CASSAZIONE, sez. II, 4 dicembre 2007, n. 25290 - Pres. Vella - Est. Colarusso - P.M. Ceniccola - I. C.
Obbligazioni e contratti
valore negoziale del silenzio e procedimenti formativi del contratto
CASSAZIONE, sez. II, 4 dicembre 2007, n. 25290 - Pres. Vella - Est. Colarusso - P.M. Ceniccola - I. C.
c. M. ditta s.a.s.
Fornitura non richiesta - Inconfigurabilità del mero invio della merce quale proposta implicita di contratto - Silenzio del destinatario e procedimenti formativi del contratto - Mancanza di conclusione del contratto
In assenza di una valida accettazione il contratto non si perfeziona mediante il mero silenzio del de- stinatario di una fornitura non richiesta.
(omissis)
Motivi della decisione
pleta rivisitazione dei fatti (alcuni dei quali totalmente nuovi e non accertati, o accertati in modo contrario ri- spetto alla prospettazione del ricorrente, quali la pre-
1. Nel primo, secondo, terzo e quarto motivo - che pos- sono essere esaminati congiuntamente per la loro con- nessione logica e funzionale - la ricorrente deduce, sot- to vari profili, la violazione degli artt. 1362 (1326), 1366, 1517 e 2697 c.c. con riferimento “al momento genetico dell’accordo”, al “momento esecutivo”, alla “rilevanza del silenzio” ed, infine, all’”onere di attivazio- ne dell’acquirente”. La ricorrente sostiene, in sintesi, che “il documento fiscale accompagnatorio” della mer- ce era stato emesso nello stesso giorno delle consegne avendo la Masco comunicato alla mittente i propri dati fiscali; che dalla condotta delle parti, che avevano in- trattenuto precedenti rapporti commerciali, doveva es- sere desunto il momento genetico dell’accordo”; che la consegna della merce, l’apertura del pacco che la con- teneva, il silenzio serbato dalla Masco per oltre tre mesi, le modalità delle altre consegne, la conoscenza, da par- te del titolare della Masco, del numero telefonico della Informatic Center, il recapito della merce a mezzo di un “corriere occasionale amico di entrambe le parti”, il mancato rifiuto immediato della merce stessa, erano in- dicativi di un pregresso accordo. Quanto alla mancata indicazione del corrispettivo, esso poteva desumersi “in un modo o nell’altro dai fatti oggettivi della vicenda processuale”. La Masco, peraltro, rimasta silente per lungo tempo, non aveva dato dimostrazione di una vo- lontà contraria all’accettazione.
1.a. I motivi sono, nel loro complesso, inammissibili, atteso che, con essi, si pretende dalla ricorrente la com-
senza della fattura nel pacco della merce, le altre due consegne, i pregressi rapporti commerciali, le modalità di recapito della merce, le presunte telefonate intercor- se) al fine di dimostrare la tesi del perfezionamento del contratto opposta a quella cui è pervenuto il giudice di merito a seguito dell’esame dettagliato degli elementi certi acquisiti in causa (la mera consegna della merce, non sicuramente accompagnata da documento indi- cante il corrispettivo).
1.b. La proposta contrattuale consiste in una manifesta- zione univoca denotante l’impegno del proponente, e non una sua mera disponibilità o un auspicio (Cass. 6922/82), ed è integrata dalla volontà del dichiarante di dirigere verso l’oblato l’espressione di un intento ido- neo ad essere assunto come contratto (Cass. 7094/01; Cass. 6741/87). La proposta, inoltre, per poter assolvere la sua stessa funzione, deve contenere tutti gli elementi essenziali del contratto che mira a concludere e deve avere il carattere della completezza con riguardo, alme- no, a tali elementi, tra i quali, nella compravendita, si annovera certamente il prezzo.
1.c. L’accettazione, poi, che è atto di natura ricettizia, deve consistere nella totale ed incondizionata adesione alla proposta da parte dell’oblato, che esprime una vo- lontà conforme alla proposta, così che il contratto può ritenersi concluso soltanto se si realizza la piena con- gruenza, anche nelle clausole accessorie, tra proposta ed accettazione.
1.d. In materia contrattuale, il silenzio, che, di per se,
non costituisce manifestazione negoziale, può acquista- re il significato di un fatto concludente o di manifesta- zione negoziale tacita (Cass. 3957/83), tale da integrare consenso e determinare il perfezionamento di un rap- porto contrattuale ed assume tale portata laddove si ac- compagni a circostanze e situazioni, oggettive e sogget- tive, che implichino, secondo il comune modo di agire, un dovere di parlare, specie quando il silenzio stesso venga serbato a fronte di una dichiarazione di altri, comportante, per chi tace, un obbligo.
1.e. La valutazione dei fatti di causa, al fine di accertate la sussistenza della proposta e dell’accettazione di essa nonché il valore contrattuale del silenzio serbato da una parte è devoluta al giudice di merito e non è censu- rabile in sede di legittimità ove sia sorretta da motiva- zione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici. Nella specie, il giudice di merito ha svolto le sue valuta- zioni attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati ed attraverso chiaro percorso motivazionale che, par- tendo da un adeguato esame dei fatti accertati e senza incorrere in contraddizioni logiche, perviene alle deci- sive conclusioni della mancanza di una proposta - non integrata dal mero invio della merce senza una docu- mentazione contenente il prezzo - dell’assenza di una valida accettazione, in mancanza di elementi, oggettivi e soggettivi, che consentano di valorizzare il silenzio.
2. Col quinto motivo si denunzia violazione dell’art. 1355 c.c. Il motivo è inammissibile perché generico e privo di qualsiasi riferimento ai fatti di causa ed alle ar- gomentazioni della sentenza impugnata.
3. Nel sesto motivo, la ricorrente, denunziando viola- zione dell’art. 2697 c.c., comma 2, rileva che la ditta convenuta aveva l’onere di dimostrare la tempestività della “disdetta del negozio”. Vengono, nel motivo, ri- proposti, in buona parte, alcuni degli elementi di fatto già enunciati nei precedenti motivi, al fine di sostenere che un contratto era stato concluso e che, dopo la con- segna, la controparte non aveva dimostrato di aver tempestivamente “disdetto il negozio”. L’infondatezza del motivo è evidente, atteso che la logica che lo sor- regge presuppone la premessa che un contratto fosse stato concluso, cosa che il giudice di appello ha, come si è detto, motivatamente escluso.
4. Col settimo motivo si denunzia violazione dell’art. 1327 c.c.
Viene descritta una prassi - asseritamente in uso e sem- plificata - di conclusione dei contratti da parte della ri- corrente. Secondo tale prassi “si passa alla, fase esecuti- va ancorché pervenga l’accettazione” e colui che riceve la merce può respingerla o restituirla “con lo stesso mez- zo entro il tempo che il c.c. prevede”.
Il motivo, prima che infondato, poiché non supera le obiezioni con cui il giudice di merito ha respinto la tesi della conclusione del contratto, è inammissibile perché si fonda su un argomento difensivo nuovo e coinvolge questioni di fatto, asseritamene collocabili nelle ipotesi normative regolate dall’art. 1327 c.c. mai prospettate in sede di merito.
4. Col l’ottavo mezzo, denunziando vizio di motivazio- ne, la ricorrente, nella prima parte della censura e nel- l’intento di dimostrare la conclusione del contratto, ri- propone (sotto il profilo dalla mancata attivazione da parte della Masco nel disdire la volontà) le stesse que- stioni di fatto già oggetto del sesto motivo.
Nella seconda parte lamenta che il giudice di appello non ha provveduto sull’azione di indebito arricchimen- to.
Il motivo è inammissibile, poiché, nella prima parte, ri- chiede il riesame dei fatti già compiutamente valutati dal giudice di merito, e, quanto al secondo rilievo, non precisa in quali atti ed in quali termini l’azione di inde- bito arricchimento sia stata proposta.
5. Col nono mezzo, denunziando la violazione dell’art. 92 c.p.c., la ricorrente sostiene che il giudice di appello avrebbe dovuto compensare le spese valutando il com- plesso delle circostanze di causa. Il motivo è infondato, essendo palese l’insussistenza della dedotta violazione dell’art. 92 c.p.c., atteso che il giudice di appello, nel governo delle spese, si è attenuto al principio fonda- mentale della soccombenza.
6. Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato, senza pronuncia sulle spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
IL COMMENTO
di Laura Tafaro
Al mero silenzio del destinatario di una fornitura non richiesta non può attribuirsi il valore di com- portamento concludente o di manifestazione nego- ziale tacita. Ne consegue che, in assenza dell’accet- tazione della proposta contrattuale, il contratto non si perfeziona con il procedimento formativo
generale previsto dagli artt. 1326 ss. c.c. Esso non si conclude nemmeno mediante lo schema formati- vo consistente nella proposta di contratto e nel suo mancato rifiuto ai sensi dell’art. 1333 c.c. L’eserci- zio abusivo dell’autonomia negoziale da parte del contraente dotato di maggiore potere contrattuale costituisce un comportamento contrario a buona
fede. La violazione delle regole di comportamento può incidere sulle regole di validità del contratto a valle del comportamento scorretto. Le problemati- che del contegno omissivo non sono riconducibili a quelle relative al ruolo del silenzio nei procedimen- ti formativi del contratto.
be potuto manifestare una volontà contraria all’accetta- zione; la merce era stata consegnata da un corriere ami- co di entrambe le parti e, pertanto, il destinatario avreb- be potuto esprimere una sua diversa volontà rifiutando immediatamente la merce al momento della consegna - peraltro effettuata a mezzo di un amico comune; infine,
la durata del silenzio della Masco, protrattosi per oltre
tre mesi, che da sola lasciava intendere l’adesione alla
La vicenda posta all’attenzione dei giudici del Su- premo Collegio riguarda l’invio, da parte della società Informatic Center, di una fornitura di videogiochi alla
s.a.s. Masco in assenza di una previa ordinazione. La merce perviene alla società destinataria della fornitura (non richiesta) in un pacco privo di nota di accompa- gnamento, di fattura o di un qualsiasi altro documento. La ricevente, lungi dal rifiutarlo immediatamente, apre il pacco e, serbando un totale silenzio, lo tiene con sé per oltre tre mesi. Soltanto a seguito della successiva ri- chiesta di pagamento del corrispettivo da parte della so- cietà-mittente della fornitura non richiesta, la società destinataria, rompendo il silenzio, contesta la mancata conclusione del contratto di fornitura e mette a disposi- zione la merce ricevuta.
La società ricorrente sostiene che il contratto di fornitura si era concluso, ai sensi degli artt. 1326 ss. c.c., poiché le circostanze dell’invio e della mancata restitu- zione immediata del pacco avrebbero perfezionato il necessario raggiungimento dell’accordo. Secondo la Informatic Center il silenzio della Masco, la quale pur potendo respingere súbito il pacco ricevuto lo aveva trattenuto presso di sé, nel caso di specie avrebbe assun- to valore negoziale, anche in considerazione delle cir- costanze, collegate con la frequenza dei rapporti tra le due società, che lo accompagnavano.
In tale direzione (sosteneva la Informatic Center) deponevano, infatti, i dati inequivoci desumibili dalle circostanze che nel pacco della merce sarebbe stata con- tenuta la relativa fattura e che il documento fiscale ac- compagnatorio della merce sarebbe stato emesso il gior- no della consegna della merce a séguito della comunica- zione, da parte della società Masco (destinataria della fornitura), dei propri dati fiscali. Di conseguenza, la con- segna del pacco concretizzava una proposta di contratto in quanto, oltre a contenere gli elementi essenziali del contratto che mirava a concludere, manifestava in mo- do inequivocabile la volontà del suo autore di rivolgere una proposta contrattuale al destinatario di essa. Di fronte a tale proposta il semplice silenzio della Masco non poteva configurarsi altrimenti che come accondi- scendenza alla conclusione del contratto. E ciò sarebbe stato ulteriormente avvalorato dalle modalità che, in concreto, avevano caratterizzato il silenzio della S.a.s. Masco. Esse, infatti, consistevano in significative circo- stanze: tra le due società erano intercorsi pregressi rap- porti commerciali di forniture; il titolare della società Masco conosceva il numero telefonico della società che aveva inviato la fornitura non richiesta e, quindi, avreb-
proposta della Informatic Center. Queste circostanze sia da sole, sia nel loro insieme, secondo la società ricorren- te, erano significative per attribuire al silenzio il valore di accettazione della proposta di contratto; nel concreto esse avrebbero in qualunque momento consentito al de- stinatario della fornitura non richiesta la dimostrazione di una volontà contraria all’accettazione.
La Suprema Corte investita del caso ha respinto l’istanza della Informatic Center, ritenenendo non con- divisibile la sua tesi di contratto perfezionato attraverso le modalità indicate ed il silenzio della Masco.
Le forniture non richieste
La soluzione del caso va oltre il fatto in sé ed inve- ste punti centrali della disciplina dei contratti sia a li- vello nazionale, sia a livello comunitario. La fattispecie, invero, concerne punti centrali, quali la rilevanza del contegno omissivo di una parte nella conclusione del contratto, il rinnovato ruolo della clausola generale di buona fede, le conseguenze discendenti dall’esercizio abusivo dell’autonomia negoziale e, infine, i rimedi esperibili nel caso di violazione, da parte dei contraenti, delle regole di comportamento secondo correttezza.
Nello specifico, inoltre, la questione sottopone alla riflessione dell’interprete la pratica commerciale, pur- troppo diffusa, della fornitura di merci o servizi non ri- chiesti (1) per i quali si esiga il corrispettivo (2).
Occorre rilevare che, nel caso di specie, nessuno dei contraenti agisce in qualità di consumatore (3). Pur
Note
(1) Una condivisibile tesi considera la nozione di fornitura non richie- sta comprensiva di tutte le prestazioni «giuridicamente non dovute [...] eseguite a vantaggio di un soggetto che non ne abbia fatto preventiva- mente richiesta allo scopo di indurlo ad accettare di concludere un con- tratto»: G. De Cristofaro, Le «forniture non richieste», in Le «pratiche commerciali sleali» tra imprese e consumatori. La direttiva 2005/29/CE e il diritto italiano, a cura di G. De Cristofaro, Torino, 2007, 303.
(2) Con riferimento alle pratiche commerciali consistenti nell’attivazio- ne/disattivazione di servizi non richiesti, l’Autorità Garante per le Ga- ranzie nelle Comunicazioni ha di recente intensificato l’attività di vigi- lanza ed ha predisposto un apposito modulo per la denuncia di eventuali violazioni della normativa di settore, sul punto v. www.agcom.it/operato- ri/denuncia_servizi.htm#03.
(3) Il consumatore, come si è autorevolmente evidenziato, esprime un modo d’essere della persona umana in relazione al ruolo che essa riveste nel mercato; la relativa posizione contrattuale è pertanto «da individua- re e accertare di volta in volta»: P. Perlingieri, La tutela del consumatore nella Costituzione e nel Trattato di Amsterdam, in Aa.Vv., Il diritto dei con- sumi, I, a cura di P. Perlingieri e E. Caterini, Rende, 2005, 18; Id., Il dirit- to civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli, 2006, 511 s.
sussistendo le medesime esigenze di tutela del contraen- te in condizione di debolezza contrattuale a fondamento della disciplina dei contratti dei consumatori, non sem- bra applicabile il novellato art. 57, comma 1, c. cons., ai sensi del quale: «Il consumatore non è tenuto ad alcuna prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richie- sta. In ogni caso l’assenza di risposta non implica con- senso del consumatore» (4).
Sembra potersi affermare, tuttavia, che la disposi- zione, oltre ad essere direttamente applicabile ai con- tratti nei quali uno dei contraenti agisca in qualità di consumatore, sia espressione di un principio generale, operante in tutti i contratti caratterizzati dalla medesi- ma asimmetria di potere contrattuale, in base al quale, in caso di fornitura non richiesta, la mancanza di rispo- sta del destinatario non integra consenso.
Nel diritto dei consumi, quindi, per espressa valu- tazione legislativa, in presenza di una (illecita) fornitura di beni o servizi, se il contraente tace non acconsente; il suo comportamento (la mancata risposta) non vale a perfezionare il contratto; in tal modo è eliminata in ra- dice la possibilità di attribuire al contegno omissivo del destinatario della fornitura il valore di manifestazione - espressa o tacita - di volontà.
Nel caso in commento, dall’assenza dell’accettazio- ne, da parte della s.a.s. Masco, della proposta di con- tratto implicitamente contenuta nella fornitura non ri- chiesta, deriva la mancanza dell’accordo, requisito es- senziale del contratto ai sensi dell’art. 1321 c.c.
Al riguardo va segnalato che da tempo, in dottri- na, ci si domanda se l’assenza del consenso determini o meno anche la mancanza dell’accordo (5), ossia, detto in altri termini, se il concetto di accordo contrattuale implichi necessariamente una manifestazione di con- senso proveniente da ciascun contraente (6).
La risposta all’interrogativo non è certo agevole e coinvolge aspetti di teoria generale del contratto, quali il c.d. dogma della volontà e la supposta inscindibilità fra accordo e contratto (7).
Al riguardo non può sottacersi il monito, autore- vole, rivolto all’interprete ad «evitare i pericoli di un arido strutturalismo, sottraendosi, pur a malincuore, al fascino di dotte disquisizioni sull’accordo, sullo scambio senza dialogo e senza accordo» (8) con il contestuale invito, in alternativa, a spostare l’attenzione sugli aspet- ti teleologici e assiologici dei singoli atti di autonomia negoziale (9).
I procedimenti di formazione del contratto e la necessaria bilateralità del consenso
Va súbito rilevato che i procedimenti di conclusio- ne del contratto e, nello specifico, della formazione del consenso rivenienti dalla normativa comunitaria (10) sono diversi rispetto al modello ereditato dalla tradizio- ne e consegnatoci dagli artt. 1326 ss. c.c., ossia allo schema generale di formazione del contratto mediante lo scambio di proposta e accettazione. Nella normativa
comunitaria, una particolare cura è dedicata ai procedi- menti formativi del consenso (11) e, nello specifico, al loro modo di atteggiarsi nei contratti del consumatore: il legislatore «procedimentalizza» il consenso (12) e,
Note:
(4) La disposizione non era nuova nel sistema; essa riproduceva, senza variazioni, l’art. 9 del d.lgs. 22 maggio 1999, n. 185, con il quale si era data attuazione alla direttiva 97/7/CE relativa alla protezione dei consu- matori in materia di contratti a distanza.
(5) Sul punto v. già V.M. Trimarchi, Accordo (teoria generale), in Enc. dir., I, Milano, 1958, 297 ss.
(6) Sul punto cfr. S. Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 2004, 20 ss. e, tra gli altri, M. Maggiolo, Il contratto predisposto, Padova, 1996, 48. Sul concetto normativo di accordo contrattuale v., in partico- lare, G.B. Ferri, Considerazioni sul problema della formazione del contratto, in Riv. dir. comm., 1969, I, 187 ss.; Id., La nozione di contratto, in I con- tratti in generale, a cura di Gabrielli, Torino, 1999, I, 20; G. Benedetti, La categoria generale del contratto, in Riv. dir. civ., 1991, I, 649 ss.; F. Real- monte, Accordo delle parti e rapporti giuridici preparatori, responsabilità con- trattuale, in Tratt. dir. priv. Bessone, XII, II ed., Torino, 2000, 16.
