Contract
SOLUZIONI LAVORO
OSSERVATORIO PERMANENTE IN MATERIA DI LAVORO, SINDACATO E PREVIDENZA SOCIALE COORDINATO DA XXXXX XXXXXXX XXXXXXX DIRETTO DA XXXXXX XXXXXX
APPALTO: NOZIONE E REQUISITI DI LEGITTIMITÀ
MONOTEMA N. 11/2018
Appalto: nozione e requisiti di legittimità
di Xxxxx Xxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxx Xxxxxxx
* * *
SOMMARIO: 1. Nozione di appalto: oggetto, soggetti e certificazione – 2. Requisiti dell’appalto
– 3. Appalto lecito ed illecito
1. Nozione di appalto: oggetto, soggetti e certificazione
L’appalto (art. 1655 c.c.) è un contratto di natura commerciale con il quale una parte (appaltatore) assume, con organizzazione di mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro, a favore di un altro soggetto (committente). Vi è dunque, a monte, la scelta imprenditoriale di affidare all’appaltatore l’esecuzione di una frazione dell’attività produttiva, determinandosi, così, una diversa realtà organizzativa autonoma e separata rispetto a quella dell’appaltante (x. Xxxx.11 settembre 2000, n. 11957, RIDL, 2001, II, con nota di X. XXXXX XXXXXX).
In particolare, la distinzione tra appalto d’opera e appalto di servizi riguarda l’oggetto del contratto, che può consistere sia in opere che in servizi, intendendosi per “opera” qualsiasi modificazione dello stato materiale di cose preesistenti e per “servizio” qualsiasi utilità diversa dalle opere. Più specificamente, sono appalti di opere quelli che comportano per l'appaltatore una attività di rielaborazione e di trasformazione della materia, diretta a produrre un nuovo bene materiale ovvero ad apportare sostanziali modifiche ad un bene già esistente; negli appalti di servizi, invece, l'attività dell'appaltatore è volta a realizzare una utilità od a soddisfare un determinato interesse del committente, senza elaborazione della materia (x. Xxxx. 17 aprile 2001, n. 5609, Contratti, 2001, 8-9, 818; Cass. 4 dicembre 1997, n. 12304, ivi,
1998, 2, 161; Trib. Roma 7 marzo 2007, RGL, 2008, II, 182, con nota di X. XXXXXXX).
L’obbligazione assunta dall’appaltatore si configura, inoltre, come una obbligazione di risultato (l’orientamento della Cassazione, sul punto, è consolidato. Per la giurisprudenza di merito, x. Xxxx. Xxxx 00 ottobre 2006, GI Mass., 2006; Trib. Bari 13 luglio 2006, ivi, 2006). L’appaltatore è, pertanto, inadempiente se non realizza l’opera o il servizio, non procurando al committente il risultato pattuito nel contratto, oppure se la esegue difformemente dal progetto pattuito.
Nel contratto di appalto, i soggetti sono: l’appaltatore, cioè l’impresa che si impegna contrattualmente all’esecuzione dell’opera o del servizio; l’appaltante (o committente), cioè il soggetto, anche non imprenditore, presso il quale o a favore del quale vengono eseguiti i lavori; ed i lavoratori utilizzati dall’appaltatore, ai quali l’ordinamento riconosce precise tutele (art. 29, D.LGS. n. 276/2003, e successive modifiche ed integrazioni).
Ai fini della distinzione concreta tra contratto di somministrazione, appalto genuino e interposizione illecita, il contratto di appalto può essere certificato, sia nella fase di stipulazione del contratto, sia nella fase di attuazione del relativo programma negoziale, con applicazione in tale sede di “codici di buone pratiche e indici presuntivi” individuati con decreto ministeriale, recependo, ove esistano, le indicazioni degli accordi interconfederali o nazionali (art. 84, co. 1 e 2, D.LGS., n. 276/2003, e successive modifiche ed integrazioni; v. anche art. 9, D.M. 21 luglio 2004).
Ciò, “anche ai fini della distinzione concreta tra somministrazione di lavoro e appalto” (ai sensi delle disposizioni di cui al Titolo III del D.LGS. n. 276/2003) e nel quadro di una “rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e della assunzione effettiva del rischio tipico di impresa da parte dell'appaltatore” (art. 84, co. 2, D.LGS. n. 276/2003).
