DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO DEI CONTRATTI
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Università degli Studi di Cagliari
DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO DEI CONTRATTI
Ciclo XXVI
TITOLO TESI
“RUOLO E LIMITI DEL CONTRATTO NEGLI ASSETTI FAMILIARI IN FUNZIONE SUCCESSORIA”
Settore/i scientifico disciplinari di afferenza
IUS/01
Presentata da: Dr.ssa Xxxxxxx Xxxx
Coordinatore Dottorato Prof.ssa Xxxxxxx Xxxxxxx
Tutor Prof.ssa M.G. Xxxxxxx Calvisi
Esame finale anno accademico 2013 – 2014
INDICE – SOMMARIO
1. Introduzione
CAPITOLO I
I LIMITI ALL’AUTONOMIA PRIVATA: IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI
1. Introduzione 12
2. La ratio del divieto 16
3. Le alternative al testamento: i c.d. negozi post mortem e trans mortem 20
4. I patti successori nella giurisprudenza della Corte di Cassazione 25
5. Patto di famiglia e patti successori: deroga al divieto? 33
CAPITOLO II
IL PRINCIPIO DI SOLIDARIETà FAMILIARE NELLA SUCCESSIONE A CAUSA DI MORTE: LA TUTELA DEI LEGITTIMARI.
1. Introduzione 39
2. Il principio di intangibilità della legittima… 43
2.1. L’azione di riduzione 46
3. L’inattualità della successione necessaria 53
3.1.Le proposte di riforma della successione necessaria 56
3.2. Il ddl n. 1043/2006 59
0.0.Xx posizione della dottrina 62
3.4. Le riforme recenti in materia: le modifiche agli artt. 561 e 563 c.c 66
3.5. La legge n. 55/2006 70
3.6. Considerazioni conclusive 71
CAPITOLO III
IL PATTO DI FAMIGLIA
1. Introduzione 76
2. Nozione e caratteristiche 79
3. Natura Giuridica 81
4. La partecipazione al patto di famiglia 85
Considerazioni conclusive 91
Bibliografia… 96
Introduzione
L’art. 457 c.c. esclude espressamente il contratto dalle fonti della successione. L’art. 458 c.c.1, inoltre, a parte il breve inciso iniziale dedicato all’istituto del patto di famiglia, introdotto di recente2, prevede la nullità delle convenzioni con cui taluno dispone della propria successione nonché di quelle con cui il futuro successibile dispone o rinuncia a diritti che gli potrebbero derivare da una successione non ancora aperta.
Ciò nonostante, da tempo, la dottrina italiana si interroga sul ruolo del contratto all’interno del fenomeno successorio.
Le manifestazioni d’interesse in tal senso derivano principalmente dall’esigenza di ampliare l’autonomia privata in ambito successorio, ritenuta eccessivamente sacrificata dal divieto dei patti successori nonché dalle norme a tutela dei legittimari.
Da un lato, dunque, sulla scorta dell’evolversi del relativo contesto sia sociale che economico si auspica un ammodernamento delle categorie dogmatiche con cui si rappresenta la successione a causa di morte, essendo la materia sostanzialmente rimasta immutata dall’entrata in vigore del codice civile ad oggi; sotto un altro profilo non si omette di sottolineare come “l’equilibrio interno della famiglia è un valore troppo delicato e prezioso, difficile da raggiungere e, quindi, maggiormente da tutelare”3.
Altro importante profilo d’interesse è quello che si indirizza verso la ricerca di strumenti di anticipazione del fenomeno successorio per soddisfare esigenze eterogenee, quale è, in primo luogo, quello dell’evoluzione dei rapporti familiari rispetto a quelli rinvenibili all’entrata in vigore del codice civile4. Accanto alla famiglia fondata sul matrimonio,
1 Norma oramai considerata anacronistica dalla dottrina maggioritaria e della quale si auspica l’abrogazione. Sul tema si veda infra Capitolo I.
2 Sul rapporto tra divieto di patti successori e patto di famiglia si veda infra Capitolo I.
3 Così MAZZÙ, Nuove regole di circolazione del patrimonio familiare e tutela dei legittimari, in Notariato n. 4/2008, 419 ss.
4 Sul tema si veda X. XXXXXXX, Crisi della famiglia e principio di solidarietà, in Famiglia e Diritto 12/2012, 1165, secondo il quale “la crisi della famiglia produce innegabili ricadute sul piano del diritto, perché occorre opportunamente distinguere tra la “famiglia” che è in crisi e il “diritto di famiglia” che, come si vedrà, non si modifica contestualmente,
infatti, si è affiancata la cd “famiglia di fatto”, fondata sulla convivenza more uxorio, che, a parte il rapporto di filiazione naturale, sempre salvaguardato in quanto i figli naturali hanno i medesimi diritti di quelli legittimi5, ammette la partecipazione alla vicenda successoria unicamente nei limiti della quota disponibile.
In secondo luogo, i patrimoni oggetto di trasferimento non sono più costituiti esclusivamente da immobili, bensì da beni mobili e da imprese, ossia da beni che esigono modalità di trasferimento adeguate alla loro destinazione6; con riguardo a questi ultimi, in particolare, sarebbe preferibile
sia per i rinvii e ritardi del legislatore, sia anche per la peculiarità dei doveri derivanti dai rapporti familiari, alcuni segnati da vincoli di inderogabilità. Ciò comporta da un lato il non utilizzo delle precedenti e obsolete norme giuridiche, dall’altro l’innegabile ricorso ai principi generali, stante la strutturale compatibilità degli istituti del diritto di famiglia con la tutela generale dei diritti costituzionalmente garantiti”. Sul punto si veda anche MAZZÙ, op. ult. cit., secondo il quale “il profilarsi di modelli di famiglia variamente articolati e talvolta coesistenti, ha messo a dura prova la forza di resistenza degl’istituti successori, coniati in altro contesto ed ora sottoposti alla tensione tra gl’interessi in conflitto della famiglia legittima e di quella naturale; ovvero delle famiglie legittime succedutesi nel tempo a seguito di divorzi e di matrimoni di celibi o nubili con vedovi, divorziati o tra divorziati; ovvero di seconde nozze tra vedovi”. Ed ancora, ZANCHI, Percorsi del diritto ereditario attuale e prospettive di riforma del divieto dei patti successori, in xxx.xxxxxxxxx.xx, 2013, 700 e ss. il quale, sul punto, afferma che “ancora una volta le evoluzioni sociali hanno determinato l'inattualità di norme elaborate per sostenere e promuovere il modello di consorzio familiare dell’unione monogamica eterosessuale formalizzata nel matrimonio. La dimensione plurale delle organizzazioni familiari odierne chiede al legislatore di considerare e sostenere scelte di convivenza diverse da quella del matrimonio e fa apparire sempre più discutibile l’esclusività della tutela accordata alla famiglia legittima. Se sul piano della filiazione il nostro legislatore ha saputo attuare progressivamente una piena equiparazione tra figli nati nel matrimonio e figli nati fuori del matrimonio anche sul versante successorio, non altrettanto può dirsi con riguardo alle relazioni tra conviventi more uxorio, specialmente riguardo alla quota di riserva e all'usufrutto della casa familiare (art. 540, comma 2, cod. civ.), ai quali il mero convivente non è ammesso, alla partecipazione, pure negata, all'eventuale azienda familiare, e ad alcune rilevanti ipotesi di c.d. successioni anomale legali come la successione nel trattamento di fine rapporto (art. 2122 cod. civ.), anch’esse precluse al convivente superstite non coniugato”.
5 Si badi che la distinzione tra filiazione legittima e naturale è venuta meno con la L. 219/2012 la quale ha modificato, per quanto qui interessa, l’art. 315 c.c. stabilendo che “ tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”. L’art. 71, comma I, lett. d), d.lgs 28 dicembre 2013 n. 54, inoltre, ha abrogato il terzo comma dell’art. 537 c.c. che prevedeva il diritto di commutazione a favore dei figli legittimi. Sul tema si veda BONILINI, L’abrogazione della norma concernente il diritto di commutazione, in Fam. e dir., n. 5/2014, 517. M.G. XXXXXXX CALVISI, Nuove regole in materia di filiazione: profili successori, in Diritto Successorio, approfondimenti tematici, Volume II, Xxxxxxx Editore, 1 ss.
6 Sul punto si veda, tra gli altri, XXXXXX, Le proposte di riforma della successione necessaria, in Giur. it., 2012, 8-9, secondo il quale la ricchezza familiare “appare, ormai, radicalmente trasformata: sia nella natura dei beni che la compongono, sia per il mutare degli strumenti di accumulazione (non più, o non solo, la provenienza successoria, ma il reddito dell'attività risparmiato o investito), sia infine per l'emersione di nuovi statuti proprietari (e qui il primo, ovvio riferimento è ai beni produttivi), che suggeriscono la creazione di modelli, o l'impiego di strumenti, alternativi di trasmissione”
che il regolamento negoziale di complesse situazioni patrimoniali sia il frutto di una scelta condivisa e non manifestazione di volontà di un unico soggetto, anche per evitare, sempre che sia possibile, eventuali liti future7.
A detti fenomeni di natura socio-economica si aggiunge la crisi del negozio mortis causa: il testamento, quale unica forma negoziale di trasmissione della ricchezza post mortem, si è rilevato inadeguato ed eccessivamente rigido rispetto alle nuove esigenze sociali tanto che sempre più spesso la trasmissione intergenerazionale della ricchezza avviene al di fuori della successione ereditaria e prescindendo dagli istituti che per essa il legislatore aveva pensato.
L’insofferenza nei confronti dell’atto di ultima volontà si è manifestata soprattutto con riguardo alla successione nell’impresa8. Tra le preoccupazioni dell’imprenditore, infatti, al di là di quelle generiche di qualsiasi titolare di un patrimonio, vi è quella di chi governerà l’azienda al momento della sua morte9. È chiaro che l’interesse di quest’ultimo è quello di scegliere il suo successore alla guida dell’impresa quando ancora è in vita. L’atto di ultima volontà, tuttavia, si rivela “poco adatto alle necessità tipiche della programmazione aziendale, caratterizzata da quel dinamismo e da quella flessibilità che derivano dall’ormai prevalente natura mobiliare della ricchezza”10. Senza contare che la presenza di legittimari al momento
7 In tal senso si veda X. XXXXXXX, Attribuzioni patrimoniali tra vivi e assetti successori, in La trasmissione familiare della ricchezza, Limiti e prospettive di riforma del diritto successorio, AAVV, Cedam, 1995, p. 42 ss.
8 In tal senso DOSSETTI, La trasmissione della ricchezza familiare e la crisi delle successioni per causa di morte: i nuovi modelli “successori”, in Trattato delle successioni e donazioni, a cura di Xxxxxxxx, La Successione Legittima, 76 ss. secondo la quale “se la funzione primaria della successione ereditaria è quella di assicurare la continuità dei rapporti giuridici facenti capo ad una persona che muore, i grandi patrimoni, e oggi sempre più anche i patrimoni di medie dimensioni, si sottraggono, in generale, all’applicazione degli istituti successori, anche perché normalmente non appartengono a singoli individui, ma a soggetti collettivi, in linea di principio insensibili alle vicende delle persone fisiche che ne fanno parte. In questi casi, la trasmissione della ricchezza non solo avviene mediante strumenti diversi da quelli ereditari, ma risponde ad esigenze imprenditoriali, quando non anche sociali o politiche, che solo occasionalmente si intersecano con interessi di natura familiare”
9 Sul punto XXXXXXXXXXX, Interessi dell’impresa e interessi familiari, in La trasmissione familiare della ricchezza, op.ult.cit., 131 ss.
10 In tal senso GUASTALLA, Divieto della vocazione contrattuale, testamento e strumenti alternativi di trasmissione della ricchezza, in Tradizione e modernità nel diritto successorio, dagli istituti classici al patto di famiglia, a cura di Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxxx, Cedam, 2007. Sul punto si veda anche COMPORTI, Considerazioni conclusive e prospettive di riforma legislativa, in La trasmissione familiare della ricchezza, op. cit., 186,secondo il
dell’apertura della successione, ove non abbiano ricevuto quanto a loro riservato dalla legge, potrebbe stravolgere il volere del disponente.
Fattore gravissimo di disgregazione delle fortune familiari, del resto, sono proprio i conflitti tra i membri della famiglia coinvolti nel governo di un’azienda: “famiglie e impresa sono due realtà difficili da far convivere perché procedono in direzioni opposte: la famiglia verso protezione e solidarietà, l’impresa verso competizione e rischio”11.
Nel Libro Secondo del Codice Civile, dedicato interamente alla successione, l'equilibrio tra famiglia e mercato ha visto il netto prevalere della prima sul secondo. La protezione degli interessi familiari, infatti, sacrifica eccessivamente l’autonomia dispositiva dei singoli in una misura che oggi, secondo parte della dottrina, appare irragionevole se confrontata con i nuovi assetti dei rapporti familiari e con la necessità di adeguarsi alle particolarità della composizione dei patrimoni ereditari12. E non può suggerire una diversa conclusione la preferenza accordata all’atto di ultima volontà rispetto alla delazione legittima, stabilito dall’art. 457, comma II, c.c., in quanto detta prevalenza non si estende fino al punto di sovvertire
quale “ il libro secondo del codice civile del ’42 è invece rimasto rigidamente ancorato, per quanto riguarda l’oggetto della successione ereditaria, alla considerazione dei beni e delle forme statiche di godimento di essi, ossia, essenzialmente alla proprietà. La nuova tematica dell’impresa, che pure il libro quinto doveva successivamente introdurre, non viene in alcun rilievo nella disciplina delle successioni nel codice. Da ciò sono nate varie istanze dirette a creare un diritto ereditario speciale dell’impresa a favore, soprattutto, di colui fra gli eredi che, per la precedente attività svolta nell’impresa, assicura la continuità del suo esercizio, con obbligo di indennizzo degli altri eredi da attuarsi con modalità varie”. Sul tema anche XXXXXXXX, Xxxxxx successorie e continuità dell’impresa, in Studi e Note di Economia, Anno XIII, n. 1-2008, 157 ss. “si può precisare che i vincoli posti all’autonomia del titolare di un patrimonio nel disporne per il tempo successivo alla morte, appaiono tanto più deleteri se nell’asse ereditario sia presente un’azienda, un suo ramo od una partecipazione di controllo”.
11 Così XXXXX, Prime considerazioni sul patto di famiglia nella gestione del passaggio generazionale della ricchezza familiare, in Contratto e impresa, 2006, p. 539 ss. L’attenzione è alta anche in sede comunitaria: nel 1994 la Raccomandazione della Commissione Cee sulla successione delle piccole e medie imprese, segnalava come ogni anno circa il 10% delle dichiarazioni di fallimento che si verificano nella Comunità Europea sono dovute a successioni mal gestite, comportando la perdita di posti di lavoro e la frustrazione delle aspettative dei creditori per via delle difficoltà insormontabili incontrate dalle imprese nella successione a causa di morte del loro titolare. Le cause venivano rinvenute nell’inadeguatezza di alcune norme delle legislazioni degli Stati membri, segnatamente in materia di diritto societario, successorio e fiscale. Da ciò l’auspicio di una modifica delle leggi nazionali al fine di adottare le misure necessarie per facilitare la successione nelle piccole e medie imprese, nonché di assicurarne la sopravvivenza ed il mantenimento dei posti di lavoro.
12 ZANCHI, Percorsi del diritto ereditario attuale e prospettive di riforma del divieto dei patti successori, op. ult. cit., 700 e ss
l’ordine di precedenza assicurato ai legittimari e non esenta dal rispetto della quota di riserva, né comunque è consentito all’interessato di scegliere forme consensuali di istituzione successoria13.
Per tali motivi, al fine di adeguare il sistema successorio alle moderne esigenze economico-sociali, la dottrina ha individuato, all’interno del sistema, istituti di natura contrattuale al fine di meglio realizzare gli interessi dei privati, ovviando ai limiti attribuiti al negozio di ultima volontà14. Del resto, lo strumento contrattuale non è di per sé estraneo o incompatibile con il fenomeno successorio in generale, né con la sua disciplina legale: i contatti tra contratto e successioni sono diversi e di varia natura15. Si pensi, a solo titolo esemplificativo, al contratto divisionale, o alla vendita di eredità, o ancora agli strumenti contrattuali di amministrazione dei beni dell'eredità giacente. L’incompatibilità tra contratto e successioni si produce esclusivamente sul piano dell'istituzione ereditaria ove il contratto pretenda di avere ad oggetto un’eredità futura e determini un'attribuzione mortis causa.
In tale prospettiva, di recente, il nostro legislatore ha introdotto l’istituto del patto di famiglia (art. 768 bis e ss. c.c.), contratto attraverso il quale “l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti”16.
Motivo conduttore della novella è un’ansia verso la stabilità degli effetti del patto: “solo consolidando il più possibile l’acquisto del complesso produttivo e vincolando gli interessati ad un progetto comune, si evita di procrastinare ogni decisione al tempo successivo alla morte, all’aleatoria
13 ZANCHI, Percorsi del diritto ereditario attuale e prospettive di riforma del divieto dei patti successori, op. ult. cit., 700 e ss
14 Sulla distinzione tra atti mortis causa ed atti di attribuzione post mortem si veda infra
Capitolo I.
15 ZANCHI, Percorsi del diritto ereditario attuale e prospettive di riforma del divieto dei patti successori, op. cit., 700 e ss.
16 Sul tema si xxxx XXXXXXX, Xxxxxx successorie e continuità dell’impresa, op. cit., 157 ss, il quale riferendosi alla riforma afferma che “l’autonomia privata guadagna uno spazio aggiuntivo: oltre al testamento, la cui presenza è tanto centrale nel sistema codicistico, quanto (e non da oggi) declinante nei fatti, in un contesto dunque da cui pareva estromessa, irrompe ora la libertà contrattuale”.
ed ultima scelta dei chiamati e, ancor più, dei congiunti più stretti del disponente”17.
Tale strumento, tuttavia, come vedremo meglio nel proseguo del presente lavoro, pur recependo le istanze della dottrina e degli organismi comunitari che da tempo auspicavano una regolamentazione pattizia del problema della successione, non si è dimostrato all’altezza delle aspettative18. La tecnica legislativa adoperata, infatti, non è certamente di chiarezza adamantina ed è spesso disarmonica rispetto al sistema successorio così come delineato nel codice civile. La disciplina della nuova figura contrattuale risulta lacunosa e contraddittoria, ed è probabilmente per questi motivi che, a quasi otto anni dalla sua introduzione, poche sono state le sue applicazioni pratiche.
Spiegate le ragioni che inducono parte della dottrina a promuovere la predisposizione di strumenti contrattuali che consentano ad un soggetto di disporre anticipatamente della propria successione, occorre dar conto anche di chi ritiene che il testamento sia uno strumento insostituibile per la trasmissione della ricchezza post mortem19.
L’atto tipico di autonomia del diritto ereditario, infatti, pur con i suoi limiti, consente al de cuius la conservazione della ricchezza e la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della vita. Il testamento, infatti,ex art. 587 c.c., è atto illimitatamente revocabile20.
La libertà di disporre per testamento, pertanto, è particolarmente ampia: l’autonomia testamentaria, infatti, conosce i suoi più importanti ed esclusivi limiti nelle norme a tutela dei legittimari e nella liceità e possibilità delle disposizioni contenute nella scheda. Essa, inoltre, a differenza
17 In tal senso BUCELLI, op. ult. cit, 157 ss.
18 Sul tema, XXXXX, Prime considerazioni sul patto di famiglia nella gestione del passaggio generazionale della ricchezza familiare, op. cit., 539 ss.
19 Sul punto si veda BONILINI, Le successioni mortis causa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Trattato delle Successioni e delle Donazioni, Milano, 2009. L’autore, nel saggio in questione, afferma che “scontando il rischio, per utilizzare ancora il lessico di Xxxxxx, di farmi cantore del passato o celebrare l’elegia dei piccoli traffici, esprimo subito il convincimento della vitalità di uno strumento insostituibile, quale è il testamento”.
20 L’unica disposizione testamentaria irrevocabile è il riconoscimento del figlio naturale. L’art. 256 c.c., infatti, dispone che “Il riconoscimento è irrevocabile. Quando è contenuto in un testamento ha effetto dal giorno della morte del testatore,anche se il testamento è stato revocato”.
dell’autonomia contrattuale, “sfugge a verifiche in termini di “socialità” dell’intenzione e dello scopo”21. Sono valide pertanto anche le disposizioni capricciose o bizzarre.
Diversamente, inoltre, dal contratto il quale rappresenta, per sua stessa definizione, l’accordo tra due o più parti, ciascuna delle quali esprime la propria volontà e quindi i propri (contrastanti) interessi, l’atto di ultima volontà non è altro che la manifestazione di volontà di un unico soggetto, manifestazione libera e scevra da qualsiasi condizionamento. Il testamento, infatti, non creando alcun vincolo tra l’ereditando ed i terzi, assicura l’effettività e spontaneità dell’intento dispositivo, evitando che lo stesso possa risultare distorto dalla volontà di terzi o dall’esigenza di tutelare l’altrui affidamento22.
Se da un lato, pertanto, parte della dottrina incoraggia, per i motivi già detti, la predisposizione di strumenti che consentano ad un soggetto di disporre anticipatamente della propria successione, dall’altro vi è chi promuove la centralità del testamento all’interno del nostro ordinamento e ne auspica la rivitalizzazione a fronte delle sue innumerevoli potenzialità non sempre adeguatamente sfruttate.
Il Legislatore, dal canto proprio, sembrerebbe propendere per la valorizzazione della vicenda successoria. Come si vedrà meglio nel proseguo della trattazione, infatti, a seguito delle riforme degli artt. 561 e 563 c.c. e all’istituto del patto di famiglia, la successione assume rilevanza non solo al momento della morte del de cuius ma in un momento precedente venendo così a rafforzare la tutela dei legittimari. Sembrerebbe pertanto possibile affermare che l’intero diritto delle successioni sia in fase di aperta evoluzione che tende all’anticipazione delle posizioni giuridiche nel loro complesso.
21 Così BONILINI, Il negozio testamentario, in Trattato delle Successioni e Donazioni, La successione testamentaria, Vol. II, Milano, 9 e ss.
22 Così si esprime PUTORTÌ, Morte del disponente e autonomia negoziale, Xxxxxxx Editore,
223. Sul punto si veda anche ZANCHI, Percorsi del diritto ereditario attuale e prospettive di riforma del divieto dei patti successori, op. cit., 700 e ss. secondo il quale “il testamento offre un modello di pianificazione successoria, solitaria e revocabile, anziché condivisa e vincolante, che conserva una primaria valenza nell'immaginario e nella pratica sociale corrente”.
Da ultimo, si rileva che la legge n. 44/201523 ha modificato i criteri di accesso al c.d. mutuo vitalizio ipotecario il quale permette alle persone che hanno compiuto i sessant’anni di età e che sono titolari di un immobile residenziale di convertire parte del valore della casa in liquidità a fronte dell’iscrizione di un’ipoteca sull’abitazione come garanzia. È chiaro che detto contratto non rientra tra gli strumenti di anticipazione del fenomeno successorio, tuttavia, risalta la sensibilità del legislatore più recente per l’autonomia del disponente a discapito, nel caso di specie, dell’interesse degli eredi i quali, alla morte del mutuatario, hanno la possibilità di scegliere se restituire il debito entro il termine di dodici mesi liberando così l’immobile dall’ipoteca, oppure vendere il bene e restituire il dovuto con il ricavato o, ancora, lasciare la casa alla banca mutuataria che provvederà ad alienarla trattenendo il credito vantato e restituendo agli eredi l’eventuale eccedenza.
La presente ricerca si propone di verificare se effettivamente l’istituto contrattuale possa trovare spazio all’interno del fenomeno successorio per il trasferimento inter vivos del patrimonio familiare e se lo stesso abbia le caratteristiche per essere considerato una valida alternativa al testamento. Nel proseguo della trattazione, infatti, saranno analizzati taluni degli istituti che la dottrina ha considerato alternativi al testamento ed in particolare l’istituto del patto di famiglia. L’indagine sarà inoltre diretta ai limiti che l’autonomia privata e lo stesso legislatore incontrano nell’impiego dello strumento contrattuale, limiti che per lo più derivano dalle norme e dai principi del diritto successorio.
23 La Legge 2 aprile 2015, n. 44 modifica l'articolo 11-quaterdecies del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, in materia di disciplina del prestito vitalizio ipotecario ed è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 92 del 21 aprile 2015.
CAPITOLO I
I LIMITI ALL’AUTONOMIA PRIVATA: IL DIVIETO DEI PATTI SUCCESSORI.
Sommario: 1. Introduzione. 2. La ratio del divieto. 3. Le alternative al testamento: i c.d. negozi post mortem e trans mortem. 4. I patti successori nella giurisprudenza della Corte di Cassazione. 5. Patto di famiglia e patti successori: deroga al divieto?
1. Introduzione.
Il divieto dei patti successori24, previsto dall’art. 458 c.c., rappresenta uno dei principali limiti al dispiegarsi dell’autonomia privata nella materia successoria25.
La norma, in particolare, sanziona con la nullità ogni convenzione con la quale taluno dispone della propria successione nonché ogni atto con cui il futuro successibile dispone o rinuncia a diritti che gli potrebbero derivare da una successione non ancora aperta.
Il divieto, già sancito nel codice del 1865 seppure in disposizioni diverse (art. 1118, II comma, x.x., xxx. 000 x.x. x 0000 x.x.), xxxxxx xx diritto romano, dove i patti istitutivi e dispositivi di eredità future erano considerati contrari al buon costume26. Il codice civile vigente non solo ha mantenuto il
24 Sul tema si veda X. XXXXXXX, Conclusioni al convegno su Successioni mortis causa e mezzi alternativi di trasmissione della ricchezza, Milano, Università Cattolica, 5 marzo 1997, in Jus, 1997, 309 ss, il quale con una frase riassume lo stato attuale della giurisprudenza e della dottrina sul divieto in questione:“certo , vi sono delle rigidità nella legge. La principale è il divieto dei patti successori: la giurisprudenza cerca di allentarlo, ma la lettera della legge è quella che è, e l’interprete non può fare più di tanto”.
25 Così XXXXX X., Per una riforma del divieto dei patti successori, in Riv. dir. priv., 1997,
7. Per un approfondimento sul tema si veda DE XXXXXX, I patti sulle successioni future, Napoli, 1976; XXXXXXXX E XXXXXXX, Il divieto dei patti successori, in Trattato delle Successioni e Donazioni, La successione ereditaria, Vol. I, Milano, 63 ss.; M.G. XXXXXXX CALVISI, Diritto successorio, Temi e problemi, Volume I, Xxxxxxx, 175; XXXXX, I xxxxx successori, in Diritto delle successioni e delle donazioni, a cura di Xxxxx e Perlingieri, Vol. I, 19 ss.; XXXXXXXX, Attualità e destino del divieto di patti successori, in AA.VV., La trasmissione familiare della ricchezza. Limiti e prospettive di riforma del diritto successorio, Padova 1995; IEVA, sub art. 458, in Commentario al cod. civ., Delle Successioni, artt. 456-564, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxx, Utet, 2009, 29 ss.
26 L’art. 1118 del Codice previgente, infatti, disponeva che «le cose future possono formare oggetto di contratto. Non si può rinunziare, però, ad una successione non ancora aperta, né fare alcuna stipulazione intorno alla medesima, sia con quello della cui eredità si tratta,
xxxxxxx, ma l’ha reso ancora più esplicito confermando all’art. 457 c.c. che
l’eredità si devolve per legge o per testamento27.