(7) L’affascinante dibattito al riguardo è noto. L’identificazione dell’ac- cordo con il “dialogo” tra le parti porta ad escludere che vi sia accordo in mancanza di tale dialogo, per questa posizione v. N. Irti, Scambi senza accordo, in Riv. trim., 1998, I, 1 ss. Contra G. Oppo, Disumanizzazione del contratto?, in Riv. dir. civ., 1998, I, 525 ss. Per la relativa replica v. N. Irti,
«È vero, ma...» (replica a Giorgio Oppo), in Riv. dir. civ., 1999, I, 273 ss. Vivace il dibattito dottrinale successivo, per il quale v. G. Benedetti, Di- ritto e linguaggio. Variazioni sul “diritto muto”, in Studi in onore di Pietro Re- scigno, V, Responsabilità civile e tutela dei diritti, Milano, 1998, 701 ss. (e in Eur. dir. priv., 1999, 137 ss.); Id., Parola scritta e parola telematica nella conclusione dei contratti, in Aa.Vv., Scrittura e diritto, Milano, 2000, 75 ss.; A. Bortoluzzi, Umanizzazione del contratto?, in Vita not., 1999, 1618 ss.; C.M. Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, II, ed., Milano, 2000, 43 s., (al quale ribatte N. Irti, Lo scambio dei foulards (replica semiseria al prof. Bianca), in Riv. trim., 2000, 601 ss.); Id., Acontrattualità dei contratti di massa?, in Vita not., 2001, 1120 ss.; F. Criscuolo, L’autodisciplina. Auto- nomia privata e sistema delle fonti, Napoli, 2000, 55 ss.; A.M. Benedetti, Autonomia privata procedimentale. La formazione del contratto fra legge e volontà delle parti, Torino, 2002, 12 ss., 79 s., nota 120, 144 ss.; F. Di Mar- zio, Verso il nuovo diritto dei contratti (note sulla contrattazione diseguale), in Riv. dir. priv., 2002, 727 ss.; F. Gazzoni, Contatto reale e contatto fisico (ov- verosia l’accordo contrattuale sui trampoli), in Riv. dir. comm., 2002, I, 655 ss.; L. Sambucci, Il contratto dell’impresa, Milano, 2002, 256 ss., 266 ss.;
L. Franzese, Ordine economico e ordinamento giuridico. La sussidiarietà delle istituzioni, Padova, 2004, 43 ss.; E. Leccese, Il contratto e i contratti: alcune riflessioni, in Rass. dir. civ., 2004, 86 ss., 102 ss.
(8) P. Perlingieri, Nuovi profili del contratto, ora in Id., Il diritto dei contratti fra persona e mercato. Problemi dei diritto civile, Napoli, 2003, 427.
(9) P. Perlingieri, op. loc. ult. cit.
(10) Si è opportunamente evidenziato che questi procedimenti di for- mazione del contratto sembrano dar vita ad un «sistema nuovo, dotato di una sua logica nuova, la quale non consente di interpretare sic et sim- pliciter la normativa della quale si tratta alla stregua dei canoni e con l’ausilio delle categorie proprie del sistema precedente»: R. Di Raimo, Autonomia privata e dinamiche del consenso, Napoli, 2003, 77.
(11) Sul punto significative le riflessioni di G. Oppo, Contratto e mercato, in Vario diritto. Scritti giuridici, VII, Padova, 2005, 193 ss.; V. Buonocore, Contratto e mercato, in Giur. comm., 2007, I, 379 ss.; Id., Contrattazione d’impresa e nuove categorie contrattuali, Milano, 1999.
(12) Sull’opportunità di scandire l’attività delle parti che sfocia nell’ac- cordo in più fasi e sulla nozione di procedimento di formazione dell’ac- cordo è d’obbligo il riferimento a Salv. Romano, Vendita, Contratto esti- matorio, Milano, 1959, V, 667; Id., Autonomia privata (Appunti), in Studi in onore di F. Messineo, IV, Milano, 1959, 397 ss.; Id., Introduzione allo
(segue)
per esso, ha ben poco senso continuare ad applicare, per la conclusione del contratto, lo schema dello scam- bio delle dichiarazioni previsto dall’art. 1326 ss. c.c.
Va però precisato che la mancanza del consenso effettivo al momento della conclusione del contratto costituisce il quid novi dei procedimenti di formazione del consenso nei contratti di derivazione comunitaria; essa non ha niente a che vedere con le diverse proble- matiche attinenti ai procedimenti legali di formazione del contratto previsti dal codice civile (agli artt. 1327 e 1333) in alternativa allo schema generale di conclusio- ne del contratto disciplinato dagli artt. 1326 ss. c.c.
Le ipotesi codicistiche di semplificazione del pro- cedimento formativo del contratto sono difatti caratte- rizzate non dalla mancanza del consenso effettivo, bensì dall’assenza della dichiarazione di volontà di uno dei contraenti. I relativi schemi formativi del contratto non prevedono la necessità dell’accettazione - median- te una dichiarazione di volontà - della proposta con- trattuale ai fini del perfezionamento del contratto. Esse segnano i confini dell’ambito della contrattualità e dei contratti - formati o meno con lo schema previsto dal 1326 ss. - rispetto agli atti unilaterali tra vivi a contenu- to patrimoniale (disciplinati dall’art. 1324 c.c.). Il mini- mo comune denominatore, per così dire, di tutti i pro- cedimenti legali di formazione del contratto è però sempre rinvenibile nella bilateralità contrattuale (13). Su di essa e sul suo significato (14) occorre soffermarsi, con la acquisita consapevolezza della necessità di anda- re oltre le riflessioni sul contratto condotte esclusiva- mente o prevalentemente dal punto di vista strutturale, finalizzate «a delimitare i confini tra bilateralità c.d. im- perfetta e unilateralità» (15).
Ai fini della presente indagine è ineludibile l’inter- rogativo intorno al modo di atteggiarsi dell’accordo
(16) nei procedimenti formativi diversi da quello previ- sto dagli artt. 1326 ss. c.c. (17).
Va rilevato che, nel caso in commento, la società ricorrente introduce in Cassazione un interessante ar- gomento difensivo nuovo che, per questa ragione, i giu- dici del Supremo Collegio omettono di occuparsene; essa ipotizza il perfezionamento del contratto di fornitu- ra mediante l’inizio dell’esecuzione, ossia attraverso uno dei procedimenti formativi del contratto previsti in al- ternativa allo scambio tra proposta ed accettazione e, precisamente, quello disciplinato dall’art. 1327 c.c., ri- chiamando la prassi semplificata di conclusione dei contratti che essa è solita adoperare.
Opportunamente, invece, non invoca il procedi- mento formativo del contratto regolato dall’art. 1333 c.c., consistente nella proposta e nel suo mancato rifiu- to (18). Esso rappresenta, secondo la dottrina dominan- te (19), una fattispecie formativa c.d. minima di con- tratto, nella quale la bilateralità si risolve nella proposta contrattuale e nella mera astensione dal rifiuto della proposta.
La fattispecie formativa prevista dall’art. 1333 c.c.
costituisce l’unica ipotesi legale nella quale al silenzio- inerzia (consistente nel mancato rifiuto dell’oblato) è attribuito il valore di elemento costitutivo del contrat- to; per il perfezionamento di esso è pertanto sufficiente il mancato rifiuto della proposta in un tempo ragione- vole (20).
Note:
(segue nota 12)
studio del procedimento nel diritto privato, Milano, 1961, 57 ss. Contra S. Galeotti, Osservazioni sul concetto di procedimento giuridico, in Jus, 1955, 501 ss.; F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, Roma, 1951, 42; Id., Aspetti problematici del processo al legislatore, in Riv. dir. proc., 1959, 12. Più di recente v., con prospettive diverse, A. Cataudella, I contratti. Par- te generale, II ed., Torino, 2000, 33 ss.; G.F. Minniti, Il formalismo nego- ziale tra procedimento e fattispecie, in Quadrimestre, 1993, 423 ss.; A.G. di Majo, L’esecuzione del contratto, Milano, 1967, 40 ss.; C. Donisi, Il proble- ma dei negozi giuridici unilaterali, Napoli, 1972, 92 ss.; G. Benedetti, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969, 48 ss.; A.C. Nazzaro, Obbli- ghi d’informare e procedimenti contrattuali, Napoli, 2000, 235, 279.
(13) Sul dogma della bilateralità va invero segnalata la nota tesi secon- do la quale «la bilateralità non è, né è mai stata, requisito di tutti i con- tratti»: R. Sacco, La nozione di contratto, cit., 245, con la precisazione, importante ai nostri fini, che: «Beninteso, la bilateralità nella formazio- ne del contratto sarà indispensabile se gli effetti del contratto sono bila- terali [...] Il quesito [...] sorge ovviamente solo per contratti tendenti ad imporre obblighi o altre perdite a una sola delle parti». Sul punto v., da ultimo, F. Rossi, Il contratto con obbligazioni del solo proponente, I, Napoli, 2005, 107 ss.
(14) L’interrogativo, in dottrina, è risalente. Sul punto cfr., in particola- re, C. Donisi, Il contratto con se stesso, Camerino-Napoli, 1982, 37 ss., P. Spada, Cautio quae indiscrete loquitur: lineamenti funzionali e strutturali della promessa di pagamento, in Riv. dir. civ., 1978, I, 745.
(15) P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il siste- ma italo-comunitario delle fonti, cit., 370.
(16) Sul significato del termine accordo e sulla sua ambiguità cfr. V.M. Trimarchi, Accordo (teoria generale), cit., 297; P. Rescigno, Consenso, ac- cordo, convenzione, patto (la terminologia legislativa nella materia dei con- tratti), in Riv. dir. comm., 1988, I, 3 ss.
(17) Sul punto v., ex multis, P. Vitucci, I profili della conclusione del con- tratto, Milano, 1968, 28. In base alla teoria tradizionale il momento per- fezionativo del contratto è sempre e comunque quello nel quale si realiz- za la fusione delle volontà, in questo senso v., per tutti, G. Stolfi, Teoria del negozio giuridico, Padova, 1961, 109 ss.
(18) Per l’autorevole seppure minoritaria opinione la quale esclude la ri- conducibilità al contratto del procedimento disciplinato dall’art. 1333 c.c., v. R. Sacco, Contratto, e negozio a formazione bilaterale, in Studi in onore di P. Greco, II, Padova, 1965, 866 s. e 951 ss.; Id., La nozione di con- tratto, cit., 243 ss.; nel senso dell’unilateralità della fattispecie, ma con differenti prospettive v. G. Benedetti, Dal contratto al negozio unilaterale, cit., 185 ss.; F. Carresi, Il contratto, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu e Messi- neo, continuato da L. Mengoni, XXI, I, Milano, 1987, 93 ss.
(19) Da ultimo, per un’esaustiva rassegna delle principali ricostruzioni ermeneutiche relative alla struttura del contratto con obbligazioni a ca- rico del solo proponente, F. Rossi, Il contratto con obbligazioni del solo pro- ponente, cit., 95 ss.; E. Damiani, Il contratto con prestazioni a carico del solo proponente, Milano, 2000, 125 ss.
(20) In questo senso, già con riferimento all’art. 36, comma 4, cod. comm., C. Vivante, Tratt. dir. comm., IV, V ed., Vallardi, 1935, 14 s. Con riferimento all’attuale 1333 c.c., nel senso che il rifiuto abbia la funzione di eliminare un effetto già prodottosi, G. Benedetti, Dal con- tratto al negozio unilaterale, cit., 171 ss. La fattispecie del 1333 c.c. è tal- volta accostata a quella degli atti unilaterali ricettizi, per i quali è rico- nosciuto il potere di rifiuto (art. 1334 c.c.), cosí P. Rescigno, Contratto (in generale), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, IX, 24.
Nella fattispecie prevista dall’art. 1333 c.c. la con- clusione del contratto ha luogo senza lo scambio di pro- posta ed accettazione; tuttavia, questo peculiare modo
condizione di legittimità delle regole private» (31). È proprio il consenso fondato sulla volontà effettiva a co-
di formazione del contratto è proprio esclusivamente di
questo schema legale.
Ne consegue che il caso di specie ed ogni altra ipo- tesi di fornitura - di beni o servizi - non richiesta, non possono essere ricondotte alla fattispecie disciplinata dall’art. 1333 c.c. In quest’ultima il contegno omissivo del destinatario della proposta contrattuale è un com- portamento legalmente tipizzato (21); è il legislatore stesso ad attribuire espressamente al mancato rifiuto della proposta entro un termine ragionevole il valore di contegno idoneo a concludere il contratto (22).
Inoltre va detto che, nella fattispecie prevista al- l’art. 1333 c.c., la non necessità dell’accettazione della proposta contrattuale mediante una dichiarazione di volontà espressa si giustifica in considerazione della cir- costanza che gli effetti sfavorevoli del contratto grava- no esclusivamente sul proponente; in via generale, in- vece, il principio dell’intangibilità dell’altrui sfera giuri- dica (23) porta ad escludere che, in assenza di risposta da parte del destinatario, il contratto possa ritenersi concluso (24). In altri termini, qualora il contratto sia volto a produrre effetti sia favorevoli sia sfavorevoli a carico ed a beneficio di ciascun contraente, è richiesta la bilateralità delle dichiarazioni e la necessità del con- senso di ciascun contraente. Ciò al fine di assicurare, per così dire, l’immunità della sfera giuridica di ciascu- no dalla non voluta imposizione di impegni o gravami (25).
L’esigenza della semplificazione del procedimento di conclusione del contratto incontra dunque il limite del principio del rispetto per le sfere patrimoniali, costi- tuito dal carattere vantaggioso dell’effetto (26).
Nello specifico della vicenda esaminata nella sen- tenza in commento, per la fornitura di videogiochi era dovuto il corrispettivo; anche questa circostanza costi- tuisce un argomento a favore dell’inapplicabilità, nel caso di specie, del procedimento semplificato di forma- zione dell’accordo previsto dall’art 1333 c.c.: dal con- tratto non sarebbero derivati unicamente vantaggi o benefici per il contraente, bensì anche oneri economici (27).
Trova quindi applicazione il procedimento forma- tivo del contratto previsto dagli artt. 1326 ss. c.c. (se- quenza proposta-accettazione); il quale va inteso quale schema generale residuale (28), destinato ad essere ap- plicato ogni volta in cui non operi nessun altro procedi- mento di formazione del consenso (29).
La regola prevista dagli artt. 1326 ss. c.c. è quella della indispensabile positiva manifestazione di volontà di entrambe le parti, ossia della necessaria bilateralità del consenso (30). Peraltro, come è stato opportuna- mente rilevato, rispetto al codice civile, la normativa di derivazione comunitaria ha segnato il passaggio «dalla mera esistenza formale all’effettività del consenso, quale
Note:
(21) Secondo una nota tesi al silenzio dell’oblato è normativamente at- tribuito un valore tipico per la conclusione del contratto; esso non rile- va quale manifestazione di volontà ai fini della formazione del contrat- to: R. Sacco, Il contratto, cit., 41.
(22) V., per la tradizionale configurazione del mancato rifiuto quale di- chiarazione tacita di accettazione derivante dal cd. dogma del consenso,
L.V. Moscarini, I negozi a favore di terzo, Milano, 1970, 174. Nel senso che si tratti invece di una presunzione di legge: U. Majello, Essenzialità dell’accordo e del suo contenuto, in Riv. dir. civ., 2005, 113 ss.; G. Benedet- ti, Dal contratto al negozio unilaterale, cit., 188. Sul punto cfr. R. Scogna- miglio, Dei contratti in generale in Comm. c. c. Scialoja e Branca, Bolo- gna-Roma, 1970, 164; G.B. Ferri, La nozione di contratto, cit., 25; M. Maggiolo, Il contratto predisposto, cit., 54.
(23) In virtù di questo principio il contratto è ritenuto idoneo a produr- re effetti esclusivamente nella sfera giuridica del proprio autore, in que- sto senso v., per tutti, R. Cicala, L’adempimento indiretto del debito altrui, Napoli, 1968, 183 ss.; L.V. Moscarini, I negozi a favore di terzo, cit., 32, 54, 150 s. Per alcuni rilievi critici sul principio dell’intangibilità della sfera giuridica patrimoniale altrui, cfr. C. Donisi, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, cit., 133 ss.; Id., Il contratto con se stesso, cit., 37 ss.; M. Pennasilico, Profili della «contrattazione» per persona da nominare, Napoli, 1995, 137 ss.; G. Chiappetta, Azioni dirette e «tangibilità» delle sfere giuri- diche, Napoli, 2000, passim e, da ultimo, F. Rossi, Il contratto con obbliga- zioni del solo proponente, cit., 172 ss. Nel senso che la revisione di tale principio costituisca la necessaria conseguenza dell’abbandono della prospettiva strutturalistica del contratto: P. Perlingieri, Equilibrio delle po- sizioni contrattuali ed autonomia privata. Sintesi di un convegno, in Id., Il di- ritto dei contratti fra persona e mercato, cit., 466.
(24) Sul punto v., ex multis, R. Troiano e A. Del Ninno, La conclusione del contratto, Torino, 2004, 104.
(25) Così, da ultimo, A. D’Angelo, Accordo e procedimenti di formazione, in Tratt. contr. Roppo, I, Formazione, a cura di C. Granelli, Milano, 2007, 14 ss. Sul punto v., in particolare, V. Roppo, Il contratto, in Tratt. dir. priv. Iudica e Zatti, Milano, 2001, 209 ss.; A.M. Benedetti, Autono- mia privata procedimentale, cit., 237 ss.; A. Orestano, La conclusione del contratto per mancato rifiuto della proposta, in Tratt. contr. Roppo, I, For- mazione, cit., 201.
(26) In questo senso G. Benedetti, Dal contratto al negozio unilaterale, cit., 204 ss.; C. Donisi, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, cit., 67 ss.; R. Sacco, Il contratto, cit., 39 s.; L.V. Moscarini Il contratto a favore di terzi, cit., 126 ss.; G. Ferri, Autonomia privata e promesse unilaterali, in Banca borsa tit. cred., 1960, I, 483.
(27) Sul punto v., autorevolmente, nel senso che il consenso del desti- natario della proposta sia necessario solamente qualora dal contratto sorgano obbligazioni anche a suo carico, R. Sacco, La conclusione dell’ac- cordo, in R. Sacco - G. De Nova, Il contratto, I, cit., 63.
(28) In questo senso V. Roppo, Il contratto, cit., 98 ss.; A.M. Benedetti, Autonomia privata procedimentale, cit., 26 ss.; R. Sacco, La conclusione del- l’accordo, cit., 239 ss.
(29) Sul punto, cfr. F. Carresi, Il contratto, cit., 93 ss. Talora si considera il procedimento regolato dagli art. 1326 ss. non generale, bensì normale o principale e, di conseguenza, si ammette che la conclusione dei con- tratti possa avvenire mediante procedimenti difformi da quello legale, in questo senso F. Realmonte, Accordo delle parti e rapporti giuridici prepa- ratori, responsabilità contrattuale, cit., 15 s.
(30) Nel senso, invece, che proprio l’art. 1333 c.c. attenui «la rigorosa concezione del contratto come “accordo” (art. 1321), che dovrebbe si- gnificare l’esigenza di una positiva manifestazione di volontà di ciascuna delle parti»: P. Rescigno, Contratto (in generale), in Enc. giur. Treccani, Roma, 1988, IX, 24.
(31) R. Di Raimo, Autonomia privata e dinamiche del consenso, cit., 66 s.
stituire il perno dell’autonomia privata nell’ordinamen- to italo-comunitario.
Nella vicenda oggetto della pronuncia giurispru- denziale in commento fa dunque difetto l’elemento strutturale essenziale del contratto costituito dall’accor- do; di conseguenza, le relative pretese patrimoniali nei confronti del consumatore sono da ritenersi prive di ti- tolo.
Paradossalmente, qualora il contraente versasse la somma di denaro pretesa a titolo di corrispettivo, in tal modo manifesterebbe, sia pure inconsapevolmente, la volontà di stipulare il contratto. Il contratto, in tal ca- so, si concluderebbe non con l’astensione dal rifiuto della proposta contrattuale, bensì mediante il compor- tamento concludente dell’esecuzione della prestazione pecuniaria che rappresenta il corrispettivo della fornitu- ra non richiesta (32).
La questione, com’è intuitivo, va inserita in un di- battito di più ampia portata e deve fare i conti, inevita- bilmente, con la riflessione sullo stesso strumento con- trattuale, secondo alcuni morto (33) o al tramonto (34), secondo altri più vivo che mai nella sua concezio- ne, per così dire, metafisica, frutto del cd. dogma della volontà, secondo la quale il contratto nasce dalla fusio- ne, dall’incontro delle consapevoli volontà dei con- traenti (35).
