto intero lordo pro-capite notevolmente superiore a quello delle regioni in via di sviluppo e per affinità culturali e linguistiche.
In questa direzione l’Italia, per evidenti ragioni storiche e geopolitiche, è chiamata a svolgere un ruolo da protagonista. Il commercio del nostro Paese con l’area è superiore alla media europea e caratterizzato da una distribuzione geografica più ampia di quella di altri paesi UE, ciò nonostante molto ancora può essere fatto. Per le imprese italiane, anche e soprattutto per quelle piccole e medie, il Mediterraneo si presenta come un’area di grandi opportunità. Le affinità storico-culturali, la progressiva apertura di quei paesi, legata alla creazione di una vasta zona di libero scambio prevista nell’ambito del Partenariato Euro-Mediterraneo, sono elementi in grado di favorire l’incontro e l’avvio di un comune percorso di crescita.
Paragrafo II. Libia
In Libia così come per molti dei paesi dell’area mediterranea lo sviluppo normativo sembrerebbe aver seguito la linea dell’uniformazione e dell’armonizzazione del diritto.
Il potere in Libia istituzionalmente spetta ai Comitati popolari che sono suddivisi, oltre che sulla base di un criterio geografico, anche sulla base di un principio di competenza.
A capo degli stessi sono posti i Ministri nominati direttamente dal Comitato Popolare Generale, sentite le varie ―anime‖ del popolo libico. Importanza sempre maggiore, a partire dagli inizi degli anni '90, stanno assumendo le sbaabiat cioè le ―municipalità‖, nell'ottica di realizzare un sistema di decentramento della complessa, e macchinosa attività burocratica ed amministrativa.
Accanto a questi organi si devono aggiungere i numerosissimi Enti e le Agenzie economiche e commerciali che si occupano di tutta l’attività economica che ruota intorno ad un determinato settore commerciale, collegate sia ai Ministeri ma anche alle municipalità provocando una non facile situazione di impasse e di lentezza dell’intero apparato amministrativo.
L’attuale ordinamento giuridico libico comprende 3 tipi di norme: le norme costituzionali, quelle legislative, e le norme di regolamento.
Con l’abrogazione, nel 1951, della Costituzione entrata in vigore subito dopo l’indipendenza, da parte della Proclamazione costituzionale del 1969 emanata dal Consiglio dei Membri della Rivoluzione, le norme costituzionali vigenti in Libia trovano la loro collocazione giuridico - sistematica in diversi documenti, nella Proclamazione dei poteri del popolo del 1977 e nella Carta Verde per i diritti dell'uomo del 1988. Queste norme sono talmente esigue e scarne da un punto di vista giuridico che risulta impossibile sottoporre gli
atti e le norme legislative ad un effettivo controllo di legittimità costituzionale. Questa anomalia lascia il legislatore libico del tutto arbitro dei contenuti e delle linee guida della produzione legislativa; di conseguenza numerose leggi e norme di legge sono in palese contrasto tra loro ed evidenziano una politica che non segue una linea coerente, ma si conforma alle esigenze del potere.
Per norme legislative si intende l’insieme dei disegni di legge formulati dai Comitati popolari ed approvati dal Comitato Popolare Generale. Nel 1953, dopo l’indipendenza sono stati emanati alcuni codici allo scopo di unificare le norme che disciplinano i diversi campi del diritto. Il Codice civile che disciplina le obbligazioni, i contratti ed i rapporti di
credito, i diritti reali, la proprietà, le servitù, il pegno, l’ipoteca, i privilegi. Il Codice, pur rifacendosi in maniera evidente al modello del Codice civile francese ed italiano, non disciplina le materie relative alla famiglia ed alle successioni, le quali rimangono del tutto regolate da alcune leggi speciali conformi alla Xxxxx’ a.
Non sono mancati interventi legislativi volti ad adeguare alcune materie del diritto civile e commerciale alla Xxxxx'a, come la legge 74 del 1974 riguardante l’inibizione dell’usura e la legge 86 del 1972 concernente l'inibizione dei contratti d’azzardo e la limitazione dei contratti puramente aleatori secondo alcuni adeguamenti dettati dalla Xxxxx' a.