La regola in questione è da tempo al centro delle attenzioni della dottrina maggioritaria la quale, anche in ragione delle istanze comunitarie, ne chiede a gran voce la modifica o l’integrale eliminazione28. L’istituto è, infatti, considerato dai più anacronistico ed espressione dell’atteggiamento paternalistico del legislatore29. Esso, indubbiamente, deroga ai principi dell’ordinamento in tema di libertà di contrarre e di determinare il contenuto del contratto, nonché sulla libertà di stipulare negozi aventi ad oggetto beni futuri o altrui. Al divieto in questione, inoltre, si finisce con l’attribuire la responsabilità dell’immobilismo del diritto successorio e del suo invecchiamento30.
sia con terzi, quantunque intervenisse il consenso di esso»; l'art. 954 c.c. «non si può, nemmeno nel contratto di matrimonio, rinunziare all'eredità di una persona vivente, né alienare i diritti eventuali, che si potrebbero avere a tale eredità».Xxxxxxxx con il tessuto normativo si mostravano, poi, l'art. 1380 e l’art. 1460: il primo vietava qualsiasi pattuizione, inserita nel contratto di matrimonio, intesa a modificare l'ordine legale delle successioni, il secondo, infine, comminava la nullità della vendita dei diritti di successione di una persona vivente, ancorché questi vi acconsenta.
27 Nella Relazione al Codice Civile si legge: «affermato nell'art. 457 c.c. il principio fondamentale del nostro diritto successorio, per cui le forme di successione riconosciute sono due, la legale e la testamentaria, ho considerato l'opportunità di escludere espressamente l'ammissibilità della terza, possibile, causa di delazione, ossia del contratto come titolo di successione, stabilendo il divieto della c.d. successione pattizia o patto successorio».
28 Su tutti si xxxx XXXXX X., ult. cit., 7 ss, secondo il quale “i divieti oggi scritti nell’art. 458 c.c., per giudizio sempre più diffuso, appaiono all’osservatore contemporaneo come una maglia intollerabilmente stretta e ingiustificatamente limitativa del libero dispiegarsi dell’autonomia privata, come un obsoleto fattore di blocco frapposto al perseguimento di interessi sostanzialmente meritevoli di tutela”. Secondo XXXXXXXX, Attualità e destino del divieto di patti successori, op. cit., non osterebbe alla modifica del divieto in questione l’art. 42 della Costituzione, il quale al IV comma prevede che “la legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità”, in quanto, sempre secondo l’autore, la formula costituzionale non prevede il divieto di introdurre istituti giuridici nuovi, quale sarebbe il contratto come manifestazione di volontà regolante la successione futura.
29 Il termine “paternalismo” allude “alla privazione o alla forte riduzione di libertà di scelta da parte dell’individuo, operata dall’ordinamento al fine di assicurare una particolare protezione della persona, o di una intera categoria di persone, da atti contrari al proprio interesse”, Così X.XXXXXXXXX, Il paternalismo del legislatore nelle norme di limitazione dell’autonomia dei privati, in Quadrim., 1993, 120, secondo il quale il divieto di cui all’art. 458 c.c. è da annoverare tra i casi di “certa o prevalente marca paternalistica”, unitamente al divieto in capo ai legittimari di rinuncia all’azione di riduzione finché vive il donante ed a quello di cui all’art. 1384 c.c. (riduzione equitativa della penale manifestamente eccessiva).
30 Così M.G. XXXXXXX CALVISI, Diritto successorio, op.cit., 175. Sul punto si veda anche CALÒ E., Le piccole e medie imprese: cavallo di Troia di un diritto comunitario delle
La giurisprudenza, invece, come vedremo nel proseguo della trattazione, chiamata negli ultimi anni a pronunciarsi sul tema, ha reso “evanescente”31 il divieto in quanto, se in astratto ne riconosce la validità, nega poi l’applicabilità nei casi esaminati in concreto. Le Corti di merito, infatti, chiamate a decidere sulla validità di convenzioni destinate ad esplicare effetti dopo la morte di uno dei contraenti, hanno elaborato criteri complicati e, talvolta, contradditori per decidere se la convenzione contestata dovesse ritenersi nulla perché contraria al divieto dei patti successori. Le pronunce in materia, in particolare, suscitano l’impressione che il divieto non sia mai stato eccessivamente sentito e che oramai, salva qualche ipotesi eccezionale, sia largamente disapplicato32.
L’attenzione al tema è alta anche in sede comunitaria: nel 1994 la Comunicazione della Commissione CEE, in tema di successione delle piccole e medie imprese, sosteneva che «gli Stati membri dovrebbero rimuovere gli ostacoli che possono derivare da talune disposizioni del diritto di famiglia o del diritto di successione: ad esempio, la cessione tra coniugi dovrebbe essere consentita, il divieto di patti sulla futura successione dovrebbe essere attenuato e la riserva in natura esistente in taluni paesi potrebbe essere trasformata in riserva in valore»33.
Da ciò l’auspicio di una modifica delle leggi nazionali al fine di adottare le misure necessarie per facilitare la successione nelle piccole e
successioni?, in La Nuova giur. civ. comm., 1997, II, 217, secondo il quale “le successioni di una certa importanza non seguono più le norme sulle successioni, il che non è certo un minuto argomento in favore dell’adeguamento del dato normativo a quello socioeconomico”.
31 Così M.G. XXXXXXX CALVISI, op.ult. cit., p. 176. Dello stesso parere XXXXXX, Note sul divieto di patti successori, in Riv. dir. civ., 3/2010.
32 Sul punto CALÒ E., Le piccole e medie imprese: cavallo di Troia di un diritto comunitario delle successioni?, op.cit. secondo il quale “Vi è, oltre alla dottrina, una nutrita giurisprudenza, impegnata anch’essa in non facili distinzioni, sempre dirette a sceverare gli atti consentiti da quelli vietati perché aventi causa di morte o perché comunque comportano la stipula di un patto successorio. Si tratta di sforzi non a caso diretti a far salve numerose fattispecie negoziali che raggiungono obiettivi pur sempre protesi a porre in essere un determinato assetto patrimoniale in considerazione dell’evento morte; tant’è che si rileva come dottrina e giurisprudenza dominanti tendano a dare, del divieto di patti successori, un’interpretazione restrittiva e formale basata sulla sua asserita natura eccezionale”. Si veda anche ZANCHI, Percorsi del diritto ereditario attuale e prospettive di riforma del divieto dei patti successori, in xxx.xxxxxxxxx.xx, 2013, 10.
33 Comunicazione della Commissione Cee del 31.12.1994, C 400/1.
medie imprese nonché di assicurarne la sopravvivenza ed il mantenimento dei posti di lavoro34.
Il modello adottato dal Legislatore italiano, d’altro canto, si dimostra eccessivamente rigido rispetto alle altre realtà comunitarie: nel Codice Civile francese sono state previste alcune eccezioni, la donation-partage (artt. 1075 ss.) e l'institution contractuelle o la donation des biens a venir (art. 1082), che hanno introdotto significativi elementi di flessibilità rispetto al divieto; ancora più marcata è l’autonomia riconosciuta nell’ordinamento tedesco il quale vieta il solo patto dispositivo ed ammette sia il contratto ereditario che il patto rinunciativo anche con riguardo alla quota di legittima35.
In risposta alle istanze provenienti sia dalla dottrina maggioritaria che dagli organismi comunitari, di recente, è stato introdotto nel nostro ordinamento il patto di famiglia, contratto plurilaterale con il quale l’imprenditore trasferisce l’azienda o il titolare di partecipazioni sociali trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote ad uno o più discendenti. La Legge 14 febbraio 2006, n. 55, in particolare, oltre ad aver introdotto gli artt. 768 bis e seguenti c.c. nei quali trova spazio la disciplina del nuovo istituto, ha inserito nell’art. 458 c.c. l’inciso iniziale “fatto salvo quanto disposto dagli articoli 768 bis e seguenti”. L’esplicita deroga al divieto in questione svela la tendenza del legislatore a voler ridurre la portata del divieto relativamente alla successione nell’azienda o nelle partecipazioni
34 In tal senso si veda anche la Raccomandazione della Commissione Cee del 7 dicembre 1994 la quale segnalava come ogni anno circa il 10% delle dichiarazioni di fallimento che si verificano nella Comunità Europea sono dovute a successioni mal gestite, comportando la perdita di posti di lavoro e la frustrazione delle aspettative dei creditori per via delle difficoltà insormontabili incontrate dalle imprese nella successione a causa di morte del loro titolare. Le cause, in particolare, venivano rinvenute nell’inadeguatezza di alcune norme delle legislazioni degli stati membri in materia di diritto societario, successorio e fiscale.
35 Sul tema si veda XXXXXX, L’espansione dell’autonomia privata in ambito successorio nei recenti interventi legislativi francesi ed italiani, testo della comunicazione presentata al XVIII Colloquio biennale AIDC “Patrimonio, persone e nuove tecniche di governo del diritto – Incentivi, premi, sanzioni alternative” svoltosi a Ferrara dal 10 al 12 maggio 2007 e reperibile nel sito web xxx.xxxx.xxxxx.xx/xxxx/xxxxxxxx/XxxxxxxxxXxxxxxx.xxx nonchè BALESTRA E XXXXXXX, Il divieto dei patti successori, op. cit., 68 ss. Per un approfondimento del diritto successorio svizzero il quale ammette il contratto successorio si veda XXXX, Il contratto successorio secondo il codice civile svizzero, in Diritto Successorio, approfondimenti tematici, Volume II, a cura di M.G. Xxxxxxx Calvisi, Xxxxxxx Editore, 2013.
sociali. Tuttavia, nonostante la lettera della norma, occorrerà verificare se effettivamente l’istituto in questione abbia apportato modifiche o eccezioni al divieto dei patti successori36.
2. La ratio del divieto.
Con riguardo al divieto sancito dall’art. 458 c.c., una delle questioni più delicate e maggiormente dibattute consiste nel ricercarne il fondamento onde definire l’ambito della previsione normativa e verificarne l’attendibilità attuale alla luce dell’insegnamento tradizionale.
La norma in questione, attraverso la quale si vietano nel nostro ordinamento tutti i negozi che attribuiscono o negano diritti su una successione non ancora aperta, accomuna una pluralità di fattispecie tra loro eterogenee, cosicché risulta ardua una ricostruzione unitaria del fenomeno37. Tuttavia, parte della dottrina, reputando unitario il fondamento del divieto, riconduce lo stesso alla tipicità dei mezzi di delazione38. Detta spiegazione non risulterebbe appagante nel giustificare tutte le tipologie di patto successorio poiché in quelli dispositivi o rinunciativi non si inciderebbe sulla delazione pur modificando la destinazione dell’eredità o
36 Contra la dottrina maggioritaria. Per tutti si veda M.G. XXXXXXX CALVISI, Patto di famiglia, patti successori e tutela dei legittimari, in AA.VV., Studi economico-giuridici della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Cagliari, Napoli, 2009, 197 ss.
37 La tendenza a considerare unitariamente il fenomeno è riscontrabile anche nella giurisprudenza successiva all’entrata in vigore del codice del 1942. La Corte di Cassazione, infatti, riprendendo decisioni precedenti, ha individuato nei seguenti elementi di carattere generale gli indici rivelatori di un patto successorio: 1) se il vincolo giuridico con essa creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione o debbano comunque essere compresi nella stessa; 3) se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi così dello jus poenitendi; 4) se l’acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla successione stessa; 5) se il trasferimento, dal promittente al promissario, debba aver luogo mortis causa, ossia a titolo di eredità o di legato. Così Xxxx. Civ., 16 febbraio 1995, n. 1683, in Notariato, 6/1995, 552 e ss. con nota di XXXXXXXXX, Patti successori: il sottile confine tra nullità e validità negoziale
38 Così XXXXXXXX XX., Diritto successorio, Bari, 1962, 246 ss.
del legato39. Ugualmente inappagante risulterebbe il richiamo al cd votum corvinum o votum captandae mortis per giustificare il divieto di cui all’ art. 458 c.c. Secondo detto orientamento il divieto in esame sarebbe rivolto a scongiurare il pericolo del desiderio della morte del titolare dei diritti posti ad oggetto dell’atto medesimo40. Al riguardo, tuttavia, si fa notare che lo stesso desiderio potrebbe sorgere anche nei beneficiari di altri atti, come ad esempio il testamento41.
Detta concezione unitaria, tuttavia, è osteggiata da parte della dottrina la quale ha evidenziato come i requisiti indicati non siano identificabili, stante la loro eterogeneità, in tutte le differenti tipologie di patti e svelerebbero la tendenza delle Corti a limitare la portata applicativa del divieto42.
Occorre, pertanto, ricercare un fondamento diverso per il divieto a seconda della tipologia negoziale di riferimento ed, in particolare, in relazione alla natura istitutiva, dispositiva o rinunciativa del patto43.
Dette categorie, infatti, pur avendo dei connotati comuni, differiscono profondamente le une dalle altre44.
Il patto istitutivo è l’attribuzione convenzionale dei propri beni per il tempo successivo alla propria morte e, cioè, l’istituzione di erede o di legato. Esso, dunque, si presenta come un vero e proprio contratto successorio, avente natura di atto mortis causa45, intercorrente tra il futuro de cuius ed il futuro erede o legatario.
39 In tal senso XXXXXXXXX , Il divieto dei patti successori, in Successioni e Xxxxxxxxx, a cura di X. XXXXXXXX , X,Xxxxxx, 0000, 25 e ss. nonché XXXXXXXXX, Xxxxx successori: il sottile confine tra nullità e validità negoziale, op. cit., 555 e ss.
40 Così XXXXXXXXXXXX, Delle Successioni.Successioni testamentarie, Torino, 1982, 22 ss.
41 Xxxxxxxxx, Xxxxx successori: il sottile confine tra nullità e validità negoziale, op. cit., 555 e ss.
42 Così DE XXXXXX, I patti sulle successioni future, op.cit.
43 I tre divieti, anche se contenuti in un’unica norma, vanno considerati distintamente, o almeno quelli istitutivi da un lato e quelli dispositivi e rinunciativi dall’altro. In tal senso la dottrina maggioritaria ed in particolare: XXXXXXXXX , Il divieto dei patti successori, op. cit.,25 ss; DE XXXXXX, op. ult. cit.; M.G. XXXXXXX CALVISI, Diritto successorio, op. cit., 141 ss; XXXXXXXX E XXXXXXX, Il divieto dei patti successori, op. cit., 63 ss.; BIANCA, Diritto civile. La famiglia, le successioni, Xxxxxxx, 2005, 556.
44 Tratti comuni sono essenzialmente l’oggetto del patto costituito da un bene facente parte di una successione non ancora aperta e la sanzione comminata in caso di violazione dell’art. 458 x.x., xxxxx xx xxxxxxx.
00 La dottrina maggioritaria indica nell’improduttività di effetti prima della morte l’essenza dell’atto mortis causa. Sul punto di veda, tra gli altri, TRABUCCHI, Istituzioni di diritto
Circa il fondamento del divieto di tale pattuizione e della relativa nullità, vengono in considerazione tre diverse teorie: la prima sostiene che la ratio del divieto debba essere rinvenuta nella tipicità delle cause di delazione di cui all’art. 457 c.c.46; altra parte della dottrina, invece, ritiene che tali negozi siano contrari alla morale in quanto potrebbero far sorgere il desiderio della morte dell’ereditando (cd votum corvinum o votum captandae mortis)47; infine, vi è chi sostiene che il divieto sia stato dettato a garanzia della libertà di testare48.
Quest’ultima teoria è quella sostenuta dalla dottrina maggioritaria, la quale, appunto, individua la ratio del divieto nell’esigenza di assicurare la libertà e spontaneità dell’atto di ultima volontà, ossia di tutelare la libertà di disporre delle proprie sostanze, senza alcun vincolo, con un atto revocabile fino alla morte. Se infatti si negasse la libertà di revocare le disposizioni aventi ad oggetto la propria successione, libertà che mal si concilia con lo strumento contrattuale (art. 1372 c.c.), ed espressamente riconosciuta come inderogabile dall’art. 679 c.c. e, in via indiretta, dagli artt. 589 e 635 c.c., si finirebbe con l’abolire la stessa categoria dell’atto di ultima volontà.
In relazione ai patti successori dispositivi (atti per mezzo dei quali “taluno dispone dei diritti che gli potrebbero spettare su una successione
civile, Padova, 2005, 101 ss il quale afferma che “si parla di negozio mortis causa quando la morte venga considerata presupposto necessario per l’efficacia dell’atto”. Diverso dall’atto mortis causa, come si vedrà nel proseguo della trattazione, è l’atto ad effetti post mortem: “nel primo l’evento morte concorre a determinare la situazione regolata, che prima di esso non sussiste, nemmeno in maniera che sia ex ante determinabile; nel secondo, l’evento morte sospende o limita semplicemente nel tempo gli effetti del negozio e dunque rinvia una vicenda già in tutto determinata”. Così XXXXXXXX E XXXXXXX, Il divieto dei patti successori, op. ult. cit., 89 ss.
46 In tal senso XXXXXXXX XX., Diritto successorio, op. cit.
47 Così XXXXXXXXXXXX, Delle Successioni.Successioni testamentarie, op. cit.
48 In tal senso la dottrina maggioritaria. Tra gli altri M.G. XXXXXXX CALVISI, Diritto successorio, op. cit., 141 ss; XXXXXXXX E XXXXXXX, Il divieto dei patti successori, op. cit.,
63 ss. BIANCA, Diritto civile, op. cit. In tal senso anche la giurisprudenza “ll patto successorio istitutivo, vincolando la volontà del soggetto a disporre della propria eredità, è nullo in quanto si pone in contrasto con il principio fondamentale (e quindi di ordine pubblico) del nostro ordinamento, della piena libertà di testare” (Così Xxxx. Civ., 14 luglio 1983, n. 4827). Contra XXXXXXXXX , Il divieto dei patti successori, op. cit., 25 ss il quale ha evidenziato che, ove il divieto obbedisse unicamente alla finalità di tutelare la libertà di revoca, allora bisognerebbe concludere che il legislatore ha usato un mezzo eccedente rispetto allo scopo, perché sarebbe stato sufficiente prevedere, come effetto legale necessario, il diritto di recesso a favore di chi dispone contrattualmente a causa di morte.
non ancora aperta”) e a quelli rinunciativi49 ( atti per mezzo dei quali taluno rinuncia a diritti che gli potrebbero spettare su una successione non ancora aperta) il fondamento del divieto, secondo la dottrina maggioritaria, non potrebbe essere in alcun modo assimilato a quello previsto per i patti istitutivi. Questi ultimi, infatti, sono atti mortis causa posti in essere dal futuro de cuius, mentre i patti dispositivi o rinunciativi sono atti inter vivos in cui la presenza dell’ereditando è meramente eventuale. Inoltre, in dottrina, si sottolinea come, a differenza di quelli istitutivi, in quelli dispositivi e rinunciativi si ravvisa un vizio, colpito dalla sanzione della nullità, non nella causa bensì nell’illiceità dell’oggetto50. Il divieto, infatti, costituirebbe uno dei “particolari divieti” posti dalla legge in deroga alla possibilità di dedurre in contratto prestazioni di cose future ex art. 1348 c.c.51
La ragione del divieto è stata ravvisata, da una parte della dottrina, nell’esigenza di tutela del disponente, il quale, per inesperienza o prodigalità, potrebbe essere facilmente indotto a spogliarsi di un diritto non ancora conseguito in cambio di un vantaggio immediato anche se non adeguato52. In realtà, tale spiegazione non appare convincente in quanto il patto è comunque vietato a prescindere dal fatto che vi sia stato o meno approfittamento a danno del futuro erede. Piuttosto, secondo altra parte della dottrina53, occorre aver riguardo all’immoralità insita nel disporre di
49 Il codice civile contempla un’applicazione espressa del divieto di patti successori rinunciativi nella previsione di cui all’art. 557 c.c., secondo cui: ”i legittimari non possono rinunciare ad agire in riduzione delle donazioni e delle disposizioni lesive della legittima finché vive il donante, né con dichiarazioni espresse, ne´ prestando il loro assenso alla donazione”.
50 Così DE XXXXXX, I patti sulle successioni future, op.cit., 85ss. XXXXXX, Xxxxx successorio, in Dig. disc. priv.( Sez. civ.), aggiornamento, 2003, Utet, 1023 ss.
51 L’art. 1478 c.c. dispone la validità della vendita di cosa altrui obbligando il venditore a procurare l’acquisto al compratore. Ci si chiede, tuttavia, se la vendita di un bene da parte di chi non è proprietario rientri nel divieto dei patti successori (dispositivi) solo per il fatto che l’alienante sia un congiunto del proprietario o designato nel di lui testamento. La risposta, secondo la dottrina maggioritaria, deve essere negativa in quanto il divieto colpisce esclusivamente gli atti che presuppongono la qualità di futuro successore a causa di morte del disponente. Se la vendita deve essere eseguita immediatamente può escludersi che l’alienante abbia fatto valere la sua qualità di erede o legatario.
52 Così XXXXXXXX XX., Diritto successorio, op. cit.
53 Bianca, Diritto civile, op. cit.
un’eredità appartenente a persona ancora vivente o, secondo altri54, alla volontà di impedire il desiderio della morte del soggetto attualmente titolare dei beni di cui si dispone.
In realtà dette spiegazioni non appaiono sufficienti: il divieto di cui all’art. 458 c.c., infatti, sia nella sua forma più generale che nelle sue speciali articolazioni, tutela unicamente la libertà e le esigenze del titolare della ricchezza,” il quale trae vantaggio dal permanere di questa nella propria sfera giuridica fino all’ultimo istante della vita, sia perché di essa può liberamente disporre per sopperire a eventuali esigenze di vita o di assistenza, sia perché può, altrettanto liberamente, in ogni momento mutare parere in ordine al futuro assetto successorio”55. Al perseguimento di tale finalità è rivolto sicuramente il divieto dei patti istitutivi ma anche, seppur in maniera diversa, quello dei patti dispositivi e rinunciativi, in quanto relativamente a questi ultimi si vuole impedire che il futuro de cuius, venuto a conoscenza dell’atto di disposizione posto in essere da uno dei suoi successibili, possa esserne influenzato e, di conseguenza, indotto a modificare il testamento adeguandolo all’atto stesso56.
3. Le alternative al testamento: i c.d. negozi post mortem e trans mortem.
Come si è già detto in precedenza, da tempo, la dottrina maggioritaria ha posto in evidenza il problema dell’eccessiva rigidità della disciplina delineata dal combinato disposto degli artt. 457 e 458 c.c., evidenziando la sostanziale compressione dei margini riservati all’autonomia privata nella materia successoria.
Sulla scorta di dette analisi e in attesa di un intervento del legislatore, la dottrina ha ricercato, per lo più nel contratto con effetti dopo la morte di uno dei contraenti, un’alternativa al testamento al fine di anticipare con atti tra vivi la regolamentazione della successione, senza che sia necessario
54 Si rinvia infra alle note 14 e 15. Si trova il riferimento al votum captande mortis anche in Giurisprudenza: Xxxx. Civ., 7 marzo 1960, n. 418.
55 M.G. Xxxxxxx Xxxxxxx, Diritto successorio, op. cit., 144.
56 In tal senso M.G. XXXXXXX CALVISI, op. ult. cit., 144 e ss.
attendere la morte del disponente. Ci si riferisce, in particolare, ai negozi
c.d. <<transmorte>> o <<postmortem>>57 per individuare quegli strumenti (contrattuali) rispetto ai quali l’evento morte non costituisce la causa giustificatrice dell’attribuzione patrimoniale, ma viene dedotto quale mera condizione o termine, dal cui verificarsi viene fatta dipendere la produzione degli effetti del negozio. Si tratta, pertanto, di atti inter vivos nei quali gli effetti giuridici sono differiti, per volontà delle parti, alla morte del disponente.
L’affermazione dei contratti in questione, oltre che dalle spinte provenienti dalla dottrina maggioritaria, è stata favorita dall’atteggiamento della giurisprudenza la quale, come si è già avuto di sottolineare in precedenza, ha privilegiato un’interpretazione restrittiva della portata del divieto dei patti successori, basata sull’attenta valutazione delle caratteristiche delle concrete pattuizioni58. Le Corti, pertanto, hanno dato rilievo alla distinzione tra atti con efficacia post mortem, ritenuti compatibili con la disciplina vigente, e le convenzioni mortis causa destinate, in quanto patti istitutivi, ad essere colpite dalla nullità di cui all’art. 458 c.c.
Pertanto, ove venga in rilievo una convenzione tramite la quale si intenda realizzare l’effetto del trasferimento di determinati beni, o diritti, per la fase successiva alla morte del disponente, ai fini di un giudizio sulla validità di dette pattuizioni, occorrerà valutare se il congegno negoziale integri un contratto mortis causa o se, al contrario, si sia in presenza di un contratto tra vivi, rispetto al quale la morte del disponente rappresenti un
57 La letteratura in materia è assai ampia. Si vedano, ex multis, PALAZZO, Autonomia contrattuale e successioni anomale, Napoli, 1983; MONCALVO, I così detti negozi
<<transmorte>>, in Trattato delle Successioni e Donazioni, La successione ereditaria, Vol. I, Milano, 187 ss; PENE VIDARI, Xxxxx successori e contratti post mortem, in Riv. dir. civ., 2001, II, 245 ss.; M.G. XXXXXXX CALVISI, Diritto successorio, op. ult.cit., 175 ss. XXXXXXX, Successioni e Xxxxxxxxx, Xxxx X, Xxxxxxx Editore,30ss.; ZANCHI, Percorsi del diritto ereditario attuale e prospettive di riforma del divieto dei patti successori, op. cit., 720 ss.
58 Così MONCALVO, I così detti negozi <<transmorte>>, op. cit., 191 ss; XXXXXXX, I patti successori nella giurisprudenza, in Nuova giur. civ. comm. , 2003, 191 ss secondo il quale “appare evidente, perciò, che non si assiste ad alcuna erosione del divieto dei patti successori. La giurisprudenza sta, infatti, procedendo su altro percorso. Essa sta realizzando un ampliamento della categoria degli atti connessi alla morte, ma sempre – e questo dato deve essere ribadito – in un contesto che, riconoscendo l’attualità del divieto dei patti successori, contempla la nullità come rimedio alla violazione della libertà testamentaria. La giurisprudenza, cioè, tende, pur non criticando il divieto, a ridurne l’ambito di applicazione”
mero elemento condizionale, dal cui accadimento dipende, in vario modo, il dispiegarsi della trama effettuale programmata dalle parti59. In altre parole, mentre nell’atto mortis causa l’evento morte costituisce elemento causale che determina la nascita del rapporto, prima inesistente e improduttivo di qualsiasi effetto, nelle pattuizioni con effetti post mortem il rapporto, già costituito e immediatamente vincolante, trova nella morte il momento produttivo di effetti.
Accanto ai negozi post mortem, inoltre, parte della dottrina ha elaborato la categoria dei contratti c.d. trans – mortem60. Detta categoria si differenzia da quella delle pattuizioni post mortem per una maggiore aderenza alle caratteristiche del testamento61.