Ciò senza dimenticare, da un lato, che, in un con- testo di forti cambiamenti come l’attuale, le categorie giuridiche concettuali (36) dogmatiche ed astratte (37) rischiano di rivelarsi «utensili vecchi, [...] non [...] ade- guati ai valori dell’ordinamento vigente» (38); dall’al- tro, che, come è stato acutamente avvertito, per l’inter- prete si rivela di ben poca utilità «anche se estrema- mente interessante, accettare provocazioni del tipo “il contratto è vivo”, oppure “il contratto è morto, il con- tratto sta morendo”: finché gli uomini saranno su que- sta terra e dovranno pattuire condizioni per realizzare i loro interessi, il contratto non potrà morire mai» (39).
Nei contratti del consumatore è espressamente previsto che, per la fornitura di beni o servizi non ordi- nati, il consumatore non sia tenuto ad alcuna prestazio- ne corrispettiva (art. 57, comma 1, c. cons.). Il legisla- tore inoltre, all’art. 57, comma 2, c. cons. novellato, precisa che «ogni fornitura non richiesta di cui al pre- sente articolo costituisce pratica commerciale scorretta ai sensi degli articoli 21, 22, 23, 24, 25 e 26» (40).
La prestazione non dovuta può consistere sia nella consegna di un bene mobile, sia in una prestazione di fare, in un servizio. Nello specifico della vicenda sotto- posta all’esame del Supremo Collegio, la prestazione non dovuta e mai richiesta effettuata dalla società con- sisteva nella consegna di videogiochi; essa era avvenuta su iniziativa unilaterale ed arbitraria della società Infor- matic Center (41), la quale non aveva fatto precedere, seguire o accompagnare il proprio comportamento da una proposta contrattuale, come di solito avviene; tut- tavia, non vi è alcun dubbio sul fatto che la prestazione
fosse diretta ad indurre il consumatore a concludere il contratto. La strumentalità della prestazione alla solle- citazione della stipulazione di un contratto non va inte- sa nel senso che essa debba necessariamente essere ac- compagnata da una proposta contrattuale espressa, ben potendo quest’ultima essere implicita e risultare dalla ri- chiesta, rivolta al destinatario, di versare una somma di denaro a titolo di corrispettivo (42).
Note:
(32) In questo senso G. De Cristofaro, Le «forniture non richieste», in Le
«pratiche commerciali sleali» tra imprese e consumatori. La direttiva 2005/29/CE e il diritto italiano, a cura di G. De Cristofaro, Torino, 2007, 312.
(33) Il riferimento è alla nota monografia che diede l’annuncio della “morte” del contratto: G. Gilmore, The death of contract, Columbus, 1974, edito in Italia per i tipi della Giuffrè, con traduzione di A. Fusaro.
(34) L’espressione, autorevolmente proposta da G. Gorla, La “logica-illo- gica” del consensualismo o dell’incontro dei consensi e il suo tramonto, in Riv. dir. civ., 1966, 255 ss., è ripresa da G. Alpa, Nuove frontiere del diritto con- trattuale, in Contr. impr., 1997, 979. Sul punto cfr., in particolare, M. Giorgianni, La crisi del contratto nella società contemporanea, in Riv. dir. agr., 1972, I, 381 ss.; V. Zeno Zencovich, Il diritto europeo dei contratti (verso la distinzione fra “contratti commerciali” e “contratti dei consumatori”), in Giur. it., 1993, IV, 57 ss. Per un elenco dettagliato del- le opere italiane e straniere sulla supposta crisi del contratto, v. R. Sac- co, Genotipi e fenotipi in tema di contratto, in R. Sacco e G. De Nova, Il contratto, 1, in Tratt. dir. civ. Sacco, Torino, 1993, 10, nt. 1.
(35) Da questa visione consegue la necessaria bilateralità nella forma- zione del contratto, in tal senso v. R. Sacco, La conclusione dell’accordo, cit., 39.
(36) Nella storia culturale italiana appare cruciale la polemica nei con- fronti dei concetti giuridici risalente agli anni Trenta e Quaranta, per la quale v. G. Calogero, W. Cesarini Sforza, A.C. Jemolo, S. Pugliatti, ora raccolti in La polemica sui concetti giuridici, a cura di N. Irti, Milano, 2004. Sulla necessità che i giuristi si risveglino dal «sopore dogmatico», senza, tuttavia, «l’abbandono del metodo dogmatico e la rinuncia a un’applicazione del diritto controllata da concetti sistematici», indi- menticabili le pagine di L. Mengoni, Dogmatica giuridica, e Interpretazio- ne e nuova dogmatica, entrambi ora in Id., Ermeneutica e dogmatica giuridi- ca, Milano, 1996, 25 ss.
(37) Una parte della dottrina da tempo ha avviato un processo di profonda revisione delle categorie giuridiche tradizionali, in questo sen- so v., autorevolmente, P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzio- nale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, cit., spec. 77, 119 ss. e 129 ss.; Id., Scuole civilistiche e dibattito ideologico: introduzione allo studio del diritto privato in Italia, in Scuole tendenze e metodi. Problemi del diritto ci- vile, Napoli, 1989, 75 ss. Sul punto, cfr. V. Scalisi, Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, Milano, 2005, 19 ss.
(38) P. Perlingieri, Equilibrio delle posizioni contrattuali ed autonomia priva- ta. Sintesi di un Convegno, ora in Id., Il diritto dei contratti fra persona e mercato, cit., 465.
(39) P. Perlingieri, op. loc. ult. cit.
(40) Fra le pratiche commerciali sleali aggressive - nei rapporti tra le im- prese ed i consumatori - elencate all’art. 26 c. cons., la lett. f) della cita- ta disposizione comprende quella consistente nell’«esigere il pagamento immediato o differito o la restituzione o la custodia di prodotti che il professionista ha fornito, ma che il consumatore non ha richiesto, salvo quanto previsto dall’articolo 54, comma 2, secondo periodo».
(41) In questo caso, utilizzando un’efficace definizione della dottrina te- desca riportata in G. De Cristofaro, Le «forniture non richieste» cit., 305, è stata la prestazione a “trovare” il destinatario e non quest’ultimo a “cercarla”.
(42) Cosí G. De Cristofaro, op. cit., 305 s.
Va qui anticipato che le problematiche sollevate dal contegno omissivo del destinatario delle prestazioni non richieste non sono suscettibili di essere ricondotte alla (diversa) questione relativa al valore negoziale del silenzio. Si è opportunamente rilevato, al riguardo, che il soggetto il quale si limiti a ricevere materialmente la prestazione non voluta e mai richiesta il quale, successi- vamente, non ne fruisca o non l’utilizzi, non manifesta - attraverso il proprio comportamento - alcuna volontà di accettare la proposta di contratto (43).
L’abuso dell’autonomia negoziale
e la clausola generale di buona fede nel diritto europeo dei contratti
L’invio di una fornitura non richiesta per la quale sia previsto un corrispettivo costituisce violazione di re- gole di comportamento; queste ultime rappresentano le
«regole generali nelle attività commerciali, conformi ai princípi generali di diritto comunitario», le quali «de- vono ispirare tutta l’attività commerciale» (44).
Esse sono dirette a proteggere la libertà di scelta del contraente, il quale deve poter tenere comporta- menti e prendere decisioni di natura commerciale in maniera consapevole e incondizionata (45). La sua au- todeterminazione è messa a rischio da tale pratica com- merciale poiché, attraverso essa, si mina alla base la sua libertà di scelta «tramite l’adozione di condotte [...] ri- volte ad estorcere il consenso alla transazione» (46).
Occorre assicurare protezione alla libertà decisio- nale del contraente nell’attuale struttura di mercato (47), ossia tutelarlo dal potenziale esercizio abusivo del- l’autonomia negoziale della controparte idoneo a ledere la sua autodeterminazione (48).
Va, a questo punto, rammentato che, nell’attuale ordinamento, l’autonomia negoziale (49), ex se, non rappresenta un valore (50), un dogma e non è possibile continuare ad affrontare il suo studio con una metodolo- gia (51) astrattizzante e generalizzante (52). Occorre in- vero adottare una visione funzionale, partire dall’analisi del concreto atto di autonomia, «come è di volta in vol- ta rinvenibile nella realtà, avendo cioè riguardo alle cir- costanze di luogo e di tempo nelle quali è posto, ai sog- getti, all’oggetto [...] alla funzione e alla struttura» (53).
commerciali aggressive, in Contr. impr./Eur., 2007, 42 s.; Id., Le pratiche commerciali «aggressive», in Le «pratiche commerciali sleali» tra imprese e consumatori. La direttiva 2005/29/CE e il diritto italiano, a cura di G. De Cristofaro, Torino, 2007, 218.
(46) L. Di Nella, Prime considerazioni sulla disciplina delle pratiche commer- ciali aggressive, cit., 53 s.
(47) Al mercato si rivolge anche la disciplina codicistica; tuttavia al centro del codice civile, com’è stato efficacemente rilevato, «c’è il sog- getto di diritto, destinatario di regole eguali e astratte. Un uomo senza qualità, pensato per un ordine economico e giuridico che ha necessità di rapporti semplificati, compatibili con la logica degli scambi del tempo»:
G. Vettori, Contratto e concorrenza, in Aa.Vv., Concorrenza e mercato. Le tutele civili delle imprese e dei consumatori, a cura di G. Vettori, Padova, 2005, 1. Al riguardo, afferma che «Il paesaggio socio-giuridico, che gli intelligenti giuristi borghesi avevano fissato nelle mirabili armonie del Codice civile, sembra ormai uno di quei fondali di teatro dove sono di- pinte oleografie artificiose e irreali [...] i fondali di carta dipinta comin- ciano a subire squarci, e gli squarci danno modo ai tanti fatti retrostanti di invadere il proscenio»: P. Grossi, Prima lezione di diritto, Roma-Bari, 2006, 66.
(48) Nel senso che l’obiettivo perseguito dalla normativa sia quello di garantire una tutela efficace ai soggetti i quali, per il comportamento scorretto della controparte, contrattano in condizioni di alterata capa- cità di comprendere integralmente il contenuto dell’accordo: A. Ricci, Errore sul valore e congruità dello scambio contrattuale, in Contr. impr., 2001, 987 ss.
(49) Distinguono il concetto di autonomia negoziale da quello del pote- re di autodeterminazione già, in particolare, E. Betti, Autonomia privata, in Noviss. dig. it., Torino, 1958, 1559 ss.; Id., Teoria generale delle obbliga- zioni, Napoli, 1994, 43 ss.; L. Ferri, Nozione giuridica di autonomia privata, in Riv. trim. dir. pubbl., 1957, 129 ss.; Salv. Romano, Autonomia privata (appunti), ivi, 1956, 801 ss.; F. Santoro Passarelli, Autonomia collettiva, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 369 ss.; G.B. Ferri, Negozio giuridico, in Dig. disc. priv., Sez. civ., 1995, 61 ss.
(50) Sul punto v. P. Perlingieri, Equilibrio normativo e principio di propor- zionalità nei contratti, ora in Id., Il diritto dei contratti fra persona e mercato, cit., 443 ss. L’A. afferma che «la libertà di compiere un atto non è di per sé espressione di un valore. In un ordinamento, qual è il nostro, ispirato ai princípi personalistici e solidaristici, e caratterizzato da uno stato so- ciale di diritto, l’atto è valido in quanto meritevole di tutela, suscettibile cioè di ricevere un apprezzamento positivo dall’ordinamento»: Id., I mo- bili confini dell’autonomia privata, in Il diritto dei contratti fra persona e mer- cato. Problemi dei diritto civile, cit., 26.
(51) Da ultimo, rileva che «il senso della parola metodo è divenuto già di per sé sempre più problematico, in quanto sembra ricondurci alla in- cauta pretesa che il metodo renda corretto e scientifico, razionale e logi- co l’oggetto della nostra indagine [...] Nella crisi profonda che ha coin- volto la pretesa di purezza della scienza non è pensabile che esista una modalità neutrale, per sempre valida, di studiare un oggetto, insensibile ai suoi mutamenti e magari immodificabile, qualunque sia il soggetto che la adopera»: A. Catania, Metamorfosi del diritto, Decisione e norma nell’età globale, Roma-Bari, 2008, 24.
(52) Così P. Perlingieri, Autonomia privata e diritti di credito, in Id., Il dirit-
Note:
(43) In questo senso G. De Cristofaro, op. cit., 310 s. L’A. esclude la ri- levanza giuridica - quale accettazione della proposta contrattuale del- l’imprenditore - di tutte le condotte meramente passive consistenti sia nella mera inattività, sia nell’astensione da condotte in astratto e poten- zialmente suscettibili di essere considerate manifestazioni di volontà ne- goziale, come l’uso o la disposizione della cosa ricevuta o il suo mero ab- bandono; attribuisce invece valore di manifestazione di volontà esclusi- vamente alle dichiarazioni espresse ed ai comportamento concludente diversi dal silenzio.
(44) Le affermazioni sono contenute nei § 6 e 7 della relazione governa- tiva. Sul punto cfr., in particolare, M. Sandulli, Art. 39, in Comm. c. consumo, Alpa e Rossi Carleo, Napoli, 288.
(45) Cosí L. Di Nella, Prime considerazioni sulla disciplina delle pratiche
to dei contratti fra persona e mercato. Problemi dei diritto civile, cit., 15. L’A. enuncia a chiare lettere «l’impossibilità di affrontare l’argomento con un approccio dogmatico, che trova la legittimazione dell’autonomia ne- goziale su se stessa e quindi su un concetto; prospettiva la quale è estre- mamente pericolosa»; egli invita ad andare oltre la concezione struttu- ralistica, per passare a considerare «la sostanza del rapporto e gli interessi in gioco, tornando quindi ad una visione funzionale, teleologica, che non può consentire una soluzione univoca, dogmatica, ma che deve te- ner conto della qualità dei soggetti, della natura del bene e di tutta una serie di elementi rilevanti»: Id., op. ult. cit., 18.
(53) P. Perlingieri, op. ult. cit., 25. Conf. F. Prosperi, Subfornitura indu- striale, abuso di dipendenza economica e tutela del contraente debole: i nuovi orizzonti della buona fede contrattuale, in Rass. dir. civ., 1999, 642; A. Somma, Autonomia privata, in Riv. dir. civ., 2000, II, 597 ss.; Id., Autono- mia privata e struttura del consenso contrattuale, Milano, 2000, 401 ss.
È necessario collegare la nozione di autonomia ne- goziale ai princípi ed ai valori dell’ordinamento (54), esercitarla in maniera ad essi conforme (55); essa va modulata «tanto in funzione del progressivo consegui- mento delle finalità del caso concreto, quanto degli in- teressi gerarchicamente superiori ed assiologicamente orientati dalle norme» (56), in modo che, attraverso il contratto, il principio di solidarietà sia attuato anche nei rapporti tra privati (57).
Tutti i comportamenti attraverso i quali l’esercizio dell’autonomia negoziale da parte di uno dei contraenti diviene uno strumento di abuso a danno di altri sono immeritevoli di tutela nel nostro ordinamento (58).
Va precisato che, per le ipotesi nelle quali l’eserci- zio abusivo dell’autonomia negoziale da parte di un contraente sia preso in considerazione e vietato dal le- gislatore, nulla quaestio; qualora invece, come nel caso di specie, manchi una specifica ed espressa previsione normativa, la repressione dell’abuso è affidata all’effica- cia precettiva della clausola generale di buona fede (59): è quest’ultima a costituire un limite coessenziale all’autonomia privata (60) e ad incidere sulla libertà negoziale (61).
Da tempo in dottrina si segnala che la buona fede, in quanto comprensiva del canone della lealtà e della salvaguardia dell’altrui sfera giuridica, impone alle parti di evitare comportamenti sleali e di rispettare l’interesse e l’utilità dell’altra parte (62). Il c.d. obbligo di salva- guardia è ritenuto operante entro i limiti dell’apprezza- bile sacrificio dei propri interessi; esso, per effetto della legislazione di protezione di derivazione comunitaria, si specifica «nel più incisivo obbligo imposto al contraen- te dotato di maggior potere contrattuale di non appro- fittare della condizione di debolezza in cui versa l’altro contraente» (63).
Va qui rilevato che, nelle due principali proposte di armonizzazione europea della disciplina del contratto (i Principles of European Contract Law e i Princípi Uni-
mercato, alla concorrenza, all’ordine pubblico economico comunita- rio»: Id., op. ult. cit., 327.
(56) G. Perlingieri, Regole e comportamenti nella formazione del contratto. Una rilettura dell’art. 1337 codice civile, Napoli, 2003, 125 s.
(57) Sul punto, ritiene che il concetto civilistico di solidarietà vada mu- tuato dall’economia e che la relativa accezione non abbia subito modifi- che in conseguenza dell’entrata in vigore della Costituzione: F. Lucarelli, Solidarietà e autonomia privata, Napoli, 1970, 37 ss. Contra, nel senso che l’interpretazione sistematica dell’autonomia contrattuale porti inevita- bilmente alla sua conformazione ai princípi costituzionali, v., con pro- spettive diverse, L. Corsaro, L’abuso del contraente nella formazione del contratto, Perugia, 1979, 7; G. Alpa, Libertà contrattuale e tutela costituzio- nale, in Riv. crit. dir. priv., 1995, 35 ss.; G. Grisi, L’autonomia privata. Di- ritto dei contratti e disciplina costituzionale dell’economia, Milano, 1999, 126 ss. Sulla centralità della persona e sul conseguente rapporto di funziona- lizzazione delle situazioni giuridico-patrimoniali alla realizzazione di quelle a carattere esistenziale, v. P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale, cit., spec. 489 ss., 515 ss.; 885 ss.; P. Femia, Interessi e con- flitti culturali nell’autonomia privata e nella responsabilità civile, Napoli, 1996, 498 ss.
(58) Sui limiti dell’autonomia privata in relazione alla sua finalizzazione alla realizzazione degli interessi meritevoli di tutela nell’ordinamento v., con prospettive diverse, P. Perlingieri, Appunti sull’inquadramento della disciplina delle cd. condizioni generali di contratto, in Id., Il diritto dei contratti fra persona e mercato. Problemi dei diritto civile, cit., 297 ss.; P. Schlesinger, L’autonomia privata e i suoi limiti, in Giur. it., 1999, I, 229 ss.; F. Macario, Abuso di autonomia negoziale e disciplina dei contratti fra imprese: verso una nuova clausola generale?, in Riv. dir. civ., 2005, I, 701.
(59) Sulla buona fede oggettiva v., da ultimo, A. Spadafora, La regola contrattuale tra autonomia privata e canone di buona fede. Prospettive di di- ritto europeo dei contratti e di diritto interno, Torino, 2007, 235 ss.
(60) In questo senso v., in particolare, F. Prosperi, Subfornitura industria- le, abuso di dipendenza economica e tutela del contraente debole: i nuovi oriz- zonti della buona fede contrattuale, in Rass. dir. civ., 1999, 675; G. Catta- neo, Buona fede obiettiva e abuso del diritto, in Riv. trim., 1971, 613 ss.;
M.R. Morelli, In margine ad un’ipotesi di collegamento tra “buona fede obiettiva” ed “abuso del diritto”, in Giust. civ., 1975, I, 1700 ss.