2.1 Gli appalti pubblici
L’art. 645 del Codice civile libico stabilisce la natura dell’appalto definendolo quel contratto in forza del quale una delle parti contraenti si impegna a realizzare un lavoro o a prestare un servizio, a fronte della retribuzione che l’altra parte contraente si obbliga a corrispondere.
Per quanto riguarda il rifornimento dei materiali, l’art. 646
afferma che l’appaltatore può decidere di assicurare esclusivamente il suo lavoro, lasciando al committente la responsabilità della fornitura dei materiali che egli utilizza nel compimento dell’opera.
L'appaltatore può, secondo quanto stabilito dall’art. 647, del Codice civile, decidere di provvedere anche ai materiali, oltre che al proprio lavoro, in tal caso assumendosene la responsabilità e garantendo la loro buona qualità al committente.
Quando i materiali sono predisposti dal committente, l’appaltatore si limita alla cura per la loro conservazione, ad usarli con abilità tecnica e a restituire qualsiasi rimanenza o eccedenza.
Se parte dei materiali diventa inadatta all'uso, a causa della negligenza o della mancanza di abilità professionale dell’appaltatore oppure dell’imperizia questi è tenuto a rimborsare al proprietario il valore della merce sulla base del costo di mercato della stessa, ai sensi dell’art. 648 cod. civ..
Ulteriore obbligazione dell’appaltatore è quella di fornire a sue spese, in assenza di diverse pattuizioni contrattuali con il committente, gli attrezzi e gli strumenti necessari per la prestazione del lavoro.
Nel caso in cui l’appaltatore, nel corso dell’esecuzione, realizzi il lavoro in un modo difettoso o contrario all’accordo, il committente può ordinare di sospendere i lavori, per un periodo ragionevole di tempo da lui fissato, in modo da permettergli di modificare le modalità di realizzazione dell’opera.
Se dopo la scadenza di un tale periodo l’appaltatore non ha realizzato l’opera secondo la regola dell’arte, il committente può richiedere la risoluzione del contratto o consegnare le opere ad un altro appaltatore al costo del primo.
La risoluzione immediata del contratto può, tuttavia, essere richiesta senza ritardi, in base all’art 649, cod. civ., quando risulta impossibile la rettifica delle modalità di esecuzione del lavoro.
Il progettista e l'appaltatore sono insieme e separatamente responsabili
per un periodo di 10 anni per la rovina totale o parziale delle costruzioni o di altri impianti permanenti da loro edificati, anche se tale distruzione è dovuta alla struttura del terreno, ed anche se il padrone abbia autorizzato la costruzione difettosa, a meno che, in tal caso, le parti non abbiano tra loro concordato una durata minore delle costruzioni.
La garanzia decennale, che inizia a decorrere dalla data di consegna del lavoro, si estende anche ai difetti nelle costruzioni e nei montaggi che mettono in pericolo la solidità e la sicurezza degli impianti.
Il Codice civile all’art. 652 afferma categoricamente la nullità di ogni clausola contrattuale volta ad escludere o restringere la responsabilità del progettista e dell’appaltatore.
In 3 anni dalla data di distruzione degli impianti o dalla scoperta dei difetti si prescrivono le azioni per far valere tutte le garanzie.
L’appaltatore, ultimati i lavori, li pone a disposizione del committente; questi, appena possibile, provvede al pagamento secondo quanto stabilito.
Nel caso in cui il committente, nonostante formale convocazione e senza causa ragionevole, non ottempera all’obbligo di prendere in consegna gli impianti, questi si riterranno a lui consegnati.
Nel caso in cui nel corso dell’esecuzione del contratto l’appaltatore si renda conto che per ultimare i lavori secondo il programma concordato si eccede considerevolmente il prezzo pattuito, per cause non prevedibili, ha l’obbligo di informare immediatamente il committente dell'aumento del prezzo previsto.
In caso di mancata comunicazione, ai sensi dell’art. 656, cod. civ., l’appaltatore decade dal suo diritto di recuperare le spese ed i costi superiori alla valutazione inizialmente pattuita con il committente.
L’eccesso di spesa, non prevedibile, se risulta essere particolarmente gravoso rispetto al prezzo originalmente stabilito, da la possibilità al committente di annullare il contratto ed arrestare il lavoro, a condizione che
lo faccia senza ritardo e che corrisponda all’appaltatore il costo del lavoro fino a quel momento eseguito.