In particolare, gli elementi caratterizzanti gli atti trans mortem sono:
1) l’uscita del bene dal patrimonio del disponente prima della morte di quest’ultimo; 2) l’attribuzione del bene al beneficiario si consolida, producendo interamente i suoi effetti, solo dopo la morte del disponente; 3) la possibilità di revocare o modificare a suo piacimento l’assetto patrimoniale previsto nel contratto. Quest’ultima caratteristica è quella che sicuramente avvicina maggiormente detti contratti all’atto di ultima volontà senza ricadere nella violazione dell’art. 458 c.c.
Attraverso dette elaborazioni dottrinali si sono esclusi dal novero dei patti successori una serie di atti eterogenei che presentano un’indiscussa funzione di alternativa al testamento, sebbene nessuno di essi offra le medesime garanzie dell’atto di ultima volontà, pur essendo caratterizzati da taluni elementi comuni al testamento62.
59 In tal senso MONCALVO, I così detti negozi <<transmorte>>, op. cit., 194.
60 L’elaborazione della categoria in esame appartiene a PALAZZO, Autonomia contrattuale e successioni anomale, op. cit. Dubita invece dell’utilità di detta categoria poiché ritiene che tali atti rientrino in quella degli atti post mortem, XXXXXXX, Contributo allo studio delle disposizioni testamentarie “in forma indiretta”, in Riv. trim. dir. proc. Civ., 1998, 4, 1077. Secondo altra parte della dottrina vi sarebbero delle ipotesi residuali che non rientrano né nell’una né nell’altra categoria. In alcuni casi si tratterebbe di ipotesi non negoziali “assolutamente non alternative al testamento e che, anzi, producono comunque i loro effetti anche nel caso in cui la sistemazione patrimoniale venga effettuata mediante testamento”. Il riferimento è alla comunione legale e all’impresa familiare. In tal senso IEVA, sub art. 458, op. cit., 61.
61 Tanto che, taluni, relativamente ai negozi post mortem parlano di alternative imperfette al testamento in quanto difetta il requisito della revocabilità. Così IEVA, sub art. 458 c.c., op.cit, 60.
62 In tal senso M.G. XXXXXXX CALVISI, Diritto successorio, op. cit., 178.
In particolare, parte della dottrina63, in relazione al grado di prossimità con le caratteristiche del testamento, ha distinto tra: a) atti di autonomia; b) atti post mortem a due elementi; c) atti post mortem a tre elementi.
I primi, a differenza dell’atto di ultima volontà, comportano l’immediata uscita del bene dal patrimonio del disponente, sottraendoli alla funzione di garanzia che rappresentavano per il titolare. Rientrano in tale categoria: l’intestazione di beni al futuro erede, la costituzione di società e contestuale intestazione di quote ai soggetti beneficiari, l’intestazione o la contestazione formale di depositi bancari, il deposito di titoli, i fondi di investimento e la donazione64.
Gli atti post mortem a due elementi, invece, nei quali l’evento morte non costituisce la causa giustificatrice dell’attribuzione patrimoniale, ma viene dedotto quale mera condizione o termine, dal cui verificarsi viene fatta dipendere la produzione degli effetti del negozio, hanno in comune con l’atto di ultima volontà la permanenza del bene nel patrimonio del loro titolare fino all’apertura della successione con conseguente acquisto del bene da parte dell’avente diritto da tale momento65. E’ esclusa invece la revocabilità rimessa alla semplice discrezionalità del disponente. In detta categoria vi rientrano la donazione decorrente dalla morte del donante (donazione si moriar), la donazione sottoposta alla condizione della premorienza del donante (donazione si praemoriar66), il mandato post mortem exequendum, il patto di opzione da far valere dopo la morte del promittente, la clausola statutaria contenente il patto di continuazione della società con gli eredi del socio defunto.
Infine, gli atti post mortem a tre elementi (contratto a favore di terzo con effetti post mortem e contratto di assicurazione sulla vita a favore di
63 Detta suddivisione è opera di M.G. XXXXXXX CALVISI, Diritto successorio, op. ult. cit,
178 ss.
64 Così M.G. XXXXXXX CALVISI, Diritto successorio, op. ult cit., 178.
65 Così M.G. XXXXXXX CALVISI, Diritto successorio, op. ult cit., 178.
66 Parte della dottrina ritiene che la donazione sottoposta alla condizione sospensiva della morte del donante sia nulla ex art. 458 c.c. poiché “si ripropone la tipica causa di morte”. In tal senso BIANCA, Le successioni, op. cit., 36. In tal senso anche Xxxx. Civ., 24 aprile 1987, n. 4053, in Riv. dir. civ., 1990, II. 91. La dottrina maggioritaria, tuttavia,è nel senso della validità di detto contratto. Si veda per tutti, MONCALVO, I così detti negozi
<<transmorte>>, op. cit.,199. Così anche Xxxx. Civ., 16 giugno 1966, n. 1547.
terzo) i quali hanno in comune con il testamento il permanere dei beni nel patrimonio del loro titolare fino all’ultimo istante di vita, il differimento della liquidazione a favore del beneficiario al momento dell’apertura della successione e la facoltà del contraente di nominare o revocare il beneficiario anche nell’atto di ultima volontà. Ulteriore caratteristica di detti atti è la possibilità per lo stipulante di rinunciare per iscritto al potere di revoca, caratteristica non comune al testamento per la quale è espressamente vietato dall’art. 679 c.c.
Nelle fattispecie negoziali con effetti “post mortem”, come si è già detto, il soggetto che intende effettuare l’attribuzione dispone immediatamente del proprio diritto a favore del beneficiario: gli effetti di detta attribuzione, tuttavia, sono differiti al momento della morte del disponente. Pertanto, trattandosi di atti tra vivi (con effetti post mortem), i negozi in questione sono estranei al fenomeno successorio ed alla relativa disciplina. La funzione di tali convenzioni, infatti, è proprio quella di escludere determinati beni o diritti dalla successione del disponente: ciò in quanto detti beni si considerano usciti dal patrimonio di colui che ne dispone al momento della stipulazione, attraverso l’esercizio del normale potere di disposizione del proprio patrimonio. Ciò non significa, tuttavia, che gli atti in questione non siano destinati ad incidere sull’assetto dei futuri rapporti successori conseguenti alla morte del disponente67.
Le fattispecie negoziali considerate, infatti, integrano degli atti a titolo gratuito e, pertanto, possono ledere i diritti che la legge riserva agli stretti congiunti del de cuius. In particolare, dette convenzioni sono delle vere e proprie liberalità realizzate attraverso strumenti negoziali diversi dalla donazione tipica, salvo i casi in cui il disponente ricorra direttamente allo strumento della donazione di cui all’art. 769 c.c. Si tratta, pertanto, delle vere e proprie liberalità indirette nelle quali il fine del disponente è quello di arricchire il beneficiario con conseguente impoverimento del proprio patrimonio.
67 In tal senso MONCALVO, I così detti negozi <<transmorte>>, op. ult. cit. 219; si veda anche LUCCHINI GUASTALLA, Divieto della vocazione contrattuale, in AA.VV., I Quadreni della Rivista di Diritto civile, Vol. 8, Tradizione e modernità nel diritto successorio, a cura di Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxxx, Padova, 2007, 152ss.
Le liberalità in questione non sono soggette alla forma prevista per la donazione, in quanto si applica la forma richiesta per i negozi effettivamente conclusi. Le stesse possono essere revocate per ingratitudine e per sopravvenienza di figli e, cosa che più interessa in questa sede, sono soggette a collazione e a riduzione.
Pertanto, all’apertura della successione, le attribuzioni negoziali post mortem che integrano delle liberalità, anche se in forma indiretta, potranno essere impugnate dagli stretti congiunti del de cuius ove sia stata lesa la quota a loro riservata dalla legge68. Questi ultimi, infatti, potranno agire in giudizio ed ottenere la riduzione delle donazioni fatte in vita dal de cuius secondo la disciplina prevista dagli artt. 553 e ss. c.c.
Pertanto, le critiche mosse dalla dottrina maggioritaria al testamento e relative all’incertezza ed instabilità delle attribuzioni patrimoniali in esso contenute si possono estendere anche agli atti liberali post mortem.
Dette attribuzioni contrattuali, infatti, nonostante siano state elaborate come alternative al testamento, non solo non offrono le medesime garanzie di quest’ultimo, ma pongono gli stessi problemi di instabilità propri dell’atto di ultima volontà.
Nessuno degli strumenti individuati, dunque, è idoneo a produrre una disposizione della propria successione davvero alternativa al testamento.
Del resto, secondo parte della dottrina, la prova più tangibile dell’esito negativo della ricerca di un alternativa al testamento è costituita proprio dalla disciplina sul patto di famiglia: essa, nel prevedere espressamente uno strumento nuovo si pone, infatti, chiaramente come la risposta dell’ordinamento ad una esigenza non realizzabile con gli strumenti già presenti nel sistema69.
4. I patti successori nella giurisprudenza della Corte di Cassazione.
68 Sul rapporto tra le liberalità indirette e l’azione di riduzione si veda CARNEVALI U.,
Donazioni indirette e successione necessaria, in Fam. pers. e succ., 2010, 11, 725 ss.
69 Così CAROTA, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, Cedam, 2008, 11 ss.
La giurisprudenza in materia di patti successori degli ultimi anni è relativamente esigua. Come si è già avuto modo di dire in precedenza le pronunce della Cassazione, così come dei Tribunali di merito, sembrano riconoscere in astratto la validità del divieto, per negarne poi l’applicabilità nei casi concretamente esaminati70.
La Suprema Corte, in particolare, ha elaborato una serie di indici di riconoscimento di un patto successorio che hanno conferito una parvenza di stabilità alla valutazione giurisprudenziale delle operazioni negoziali sospettate di incorrere nel divieto in questione71. Tuttavia, detta stabilità è soltanto apparente poiché non ha impedito l’adozione di soluzioni e orientamenti altalenanti delle Corti, così sottoponendo la prassi ad un rischio sempre maggiore di assoggettamento dei contratti post mortem o trans mortem alla disciplina prevista per i patti successori72.
Gli indici rivelatori di un patto successorio secondo l’orientamento prevalente della Suprema Corte sono i seguenti: 1) se il vincolo giuridico con essa creato abbia avuto la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta;
2) se la cosa o i diritti formanti oggetto della convenzione siano stati considerati dai contraenti come entità della futura successione o debbano comunque essere compresi nella stessa; 3) se il promittente abbia inteso provvedere in tutto o in parte della propria successione, privandosi così
70 Si veda al riguardo il paragrafo 1 e le note 8 e 9 di questo capitolo.
71 In tal senso ZANCHI, Percorsi del diritto ereditario attuale e prospettive di riforma del divieto dei patti successori, op. cit., 723 ss.
72 XXXXXX, Percorsi del diritto ereditario attuale e prospettive di riforma del divieto dei patti successori, op. ult. cit., 723 ss. secondo il quale “se esaminate nel loro complesso, le decisioni che hanno qualificato un contratto come patto successorio non sono molto numerose e sono sempre meno ricorrenti nella giurisprudenza più recente, dimostrando, al di là delle incertezze qualificatorie, un atteggiamento prudente nell’interpretazione dell’art. 458 c.c., ma anche una capacità di intercettare il disagio che la comunità esprime nei confronti di questo divieto”. Così anche XXXXXXXXXXX, Trasferimento di azioni e limiti del divieto dei patti successori, in Le Società, 9/1994, 1185, secondo il quale “gli stessi sforzi definitori della giurisprudenza, che ha dettato un «pentalogo» di ipotesi cui riferirsi per verificare in concreto l'esistenza del patto successorio, vengono vanificati nell'applicazione pratica - come l'evoluzione della vicenda processuale testimonia - sia perché l'interpretazione di qualsiasi «indirizzo» rimane soggettiva e relativa, sia perché lo stesso «indirizzo» della Suprema Corte è di per sé ambiguo, non chiarendo, ad esempio, neppure se i criteri discretivi indicati debbano ricorrere contestualmente tutti, ovvero sia sufficiente la presenza di uno solo di essi per ritenere che la fattispecie concreta ricada sotto il divieto dei patti successori”.
dello jus poenitendi; 4) se l’acquirente abbia contrattato o stipulato come avente diritto alla successione stessa; 5) se il trasferimento, dal promittente al promissario, debba aver luogo mortis causa, ossia a titolo di eredità o di legato73.
Si è precisato, inoltre, che “configurano un patto successorio, non suscettibile di sanatoria ai sensi dell'art. 1424 c.c., sia le convenzioni aventi ad oggetto una vera istituzione di erede rivestita della forma contrattuale, sia quelle che abbiano ad oggetto la costituzione, trasmissione o estinzione di diritti relativi ad una successione non ancora aperta, tali da far sorgere un "vinculum iuris"74.
Dato il contenuto numero delle decisioni in merito è possibile un più attento esame delle stesse, dando così un quadro aggiornato dell’attuale panorama giurisprudenziale.
In particolare la Suprema Corte ha ritenuto la sussistenza di un patto successorio nei seguenti casi:
- Cass. Civ., 18 agosto 1986, n. 5079: Configura un patto successorio vietato dall'art. 458 c.c. l'atto con il quale due soggetti comprino in comune la proprietà di un immobile, contestualmente pattuendo che la quota ideale di comproprietà di ciascuno acquistata debba successivamente pervenire a chi di essi sopravviva, in quanto quest'ultimo acquista l'altra quota non dall'originario venditore che l'aveva già alienata al soggetto premorto, ma direttamente dal medesimo, al di fuori delle prescritte forme di successione mortis causa75.
- Cass. Civ., 24 aprile 1987, n. 4053: Il negozio con il quale un soggetto dispone, in vita, di un proprio diritto (nella specie: il godimento, qualificato, nell'atto, come comodato, di un appartamento), attribuendolo unilateralmente ad altro soggetto con effetti decorrenti dalla propria morte, concreta una disposizione mortis causa ed è valido solo se perfezionato con l'osservanza dei requisiti di forma previsti dalla legge; se l'attribuzione è invece frutto di un accordo, il negozio rientra
73 Cass. Civ. 22 luglio 1971, n. 2404.
74 Cass. Civ., 19 novembre 2009, n. 24450 in Giur. it., 2010, 1553, nota XXXXXXX, e Nuova
giur. civ. comm., 2010, I, 556.
75 Cass. Civ., 18 agosto 1986, n. 5079, in Riv. notar., 1985, 1346.
nella categoria dei patti successori ed è nullo a norma dell'art. 458 c. c. (nella specie: il negozio è stato ritenuto nullo in quanto il documento contenente la disposizione unilaterale non aveva la forma prescritta per i testamenti olografi)76.
- Cass. Civ.. 17 agosto 1990, n. 8335: Il contratto, con cui una parte deposita presso un'altra una determinata somma di denaro ed attribuisce ad un terzo, che prende parte all'atto, il diritto a pretenderne la restituzione dopo la propria morte, non configura un contratto a favore di terzi, con esecuzione dopo la morte dello stipulante, a norma dell'art. 1412 c.c., avendo il terzo assunto la qualità di parte dell'atto e lo stipulante obbligandosi in suo diretto confronto a mantenere ferma la disposizione in suo favore, bensì rientra, nell'ambito di applicazione del divieto dei patti successori sancito dall'art. 458 c. c., ed è perciò nulla, giacché dà luogo ad una convenzione costituita da un deposito irregolare e da una vietata donazione mortis causa77.
- Cass. civ. Sez., 9 maggio 2000, n. 5870 : Ricorre un patto successorio istitutivo, nullo ai sensi dell'art. 458 c.c. nella convenzione avente ad oggetto la disposizione di beni afferenti ad una successione non ancora aperta che costituisca l'attuazione dell'intento delle parti, rispettivamente, di provvedere in tutto o in parte alla propria successione e di acquistare un diritto sui beni della futura eredità a titolo di erede o legatario. Tale accordo deve essere inteso a far sorgere un vero e proprio vinculum iuris di cui la successiva disposizione testamentaria costituisce l'adempimento. Conseguentemente, deve essere esclusa la sussistenza di un patto successorio quando tra le parti non sia intervenuta alcuna convenzione e la persona della cui eredità trattasi abbia solo manifestato verbalmente all'interessato o a terzi l'intenzione di disporre dei suoi beni in un determinato modo, atteso che tale promessa verbale non crea alcun vincolo giuridico e non è quindi idonea a limitare la piena libertà del testatore che è oggetto di tutela legislativa78.
76 Cass. Civ., 24 aprile 1987, n. 4053, in Riv. notar., 1987, 582.
77Cass. Civ.. 17 agosto 1990, n. 8335, in Riv. notar., 1991, 517
78 Cass. civ. Sez., 9 maggio 2000, n. 5870, in Notariato, 2001, 227.
Diversamente, la Suprema Corte ha affermato che non rientrano nel divieto di cui all’art. 458 c.c. le fattispecie analizzate nelle pronunce che seguono:
- Cass. civ., 23 aprile 1992, n. 4912 : La clausola della polizza di assicurazione contro gli infortuni, che prevede l'intrasmissibilità agli eredi dell'assicurato del diritto all'indennità per invalidità permanente non ancora liquidata od offerta alla morte di quest'ultimo (per causa indipendente dall'infortunio), non integra un patto successorio vietato perché non assegna preventivamente ed irrevocabilmente a terzi, con il contratto di assicurazione, beni e diritti facenti parte dell'eredità dell'assicurato, nè dispone (o rinuncia) ai diritti che potrebbero derivare da una successione, ma circoscrivere solo l'operatività della polizza, con riguardo ai soggetti beneficiari, segnano il momento finale ed estintivo dell'obbligazione assunta dall'assicuratore in modo da conferire un carattere personale all'indennità79.
- Cass. civ., 16 febbraio 1995, n. 1683: Non è patto successorio vietato ai sensi dell'art. 458 c.c. la promessa di vendere al figlio naturale del coniuge della promittente, dopo la morte del coniuge stesso, una quota facente parte di una maggior quota già appartenente alla futura venditrice nell'ambito della comunione legale dei beni e che solo temporaneamente era indisponibile in virtù delle norme che regolano la comunione fra i coniugi, poiché l'evento morte non rappresenta la causa dell'acquisto del bene oggetto della promessa ma solo il momento della sua libera disponibilità80.
- Cass. civ., 8 ottobre 2008, n. 24813: Non si configurano patti successori qualora nelle disposizioni testamentarie con cui due fratelli hanno istituito entrambi una fondazione, nominandola erede universale, sia ravvisabile un impegno morale, liberamente assunto da ciascuno di essi, a destinare il patrimonio familiare a scopi di pubblica utilità. L'accordo vietato deve essere inteso a far sorgere un vero e
79 Cass. civ., 23 aprile 1992, n. 4912, in Giur. it., 1993, I,1, 378
80 Cass. civ., 16 febbraio 1995, n. 1683, in Corr. giur., 1995, 5, 571.
proprio vinculum iuris, di cui la successiva disposizione testamentaria costituisce l'adempimento81.
- Cass. Civ., 3 marzo 2009, n. 5119: Nella specie, la Cassazione, correggendo la motivazione della sentenza impugnata, ha escluso che potesse ricorrere un'ipotesi di patto successorio con riguardo ad una convenzione inter vivos intercorsa tra la de cuius, quando era in vita, e la nipote, con la quale la prima si era riconosciuta debitrice della seconda di una determinata somma di denaro a titolo di gratitudine e compenso per l'assistenza e le cure ricevute per un considerevole periodo, prevedendo che l'estinzione del debito sarebbe avvenuta dopo la sua morte82.
- Cass. Civ., 19 novembre 2009, 24450: La Suprema Corte ha riconosciuto la natura di patto successorio, vietato dalla legge, e non di transazione, come erroneamente ritenuto dal Giudice di merito, alla scrittura privata con la quale una sorella aveva consentito al trasferimento in favore dei fratelli della proprietà di immobili appartenenti al padre, a fronte dell'impegno, assunto dai medesimi, di
81 Cass. civ., 8 ottobre 2008, n. 24813 in Fam. pers. succ., 2009, 4, 311 nota di GRASSI; in Nuova giur. civ., 2009, 4, nota LA MARCA. Nella pronuncia in esame la Suprema Corte si è espressa sull’attualità del divieto dei patti successori asserendo che “del resto, è innegabile, negli ultimi anni, una progressiva erosione, sul piano dottrinale e normativo, della portata del divieto dei patti successori. Si tratta di una tendenza che si è evidenziata in modo particolare - salvi i diritti dei legittimari - con il recepimento nella normativa nazionale dell'istituto di common law del trust, e di altri schemi contrattuali - massimamente con la disciplina delle gestioni fiduciarie da parte delle S.I.M. ed altri congegni con riguardo alla trasmissione di quote di partecipazione sociale - finalizzati al rinvenimento di strumenti negoziali idonei a soddisfare le esigenze economiche dei processi produttivi, sottraendo all'applicazione delle regole tradizionali della disciplina successoria la scelta dei successori ritenuti idonei a garantire la funzionalità dell'impresa (si pensi, in particolare, all'art. 768 bis c.c. e ss., introdotti dalla L. 14 febbraio 2006, n. 55, recante "Modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia"). Nè la giurisprudenza è rimasta insensibile a tale evoluzione.”
82 Cass. Civ., 3 marzo 2009, n. 5119, in Notariato, 2009, 6, 622 nota di LIGOZZI. La Corte, in particolare, ritiene che la convenzione in esame rientri nell’ambito di quei negozi “inter vivos” con i quali si determina l’immediato trasferimento di un bene o la nascita di una obbligazione, pur subordinandone l’efficacia alla morte di una delle parti; in altri termini l’atto si perfeziona e diviene vincolante indipendentemente dalla morte, venendo così meno qualsiasi nesso tra morte ed atto di disposizione, nonostante il differimento della sua efficacia al momento della morte di una delle parti; in tale quadro, contrassegnato dalla utilizzazione di determinati schemi negoziali caratterizzati dall’efficacia “post mortem”, si spiega come ad esempio sono stati riconosciuti validi la donazione “si moriar” (Cass. 9.7.1976, n. 2619) ed il mandato “post mortem” (Cass. 25.3.1993, n. 3062); pertanto correttamente la sentenza impugnata ha escluso la configurabilità di un patto successorio nella convenzione in esame”.
versarle una somma di denaro, da considerare, in relazione allo specifico contesto, come una tacitazione dei suoi diritti di erede legittimario83.
In relazione alla compatibilità delle clausole societarie destinate a disciplinare il fenomeno successorio con il divieto dei patti successori, la Cassazione ha statuito che:
- Cass. Civ., 16 aprile 1994, n. 3609 : la clausola statutaria che attribuisce ai soci superstiti di una società di capitali, in caso di morte di uno di essi, il diritto di acquistare, entro un determinato periodo di tempo e secondo un valore da determinarsi secondo criteri prestabiliti, dagli eredi del de cuius le azioni già appartenute a quest'ultimo e pervenute iure successionis agli eredi medesimi, non viola il divieto dei patti successori di cui all'art. 458 c.c., in quanto il vincolo che ne deriva a carico reciprocamente dei soci è destinato a produrre effetti solo dopo il verificarsi della vicenda successoria e dopo il trasferimento (per legge o per testamento) delle azioni agli eredi, con la conseguenza che la morte di uno dei soci costituisce soltanto il momento a decorrere dal quale può essere esercitata l'opzione per l'acquisto suddetto, senza che ne risulti incisa la disciplina legale della delazione ereditaria o che si configurino gli estremi di un patto di consolidazione delle azioni fra soci, caratterizzandosi, invece la clausola soltanto come atto inter vivos, non contrastante, in quanto tale, neanche con la norma dell'art. 2355 comma 3 c.c., che legittima disposizioni statutarie intese a sottoporre a particolari condizioni l'alienazione di azioni nominative84.
83 Cass. Civ., 19 novembre 2009, n. 24450 in Giur. it., 2010, 1553, nota XXXXXXX, e Nuova giur. civ. comm., 2010, I, 556, in Fam. pers. e succ., 2010, 7, 511, nota PIGNALOSA. Si veda anche XXXXXX, Note sul divieto di patti successori, op. cit., 305. La sentenza in questione prende posizione in relazione alla querelle sull’applicabilità o meno dell’art. 1424 c.c., rubricato “conversione del contratto nullo”, ai patti successori. Secondo la pronuncia in questione “ il patto successorio, ponendosi in contrasto con il principio fondamentale (e pertanto di ordine pubblico) del nostro ordinamento della piena liberta` del testatore di disporre dei propri beni fino al momento della sua morte, e` per definizione non suscettibile della conversione, ex art. 1424 c.c., in un testamento, mediante la quale si realizzerebbe proprio lo scopo, vietato dall’ordinamento, di vincolare la volonta` del testatore al rispetto di impegni, concernenti la propria successione, assunti con terzi”
84 Cass. Civ., 16 aprile 1994, n. 3609, in Giur. it., 1995, 7, nota REVIGLIONO, Le clausole di riscatto delle azioni non contrastano con il divieto dei patti successori. In particolare la Suprema Corte, nella pronuncia in esame, precisa che ““contrariamente a quanto affermato nella impugnata sentenza, ritiene la Corte che la clausola "de qua" non integra un patto successorio vietato (sulla cui nozione cfr. Cass., n. 2404/1971). Ciò in
- Cass. Civ., 18 dicembre 1995, n. 12906 : In una società in accomandita semplice, l'apposizione di una clausola statutaria con cui si preveda la continuazione cosiddetta automatica degli eredi dei soci accomandanti nella partecipazione societaria comporta, unitamente al trasferimento della quota sociale, anche la trasmissione dello "status socii" e non contrasta con il divieto di patti successori di cui all'art. 458
c.c. in quanto si inserisce in un momento logicamente successivo all'individuazione dell'erede, senza influenzare nessuna delle possibili vicende successorie85.
- Cass. Civ., 12 febbraio 2010, n. 3345: La clausola di uno statuto di una società a responsabilità limitata che, in caso di morte di un socio, preveda il diritto degli altri soci di acquisire la quota del defunto versando agli eredi il relativo controvalore, da determinarsi secondo criteri stabiliti dalla stessa clausola, non viola il divieto dei patti successori, posto dall'art.
quanto il vincolo che ne deriva, a carico reciprocamente dei soci, in vita degli stessi ed in previsione della morte di uno di essi, è destinato a produrre i suoi effetti (per di più in via eventuale) solo dopo il verificarsi della vicenda successoria e dopo il trasferimento (per legge o per testamento) delle azioni all'erede, nei confronti di questi, e non "mortis causa", nei confronti del socio "de cuius", regolandone in vita, e irrevocabilmente, la successione, Questa avviene cioè in base alla legge o al testamento e non in base alla disciplina pattizia della clausola statutaria, la quale contiene unicamente un vincolo a carico degli eredi divenuti azionisti per successione del socio premorto, consistente nella soggezione all'esercizio del diritto di opzione da parte dei soci superstiti, dietro versamento di un corrispettivo, alle condizioni previste nella xxxxxxxx.Xx effetti la struttura della clausola descritta attribuisce, al momento del suo inserimento nel contratto sociale, a favore di ciascun socio, da parte di tutti gli altri (e l'uno a favore dell'altro), un diritto di opzione per l'acquisto delle rispettive azioni, il cui esercizio, però, viene` espressamente subordinato alla premorienza di uno di essi rispetto agli altri soci. Ecco allora che l'evento morte di uno dei soci viene a costituire solamente il momento a partire dal quale può essere esercitato il diritto di opzione da parte di tutti gli altri soci superstiti”. Ed ancora “La clausola in questione si differenzia, poi, ed è bene evidenziarlo, dal cosiddetto patto di consolidazione (o clausola di consolidazione) delle azioni o delle quote fra soci, peraltro valido (Cass., 16 aprile 1975, n. 1434) in quanto dà luogo alla liquidazione della porzione spettante al defunto ed alla devoluzione di questa secondo le regole della successione ereditaria, senza limitazione perciò della volontà testamentaria, come invece nel caso in cui non sia prevista l'attribuzione di alcunché ai successori per legge o per testamento. In tali ipotesi, infatti, la morte del socio determina l'acquisto immediato e diretto delle azioni appartenenti al "de cuius", da parte degli altri soci superstiti (con o senza liquidazione della quota sociale in favore dei successori). Nella ipotesi qui in considerazione, invece, come si è detto la morte del socio determina solamente il presupposto acché tale trasferimento possa operare, sia pure con effetti consimili, nei confronti dei successori per legge o testamento, in favore dei soci superstiti”. Secondo parte della dottrina “il pregio principale della sentenza in commento consiste nell'aver restaurato la «decisa tendenza» della giurisprudenza a contenere l'ambito di applicazione del divieto dei patti successori, messa in discussione dai giudici d' appello”, così XXXXXXXXXXX, Trasferimento di azioni e limiti del divieto dei patti successori, op. cit., 1185.