(61) Sulla buona fede oggettiva nelle fasi di formazione e di esecuzione del contratto v., da ultimo, G.M. Uda, La buona fede nell’esecuzione del contratto, Torino, 2004, 50 ss.; V. Roppo, Il contratto, in Tratt. dir. priv., a cura di Iudica e Zatti, Milano, 2001, 46 ss.; S. Rodotà, Le fonti di integra- zione del contratto, Milano, 2004, 46 ss. In questo senso la dottrina tradi- zionale per la quale cfr., in particolare, E. Betti, Teoria generale delle obbli- gazioni. I. Prolegomeni: Funzione economico sociale dei rapporti d’obbligazio- ne, Milano, 1953, 65 ss.; U. Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, Il comportamento del creditore, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu-Messineo, Mi-
lano, 1974, 36 s. Più di recente v. L. Bigliazzi Geri, Buona fede nel diritto
Note:
(54) Nel senso che «in presenza dei princípi la realtà esprime valori e il diritto vale come se vigesse un diritto naturale»: G. Zagrebelsky, Il diritto mite. Legge, diritti, giustizia, Torino, 1992, 162. Contra osserva che «quel come se serve infatti a prendere atto dello sconvolgimento veramente grande che attraversa l’attuale diritto [...] La realtà, oggi, è il cortocircui- to tra morale e diritto, tra valori religiosi che si presumono dominanti e disposizioni normative che li rendono direttamente effettuali»: A. Cata- nia, Metamorfosi del diritto, Decisione e norma nell’età globale, cit., 90. Se- condo l’A., il pressante appello all’ancoraggio alle realtà esige «una at- tenta valutazione del ruolo, non aggirabile, che i princípi oggi svolgono in un diritto in precipitosa trasformazione»: Id., op. cit., 94.
(55) I cc.dd. limiti all’autonomia a tutela dei contraenti deboli «non so- no più esterni ed eccezionali, ma interni, espressione diretta dell’atto e del suo significato costituzionale. L’attenzione si sposta dal dogma del- l’autonomia all’atto da valutare non soltanto isolatamente, ma nell’am- bito dell’attività svolta dal soggetto»: P. Perlingieri, Il diritto civile nella le- galità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, cit., 336
s. L’A. precisa che l’autonomia negoziale «nel vigente sistema delle fonti caratterizzato da una gerarchia di norme costituzionali e comunitarie, trova fondamento anche nei princípi di diritto comunitario, ispirati al
civile, in Dig. it., II, Torino, 1988, 173; F. Lucarelli, Solidarietà e autonomia privata, cit., 175 ss.; C.M. Bianca, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in Riv. dir. civ., 1983, I, 209; F.D. Busnelli, Note in tema di buona fede ed equità, in Riv. dir. civ., 2001, 544; Id., Carta dei diritti fondamentali e autonomia privata, in Contratto e costituzione euro- pea, a cura di G. Vettori, Padova, 2005, 66 ss.; L. Mengoni, Autonomia privata e Costituzione, in Banca borsa tit. cred., 1997, I, 9 s.; A.C. Nazzaro, Obblighi d’informare e procedimenti contrattuali, cit., 125 ss.; G. Recinto, Buona fede ed interessi dedotti nel rapporto obbligatorio tra legalità costituzio- nale e comunitaria, in Rass. dir. civ., 2002, 277 s.; E. Navarretta, I contratti d’impresa e il principio di buona fede, in Aa.Vv., Il diritto europeo dei contratti d’impresa. Autonomia negoziale dei privati e regolazione del mercato, Atti del Convegno di studio svoltosi a Siena dal 22 al 24 settembre 2004, a cura di P. Sirena, Milano, 2006, 540 ss.; G. Sicchiero, Appunti sul fondamento costituzionale del principio di buona fede, in Giur. it., 1993, I, 1, 2129 ss.
(62) In questo senso v., in particolare, C.M. Bianca, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in Riv. dir. civ., 1983, I, 205 ss.
(63) F. Prosperi, La buona fede tra regole di condotta e regole di validità nella tutela del contraente debole, in Studi in memoria di V.E. Cantelmo, II, a cura di R. Favale e B. Marucci, 2003, 573.
droit), largo spazio è affidato, ai fini della tutela del con- traente debole (64), alla clausola generale di buona fe- de (65).
Nello specifico, nei PECL (Principles of European Contract Law) (66), al principio di buona fede oggetti- va è assegnata una posizione di preminenza (67); esso è richiamato in diverse disposizioni, si pensi, in parti- colare, all’art. 1: 102, il quale afferma che: «Le parti sono libere di stipulare contratti e di determinarne il contenuto, nel rispetto della buona fede e della cor- rettezza nonché delle norme imperative contenute nei Princípi»; all’art. 1: 201, a mente del quale: «Le parti devono agire nel rispetto della buona fede e della cor- rettezza».
Immediatamente dopo la proclamazione del prin- cipio liberale della libertà contrattuale è dunque intro- dotto un principio «di chiara impronta solidarista, della soggezione ai criteri di buona fede e lealtà» (68). La cir- costanza è significativa e dimostra che, per i compilato- ri dei principi di diritto europeo dei contratti, la libertà negoziale «deve conformarsi ai valori sociali fondamen- tali sui quali si sorregge lo stesso ordinamento giuridi- co» (69).
Quanto ai Princípi Unidroit, anche in essi un ruolo primario è attribuito al principio di buona fede (70), il quale è enunciato, in particolare, all’art. 1.7, ai sensi del quale «Ciascuna parte deve agire in conformità alla buona fede nel commercio internazionale». La clausola generale di buona fede sembra dunque costituire, come si rileva, una Magna Charta del diritto commerciale in- ternazionale.
Al riguardo, però, non può essere sottaciuto che, secondo una parte della dottrina, sia i Principles of Euro- pean Contract Law, sia i Princípi Unidroit rappresentano
«costruzioni dottrinali sopranazionali di carattere sfug- gente, che traggono la propria legittimazione da una ac- cettazione ex post» (71). Con precipuo riferimento ai Princípi Unidroit si è affermato, al fine di negare ad essi efficacia di diritto positivo, che essi costituiscano una mera unificazione dottrinale del diritto transnazionale (72).
Quel che è indubbio, tuttavia, è che, nella cultura giuridica europea, la buona fede assurga a principio ge- nerale (73). Nell’attuale fase dell’integrazione europea e, nello specifico, della formazione e dell’evoluzione dell’ordinamento italo-comunitario, come è stato acu-
providence, ignorance, inexperience or lack of bargaining skill, and the nature and purpose of the contract» (art. 3.10).
(65) Va segnalato che, secondo una parte della dottrina, si tratterebbe però di una buona fede «sui trampoli»: P.G. Monateri, Ripensare il con- tratto: verso una visione antagonista del contratto, in Riv. dir. civ., 2003, I, 409 ss.
(66) Si tratta dei Princípi di diritto europeo dei contratti, elaborati dalla Commissione per il diritto europeo dei contratti presieduta dal professor Ole Lando.
(67) Sulla buona fede quale esprit collectif dei Principi di diritto europeo dei contratti v. O. Lando, Lo spirito dei Principi del diritto contrattuale euro- peo, Il codice civile europeo, Materiali dei seminari 1999-2000, raccolti da G. Alpa e E.M. Buccico, Milano, 2001, 41. Sul punto, cfr. C. Castro- novo, Un contratto per l’Europa, in Princípi di diritto europeo dei contratti, Parte I e II, ed. italiana a cura di C. Castronovo, Milano, 2001, XXX ss., 115 ss. Più in generale, sul principio di buona fede nella cultura giuridi- ca europea v., da ultimo, S. Patti, Diritto privato e codificazioni europee, Milano, 2007, 81 ss. e, per la cultura giuridica italiana v., in particolare,
S. Cassese, Problemi delle ideologie dei giudici, in Riv. trim., 1969, 413 ss.;
F.D. Busnelli, Il diritto civile tra codice e legislazione speciale, Napoli, 1984, 50; D. Corradini, Il criterio della buona fede e la scienza del diritto privato, Milano, 1970, 491.
(68) F.D. Busnelli, Note in tema di buona fede ed equità, cit., 547.
(69) F. Prosperi, La buona fede tra regole di condotta e regole di validità nella tutela del contraente debole, cit., 578, il quale si domanda se la rilevanza in tal modo accordata alla buona fede rispecchi o meno il common core del diritto europeo dei contratti.
(70) Cosí M.J. Bonell, Un “Codice” Internazionale del Diritto dei Contrat- ti. I Princípi UNIDROIT dei Contratti Commerciali Internazionali, II ed., Milano, 2006, 134 ss.
(71) P.G. Monateri, I contratti di impresa e il diritto comunitario, in Riv. dir. civ., 2005, I, 489 ss. Sul punto cfr., con prospettive diverse, A. Spa- dafora, La regola contrattuale tra autonomia privata e canone di buona fede. Prospettive di diritto europeo dei contratti e di diritto interno, cit., 159 ss.; U. Draetta, Princípi Unidroit per i contratti e progetto di codice europeo dei con- tratti. Due proposte a confronto, in Dir. comm. int., 1994, 681 ss.; C. Ca- stronovo, I “princípi di diritto europeo dei contratti” e l’idea di codice, in Riv. dir. comm., 1995, I, 21 ss.; M.J. Bonell, Verso un codice europeo dei con- tratti ?, in Eur. dir. priv., 1998, 171 ss.; A. Zaccaria, Il diritto privato euro- peo nell’epoca del post-moderno, in Riv. dir. civ., 1997, 367 ss.; V. Zeno Zencovich, Il “Codice civile europeo” le tradizioni giuridiche nazionali e il neo positivismo, in Foro it., 1998, V, 62 s.; U. Mattei, Il problema della co- dificazione civile europea e la cultura giuridica. Pregiudizi, strategie e sviluppi, in Contr. impr./Europa, 1998, 208 ss.; A. Gentili, I Princípi di diritto con- trattuale europeo: verso una nuova nozione di contratto?, in Riv. dir. priv., 2001, 42 ss.; G. Alpa Il diritto commerciale tra lex mercatoria e modelli di armonizzazione, in Contr. impr., 2006, 86 ss.; Id., L’armonizzazione del di- ritto contrattuale e il progetto di codice civile europeo, in Nuova giur. civ. comm, 2003, II, 169 ss.; Id., Appunti sulla buona fede integrativa nella pro- spettiva storica e del commercio internazionale, in Contratti, 2001, 723 ss.; Id., I principles of european contract law predisposti dalla commissione Lando, in Riv. crit. dir. priv., 2000, 483 ss.; Id., Prime note di raffronto tra i princípi dell’Unidroit e il sistema contrattuale italiano, in Contr. impr./Eur., 1996, 316 ss.; Id., La protezione della parte debole nei princípi Unidroit dei contratti commerciali internazionali, in Econ. dir. terziario, 1996, 519 ss.
(72) Sulle critiche mosse ai Princípi Unidroit e sul ruolo della dottrina
come fonti del diritto v., in particolare, F. Marrella, La nuova lex merca-
Note:
(64) Nei Principles of European Contract Law si considera la debolezza derivante: «on or had a relationship of trust with the other party, was in economic distress or had urgent needs, was improvident, ignorant, inex- perienced or lacking in bargaining skill, and the other party knew or ou- ght to have known of this and, given the circumstances and purpose of the contract, took advantage of the first party’s situation in a way which was grossly unfair or took an excessive benefit» (art. 4.109). Nei Princí- pi Unidroit la debolezza presa in considerazione discende dai seguenti fattori: «the fact that the other party has taken unfair advantage of the first party’s dependence, economic distress or urgent needs, or of its im-
toria. Princípi Unidroit ed usi dei contratti del commercio internazionale, Pa- dova, 2003, 263 ss., spec. 283 ss.; A. Giardina, I Princípi Unidroit quale legge regolatrice dei contratti internazionali (I Princípi ed il diritto internazio- nale privato), in M.J. Bonell e F. Bonelli, Contratti commerciali internazio- nali e Princípi Unidroit, Milano, 1997, 58 s.
(73) Sul punto e, nello specifico, sulla clausola di buona fede nei Princípi di diritto europeo dei contratti e nei Princípi Unidroit sui contratti com- merciali internazionali cfr., in particolare, G. Alpa, Prime note di raffronto tra i Princípi dell’Unidroit e il sistema contrattuale italiano, cit., 318; A. Spa- dafora, La regola contrattuale tra autonomia privata e canone di buona fede. Prospettive di diritto europeo dei contratti e di diritto interno, cit., 2 ss.
tamente osservato, «i problemi dell’economia di mer- cato divengono anche di coesione sociale e di scelte assiologiche. Le tutele del consumo e dei consumatori, della concorrenza, dell’impresa [...] devono essere col- locate in una cornice di princípi a valenza sovranazio- nale» (74).
Per la costruzione del diritto europeo si rende ine- vitabile il riferimento ad un «nocciolo duro di valori» (75). Il punto non è o, meglio, non è soltanto la tutela del consumatore: «la questione [...] abbraccia la tutela della persona umana con misure che realizzino la soli- darietà e la giustizia sociale» (76).
Ne consegue che, nell’ordinamento italo-comuni- tario, il ruolo dell’autonomia negoziale non può che es- sere ricostruito nella prospettiva assiologica (77): il si- gnolo atto di autonomia privata, lungi dall’essere espressione di interessi particolari, deve regolare «un complesso coacervo di interessi, la cui sommatoria ne fa mutare la natura» (78).
Le considerazioni sinora svolte inducono ad un ul- teriore interrogativo. Poiché il diritto europeo dei con- tratti (79) sembra caratterizzarsi sempre più quale dirit- to dei contratti d’impresa (80), occorre domandarsi se i princípi generali in esso operanti (81) e, in primis, la clausola generale di buona fede, siano o meno idonei a porsi quali «ossatura di un possibile ius commune euro- peo» (82).
Ciò con la consapevolezza e l’avvertenza che, per il sistema del diritto dei contratti italo-comunitario, più che di un diritto comune europeo dei contratti, sarebbe più opportuno fare riferimento ad un diritto comune delle attribuzioni patrimoniali (83).
Nel diritto comunitario, come si è cercato di dimo- strare, si assiste ad una sorta di «germanizzazione della buona fede» (84); la clausola di buona fede acquista una valenza transnazionale, attestata anche dalla cen- tralità da essa rivestita nei Principles of European Con- tract Law e nei Principi Unidroit; essa va di pari passo, come si è visto, con il progressivo giuridicizzarsi di un complesso di valori fondamentali dell’uomo (85), divie- ne una «clausola cardine del contratto della post-mo- dernità» (86), una categoria rinnovata, la quale dà voce
«ad una nuova assiologia aggregante i paesi europei nel- la quale si rispecchia un’Europa complessa, che guarda non soltanto al mercato e all’efficienza, ma anche al piano dei valori» (87).
Nello specifico, la regola finalizzata a reprimere i comportamenti abusivi nell’esercizio dell’autonomia sembra assurgere «al rango della teoria generale del contratto» (88). Occorre pertanto attribuire tutela al contraente nei confronti dell’esercizio abusivo dell’au-
Note:
(74) E. Caterini, Politica dei consumi e diritto dei contratti. Il paradigma del principio «generale» di sicurezza, in Rass. dir. civ., 2006, 648.
(75) S. Zamagni, Persona e problema economico nella post-modernità, in
Aa.Vv., Dire persona. Luoghi critici e saggi di applicazione di un’idea, a cura di A. Pavan, Bologna, 2003, 241.
(76) E. Caterini, op. cit., 649 s.
(77) Due sono le principali tendenze interpretative in atto nell’odierno diritto dei contratti; gli autori oscillano tra i fautori di un deciso ritorno dell’autonomia privata, quale esclusiva fonte del singolo atto negoziale, in questo senso v., per tutti, A. Somma, Autonomia privata, cit., 597; Id., Au- tonomia privata e struttura del consenso contrattuale, cit., 401 ss., e coloro i quali accentuano l’aspetto della eteronormazione mediante la quale si rea- lizza il controllo sul contenuto del contratto, in questo senso v., in partico- lare, G. De Nova, Contratto: per una voce, in Riv. dir. priv., 2000, 649 ss.
(78) E. Caterini, op. cit., 635 e 645.
(79) Sulla differenza tra diritto contrattuale europeo comunitario e di- ritto comune europeo dei contratti, cfr. V. Roppo, Sul diritto europeo dei contratti: per un approccio costruttivamente critico, in Eur. dir. priv., 2004, 439 ss.; A. Somma, Diritto comunitario vs. diritto comune europeo, in Dirit- to privato europeo. Fonti ed effetti, a cura di Alpa e Danovi, Milano, 2004, 45 ss. Sul significato e sui confini del sintagma “diritto privato europeo”
v. G. Alpa e M. Andenas, Fondamenti del diritto privato europeo, Milano, 2005, 133 ss.
(80) Con le sue varie manifestazioni: Business to business; Business to consumer; Consumer to consumer (B2b; B2c; C2c). Sul punto cfr., da ul- timo, Aa.Vv., Il terzo contratto, a cura di G. Gitti e G. Villa, Bologna, 2008; P.G. Monateri, I contratti di impresa e il diritto comunitario, in Riv. dir. civ., 2005, I, 489; G. Cian, Contratti civili, contratti commerciali e con- tratti d’impresa: valore sistematico-ermeneutico delle classificazioni, in Riv. dir. civ., 2004, I, 849 ss.; V. Roppo, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e svi- luppi di un nuovo paradigma, in Riv. dir. priv., 2001, 769 ss.; Id., Sul diritto europeo dei contratti: per una visione non irenica, e non apologetica, in Pol. dir., 2004, 25 ss.
(81) Per una ricognizione di tali princípi generali v. A. Gentili, I princípi del diritto contrattuale europeo: verso una nuova nozione di contratto?, in Riv. dir. priv., 2001, 20 ss.; V. Zeno Zencovich, Il diritto europeo dei con- tratti (verso la distinzione fra «contratti commerciali» e «contratti dei consu- matori»), in Giur. it., 1993, IV, 57 ss.; G.B. Portale, Diritto privato comune e diritto privato della impresa, in 1882-1982, Cento anni dal codice di com- mercio. Atti del Convegno internazionale di Taormina, 4-6 novembre 1982, Milano, 1984, 227 ss.; G. Alpa, Introduzione al diritto contrattuale europeo, Roma-Bari, 2007, 113 ss.
(82) P.G. Monateri, op. loc. cit. Sul punto cfr. M. Bussani e A.M. Musy, I metodi della comparazione: il common core dei diritti europei del contratto, in Riv. crit. dir. priv., 2000, 537 ss.; G.B. Ferri, La formazione del “civilista europeo”, in Contr. impr./Eur., 1996, 463 ss.; Id., Il Code Européen des Contrats, in Contr impr/Eur., 2002, 27 ss.; P. Grossi, L’Europa del diritto, Roma-Bari, 2007, 249 ss.; R. Zimmermann, Diritto romano, diritto con- temporaneo, diritto europeo: la tradizione civilistica oggi (il diritto privato eu- ropeo e le sue basi storiche), in Riv. dir. civ., 2001, I, 703 ss.
(83) Cosí F. Maisto, Per una disciplina uniforme dell’attribuzione patrimo- niale, in Aa.Vv., Fonti e tecniche legislative per un diritto contrattuale euro- peo, a cura di P. Perlingieri e F. Casucci, Napoli, 200a, 137 ss.
(84) G.A. Benacchio, La buona fede nel diritto comunitario, in Aa.Vv., Il ruolo della buona fede oggettiva nell’esperienza giuridica storica e contempora- nea, Atti del Convegno internazionale di studi in onore di Alberto Bur- dese, a cura di L. Garofalo, I, Padova, 2003, 199.
(85) In questo senso E. Navarretta, Buona fede oggettiva, contratti di im- presa e diritto europeo, in Riv. dir. civ., 2005, I, 507 ss.
(86) E. Navarretta, op. loc. ult. cit.
(87) E. Navarretta, op. loc. ult. cit. Sul punto cfr., con prospettive diver- se, G. Vettori, Buona fede e diritto europeo dei contratti, in Eur. dir. priv., 2002, 915 ss.; C. Scognamiglio, Il nuovo diritto dei contratti: buona fede e recesso dal contratto, in in Eur. dir. priv., 2003, 797 ss.; A. Spadafora, La regola contrattuale tra autonomia privata e canone di buona fede. Prospettive di diritto europeo dei contratti e di diritto interno, 235 ss.