Il committente può rescindere il contratto ed arrestare in qualunque momento il lavoro, prima del completamento degli impianti, a condizione che compensi l’appaltatore di tutte le spese per il lavoro eseguito e del profitto che avrebbe realizzato se avesse ultimato i lavori (la Corte ha il potere di ridurre la compensazione dovuta all’appaltatore per perdita del profitto se le circostanze giustificano tale riduzione).
2.2 Il tender
Ogni soggetto, pubblico o privato, che intenda indire una gara d'appalto per l’esecuzione di un determinato progetto deve rendere nota la propria intenzione mediante l’emissione di un documento, noto nella pratica come tender, che indichi tutta quella serie di dati atti ad illustrare l’opera agli appaltatori interessati.
L’emissione del tender è il primo e fondamentale passo che mette in moto la lunga trafila che porta alla stipulazione di un contratto d’appalto.
Il tender deve contenere informazioni circa:
la procedura di gara che verrà seguita;
i termini entro i quali devono essere eseguiti i lavori;
l’indirizzo presso cui depositare le domande di invito a presentare l’offerta e il relativo termine;
l’indirizzo dell’Ente aggiudicante; le lingue da utilizzare per l’offerta;
gli importi e le modalità per i versamenti da effettuare per ottenere il fascicolo di gara.
La decisione del Comitato generale del popolo n. 263 del 2000 predispone una serie di precetti per regolamentare l’attività degli Enti che intendono indire una gara d’appalto per la stipulazione di contratti
amministrativi.
L’art. 3 di tale decisione qualifica come contratti amministrativi: contratti per l’esecuzione di lavori pubblici;
contratti di fornitura e installazione;
contratti per il funzionamento e la manutenzione di progetti di pubblica utilità;
contratti per l’organizzazione di installazioni turistiche e industriali.
Le diverse modalità di gara per la conclusione di contratti amministrativi sono indicati dall’art.10:
offerta generale: è rivolta a tutti gli appaltatori interessati e mira ad ottenere l’offerta economicamente più vantaggiosa, può essere interna o internazionale;
offerta limitata: si caratterizza per il fatto la partecipazione è limitata alle persone scelte fra quelle ufficialmente registrate in appositi elenchi; trattativa diretta: è effettuata tramite trattative dirette con gli operatori specializzati nel campo degli impianti o degli articoli richiesti, fra quelli registrati nei registri dell’Ente legalmente competente, per poter raggiungere le condizioni contrattuali più favorevoli;
ordine diretto: è la presentazione diretta agli appaltatori dell’ordine d’acquisto o dell’intento di iniziare un’opera da parte della persona autorizzata dall’Ente amministrativo a stipulare il contratto;
asta pubblica: è attuata per la vendita di beni tramite offerte di acquisto miranti al raggiungimento del prezzo più alto.
Il passaggio dal metodo di offerta generale ad un altro metodo di contrattazione sarà permesso soltanto per i motivi considerati nella decisione 263 del 2000.
L’offerta limitata, la trattativa e l'asta pubblica, sono ammessi solo nei seguenti casi:
progetti di investimento e di produzione quali fabbriche, centrali elettriche e simili;
forniture di servizi tecnici specializzati quali la selezione degli uffici di controllo, di consulenza e di assistenza tecnica per il funzionamento dei progetti;
impianti e rifornimenti in condizione di monopolio per la manifattura o l’importazione o per quei progetti disponibili soltanto per aziende specifiche;
altri casi in cui la natura del contratto o i termini per la sua stipulazione si pongono come incompatibili con l’adozione del metodo di offerta generale.
E’ compito del Comitato generale del popolo specificare tali casi su richiesta del candidato alla conclusione del contratto.
Nei sopra citati casi l’art. 11 impone anche una serie di obblighi per poter indire gare d’appalto con modalità diverse dall’offerta generale:
ottenere un permesso per trattativa limitata o diretta dalla relativa Autorità competente;
invitare per contrarre un numero sufficiente di rappresentanti, aziende o imprese per accertare la trasparenza delle procedure;
valutare la qualificazione dei soggetti invitati per la presentazione delle offerte, la loro efficienza tecnica e finanziaria, la loro esperienza precedente in progetti simili e la loro buona reputazione;
i soggetti invitati per la presentazione delle offerte saranno registrati ed otterranno il permesso dall'Autorità competente in conformità con le di- sposizioni della legge commerciale (legge 65 del 1970) a meno che le a- ziende e le persone siano invitate conformemente ad un accordo internazionale.