85 Cass. Civ., 18 dicembre 1995, n. 12906 in Giur. it., 1996 nota di XXXXX.
458 cod. civ. - norma che, costituendo un'eccezione alla regola dell'autonomia negoziale, non può essere estesa a rapporti che non integrano la fattispecie tipizzata in tutti i suoi elementi - e neppure costituisce una frode al divieto dei patti medesimi, in quanto essa non ricollega direttamente alla morte del socio l'attribuzione ai soci superstiti della quota di partecipazione del defunto, ma consente che questa entri inizialmente nel patrimonio degli eredi, pur se connotata da un limite di trasferibilità, dipendente dalla facoltà degli altri soci di acquisirla esercitando il diritto di opzione loro concesso dallo statuto sociale, e dunque è volta solo ad accrescere lecitamente il peso dell'elemento personale, rispetto a quello capitalistico, nella struttura dell'ente collettivo. (Fattispecie anteriore al d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6)86.
5. Patto di famiglia e patti successori: deroga al divieto?
Come si è detto in precedenza, la L. n. 55/2006 ha introdotto nel nostro ordinamento il patto di famiglia, contratto con il quale l’imprenditore trasferisce l’azienda o il titolare di partecipazioni sociali trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote ad uno o più discendenti.
La novella, in particolare, oltre ad aver introdotto il capo V-bis al Libro II, Titolo IV, c.c., al primo periodo dell’art. 458 c.c., ha premesso l’inciso “fatto salvo quanto disposto dagli artt. 768 bis ss”. Tale esplicita deroga legislativa al divieto dei patti successori lascerebbe pensare, almeno ad una prima lettura, che il nuovo istituto integri un patto successorio eccezionalmente valido87.
86 Cass. Civ., 12 febbraio 2010, n. 3345, in Giur. it., 2011, 3, 559 nota di XXXXXXX, Divieto di patti successori e clausole statutarie c.d. di consolidazione.
87 Secondo parte della dottrina, stando ad una interpretazione letterale della norma, la deroga al divieto di cui all’art. 458 c.c. sembrerebbe riferirsi ai soli patti istitutivi, e non a quelli dispositivi o rinunciativi. Così DELLE MONACHE, Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia, in Riv. not, 2006, 890 ss. Contra, tra tutti, XXXXXXXXX, sub art. 458 c.c., in Il patto di famiglia, a cura di Xx Xxxxx, Xxxxxxxxx e Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx Editore, 2006, 16., secondo il quale “il profilo letterale non può essere sopravvalutato: è probabile che il legislatore, trasportato dall’entusiasmo per la novità
Del resto, al rapporto con i patti successori fa espresso richiamo, la relazione alla proposta di legge n. 3870, 8 aprile 2003, da cui ha preso le mosse il provvedimento normativo in commento, nella quale si legge che “la ratio del provvedimento deve essere rinvenuta nell’esigenza di superare in relazione alla successione di impresa la rigidità del divieto dei patti successori, che contrasta non solo con il fondamentale diritto all’esercizio dell’autonomia privata, ma altresì e soprattutto con la necessità di garantire la dinamicità degli istituti collegati all’attività d’impresa”. Pertanto, i primi commentatori del patto di famiglia, incoraggiati dalla lettera della norma, hanno accolto il nuovo istituto con entusiasmo, convinti che lo stesso integrasse una vera e propria deroga al divieto dei patti successori88.
Al fine di chiarire il senso e la portata della deroga è necessario confrontare il patto di famiglia con tutte e tre le figure di patti successori previste dall’art. 458 c.c.
introdotta, ed intenzionato a dare alla stessa il massimo rilievo possibile, si sia indotto ad inserire la previsione di salvezza all’inizio dell’art. 458 c.c. Insomma, il legislatore ha avuto intenzione di riferire la deroga non al divieto di questo o di quel patto successorio, ma al generale divieto dei patti successori”.
88 Al riguardo si veda ANDRINI, il patto di famiglia: tipo contrattuale e forma negoziale, in xxx.xxxxxxxxxxx.xxx; BALESTRA, Prime osservazioni sul patto di famiglia, in Nuova giur. civ. comm., 2006, II, 369, secondo il quale l’istituto in esame ha decretato un’apertura epocale nei confronti del contratto successorio avente ad oggetto i beni di cui all’art. 768 bis e ss. Contra, tra i primi commentatori, IEVA, Il trasferimento dei beni produttivi in funzione successoria: patto di famiglia e patto di impresa. Profili generali di revisione del divieto dei patti successori, in Riv. not., 1997, 1371 ss, il quale, già in relazione al progetto stilato sotto il coordinamento di Xxxxxxx Xxxx e di Xxxxxx Xxxxxxxx, da cui ha preso inizio il movimento normativo che ha portato all’approvazione della riforma sul patto di famiglia, ha affermato «con assoluta certezza che il patto di famiglia (…) non configura un patto successorio perché ciò che forma oggetto dell’attribuzione è l’azienda nella consistenza che ha al momento dell’atto dispositivo, l’effetto attributivo è immediato e allo stesso modo immediata è anche la determinazione del soggetto o dei soggetti beneficiari». Pertanto “il risultato che si realizza è identico a quello che già oggi si potrebbe realizzare con una donazione in quote indivise a tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione e con una contestuale cessione dei diritti a titolo oneroso da parte di alcuni donatari a colui o a coloro che sono destinati a gestire l’azienda di famiglia”. L’Autore rileva, inoltre, che ”la vera portata innovativa della norma (…) non consiste in una deroga al divieto dei patti successori, bensì in una disattivazione dei meccanismi di tutela che l’ordinamento ha predisposto a favore dei familiari e segnatamente la riduzione e la collazione”. XXXXXX, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, op. cit., 45 secondo la quale “a ben guardare, nel patto di famiglia, non ricorrono quei caratteri che, secondo l’orientamento ormai da tempo condiviso anche dalla giurisprudenza, sono necessari ad integrare le varie figure del patto successorio istitutivo, di quello dispositivo, ovvero di quello rinunciativo”.
La dottrina maggioritaria esclude che il nuovo istituto possa configurare un patto successorio istitutivo89. Quest’ultimo, infatti, come si è già detto in precedenza, è un atto mortis causa, ossia un atto che ha come contenuto il regolamento di una situazione rilevante giuridicamente dopo la morte del suo autore. Prima di tale evento l’atto non produce alcun effetto e non crea alcun vincolo di indisponibilità reale sui beni che ne costituiscono l’oggetto. Il patto di famiglia, invece, secondo la definizione contenuta nell’art. 768 bis c.c. è quel contratto con il quale “l’imprenditore trasferisce,
89 Così XXXXXXXXX, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, in Notariato 3/2006, 289 ss, XXXXXXXXX, sub art. 458 c.c., op. cit., 16 ss, XXXXXXXX, Patto di famiglia e diritto delle successioni mortis causa, in Fam. pers. e succ., 5/2007, 390ss, DELLE MONACHE, Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia ,op. cit., 895 ss; XXXXXXX, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia, in xxx.xxxxxxxx.xx ; INZITARI, Il patto di famiglia, Negoziabilità del diritto successorio con la legge 14 febbraio 2006, n. 55, Torino, 2006, 63 ss; OBERTO, Lineamenti essenziali del patto di famiglia, in Fam. e dir., 4/2006, 407 ss; XXXXXXXX, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv. not., 2006, 408ss; DE NOVA , DELFINI, RAMPOLLA, XXXXXXXX, Il patto di famiglia, Ipsoa, 2006, 5 ss; ZANCHI, Percorsi del diritto ereditario attuale e prospettive di riforma del divieto dei patti successori, op. cit., 739; M.G. XXXXXXX CALVISI, Patto di famiglia, xxxxx successori e tutela dei legittimari, op. cit., secondo la quale “Sotto il profilo considerato, dunque, il patto di famiglia non si identifica col patto istitutivo, ovvero col c.d. contratto ereditario che ha ad oggetto l’istituzione di erede, ossia l’attribuzione irrevocabile in forma negoziale di una qualità personale che conferisce al suo titolare l’idoneità ad acquistare, previa accettazione e comunque a far data dall’apertura della successione, tutto o parte del patrimonio del de cuius, comprese le eventuali sopravvenienze. Oltre tutto, va considerato che, ai fini indicati, la parte di patrimonio cui l’idoneità ad acquistare è riferita non è composta da un singolo cespite ma da una frazione aritmetica di un tutto che comprende anche debiti e liberalità effettuate in vita. Un patto successorio istitutivo potrebbe configurarsi solo se il disponente si obbligasse a trasferire l’azienda o la partecipazione societaria con effetto dall’apertura della successione ed il bene oggetto dell’accordo costituisse per lui l’universum jus. Ma è questo un caso difficilmente configurabile nella realtà per diverse ragioni: perché il “trasferisce” della definizione sembra volere enfatizzare il profilo effettuale di un atto di disposizione tra vivi, escludendo il prodursi di una vicenda analoga a quella successoria, perché il nuovo istituto è diretto a soddisfare un’esigenza attuale di un ricambio generazionale e non un’attribuzione a causa di morte, perché è difficilmente ipotizzabile il caso che l’azienda o la partecipazione societaria costituiscano l’universum jus del disponente (si dovrebbe ipotizzare che questi, pur non essendo nella fase terminale della sua esistenza non abbia neppure la titolarità degli abiti che indossa, di un orologio, di un libro o di qualsiasi altro effetto personale)”. Contra BALESTRA, Prime osservazioni sul patto di famiglia, op. cit, secondo il quale “il patto di famiglia consente che il trasferimento dell’azienda, ovvero delle partecipazioni societarie, venga differito nel tempo e, quindi, anche al momento della morte dell’imprenditore ovvero del titolare delle partecipazioni societarie. Per effetto della nuova formulazione dell’art. 458 cod. civ. il patto di famiglia, così come previsto nei nuovi artt. 768 bis ss. cod. civ., si caratterizza invece per esser configurabile sia come contratto inter vivos che come contratto mortis causa”.OPPO, Patto di famiglia e diritti della famiglia, in Riv. dir. civ., 4/2006, secondo il quale “patto dunque « istitutivo», secondo la terminologia usata in materia di patti successori, dei quali è sostanzialmente sostitutivo (e derogatorio del relativo divieto almeno per la soppressione dello ius poenitendi) e patto attualmente traslativo che evita il passaggio dell’attribuzione attraverso la comunione ereditaria”.
in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote , ad uno o più discendenti”90. Esso è destinato, pertanto, a produrre effetti traslativi immediati e definitivi: l’azienda e le partecipazioni sociali entrano immediatamente nel patrimonio del discendente – assegnatario91. L’immediatezza di tali effetti, in particolare, si risContra tanto in termini di individuazione dell’oggetto che di determinazione dei beneficiari: oggetto dell’attribuzione è l’azienda nella consistenza che ha al momento della stipula dell’atto ed in relazione a tale momento vengono individuati anche i beneficiari di tale attribuzione, perciò, qualora il disponente volesse continuare a gestire l’impresa dovrebbe necessariamente riservarsi l’usufrutto.
Altrettanto incerta appare la configurazione del nuovo istituto come patto dispositivo e rinunciativo. Al riguardo, infatti, occorre premettere che la sola circostanza che tali convenzioni, a differenza dei patti istitutivi, integrino degli atti inter vivos non è sufficiente ad accostarli al patto di famiglia.
Tuttavia, parte della dottrina, ritiene sussista un patto successorio dispositivo nella circostanza che l’assegnatario dell’azienda o delle partecipazioni sociali soddisfa, durante la vita del disponente, le ragioni dei legittimari non assegnatari, versando loro una somma corrispondente al valore della quota di legittima contestualmente calcolata fingendo che la successione del donante si sia aperta in quel momento92. Tale attribuzione,
90 Contra BALESTRA – XXXXXXX, Una deroga legislativa recentemente introdotta: il patto di famiglia, in Trattato delle Successioni e Donazioni, La successione ereditaria, Vol. I, Milano, 152 ss. Gli autori, in particolare, affermano che “quanto all’argomento fondato sull’art. 768 bis c.c., norma che parrebbe postulare l’immediatezza del trasferimento, va osservato che la terminologia utilizzata, in questa come a proposito di altre fattispecie (ad es. art. 1470 c.c.), è neutra”.
91 Contra BALESTRA – XXXXXXX, Una deroga legislativa recentemente introdotta: il patto di famiglia, op. ult. cit., secondo i quali “il patto di famiglia, in quanto contratto, è pur sempre retto dal principio dell’autonomia contrattuale la quale, fatti salvi i limiti di legge, può, per quel che concerne il contenuto, liberamente esplicarsi e, dunque, costruire il patto di famiglia sia come contratto ad efficacia immediata sia come contratto ad efficacia differita al momento della morte dell’imprenditore”.
92 In tal senso OBERTO, Lineamenti essenziali del patto di famiglia, op. cit., 415, XXXXXXXX, La nuova disciplina del patto di famiglia, op. cit.; INZITARI, Il patto di famiglia, Negoziabilità del diritto successorio con la legge 14 febbraio 2006, n. 55, op. cit., 70ss.; ANDRINI, il patto di famiglia: tipo contrattuale e forma negoziale, op. cit.; XXXXXXXX E
di per sé, non costituisce un atto di disposizione di beni o diritti facenti parte di una successione futura; tuttavia, il patto successorio sarebbe ravvisabile nel fatto che l’assegnatario anticipa ai suoi fratelli o sorelle ed all’altro genitore quanto loro spetta sui beni oggetto del patto di famiglia, che altrimenti cadrebbero in successione. In cambio di ciò, i non assegnatari, nel momento in cui accettano la liquidazione della quota, assumono il ruolo di disponenti in quanto, in sostanza, alienano all’assegnatario la loro porzione di legittima sul bene oggetto del patto.
Altra parte della dottrina, invece, ha ravvisato un patto successorio rinunciativo nella eventuale rinuncia dei legittimari partecipanti al patto alla quota parte del valore dell’azienda loro spettante per espressa previsione di legge93.
La dottrina maggioritaria, tuttavia, esclude che il patto di famiglia possa configurarsi come eccezione al divieto dei patti dispositivi e rinunciativi in quanto, in entrambe le fattispecie, è estraneo il disponente ed, inoltre, gli stessi “hanno ad oggetto una porzione ideale, non immediatamente disponibile, del patrimonio ereditario e non un diritto di credito nei confronti dell’assegnatario dell’azienda o della partecipazione societaria od anche dello stesso disponente”94.
MAISTO, Il patto di famiglia: l’imprenditore sceglie il proprio successore, in Corr. giur., 2006, 718; XXXXXXXXX, sub art. 458 x.x., xx. xxx., 00 xx
93 In tal senso LOMBARDI E MAISTO,op. ult. cit; XXXXXXXXX, op. ult. cit., 16 ss; XXXXXXX, Patti di famiglia: Note a prima lettura, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, secondo il quale “ non può non notarsi come una tale rinuncia, un tempo fulminata da nullità, oggi sia del tutto lecita nell’ambito di un patto di famiglia”. Xxxxx, il patto di famiglia, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, secondo il quale “qualora i non assegnatari rinuncino alla liquidazione, si realizza un patto successorio rinunciativo, poiché, in sostanza, tali soggetti rinunciano preventivamente a diritti di legittima che gli possono spettare sulla successione del genitore non ancora aperta”. Ed ancora XXXXXXXX,op. ult. cit., il quale afferma, che per l’ipotesi “in cui il legittimario rinunzi in tutto o in parte alla liquidazione dei propri diritti (come ammesso dall’art. 768-quater, comma 2, c.c.), si è in presenza di un vero e proprio patto successorio rinunciativo, in deroga all’art. 458 c.c.”
94 Così M.G. XXXXXXX XXXXXXX, Patto di famiglia, xxxxx successori e tutela dei legittimari, op. cit. Sul punto anche XXXXXXXXX, Il patto di famiglia presupposti soggettivi, oggettivi e requisiti formali, in AA.VV., Patti di famiglia per l’impresa, in Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2006, 152, secondo il quale, con specifico riferimento al patto rinunciativo “con tale rinuncia ci si priva di un diritto che l’ordinamento riconosce, a sua volta, immediatamente, quale effetto necessario ed in senso lato divisionale della conclusione del patto di famiglia, e che non risulta collegato in alcun modo, come deve invece essere, per definizione, per qualsiasi patto successorio rinunciativo, con la futura apertura di una successione”.
Tanto considerato, nonostante la lettera della norma e le intenzioni del Legislatore espresse nella Relazione di accompagnamento alla novella, il patto di famiglia non presenta le caratteristiche proprie dei patti successori. Pertanto, l’opinione espressa dai primi commentatori, ossia che il nuovo istituto abbia assestato un duro colpo all’integrità del divieto in commento, deve essere del tutto abbandonata.
Si deve dare atto, tuttavia, di come, con la Novella in esame, il Legislatore abbia inteso prestare attenzione alle istanze provenienti dalla dottrina maggioritaria e dagli organismi comunitari, al fine di attenuare la rigidità del divieto dei patti successori nella materia della successione nell’impresa95. Certo, lo strumento utilizzato non è stato all’altezza delle aspettative e ciò è dimostrato anche dal fatto che pochissime sono state le applicazioni pratiche del nuovo istituto, tuttavia, ciò non priva la significatività del tentativo di modificare il divieto dei patti successori ed indica “per il futuro un metodo di intervento di modernizzazione del divieto attuale” di carattere non meramente erosivo96.
95 Zanchi, Percorsi del diritto ereditario attuale e prospettive di riforma del divieto dei patti successori, op. cit.,738.
96 ZANCHI, op. ult. cit., 740. Si sofferma sul punto anche XXXXXX, Il contratto con causa successoria, op. cit., 53 ss secondo la quale “in altri termini la riflessione condivisa secondo cui con il patto di famiglia si è aperta la strada per una pianificazione successoria preconcordata con i successibili, quale alternativa al testamento induce a considerare il patto stesso come un accordo successorio familiare anticipato al quale partecipano tutti i potenziali legittimari, accordo eccezionalmente consentito dalla formula di salvezza collocata all’inizio del primo periodo dell’art. 458 c.c. Se così è, si dovrà allora ipotizzare di poter attribuire a quest’ultima disposizione un più ampio significato, in particolare immaginando che al tradizionale divieto dei patti successori istitutivi ivi contenuto (per concorde valutazione non coinvolto dalla disciplina sul patto di famiglia) si affianchi (o già si affiancasse) un diverso ulteriore divieto rispetto al quale appunto il complesso di regole di cui agli artt. 768 bis e seguenti costituisce eccezionale deroga”.
CAPITOLO II
Il principio di solidarietà familiare nelle successioni a causa di morte: i diritti dei legittimari.
Sommario: 1. Introduzione. 2. Il principio di intangibilità della legittima. 2.1. L’azione di riduzione. 3. L’inattualità della successione necessaria. 3.1. Le proposte di riforma della successione necessaria. 3.2. Il
d.d.l. n. 1043/2006. 3.3 La posizione della dottrina. 3.4. Le riforme recenti in materia: le modifiche agli artt. 561 e 563 c.c. 3.5. La legge n. 55/2006.
3.6. Considerazioni conclusive.
1. – Introduzione
L’articolo 2 della Costituzione Italiana dispone che “la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. La norma in questione coniuga il principio personalistico e il dovere di solidarietà: il primo consente di affermare che la tutela delle formazioni sociali, e della famiglia, che ne costituisce, per così dire, il prototipo, si giustifica non in vista di un interesse superiore, ma in funzione della tutela dei diritti delle persone; il secondo, invece, impone il superamento di un atteggiamento meramente egoistico ed individualistico per far spazio alla condivisione dei bisogni e delle esigenze altrui97
Nella solidarietà, dunque, i diritti delle persone trovano piena realizzazione. La dimensione solidaristica, infatti, permea tutti i rapporti di rilevanza costituzionale: quelli etico sociali (la famiglia, la salute, l’istruzione),quelli economici (il lavoro e i diritti sindacali,la proprietà,l’impresa) e quelli politici (il diritto di associarsi in partiti,il diritto di voto,il dovere di contribuire alle spese dello Stato). La Costituzione italiana rafforza la dimensione solidaristica con la
97 XXXXXXXX X., voce Alimenti, in Dig. disc. priv.( Sez. civ.), aggiornamento, 2003, Utet.
previsione di obblighi senza i quali la solidarietà rimarrebbe su di un piano extragiuridico.
Nell'ambito della famiglia, in particolare, all’attuazione del principio in questione spetta un posto in primo piano accanto alla valorizzazione dei diritti del singolo98: è, infatti, la solidarietà tra i membri di tale formazione sociale che alimenta la «comunione materiale e spirituale» in cui si sostanzia l'unione coniugale, e caratterizza lo svolgersi delle relazioni tra genitori e figli (art. 30, I e II comma, Cost.)99. La famiglia, pertanto, rappresenta una comunità fondata sulla reciproca solidarietà dei suoi componenti, ognuno dei quali è portatore di autonomi diritti soggettivi, la cui tutela è condizione primaria “per la piena e libera realizzazione della persona umana nell’ambito della formazione sociale “famiglia”, pur nel limite dell’esigenza di una convivenza fondata, appunto, sulla parità e solidarietà”100.
Il principio solidaristico trova applicazione anche nella materia successoria101.
In particolare, il principio in questione trova la sua massima espressione, nella successione dei legittimari o successione necessaria102.
98 XXXXXXXXX – XXXXXX, Principi generali del diritto civile, Giappichelli Editore, 2011, 86 ss.
99 In tal senso, XXXXXXXX X., voce Alimenti, op. cit.
100 Così XXXXXXXXX – XXXXXX, Principi generali del diritto civile, op. cit. 87 ss, secondo i quali “il principio di solidarietà, dunque, sembra permeare diverse norme del codice civile in tema di disciplina dei rapporti familiari, a cominciare dall’art. 143 c.c., che al comma 2 prevede che dal matrimonio deriva, tra gli latri, l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale, nonché alla collaborazione nell’interesse della famiglia. Segue al comma 3 nel prevedere che entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro, professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia. Il principio di solidarietà incide inevitabilmente anche sul regime patrimoniale die coniugi, a cominciare dal regime patrimoniale primario, così come modificato dalla riforma del 1975, costituito oggi dalla comunione legale dei beni (art. 159 c.c. e ss.)”
101 Sul punto, senza alcuna pretesa di completezza, si vedano: BONILINI, La Successione legittima, in Trattato delle successioni e donazioni, Milano, 2009; BIANCA, Le successioni, estratto per i corsi universitari dalla quarta edizione del Diritto Civile, vol. 2, Xxxxxxx, 143 ss, FERRI, Dei legittimari, in Comm. cod. civ., a cura di Xxxxxxxx e Branca, Bologna- ROMA, 1981, 7, II ediz.; XXXXXXXXX X., I legittimari e gli strumenti a tutela dei loro diritti, in AA.VV., I Quadreni della Rivista di Diritto civile, Vol. 8, Tradizione e modernità nel diritto successorio, a cura di Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxxx, Padova, 2007, 152ss; XXXXXXXX, Le successioni e le donazioni, Napoli, 1990; DE ROSA, sub art. 536 c.c., in Commentario al Cod. Civ., Delle Successioni, artt. 456-564, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxx, Utet, 2009, 529 ss.
102 Necessità della successione sta a significare che “alcuni soggetti non possono essere privati dei diritti successori, che la legge garantisce loro, da una contraria volontà espressa dal defunto nelle disposizioni testamentarie, e/o mediante donazioni dallo stesso
La dottrina maggioritaria, infatti, si esprime nel senso che le norme sulla successione necessaria “valorizzano, significativamente, i legami familiari e salvaguardano, altresì, lo stato di bisogno degli aventi diritto”103. Il fondamento del diritto riservato ai legittimari sul patrimonio familiare viene individuato nello stretto legame esistente tra successione e famiglia104, ossia nella “esigenza sociale di una inderogabile solidarietà tra i congiunti più stretti”105, quell’ esigenza di aiuto, soccorso e conforto che sussiste, o comunque dovrebbe sussistere, tra i componenti della famiglia: quella medesima solidarietà che è alla base dell'obbligo di mantenimento e di contribuzione.
Il legislatore, in particolare, ha inteso individuare i legittimari non semplicemente con riferimento al loro stretto legame con il de cuius, ma in quanto tra essi sia esistita un’intensa relazione familiare, comportante una condivisione di vita avente anche dei riflessi di natura patrimoniale106. Si tratta di quei soggetti che, magari, durante la loro vita, hanno già beneficiato del patrimonio del defunto o che hanno contribuito ad incrementarlo o a conservarlo, soggetti che, vista la natura del loro rapporto con il disponente, sembrerebbe incoerente non possano goderne dopo la sua morte107. Pertanto, il fondamento della successione necessaria risiede nelle esigenze
compiute in vita, così che le norme che disciplinano la materia appaiono inderogabili ed imperative. Ma ciò vale solo in rapporto alla volontà del de cuius, mentre, dal lato dei destinatari della vocazione, le medesime norme sono derogabili, in quanto essi non sono obbligati a venire alla successione”. Così DOSSETTI M., Fondamento della successione necessaria, in Trattato delle successioni e donazioni, La successione legittima, diretto da X.Xxxxxxxx, Milano, 16 ss
103 Così si esprime XXXXXXXX X., Sulla proposta di novellazione delle norme relative alla successione necessaria, in Fam. pers. e succ., n. 7, 2007, 583. Sul punto si veda anche BALESTRA – DI MARZIO, Successioni e donazioni, II Edizione, Cedam, 2014, secondo i quali “il fondamento politico dell’istituto della legittima è espressamente individuato, nella Relazione Preliminare del libro delle successioni del codice civile del 1942, nella tutela della famiglia, Il principio fondamentale del nostro ordinamento privatistico, l’autonomia dei soggetti, si infrange nel diritto ereditario dove alla libertà di disporre si contrappone l’interesse superiore della famiglia, concretandosi la dicotomia interesse privato-interesse collettivo”.
104 FERRI L., Dei legittimari. Art. 536-564, in Comm. Cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 15 ss.
105 Così BIANCA, Le successioni, estratto per i corsi universitari dalla quarta edizione del Diritto Civile, vol. 2, Xxxxxxx, 143 ss.
106 DOSSETTI M., Fondamento della successione necessaria, op. cit.16 ss.
107 DOSSETTI M., op. ult, cit.
di tutela dei più stretti congiunti del de cuius e, segnatamente, il coniuge108, i figli ed, in mancanza di questi ultimi, gli ascendenti109.