(88) F. Macario, Abuso di autonomia negoziale e disciplina dei contratti fra imprese: verso una nuova clausola generale?, cit., 667.
tonomia negoziale (89) - nella fase antecedente la conclusione del contratto (90) - da parte del con- traente in condizione di superiorità (asimmetria) di potere contrattuale (91). Tale abuso è idoneo non sol- tanto a menomare la capacità di partecipazione del singolo all’organizzazione del mercato, in tal modo de- terminandone potenziali disfunzioni, ma, soprattutto, ad incidere sulla sua capacità di autodeterminazione (92).
La nozione di autonomia negoziale contiene quin- di in sé stessa l’idea del limite, il quale non costituisce limite «“estrinseco” al potere, ma è [...] “intrinseco” a qualsiasi posizione di potere giuridico di non “abusare” del potere medesimo, cioè di non utilizzare il “potere” per un interesse diverso da quello a tutela del quale esso è stato accordato dall’ordinamento» (93). Esso si ricol- lega alla regola di buona fede oggettiva (94): è quest’ul- tima (95) a consentire di stabilire se lo svantaggio a danno di un contraente sia o meno giustificato da un interesse meritevole di tutela o abbia quale esclusiva motivazione l’approfittamento della posizione di supre- mazia nei suoi confronti (96).
Regole di comportamento e regole di validità
Con riferimento alla vicenda della fornitura non richiesta presa in esame dalla Suprema Corte, in giuri- sprudenza constano ben poche pronunce (97). Esse so- no tutte caratterizzate dalla preoccupazione del giudi- cante per la qualificazione, in termini di inesistenza o di invalidità, del contratto relativo alla fornitura non ri- chiesta (98). Anche in questa decisione il Supremo Collegio si pronuncia in favore dell’inesistenza del rela- tivo contratto.
Sembra opportuno e non superfluo, tuttavia, do- mandarsi se la violazione di regole di comportamento da parte della società ricorrente si riverberi sulla vali- dità del contratto “a valle” dell’illecito comportamento. Si tratta, in altri termini, di indagare i rapporti in- tercorrenti tra le regole di condotta e quelle di validità o, meglio, tra la violazione delle prime e la validità (99) dei contratti stipulati a seguito dell’illecito comporta- mento e di interrogarsi, per i contratti a valle di esso, sul rimedio maggiormente adeguato al tipo di illiceità
ed agli interessi lesi.
La condotta della società riguarda la fase della for- mazione del contratto: ossia, fra tutte le fasi che scandi- scono la vicenda contrattuale, quella nella quale mag- giormente si riverberano gli effetti della produzione e della distribuzione di massa, dei modi stessi di organizza- zione degli scambi tipici delle società industriali avanza- te; con riferimento ad essa non si può continuare a ra-
Note:
(89) Da ultimo, sull’abuso di autonomia negoziale in generale, v. G. Amadio, Nullità anomale e conformazione del contratto (note minime in tema di “abuso dell’autonomia contrattuale”), in Riv. dir. priv., 2005,
285 ss.; F. Macario, Abuso di autonomia negoziale e disciplina dei contrat- ti fra imprese: verso una nuova clausola generale?, cit., 663 ss.; Sul signi- ficato della formula con specifico riferimento alle clausole vessatorie dei contratti del consumatore, cfr. G. D’Amico, L’abuso di autonomia negoziale nei contratti dei consumatori, in Riv. dir. civ., 2005, I, 625 ss.
(90) Sulla rilevanza dell’abuso dell’autonomia negoziale nella fase della formazione del contratto v., in particolare, L. Corsaro, L’abuso del con- traente nella formazione del contratto, cit., spec. 121 ss. In senso contrario all’utilità della categoria dell’abuso della libertà contrattuale, poiché in tal modo si perverrebbe ad una sostanziale duplicazione della regola di buona fede, già prevista all’art. 1337 c.c., ossia ad una modalità alterna- tiva per esprimere il medesimo giudizio di disvalore da parte dell’ordi- namento: R. Sacco, L’abuso della libertà contrattuale, in Aa.Vv., Diritto privato 1997, III, L’abuso del diritto, Padova, 1998, 217 ss., spec. 234; Id., L’esercizio e l’abuso del diritto, in Il diritto soggettivo, in Tratt. Sacco, Tori- no, 2001, 313 ss.
(91) Sul punto, cfr. V. Roppo, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e svi- luppi di un nuovo paradigma, cit., 769 ss.
(92) Così G. Chiappetta, Le pratiche commerciali «sleali» nei rapporti tra imprese e consumatori, in Aa.Vv., Il diritto dei consumi, I, a cura di P. Per- lingieri e E. Caterini, Rende, 2005, 103, secondo la quale la capacità di autodeterminazione rappresenta «la sfera più intima della coscienza in- dividuale, riflesso giuridico dell’idea di dignità della persona umana».
(93) G. D’Amico, L’abuso di autonomia negoziale nei contratti dei consu- matori, cit., 648.
(94) Il collegamento tra abuso del diritto e buona fede è risalente, per esso v., in particolare, P. Rescigno, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, 205 ss., ora in Id., L’abuso del diritto, Bologna, 1998, 53 s.; S. Patti, Abuso del diritto, in Dig. disc. priv., Sez. civ., I, Torino, 1987, 6; L. Bigliazzi Geri, Buona fede nel diritto civile, in Dig. disc. priv., Sez. civ., II, Torino, 1988, 186 ss.; C. Salvi, Abuso del diritto, in Enc. giur. Treccani, I, Roma, 1988, 3 s.; R. Sacco, L’abuso della libertà contrattuale, cit., 217 ss.; Id., Diritto privato, in Dig. civ., Torino, 1998, vol. XVII, App., 677 ss.; V. Buonocore, Etica dell’imprenditore e abuso del diritto: a proposito dell’attualità di un libro edito sessant’anni fa, in Jus, 1998, 9 ss.; G. Vettori, Libertà di contratto e disparità di potere, in Riv. dir. priv., 2005, 743 ss.; E. Navarretta, I contratti d’impresa e il principio di buona fede, cit., 540 ss.; Ead., Buona fede oggettiva, contratti di impresa e diritto europeo, cit., 507 ss.
(95) In senso critico in merito all’identificazione del comportamento abusivo con la condotta contraria alla buona fede C. Osti, Primo affon- do dell’abuso di dipendenza economica, in Foro it., 2002, I, 2183 ss.
(96) In questo senso G. D’Amico, L’abuso di autonomia negoziale nei contratti dei consumatori, cit., 650.
(97) Per le forniture non richieste, in giurisprudenza constano ben po- che pronunce. Tra esse si segnala, con riferimento ai servizi telefonici attivati in mancanza di richiesta da parte dell’utente e, addirittura, a sua insaputa, Giud. Pace Catanzaro 25 luglio 2007, in www.altalex.com; Trib Genova, sez. VI, 24 novembre 2006, n. 4005 ivi; Trib. Genova 11 novembre 2002, in Contratti, 2003, 437 ss.; Giud. pace Barra 5 giugno 2007 e Giud. pace Bologna 12 dicembre 2007, entrambe in www.giudi- cedipace.it.
(98) Si afferma cosí, ad esempio, che «nessun vincolo giuridicamente rilevante era sorto [...] attesa l’assenza di manifestazione di volontà e l’impossibilità di attribuire valore di consenso al silenzio serbato dal consumatore»: Trib Genova, sez. VI, 24 novembre 2006, n. 4005, cit.; oppure che: «il contratto deve essere dichiarato nullo e non idoneo a produrre effetti dal suo assunto sorgere»: Trib. Genova 11 novembre 2002, cit.
(99) Sul vocabolo validità, osserva che, nel codice civile, esso «esprime proprio la corrispondenza di atti privati a un modello generale e soprat- tutto autorevole [...] Se il privato vuol vivere giuridicamente una vita tranquilla, non ha che da seguire i modelli proposti, percorrendo sol- tanto i sentieri tipici che sboccano con sicurezza in quel risultato cospi- cuo che è la rilevanza giuridica»: P. Grossi, Globalizzazione, diritto, scien- za giuridica, in Foro it., 2002, V, 161.
gionare con le categorie e gli strumenti (arcaici) previ- sti dal codice civile (100).
È necessario tener conto delle peculiarità della contrattazione di massa e, nello specifico, della caratte- ristica rappresentata dalla cd. spersonalizzazione delle fasi di formazione e conclusione del contratto, con la conseguente esigenza dell’armonizzazione di tale aspet- to con un sistema nel quale la tutela apprestata e i princípi e le regole stabiliti, sono improntati ad una di- mensione individuale della contrattazione (101); del pari vanno tenuti presenti i rimedi nuovi approntati dal diritto europeo dei contratti (102).
Le regole di comportamento, com’è noto, misura- no la legittimità dell’esercizio di un potere; esse sono di- rette ad assicurare la correttezza e la moralità delle con- trattazioni, sono regole di responsabilità (103), a diffe- renza delle regole di validità, le quali attengono alla fat- tispecie del contratto e sono finalizzate a regolarne le conformazioni strutturali, ossia a stabilire i requisiti e le condizioni alle quali il contratto deve corrispondere per essere valido e vincolante.
Fra le regole di validità e le regole di comporta- mento, secondo la dottrina tradizionale, vi è completa autonomia; i reciproci rapporti sono improntati al ri- spetto del principio di non interferenza (104). Nello specifico, si ritiene che l’accertamento della validità dell’accordo assorba ogni ulteriore valutazione relativa alla fase precontrattuale (105). In tal modo, per i con- tratti validi, si finisce per relegare nella sfera dell’irrile- vanza giuridica ogni eventuale comportamento sleale e scorretto realizzato nella fase formativa del contratto (106).
Il principio di non interferenza comporta che in nessun modo il sistema delle invalidità negoziali - frutto di una precisa scelta di politica del diritto, la quale ha condotto alla tipizzazione delle cause della nullità e del- l’annullabilità - possa essere integrato da ipotesi di inva- lidità atipiche e conseguenti alla violazione delle regole di comportamento (107). Ciò a meno di non voler mi- nare alla radice il valore giuridico fondamentale (di ogni società civile) della certezza dei traffici giuridici (108).
Il rimedio per la violazione delle regole di compor- tamento nello svolgimento dell’attività e nella singola
(102) Da ultimo, afferma che, nell’ordinamento comunitario, la strate- gia rimediale è, al tempo stesso, fondativa e conformativa della rilevanza giuridica degli interessi ai quali si intende attribuire protezione: V. Scali- si, Il diritto europeo dei rimedi: invalidità e inefficacia, in Riv. dir. civ., 2008, I, 844.
(103) In questo senso v., in particolare, G. Panza, Buon costume e buona fede, Napoli, 1973, 251.
(104) Per la completa autonomia tra i due gruppi di regole cfr., sotto il vigore del codice del 1865, A. Trabucchi, Il dolo nella teoria dei vizi del vo- lere, Padova, 1937, 105 ss., spec. 107. Con riferimento all’attuale codice v., in particolare, L. Carraro, Il valore attuale della massima «fraus omnia corrumpit», in Riv. trim., 1949, 797; L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridi- co nel diritto privato italiano, Napoli, 1961, 28; P. Barcellona, Profili della teoria dell’errore nel negozio giuridico, Milano, 1962, 202 ss.; F. Benatti, La responsabilità precontrattuale, Milano, 1963, 100; Id., Culpa in con- trahendo, in Contr. impr., 1987, 302; F. Santoro Passarelli, Dottrine gene- rali del diritto civile, IX ed., Napoli, 1997, 171; V. Pietrobon, L’errore nella dottrina del negozio giuridico, Padova, 1963, 104 ss.; Id., Il dovere generale di buona fede, Padova, 1969, 51 ss.; Id., Errore, volontà e affidamento nel negozio giuridico, Padova, 1990, 104 e 118; L. Mengoni, Autonomia priva- ta e Costituzione, cit., 9.
(105) Cosí, in particolare, G. D’amico, «Regole di validità» e principio di correttezza nella formazione del contratto, cit., 137 ss.; A.M. Musy, Respon- sabilità precontrattuale (culpa in contrahendo), in Dig. disc. priv., Sez. civ., Torino, 1998, XVII, 401. Contra: L. Mengoni, Sulla natura della re- sponsabilità precontrattuale, in Riv. dir. comm., 1956, II, 360 ss.; F. Benatti, La responsabilità precontrattuale, cit., 13 ss; Id., Culpa in contrahendo, cit., 295 s.; G. Visintini, La reticenza nella formazione dei contratti, Pado- va, 1972, 106 ss.; Id., La reticenza come causa di annullamento dei contratti, in Riv. dir. civ., 1972, I, 178 ss.; A. Ravazzoni, La formazione del contrat- to, II, Le regole di comportamento, Milano, 1974, 13 ss.; R. Sacco, Il con- tratto, in Tratt. dir. civ. Vassalli, Torino, 1975, 358; A. Del Fante, Buona fede prenegoziale e principio costituzionale di solidarietà, in Rass. dir. civ., 1983, 144 s.; E. Minervini, Errore sulla convenienza economica del contrat- to e buona fede precontrattuale, in Rass. dir. civ., 1987, 924.
(106) Secondo una nota tesi, la violazione delle regole di comporta- mento determina invece responsabilità precontrattuale anche in pre- senza di un contratto concluso validamente. Ciò qualora la volontà di un contraente risulti viziata, ma il vizio non sia riconducibile ad uno dei vizi della volontà disciplinati dal codice civile; a tale ricostruzione si perviene per via del riconoscimento dell’esigenza di tutelare il contraen- te il quale, pur avendo stipulato un contratto valido, ha comunque subí- to la condotta sleale della controparte; si configura cosí la categoria del cd. vizio incompleto: M. Mantovani, “Vizi incompleti” del contratto e ri- medio risarcitorio, Torino, 1995, spec. 155 ss. e 289. Contra G. D’amico,
«Regole di validità» e principio di correttezza nella formazione del contratto, Napoli, 1996, 101 ss.; Id., Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, cit., 51; Id., Buona fede in contrahendo, in Riv. dir. priv., 2003, 351. Sul punto cfr., altresì, V. De Lorenzi, Correttezza e dili- genza precontrattuali: il problema economico, in Riv. dir. comm., 1999, I, 565 ss.; M. De Poli, Asimmetrie informative e rapporti contrattuali, Padova, 2002, 348 ss. e 459 ss.; P. Gallo, Buona fede oggettiva e trasformazioni del contratto, in Riv. dir. civ, 2002, 246; L. Bandinelli, L’evoluzione interpreta- tiva della clausola generale di buona fede nella dinamica del comportamento contrattuale, in Rass. dir. civ., 2004, 620 ss.; U. Minneci, Struttura del do-
lo: contegno del decipiens e consenso del deceptus, in Riv. dir. civ., 1999, I,
Note:
(100) Cosí G. D’Amico, Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, in Riv. dir. civ., 2002, I, 37. Rileva che «Il pae- saggio socio-giuridico, che gli intelligenti giuristi borghesi avevano fissa- to nelle mirabili armonie del Codice civile, sembra ormai uno di quei fondali di teatro dove sono dipinte oleografie artificiose e irreali [...] i fondali di carta dipinta cominciano a subire squarci, e gli squarci danno modo ai tanti fatti retrostanti di invadere il proscenio»: P. Grossi, Prima lezione di diritto, Roma-Bari, 2006, 66.
(101) Sul punto cfr., in particolare, A.M. Azzaro, I contratti non negoziati, Napoli, 2002, 11 ss. Sul ruolo dell’assetto materiale nella for- mazione dei contratti di massa v. M. Maggiolo, Il contratto predisposto, cit., 2 ss.
373 ss.; G. Vettori, Asimmetrie informative fra regole di validità e regole di responsabilità, in Riv. dir. priv., 2003, 241 ss.
(107) Cosí G. D’Amico, Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, in Il nuovo diritto dei contratti. Problemi e prospetti- ve, a cura di F. Di Marzio, Milano, 2004, 55. Sul punto v. G. Perlingieri, Regole e comportamenti nella formazione del contratto, cit., 82.
(108) Sul potenziale conflitto fra il valore della sicurezza della circola- zione e quello, altrettanto fondamentale, della giustizia sostanziale v., per tutti, A. Falzea, Gli standards valutativi e la loro applicazione, in Riv. dir. civ., 1987, I, 1 ss. Di fronte alla crescente esigenza di giustizia, dun- que, «cede anche il dogma della certezza del diritto»: C.M. Bianca, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in Riv. dir. civ., 1983, I, 215.
operazione contrattuale, secondo la segnalata dottrina, non può che essere (unicamente) quello risarcitorio (109), senza alcuna possibilità di incidere sulla validità dell’atto (110). Si esclude, quindi, che alla responsabi- lità precontrattuale possa essere affidata una funzione integrativa o, comunque, di chiusura del sistema delle invalidità negoziali.
Nel sistema si moltiplicano, tuttavia, gli indici normativi alla stregua dei quali sembra potersi desume- re, almeno in via tendenziale, uno «spostamento del comportamento corretto in sede precontrattuale fra i requisiti di validità del contratto» (111). Nello specifi- co, a favore del superamento della dicotomia fra le re- gole di validità e le regole di comportamento e del con- seguente possibile cumulo dei rimedi (invalidità e risar- cimento), sembra muovere la disciplina - di derivazione comunitaria - riguardante i contratti caratterizzati da asimmetria di potere contrattuale (112). Ne consegue un «progressivo scolorimento» (113), in tali contratti, tra le regole di validità e quelle di responsabilità per il prevalere, in essi, dell’esigenza di tutelare i contraenti in condizione di debolezza, spesso vittima di comporta- mento scorretti del contraente dotato di maggior potere contrattuale (114).
Si tratta, quindi, di identificare in concreto la rela- zione intercorrente tra i due gruppi di regole, formulan- do soluzioni con un metodo funzionale (115), il quale tenga conto di tutte le peculiari circostanze del caso concreto, quali il tipo di contratto, le caratteristiche dei beni o dei servizi, le condizioni personali dei contraenti (116).
In fondo, nel sistema delineato dal codice civile, la correttezza nella fase precontrattuale costituisce uno dei requisiti di validità del contratto: la disciplina codicisti- ca dei vizi del consenso, soprattutto del dolo e della vio- lenza, mira proprio a reprimere i comportamenti scor- retti di uno dei contraenti in tale fase (117); essa intro- duce valutazioni di ordine equitativo ed etico nel dirit- to dei contratti, ma limitatamente a comportamenti in- dividuati tipicamente e formalizzati, per i quali è espres- samente prevista la sanzione dell’invalidità (118).
L’interferenza tra i due gruppi di regole nella fase formativa della volontà è, in tal modo, circoscritta. Op- portunamente, al riguardo, si osserva che se, nei con- tratti caratterizzati da asimmetria del potere contrattua- le, un qualsiasi comportamento scorretto - accanto e ol- tre a quelli tipizzati dal legislatore - nella fase delle trat- tative e della formazione del contratto fosse idoneo ad incidere sulla sua validità, verrebbe meno l’incomuni- cabilità assoluta tra i due gruppi di regole, con le corre- late garanzie per le esigenze di certezza del diritto (119). Va qui posto in rilievo che, nella maggior parte dei casi, il legislatore non prevede le sanzioni da applicare
in caso di violazione delle regole di comportamento.
Spetta all’interprete, con una interpretazione siste- matica ed assiologica (120), dare risposta all’interrogati- vo intorno ai rimedi applicabili per la violazione delle
Note:
(109) In questo senso v., in particolare, L. Cariota Ferrara, Il negozio giu- ridico nel diritto privato italiano, cit., 33; F. Santoro Passarelli, op. loc. cit., e, più di recente, L. Mengoni, Autonomia privata e Costituzione, cit., 1 ss.;
A. Di Majo, La tutela civile dei diritti, IV ed., Milano, 2003, 159 ss.; G. Grisi, L’obbligo precontrattuale di informazione, Napoli, 1990, 269 ss.