L’art. 13 prevede che l’appalto possa essere aggiudicato mediante ordine diretto solo in alcuni casi:
casi richiesti per esigenze di emergenza o di sicurezza nazionale; contratti con gli organismi nazionali o governi stranieri in conformità con accordi internazionali;
casi in cui nessuno abbia partecipato all’offerta generale o limitata; acquisto di pezzi di ricambio, medicine o attrezzature mediche;
acquisto di materiali in situazione di monopolio o disponibili soltanto presso persone specifiche;
interventi di riparazione e di manutenzione per un importo che non ecceda Ld 50.000,00 (cinquantamila dinari libici) durante un intero anno fiscale. Tali operazioni non saranno divisibili in più di un contratto se lo scopo è di eccedere tale limite.
2.3 La normativa Appalti
La decisione 263 del 2000 del Comitato Generale, all’art. 40 dispone che il periodo necessario per la presentazione dell’offerta sia specificato secondo la natura e l’importanza dell’oggetto del contratto, purché, non sia inferiore a trenta giorni dalla data di pubblicazione del tender. Tale periodo può essere ridotto solo con il consenso dell’Autorità competente , a condizione che non sia inferiore a giorni quindici. Il periodo di validità delle offerte presentate, necessario per il loro esame, deve essere il più breve possibile. Il periodo di validità delle offerte per rifornimenti che non necessitano dell’analisi chimica non eccede i trenta giorni a partire dalla data specificata per l’apertura delle buste, fino a raggiungere i quarantacinque giorni per le offerte di fornitura i cui campioni richiedono analisi chimiche.
La decisione riguardo all’offerta viene adottata e comunicata dal Comitato degli appalti all’aggiudicatario prima della scadenza del periodo di validità della stessa. Il Comitato, se ciò non è possibile, chiede agli offerenti, prima della scadenza del periodo, di prolungare il periodo di validità delle loro offerte per il periodo supplementare necessario. All’art. 42 si stabilisce che le offerte generali locali saranno annunciate mediante pubblicazione nei mezzi di informazione locali. Le offerte possono essere anche pubblicizzate tramite una apposita cartolina di avviso al domicilio del soggetto interessato, che ne abbia fatto richiesta
all’Ente committente, il c.d. avviso di previsto appalto. Le offerte internazionali saranno annunciate tramite i mezzi di informazione locali e internazionali. Le rappresentanze libiche all’estero saranno fornite del necessario numero di copie dell’offerta, comprese le specifiche tecniche, le liste delle quantità e dei recapiti per la consegna, per darne effettiva pubblicità ed essere poste a disposizione degli interessati a fronte di un prezzo specificato. L’invito per la partecipazione alle offerte limitate sarà trasmesso a mezzo raccomandata ad un certo numero di aziende o imprese registrate a tal fine presso l’Autorità competente. Gli interessati sono ufficialmente in gara per la fornitura dopo aver acquistato la documentazione contenente le specifiche di gara; tale acquisto deve essere registrato dall’Ente con rilascio di apposita ricevuta.
La lingua inglese è quella più comunemente utilizzata per la presentazione delle offerte, ma è consigliata una traduzione in arabo.
Per quanto riguarda la valuta in cui esprimere le proposte contrattuali, essa varia a seconda della commessa e dell’Ente appaltante, ma le più frequenti sono il dollaro Usa, il franco svizzero e l’euro; deve essere sempre specificata la consistenza dell’importo anche in valuta libica.
L’importo del contratto deve essere espresso in numeri e in lettere, in caso di discordanza prevale la cifra espressa in lettere.
L’art. 2 della decisone 263 del 2000 indica i soggetti abilitati ad indite gare per l’aggiudicazione di appalti, menzionando: le Unità amministrative (Comitati del popolo e altri soggetti o istituzioni pubbliche) e gli operatori privati.