2. Requisiti dell’appalto
L’art. 29, D.LGS. n. 276/2003, disciplina la fattispecie negoziale dell’appalto ed i suoi limiti di ammissibilità, richiamando l’art. 1655 c.c., ed operando una distinzione con l’istituto della somministrazione di manodopera (co.1), in ragione dell’attenzione centrale del legislatore verso la titolarità, lo svolgimento del rapporto di lavoro ed i diritti/doveri delle parti in modalità lavorative esternalizzate che si prestano a facili raggiri a danno dei lavoratori.
In questa ottica, la legge prevede che l’appaltatore, per compiere l’opera o il servizio commissionati, deve avere due precise caratteristiche (art. 29, D.LGS. n. 276/2003) che lo differenziano profondamente alla somministrazione di manodopera e cioè:
A) l’assunzione del rischio d’impresa, nel senso che egli deve rispondere del risultato finale dinanzi al committente. Infatti, l’appalto non fittizio, ai sensi dell’art. 1655 c.c., denominato anche “genuino” si distingue dalla “interposizione illecita” e dalla “somministrazione di lavoro” in quanto l’appaltatore non si limita a fornire personale, ma organizza i mezzi necessari ed assume il rischio di impresa (artt. 29, co. 1 e 84, co. 2, D.LGS. n. 276/2003).
In particolare, l’appaltatore è onerato del duplice rischio di gestire l’intera attività lavorativa complessivamente valutata (Min. Lav. Nota n. 15749/2007) e di non coprire con i ricavi i costi dell’attività dedotta nell’appalto. Ciò, poiché il contratto di appalto, generando un’obbligazione di risultato verso il committente, espone l’appaltatore all’eventuale risultato negativo dell’attività, qualora l’opera o il servizio non siano portati a compimento (cfr. M.T. CARINCI, La fornitura di lavoro altrui. Interposizione. Comando. Lavoro temporaneo. Lavoro negli appalti – art. 2127, in Comm. cod. civ. diretto da X. XXXXXXXXXXX, Xxxxxxx, 2000; Min. Lav. Nota 27 novembre 2007, n. 15749). A tale riguardo, occorre verificare se manchi l’assunzione del rischio d’impresa (con conseguente illiceità dell’operazione negoziale) laddove vi sia coincidenza fra il corrispettivo pattuito per l’esecuzione dell’opera o del servizio oggetto dell’appalto ed il costo dei lavoratori impiegati nello stesso. Ciò, soprattutto nel caso di appalti ad alta intensità organizzativa; diversamente, invece, per quelli a bassa intensità organizzativa in cui il fattore personale prevale su quello materiale, il rischio dell’illiceità appare più modesto.
B) l’organizzazione dei mezzi necessari per l’esecuzione del contratto, nel senso che l’appaltatore impartisce direttive ai lavoratori alle proprie dipendenze, senza che il committente possa interferire nelle modalità concrete di svolgimento del rapporto di lavoro (nel senso che un appalto può essere considerato genuino anche in presenza di direttive da parte del committente, purché esse non riguardino le concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, bensì il raggiungimento del risultato concordato con l’appaltatore, cfr. Trib. Reggio Xxxxxx 19 luglio 2012, LG, 2012, 1117).
L’organizzazione dei mezzi, dunque, a termini di legge, “può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto” (art. 29, co. 1, D.LGS. n. 276/2003) (V. App. Genova 9 ottobre 2012, n. 940, GLav., 2013, n. 21, 31; Trib. Pisa 10 luglio 2009, n. 268, RIDL, 2010, II, 3, con nota di P. ALBI). In altri termini, l’esercizio, da parte dell’appaltatore, di tal potere direttivo/organizzativo può configurare un appalto lecito (sempre con riguardo alle “esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto”).
Come si evince, infatti, dal tenore letterale della disposizione, l’“organizzazione dei mezzi” non coincide necessariamente con il conferimento delle attrezzature o dei mezzi materiali destinati all’opera o al servizio, ma principalmente con l’assunzione e la direzione del personale impiegato (v. App. Genova 27 ottobre 2011, n. 959, GLav, 2012, n. 10, 47; Tar Lombardia, Sez. Brescia, 4 marzo 2008, n. 212). Il che vale, soprattutto, per gli appalti che non richiedono un rilevante impiego di beni strumentali in cui l’apporto umano assume
connotazione prevalente, per cui il criterio discretivo legittimante non può che essere ricercato nell’esercizio da parte dell’appaltatore “del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto” (art. 29, co. 1).