(110) In senso contrario v. F. Galgano, Squilibrio contrattuale e mala fede del contraente forte, in Contr. impr., 1997, 423; A. Riccio, La clausola ge- nerale di buona fede è dunque un limite generale all’autonomia contrattuale, in Contr. impr., 1999, 21 ss., ma già V Pietrobon, L’errore nella dottrina del negozio giuridico, Padova, 1963, 105 s.; Id., Errore, volontà e affidamen- to nel negozio giuridico, 1990, 104 ss.; R. Sacco, La nozione di contratto, in
R. Sacco e G. De Nova, Il contratto, cit., 355 ss.
(111) E. Scoditti, Regole di comportamento e regole di validità: i nuovi svi- luppi della responsabilità precontrattuale, in Foro it., 2006, I, 1108. Nel sen- so del tendenziale superamento della netta separazione tra le regole di responsabilità e le regole di validità per effetto della peculiare pregnanza attribuita, nel procedimento formativo dell’accordo, al canone ex fide bona nei Princípi di diritto europeo dei contratti elaborati dalla Com- missione Lando: C. Castronovo, Un contratto per l’Europa, cit., XXXVI ss.; G. Vettori, Buona fede e diritto europeo dei contratti, in Eur. dir. priv., 2002, 922 ss.; A. Spadafora, La regola contrattuale tra autonomia privata e canone di buona fede. Prospettive di diritto europeo dei contratti e di diritto in- terno, cit., 98 ss.
(112) Sull’emersione di un paradigma contrattuale, alternativo a quello del contratto di diritto comune, costruito inizialmente sulla base della normativa dei contratti del consumatore e, successivamente, delle disci- pline le quali, a prescindere dalle qualità personali dei contraenti, pre- sentano la caratteristica della debolezza di una parte rispetto all’altra, l’a- simmetria di potere contrattuale, cfr. V. Roppo, Contratto di diritto comu- ne, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattua- le: genesi e sviluppi di un nuovo paradigma, cit., 769 ss. Si osserva che il consumatore non è sempre e per definizione debole; si rileva che, per la variabilità e l’ambiguità della relativa nozione, è impossibile costruirne una categoria unitaria se non in termini essenzialmente descrittivi: P. Perlingieri, La tutela del consumatore tra liberismo e solidarismo, in Id., Il di- ritto dei contratti fra persona e mercato, cit., 309.
(113) F. Cafaggi, Pubblicità commerciale, in Dig. disc. priv., Sez. comm., XI, Torino, 1994, 492.
(114) In questo senso A. Musio, La buona fede nei contratti dei consuma- tori, Napoli, 93 s.
(115) Così G. Perlingieri, Negozio illecito e negozio illegale - Una incerta distinzione sul piano degli effetti, Napoli, 2003, 88 ss.
(116) G. Perlingieri, Regole e comportamenti nella formazione del contratto, cit., 135 ss.
(117) La visione tradizionale, di tipo formalistico, è però fondata «sul presupposto della uguaglianza delle parti contraenti nella formazione della volontà contrattuale, cioè, in altre parole, sul misconoscimento delle disparità di situazione tra coloro che concludono il contratto»: L. Corsaro, L’abuso del contraente nella formazione del contratto, cit., 53. Ne consegue, secondo l’A., che l’ordinamento combatte la violenza e l’in- ganno altrui ma, in assenza di questi fatti, «si disinteressa degli altri fat- tori che determinano la volizione della persona; e, in loro assenza, ritie- ne questa in stato di libertà di volere».
(118) In questo senso G. D’amico, Regole di validità e regole di compor- tamento nella formazione del contratto, cit., 37 ss. Afferma la coinciden- za della responsabilità precontrattuale con il sistema dell’invalidità F. Galgano, Squilibrio contrattuale e mala fede del contraente forte, cit., 418 ss. Per la confutazione della tesi e del sillogismo sul quale si fonda v.
G. Perlingieri, Regole e comportamenti nella formazione del contratto, cit., 75 ss.
(119) A. Musio, op. loc. ult. cit.
(120) Sulla necessità di un’interpretazione sistematica ed assiologica nell’attuale ordinamento italo-comunitario, v. P. Perlingieri, Il diritto ci- vile nella legalità costituzionale. Secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, cit., spec. 580 ss. ed, ivi, ampli riferimenti bibliografici.
regole di condotta; nel caso in esame, occorre doman- darsi se l’illiceità della condotta si rifletta e si propaghi sulla validità dei contratti per mezzo dei quali l’attività è realizzata e, dunque, se, oltre al diritto al risarcimento del danno, da essa discenda anche l’invalidità dei relati- vi contratti (121).
Invero, con riferimento all’abuso di dipendenza economica, introdotto o semplicemente esplicitato dal- l’art. 9, l. 18 giugno 1998, n. 192, il legislatore ha espressamente previsto, quale rimedio applicabile per la violazione delle regole di comportamento, la nullità del contratto attraverso il quale l’abuso di dipendenza eco- nomica si realizza (122). Tale invalidità, ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 1, discende dalla contrarietà del comportamento alla norma imperativa e non desta me- raviglia; essa risponde alle regole generali in tema di nullità.
Al riguardo va segnalato che, secondo l’opinione prevalente in letteratura, l’abuso di dipendenza econo- mica costituisce una clausola generale di abuso di pote- re contrattuale, relativa all’esercizio dell’autonomia pri- vata nelle relazioni tra imprese (123).
Quanto all’abuso di posizione dominante (riguar- dante, nei rapporti tra imprese, lo sfruttamento di una posizione di potere diretto ad incidere sulla libertà ne- goziale dell’altro contraente), risulta controverso se dal divieto delle intese anticoncorrenziali previsto dall’art. 2, comma 3, l. n. 287/90, discenda esclusivamente la nullità dell’accordo anticoncorrenziale (124) oppure anche l’invalidità dei rapporti negoziali conclusi ad un diverso livello della catena produttiva, in ragione della loro necessaria strumentalità all’intesa anticoncorren- ziale (125); essi rappresentano, nella maggior parte dei casi, la fase attuativa dell’intesa anticoncorrenziale in ragione del nesso causale - diretto ed immediato - esi- stente tra quest’ultima e i cc.dd. contratti a valle (126). Le fattispecie abusive presentano indubbie affinità; l’elemento in comune è dato dall’esercizio abusivo del- l’autonomia negoziale - per effetto della posizione di maggiore forza contrattuale - da parte di uno dei con-
traenti.
Con riferimento all’abuso sia di dipendenza econo- mica, sia di posizione dominante, non si è mancato di interrogarsi in merito al profilo dell’eventuale invalidità dei contratti cc.dd. a valle della condotta illecita (127). Invero il medesimo interrogativo va proposto anche per tutti i contratti attraverso i quali si realizza un abuso dell’autonomia negoziale (128).
Ciò con l’avvertenza che, come si è detto, occorre utilizzare un metodo non astrattizzante e generalizzante, il quale possa consentire l’individuazione di una solu- zione «attenta agli interessi in gioco ed alle peculiarità
Note:
(121) Sul punto cfr., ex multis, E. Minervini, Codice del consumo e diretti- va sulle pratiche commerciali sleali, in Le pratiche commerciali sleali. Direttiva comunitaria ed ordinamento italiano, cit., 81 s.
(122) L’art. 9, l. n. 192/1998, al comma 3, dopo aver vietato il compor- tamento abusivo, dispone che: «il patto attraverso il quale si realizza l’a- buso di pendenza economico è nullo».
(123) In questo senso v., ex multis, D. Valentino, Obblighi di informazio- ne, contenuto e forma negoziale, cit., 218 ss.; F. Prosperi, Il contratto di subfornitura e l’abuso di dipendenza economica - Profili ricostruttivi e sistema- tici, cit., 325; Id., La buona fede tra regole di condotta e regole di validità nel- la tutela del contraente debole, cit., 571; F. Macario, Abuso di autonomia ne- goziale e disciplina dei contratti fra imprese: verso una nuova clausola genera- le?, cit., 702-704. Con differente prospettiva cfr. M. Franzoni, Buona fede ed equità tra le fonti di integrazione del contratto, in Contr. impr., 1999, 88;
M. Tamponi, Contratti di subfornitura e contratti agro-industriali: due leggi a confronto, in Nuova giur. civ. comm., 1999, II, 36 ss.; A. Frignani, La subfornitura internazionale - Profili di diritto della concorrenza, in Dir. comm. int., 2000, 683 ss.
(124) Nel senso della esclusiva nullità del contratto attraverso il quale l’impresa abusa della propria posizione dominante, in particolare, C. Selvaggi, Abuso di posizione dominante, in Giur. it., 1992, IV, 134; A. Toffoletto, Il risarcimento del danno nel sistema delle sanzioni per la violazio- ne della normativa antitrust, Milano, 1996, 340, nt. 116; G. Passagnoli, Nullità speciali, Milano, 1995, 44 ss., 150 ss. Con specifico riferimento al- le norme bancarie uniformi v., per la giurisprudenza, Trib. Alba 12 gen- naio 1995, in Giur. it., 1996, I, 2, 212, con nota di Gius. Rossi, Effetti della violazione di norme antitrust sui contratti fra imprese e clienti:un caso re- lativo alle «norme bancarie uniformi»; Trib. Roma 25 maggio 2000, in Banca borsa tit. cred., 2001, II, 88 ss., con nota di G. Falcone, Ancora sul- l’invalidità dei contratti a valle per contrasto delle norme bancarie uniformi con la disciplina antitrust.
(125) Rileva l’inutilità di una sanzione rivolta esclusivamente al cartel- lo, senza ripercussioni sugli strumenti attraverso i quali le imprese conse- guono il vantaggio illecito R. Pardolesi, Cartello e contratti dei consumato- ri: da Leibniz a Sansone ?, in Foro it., 2004, I, 469.
(126) Cosí S. Bastianon, Nullità «a cascata»? Divieti antitrust e tutela del consumatore, in Danno resp., 2003, 1067.
(127) Per i contratti a valle di un’intesa restrittiva della concorrenza cfr., in particolare, O. Palletta, Illeciti antitrust, contratti a valle e presun- zione di danno, in Contr. impr./Eur., 2006, 177 ss.; A. Mantelero, «Per qualche lira in più» o del danno al consumatore nei contratti «a valle» di un’intesa anticoncorrenziale, in Riv. trim., 2004, 329 ss.; A. Bertolotti, Illegittimità di norme bancarie uniformi (NBU) per contrasto con le regole antitrust ed effetti sui contratti a valle: un’ipotesi di soluzione ad un proble- ma dibattuto, in Giur. it., 1997, IV, 345 ss.; Id., Qualche ulteriore conside- razione su intese vietate, contratti «a valle» e sanzione di nullità, in Giur. it., 2002, I, 2, 1211 ss.; Id., Ancora su norme antitrust e contratti «a valle», in Giur. it., I, 2, 2000, 1876 ss.; A.V. Guccione, Intese vietate e contratti individuali «a valle»: alcune considerazioni sulla c.d. invalidità de- rivata, in Giur. comm., 1999, II, 453 ss.; A. Toffoletto, Il risarcimento del danno nel sistema delle sanzioni per la violazione della normativa antitrust, cit., 339 ss.; Gius. Rossi, Effetti della violazione di norme antitrust sui con- tratti tra imprese e clienti: un caso relativo alle norme bancarie uniformi, cit., 220; F. Parrella, Disciplina antitrust nazionale e comunitaria, nullità sopravvenuta, nullità derivata e nullità virtuale delle clausole dei contratti bancari a valle, in Dir. banc., 1996, 507 ss.; G. Guizzi, Mercato concor- renziale e teoria del contratto, in Riv. dir. comm., 1999, 67 ss.; M. Meli, Autonomia privata, sistema delle invalidità e disciplina delle intese anticon- correnziali, Milano, 2001; M. Libertini, Autonomia privata e concorren- za nel diritto italiano, in Riv. dir. comm, 2002, 433 ss. Con riferimento alle norme bancarie uniformi, propendono per la tesi della nullità:
L.C. Ubertazzi, Concorrenza e norme bancarie uniformi, Milano, 1986, 98 ss.; Id., Ancora su norme bancarie uniformi e diritto antitrust, in Dir. banca merc. fin., 1997, 415 ss.
(128) Sul punto e, nello specifico, sull’alternativa tra nullità o annulla- bilità del contratto stipulato a seguito delle svolgimento di una pratica commerciale sleale cfr., in particolare, M. Nuzzo, Pratiche commerciali sleali ede effetti sul contratto: nullità di protezione o annullabilità per vizi del consenso?, in Le pratiche commerciali sleali. Direttiva comunitaria ed ordina- mento italiano, a cura di E. Minervini e L. Rossi Carleo, Milano, 2007, 235; E. Guerinoni, La direttiva sulle pratiche commerciali sleali. Prime note, in Contratti, 2007, 178.
delle situazioni; tesa a non confondere regole di validità e di comportamento» (129).
Va rilevato che, a differenza dei contratti per mez- zo dei quali si realizza direttamente l’abuso della posizio- ne dominante e della dipendenza economica, nei con- tratti a valle di questa condotta illecita (consistente nell’esercizio abusivo dell’autonomia negoziale), il con- trasto con la norma non riguarda ex se il regolamento negoziale, bensì il comportamento che si pone, logica- mente e cronologicamente, a monte della stipulazione del contratto. L’apprezzamento negativo dell’ordina- mento non riguarda in via immediata il contratto; esso è rivolto alla condotta scorretta dell’operatore econo- mico, il quale esercita l’autonomia privata in modo da realizzare un profitto maggiore rispetto a quello che conseguirebbe senza la violazione delle regole di con- dotta.
Quel che appare certo è che il contratto di fornitu- ra, nel caso in esame, non è meramente inefficace: è il concetto di invalidità ad indicare la valutazione negati- va dell’attività negoziale da parte dell’ordinamento, a differenza della inefficacia in senso stretto, la quale at- tiene alla funzionalità del negozio (130).
Non è possibile, in questa sede, analizzare più com- piutamente le problematiche che, per effetto della nor- mativa comunitaria, investono un tema classico del di- ritto civile come quello dell’invalidità contrattuale; va però rilevato che, se i regolamenti contrattuali a valle del comportamento scorretto fossero da considerare in- validi, per essi non sembra invocabile la figura dell’in- validità derivata (131). L’invalidità del contratto a valle del comportamento illecito (a monte) presupporrebbe un collegamento (inesistente) negoziale e funzionale tra la pluralità di contratti collegati; esclusivamente in virtù di esso la causa dell’invalidità dell’atto che rappre- senta il presupposto dell’intera sequenza si comuniche- rebbe ai contratti successivi (132).
La categoria della nullità alla quale fare riferimen- to non è invero quella assoluta (tradizionale). Il legisla- tore comunitario, difatti, sembra attento a salvare più il piano degli interessi che i profili dogmatici; non mera- viglia pertanto che, per effetto delle ipotesi normative di invalidità di derivazione comunitaria (si pensi alla nullità prevista per le clausole vessatorie o alla nullità dei contratti con abuso di dipendenza economica), nel sistema sembra operare un principio generale, in base al quale «un consenso non consapevolmente e libera- mente formato giustifica la nullità relativa del contrat- to» (133). Si tratta di una nullità di protezione posta nell’interesse del contraente debole (134). Il regola- mento contrattuale costituisce l’esito di una condotta (di mala fede) vietata e, pertanto, esso «entra di diritto
- secondo la logica delle nuove e protettive invalidità - nell’orbita del giudizio di nullità» (135). Appare, di conseguenza, confermato l’ipotizzato «progressivo supe- ramento della impermeabilità» fra le regole di compor- tamento e le regole di validità (136).
Si può pertanto convenire con chi distingue l’illi- ceità nella «contrattazione tra eguali», dalla illiceità
Note:
(129) G. Perlingieri, op. ult. cit., 86 ss. L’A. rileva che i due gruppi di re- gole hanno fondamenti diversi e si caratterizzano per la diversità dei ri- spettivi ruoli, i quali soltanto eccezionalmente coincidono.
(130) Sul punto cfr., in particolare, V. Scalisi, Inefficacia (dir. priv.), in Enc. dir., XXI, Milano, 1971, 322 ss.; Id., Il negozio giuridico tra scienza e diritto positivo, cit., 351 ss., secondo il quale l’inefficacia «presuppone una fattispecie rilevante [...] potenzialmente efficace [...] non concerne la struttura dell’atto, bensì la sua funzione»; Id., Il diritto europeo dei rimedi: invalidità e inefficacia, cit., 843. Contra, nel senso che l’inefficacia è co- munque collegata alla presenza di «elementi di turbativa e di conflitto nell’equilibrato assetto delle pretese delle parti e dei terzi»: R. Scogna- miglio, Inefficacia (dir. priv.), in Enc, giur. Treccani, XVI, 1989, 1 ss.
(131) In questo senso v., in particolare, E. Navarretta, Buona fede oggetti- va, contratti di impresa e diritto europeo, cit., 512.
(132) Per la tesi dell’invalidità derivata, con riferimento all’abuso di po- sizione dominante, v., in particolare, L.C. Ubertazzi, Concorrenza e nor- me bancarie uniformi, cit., 98 ss.; Id., Ancora su norme bancarie uniformi e diritto antitrust, cit., 429 ss. Contra, sottolineano l’impossibilità di ravvi- sare qualsiasi collegamento funzionale tra il cartello e i negozi secondari,
G. Oppo, Costituzione e diritto privato nella tutela della concorrenza, in Riv. dir. civ., 1993, II, 549; G. Guizzi, Mercato concorrenziale e teoria del con- tratto, cit., 67. Più in generale, sul collegamento negoziale, cfr. R. Sco- gnamiglio, Collegamento negoziale, in Enc. dir., VII, Milano, 1960, 375;
F. Di Sabato, Unità e pluralità di negozi (contributo alla dottrina del collega- mento negoziale), in Riv. dir. civ., 1959, I, 435; G. Lener, I profili del colle- gamento negoziale, Milano, 1999, 6 ss.; F. Maisto, Il collegamento volontario tra contratti nel sistema dell’ordinamento giuridico, Napoli, 2000, spec. 13 ss.
(133) A. Gentili, Disinformazione e invalidità: i contratti di intermediazione dopo le Sezioni Unite, in Contratti, 2008, 401.
(134) Sulla nullità di protezione quale categoria giuridica autonoma, species del più ampio genus della nullità e sulle nuove funzioni della nul- lità nella normativa comunitaria v., in particolare, G. Passagnoli, Le nul- lità speciali, Milano, 1995, passim; G. Gioia, Nuove nullità relative a tutela del contraente debole, in Contr. impr., 1999, 1332 ss.; S. Polidori, Discipli- ne della nullità e interessi protetti, Napoli, 2001, spec. 16 ss., 72 ss.; R. Qua- dri, «Nullità» e tutela del «contraente debole», in Contr. impr., 2001, 1143 ss.; P.M. Putti, La nullità parziale. Diritto interno e comunitario, Napoli, 2002, 283 ss. e 351 ss.; S. Monticelli, Nullità, legittimazione relativa e rile- vabilità d’ufficio, in Riv. dir. priv., 2002, 685 ss.; A. Gentili, Nullità, an- nullabilità, inefficacia (nella prospettiva del diritto europeo), in Contratti, 2003, 200 ss.; U. Majello, La patologia discreta del contratto annullabile, in Riv. dir. civ., 2003, I, 329 ss.; A. Albanese, Violazione di norme imperative e nullità del contratto, Napoli, 2003, 87 ss.; F. Venosta, Le nullità contrat- tuali nell’evoluzione del sistema, I, Nullità e inesistenza del contratto, Milano, 2004, passim; D.E. Cutugno, Le «nuove» invalidità contrattuali: relative, speciali, virtuali, in Dir. giust., 2004, 103 ss.; M. Mantovani, Le nullità e il contratto nullo, in Tratt. contr. Roppo, IV, Rimedi, a cura di A. Gentili, Milano, 2006, 155 ss.; V. Scalisi, Nullità e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, cit., 489 ss.; Id., Invalidità e inefficacia. Modalità assiologiche della negozialità, in Riv. dir. civ., 2003, I, 201 ss.; Id., Contratto e regola- mento nel piano d’azione delle nullità di protezione, in Riv. dir. civ., 2005, I, 459 ss. (ora in Id., Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al po- stmoderno, Milano, 2005, 619 ss.); Id., Il diritto europeo dei rimedi: invali- dità e inefficacia, cit., 844 ss.