All’interno della categoria dei soggetti pubblici abilitati a concludere tali contratti si ritrovano specialmente le Municipalità, il cui ruolo è stato ampliato da recenti disposizioni di legge e sono ora dotate di un budget autonomo da destinare a progetti di rilevanza locale nell’ambito di un decentramento amministrativo ed economico.
La decisione del Comitato popolare generale 29 del 2001 prevede, però, che i contratti stipulati dalle Shaabiat siano sottoposti all’approvazione
del Comitato popolare generale. Tra i Comitati del popolo si rileva invece la competenza specifica di quei Ministeri il cui operare non può prescindere dall'utilizzo di tali strumenti contrattuali; si ricordano: il Comitato del popolo per gli appalti, per l’economia, per le finanze, per l’agricoltura e le Camere di commercio industriali ed artigiane.
Fanno ampio ricorso alle procedure d’appalto anche le molte società statali impegnate nei diversi campi produttivi, basti pensare al settore chimico e a quello tessile.
Le commesse riguardanti i settori delle costruzioni e progetti infrastrutturali strategici per tutti i settori governativi quali pubblica istruzione, servizi pubblici, sanità, industria, ecc., sono sottoposte alla supervisione del Comitato generale per gli Appalti pubblici.
Il relativo settore governativo richiede l’approvazione, in prima istanza, da parte del Comitato generale del popolo. Una volta concessa l’approvazione da parte del Comitato generale del popolo, la relativa Autorità procede alla pubblicazione del bando di gara attraverso il Comitato centrale per le Gare d’appalto.
Quando il soggetto appaltante è un Ente pubblico, questi deve, ex art. 14 della decisione 263 del 2000, condurre una serie di studi sull’oggetto ed i requisiti del contratto prima dell’inizio delle procedure per l’assegnazione della commessa.
L’Ente è, quindi, chiamato a:
1. specificare attentamente l’oggetto del contratto ed i relativi requisiti;
2. accertarsi che il progetto sia incluso nel programma economico e nel relativo preventivo, specificandone il rapporto con altri progetti nel programma, verificandone la compatibilità con le dotazioni finanziarie del programma e l’adeguatezza di tali ripartizioni per l’esecuzione del progetto;
3. verificare l’esigenza del progetto e l’eventuale presenza di altri
progetti che lo rendono inutile;
4. eseguire studi di fattibilità economica, pratica e sociale per il piano;
5. specificare gli indicatori economici e finanziari, con particolare riguardo ai progetti produttivi e di investimento;
6. compiere i necessari studi tecnici e di ingegneria, compresa la specifica delle dotazioni, impianti, quantità e modalità di esecuzione così come il periodo ed i programmi per la costruzione e le fasi relative;
7. compiere studi finanziari completi per indicare i prezzi e le valutazioni preliminari per il progetto;
8. eseguire studi legali per l’oggetto, le procedure e gli stati del contratto;
9. indicare i soggetti di cui è richiesta l’assistenza per intraprendere gli studi suddetti.
Le risultanze degli studi compiuti dall'Autorità appaltante sono riassunte nella decisione con cui il Comitato generale approva il progetto ed autorizza l’espletarsi delle procedure per l’aggiudicazione e rappresentano le linee guida che l’appaltatore deve seguire nella progettazione della propria offerta.
L’art. 15 della decisione 263 consente al candidato di chiedere, nel rispetto delle specifiche tecniche, l’assistenza di propri organi specializzati o di altri soggetti con esperienza in merito all’oggetto del contratto, nonché di rivolgersi ad appositi uffici di consulenza statali, che forniscono aiuto nello studio delle specifiche contrattuali, previa verifica dei requisiti di idoneità del candidato.
2.4 L’offerta
L’art. 45 della decisione 263 predispone i criteri che l’offerente deve rispettare nella redazione della propria offerta.
Se l’offerente desidera apporre condizioni speciali o fare correzioni a
determinati articoli dell’offerta o delle relative caratteristiche tecniche, deve redigerle in un documento separato da allegare alla propria offerta o trasmettere la correzione proposta al Comitato delle offerte in una lettera separata, a condizione che venga ricevuta prima dell’apertura delle buste.
Qualsiasi correzione fatta diversamente o trasmessa dopo l’apertura delle buste non sarà considerata.