In questo caso, l’appaltatore assume il rischio dell’impresa, occorrendo che, nelle modalità esecutive del lavoro, l’esercizio dei poteri datoriali sia rimesso all’appaltante (si pensi ad attività come i servizi infermieristici in cui l’accordo commerciale prevede che il committente si giovi (senza alcuna assunzione diretta ) del personale dell’impresa appaltatrice anche se la sua attività consiste proprio nel garantire i servizi di cura alle persone) (v. X. XXXXXXXX, Appalti labour intensive fittizi e irregolari: spunti di riflessione, LG, 2017, 549)
L’applicazione del precetto è comunque rinviata all’apprezzamento giudiziale sia per quanto concerne la relatività del disposto legislativo (la liceità dell’appalto “può anche risultare”) sia dal criterio di funzionalità contenuto nel dettato normativo (applicabili “in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto). Il che, com’è intuibile, espone ad inevitabili oscillazioni interpretative. Così, ad esempio, negli appalti endoaziendali, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di una serie di attività strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, non possono far capo all’appaltatore solo meri compiti di gestione amministrativa del rapporto (come la retribuzione e la pianificazione delle ferie) senza una reale organizzazione delle prestazioni lavorative, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo (Cass. 6 aprile 2011, n. 7898 e 20 maggio 2009, n. 11720). L’esercizio del potere direttivo/organizzativo ad opera del committente rappresenta, infatti, un indice rivelatore che rende illecito l’appalto, soprattutto se accompagnato da una scarsa consistenza dei mezzi materiali (in tal senso, Cass. pen., sez. III, 20 dicembre 2004, n. 3714, DG, 2005, 13, 77, con nota di X. XXXXXXXXXXXX).
Questi, infatti, possono essere forniti dal soggetto che riceve l’opera o il servizio (committente) (v. Trib. Milano 5 maggio 2010, LG, 2010, 735), purché la responsabilità del loro utilizzo rimanga in capo all’appaltatore e purché, attraverso la fornitura di tali mezzi, non sia invertito il rischio di impresa, che deve in ogni caso gravare sull’appaltatore (con riferimento agli appalti c.d. “endoaziendali”, la giurisprudenza ha escluso la genuinità dell’appalto quando l’appaltatore mette a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore stesso i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che, da parte sua, ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo (cfr. Cass. 13 marzo 2013, n. 6343; Cass. 5 novembre 2012, n. 18922; Cass. 17 febbraio 2010, n. 3681; Cass. 9 marzo 2009, n.
5648, DRI, 2009, 735; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4138; per la giurisprudenza di merito, v.
Trib. Firenze 27 aprile 2016, LG, 2016, 828).
In sintesi, l’esecuzione dell’opera o del servizio deve essere predisposta e gestita dall’appaltatore. Il che può risultare:
- da un lato (soprattutto quando l’opera o il servizio siano labour intensive), dal fatto che i lavoratori utilizzati nell’appalto siano effettivamente organizzati e diretti dall’appaltatore e/o anche dalla capacità dell’impresa appaltatrice di realizzare un risultato produttivo autonomo e “separabile” rispetto a quello del committente. Con la conseguenza che sono considerati illeciti i casi in cui non vi è un contributo specifico in termini di know how da parte dell’appaltatore e l’attività resa in appalto non si distingue dal core business del committente, richiedendo, sotto il profilo organizzativo, unicamente di prestabilire la turnazione del lavoro da eseguire (x. Xxxx. 21 luglio 2006, n. 16788 e X. XXXXXXXX, Xxxxxxx, nozione lavoristica e tutela dei crediti retributivi dei lavoratori, DRI, 2016, 526-527). Qualora, poi, vi sia un conferimento di mezzi, macchinari (ad es. informatici) ed attrezzature da parte dell’appaltante, sussiste una fattispecie vietata ogni qualvolta non sia verificabile un rilevante apporto dell’appaltatore mediante il conferimento di capitale in termini di know how, software ed altri
beni immateriali aventi rilievo preminente nell’economia dell’appalto (x. Xxxx. 15 luglio 2009, n. 15693);
- d’altro lato, dall’assunzione, da parte dell’appaltatore, del rischio d’impresa relativo alla predisposizione, gestione ed esecuzione dell’opera o del servizio (così, X. XXXXX, Manuale di diritto del lavoro, Cedam, 2018, 150).