È affermazione ricorrente nella dottrina italiana quella per cui la tutela della legittima rappresenta il secondo, e sicuramente il più importante, limite all’autonomia privata nella materia successoria110.
In particolare, il nostro ordinamento preferisce, all’apoteosi della volontà individuale111, il contemperamento del principio della libertà di disporre dei propri beni con il principio della successione familiare a tutela, appunto, dei più stretti congiunti dell’ereditando. Al de cuius, pertanto, è riconosciuto il diritto di disporre liberamente delle proprie sostanze per il tempo in cui avrà cessato di vivere, pur tuttavia, il solidarismo familiare richiede che l’ordinamento ne riservi una parte ai familiari più stretti. Detto limite all’autonomia privata si sostanzia anche nel fatto che, oltre a riservare una quota del patrimonio ai legittimari, per il calcolo della stessa si tiene
108 L’art. 540, II comma, c.c., dispone che al coniuge, oltre ad una quota del patrimonio ereditario, “anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tali diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli”. La norma in questione, introdotta con la Riforma del diritto di famiglia del 1975, ha lo scopo di consentire al coniuge superstite di continuare a vivere nel luogo nel quale si è svolta la vita familiare. Presupposto per l’applicazione di tali diritti è che si tratti di beni di proprietà del de cuius o sui quali quest’ultimo aveva un diritto di godimento. Può trattarsi anche di beni che l’ereditando aveva in comune con il coniuge, mentre, secondo la giurisprudenza prevalente, non vi rientrano quei beni che il de cuius aveva in comproprietà con terzi. In giurisprudenza, Cass. Civ., Sez. II, 23 maggio 2000, n. 6691, in Notariato, 2002, 2, 169 nota di PUCA, Ancora sul diritto di abitazione del coniuge superstite nella particolare ipotesi di comproprietà con terzi, “A norma dell'art. 540 c.c., il presupposto perchè sorgano a favore del coniuge superstite i diritti di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che la arredano è che la suddetta casa e il relativo arredamento siano di proprietà del "de cuius" o in comunione tra lui e il coniuge, 108 Il D.lgs n. 154/2013, entrato in vigore il 7 febbraio 2014, ha eliminato ogni distinzione tra figli legittimi e naturali ed ha abrogato l’art. 537 c.c. il quale prevedeva il diritto di commutazione a favore dei figli legittimi. Per un approfondimento sul tema si veda BONILINI, L’abrogazione della norma concernente il diritto di commutazione, in Fam. e Dir., n. 5/2014, 517 con la conseguenza che deve negarsi la configurabilità dei suddetti diritti nell'ipotesi in cui la casa familiare sia in comunione tra il coniuge defunto ed un terzo”.
109 DOSSETTI M., Fondamento della successione necessaria, op. cit., secondo la quale “il legittimario, infatti, pur traendo il suo titolo da un rapporto di parentela o di coniugio, non agisce quale membro del gruppo e nell’interesse di questo, ma come singolo, per la tutela di un suo interesse patrimoniale”.
110 In tal senso M.G. XXXXXXX CALVISI, Diritto successorio, Temi e problemi, volume I, Xxxxxxx editore, 152 ss. Il primo limite è costituito dal divieto dei patti successori per il quale si rimanda al Capitolo I.
111 Così BONILINI, La successione ereditaria, in Trattato delle successioni e Donazioni, Milano, 2009, 36 ss.
conto delle donazioni fatte in vita dal de cuius, le quali vengono considerate alla stregua di disposizioni testamentarie anticipate.
Di seguito verranno analizzati gli strumenti che l’ordinamento appronta per la tutela dei legittimari, strumenti che, come vedremo nel proseguo, limitano l’autonomia del disponente e, di conseguenza, la libera circolazione dei beni.
2. - Il principio di intangibilità della legittima.
L’art. 457, comma III, c.c. enuncia il principio di intangibilità della legittima e dispone che “le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari”112.
A presidio di tale principio il legislatore ha previsto due strumenti: da un lato, la norma pone un limite all’efficacia delle disposizioni attributive di beni, le quali se eccedono la quota disponibile sono soggette a riduzione (art. 554 e 555 c.c.); dall’altro, il principio in questione è specificato dall’art. 549 c.c. il quale fa divieto al testatore di imporre pesi o condizioni sulla quota spettante ai legittimari.
Più precisamente, la regola dell’intangibilità della legittima va intesa in senso quantitativo e non qualitativo, potendo dunque il testatore soddisfare le ragioni dei legittimari con beni, di qualunque natura, purché ricompresi nell’asse ereditario e di valore equivalente alla quota di riserva113.
112 Secondo MAGRÌ, Principio di intangibilità della legittima e Legato, in Rivista di diritto civile, n. 1/1998, “sono altresì espressioni del principio di intangibilità della legittima l’art. 483, c. 2 c.c., che tutela il legittimario erede contro i legati contenuti nel testamento scoperto successivamente all’accettazione, e l’art. 46, c. 2, ultima parte della l. 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del diritto internazionale privato), che, dopo aver attribuito al testatore il potere di sottoporre l’intera successione alla legge dello Stato in cui risiede, anzichè a quella dello Stato a cui appartiene, stabilisce che in ogni caso « la scelta non pregiudica i diritti che la legge italiana attribuisce ai legittimari residenti in Italia al momento della morte della persona della cui successione si tratta”.
113 Sul punto XXXXXXXXX – XXXXXX, Principi generali del diritto civile, Giappichelli Editore, 2011, 114. CASALI – XXXXXXXXXX, Sub art. 549 c.c., in Commentario al Cod. Civ., Delle Successioni, artt. 456-564, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxx, Utet, 2009, 589 ss. Prima dell’entrata in vigore del codice del 42’, prevaleva la concezione dell’intangibilità qualitativa, e l’art. 1044 c.c. (codice 1865) che ammetteva la c.d. divisio inter liberos veniva spiegato come norma eccezionale, poiché la scelta del testatore dei beni destinati a ciascun erede costituiva un peso, uno svantaggio patrimoniale. In giurisprudenza Cass. civ.
La violazione del limite costituito dalla quota disponibile non ha effetti automatici né comporta la nullità delle disposizioni testamentarie o delle donazioni lesive, bensì la facoltà del legittimario di agire in giudizio per la riduzione di tali disposizioni114. Pertanto, queste ultime, pur se lesive della legittima, rimarranno valide ed efficaci finché non verranno impugnate dal legittimario leso con l’azione di riduzione, il cui effetto sarà quello di determinarne l’inefficacia nella misura sufficiente a reintegrarne la quota a lui spettante per legge.
Controversa è, invece, la sanzione che l’ordinamento ricollega alla violazione dell’art. 549 c.c. che, come già detto, fa espresso divieto al testatore di imporre pesi e condizioni sulla legittima. È certo che i pesi o le condizioni non producono alcun effetto e si considerano non apposti, tuttavia, occorre verificare se la violazione della norma determini la nullità o l’inefficacia della disposizione accessoria apposta alla riserva.
Al riguardo esistono due diversi orientamenti.
Il primo, espresso dalla dottrina maggioritaria, opta per la nullità, in quanto considera l’art. 549 c.c. una norma imperativa115. Ne consegue, ex
Sez. II, 12 settembre 2002, n. 13310, in Notariato, 2003, 6, 580, nota di XXXXXXX, Usufrutto generale e qualità di erede, secondo la quale “il principio dell'intangibilità della quota di legittima deve intendersi soltanto in senso quantitativo e non anche in senso qualitativo, potendo il testatore soddisfare le ragioni dei legittimari con beni - di qualunque natura - purchè compresi nell'asse ereditario; ne consegue che non viola il disposto degli art. 536 e 540 c.c. il testatore che abbia lasciato al coniuge l'usufrutto generale sui beni mobili e immobili nonchè la prima proprietà di eredità, contanti, depositi bancari e postali, sempre che il valore di detti beni copra la quota riservata al coniuge, atteso che l'attribuzione dell'usufrutto generale non costituisce assegnazione di legato ma istituzione di erede e che l'attribuzione della proprietà prima di alcune categorie di beni vale come istituzioni di erede se essi sono intesi come quota dei beni del testatore”.
114 In relazione all’art. 457, xxxxx XXX, c.c. la dottrina ritiene che le norme sulla successione necessaria, per quanto abbiano la natura di norme cogenti, “non comporta la sanzione generale di nullità dei negozi contrari a norme imperative (art. 1418 c.c.), ma la sanzione minore di una semplice impugnativa negoziale, con l’azione di riduzione”. Così XXXXXXX, Sub art. 457 c.c., in Commentario al Cod. Civ., Delle Successioni, artt. 456-564, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxx, Utet, 2009, 27 ss. In giurisprudenza Cass. civ., Sez. II, 30 luglio 2002,
n. 11286, in Giur. it., 2003, 442 secondo cui “ Le norme relative all'intangibilità della quota riservata ai legittimari, non ponendo il divieto assoluto dell'atto lesivo ma comminandone l'inefficacia nei confronti del soggetto tutelato ove questi intenda avvalersene, non rientrano nella categoria delle norme imperative inderogabili la cui violazione rende illecito il negozio”.
115 La dottrina è quasi unanime nell’affermare, pur con varietà di argomentazioni, la nullità delle disposizioni operanti in violazione del divieto di pesi e condizioni. Secondo l’impostazione di CICU, Successione legittima e dei legittimari, Milano, 1943, p. 183; nonché CASALI – MASCHERONI, Sub art. 549 x.x., xx. xxx., 000, xx xxxxxxxxxx dell’art. 549
c.c. importa nullità dell’imposizione a causa del carattere imperativo della norma. Altra
art. 1418, I comma, c.c., la nullità dei pesi o delle condizioni a carico della legittima. Sotto l’aspetto processuale, l’invalidità è posta a tutela esclusiva del legittimario e solo da questi può essere fatta valere.
Altra parte della dottrina, invece, ritiene che la sanzione correlata alla norma in questione sia l’inefficacia relativa: in altre parole, la disposizione lesiva è di per sé affetta da inefficacia senza che sia necessaria una pronuncia giudiziale di invalidità116.
Conseguentemente, l’ordinamento, contro la lesione dei diritti dei legittimari, prevede due tutele differenti: la prima costituita dalla facoltà di esercitare l’azione di riduzione, l’altra, invece, è quella che consegue alla violazione dell’art. 549 c.c. Quest’ultima, in particolare, è una tutela più efficace in quanto il legittimario non ha l’onere di agire in giudizio per rendere inoperanti i pesi o le condizioni sulla legittima117. Egli, infatti, può non dare esecuzione alla diposizione lesiva senza che sia necessario attendere una pronuncia giudiziale che ne accerti la lesività. Ciò non significa, tuttavia, che detta tutela operi ope legis in quanto ciò sarebbe contrario al sistema successorio: essa semplicemente esonera il legittimario dal ricorso alla tutela giurisdizionale purché egli affermi di voler far valere il suo diritto ed i contro interessati non vi si oppongano118. Il silenzio o l’inerzia dell’interessato, infatti, non realizzerebbero il risultato di tutela
parte della dottrina , tra tutti X. XXXXX, Dei legittimari, in Commentario del codice civile a cura di X. XXXXXXXX e X. XXXXXX, Bologna-Roma, 1981, p. 103, sostiene che la nullità conseguente all’inosservanza del divieto è determinata dall’illiceità della causa o dell’oggetto della disposizione con cui il testatore grava la legittima di pesi o condizioni. X. XXXXXXXX, Le successioni e le donazioni, Napoli, 1990, p. 256, equipara i pesi e le condizioni gravanti sulla legittima alle condizioni illecite per violazione di norme imperative, pervenendo alla conclusione che, analogamente a quanto l’art. 634 c.c. prevede in relazione a tale ipotesi, esse debbano considerarsi non apposte, vale a dire nulle.
116 Così XXXXXX, Le successioni, op. cit.
117 In tal senso FERRI L., Dei legittimari, op. ult. cit.,112 e ss secondo il quale “la particolarità della fattispecie è rappresentata dal tipo di tutela accordato dal legislatore al legittimario, tutela più radicale ed efficace di quella costituita dall’azione di riduzione, perché rappresentata dalla nullità del peso o della condizione”. Ed ancora “il disporre un peso a carico della legittima non è compiere una comune lesione della legittima, ma è compiere una lesione qualificata e, in un certo senso, mutuando dal diritto penale, aggravata. Una qualunque altra disposizione testamentaria, a titolo universale o particolare, può rivelarsi in concreto, al momento dell’apertura della successione, lesiva della legittima, anche gravemente lesiva, ma non porta mai in sé, connaturato e essenziale, il carattere della lesività. L’essere lesiva della legittima costituisce, per tale disposizione, un ‘accidentalità”.
118 M.G. Xxxxxxx Xxxxxxx, Diritto successorio, Temi e problemi,op. cit., 156 ss.
voluto bensì, se protratti per il tempo sufficiente a far maturare la prescrizione, l’estinzione del diritto a conseguirla119.
Ulteriori strumenti a tutela del legittimario sono previsti dall’art. 550
x.x. (x.x. xxxxxxx xxxxxxxxx), xxx. 000 x.x., xxxxxxxxxx la disciplina del legato in sostituzione di legittima e l’art. 553 c.c. sull’automatica riduzione delle disposizioni lesive quando alla successione legittima concorrano legittimari con altri successibili120.
2.1 - L’azione di riduzione.
Il legittimario leso nel suo diritto di legittima può agire in giudizio per ottenere la riduzione delle disposizioni lesive al fine di ricondurre entro la quota disponibile le donazioni e le disposizioni testamentarie a favore di estranei che, eccedendo la quota di cui l’ereditando può disporre, ledono i diritti dei più stretti congiunti del de cuius ad ottenere la quota loro riservata dalla legge121. La lesione si configura nei casi in cui siano attribuiti al legittimario beni di valore inferiore a quello della quota di riserva, oppure
119 M.G. Xxxxxxx Calvisi, op. ult. cit., 156 ss.
120 Per un approfondimento sul tema si veda, tra gli altri, HERCOLANI, Il legato in sostituzione di legittima, in Trattato delle Successioni e Donazioni, a cura di Xxxxxxxx, La successione legittima, Milano, 2009, 325 ss.; XXXXXX, La cautela sociniana, in Trattato delle Successioni e Donazioni, a cura di Xxxxxxxx, La successione legittima, Milano, 2009,479 ss; M.G. XXXXXXX CALVISI, Diritto successorio, op. cit., 156 ss; GALLIZIA, sub art. 550 c.c., in Commentario al Cod. Civ., Delle Successioni, artt. 456-564, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxx, Utet, 2009, 600 e ss; MASCHERONI, Sub art. 551 c.c., in Commentario al Cod. Civ., Delle Successioni, artt. 456-564, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxx, Utet, 2009, 612 ss; FESTI, sub art. 553 c.c., in Commentario al Cod. Civ., Delle Successioni, artt. 456-564, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxx, Utet, 2009, 636;
121 Nel vigore del codice del 1865 parte della dottrina, argomentando dal diverso tenore letterale dell’art. 823 rispetto all’art. 1094, riteneva che l’azione di riduzione rivolta nei confronti dei beneficiati testamentari avesse natura diversa da quella diretta contro i donatari. In particolare “solo alla seconda veniva riconosciuto carattere costitutivo e la funzione di risolvere in tutto o in parte il negozio, mentre la prima veniva considerata un’azione petitoria, fondata sull’accertamento della nullità della disposizione di ultima volontà lesiva della legittima. Attualmente, scomparsa ogni differenza testuale, in quanto gli artt. 554 e 555 c.c. si esprimono in modo identico, appare dominante la tesi per cui l’azione di riduzione, diretta sia contro le donazioni sia contro il testamento, ha effetto costitutivo ed è diretta, su iniziativa del legittimario leso o pretermesso, a modificare il rapporto giuridico che si era validamente costituito con i negozi testamentari o donativi non rispettosi della quota di riserva”, Così FESTI, sub art. 553 x.x., xx. xxx., 000 xx.
xxx xxxx xx cui il legittimario sia pretermesso, ossia non venga menzionato nel testamento122.
Lesione e pretermissione, tuttavia, non danno luogo a tutele differenti: il legittimario leso, in quanto già erede ad altro titolo (ad es. perché indicato nel testamento, oppure per chiamata alla successione legittima in una porzione di relictum inferiore alla riserva) dovrà limitarsi a chiedere la reintegrazione nella quota di sua spettanza; quello pretermesso, invece, dovrà chiedere il riconoscimento della sua qualità di erede, che conseguirà a seguito dell’esperimento vittorioso dell’azione di riduzione123.
122 Per le modalità di determinazione della quota di riserva si veda CARBONE, Riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie lesive della legittima, in in Dig. Disc. Priv.( Sez. civ.), aggiornamento, 2003, Utet. secondo il quale “Per poter esercitare l'azione di riduzione, occorre preventivamente determinare la quota di legittima — intesa come quella quota di eredità, riservata dalla legge, e dovuta ai legittimari in natura su tutti i beni mobili ed immobili che si trovano nell'eredità — procedendo secondo le modalità previste dall'art. 556 c.c. È necessaria, a tal fine, un'operazione articolata, che si ripartisce in più momenti, così strutturati: a) formazione della massa dei beni relitti, accertando quali beni il defunto ha lasciato; a questi, vanno aggiunti i beni appartenenti al de cuius sotto condizione risolutiva, ma non sospensiva, nonché i beni che hanno formato oggetto di alienazioni simulate; b) la seconda operazione consiste nel detrarre i cosiddetti pesi ereditari, intendendosi, con tale termine, non soltanto i debiti contratti in vita dal de cuius e non ancora adempiuti, ma anche quelli sorti in occasione della morte, come le spese funerarie, l'imposta sull'eredità, la pubblicazione del testamento, l'apposizione di xxxxxxx e la redazione dell'inventario; non si detraggono, invece, né le obbligazioni naturali, tra cui i debiti prescritti, né i legati; c) la terza operazione, che è la più delicata, consiste nella riunione fittizia delle donazioni elargite in vita dal de cuius, da ritenere come non effettuate ai fini del calcolo della legittima; l'operazione ha carattere meramente contabile, ed il valore dei beni è determinato con riferimento al tempo dell'apertura della successione; d) l'ultima operazione concerne l'imputazione delle liberalità in conto o sostitutive della legittima, prevista come condizione per l'esercizio dell'azione di riduzione dall'art. 564 c.c.”.
123 In giurisprudenza si veda, tra le tante, Xxxx. civ. Sez. III, 12 Gennaio 1999, n. 251, secondo cui “Il legittimario pretermesso acquista la qualità di chiamato all'eredità solo dal momento della sentenza che accoglie la sua domanda di riduzione, rimuovendo l'efficacia preclusiva delle disposizioni testamentarie. Consegue che, anteriormente all'accoglimento della domanda di riduzione, l'erede pretermesso non è legittimato a succedere al defunto nel rapporto processuale da questi instaurato, poichè l'unico soggetto abilitato a proseguire il processo, ai sensi dell'art. 110 c.p.c., è il successore a titolo universale”.
Da ultimo si veda anche Xxxx. Civ., Sez. II, 30 maggio 2014, n. 12221, in Fam. e dir., 2015, 1, 23 nota di XXXXXXXX , “la totale pretermissione del legittimario si può avere sia nella successione testamentaria, sia nella successione ab intestato. Il legittimario può dirsi pretermesso nella successione testamentaria quando il testatore ha disposto a titolo universale dell'intero asse a favore di altri. In tal caso, ai sensi dell'art. 457, secondo xxxxx, c.c., il legittimario non è chiamato all'eredità fino a quando l'istituzione testamentaria di erede non venga ridotta nei suoi confronti. Nella successione ab intestato, la pretermissione si verifica qualora il de cuius si sia spogliato in vita dell'intero suo patrimonio con atti di donazione, sicché, stante l'assenza di beni relitti, il legittimario viene a trovarsi nella necessità di esperire l'azione di riduzione a tutela della situazione di diritto sostanziale che la legge gli riconosce. A ciò consegue che il legittimario pretermesso, sia nella successione testamentaria sia in quella ab intestato, il quale impugni per simulazione un atto compiuto dal de cuius a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di
Sul piano sostanziale, la tutela dei legittimari è personale e consiste nell’attribuzione a ciascuno di essi di un diritto potestativo a conseguire, in tutto o in parte, la quota di riserva124. A detto diritto corrisponde la mera soggezione dei beneficiari delle disposizioni lesive. Pertanto, l’attivazione della tutela è subordinata all’esercizio del diritto da parte del legittimario leso o pretermesso: si tratta, dunque, di una tutela che non impone al legittimario di essere erede. Ciò lo si desume dal fatto che le disposizioni lesive non sono nulle ma inefficaci, tanto che ove non fossero impugnate con l’azione di riduzione continuerebbero a dispiegare i propri effetti e lo impone anche il principio generale, regolarmente applicato nella materia delle successioni mortis causa, che esclude la legittimità di spostamenti patrimoniali nolente domino (ad esempio l’eredità si acquista solo a seguito di accettazione; per il legato, invece, non è necessaria l’accettazione ma è fatta salva la facoltà di rinuncia)125.
Condizione per l’esercizio dell’azione, ex art. 564 c.c., è l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario. Detta condizione, tuttavia, non è richiesta quando l’azione è proposta contro i chiamati all’eredità, pur se abbiamo rinunciato alla stessa, così come non è richiesta quando il legittimario sia stato preterito dal testatore126. La ratio di detta
legittima, agisce in qualità di terzo e non in veste di erede, condizione che acquista, solo in conseguenza del positivo esercizio dell'azione di riduzione, e come tale non è tenuto alla preventiva accettazione dell'eredità con beneficio di inventario”.
124 Sul punto Cass. civ. Sez. II, 6 marzo 1992, n. 2708, “l'onere imposto dal testatore
all'erede di alienare gli elementi attivi del compendio ereditario al fine di soddisfare i legati, sì da risultarne lesione della quota di riserva, non è di per se illecito, sì da rendere nulli i legati, in quanto determinante la volontà del testatore, giacché le disposizioni testamentarie lesive della quota di riserva non sono nulle, ma sono soggette soltanto all'azione di riduzione, che forma oggetto di una mera facoltà del legittimario da esercitarsi alle condizioni stabilite dalla legge”. Ed ancora Cass. civ. Sez. II, 30/07/2002, n. 11286 Giur. It., 2003, 442 “le norme relative all'intangibilità della quota riservata ai legittimari, non ponendo il divieto assoluto dell'atto lesivo ma comminandone l'inefficacia nei confronti del soggetto tutelato ove questi intenda avvalersene, non rientrano nella categoria delle norme imperative inderogabili la cui violazione rende illecito il negozio”.
125 In tal senso M.G. XXXXXXX CALVISI, Diritto successorio, op. cit, 155 ss.
126 Cass. civ. Sez. II, 29 maggio 2007, n. 12496 “Il legittimario totalmente pretermesso dall'eredità, che impugna per simulazione un atto compiuto dal "de cuius" a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, agisce in qualità di terzo e non in veste di erede, condizione che acquista solo in conseguenza del positivo esercizio dell'azione di riduzione, ai cui fini non è tenuto alla preventiva accettazione dell'eredità con beneficio di inventario. (Sulla base di tali principi la S.C. ha ritenuto che correttamente il giudice di merito avesse ritenuto inopponibile ai legittimari la sentenza, intervenuta fra il "de cuius" e l'erede, con la quale era stata accertato in favore di
disciplina risiede nell’esigenza di evitare la confusione del patrimonio del de cuius con quello dell’erede, di modo da impedire al donatario o al legatario di verificare l’esistenza e l’entità della lesione127. È evidente che tale esigenza non si ponga nei riguardi del legittimario preterito in quanto non vi è una delazione a suo favore: egli non è proprio chiamato all’eredità e, pertanto, non vi è il rischio che vi sia un atto di accettazione dell’eredità che possa comportare la confusione dei due patrimoni128.
Altra condizione per l’esercizio dell’azione in questione è che il legittimario imputi alla propria quota i legati e le donazioni ricevute dal de cuius, salvo sia stato dispensato da quest’ultimo.
Legittimati passivi sono esclusivamente i beneficiari delle disposizioni lesive, ossia i legatari, gli eredi testamentari ed i donatari. Essa, pertanto, non può essere proposta nei confronti degli aventi causa dei soggetti indicati, contro i quali il legittimario potrà intentare, a seguito del vittorioso esisto dell’azione di riduzione, l’azione di restituzione.
L’esperimento vittorioso dell’azione di riduzione comporta l’inefficacia relativa e sopravvenuta delle disposizioni lesive della legittima, inefficacia che opera esclusivamente a favore dei legittimari che abbiano esperito l’azione.
L’azione in questione opera retroattivamente anzitutto nei confronti dei destinatari delle attribuzioni del de cuius, in quanto importa che, per fictio iuris, quei beni che ne sono oggetto non risultino per l’attore mai usciti dal patrimonio del defunto. La retroattività (cd retroattività reale) opera anche nei confronti dei terzi aventi causa che pure non sono legittimati passivi dell’azione di riduzione.
quest'ultimo l'usucapione del bene. Peraltro la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, in quanto, dopo aver escluso che nella fattispecie oggetto della sentenza di accertamento dell'usucapione riconnesso gli estremi formali di una donazione, non aveva verificato se ricorressero quella della donazione indiretta)”. Sul punto si veda anche DI XXXXXXX, Accettazione con beneficio d’inventario e azione di riduzione esercitata dal legittimario pretermesso, in Fam. Pers. e Succ., 6/2012, 448 ss.
127 In tal senso M.G. XXXXXXX CALVISI, Diritto successorio, op. cit,
128 Così M.G. Xxxxxxx Calvisi, op. ult. cit.
L’azione di riduzione si estingue in seguito a rinuncia del titolare129, o alla decorrenza del termine prescrizionale130.
Alla prescrizione dell’azione in questione si applica il termine decennale, incerta, tuttavia, è l’individuazione del dies a quo. In assenza di norme particolari in proposito, inserite nel Libro II del codice civile, si applica l’art. 2935 c.c. in forza del quale “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”. L’applicazione in concreto di detto principio, tuttavia, dà luogo a significativi contrasti interpretativi.
Secondo l’orientamento tradizionale la prescrizione dell’azione di riduzione inizierebbe a decorrere dal giorno dell’apertura della successione, ossia, secondo l’art. 456 c.c., al momento della morte del de cuius e nel luogo del suo ultimo domicilio non potendo essere attribuito alcun rilievo a eventuali impedimenti di fatto, quali, in particolare, l’eventuale ignoranza (incolpevole o non), da parte del legittimario, dell’esistenza di un testamento lesivo della propria quota di legittima131.
Di diverso avviso parte della giurisprudenza la quale ritiene che il
dies a quo coincida con la data di pubblicazione del testamento. Secondo
129 L’art. 557 c.c. dispone che i legittimari, i loro eredi o aventi causa “non possono rinunziare a questo diritto, finché vive il donante, né con dichiarazione espressa, né prestando il loro assenso alla donazione”. Sul punto si veda, FESTI, sub art. 557 c.c., in Commentario al Cod. Civ., Delle Successioni, artt. 456-564, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxx, Utet, 2009, 651; XXXXXXXXX, Sul divieto per i legittimari di rinunciare all'azione di riduzione durante la vita del donante, in Fam. pers. e succ., 2010, 7, 511.