Chi redige l’offerta è tenuto a specificare chiaramente i prezzi in valuta libica, nella somma forfetaria totale per il contratto interno o sulla base di prezzi di unità moltiplicato per il numero di unità richieste o per la quantità indicata nel capitolato d’appalto, come specificato nel tender.
Quando le contrattazioni intervengono con aziende straniere, i prezzi possono essere scritti anche in valuta estera a margine di quella libica.
In quest’ultimo caso, il tasso di cambio per tale valuta estera rimarrà costante per tutta la durata delle trattative e dell’esecuzione del contratto al giorno di apertura delle buste.
Il prezzo deve comprendere i costi dei rifornimenti, le spese di trasporto, imballaggio, carico, scarico ed assicurazione delle merci, consegna al contraente e spese di manutenzione durante il periodo di garanzia, compresi diritti doganali, imposte sul reddito ed altre tasse ed importi da pagare da parte dell’appaltatore.
I prezzi devono essere scritti in numeri e in lettere in lingua araba. Se v’è differenza, prevarrà il prezzo indicato in lettere.
Non sono permesse omissioni o cancellature nelle liste dei prezzi e per eventuali correzioni occorre riscrivere in figure e in lettere e apporvi accanto la propria firma.
Occorre specificare il prezzo di ogni articolo sulla base di prezzi per unità, indicati in una tabella contenente le specificate quantità, qualità, misure.
Il calcolo di tutti i prezzi deve essere effettuato sulla base di un criterio che permetta di eseguire un confronto.
L’acconto finale sarà preparato secondo i tassi accordati,
indipendentemente da ogni aumento o diminuzione nei prezzi di mercato, nei tassi di cambio di valuta, nelle tasse delle tariffe doganali o in altre tasse.
La legge prevede che non verranno prese in considerazione offerte che specifichino la lista dei prezzi in base ad una riduzione percentuale dei prezzi dell’offerta più bassa presentata.
Nelle offerte per i lavori pubblici, se l’offerente omette di specificare il prezzo di qualunque articolo, il comitato delle offerte ha il diritto di calcolare per l’articolo omesso la valutazione più alta data nelle altre offerte presentate per il confronto.
Le forme di presentazione dell’offerta sono disciplinate dall’art.46 che stabilisce che la proposta deve essere scritta sull’atto di candidatura rilasciato e timbrato dall’Ente e segnato con il numero della ricevuta per il pagamento del relativo prezzo e data.
L’offerta deve essere firmata dall’offerente senza alcuna forma di autorizzazione e messa all’interno di una busta da chiudere e sigillare con cera rossa.
Tale busta deve essere posta in un’altra busta, intestata con nome e indirizzo del comitato competente, indicante la frase ―all’interno si trova un’offerta per... sessione..‖ e deve essere inviata a mezzo raccomandata postale.
In caso di appalti di fornitura, le offerte presentate devono essere conformi alle specifiche, illustrazioni e modelli campione approvati dall’Ente appaltante e contenuti nella documentazione allegata al tender.
La presentazione dell’offerta sarà considerata come dichiarazione resa dall’offerente di aver preso conoscenza di tali istruzioni e di essere interessati alla fornitura.
L’Autorità appaltante può, nell’avviso d’appalto, dichiararsi disposta all’esame di articoli, non rispondenti alle specifiche fornite nel tender, che gli offerenti vogliano suggerire. L’appaltatore che intenda eseguire la fornitura con materiali difformi dovrà, quindi, unitamente alla propria
offerta, inviare dei campioni dei beni proposti affinché vengano testati e analizzati e valutato che siano idonei e conformi alle specifiche richieste. Qualora i materiali non siano approvati, devono essere ritirati entro 2 settimane dalla data della lettera registrata contenente il rifiuto, altrimenti diventeranno di proprietà dell’Ente.
Nei documenti allegati al tender, gli elenchi delle forniture devono essere compatibili con le specifiche standard libiche.
Dovranno essere evitati riferimenti a descrizioni, numeri distintivi o a marchi riferibili a specifiche aziende in gara, a meno che non si tratti di merci di produzione locale.
L’offerta deve essere consegnata entro la data specificata nell’avviso; se presentata oltre tale tempo non verrà considerata, qualunque siano i motivi del ritardo.