3. Appalto lecito ed illecito
La genuinità dell’appalto non rileva in astratto, ma deve apprezzarsi in concreto nell’ambito dell’operazione negoziale instaurata fra le parti, poiché, com’è intuibile, anche un imprenditore in sé genuino potrebbe, nei fatti atteggiarsi, nei confronti del committente come mero intermediario di manodopera (v., già Xxxx. S.U. 21 marzo 1997, n. 2517, MGL, 1997, 851, con nota di C. M. CAMMALLERI).
Non sempre, dunque, è agevole accertare se l’impresa appaltatrice opera in condizioni di reale autonomia organizzativa e gestionale rispetto all’impresa committente. Ciò, soprattutto, laddove sia scarso l’apporto di mezzi materiali e particolarmente “rarefatta” l’organizzazione. Il riferimento è agli “appalti a bassa intensità organizzativa” e “ad alta intensità di lavoro” come, ad esempio, la manutenzione ordinaria degli impianti, la pulizia, il facchinaggio, la vigilanza, i servizi informatici e, in generale, gli appalti con apporto di know how. In questi casi, l’oggetto dell’appalto coincide per lo più con le energie fisiche dei dipendenti dell’appaltatore; il che rende particolarmente rilevante l’elemento della direzione e organizzazione del lavoro da parte dell’appaltatore (sulla rilevanza assunta dal potere direttivo del committente nei confronti dei dipendenti dell’appaltatore, negli appalti con scarso apporto di mezzi, v. P. ALBI, Il contratto di appalto, in X. XXXXXX (a cura di), Il mercato del lavoro, Trattato di diritto del lavoro, a cura di X. XXXXXXXX e X. XXXXXXX, Xxxxx, 1602- 1603; Cass. 12 settembre 2001, n. 15665, RIDL, 2002, II, 772, con nota di X. XXXXX; Cass.
13 settembre 1997, n. 9144, GC, 1998, I, 3223, con nota di X. XXXXXXXXXX).
Si configura un fittizio contratto di appalto (c.d.pseudoappalto o “sub-appalto di manodopera”), che maschera una interposizione illecita di manodopera, quando lo pseudo- appaltatore si limita a mettere a disposizione dello pseudo-committente le mere prestazioni lavorative dei propri dipendenti, che finiscono per essere alle dipendenze effettive di quest’ultimo, il quale detta loro le direttive sul lavoro, esercitando su di essi i tipici poteri datoriali (x. Xxxx. 3 settembre 2015, n. 17516, secondo cui i contributi previdenziali pagati dal datore di lavoro fittizio sono irripetibili, costituendo adempimento del terzo ex art. 1180 c. c., e non esistendo l’indebito soggettivo ex art. 2036 c.c. perché il datore fittizio è corresponsabile e non può invocare l’errore scusabile; Cass. 13 settembre 2016, n. 17969, secondo cui il licenziamento intimato dal finto appaltatore deve essere impugnato anche nei confronti del committente che agisce di fatto come datore).
Pertanto, mentre nel caso di appalto “genuino” l’appaltatore non risulta essere un intermediario, ma un vero e proprio imprenditore che, come tale, impiega una propria organizzazione produttiva ed assume i rischi della realizzazione dell’opera o del servizio pattuito, al contrario, nello pseudo-appalto le parti, pur deducendo formalmente in contratto l’esecuzione di un’opera o di un servizio, dissimulano una mera fornitura di manodopera che si risolve in un’ipotesi d’interposizione illecita, che non rispetta i limiti oggettivi e soggettivi imposti dalla legge per la somministrazione di lavoro regolare.
Secondo i criteri elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza (elencati anche dal Ministero del Lavoro nella Circ. n. 5/2011), è considerato legittimo l’appalto nel quale l’appaltatore eserciti il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto ed assuma il rischio economico nell’esecuzione dei lavori appaltati, anche se l’apporto di attrezzature e di capitale da parte dell’appaltatore risulti assente o marginale (x. Xxxx. 14 novembre 2008, n. 27164) rispetto a quello delle prestazioni di lavoro (i mezzi possono,
quindi, anche non essere di proprietà dell’appaltatore, purché tale circostanza sia dedotta in contratto) (x. Xxxx. 29 gennnaio 2004, n. 7762) . Così, ad esempio, si può configurare un appalto genuino laddove l’appaltatore realizzi autonomamente un prodotto finito spendibile sul mercato (x. Xxxx. 6 aprile 2011, n. 7898 e 28 marzo 2011, n. 7034) ovvero, nel caso dei call center, quando gli accordi commerciali prevedano, oltre che la riduzione dei costi di manutenzione, il perseguimento di specifici risultati produttivi volti ad una maggiore soddisfazione dell’utenza.