130 Un orientamento, ormai risalente e decisamente minoritario, sosteneva l’imprescrittibilità dell’azione di riduzione sul presupposto che la stessa fosse da classificare come azione reale, paragonabile alla rivendica, e quindi imprescrittibile. Secondo l’orientamento in esame il legittimario, all’apertura della successione, acquisterebbe un diritto di proprietà sui beni relitti e donati dal de cuius. L’opinione in esame si fonda, tuttavia, su premesse oramai superate in quanto l’azione di riduzione è considerata azione personale e non reale e il legittimario in quanto tale non acquista alcun diritto sull’eredità o sui beni donati in vita dall’ereditando se non nel momento in cui diventa erede, ossia con l’accettazione dell’eredità nel caso di legittimario leso o con l’esperimento vittorioso dell’azione di riduzione nel caso in cui il medesimo sia stato preterito dal testatore. Per questa tesi si veda, in giurisprudenza, Trib. Venezia, 15.7.1960, in Foro it. 1960, I, 1416 ss.
131 Tale opinione è supportata anche da una parte della giurisprudenza di legittimità secondo la quale “Il termine di prescrizione dell'azione di riduzione del legittimario decorre dalla data di apertura della successione, non rilevando, nè l'eventuale ignoranza dell'esistenza di un testamento, nè la circostanza che eventualmente il testamento olografo non sia in possesso del legittimario, dal momento che ai sensi dell'art. 2935 c.c., costituiscono cause ostative all'esercizio del diritto e quindi al decorso del termine prescrizionale soltanto gli impedimenti legali e non anche quelli di fatto o di natura esclusivamente soggettiva”. Così Xxxx. Civ. Sez. II, 25 novembre 1997 n. 11809.
l’orientamento in esame ciò si desumerebbe dal combinato disposto degli artt. 2935, 620 e 623 c.c.132
Sulla questione in esame si sono pronunciate, nel 2004, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione133, le quali, discostandosi da entrambi gli orientamenti suindicati, ritengono che il dies a quo per la decorrenza del termine decennale di prescrizione dell’azione di riduzione, varierebbe a seconda del tipo di disposizione lesiva della legittima: in particolare, esso coinciderebbe con l’apertura della successione in caso di lesione di legittima derivante da donazioni o da legati, mentre, nell’ipotesi di lesione derivante da disposizioni testamentarie,coinciderebbe con la data di accettazione dell’eredità. È solo da tale momento che la lesione, prima potenziale, diventa attuale e l’interessato diviene legittimato a promuovere la relativa tutela134.
L'ordinamento stabilisce l'ordine delle operazioni mediante le quali si deve pervenire alla riduzione delle disposizioni lesive della legittima. Si
132 “Non v'é dubbio, infatti, che, poiché a norma dell'art. 2935 la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può esser fatto valere, non può che conseguire che la riduzione delle disposizioni contenute in un testamento non possa esser chiesta se le stesse non siano ancora a conoscenza di coloro che da quelle disposizioni hanno visto leso il proprio diritto di legittimari ed a nulla rileva che il testamento sia esecutivo. Anche se il testamento pubblico è eseguibile subito, e quindi sin dall'apertura della successione (art. 61 legge notarile e, a contrariis, ex art. 620, comma 4, cod. civ.), infatti, la comunicazione agli eredi ed ai legatari deve esser fatta a cura del notaio che il testamento ha ricevuto a norma dell'art. 623 cod. civ. e solo dall'avvenuta pubblicazione può discendere una presunzione "iuris tantum" di conoscenza delle disposizioni in esso contenute. Da tale data soltanto, infatti, i legittimari possono far valere il loro diritto e richiedere la riduzione delle disposizioni lesive della propria quota di riserva, atteso che solo da tale data, salvo prova contraria, sono in condizione di far valere il loro diritto essendo soltanto da tale momento a conoscenza della lesione”Così Xxxx. Civ. Sez. II, 15 giugno 1999 n. 5920,in Giur. It., 2000, 923.
133 Così Cass. civ., Sez. Unite, 25 ottobre 2004, n. 20644 in Notariato, 2005, 1, 12 nota di XXXXXXXX.
134 Sulla incongruità della pronuncia si esprime DELLE MONACHE, Scenari attuali in materia di tutela del legittimario, in Nuova giur. civ. comm., 2008, II, 57 ss secondo il quale “ la lesione solo potenziale (fino a quando il chiamato non accetti), di cui parla la Corte, è in realtà una lesione già in atto, se è vero che la disposizione a titolo universale in favore altrui, essendo in sé capace di impedire, a prescindere dall’aditio hereditatis, che nei confronti del legittimario operi la vocazione ex lege all’eredità (art. 457, comma 2, cod.civ.), frappone un ostacolo all’acquisto da parte sua della porzione legittima; dall’altro, che il principio fissato con la sentenza in parola determina una poco convincente diversità di trattamento tra disposizioni lesive a titolo universale e particolare, dato che, quanto a queste ultime, le quali non abbisognano dell’accettazione del beneficiario (art. 649, comma 1o, cod. civ.), il termine prescrizionale dell’azione di riduzione comunque inizierà il suo decorso al momento dell’aperta successione”.
procede, in primo luogo, alla riduzione delle quote legali ab intestato (art. 553 c.c.) e, successivamente, alla riduzione delle disposizioni testamentarie (art. 554 c.c.). Se neppure con questa operazione si riesce ad integrare la legittima, si passa alla riduzione delle donazioni “cominciando dall’ultima e risalendo via via alle anteriori”(art. 555 c.c.).
In ordine alla prima delle previste operazioni, l'art. 553 c.c. dispone che, quando sui beni del de cuius si apre la successione legittima, in tutto o in parte, nel concorso di legittimari con altri successibili, le porzioni che spetterebbero a questi si riducono nei limiti in cui sia necessaria l'integrazione della quota riservata ai legittimari, i quali, però, devono imputare quanto ricevuto dal defunto in virtù di donazioni o di legati. La norma dell'art. 553 c.c. intende evitare, nel concorso tra legittimari e legittimi, che i primi conseguano meno di quanto spetterebbe loro in base alla successione necessaria e, pertanto, riduce la disponibilità delle porzioni spettanti agli eredi legittimi, non legittimari, nei termini in cui sia necessario ad integrare la quota di riserva di questi ultimi. La seconda previsione normativa, contenuta nell'art. 554 c.c., concerne la riduzione delle disposizioni testamentarie. Le modalità sono previste dall'art. 558 c.c., secondo cui la riduzione avviene proporzionalmente, senza distinzione tra eredi e legatari. L’ordinamento, tuttavia, attribuisce rilevanza alla volontà del de cuius, pertanto se quest’ultimo ha dichiarato che una sua disposizione deve avere preferenza rispetto alle altre, quest’ultima non si riduce se non in quanto il valore delle altre non sia sufficiente ad integrare la quota riservata ai legittimari.
Più delicato il procedimento di riduzione delle donazioni, previsto dall'art. 555 c.c. e regolato, quanto alle modalità, dall'art. 559 c.c. Infatti, le donazioni, il cui valore ecceda la quota di riserva, sono soggette a riduzione nei limiti della quota medesima. Tuttavia, diversamente dal criterio di riduzione delle disposizioni testamentarie, le donazioni si riducono col criterio cronologico, a partire dall'ultima e risalendo xxx xxx xxxx xxxxxxxxx.
0. - L’inattualità della successione necessaria.
Il fondamento della successione necessaria e il conseguente riconoscimento ai legittimari di un intangibile diritto sul patrimonio ereditario (cd. quota di legittima) del de cuius, risiede da sempre, come si è già sottolineato in precedenza, nel concetto di solidarietà familiare, ovvero nella necessità sia di valorizzare in maniera significativa i legami familiari ma anche di tutelare eventualmente lo stato di bisogno dei parenti stretti.
Tali esigenze, tuttavia, appaiono oggi non più pienamente aderenti alla realtà135.
Il sistema della successione necessaria, infatti, è ormai descritto come superato dalla xxxxxx000. Detto superamento, in particolare, andrebbe colto su due versanti: da un lato, nella perdita delle ragioni profonde che di quel sistema e di quella logica giustificherebbero il permanere, dall'altro nell'emersione di interessi contrari, che andrebbero valutati come prevalenti (se non incompatibili) rispetto ad esso 137.
Sul primo versante, si indica come argomento il venir meno di un determinato modello di famiglia e di una corrispondente immagine della ricchezza patrimoniale ad esso ricollegata138. Sul secondo fronte, le istanze
135 Si veda la relazione di accompagnamento al progetto di legge 19 febbraio 2004 di riforma della successione necessaria secondo la quale ”l’affermazione secondo cui la successione necessaria si giustifica per la solidarietà familiare ha quindi oggi poca forza persuasiva. Secondo il sistema vigente è riconosciuto un diritto di successione necessaria anche, per esempio, a quei congiunti che non si sono mai preoccupati del de cuius, o che hanno, al contrario, tenuto nei suoi confronti un comportamento ostile, o che non hanno mai contribuito a conservare e ad incrementare il patrimonio del de cuius”.
136 Così XXXXXX, Le proposte di riforma della successione necessaria, in Giur. It., 2012, 8-9. Per un approfondimento sul tema si veda anche CINQUE M., Xxxxx sorti della successione necessaria, in Riv. dir. civ, 5/2011, 493 ss; COMPORTI, Considerazioni conclusive e prospettive di riforma legislativa, in La trasmissione familiare della ricchezza. Limiti e prospettive di riforma del diritto successorio, AAVV, Cedam, 1995, p. 42 ss. PERLINGIERI, La funzione sociale del diritto successorio, in Rass. dir. civ., 2009, I,131 ss; DELLE MONACHE, Scenari attuali in materia di tutela del legittimario, in Nuova giur. civ. comm., 2008, II, 57 ss. XXXXXXXX, Sulla proposta di novellazione delle norme relative alla successione necessaria, in Fam. pers. e succ., 7/2007, 581 ss; PALAZZO, La funzione suppletiva della successione necessaria, La tutela dei soggetti deboli e la diseredazione (riflessioni sul progetto per abolizione della categoria dei legittimari), in xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx .
137 XXXXXX, op. ult. cit.
138 Sul punto si veda CARBONE, Crisi della famiglia e principio di solidarietà, in Famiglia e diritto 12/2012, 1165; BUSNELLI, La famiglia e l’arcipelago familiare, in Riv. dir. civ., 2002, 4, 514ss.
confliggenti consisterebbero nella libertà individuale di disporre ed in secondo luogo nell'interesse alla certezza e stabilità della circolazione.
In particolare, l’obsolescenza di detto istituto sarebbe legata al mutamento della realtà socio – economica oggetto di regolazione. Ne darebbe testimonianza, in primis, la mutata configurazione del modello familiare assunto come riferimento: il concetto di famiglia, infatti, ha ormai assunto una formulazione completamente diversa rispetto a quella tradizionale, tanto da potersi più correttamente parlare di “famiglie”. Con l’introduzione del divorzio nel 1970 l’indissolubilità del vincolo coniugale ha lasciato spazio alla possibilità concreta che, nel corso della vita, il de cuius possa costituire e di conseguenza lasciare al momento della morte più nuclei familiari139. Le relazioni familiari sono più complesse di quanto non fossero all’epoca dei Costituenti: all’ereditando possono sopravvivere coniuge ed ex coniugi, conviventi more uxorio, figli legittimi, naturali ed adottivi140. Si profila dunque una nuova solidarietà plurifamiliare. Per comunità familiare deve intendersi non più soltanto quella legittima, naturale, nucleare, ma qualunque gruppo fondato sul consenso che costituisca un continuum di vita, affetti, intenti e convivenza, all’interno del quale il singolo componente realizza la propria personalità in modo pieno141.
A tutto ciò si aggiunga che i patrimoni oggetto di trasferimento non sono più costituiti esclusivamente da immobili, bensì da beni mobili e da imprese, ossia da beni che esigono modalità di trasferimento adeguate alla loro destinazione.
In relazione, invece, agli interessi che vengono indicati come confliggenti rispetto al sistema della successione dei legittimari e,
139 Così PERLINGIERI, La funzione sociale del diritto successorio, op. cit., 131 ss
140 XXXXXX, op. cit., secondo il quale “Ciò induce a ripensare il fondamento giustificativo e la funzione, non solo delle norme sulla legittima, ma dell'intero sistema della ''successione ereditaria endofamiliare'': che da strumento attuativo di una trasmissione generazionale (e quindi ''verticale'') di una ricchezza, nella quale trova espressione l'interesse della famiglia (come stirpe), si ridefinisce come salvaguardia di interessi individuali di una cerchia di soggetti, legati (per così dire in ''orizzontale'') da vincoli di solidarietà e di affetti”.
141 Perlingieri, La funzione sociale del diritto successorio, op. cit.
soprattutto, della loro tutela, essi vengono individuati nell’autonomia negoziale del disponente e nelle esigenze della circolazione dei beni.
Per quanto concerne il primo, ossia l’interesse individuale del de cuius di disporre liberamente dei propri beni per il tempo in cui avrà cessato di vivere, si noti che la successione necessaria è successione che si attua contro la volontà dell’ereditando: volontà che, in vita, si è tradotta in una serie di liberalità eccessive, ossia tali da ledere la quota di patrimonio riservata per legge ai legittimari142. Si ripropone, pertanto, “nello specifico ambito della successione necessaria, il conflitto tra le due istanze peculiari (proprietà individuale e vincolo familiare) che segnano l'orizzonte assiologico dell'intero fenomeno successorio, e tra le quali si giocano le conseguenti scelte di politica del diritto”000.Xx si chiede, tuttavia, se l'esito di tale confronto possa risolversi nella soppressione tout court di una delle due istanze in conflitto. La risposta a tale domanda verrà data nel proseguo con l’esame delle diverse proposte di riforma della successione necessaria.
La seconda istanza, incompatibile (o confliggente) con il sistema della riserva, è quella consacrata dalla formula delle ''esigenze della circolazione''. Qui il discorso si fa molto più serio, se è vero che la posta in gioco è rappresentata, non solo dall'interesse del singolo all'anticipata pianificazione successoria, ma anche da quello del sistema, avente a oggetto la certezza dei successivi momenti circolatori144.
Nel sistema italiano, infatti, il legittimario che sia leso o pretermesso, o che, pur se chiamato all’eredità, non consegua il valore della riserva per l'incapienza del patrimonio relitto, è tutelato con un’azione
142 Così DELLE MONACHE, Scenari attuali in materia di tutela del legittimario, op. cit., 57 ss.
143 XXXXXX, Le proposte di riforma della successione necessaria, op. cit.
144 XXXXXX, op.ult.cit. Sul punto si veda anche DELLE MONACHE, Scenari attuali in materia di tutela del legittimario, op. ult. cit., secondo il quale “quanto finora si è osservato dovrebbe valere a dar conto, in modo viepiù evidente, del fatto che il sistema italiano di tutela dei legittimari presenta caratteristiche tali da far sì che ne risulti gravemente ostacolata la circolazione dei beni di cui il proprietario abbia disposto per donazione o con atto di ultima volontà. Cercando una semplificazione attraverso l’uso di una formula, può dirsi che l’ostacolo di cui parliamo sostanzialmente si concreta nel c.d. principio della legittima in natura, e cioè nel principio per cui il diritto del legittimario leso è diritto non già ad un semplice valore, ma ad una determinata quantità di beni dell’asse: una quantità ragguagliata, più precisamente, ad una certa porzione del patrimonio complessivo netto del defunto, quale si ottiene tenendo conto anche delle donazioni che egli abbia compiuto in vita”.
giudiziale, avente lo scopo di rendergli inopponibili le disposizioni lesive dei propri diritti di legittima. Si tratta di un’azione a carattere reale intesa come opponibilità (limitata) dell'esito dell'azione ai terzi aventi causa dal donatario145. Detta azione, prevista dall’art. 563 c.c., consente al legittimario, a seguito dell’esito vittorioso dell’azione di riduzione, di ottenere la restituzione dei beni alienati a terzi da parte dei donatari, dagli eredi testamentari o dai legatari146.
La tutela del legittimario, pertanto, proprio perché affonda le sue radici nella storia, nel senso e nel valore che la società ha riconosciuto all’istituzione della famiglia, è la conseguenza di scelte legislative che trovavano giustificazione nel passato e che oggi, probabilmente, non risultano più attuali.
Sulla scorta di tali considerazioni sono state elaborate diverse proposte di riforma della successione necessaria.
3.1. - Le proposte di riforma della successione necessaria.
Da tempo la dottrina sottolinea l’opportunità di rivedere le norme sulla successione necessaria, in quanto il sistema delineato dal codice civile risulta sbilanciato soprattutto con riferimento alla tutela del coniuge
145 XXXXXX, op. cit., secondo il quale “Se questi sono gli ostacoli frapposti dal sistema vigente alle esigenze della pianificazione successoria e della successiva circolazione, si potrebbe tentarne il superamento lungo due diverse vie: o riconducendo il fenomeno successorio (e la successione necessaria in particolare) all'area della contrattualità (in parole più povere, sopprimendo il divieto dei patti successori, e/o di rinuncia all'azione di riduzione); oppure mutando natura al diritto riservato ai legittimari, convertendolo cioè in credito ad un valore”.
146 La recente modifica della norma in commento, ad opera della L. n. 80/2005, sembrerebbe aver temperato “notevolmente l’originaria portata della disposizione,per favorire la circolazione dei beni donati: l’azione di restituzione infatti è ora esperibile solo entro venti anni dalla trascrizione della donazione; decorso tale termine il legittimari, esperita vittoriosamente l’azione di riduzione, non può più ottenere dal terzo avente causa del donatario la restituzione degli immobili, ma solo il pagamento, a carico del donatario, dell’equivalente in denaro, con la conseguenza che l’incapienza del patrimonio di quest’ultimo comporta di fatto l’impossibilità per il legittimario di soddisfare i suoi crediti”. Così SALA, Sub. Art. 563 c.c., in Codice Ipertestuale delle successioni e donazioni, a cura di Xxxxxxxx – Confortini, Utet, 2007, 429 ss.
superstite e ai diritti di riserva previsti in capo agli ascendenti147. Si lamenta, inoltre, la circostanza che, ove ci fossero più familiari aventi la qualità di legittimario, sarebbero troppo scarni i poteri di autonomia del testatore.
Tuttavia,ogni riflessione su una possibile abrogazione o riforma dell’istituto nel nostro ordinamento deve affrontare un passaggio logico preliminare: ci si chiede, infatti, se le scelte in materia siano esclusivamente di « politica del diritto » oppure se esistano vincoli costituzionali che limitano le opzioni a disposizione del legislatore ordinario.
In particolare, la Costituzione dedica alle successioni l’art. 42, IV comma, Cost., stabilendo che “la legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità”. Il rinvio alla successione legittima e testamentaria è interpretato come una copertura costituzionale dei due titoli di vocazione. Una legge ordinaria, pertanto, non potrebbe semplicemente sopprimere la successione testamentaria o quella ab intestato: queste, infatti, sono costituzionalmente previste, anche se la legge può prevedere dei limiti.
Nessuna menzione, invece, per la successione necessaria. Ci si chiede, in particolare, come debba essere interpretata tale mancanza. Sul punto esistono tre diversi orientamenti.
Secondo una prima tesi, dal mancato richiamo alla successione dei legittimari nella Costituzione dovrebbe derivarne l’indifferenza della Carta per le sorti della successione necessaria148.
Minoritaria è invece la posizione di chi ritiene che il sistema sulla successione necessaria sia incostituzionale in quanto eccessivamente limitativa del diritto a disporre del proprio patrimonio per testamento149.
147 Così BONILINI, Sulla possibile riforma della successione necessaria, in Trattato delle Successioni e donazioni, La Successione legittima, Milano, 2009, 729 ss.
148 La tesi in esame è avvalorata anche dalla Giurisprudenza. Sul punto si veda Cass. Civ., 24 giugno 1996, n. 5832, in La Nuova giur. civ. comm. , 1997, I, 164 nota di CALÒ E., L’etica dell’ordine pubblico internazionale e lo spirito della successione necessaria, secondo la quale “poichè la Carta costituzionale, all'art. 42, non fa riferimento alcuno ai legittimari, la quota riservata ai medesimi rappresenta un limite della successione legittima ovvero delle disposizioni testamentarie, che il legislatore ordinario può modificare ed anche sopprimere; pertanto l'istituto non rientra tra quelli che costituiscono l'ordine pubblico, cui si riferisce l'art. 31 delle disposizioni sulla legge in generale”.
149 Detto orientamento è espresso nel ddl n. 1043/2006 di riforma della successione necessaria. Secondo la relazione di accompagnamento, infatti, il sistema delineato dal codice civile presenterebbe chiari aspetti di illegittimità e di incostituzionalità in quanto
La tesi senz’altro più convincente, nonostante manchino argomenti dirimenti, è quella che ritiene che il sistema della successione necessaria abbia copertura costituzionale150. Detta copertura può derivare sia da una diversa lettura dell’art. 42, Comma IV, Cost. sia da altre norme costituzionali indirettamente connesse all’istituto. L’art. 42, infatti, fa riferimento ai limiti della successione testamentaria che è la legge ordinaria a dover stabilire: in particolare, così come la legge ordinaria non potrebbe eliminare la successione testamentaria, si può anche affermare che alla legge non sarebbe nemmeno consentito prevedere una successione per testamento senza limiti; ed il limite per eccellenza è rappresentato dalle norme a tutela dei legittimari. Per di più l’abrogazione dell’istituto potrebbe essere incompatibile con altre norme costituzionali a tutela della famiglia e dell’infanzia (artt. 29, 30 e 31 Cost.).
Pertanto, secondo quest’ultima tesi, “un giudizio di incostituzionalità investirebbe tanto un’abrogazione dell’istituto, quanto una novellazione altrimenti incompatibile con le garanzie costituzionali riferite al riconoscimento dei diritti della famiglia (art. 29), al dovere dei genitori di mantenere i figli (art. 30), all’impegno dello Stato a favorire gli istituti a protezione della maternità, dell’infanzia e della gioventù (art. 31)”151.
limiterebbe il potere di autonomia del singolo di disporre liberamente delle proprie sostanze. Contra BONILINI, Sulla possibile riforma della successione necessaria, op. cit., 582, nonché CINQUE M., Xxxxx sorti della successione necessaria, op. cit. secondo la quale “ provando a cogliere il pensiero dei senatori proponenti, l’illegittimità costituzionale non risiederebbe tanto nella previsione di una riserva per i congiunti prossimi, ma solo in quella che finisca — come la vigente — per rendere quasi irrilevante il diritto di testare. L’idea è suggestiva, ma non condivisibile. In verità, la successione necessaria, anche nella penetrante configurazione attuale, non « nega» la successione testamentaria: se essa non comporta alcuna limitazione per il de cuius privo di legittimari e implica vincoli circoscritti per chi abbia un solo legittimario, anche quando la composizione familiare porti una notevolissima compressione della quota disponibile (coniuge e più di un figlio), la volontà testamentaria conserva un peso non del tutto trascurabile. Inoltre, co-me subito si dirà, questi limiti potrebbero trovare giustificazione nei « rapporti di forza » interni proprio al sistema-Costituzione, come risultato del bilanciamento con altri diritti costituzionalmente garantiti. Dunque, se la quota indisponibile risulta eccessiva — e così è
— si deve pensare a una riforma che aumenti la disponibile, senza però scomodare la Carta costituzionale a questi fini”.
150 CINQUE M., Sulle sorti della successione necessaria, op. ult. cit.
151 CINQUE M., op. ult. cit., 497.
3.2. - Il ddl n. 1043/2006152.
Accogliendo le istanze provenienti dalla dottrina maggioritaria, nel settembre 2006, con il disegno di legge n. 1043153, è stata avviata
152 Il d.d.l. n. 1043/2006 riprende il ddl n. 4727/ 2004 salvo differenziarsi per l’abrogazione delle norme sul patto di famiglia, introdotte con legge nel 2006, e nonché per l’introduzione di una norma in più, con cui verrebbe ridisegnata la disposizione di cui all’art. 458 cod. civ. sui patti successori . Per le differenze tra questi ultimi si veda CONSOLO – DALLA XXXXXXX, Libertà testamentaria, protezione dei figli e deflazione delle liti, in Nuova giur. civ. comm., 9/ 2008, 269 ss.
153 Il progetto di legge è stato presentato dai Senatori Xxxx, Xxxxxxxxx, Xxxxx, Xxxxxxxx e Xxxxxx. Qui di seguito il testo del D.d.l.:
Art. 1. 1. Le disposizioni di cui agli articoli 536, 537, 538, 540, primo comma, 542,
544, 549, 550, 551, 552, 553, 554, 555, 556, 557, 558, 559, 560, 561, 562, 563, 564, 735,
secondo xxxxx, 737, secondo xxxxx, 763, 2652, primo comma, numero 8), e 2690, primo comma, numero 5), del codice civile, sono abrogate. / 2. È abrogato il capo V-bis del titolo IV del Libro II del codice civile.
Art. 2. 1. L’articolo 458 del codice civile è sostituito dal seguente: « Art. 458. – (Xxxxx successori). - È nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. /
2. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi. / 3. È tuttavia valido il contratto con il quale taluno assegna, nella medesima forma richiesta per il contratto di donazione, in tutto o in parte, il suo patrimonio ai propri discendenti in linea retta con effetto dall’apertura della propria successione, anche con la previsione per il caso di premorienza di taluno degli assegnatari della inefficacia dell’assegnazione o della sostituzione dell’assegnatario con suoi discendenti in linea retta collettivamente o nominativamente indicati ».
Art. 3. Il terzo comma dell’articolo 457 del codice civile è sostituito dal seguente: « Le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva al coniuge superstite ».
Art. 4. Il secondo comma dell’articolo 483 del codice civile è sostituito dal seguente: « Tuttavia, se si scopre un testamento del quale non si aveva notizia al tempo dell’accettazione, l’erede non è tenuto a soddisfare i legati scritti in esso oltre il valore dell’eredità, o con pregiudizio dei diritti che la legge gli riserva in qualità di coniuge superstite. Se i beni ereditari non bastano a soddisfare tali legati, si riducono proporzionalmente anche i legati scritti in altri testamenti. Se alcuni legatari sono stati già soddisfatti per intero, contro di loro è data azione di regresso ».
Art. 5. Il primo comma dell’articolo 692 del codice civile è sostituito dal seguente: « Ciascuno dei genitori o degli altri ascendenti in linea retta o il coniuge dell’interdetto possono istituire rispettivamente il figlio, il discendente o il coniuge con l’obbligo di conservare e di restituire alla sua morte i beni, a favore della persona o degli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura dell’interdetto medesimo ».
Art. 6. Il primo comma dell’articolo 734 del codice civile è sostituito dal seguente: « Il testatore può dividere i suoi beni tra gli eredi ».
Art. 7. 1. Il primo comma dell’articolo 735 del codice civile è sostituito dal seguente: « La divisione nella quale il testatore non abbia compreso qualcuno degli eredi istituiti è nulla
». / 2. Alla rubrica dell’articolo 735 del codice civile, le parole: « e lesione di legittima » sono soppresse.
Art. 8. Il secondo comma dell’articolo 792 del codice civile è sostituito dal seguente: « È valido il patto per cui la riversione non deve pregiudicare i diritti che la legge riserva al coniuge superstite sul patrimonio del donatario, compresi in esso i beni donati ».