Il Comitato delle offerte può pubblicare, prima o dopo la data di scadenza, una decisione motivata per l’estensione del periodo di validità qualora:
ritenga che il numero di offerte presentate sia esiguo alla luce dell’importanza del progetto;
se ne fanno richiesta la maggior parte delle imprese invitate all’offerta o tantissime altre aziende desiderose di partecipare;
se nuovi sviluppi/circostanze relative al progetto rendono necessaria l’estensione della data.
Tale decisione sarà pubblicata prima di iniziare l’apertura delle buste, specificherà il nuovo periodo supplementare ed annuncerà l’estensione della data negli stessi mezzi in cui l’offerta è stata annunciata.
Se l’ultimo giorno del periodo di validità per la presentazione di offerte coincide con una festa ufficiale esso sarà prorogato fino al giorno successivo alle festività.
La decisione 263 del 2000, all’art. 51, stabilisce un obbligo di validità delle offerte, stabilendo che saranno vincolanti per l’offerente fino alla conclusione del periodo specificato per la validità delle offerte, indipendentemente dalla data della relativa ricevuta da parte del Comitato
delle offerte.
Il bid bond, cioè un deposito preliminare deve accompagnare l’offerta, in caso di gara con offerta generale, limitata o per asta pubblica, diversamente non verrà presa in considerazione.
Tale deposito ha la funzione di garantire all’Ente il serio interesse dell’appaltatore a partecipare alla gara, fornendo una promessa formale dell’intenzione di firmare il contratto qualora la sua offerta venga accettata.
Il bid bond rappresenta l’impegno, assunto dalla Banca emittente, di pagare al beneficiario una somma determinata nel caso in cui l’aggiudicatario rifiuti o non sia in grado di adempiere alle proprie obbligazioni. Ha lo scopo di evitare che vengano presentate offerte da parte di aziende che non dispongano di sufficienti mezzi finanziari o di adeguate capacità tecniche per far fronte al contratto.
Qualora l’offerente ritiri la propria offerta prima della data specificata per l’apertura delle buste, il deposito preliminare diventerà di proprietà dell’Ente, l’importo sarà specificato nell’avviso di appalto e nei documenti ad esso allegati, di norma si, assesta intorno al 5% del valore del contratto.
Il deposito può essere anche sotto forma di somma forfetaria da specificarsi nel tender.
Il versamento può avvenire in denaro o con assegno certificato dalla Banca operante in Libia o con una lettera di garanzia; in quest’ultimo caso l’ammontare non deve essere inferiore a 20 dinari libici..
Il bid bond viene emesso con una validità limitata, generalmente per qualche mese, ma ove il termine per la presentazione delle offerte venga prorogato, viene automaticamente prorogata anche la validità della garanzia.
Il bid bond si estingue, oltre che per scadenza del termine, a seguito della prova della stipulazione del contratto o in caso in cui il beneficiario dichiari espressamente che non intende aggiudicare il contratto.
Tale garanzia può essere escussa solo in caso in cui il concorrente aggiudicatario non faccia fronte agli impegni derivanti dall’accettazione dell'offerta.
2.5 L’apertura delle buste
Le procedure di apertura delle buste sono regolamentate dalla decisione 263 del 2000 per tutte le commesse pubbliche, mentre sono disciplinate nei documenti del tender o secondo gli usi nelle contrattazioni tra privati.
Al domicilio del Comitato delle offerte viene posta una scatola per la presentazione delle buste contenenti i preventivi.
La sua feritoia di entrata è progettata per impedire l’estrazione del contenuto e solamente due persone hanno la chiave che ne permette l’apertura: il Capo del Comitato delle offerte ed il Segretario di tale Comitato.
Il Segretario del Comitato delle offerte, in base all’art. 59, registra le offerte ricevute tramite posta e le mette nella scatola prima della data specificata per l’apertura delle buste.
Il Comitato delle offerte aprirà la scatola a mezzogiorno del giorno specificato per l’apertura delle buste.
Dopo l’accertamento dell’integrità di bolli e timbri, le buste saranno numerate in serie per essere, poi, aperte una dopo l’altra.