- Più specificamente, l’appalto è “genuino” quando:
- - vi è eterodirezione dell’appaltatore, nel senso della sussistenza dell’organizzazione del personale e del processo produttivo in capo all’appaltatore prima ancora del possesso dei mezzi per l’esecuzione dell’opera (Cass. 17 gennaio 2018, n. 938);
- - vi è assunzione del rischio di impresa in capo all’appaltatore (x. Xxxx. 28 luglio 2017, n.
18808);
- - l’attività svolta rientra concretamente fra quelle tipiche dell’appaltatore;
- - l’opera realizzata ha carattere contingente che si esaurisce in un tempo determinato;
- - l’appaltatore contribuisce in modo significativo al raggiungimento del risultato fissato nel contratto;
- - non vi è inserimento stabile dei lavoratori impegnati nell’appalto nel contesto organizzativo del committente;
- - le prestazioni svolte dai lavoratori dell’appaltatore non appartengono alle mansioni tipiche dei dipendenti dell’appaltante;
- - l’attività lavorativa dei lavoratori utilizzati non rientra esclusivamente nelle finalità sociali e aziendali del committente.
Per altro verso, si registra un appalto non “genuino” nelle ipotesi di:
- mancanza della qualifica di imprenditore in capo al soggetto appaltatore, nel senso che vi è assenza di un’organizzazione tecnico ed economica di tipo imprenditoriale. In altri termini, l’appaltatore non ha la qualifica di imprenditore desumibile dalla documentazione fiscale o di lavoro (ad es.: bilanci e libri contabili, fatture commerciali, certificato della camera di commercio, relazione sulla gestione o rendiconto finanziario);
- esercizio del potere direttivo e di controllo da parte del committente: il committente esercita cioè i poteri direttivi e di ingerenza, tipici del datore di lavoro, relativamente alla materiale esecuzione della prestazione lavorativa commissionata al presunto appaltatore (x. Xxxx. 24 novembre 2015, n. 23962; Cass. 11 aprile 2013, n. 8863, ADL, 2013, 1040, con nota di X. XXXXXXXXXX; Cass. 15 luglio 2011, n. 15615). Per converso, l’appaltatore non esercita il potere direttivo nei confronti dei propri dipendenti, limitandosi alla sola gestione amministrativa del personale, mentre l’azienda deve essere in grado di organizzare e dirigere i lavoratori per realizzare quanto pattuito con il contratto di appalto.
- impiego di mezzi e strumenti del committente: l’appaltatore impiega in via esclusiva capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante (anche se tale criterio di per sé non è decisivo e rilevante, dovendo essere valutato con altri elementi) (X. Xxxx. 3 luglio 2009, n. 15690; cfr. anche Min. Xxx. Xxxxxxxxxx 00 ottobre 2009, n. 77, secondo cui “il solo utilizzo di strumenti di proprietà del committente ovvero dell’appaltatore da parte dei dipendenti del subappaltatore non costituisce di per sé elemento decisivo per la qualificazione del rapporto in termini di appalto non genuino, attesa la necessità di verificare tutte le circostanze concrete dell’appalto e segnatamente la natura e le caratteristiche dell’opera o del servizio dedotti nel contratto di modo che, nel caso concreto, potrà ritenersi compatibile con un appalto genuino anche un’ipotesi in cui i mezzi materiali siano forniti dal soggetto che riceve il servizio, purché la responsabilità del loro utilizzo rimanga totalmente in capo all’appaltatore e purché attraverso la fornitura di tali mezzi non sia invertito il rischio di impresa, che deve in ogni caso gravare sull’appaltatore stesso”).
In sintesi, l’appalto non è genuino quando l’appaltatore non fornisce ai lavoratori i mezzi o le attrezzature per realizzare il risultato dedotto nel contratto di appalto. Il riferimento è, ad esempio, agli appalti c.d. leggeri, come il settore informatico.