Art. 9. Il primo comma dell’articolo 809 del codice civile è sostituito dal seguente: « Le liberalità, anche se risultano da atti diversi da quelli previsti dall’articolo 769, sono soggette alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa d’ingratitudine e per sopravvenienza di figli ».
un’iniziativa parlamentare di riforma della successione necessaria. Il disegno di legge predetto prevede una riforma del sistema di tutela dei legittimari piuttosto radicale in quanto, come si legge nella Relazione di accompagnamento, propone l’eliminazione della riserva a favore dei figli, sostenendo la convivenza con i genitori fino a tarda età e, dunque, il relativo sfruttamento del patrimonio familiare per giungere all’indipendenza economica, rispetto a quanto avveniva in passato154. La stessa proposta, inoltre, prevede l’abrogazione del capo V-bis del titolo IV del Libro II del codice civile dedicato al Patto di famiglia.
Quanto alla successione del coniuge, invece, il disegno di legge propone di abrogare la riserva a favore di quest’ultimo, pur tuttavia non vengono abrogati né l’art. 540 né l’art. 548 c.c. e, pertanto, gli si conserva il diritto di uso e abitazione nella casa adibita a residenza familiare e il diritto d’uso sui mobili che la arredano nonché il diritto ad un assegno vitalizio per
Art. 10. La presente legge entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
154 Il disegno di legge riproduce in sostanza il progetto n. 4727 del 19 febbraio 2004, ove nella relazione di accompagnamento si osservava: “I diritti successori dei membri della famiglia secondo il sistema vigente competono ai medesimi indipendentemente dal loro eventuale stato di bisogno, sicchè non può più farsi leva soltanto sulla funzione assistenziale-solidale per giustificare i diritti dei legittimari, perché i medesimi sono già sorretti dall’esistenza in sé di un vincolo familiare con il de cuius e pertanto già e soprattutto durante la vita del de cuius si manifesta l’interesse a tutelare e si realizza la tutela della famiglia attraverso l’obbligo legale degli alimenti, dell’educazione, del mantenimento, eccetera. La famiglia di oggi infatti più che una comunità di produzione è una comunità di consumo, educazione e tempo libero. Di regola infatti i figli lasciano la casa dei genitori al più tardi dopo la conclusione dei loro studi, che nella maggior parte dei casi si spingono fino all’università e pertanto spesso i genitori contribuiscono al loro mantenimento fino ad età avanzata, i figli hanno pertanto già goduto dei benefici traibili dal patrimonio del de cuius ed è raro che possano vantare una pretesa ad una partecipazione all’eredità in forza di una loro effettiva collaborazione alla conservazione e all’incremento del patrimonio familiare. Si pensi, inoltre, come il sistema attuale in presenza di grandi patrimoni pregiudica maggiormente la libertà del de cuius e offre ai « fortunati » legittimari, i quali possono pretendere cospicue porzioni di patrimonio, occasione per renderli poco propensi al sacrificio, al lavoro, nonché poco incentivati ad assumersi obblighi di varia natura e, in particolare, di assistenza e di sostegno nei confronti dei membri della famiglia. Inoltre anche l’aspettativa di vita è aumentata, difficile pertanto che il de cuius lasci alla sua morte figli minori. Si osserva dunque come nella realtà siano mutati i soggetti effettivamente bisognosi di assistenza, tali infatti non sarebbero più in linea di massima i figli, bensì il coniuge ed eventualmente i genitori del de cuius. A quest’ultimi non spetta alcun diritto successorio se il de cuius lascia anche dei figli. L’affermazione secondo cui la successione necessaria si giustifica per la solidarietà familiare ha quindi oggi poca forza persuasiva. Secondo il sistema vigente è riconosciuto un diritto di successione necessaria anche, per esempio, a quei congiunti che non si sono mai preoccupati del de cuius, o che hanno, al contrario, tenuto nei suoi confronti un comportamento ostile, o che non hanno mai contribuito a conservare e ad incrementare il patrimonio del de cuius”.
il coniuge al quale sia stata addebitata la separazione. Si stabilisce, inoltre, all’art. 457, III comma, c.c. che “le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva al coniuge superstite”.
Si pone, pertanto, a fondamento della riforma, il principio costituzionale della libera disposizione dei beni da parte del titolare del diritto di proprietà.
Secondo i promotori del disegno di legge, infatti, il sistema della successione necessaria sarebbe ormai superato ed inadeguato poiché non consentirebbe ”più di realizzare quella solidarietà familiare che lo ha ispirato, ma che in realtà impedisce al de cuius di disporre nel modo più giusto del patrimonio che ha acquistato con il proprio lavoro e, in particolare, di tener adeguatamente conto degli interessi dei suoi prossimi congiunti al fine di fare fronte ai loro bisogni”155. Sorgerebbe quindi l’esigenza “di riconoscere il pieno potere di disporre liberamente di tutto il proprio patrimonio con atti inter vivos e mortis causa, privilegiando la sovranità dispositiva del proprietario e che integra la piena libertà di testare, diritto costituzionalmente garantito, affinché, adottando come parametro di riferimento più che la parità di trattamento, l’effettivo stato di bisogno dello stretto congiunto, si abbiano reali strumenti, piuttosto che sbarramenti invalicabili, per realizzare al meglio quella esigenza di assistenza materiale e morale del proprio nucleo familiare che il diritto vigente non è più idoneo a tutelare, né tanto meno a promuovere”.
Si sottolinea, in particolare,come la quota di riserva fissa, prevista nel nostro ordinamento, prescinda dallo stato di bisogno e, quindi, in realtà, non si possa più giustificare con una logica di tipo assistenziale.
Inoltre, l’attuale disciplina delle quote fisse, sempre secondo la relazione al disegno di legge, privilegia i figli rispetto ai genitori del defunto. Ma attualmente, poiché l’aspettativa di vita è aumentata, pochi lasciano figli minori bisognosi di aiuto ed è più frequente che siano in qualche misura maggiormente bisognosi il coniuge ed i genitori del defunto.
155 Si veda la Relazione al disegno di legge in PALAZZO, La funzione suppletiva della successione necessaria, La tutela dei soggetti deboli e la diseredazione (riflessioni sul progetto per abolizione della categoria dei legittimari), in xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx
L’attuale sistema, inoltre, non considera nemmeno i meriti o i demeriti dei legittimari ai fini della determinazione della quota spettante sul patrimonio ereditario: il figlio premuroso e presente, infatti, ha lo stesso trattamento successorio di quello ostile e disinteressato.
Tuttavia, se è apprezzabile il fine perseguito dalla novella di estendere l’autonomia privata del disponente, altrettanto non può dirsi, almeno secondo la dottrina dominante, per lo strumento utilizzato156. Il disegno di legge, infatti, mantiene qualche tutela per il coniuge, mentre nulla è previsto per i discendenti, nemmeno se minori o bisognosi157. Per di più la tutela (disordinata) a favore del coniuge rischia di veder maggiormente avvantaggiato quello al quale è stata addebitata la separazione, in quanto il progetto di legge, pur avendo eliminato la riserva a favore del coniuge, non ha abrogato l’art. 548 c.c. che prevede un assegno vitalizio a favore di colui nei confronti del quale sia stata addebitata la separazione.
Pertanto, la dottrina maggioritaria concorda sul fatto che il sistema della successione necessaria debba essere rivisto, tuttavia non ritiene che la via da percorrere sia quella “della soppressione dell’intero capo codicistico dedicato alla tutela dei legittimari, in una con le disposizioni normative ad esso collegate”158.
3.3. - La posizione della dottrina.
156 Contrario alla soppressione della successione necessaria è DELLE MONACHE, Scenari attuali in materia di tutela del legittimario, in Nuova giur. civ. comm., 2008, II, 68 secondo il quale “A tale soppressione conseguirebbe, difatti, la possibilità di abusi intollerabili, come allorché il padre di famiglia, in presenza di figli minori, disponesse dell’intera propria sostanza a favore della donna con cui intrattiene una relazione extraconiugale”.
157 Così CINQUE M., op. cit., 498., “emerge l’opportunità di un approccio riformatore più « raffinato ». Tuttavia, mentre cancellare (quasi) tutto è piuttosto semplice, una riforma che modifichi gli equilibri della disciplina attuale si prospetta ben più complessa”. Sul punto di veda anche IEVA, Divieto di patti successori e tutela dei legittimari, in AA.VV., I Quadreni della Rivista di Diritto civile, Vol. 8, Tradizione e modernità nel diritto successorio, a cura di Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxxx, Padova, 2007, 297 ss secondo il quale “Resto perciò perplesso di fronte a una proposta di legge presentata da un gruppo di parlamentari della maggioranza, che elimina la tutela dei legittimari – figli mantenendo quella del coniuge. Francamente mi pare un orientamento assai discutibile proprio in considerazione della diversa stabilità del rapporto di filiazione rispetto a quello di coniugio”.
158 Così DELLE MONACHE, Scenari attuali in materia di tutela del legittimario, op. cit., 68.
Se, come si è detto in precedenza, la dottrina non nega che il sistema della successione necessaria abbia necessità di una riforma, le soluzioni prospettate, tuttavia, sono diverse.
Si è prospettata, infatti, l’idea di una abrogazione totale dell’istituto della legittima così come quella della correzione degli aspetti di maggiore criticità.
In particolare, gli aspetti di maggiore criticità possono così riassumersi: occorre valutare se e come rivedere il catalogo dei legittimari (ci si dovrà chiedere se e in che misura lo status parentale o coniugale possa ancora rappresentare il criterio esclusivo di attribuzione di quella qualità, o non debba piuttosto essere affiancato dalla considerazione di parametri diversi e flessibili: che andranno dallo stato di bisogno alla non autosufficienza, dalla durata del vincolo coniugale al regime patrimoniale familiare, sino ad eventuali condotte delle quali, pur non costituendo causa di indegnità, sia opportuno tener conto)159, se e come ridurre la quota indisponibile, se e come tener conto dei meriti e dei demeriti dei più stretti congiunti del de cuius, nonché se mantenere la tutela reale a favore del legittimario160.
In particolare, parte della dottrina, auspica un ripensamento dei diritti riservati al coniuge superstite161. Con la riforma del 1975, infatti, il coniuge si vede riconosciuto il diritto ad una quota in piena proprietà del patrimonio del defunto anziché l’usufrutto su di una quota dello stesso. A ciò si aggiungano i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano.
Questo già ampio riconoscimento, secondo parte della dottrina, può estendersi e portare ad una « duplicazione di benefici »162 in quanto la posizione del coniuge è stata rafforzata dal legislatore della riforma anche attraverso la previsione della comunione dei beni come regime patrimoniale legale. Dunque, se i coniugi sono in comunione dei beni, anche il coniuge
159 Così XXXXXX, op. cit.
160 Così si esprime CINQUE M, op. ult. cit., 512. Dà conto di detto orientamento anche DE ROSA, sub art. 536 c.c., in Commentario al Cod. Civ., Delle Successioni, artt. 456-564, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxx, Utet, 2009, 529 ss.
161 CINQUE M, op. ult. cit., 512; XXXXXX, op. cit.;
162 CINQUE M, op. ult. cit.,
superstite che, per varie ragioni, abbia contribuito poco alla formazione del patrimonio familiare, sommerà ai diritti successori quanto acquisito durante il matrimonio, in conseguenza del meccanismo di contitolarità degli acquisti.
È chiaro che detto sistema può giustificarsi nella prospettiva di un vincolo coniugale tendenzialmente stabile e duraturo nel tempo. Deve tuttavia darsi atto dell’instabilità attuale del vincolo matrimoniale sia per il diverso conformarsi dei rapporti sociali sia per il naturale allungarsi della vita umana163. Xxxxxxx, pertanto, “prendere atto della circostanza che il patrimonio relitto dal coniuge coniugato spesso non è il frutto di una vita percorsa insieme al coniuge superstite, bensì il frutto di precedenti e magari ben diverse esperienze”164.
Parte della dottrina, inoltre, pone l’accento sui diritti successori riservati al coniuge separato165. Quest’ultimo, infatti, ove non gli sia stata addebitata la separazione ha i medesimi diritti successori del coniuge non separato. Mentre, in caso di addebito, il coniuge ha diritto “ad un assegno vitalizio se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto”. In una prospettiva di riforma è chiaro che anche questo problema va affrontato considerando che spesso il coniuge separato si inserisce nella vicenda successoria contrariamente alla volontà del de cuius e danneggiando così la posizione dei figli166.
Altra parte della dottrina, inoltre, si è interrogata sulla possibilità di escludere gli ascendenti dalla categoria dei legittimari oppure di prevedere a
163 PADOVINI, La successione del coniuge, dei parenti e dello Stato, in AA.VV., I Quadreni della Rivista di Diritto civile, Vol. 8, Tradizione e modernità nel diritto successorio, a cura di Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxxx, Padova, 2007,97 ss.
164 Xxxxxxxx, La successione del coniuge, dei parenti e dello Stat, op. ult. cit., 109.
165 IEVA, Divieto di patti successori e tutela dei legittimari, op. cit.
166 IEVA, op. ult. cit., secondo il quale “ho sempre avuto difficoltà a giustificare tale scelta del Legislatore fino a che, in occasione di un convegno organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, la chiave di lettura mi fu offerta dal Professor Xxxxxxxxxxx il quale sottolineò il fatto che nel nostro codice l’art. 154, che si occupa della riconciliazione dei coniugi, è espressione dell’idea del legislatore che, contrariamente a un dato sociologico che tutti conosciamo, la separazione sia un momento di transizione in vista di una riconciliazione, mentre statisticamente la separazione è il momento in cui si consuma la disgregazione del nucleo familiare che trova il suo naturale esito nel divorzio”.
loro favore un mero diritto di credito a carico dell’eredità, qualora versino in stato di bisogno167.
La legittima in generale, anche quella a favore dei figli, dovrebbe essere rivista o comunque sia coordinata con le situazioni patrimoniali acquisite in vita dai più stretti congiunti del decuius168. Vicende che, tuttavia, l’attuale sistema ignora del tutto, trattando i figli tutti alla stessa stregua.
Così come, secondo parte della dottrina, dovrebbe essere permesso al testatore di tener conto di determinati comportamenti del legittimario, ora irrilevanti, ma significativamente e obiettivamente riprovevoli che giustificano il venir meno della stessa solidarietà familiare a fondamento della legittima169. In tal caso, si auspica la reintroduzione di cause tipiche di diseredazione a disposizione del de cuius, anziché una dilatazione del catalogo delle più gravi cause di indegnità170.
167 Per l’esclusione degli ascendenti dalla categoria dei legittimari si veda XXXXXX, op. cit., e XXXXXXXX, Sulla proposta di novellazione delle norme relative alla successione necessaria, in Fam. pers. e succ., 7/2007, 581 ss, secondo il quale “La rivisitazione del catalogo dei legittimari, inoltre, non potrebbe non farsi carico dell’espunzione, dal medesimo, degli ascendenti. Con la consueta, limpida, stringatezza, del resto, ci ricorda, Xxxxxx Xxxxx, che molti popoli hanno ignota la successione dell’ascendente. Riguardo agli ascendenti, peraltro, potrebbero essere contemplati non già diritti dominicali, ma, al piu` , reddituali, altresì più adatti rispetto a chi sia in età avanzata, quindi può maggiormente soffrire di esigenze, che ben possono soddisfarsi attraverso un reddito periodico”. Contra GATT, Memento mori. La ragion d’essere della successione necessaria in Italia, in Fam. Pers. Succ., 6/2009, 557.
168 Così BUCCELLI, Interessi dell’impresa e interessi familiari nella successione necessaria, in AA.VV., I Quaderni della Rivista di Diritto civile, Vol. 8, Tradizione e modernità nel diritto successorio, a cura di Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxxx, Padova, 2007, 273ss, secondo il quale ad esempio si dovrebbe tenere conto della casa acquistata per conto del figlio con denaro proprio del genitore, oppure del mantenimento che i genitori hanno garantito al figlio oltre il diciottesimo anno d’età.
169 Così, CINQUE M., op. cit.
170 In particolare, sono d’accordo per la previsione di cause di diseredazione: XXXXXX, La successione necessaria tra proposte di abrogazione e istanze di riforma, cit., p. 811; DELLE MONACHE, op. cit., e XXXXXXXX, Sulla proposta di novellazione delle norme relative alla successione necessaria, cit., p. 587,il quale propone anche di rintrodurre quale causa d’indegnità a succedere anche l’ingratitudine. Secondo l’Autore, infatti, “l’ingratitudine, attraverso una formula normativa severa, seppur generale, anche se a rischio di genericita`, dovrebbe attestarsi come causa di privazione di vantaggi ereditarı”. Si veda anche Palazzo, La funzione suppletiva della successione necessaria, cit., p. 18, il quale, indicando una sua proposta di riforma, inserirebbe nell’art. 536 c.c. il seguente comma: « I legittimari di cui ai precedenti commi sono soggetti a diseredazione per giusta causa. La mancanza del fatto che determina la diseredazione dev’essere provata dal legittimario che la subisce”.
Secondo parte della dottrina, inoltre, l’idea di fondo che caratterizza il nostro sistema successorio, secondo la quale il legittimario ha diritto ad una quota del patrimonio ereditario, va rivista. In particolare, secondo l’orientamento in esame al legittimario andrebbe esclusivamente riconosciuto il diritto ad una somma di denaro nei confronti degli eredi istituiti così come accade nel patto di famiglia al legittimario non assegnatario il quale, appunto, vanta un diritto ad un valore corrispondente alla quota di eredità che la legge gli garantisce171. La tutela del legittimario pertanto, così come accade nell’ordinamento tedesco172, si realizzerebbe mediante una pretesa avente ad oggetto un valore, e non una portio honorum173.
3.4. - Le riforme recenti in materia: le modifiche agli artt. 561 e 563 c.c.
Da quanto finora detto è chiaro che la dottrina auspica un intervento del Legislatore per la riforma della successione necessaria, riforma che elimini o comunque sia mitighi i limiti posti dalle norme sulla successione necessaria all’autonomia del disponente ed alla circolazione dei beni.
171 Così PERLINGIERI, Il diritto ereditario all’affacciarsi del nuovo millennio: problemi e prospettive, in AA.VV., I Quadreni della Rivista di Diritto civile, Vol. 8, Tradizione e modernità nel diritto successorio, a cura di Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxxx, Padova, 2007, 317ss. e DELLE MONACHE, Scenari attuali in materia di tutela del legittimario, op. cit., 69 .
172 L’ordinamento tedesco appare improntato ad una esigenza di pieno rispetto dell’autonomia privata, senza che ciò determini la negazione di qualsiasi forma di tutela a favore dei più stretti congiunti del defunto. Più precisamente, il principio sul quale si fonda il sistema è dato dalla tutela dell’interesse del de cuius a disporre delle proprie sostanze come meglio crede: a tale scopo egli ha a disposizione il testamento ed il contratto successorio. La protezione accordata ai legittimari, che trova fondamento anche nel sistema tedesco nel principio di solidarietà familiare, si sostanzia in forme giuridiche diverse rispetto a quelle previste nell’ordinamento italiano. In particolare, tali forme si traducono, infatti, nell’attribuzione al legittimario escluso dall’eredità di un diritto, nei confronti degli eredi istituiti, il cui oggetto consiste nel pagamento di una somma di denaro pari alla metà del valore della quota ereditaria che al legittimario stesso sarebbe stata devoluta in base alle regole sulla successione legittima. Il legittimario diseredato o pretermesso, pertanto, non dispone di strumenti che gli consentano di acquistare la qualità di erede, né può far valere diritti di sorta sui beni compresi nell’asse, egli divenendo piuttosto un creditore dell’eredità. Per un approfondimento sul tema si veda DELLE MONACHE, op. ult. cit.
173 Perlingieri, op. ult. cit.
In verità, il Legislatore italiano è intervenuto recentemente nella materia proprio al fine di delimitare i contorni e ridefinire la natura stessa della tutela di cui gode il legittimario in quanto soggetto al quale l’ordinamento assicura il diritto di conseguire una porzione concreta del patrimonio del disponente.
In particolare, con legge n. 80 del 14 maggio 2005, sono stati modificati gli artt. 561 e 563 c.c. dedicati rispettivamente alla “restituzione degli immobili” e all’ “azione contro gli aventi causa dai donatari soggetti a riduzione”174.
Prima della riforma dette norme assicuravano un’ ampia opponibilità ai terzi del giudicato di riduzione: il legittimario, infatti, dopo aver esperito vittoriosamente detta azione, poteva chiedere la restituzione dei beni al terzo acquirente dal donatario sul presupposto della previa ed infruttuosa escussione del patrimonio di quest’ultimo e fatta salva la facoltà per il terzo di liberarsi dall’obbligo di restituzione in natura pagando l’equivalente in denaro (art. 563 c.c.). Pertanto, stante l’idoneità del giudicato di riduzione a travolgere gli acquisti dei terzi aventi causa dal beneficiario dell’attribuzione lesiva, ne seguiva uno stato di grave incertezza specialmente relativo alla circolazione dei beni donati dal de cuius.
A seguito della riforma, in particolare, è stato introdotto un limite, di natura temporale, all’efficacia retroattiva reale dell’azione di riduzione in virtù del quale i pesi e le ipoteche costituiti dal donatario sugli immobili donati (art. 561 c.c.) e le alienazioni a terzi degli stessi beni (art. 563 c.c.) restano efficaci in pregiudizio del legittimario che ha esperito vittoriosamente l’azione di riduzione ove sia trascorso un ventennio dalla trascrizione della donazione, salva la sospensione di detto termine se il
174 Per un approfondimento sul tema si veda, tra gli altri: XXXXXXX, Azione di restituzione: le nuove disposizioni degli artt. 561-563 c.c., in Diritto successorio, approfondimenti tematici, Volume II, a cura di M.G. Xxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxxx Editore, 2013, 171 ss; ANDRINI, sub. art. 563 c.c., in Commentario al Cod. Civ., Delle Successioni, artt. 456-564, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxx, Utet, 2009, 698; ANDRINI, sub. art. 561 c.c., in Commentario al Cod. Civ., Delle Successioni, artt. 456-564, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxx, Utet, 2009,679. BALESTRA, Modifica degli artt. 561 e 563 c.c. in materia di restituzione conseguente all’esercizio dell’azione di riduzione, in xxx.xxxxxxxxxxxxx.xx; BUSANI, Il nuovo atto di opposizione alla donazione (art. 563, comma IV, c.c.) e le donazioni anteriori: problemi di diritto transitorio, in La Nuova giur. civ. comm., 5/2006; CAPRIOLI, Le modificazioni apportate agli artt. 561 e 563 c.c., in Riv. not., 5/2005, 1019 ss. IEVA, La novella degli artt. 561 e 563 c.c., in Riv. not., 5/2005, 943 ss.
coniuge e i parenti in linea retta del donante abbiano notificato e trascritto un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione.
L’intento del Legislatore della riforma, dunque, è stato quello di
«agevolare la circolazione dei beni immobili già oggetto di atti di disposizione a titolo gratuito»175.
Tuttavia, secondo parte della dottrina, il guadagno in termini di maggiore sicurezza nella circolazione dei beni donati da parte del de cuius appare piuttosto esiguo: il diritto acquistato dal terzo avente causa, infatti, si consolida esclusivamente trascorsi venti anni dalla trascrizione della donazione, e sempre che il donante sia ancora in vita oppure, in caso di apertura della successione, ove non sia stata esercitata l’azione di riduzione176.
E c’è di più. La riforma ha aggiunto un ulteriore comma in chiusura dell’art. 563 c.c. il quale prevede che “salvo il disposto del numero 8) dell’art. 2652, il decorso del termine di cui al primo comma e di quello di
175 Così DELLE MONACHE, Scenari attuali in materia di tutela del legittimario, op. cit; Si veda anche BUSANI, Il nuovo atto di opposizione alla donazione (art. 563, comma IV, c.c.) e le donazioni anteriori: problemi di diritto transitorio, op. cit. secondo il quale la riforma ha l’obiettivo di “mettere in sicurezza, dopo un certo lasso di tempo, la circolazione dei beni donati (di modo che l’avente causa dal donatario, che è pur sempre un acquirente a domino, non riceva dall’ordinamento un trattamento deteriore addirittura rispetto all’acquirente a non domino, il quale, al massimo, dopo un ventennio di possesso, forma in capo a sé il titolo acquisitivo del bene posseduto)”.
176 DELLE MONACHE, op. ult. cit., 64. Contra BUSANI, Il nuovo atto di opposizione alla donazione (art. 563, comma IV, c.c.) e le donazioni anteriori: problemi di diritto transitorio, op. cit., 255 ss “Ebbene, se con una visione di questa materia di impostazione
«più tradizionale», potrebbe forse anche concludersi che nulla sia innovato (meno ovviamente che per quel «piccolo tassello» rappresentato dalla preclusione all’azione di restituzione dopo un certo tempo, che peraltro può essere evitata appunto mediante l’atto di «opposizione») rispetto alla permanente centralità della posizione dei legittimari nel nostro ordinamento, e quindi concludersi nel senso che gli interessi del legittimario debbono ancor oggi essere tenuti nella massima considerazione e ritenuti prevalenti rispetto a qualsiasi altro interesse che con essi venga «in conflitto»;da una visione più innovativa, la quale invero appare probabilmente preferibile (fondata, da un lato, sull’evidente carattere «di urgenza» che ha contraddistinto la sua emanazione, e, d’altro lato, sul fatto di essere espressione concreta dell’obiettivo di conferire «competitività» al nostro ordinamento), è da discendere la conclusione secondo cui la novella verrebbe ingiustificatamente sminuita nella sua effettiva portata da un’interpretazione che facesse prevalere la visione tradizionale degli istituti in esame rispetto ad una loro «rinnovata » lettura alla luce della disciplina recata dalla novella: non dimenticando che essa in tanto dà tutela al (futuro) legittimario (sotto il profilo dell’esperibilità dell’azione di riduzione) non, come prima, in via «assoluta», ma solo ove egli dispieghi una data attività prescritta dalla legge. E dunque non può essere senza significato che, in precedenza, al legittimario la tutela spettava comunque e che ora invece questa tutela il legittimario se la deve andare a «conquistare», a pena di non conseguirla se l’onere di opporsi non sia dal medesimo attivato”.
cui all'articolo 561, primo comma, è sospeso nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta del donante che abbiano notificato e trascritto, nei confronti del donatario e dei suoi aventi causa, un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione. Il diritto dell'opponente è personale e rinunziabile. L'opposizione perde effetto se non è rinnovata prima che siano trascorsi venti anni dalla sua trascrizione”.
Il legislatore con quest’ultima previsione sembrerebbe aver inteso salvaguardare la posizione del legittimario177: pertanto, se da un lato ha introdotto un limite temporale all’efficacia retroattiva reale dell’azione di riduzione mitigando così la tutela del legittimario, dall’altra ha controbilanciato il mutamento di disciplina.
Ciò che preme sottolineare, tuttavia, è che, mentre il fine della riforma era quello di limitare l’impatto della tutela del legittimario per assicurare una maggior sicurezza alla circolazione dei beni di provenienza donativa, con la modifica in esame si è rafforzata la posizione del legittimario.
Il legislatore, infatti, ha attribuito rilevanza alla posizione di quest’ultimo prima dell’apertura della successione ed indipendentemente dall’esistenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione di riduzione178. Secondo i principi generali, infatti, prima dell’apertura della successione, nessun diritto spetta agli stretti congiunti del de cuius “né come pretesa sull’eredità e neppure come aspettativa giuridica”179. Nessun potere dovrebbe, quindi, spettare al legittimario prima della morte dell’ereditando e, conseguentemente, nessun limite dovrebbe derivare all’autonomia negoziale dalle norme sulla successione necessaria.