(135) V. Scalisi, Il diritto europeo dei rimedi, cit., 856; secondo l’a. le nul- lità di protezione costituiscono «una categoria elastica e aperta, plurale e complessa, eterogenea e mobile, dai tratti variabili e non sempre omo- genei, il più delle volte individuabili soltanto con un procedimento a posteriori, a seconda degli interessi [...] sottesi»: Id., op. ult. cit., 850. Sul punto cfr., ex multis, G. Villa, Contratto e violazione di norme imperative, Milano, 1993, 156 ss.
(136) S. Polidori, Discipline della nullità e interessi protetti, cit., 235.
nella «contrattazione diseguale» e rileva che, pur essen- do incontrovertibile che, in nessun caso, si possa pre- scindere dalla contrarietà del contenuto dell’atto rispet- to al piano dei valori dell’ordinamento, tuttavia, esclu- sivamente nella contrattazione caratterizzata da asim- metria di potere contrattuale, il piano dei valori «si ar- ricchisce anche dell’esigenza che la disuguaglianza di po- tere (contrattuale) [...] non si trasformi in prevaricazione (detto altrimenti: che la maggiore libertà contrattuale di un contraente non trasmodi in abuso)» (137).
La segnalata esigenza rileva quale interesse indivi- duale del contraente debole, ma soprattutto come inte- resse generale ad un assetto del mercato il quale si costi- tuisca in virtù di una competizione corretta fra le im- prese, piuttosto che attraverso i vantaggi conseguibili attraverso una dinamica negoziale la quale conduca ad un regolamento negoziale penalizzante per un con- traente (138).
Tutto ciò, com’è evidente, contribuisce all’emer- sione dell’esigenza di «ripensare in termini nuovi all’ap- parato rimediale, in una prospettiva innanzitutto fun- zionale alla tutela degli interessi protetti» (139). Sul presupposto che il contratto costituisca un valore, «la dimensione della sua giuridicità, non potrà che essere in- sita in quella stessa autonomia dei privati, di cui esso è espressione [...] fondata su una vincolatività ed una impe- gnatività che [...] costituiscono espressione del costume, della correttezza e della bona fides, da cui discende l’ope- rare di sanzioni» (140).
Per la pratica commerciale consistente nella forni- tura non richiesta, la violazione della relativa regola di comportamento, nella fase della formazione del con- tratto, per così dire, penetra nella fattispecie negoziale»
(141) e, di conseguenza, ne determina la nullità. A questa conclusione si perviene partendo dal presuppo- sto che, ex se, le regole di condotta non sono fondative delle regole di validità, tuttavia, in alcune circoscritte ipotesi, la loro violazione può determinare l’invalidità del contratto «per idoneità della condotta [...] ad inci- dere sulla libera formazione della volontà» (142).
Più precisamente, quando l’illiceità della condotta nella fase formativa del contratto sia tale, come si è det- to, da penetrare nel precetto, non vi è una mera lesione assoluta o relativa della libertà contrattuale (nullità strutturale o annullabilità), bensì un atto «viziato fun- zionalmente, ossia nullo per una condotta illecita che, in un rapporto di causa-effetto, è risultata capace di “colorare” il regolamento di interessi» (143). La relati- va nullità (strutturale) è tale per violenza assoluta; la condotta, pur esterna alla regola contrattuale, ha impe- dito il configurarsi di una volontà imputabile e, pertan- to, in mancanza dell’accordo, il contratto è illegale.
La nullità così delineata contribuisce a tracciare in maniera nuova i rapporti tra le regole di validità e i giu- dizi di responsabilità (144). Le relative problematiche vanno esaminate nel contesto di una riflessione di più ampio respiro che parta dall’interrogativo intorno alla
concezione ed all’idea stessa di contratto verso il quale appare orientato il nuovo ordine giuridico europeo (145).
Il valore del silenzio nella conclusione del contratto
Dal silenzio serbato a fronte dei beni recapitati e dei servizi attivati, non può dunque desumersi il con- senso del destinatario della fornitura non richiesta. La mancanza di risposta del contraente non esprime inve- ro il suo consenso, ma non può nemmeno essere assimi- lata al silenzio.
In ragione dell’elemento in comune rappresentato dal contegno omissivo, non si può tuttavia fare a meno di accostare l’assenza di risposta del contraente al silen- zio. Lo schema invero è usuale, basti pensare che, tradi- zionalmente, sono stati ricondotti al tema del silenzio questioni che con esso nulla hanno a che vedere (146). Opportunamente, al riguardo, si rileva che la problema-
Note:
(137) G. D’Amico, L’abuso di autonomia negoziale nei contratti dei consu- matori, cit., 657.
(138) Cosí G. D’Amico, op. ult. cit., 657 ss.
(139) F. Macario, Abuso di autonomia negoziale e disciplina dei contratti fra imprese: verso una nuova clausola generale?, cit., 680.
(140) G.B. Ferri, Il negozio giuridico tra ordinamento e autonomia, in Auto- nomia negoziale tra libertà e controlli, a cura di G. Fuccillo, Napoli, 2002,
28. L’a. richiama l’insegnamento secondo il quale il negozio giuridico va considerato o quale fatto - in tal caso è esso stesso oggetto di valutazione
- o quale valore e, in questa ipotesi, va individuato «il suo significato di criterio qualificante»: B. De Giovanni, Fatto e valutazione nella teoria del negozio giuridico, Napoli, 1958 115.
(141) Così G. Perlingieri, op. ult. cit., 98 s.
(142) G. Perlingieri, op. loc. ult. cit., Ciò si verifica, secondo l’a., quando la regola di comportamento, «pur essendo indifferente al contenuto del- l’accordo è, tuttavia, idonea ad incidere sulla libera formazione della vo- lontà (nullità per illegalità, rectius mancanza dell’accordo per mancanza totale della volontà)»: Id., op. ult. cit., 119.
(143) G. Perlingieri, Regole e comportamenti nella formazione del contratto,
cit., 117.
(144) Così G. Perlingieri, op. ult. cit., 135 ss. Sul punto cfr. V. Scalisi, Il diritto europeo dei rimedi: invalidità e inefficacia, cit., 851.
(145) In questi termini pone la questione V. Scalisi, op. ult. cit., 846, se- condo il quale il contratto «abbandonati gli antichi e apparentemente stabili ancoraggi della modernità [...] è approdato alla condizione in- quieta e stabile [...] fluida e liquida della modernità». Sul punto cfr. V. Roppo, Contratto di diritto comune, contratto del consumatore, contratto con asimmetria di potere contrattuale: genesi e sviluppi di un nuovo paradig- ma, cit., 769 ss.; Id., Il contratto del duemila, Torino, 2002, 53 ss.; F. Gal- gano, La categoria del contratto alle soglie del terzo millennio, in Contr. im- pr., 2000, 919 ss.; Id., Diritto ed economia alle soglie del nuovo millennio, ivi, 189 ss. Evidenzia la dimensione postmoderna del contratto, connotata da “polimorfismo” G. Benedetti, Tutela del consumatore e autonomia con- trattuale, in Riv. trim., 1998, 27 ss., ora in Materiali e commenti sul nuovo diritto dei contratti, a cura di G. Vettori, Padova, 1999, 809 ss.
(146) Per un quadro d’insieme delle questioni che possono ricompren- dersi nel concetto di silenzio v. A. La Torre, Silenzio (dir. priv.), in Enc. dir., XLII, Milano, 1990, 543 ss. Si noti che, già agli inizi del secolo scor- so, osservava che al tema del silenzio erano state spesso ricondotte «fat- tispecie o casi che propriamente non vi appartengono»: C.F. Gabba, Del silenzio nel diritto civile, in Giur. it., 1901, IV, 341.
tica del silenzio viene «scambiata, identificata con quella del contegno commissivo non dichiarativo» (147).
Invero, negli ultimi tempi, ad un tema tradizionale nella teoria generale del negozio giuridico quale il silen- zio, non sono state dedicate, ex professo, molte riflessio- ni (148). I contributi recenti in tema del silenzio sono esigui (149), in raffronto con i numerosi scritti ad esso dedicati nella dottrina della prima metà del secolo pas- sato, spesso ma non soltanto contenuti in lavori di più ampia portata e di teoria generale del negozio giuridico e del contratto. Per questa ragione occorre fare riferi- mento a tali studi, pur senza sopravvalutare il contribu- to alla riflessione che da essi può derivare, trattandosi di analisi e soluzioni maturate in un contesto culturale e giuridico completamente diverso dall’attuale al quale, nello specifico, erano completamente estranee tutte le problematiche riguardanti le forme di contrattazione moderne.
Va súbito rilevato che su un punto sembrano con- cordare i giuristi di ieri e di oggi, ossia sulla necessità che, per esattamente valutare il significato da attribuire al silenzio del contraente che riceve la proposta con- trattuale, debba constare con sicurezza «che egli ha presso conoscenza, o che è pervenuta al di lui indirizzo» (150).
Da sempre si ha pertanto consapevolezza che «il diffondersi della dottrina che fa del silenzio un mezzo di obbligarsi minaccerebbe tutti gli ordini dei cittadini gravandoli di debiti non voluti o non meditati» (151) e si invita a riflettere «sulla gravità delle conseguenze di ordine sociale, che deriverebbero da una diversa conce- zione: chiunque, per il solo fatto di ricevere una propo- sta di contratto, sarebbe esposto a essere considerato ac- cettante, qualora non si affrettasse a dichiarare che non intende accettare» (152).
Le riflessioni paiono straordinariamente attuali e calzanti con riferimento alle problematiche poste dalla fattispecie (moderna) delle forniture non richieste (153).
La questione, con le relative esigenze di tutela, precede logicamente quella, invero assai dibattuta, del- l’attribuibilità al silenzio del valore di manifestazione di volontà (154), espressa (155) o tacita (156).
Della possibilità di considerare il silenzio quale ma- nifestazione di volontà si è occupata a lungo la dottrina, soprattutto quella più sensibile alle lusighe del dogma consensualistico, al punto che, come si è opportuna- mente rilevato, spesso «si è [...] sacrificata l’indagine tecnico-giuridica in favore di finzioni alle quali è in buona misura dovuto l’abito mentale, ancor oggi saldo, che induce a immaginare, di fronte allo schema di un accordo “claudicante”, volontà tacite o presunte» (157).
L’interrogativo intorno alla attribuibilità al silenzio del significato di manifestazione di volontà si è posto anche in giurisprudenza (158), la quale è stata decisa-
Note:
(147) F. Addis, Lettera di conferma e silenzio, Milano, 1999, 257. Va os- servato che, da sempre, il giurista appare consapevole delle complesse problematiche sollevate dal silenzio. Sul punto v. già, agli inizi del seco- lo, F. Degni, Il silenzio nella conclusione dei contratti, in Studi sul diritto delle obbligazioni, Grottaferrata, 1926, 33, C.F. Gabba, Del silenzio nel diritto ci- vile, in Giur. it., 1901, IV, 338 ss.; Id., Nuove questioni di diritto civile, I, Torino, 1905, 88 ss.
(148) La ragione è individuata nella riconduzione del problema giuridi- co del silenzio alla teoria della manifestazione; in questo senso G. Casti- glia, Silenzio (diritto privato), in Enc. giur. Treccani, Roma, XXVIII, 1992. È significativo che, agli inizi del XX secolo, il tema del silenzio sia stato considerato «uno degli argomenti più eleganti che s’incontrano nella teoria generale del diritto»: V. Simoncelli, Il silenzio nel diritto civile, in Scritti giuridici, I, Roma, 1938, 553 e definito «non meno elegante che controverso»: G. Borgna, Del silenzio nei negozi giuridici, Cagliari, 1901, 3.
(149) Per la letteratura recente v., in particolare F. Rossi, Silenzio e con- tratto. Silenzio dell’oblato e costituzione del rapporto contrattuale, Torino, 2001; R. Rolli, Antiche e nuove questioni sul silenzio come tacita manifesta- zione di volontà, in Contr. impr., 2000, 206 ss.; M.S. Goretti, Il problema giuridico del silenzio, Milano, 1982; F. Addis, Lettera di conferma e silenzio, cit. Sul silenzio come comportamento concludente idoneo a concludere il contratto non vi è molta giurisprudenza; per essa v., in particolare, Cass., sez. II, 25 novembre 1997, n. 11811, in Dvd Juris data e, da ulti- mo, Cass. 16 marzo 2007, n. 6162, in www.italgiure.giustizia.it.
(150) F. Messineo, Contratto (Dir. priv.), in Enc. dir., IX, Milano, 1961, 946.
(151) C. Vivante, Tratt. dir. comm., IV, Milano, 5 ed., 1926, 29 s.
(152) F. Messineo, op. loc. ult. cit.
(153) La prassi delle forniture non richieste invero non sembra costitui- re una specificità della modernità, sul punto cfr. già A. Nattini, La spedi- zione di cose non ordinate, Milano, 1912, passim.
(154) Il valore del silenzio è, da sempre, controverso. Alcuni autori at- tribuiscono al silenzio il valore di manifestazione, ma non di dichiarazio- ne di volontà; in questo senso v., in particolare, F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale I, IX ed., Milano, 1972, 482 ss.; Id., Contratto (Dir. priv.), cit., 946 ss. L’a. rileva che il silenzio consiste sempre nell’i- nerzia, in un non-comportamento, in un «non fatto positivo concluden- te; ossia non è né accettazione, né rifiuto» e, pertanto, non può essere assimilato né alla dichiarazione espressa, né all’accettazione tacita; rap- presenta «il risultato di un’interpretazione legale e dell’attribuzione, da parte dell’ordinamento giuridico, di un significato impegnativo e vinco- lante». Secondo una tesi estrema, il silenzio non rileva nemmeno come forma di comportamento umano, in questo senso A. Tesauro, Il silenzio e l’omissione nella teoria degli eventi giuridici, in Studi in onore di F. Cammeo, II, Padova, 1933, 536 ss., spec. 553, 556.; Id., Il silenzio nella teoria degli eventi giuridici, in Rass. dir. pubbl., 1946, 5 ss.
(155) Secondo un’autorevole dottrina il silenzio consiste in una dichia- razione di volontà espressa, in questo senso v., in particolare, F. Santoro- Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, IX ed., Napoli, 1997, 140; G. Mirabelli, Dei contratti in generale, Torino, 1958, 65 s.
(156) Nel senso che il silenzio possa valere come dichiarazione tacita di volontà già A. Sraffa, Il silenzio nella conclusione dei contratti, in Giur. it., 1898, IV, 353 ss.; S. Perozzi, Il silenzio nella conclusione dei contratti, in Riv. dir. comm., 1906, I, 509 ss.; P. Bonfante, Il silenzio nella conclusione dei contratti, in Scritti giuridici varii, III, Torino, 1921, 150 ss., 158 ss., 174 ss.; A. Vighi, Considerazioni sulla dichiarazione tacita di volontà, Camerino, 1899, 85 ss., 121; C. Vivante, Tratt. dir. comm., IV, Milano, 5 ed., 1926, 31 ss. Per la dottrina risalente distinguono tra silenzio e dichiarazione (o manifestazione) tacita: A. De Martini, In tema di «silenzio» nella conclu- sione dei contratti, in Foro it., 1950, I, 583 s.; D. Barbero, Sistema del diritto privato italiano, I, Torino, 1962, 358.
(157) F. Addis, Lettera di conferma e silenzio, cit., 258.
(158) Sulle condizioni in presenza delle quali il silenzio assume valore negoziale v., in particolare, Cass. 9 giugno 1983, n. 3957, in Dvd Juris
(segue)
mente più cauta e gli ha attribuito il significato di con- senso esclusivamente in presenza di ben precisate e tas- sative condizioni; in assenza di queste ultime, si afferma che il silenzio non sia di per sé idoneo a valere come manifestazione tacita di volontà (159).
In via generale, quindi, il silenzio «inteso come as- senza di dichiarazione e di qualsiasi comportamento dal quale sia possibile ricavare l’intenzione negoziale del soggetto» (160), di per sé, non costituisce una manife- stazione di volontà giuridicamente rilevante (161). Ad esso può persino attribuirsi il valore di dissenso anziché di consenso.
Il silenzio può rilevare quale dichiarazione di vo- lontà esclusivamente qualora si tratti di cd. silenzio cir- costanziato (162) oppure se è intervenuto un accordo in tal senso tra i consociati (163) o, infine, qualora sus- sista in capo al soggetto un obbligo (od onere) di parla- re o di agire ed esso sia rimasto inosservato (164).
In tutte queste ipotesi il valore del silenzio viene a dipendere «non tanto dalla sua espressività, quanto dall’onere e dal dovere di parlare» (165); ne consegue che la relativa manifestazione di volontà va considera- ta alla stregua di un’accettazione tacita. Che un atteg- giamento di inerzia del soggetto, talvolta, possa assu- mere il valore di manifestazione (in senso stretto) di volontà era stato affermato anche dalla dottrina recen- ziore, la quale però si premurava di precisare che que- st’ultimo andava verificato in concreto, con riferimen- to al comportamento complessivo dell’agente ed alle circostanze concrete.
La relativa valutazione spetta all’interprete; egli deve procedere «secondo criteri di esperienza e regole di connessioni empiriche reali. L’operazione logico-spe- rimentale di ricostruzione del significato non è diversa nel caso di silenzio che in qualunque altro comporta- mento manifestativo» (166).
Negli appassionanti studi di teoria generale sul si- lenzio succedutisi nel corso del tempo, particolare in- teresse rivestono quelli - risalenti ai primi del Nove- cento - dedicati alla specifica questione del significato da attribuire al silenzio nella conclusione del contrat- to.
Al riguardo, commercialisti e civilisti appaiono profondamente divisi. Tra i primi - spinti dall’esigenza di semplificare i procedimenti di formazione dei con- tratti nei rapporti mercantili e, in genere, nel diritto commerciale - molti hanno posizioni audaci e attribui- scono al silenzio il valore di accettazione di una propo- sta contrattuale, ogniqualvolta fra i contraenti intercor- ra una relazione d’affari oppure, molto più semplice- mente, se uno di essi sia commerciante (167). I secondi esprimono invece maggiore cautela e affermano che il silenzio possa, qualche volta, rivestire il valore di accet- tazione tacita, ma esclusivamente qualora «la deroga ai princípi fondamentali sia autorizzata dagli usi generali del commercio o dalla consuetudine speciale delle par- ti» (168). In generale, l’atteggiamento dei civilisti è
Note:
(segue nota 158)
data; Cass., 20 febbraio 2004, n. 3403, ivi; Cass., 14 giugno 1997, n.
5363, in Giur. it., 1998, I, 1, 1117 ss.; Cass. 16 marzo 2007, n. 6162, in
(159) V., per tutte, Cass. 14 giugno 1997, n. 5363, in Giur. it., 1998, I, 1, 1117 ss., per la quale il silenzio è di per sé inidoneo a valere come ma- nifestazione tacita di volontà e, a fortiori, non integra il consenso; esso tuttavia può assumere tale portata se accompagnato da particolari circo- stanze: Cass. 9 giugno 1983, n. 3957, cit.; Cass. 22 luglio 1993, n. 8191, in Corr. giur., 1993, 1181 ss.; Cass. 15 aprile 1998, n. 3803, in Foro it., 1998, I, 2133 ss.
(160) R. Troiano e A. Del Ninno, La conclusione del contratto, Torino, 2004, 103.
(161) In questo senso v., in particolare, V. Scalisi, Manifestazione in senso stretto, in Enc. dir., XXV, Milano, 1975, 477 ss.