Le offerte e le relative buste aperte saranno ulteriormente classificate mediante l’assegnazione di un numero in forma di frazione, il cui numeratore è il numero di serie dell’offerta mentre il denominatore è il numero complessivo di offerte presentate.
Sarà poi data lettura del nome dell’offerente e del valore totale della relativa offerta, in modo da darne conoscenza a tutti gli interessati, garantendo al contempo la trasparenza delle operazioni.
Su ogni offerta verrà poi annotato con inchiostro rosso l’importo versato a
titolo di garanzia
Il Capo del Comitato e i relativi membri firmano le offerte, le relative buste ed ogni allegato.
Il tutto viene verbalizzato in un apposito registro (art. 60).
Il Comitato delle offerte redigerà una lista dei nomi dei fornitori che hanno versato regolarmente il deposito preliminare (c.d. short list) e una per coloro che lo hanno presentato carente, non nelle dovute forme o non hanno adempiuto a tale onere.
Essere inclusi nella prima lista è decisivo per la prosecuzione della gara.
La seconda selezione operata dall’Ente appaltante per il tramite del proprio Comitato, richiede, quindi, una situazione finanziaria solida e capace di effettuare trasferimenti di denaro, a volte anche ingenti, nei ristretti tempi concessi per proporre le offerte.
I depositi saranno trasmessi alla segreteria del Comitato che firmerà per la ricevuta nei verbali dell’apertura delle buste e le registrerà in un apposito registro speciale.
2.6 La valutazione delle offerte
La decisione 263 del 200, all’art. 74, detta i criteri adottati dal Comitato nella valutazione delle offerte.
Il contratto sarà assegnato a chi avrà presentato la proposta più bassa fra tutte quelle non escluse.
Il Comitato può, però, aggiudicare l’appalto al candidato che sottoponga l’offerta migliore, anche se non al prezzo più basso, che presenti forti riferimenti all’interesse pubblico, in particolare, seri e influenti fattori riguardanti la natura degli impianti e la loro realizzabilità e valore come il fatto di richiedere una minor percentuale di importazioni straniere o di offrire condizioni contrattuali migliori o di garantire un periodo più corto per l’esecuzione o, ancora, di essere migliore in termini di efficienza, di qualità, di reputazione e di esecuzione; inoltre, l'offerta migliore non
deve presentare una sensibile differenza nei prezzi rispetto l’offerta più bassa.
Il Comitato indicherà chiaramente, nei verbali di riunione e nella decisione, i motivi per cui il contratto è stato assegnato ad un offerente diverso rispetto a quello che ha presentato l’offerta economicamente più vantaggiosa. Qualora la proposta contrattuale recante il prezzo più basso sia accompagnata da riserve o condizioni, il Comitato può negoziare con il suo offerente affinché questi ritiri, interamente o parzialmente, tali riserve per rendere la propria offerta quanto più possibile compatibile con le condizioni dell’appalto.
In caso di fallimento delle trattative, gli offerenti successivi in ordine di prezzo verranno contattati dal Comitato per eliminare eventuali condizioni o per cercare di ottenere riduzioni di prezzo in quelle offerte alte ma prive di tali clausole.
Sono vere e proprie trattative commerciali tra l’Ente appaltante e i candidati iscritti nella short list, alla ricerca di un miglioramento, in termini di economicità, delle offerte sottoposte. L’aspirante appaltatore che si dimostri maggiormente disposto a rivedere i propri preventivi avrà sicuramente buone possibilità di aggiudicazione.
Se nessun offerente si mostra aperto alla trattativa, il Comitato può decidere di rinnovare il bando, rifondere i versamenti effettuati dalle parti ed indire una nuova gara. La negoziazione mira a definire i prezzi, i tempi, le modalità di fornitura, gli eventuali sconti praticati e le penali apposte dalle parti: le risultanze di tali attività sono incluse in un documento detto ―bozza di intenti‖ che rappresenta una specie di precontratto, non legalmente vincolante, ma fondamentale per la definizione dettagliata dell’oggetto del futuro contratto.
Nell’assegnazione del contratto (art. 72) verrà accordata la priorità, a parità di requisiti e di prezzi, alle compagnie nazionali e, in secondo luogo, alle joint venture di controllo libico.
Se i preventivi si equivalgono per prezzi e caratteristiche, le quantità o gli