L’illiceità dell’appalto può emergere inoltre da altri fattori e cioè quando il committente:
• eroga direttamente la retribuzione ai dipendenti impiegati nell’appalto;
• tiene conto, nel calcolare il corrispettivo dovuto ai lavoratori, delle spese per gli obblighi assicurativi e previdenziali e di gestione della “pseudo-impresa” appaltatrice;
• determina, in accordo con l’appaltatore, il corrispettivo in base alla retribuzione oraria dei lavoratori e dei contributi da versare; ovvero prevede, nell’accordo commerciale, il pagamento del prezzo variabile e commisurato all’effettivo impiego della manodopera da parte dell’appaltatore. In tal caso, infatti, la corrispondenza diretta fra tempo di lavoro e prezzo dell’appalto configura l’appaltatore come mero fornitore di lavoro.
Un appalto di servizi non può prevedere la semplice messa a disposizione di un pacchetto di ore di lavoro in favore di un terzo, rese da addetti coordinati dal soggetto che riceve la prestazione: questa operazione configura una somministrazione di personale e, come tale, può essere realizzata solo dalle agenzie per il lavoro autorizzate a tale scopo dal Ministero del Lavoro. Il Consiglio di Stato (sentenza n. 1571/2018) ricorda questo principio tanto scontato a livello normativo e teorico (non mancano i precedenti al riguardo), quanto disatteso a livello applicativo (il modello oggetto della controversia è, infatti, molto diffuso nel mercato dei servizi).
La vicenda riguarda il bando di gara predisposto da una Asl per l’affidamento a terzi, mediante contratto di appalto, del compito di svolgere alcune attività di supporto ai propri uffici (supporto giuridico, amministrativo, tecnico e contabile; supporto e gestione dei servizi centrali, distrettuali e ospedalieri; archiviazione, data entry e front office; supporto amministrativo contabile; segreteria).
Un’agenzia di somministrazione di manodopera ha impugnato il bando, sostenendo che le attività messe a gara non potevano essere configurate come un appalto di servizi, ma si concretizzavano in una somministrazione di personale.
Il Consiglio di Stato, rovesciando la pronuncia del Tar, ha accolto il ricorso dell’agenzia, richiamando i criteri definiti dalla Corte di Cassazione per smascherare gli appalti illeciti: la richiesta di un certo numero di ore di lavoro; l’inserimento stabile del personale nel ciclo produttivo del committente; l’identità dell’attività svolta dal personale dell’appaltatore e dai dipendenti del committente; la proprietà del committente delle attrezzature necessarie per l’attività e l’organizzazione da parte del committente dei dipendenti dell’appaltatore (x. Xxxx. 7 febbraio 2017, n. 3178).
Questi indici erano presenti, secondo il Consiglio di Stato, nel bando oggetto della controversia. L’Asl prevedeva, infatti, di acquistare un numero di ore di lavoro annue per integrare il personale interno, in modo da garantire il regolare svolgimento delle proprie attività.
Tale impostazione sfugge alla logica tipica dell’appalto di servizi, nel quale l’appaltante affida all’appaltatore lo svolgimento di prestazioni connesse a un preciso risultato, finalizzate alla realizzazione di un’opera dotata di consistenza autonoma.
Nel bando neppure era previsto che l’appaltatore mettesse a disposizione mezzi e attrezzature: il personale dell’appaltatore doveva utilizzare, infatti, mezzi e attrezzature della Asl (quali computer, cancelleria, fotocopiatrici), prestando la propria attività presso la sede della stessa. Il Consiglio di Stato rileva, inoltre, la carenza di misure finalizzate a scongiurare l’interferenza e la commistione tra i dipendenti di committente e appaltatore e l’assenza di
confini certi nelle rispettive fasi di produzione. Le generiche clausole del capitolato, secondo le quali «i servizi verranno svolti con esclusiva organizzazione, responsabilità e rischio della ditta aggiudicataria», vengono considerate ininfluenti, a fronte dell’assenza di elementi concreti in grado di confermare l’autonomia imprenditoriale dell’appaltatore.
Mancava, infine, il rischio di impresa, considerato che l’aggiudicatario non si faceva carico dei costi per l’acquisto e l’organizzazione dei mezzi e non aveva dimostrato un apporto di capitale, di know-how e di beni immateriali.
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