(162) Sul punto v. G. Visintini, La reticenza nella formazione dei contratti, Padova, 1972, 264 s. La questione era stata prospettata in precedenza da significativa dottrina, per la quale v., in particolare, O. Ranelletti, Il si- lenzio nei negozi giuridici, in Riv. it. sc. giur., 1892, 3 ss.; D. Barbero, Siste- ma, I, cit., 358; E. Osilia, Il silenzio come dichiarazione di volontà, in Riv. dir. comm., 1925, II, 1 ss., spec. 7 e 13; G. Pacchioni, Il silenzio nella con- clusione dei contratti, in Riv. dir. comm., 1906, II, 23 ss.; S. Perozzi, Il silen- zio nella conclusione dei contratti, cit., 509 ss.; F. Messineo, Contratto (Dir. priv.), cit., 946. Esprime dubbi sull’utilità della distinzione tra silenzio ex se e silenzio circostanziato, da ultimo, F. Rossi, Silenzio e contratto. Silen- zio dell’oblato e costituzione del rapporto contrattuale, cit., 59 ss. Al riguar- do, bella l’immagine, adoperata un secolo fa, secondo la quale la volontà di una persona che tace è paragonabile «ad un’immagine fermata sopra una negativa fotografica: la negativa, se la si guarda contro la luce, non dà l’immagine, la quale invece, balza fuori in tutta evidenza sopra un de- terminato sfondo opaco. Il silenzio, per sé stesso, non dice nulla, ma sul- lo sfondo di un dato complesso di circostanze può dire tanto quanto le parole»: G. Pacchioni, op. cit., 26.
(163) Per la tesi secondo la quale sono le parti stesse o la legge ad attri- buire al silenzio un significato predeterminato, v. già N. Coviello, Ma- nuale di diritto civile italiano, IV ed., Milano, 1929, 356 ss.; G. Stolfi, Teo- ria del negozio giuridico, Padova, 1961, 167 ss.; A. Candian, Nozioni istitu- zionali di diritto privato, 4 ed., Milano, 1960, 187 ss.; C. Scuto, Istituzioni di diritto privato, I, Napoli, 1954, 365 s. e, da ultimo, V. Scalisi, Manifesta- zione in senso stretto, cit., 477 ss.
(164) In tal senso già C.M. Mazzoni, Il silenzio come comportamento mo- dificativo del rapporto contrattuale, in Giur. it., I, 1, 1974, 1575; E. Pacifici Mazzoni., Istituzioni di diritto civile italiano, II, 1, 5 ed., Torino, 1928, 454, spec. 497 ss.; Id., Istituzioni di diritto civile italiano, IV, 5 ed., Torino, 1927, 158 e 262 ss.; F. Messineo, Manuale, I, cit., 482 s.; E. Gianturco, Sistema di diritto civile italiano, Napoli, III ed., 1909, 131; V. Simoncelli, Il silenzio nel diritto civile, in Scritti giuridici, I, Roma, 1938, 553 ss., spec. 576 ss. Per la tesi che rinviene il dovere di agire negli usi del traffico e nelle conce- zioni dominanti nel mondo degli affari v. L. Cariota Ferrara, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, cit., 141 ss.
(165) R. Sacco, La conclusione dell’accordo, cit., 79 s., 83. In tal modo si elimina il segnalato rischio che le problematiche del silenzio siano assor- bite in quelle della condotta positiva concludente, cosí R. Rolli, Antiche e nuove questioni sul silenzio come tacita manifestazione di volontà, cit., 206 ss.
(166) V. Scalisi, Manifestazione in senso stretto, cit., 477 ss. Da tempo si rileva che il diritto civile italiano, nel sistema dei contratti, esige la di- chiarazione e non si accontenta della riconoscibilità del volere, poiché il legislatore, quando prescinde dalla necessità della manifestazione di es- so, lo dichiara espressamente: P. Bonfante, I rapporti continuativi e il silen- zio, in Riv. dir. comm., 1915, II, 678.
(167) V., per tutti, E. Vidari, Diritto commerciale, III, V ed., Milano, 1895, 234.
(168) G. Giorgi, Teoria delle obbligazioni nel diritto moderno italiano, V, III, Firenze, 1925, 224. Sul punto cfr., per l’ampiezza delle condizioni che
(segue)
piuttosto prudente e critico nei confronti di una attri- buzione generalizzata al silenzio del valore di accettazio- ne contrattuale (169).
È interessante osservare che, per un giurista del tempo, affinché vi possa essere un contratto occorrono le corrispondenti manifestazioni delle volontà dei con- traenti; pertanto, «se le due manifestazioni corrispon- denti avvengono, il contratto si forma; se manca l’una [...] il contratto non si forma dunque nessuno dovrebbe poter intendere per silenzio il fatto della mancanza di una manifestazione del volere» (170).
Anche nelle contrattazioni moderne vi è l’esigenza di capire se, in concreto, un contegno omissivo acquisti o meno rilievo per il diritto e, soprattutto, se ad esso possa essere attribuito il valore di consenso o, meglio, di accettazione di una proposta contrattuale (171).
Secondo la migliore dottrina, il silenzio, per assu- mere valore concludente, deve essere inquadrato in una situazione di fatto particolarmente qualificata (172), os- sia tale da richiedere una risposta o una presa di posizio- ne del soggetto. Va però rilevato che, ai fini della sua ri- levanza quale manifestazione di volontà, non occorre una dichiarazione o una specifica iniziativa altrui e nemmeno l’esistenza di un dovere di parlare o di agire, all’inosservanza del quale sia subordinato il relativo va- lore manifestativo (173).
Oggi è fortemente avvertita l’esigenza di evitare che «l’unilaterale ingerenza di un soggetto nella sfera giuridica di altri possa, nell’inerzia di questo, portare senz’altro al contratto» (174). Per questo si ritiene inammissibile, in virtù delle potenzialità lesive dell’au- tonomia contrattuale, considerare quale accettazione la mancata risposta ad una proposta o all’esecuzione di es- sa, «ancorché tale valore di adesione venga espressa- mente attribuito al silenzio del destinatario da parte del proponente» (175).
Non è pertanto da escludersi che l’accettazione possa manifestarsi attraverso comportamenti conclu- denti non accompagnati da alcun segno linguistico. Occorre però rispettare l’imprescindibilità dei requisiti minimi dell’accordo, variabili in funzione della bilatera- lità o unilateralità degli effetti gravosi. Per la conclusio- ne del contratto occorre l’esternazione della determina- zione di contrarre da parte di tutti i contraenti a carico dei quali il contratto è destinato a produrre effetti gra- vosi.
Come si è cercato di evidenziare, in base al prin- cipio dell’accordo e nel rispetto dei suoi requisiti mi- nimi, il mero silenzio è idoneo a costituire elemento della fattispecie formativa esclusivamente nello sche-
Note:
(segue nota 168)
consentono di attribuire al silenzio il valore di un’accettazione tacita, O. Ranelletti, Il silenzio nel negozi giuridici, cit., 3 ss. In senso contrario, pur partendo dal presupposto che consenso significa accordo e che il nome stesso di contratto è sinonimo di convenzione o consenso, ritiene neces-
sario che «la nozione genuina del contratto e del consenso non sia tur- bata da figure che rappresentano uno stadio intermedio dell’evoluzione. Qui tacet non utique fatetur, ecco il principio, sed nec negare videtur; e poi- ché in molti casi basta il non negare, il non repugnare, il non dissentire, il non contradicere, il non nolle, che è casa diversa dal velle, dal consentire, in questi casi vale il silenzio»: P. Bonfante, nota a Cass. Firenze 24 luglio 1899, in Foro it., 1900, XXV, I, c. 470.
(169) V., per tutti A. Sraffa, Il silenzio nella conclusione dei contratti, cit., 355, 360 s.; Id., L’accettazione delle fatture e il silenzio, in Riv. dir. comm., 1903, I, 27 ss.. Nello stesso senso v. E. Osilia, Ill silenzio come dichiarazio- ne di volontà, cit., 7; C. Vivante, Tratt. dir. comm., III, Torino, 1899, 28;
A. Bruschettini, Il silenzio nella conclusione dei contratti, in Il dir. comm., 1899, 27.
(170) S. Perozzi, Il silenzio nella conclusione dei contratti, cit., 509. L’a. re- plica alla tesi che distingue il silenzio puramente fisico da quello giuridi- co in base alla positività o negatività del comportamento, per la quale v.
G. Pacchioni, Il silenzio nella conclusione dei contratti, cit., 29, e rileva che, ex se, non esistono contegni che possano dirsi positivi o negativi, poiché «un atto è positivo o negativo sempre in funzione di qualche idea di atto».
(171) Nel senso che, nell’ordinamento italiano, il silenzio non equival- ga ad accettazione, poiché esso «indica l’inerzia del soggetto che non manifesta alcuna volontà e non è dunque idoneo a perfezionare l’accor- do»: H. KÖtz e S. Patti, Diritto europeo dei contratti, Milano, 2006, 58, i quali passano in rassegna, con riferimento anche all’esperienza francese e tedesca, le ipotesi eccezionali nelle quali, in questi sistemi, al silenzio è attribuito il valore di accettazione.
(172) In questo senso già C.F. Gabba, Del silenzio nel diritto civile, in Nuove questioni di diritto civile, I, Milano-Torino-Roma, 1912, 105 ss.; V. Scialoja, Negozi giuridici, 3 rist, Roma, 1933, 69 s. Più di recente v. L. Cariota Ferrara, Volontà, manifestazione, negozio giuridico. Un nuovo pro- blema, in Ann. dir. comp., 1941, ss.; Id., Il negozio giuridico nel diritto priva- to italiano, cit., 141 ss.; M. Allara, La teoria generale del contratto, II ed., Torino, 1955, 231 s.; E. Betti, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. dir. civ. Vassalli, rist. II ed., Torino, 1952, 141 ss.; G. Giampiccolo, Note sul comportamento concludente, in Riv. trim., 1961, 782 ss.; Id., La di- chiarazione recettizia, Milano, 1959, 43 ss.; C. Smuraglia, Il comportamen- to concludente nel rapporto di lavoro, Milano 1963, 40 ss.
(173) Così V. Scalisi, Manifestazione in senso stretto, cit., 477 ss. Mi piace ricordare, sul presunto dovere di parlare, ossia sulla buona fede la quale imporrebbe di rispondere con un categorico rifiuto qualora non si inten- da accettare la proposta, l’opinione di circa un secolo fa, secondo la qua- le «Questa non è buona fede, ma un laccio teso alla buona fede altrui, e nessun dovere di solidarietà impone di impiccarsi al laccio disposto dal- l’avversario»: P. Bonfante, Il silenzio nella conclusione dei contratti, in Riv. dir. comm., 1906, II, 224. L’A., quasi consolatoriamente, si appella, al tempo-galantuomo, rilevando che il silenzio riveste un’importanza straordinaria, poiché «il non contrastare l’operato altrui che infrange la nostra sfera giuridica è quasi sempre una debolezza, talora un’immora- lità, e la debolezza o l’immoralità, anche quando non abbiano sanzione nel diritto, l’hanno nel fatto e nella vita; l’hanno nella forza delle cose e del tempo»: Id., Il silenzio nella conclusione dei contratti, in Riv. dir. comm., 1907, I, 125.
(174) G. Castiglia, op. loc. cit. Secondo l’A. è necessario che il giudizio di concludenza relativo al silenzio venga formulato solo quando tra le parti preesistano relazioni d’affari. In tal senso anche la risalente giuri- sprudenza di legittimità, per la quale v. Cass. 26 maggio 1965, n. 1054, in Giur. it., 1966, I, 1, 613 ss., con nota di A. Genovese, La rinuncia del proponente ai requisiti formali dell’accettazione; Cass. 7 giugno 1966, n. 1501, in Giust. civ., 1967, I, 788 ss., con nota di G.E. Longo, De... reci- tatione codicis, ovvero dell’incertezza del diritto; Cass. 15 gennaio 1973, n. 126, in Giur. it., 1974, I, 1, 1573 ss., con nota di C.M. Mazzoni, Il silen- zio come comportamento modificativo del rapporto contrattuale. Per la coeva giurisprudenza di merito cfr. App. Bologna 13 aprile 1950, in Foro it., 1950, I, 582 ss., con nota di A. De Martini, In tema di «silenzio» nella conclusione dei contratti; App. Milano 11 gennaio 1952, in Giur. it., 1953, I, 2, 73 ss., con nota di A. Travi, Silenzio e formazione dei contratti.
(175) R. Rolli, Antiche e nuove questioni sul silenzio come tacita manifesta- zione di volontà, cit., 206 ss.
ma disciplinato all’art. 1333 c.c. (176), secondo il quale non è necessario il rifiuto della proposta con- trattuale (177).
Tuttavia tale schema costituisce un’eccezione nel sistema; ciò per la riconosciuta esigenza di ricondurre al contratto - inteso come incontro di volontà delle parti - ogni vicenda idonea incida sulle sfere giuridico-patri- moniali degli interessati.
È significativo, a mio parere, che il principio se- condo il quale il silenzio non equivale ad accettazione e non integra consenso sia stato codificato sia dalla Con- venzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili, sia dalle due principali proposte di armonizza- zione europea della disciplina del contratto (i Principles of European Contract Law e i Princípi Unidroit) (178).
L’art. 18, comma 1, della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili dell’11 apri- le 1980, ratificata in Italia con legge 11 dicembre 1985,
n. 765, difatti afferma che: «Il silenzio e l’inerzia, di per sé, non equivalgono ad una accettazione» (179). Ana- logamente, ai sensi dell’art. 2.1.6 dei Princípi Unidroit,
«Il silenzio e l’inerzia, di per sé, non equivalgono ad ac- cettazione»; mentre, secondo l’art. 2:204 dei Princípi Lando, «Il silenzio o la passività per sé sola non costi- tuisce accettazione».
Esclusa pertanto la possibilità, come si è visto, in assenza di risposta del consumatore, di considerare con- cluso il contratto in base ad un procedimento formati- vo diverso dallo schema generale (180), deve ritenersi operante lo schema generale di formazione del contrat- to previsto dagli artt. 1326 ss. Esso è basato sul principio generale individuato nell’art. 1325 c.c., secondo il qua- le l’accordo è elemento essenziale del contratto; la sua mancanza è sanzionata con la nullità e ad esso non si può derogare in considerazione dell’interesse alla celere conclusione degli affari, alla rapidità e frequenza degli scambi.
In mancanza della risposta da parte del contraente, diversamente da quanto affermano i giudici del Supre- mo Collegio, il contratto non è inesistente, ma nullo (181). Il consenso non è «semplicemente “catturato” con metodi arditi; ma è [...] piuttosto, del tutto “inven- tato”» (182).
In assenza del consenso, non occorre che il consu- matore si attivi in alcun modo. Non è necessario, ad esempio, che egli restituisca la merce o richieda la di- sattivazione di un servizio attivato automaticamente mediante l’invio di raccomandate di disdetta o via mail o telefonando a numeri verdi; manca il titolo per qual- sivoglia pretesa economica e, pertanto, le relative som- me illegittimamente percepite vanno rimborsate.
Si può ben dire, utilizzando una metafora, che oc- corre «liberare, per così dire, l’oro vero dall’oro falso, ovvero, [...] far risaltare, più pregiata e prestigiosa di pri- ma, l’autentica “naturale”, insostituibile (salvo eccezio- ni) causa dei vincoli giuridici dei privati: la dichiarazio- ne di volontà o la volontà tot court» (183).
Note:
(176) Da ultimo, nel senso che «al di fuori di esso e dei suoi presupposti di sequenza e di unilateralità degli effetti gravosi, esso non può valere come manifestazione del consenso né contribuire al perfezionamento della fattispecie formativa»: A. D’Angelo, op. ult. cit., 84 s.
(177) L’art. 1333 c.c. è, per molti versi, riconducibile all’art. 36, quarto comma, cod. comm. In riferimento ad esso è stata elaborata, come si è visto, la tesi del contratto a formazione unilaterale: R. Sacco, La conclu- sione dell’accordo, cit., 58 ss.; Id., Contratto e negozio a formazione unilate- rale, cit., 951 ss. In questo senso già A. Scialoja, La dichiarazione di vo- lontà come fonte di obbligazioni, in Studi di diritto privato, Roma, 1906, 99 ss., secondo il quale il silenzio del destinatario «non è l’elemento perfe- zionativo del contratto, ma solo il fondamento della presunzione legale che il contratto si sia perfezionato»; G. Gorla, Il dogma del “consenso” o “accordo” e la formazione del contratto di mandato gratuito nel diritto conti- nentale, in Riv. dir. civ., 1956, I, 923 ss.; F. Carresi, Il contratto, cit., 93 ss.; Id., Il contratto con obbligazioni del solo proponente, in Riv. dir. civ., 1974, 393 ss.; P. Vitucci, I profili della formazione del contratto, cit., 35. Al riguar- do non è mancata la tesi che ha negato trattarsi di un contratto, prefe- rendo individuare nella norma un indice di legittimazione degli atti uni- laterali soggetti a rifiuto: G. Benedetti, Dal contratto al negozio unilaterale, cit., 121 ss. Nell’ottica delle promesse unilaterali, in una prospettiva procedimentale, è stato indagato il rapporto tra l’art. 1987 c.c. - con il discusso principio di tipicità delle promesse unilaterali - e l’art. 1333 c.c., sul punto v. A. D’Angelo, Le promesse unilaterali, Milano, 1996, 105 ss.; Id., Promesse unilaterali, in Dig. it., Torino, 1997, XV, 420; A. Palazzo, Profili di invalidità del contratto unilaterale, in Riv. dir. civ., 2002, 587.
(178) Sulla altre iniziative in corso per la redazione di princípi dei con- tratti commerciali in Europa v., ex multis, F. Marrella, La nuova lex mer- catoria. Princípi Unidroit ed usi dei contratti del commercio internazionale, cit., 288 ss.
(179) Sul punto v., in particolare, S. Patti, Silenzio, inerzia e comporta- mento concludente nella convenzione di Vienna sui contratti di vendita inter- nazionale di beni mobili, in Riv. dir. comm., 1991, I, 135 ss.
(180) Sulla pluralità dei procedimenti di formazione del contratto e sul- la vetustà del modulo “scambio tra proposta e accettazione”, cfr. la nota e risalente posizione di G. Gorla, Il dogma del “consenso” o “accordo” e la formazione del contratto di mandato gratuito nel diritto continentale, cit., 923 ss.; Id., La “logica-illogica” del consensualismo o dell’incontro dei consensi e il suo tramonto, cit., 254 ss.; Id., Il potere della volontà nella promessa come negozio giuridico, in Riv. dir. comm., 1956, I, 18 ss.; G. Benedetti, Dal con- tratto al negozio unilaterale, cit., 40 ss.; P. Spada, Cautio quae indiscrete loquitur: lineamenti funzionali e strutturali della promessa di pagamento in Riv. dir. civ., 1978, I, 750 ss.; R. Sacco, Il contratto, cit., 37 ss.; A.M. Be- nedetti, Autonomia privata procedimentale e formazione del contratto virtua- le: annotazioni sull’art. 13 d.leg. 70/2003, in Dir. internet, 2006, 78 ss.; Id., Autonomia privata procedimentale. La formazione del contratto fra legge e volontà delle parti, cit., 1 ss. e, più di recente, R. Di Raimo, Autonomia privata e dinamiche del consenso, cit., 105 ss.
(181) Nel senso della necessaria confluenza della categoria dell’inesi- stenza giuridica in quella di nullità per mancanza di accordo, in ragione dell’irrilevanza pratica della autonoma configurabilità dell’inesistenza sul piano logico v. S. Polidori, Discipline della nullità e interessi protetti, cit., 293 ss., secondo il quale «la fondazione dell’inesistenza del contratto trova palmare giustificazione sul piano logico [...] La fondatezza del con- cetto astratto, tuttavia, cede decisamente il passo di fronte all’impossibi- lità di individuare una vicenda concreta suscettibile di favorire l’appro- do della categoria nelle aule dei tribunali». In senso contrario e, dun- que, per l’inesistenza del contratto, v. V. Roppo, Il contratto, cit., 95 s. e 744 s.
(182) A.M. Benedetti, Offerta di variazione di tariffa di abbonamento te- lefonico, silenzio del cliente e mancato perfezionamento del contratto, in Con- tratti, 2003, 439.
(183) E. Ferrero, «Dichiarazione espressa», «dichiarazione tacita» e autono- mia privata, cit., 181 s.