Con la modifica in esame, tuttavia, viene attribuito a determinati soggetti un diritto fondato su una qualità soggettiva futura ed eventuale in quanto ben può accadere che l’autore dell’opposizione alla donazione non
177 Così DELLE MONACHE, op. ult. cit , secondo il quale “con una sforzo minimo, il legittimario è dunque in condizione di porre sostanzialmente nel nulla il già di per sé tenue limite alla retroattività reale del giudicato di riduzione introdotto con l’intervento di riforma”.
178 Così XXXXXXX, Azione di restituzione: le nuove disposizioni degli artt. 561-563 x.x., xx. xxx. , 000.
179 Così XXXXXX, Le successioni, cit., 29.
rientri nella categoria dei legittimari al momento di apertura della successione (si pensi ad esempio alla posizione del coniuge divorziato). Così come può accadere che l’opposizione sia preclusa a soggetti che rivestono la qualità di legittimario alla morte del donante, come ad esempio ai figli nati successivamente al decorso del termine ventennale o al coniuge diventato tale dopo lo stesso termine. Tali soggetti, pertanto, non potranno giovarsi dei vantaggi derivanti dall’opposizione senza che sia a loro addebitabile alcun onere180.
Per di più il diritto concesso ai legittimari è un diritto rinunciabile, e la rinuncia, ovviamente, potrà farsi dietro corrispettivo: pertanto il coniuge e i parenti in linea retta, i quali, prima della riforma, nulla avrebbero potuto circa la donazione finché il donante fosse rimasto in vita, potranno ora negoziare il loro assenso al compimento dell’atto. Tutto ciò mentre non è neppure possibile stabilire, prima dell’apertura della successione, se la donazione abbia leso o meno i diritti di legittima o sia, invece, contenuta entro i limiti della disponibile181.
La circostanza per la quale, alla morte del donante, i legittimari saranno dotati di diritti uguali ma di tutele diverse a seconda che siano legittimari originari o sopravvenuti, solleva dubbi circa l’incostituzionalità della nuova normativa per violazione dell’art. 3 della Costituzione182.
3.5. - La legge n. 55/2006183.
180 In tal senso XXXXXXX, op. ult. cit, 175.
181 DELLE MONACHE, op. cit., 64
182 Così IEVA, La novella degli artt. 561 e 563 c.c., op. cit.944 175; XXXXXXX, op. ult. cit, secondo il quale “al riguardo non può negarsi che il sacrificio della posizione dei legittimari sopravvenuti sia una scelta necessaria al fine di perseguire l’obiettivo legislativo di rendere sicura la circolazione degli immobili di provenienza donativa, obiettivo che verrebbe palesemente frustrato ove si consentisse ai figli nati magari trenta o quaranta anni dopo la donazione di ottenere la restituzione dell’immobile donato dai terzi sub acquirenti. Non riteniamo tuttavia legittima una soluzione legislativa che apporti una irragionevole deroga al principio di uguaglianza dei legittimari, il cui effetto pratico sarebbe quello di rimettere al de cuius la creazione di legittimari privilegiati e di legittimari sfavoriti”.
183 Sul tema si rinvia al Capitolo III.
Considerazioni analoghe sul rafforzamento della tutela del legittimario possono essere fatte anche in relazione alla L. n. 55/2006 che ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto del patto di famiglia184.
L’art. 768 quater c.c., rubricato “partecipazione”, dispone che alla stipula del contratto debbano partecipare, oltre al disponente ed all’assegnatario, “anche il coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore”185. Inoltre, coloro ai quali è stata assegnata l’azienda devono corrispondere agli altri partecipanti al contratto (ossia ai presunti legittimari in quel dato momento storico) una somma pari al valore delle quote di riserva previste dagli artt. 536 e ss. c.c.
Pertanto, anche con l’istituto in esame, sembrerebbe che il legislatore abbia anticipato la tutela dei legittimari ad un momento precedente alla morte del disponente, senza preoccuparsi di risolvere talune problematiche relative alla mancata partecipazione al patto di uno di essi, né quelle relative al recupero delle somme corrisposte a colui, nella maggior parte dei casi l’ex coniuge, che al momento dell’apertura della successione abbia perso la qualità di legittimario.
3.6. - Considerazioni conclusive.
184 In relazione alla necessaria partecipazione al patto di famiglia dei legittimari si rinvia al Capitolo III, Paragrafo IV.
185 Considerato che anche il coniuge è un legittimario si ritiene sia superflua la sua esplicita previsione. Secondo M.G. XXXXXXX CALVISI, Patto di famiglia, xxxxx successori e tutela dei legittimari,op. cit., “la menzione separata sarebbe, invece, giustificata se per il coniuge partecipante al patto fosse previsto un trattamento differente da quello degli altri legittimari quale, in ipotesi, la liquidazione differita al momento dell’apertura della successione e subordinata al permanere dello status, per l’eventualità che il coniuge erede sia persona fisica diversa dal coniuge presente al patto e, dunque, per evitare i dubbi relativi alla sorte delle attribuzioni ad esso coeve. Ma di tanto nelle disposizioni della Novella non vi è cenno. Pur non di meno e sebbene non prevista nella fattispecie codificata, la previsione di un trattamento differenziato per il coniuge, nei limiti che si sono prima ipotizzati, ben potrebbe figurare tra le clausole del contratto, dal momento che non contrasterebbe con le finalità del patto e sarebbe espressione dell’autonomia negoziale delle parti. Nella prassi applicativa, anzi, essa dovrebbe essere inserita nel patto ogni qualvolta non sia esclusa l’eventualità di nuove nozze dell’imprenditore”.
Come si è detto in precedenza, nonostante le spinte riformatrici provenienti dalla dottrina maggioritaria, il Legislatore, negli ultimi anni, ha rafforzato la tutela del legittimario186.
Le recenti riforme legislative nella materia successoria sembrerebbero pertanto dimostrare che l’intero diritto delle successioni sia in fase di aperta evoluzione che tende all’anticipazione delle posizioni giuridiche nel loro complesso187.
La vicenda successoria, infatti, non assume più una esclusiva rilevanza nel momento della morte di un determinato soggetto, ma viene ad anticipare la sua importanza in un momento precedente, e ciò sia per quanto riguarda il disponente sia per quanto attiene i potenziali successibili.
Sul punto sia consentita una riflessione.
È pacifico che la successione necessaria costituisce un limite all’autonomia testamentaria in quanto, come già approfondito in precedenza, i legittimari, ove non abbiano ricevuto quanto a loro riservato dalla legge, potrebbero, all’apertura della successione, agire in riduzione e stravolgere il volere del disponente188. Al contrario, secondo i principi generali, prima dell’apertura della successione, nessun diritto spetta agli stretti congiunti del de cuius “né come pretesa sull’eredità e neppure come
186 Secondo DELLE MONACHE, Scenari attuali in materia di tutela del legittimario, op. cit., dette considerazioni possono farsi non solo con riguardo alle recenti riforme che hanno interessato il Libro II del codice civile ma anche relativamente a talune pronunce giurisprudenziali. Ci si riferisce, in particolare, alla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 25 ottobre 2004, n. 20644 in materia di prescrizione dell’azione di riduzione. La pronuncia in esame dispone che “ il termine di prescrizione dell'azione di riduzione, nella sola ipotesi di disposizioni testamentarie lesive della legittima, decorre dalla data di accettazione dell'eredità da parte del chiamato”. La sentenza in questione, per giunta a Sezioni Unite, determina un rafforzamento della tutela del legittimario contribuendo così a creare un ulteriore ostacolo alla circolazione dei beni di provenienza successoria. Ed infatti, poiché il diritto di accettare l’eredità si prescrive nel termine di dieci anni dall’apertura della successione e decennale è pure il termine di prescrizione dell’azione di riduzione, si potrebbero immaginare situazioni in cui la sorte del lascito rimane dubbia per tutto il ventennio successivo alla morte del de cuius.
187 Così XXXXXXX X., Il divieto dei patti successori, Contributo allo studio dell’autonomia privata nella successione futura, Jovene Editore, 2012, 24 ss.
188 In tal senso BONILINI G., La successione legittima,in Trattato delle successioni e donazioni, diretto da X.Xxxxxxxx, Milano, 729 e ss. L’autore dà conto dell’orientamento dottrinario che ritiene opportuna una modifica delle norme sulla successione necessaria in quanto la stessa sacrifica eccessivamente l’autonomia testamentaria e la libera circolazione dei beni.
aspettativa giuridica”189. Nessun potere dovrebbe, quindi, spettare al legittimario prima della morte dell’ereditando e, conseguentemente, nessun limite dovrebbe derivare all’autonomia negoziale dalle norme sulla successione necessaria. Xx infatti si può parlare di lesione della legittima solo ed esclusivamente al momento di apertura della successione, perché solo allora, cristallizzandosi la situazione patrimoniale del defunto, sarà possibile verificare se effettivamente sono stati violati i diritti dei legittimari.
Tuttavia, parte della dottrina ha osservato che, in realtà, la condizione di legittimario trova fondamento in una relazione familiare che si instaura prima dell’apertura della successione190. Dunque, ci si chiede se tale status possa avere una qualche rilevanza anche prima della morte del de cuius. A tale quesito, in virtù delle considerazioni fatte in precedenza, si dava per lo più risposta negativa in quanto, secondo i principi generali, il legittimario non vanta alcun diritto né alcuna aspettativa prima dell’apertura della successione.
Ciò nonostante, il quesito posto, alla luce delle riforme che hanno interessato il secondo libro del codice civile, merita talune considerazioni in quanto dette riforme in contrasto con gli orientamenti dottrinari che auspicano una riforma – e in qualche caso l’abolizione - delle norme sulla successione necessaria, hanno rafforzato la tutela del legittimario anticipandola ad un momento precedente alla morte dell’ereditando.
È chiaro che attribuire una rilevanza giuridica negoziale alla posizione che determinati soggetti avranno in un momento successivo finisce, nel caso di specie, per assegnare una rilevanza patrimoniale ad un diritto successorio prima dell’apertura della successione; diritto che, lungi dall’essere definitivo, può anche venir meno, ancorché eccezionalmente, in un momento successivo al compimento dell’atto stesso, ponendo non pochi problemi in merito al rapporto tra soggetto che ha compiuto l’atto e soggetto legittimato una volta aperta la successione.
189 Così XXXXXX, Le successioni, cit., 29.
190 DOSSETTI M., La successione legittima, in Trattato delle successioni e donazioni, cit., p.21.
Si pensi alla posizione del coniuge nell’ambito del patto di famiglia, posizione particolarmente problematica posto che colui che ha partecipato al patto potrebbe non più possedere la medesima qualifica al momento della morte dell’imprenditore ad esempio per intervenuto divorzio191. Il problema principale, pertanto, viene in considerazione allorquando il disponente, successivamente alla stipulazione del patto, contragga nuove nozze: in tal caso colui che ha partecipato al contratto in qualità di legittimario perde tale qualifica per effetto dell’intervenuto divorzio. Ci si domanda, dunque, se l’ex coniuge, non più legittimario, debba o meno restituire quanto ricevuto ex art. 768 quater, II comma, c.c.
La soluzione adottata dalla dottrina non è unanime.
Un primo orientamento ritiene che l’esigenza di stabilità stante alla base del patto riguardi solo ed esclusivamente il passaggio dell’azienda e/o delle partecipazioni societarie, rimanendone invece esclusa la liquidazione effettuata dall’assegnatario nei confronti degli altri legittimari: in altre parole, secondo tale tesi, la liquidazione ricevuta da colui che non possiede più la qualifica di legittimario è ripetibile, risultando, al momento dell’apertura della successione, un pagamento senza causa192.
Contrariamente, altra parte della dottrina ritiene che le attribuzioni in esame siano giustificate, nel senso che una loro giustificazione sarebbe riscontrabile non nelle norme sulla successione ma nell’attribuzione inter vivos oggetto del patto di famiglia. A riprova di ciò gli artt. 768 bis ss c.c.
191 Probabilmente sono state tali considerazioni a giustificare, nei disegni di legge precedenti alla novella, il non necessario intervento del coniuge al quale veniva soltanto concessa la mera facoltà di partecipare alla stipulazione del patto di famiglia. Si veda In tal senso il disegno di legge elaborato dai professori Xxxxxxx Xxxx e Xxxxxx Xxxxxxxx, il quale escludeva il coniuge dai legittimari partecipanti al patto, attribuendo peraltro solo al coniuge superstite il diritto di ottenere la liquidazione al momento dell’apertura della successione.
192 In tal senso INZITARI, Il patto di famiglia, op. cit., 109 ss; XXXXXXX, Xxxxx di famiglia, op. cit., secondo il quale in tal caso si applicherebbero le norme sull’indebito oggettivo. Sul punto si veda anche M.G. XXXXXXX CALVISI, Diritto successorio, op. cit., 235 ss, secondo la quale è preferibile “la soluzione secondo la quale il coniuge, il quale abbia partecipato al patto ma non sia più tale al momento dell’apertura della successione, debba restituire in ogni caso quanto ricevuto. A ben vedere, infatti, la sua legittimazione ad acquistare un’anticipazione sulla riserva si fonda sul suo status al momento del patto. Venuto meno detto status o comunque il diritto alla riserva (nel caso, rispettivamente, di cessazione degli effetti civili del matrimonio o si separazione con addebito), viene meno anche la legittimazione a conservare l’anticipazione su di essa e, dunque, la giustificazione dell’arricchimento”.
nulla dispongono in caso di perdita della qualifica di legittimario, ma anzi prevedono che l’eventuale presenza, al momento dell’apertura della successione, di una gamma di legittimari diversi da quelli esistenti al momento della stipula dell’atto non costituisca in alcun modo ragione di scioglimento del contratto193.
Lo stesso problema, come già detto in precedenza, può porsi anche con riferimento all’atto di opposizione alla donazione previsto dall’art. 563
c.c. in quanto il Legislatore attribuisce a determinati soggetti un diritto fondato su una qualità soggettiva futura e negoziabile, potendo accadere che l’autore dell’opposizione non sia affatto legittimario al momento dell’apertura della successione.
Le novità legislative analizzate, pertanto, mostrano come il Legislatore abbia, in talune ipotesi, aventi certamente carattere eccezionale, anticipato la tutela dei legittimari ad un momento anteriore alla morte dell’ereditando, ridimensionando il principio secondo il quale gli stretti congiunti del de cuius non hanno alcun diritto né alcuna aspettativa sul patrimonio familiare prima dell’apertura della successione e creando non pochi problemi sul piano pratico.
Tali argomenti, tuttavia, non sono ancora sufficienti per affermare che esista nel nostro ordinamento un principio di carattere generale che riconosca al potenziale legittimario una tutela ante mortem nei confronti degli atti pregiudizievoli delle sue ragioni posti in essere dal futuro de cuius. Né quindi può affermarsi, in via generale, che il principio di solidarietà familiare, fondamento della successione necessaria, possa costituire un limite per l’autonomia privata nell’utilizzo degli strumenti contrattuali, diversi da quelli a titolo gratuito, per il trasferimento inter vivos del patrimonio familiare.
193 Così OBERTO, Lineamenti essenziali del patto di famiglia, op. cit., 49ss.
Capitolo III
IL PATTO DI FAMIGLIA
Sommario: 1. Introduzione. 2. Nozione e caratteristiche. 3. Natura giuridica. 4. La partecipazione al patto di famiglia.
1. – Introduzione
L’istituto in esame, introdotto con la legge n. 55/2006, è la risposta normativa alla “domanda crescente” di strumenti diversi dal testamento che consentano di regolare anticipatamente ed in modo definitivo la successione dell’azienda o delle partecipazioni societarie194.
194 Per un approfondimento sul tema si veda ANDRINI, il patto di famiglia: tipo contrattuale e forma negoziale, in xxx.xxxxxxxxxxx.xxx; XXXXXXXXX –SICA, Il patto di famiglia e gli altri strumenti di successione dell’impresa, Xxxxxxxxxxxx, 2007, 23 ss; XXXXXXXX, Prime osservazioni sul patto di famiglia, in Nuova giur. civ. comm., 2006, II, 369; XXXXXXXX, Il patto di famiglia tra diritto commerciale e diritto successorio, in Contr. e impr., 2006, 1191ss.; XXXXXXXX, Patto di famiglia e diritto delle successioni mortis causa, in Fam. pers. e succ., 5/2007, 390ss; BUSANI, Patto di famiglia e governance dell’impresa trasferita, in Patti di famiglia per l’impresa, Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, il Sole 24ore, Milano 2006; XXXXXXXXX, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, in Notariato 3/2006, 289 ss; XXXX, Patto di famiglia e norme di conflitto, in Fam. pers. e succ., 7/2006, 629; XXXXXX, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, Xxxxx, 2008; XXXXXXXXXX, Xxxxx e terzi nel patto di famiglia, in Riv. dir. civ., 2/2008; XXXXXXXXX, Patto di famiglia e principio di relatività del contratto, in Riv. dir. civ., 3/2007; XXXXXX, Patto di famiglia e riunione Fittizia del bene produttivo, in Fam. pers. e succ., 7/2009; DELLE MONACHE, Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia, in Riv. not, 2006; DELLE MONACHE, Funzione, contenuto ed effetti del patto di famiglia, in AA.VV., I Quadreni della Rivista di Diritto civile, Vol. 8, Tradizione e modernità nel diritto successorio, a cura di Xxxxxxx Xxxxx Xxxxxxx, Padova, 2007, 323 ss; DE NOVA , DELFINI, RAMPOLLA, XXXXXXXX, Il patto di famiglia, Ipsoa, 2006, 5 ss; DI GIANDOMENICO, Il patto di famiglia nella sistematica del codice, in Patti di famiglia per l’impresa, Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, il Sole 24ore, Milano 2006; DI XXXXX, I necessari partecipanti al patto di famiglia, in Fam. pers. e succ., 6/2006; DI XXXXXX – XXXXXX, Gli effetti della mancata partecipazione di un legittimario al patto di famiglia, in Notariato, 6/2006, 703 ss; XXXXXX, Prime osservazioni sul patto di famiglia, in Patti di famiglia per l’impresa, Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, il Sole 24ore, Milano 2006; XXXXXXX, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia, in xxx.xxxxxxxx.xx ; IMBRENDA M., Patto di famiglia, solidarietà familiare e family business, in Rass. dir. civ., 2008, 419 ss; INZITARI, Il patto di famiglia, Negoziabilità del diritto successorio con la legge 14 febbraio 2006, n. 55, Torino, 2006, 63 ss; LOMBARDI E MAISTO, Il patto di famiglia: l’imprenditore sceglie il proprio successore, in Corr. giur., 2006, 718; XXXXXXX, Patti di famiglia: Note a prima lettura, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx; XXXXX, Xxxxx considerazioni sul patto di famiglia nella gestione del passaggio generazionale della ricchezza familiare, in Contratto e impresa, 2006, p. 539 ss; XXXXX, il patto di famiglia, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx; M.G. XXXXXXX XXXXXXX, Patto di famiglia, patti successori e tutela dei legittimari, in AA.VV., Studi economico-giuridici della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Cagliari, Napoli, 2009, 197 ss; OBERTO, Lineamenti essenziali del patto di famiglia, in Fam. e dir., 4/2006, 407 ss; XXXX, Patto di famiglia e
La novella, collocata tra l’istituto della divisione ereditaria e quello della donazione, disciplina, agli artt. 000 xxx x xx x.x., xx xxxxx figura contrattuale, e modifica l’art. 458 x.x. xxxxxxxxxx xx xxxxxxxx xxxxxxx xxx xxxxx xxxxxxxxxx000.
La normativa è diretta a soddisfare l’esigenza di razionalizzare la successione ereditaria nella gestione dell’impresa contemperando l’interesse dell’imprenditore di trasferire i beni strumentali all’impresa a quello (o quelli) dei suoi discendenti che egli consideri il più idoneo per continuare l’attività da lui creata ed attualmente esercitata, con quello dei legittimari, affinché non vengano pregiudicate le ragioni di questi ultimi196.
La legge, in particolare, recepisce le istanze della dottrina e degli organismi comunitari che da tempo auspicavano una regolamentazione pattizia del problema della successione nella titolarità e nel governo dell’impresa di famiglia, anche al fine di far venire meno le difformità che il nostro ordinamento presenta rispetto ad esperienze di ordinamenti affini.
diritti della famiglia, in Riv. dir. civ., 4/2006; PALAZZO, Il patto di famiglia tra tradizione e rinnovamento del diritto privato, in Riv. dir. civ., 3/2007;X.XXXXXXXXXXX, Il patto di famiglia tra bilanciamento dei principi e valutazione comparativa degli interessi, in Rass. dir. civ., 2008, 147 ss.; XXXXXXXX, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv. not., 2006, 408ss; XXXXXXXXXX, Il patto di famiglia a raffronto con gli strumenti negoziali alternativi al testamento o comunque con funzione successoria, in Patti di famiglia per l’impresa, Quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, il Sole 24ore, Milano 2006; XXXXX, Il patto di famiglia: analisi di un contratto per il trasferimento dell’azienda, in Notariato, 4/2006, 429 ss.; XXXXX XXXXXX, Il patto di famiglia: una monade nel sistema?, in Notariato 4/2008, 434; RUSSO, La struttura del patto di famiglia, in Fam. pers. e succ., 12/2012, 903; XXXXXXXXX, Il patto di famiglia presupposti soggettivi, oggettivi e requisiti formali, in AA.VV., Xxxxx di famiglia per l’impresa, in Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2006, 152; XXXXXXX P., Ipotesi sul patto di famiglia, in Riv. dir. civ., 4/2006; VOLPE, Il recesso nel patto di famiglia, in Fam. pers. e succ., 8- 9/2012; VOLPE, L’uso delle pattuizioni accessorie nel patto di famiglia, in Contr. e impr., 2/2014, 503 ss.
195 Sul rapporto tra il nuovo istituto ed i patti successori si rinvia al capitolo I, paragrafo 5.
196 La ratio del provvedimento legislativo, sulla base di quanto emerge dai lavori preparatori “deve essere rinvenuta nell’esigenza di superare in relazione alla successione di impresa la rigidità del divieto dei patti successori, che contrasta non solo con il fondamentale diritto all’esercizio dell’autonomia privata, ma altresì e soprattutto con la necessità di garantire la dinamicità degli istituti collegati all’attività d’impresa”. Per tale motivo, con la nuova legge, viene consentito anche in Italia all’imprenditore “di disporre liberamente della propria azienda o delle partecipazioni societarie delle quali è titolare per il periodo successivo alla propria morte, purché in accordo con i componenti della propria famiglia. In questo modo, sarà possibile conciliare il diritto dei legittimari con l’esigenza dell’imprenditore che intende garantire alla propria azienda o alla propria partecipazione societaria una successione non aleatoria a favore di uno o più dei propri discendenti”.
I problemi che il Legislatore ha cercato di risolvere con il nuovo istituto sono, in particolare,”quello di ovviare allo smembramento del complesso produttivo che derivava dalla successione mortis causa dell’imprenditore nonché quello di sottrarre i beni produttivi ai meccanismi di riequilibrio patrimoniale costituiti dalla riduzione e dalla collazione, per mezzo dei quali la destinazione dei beni deve essere rimessa in discussione in seguito all’apertura della successione”197.
Tuttavia, se l’intento perseguito dalla novella è del tutto condivisibile, lo strumento utilizzato non si è dimostrato all’altezza delle aspettative. La tecnica legislativa adoperata, infatti, non è chiara ed è spesso disarmonica rispetto al sistema successorio così come delineato nel codice civile. La disciplina della nuova figura contrattuale risulta lacunosa e contraddittoria e fa sorgere numerosi interrogativi non soltanto per ciò che dice ma soprattutto per ciò che non dice.
E così, il Legislatore, dopo aver previsto uno strumento di indubbia utilità per realizzare la “sistemazione consensuale endofamiliare della vicenda successoria dell’impresa”198, non è stato capace di tradurre tali programmi di politica legislativa in altrettante norme di diritto positivo chiare ed inequivoche, giungendo ad un risultato quasi paradossale: regole dirette a prevenire controversie tra gli eredi rischiano di risolversi in nuovi fattori di conflitto all’interno delle famiglie.
197 Così XXXXXXX X., Il divieto dei patti successori, Contributo allo studio dell’autonomia privata nella successione futura, Jovene Editore, 2012, 199. Sulla ratio della normativa si veda anche XXXXXXX, L’emersione della categoria della successione anticipata (note sul patto di famiglia), in AA.VV., Patti di famiglia per l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2006 “Proprio perché il passaggio generazionale determina una frammentazione della proprietà che può influire negativamente sull'efficienza della gestione e genera un potenziale conflitto tra l'erede imprenditore e quello che all'impresa è estraneo, la dinamica successoria dovrebbe al contempo preservare l'unità del bene produttivo, favorire univocità del controllo, anticipare in vita il trasferimento dell'impresa e, dunque, l'investitura della leadership nel complesso produttivo. Questi obiettivi non potevano essere perseguiti coerentemente in un ordinamento, qual era il nostro, incapace di operare una selezione e una ripartizione preferenziale in ragione della natura dei cespiti caduti in successione: a tal fine erano, infatti, d'ostacolo il principio dell'unità della successione, l'uguaglianza qualitativa oltre che quantitativa delle quote, l'impossibilità per il dante causa di operare una divisione fuori dall'atto di ultima volontà (artt. 733 e ss. c.c.)”.
198 CAROTA, L’interpretazione della disciplina del patto di famiglia alla luce del principio di ragionevolezza, op. cit.
2.- Nozione e caratteristiche.
L’art. 768 bis c.c. definisce il patto di famiglia come quel contratto con il quale, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle diverse tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti. Gli assegnatari dell’azienda o delle partecipazioni sociali devono, a loro volta, liquidare agli altri partecipanti al contratto, salvo che questi non vi rinuncino, con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote di legittima solo spettanti; i contraenti possono convenire che detta liquidazione avvenga in tutto in parte in natura.
Il patto di famiglia, tecnicamente, non può considerarsi un istituto del diritto delle successioni mortis causa, in quanto è stipulato durante la vita del disponente199, ed è immediatamente produttivo dell’effetto traslativo dei beni che ne sono oggetto. Esso, pertanto, non è un atto mortis causa200; tuttavia, sul piano degli interessi regolati, dà rilevanza proprio a quegli interessi, che si è soliti sistemare per mezzo dell’atto mortis causa. In questo senso, parte della dottrina sostiene abbia il “carattere di anticipazione della successione”201.
Il patto è caratterizzato dai seguenti elementi202:
- Quanto ai soggetti, è un contratto a struttura trilaterale: oltre al disponente ed all’assegnatario o agli assegnatari “devono partecipare” al contratto anche il coniuge e coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione dell’imprenditore. Xx, infatti, nonostante l’apparente antinomia tra l’art. 768 quater, I comma, c.c. che sembrerebbe imporre la partecipazione di tali soggetti e l’art. 768 sexies che, invece, disciplina l’ipotesi della
199 Così XXXXXXXX, Patto di famiglia e diritto delle successioni mortis causa, op. cit., 391 ss.
200 Sul punto si rinvia al capitolo I, paragrafo 5.
201 In tal senso OPPO, Patto di famiglia e diritti della famiglia, op. cit., 439. Si veda anche XXXXXX, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, op. cit., 66.
202 Detta ripartizione è ripresa da M.G. XXXXXXX CALVISI, Diritto successorio, Temi e problemi, op. cit., 202 ss.
mancata partecipazione al patto di uno di essi, la dottrina maggioritaria si esprime a favore della necessaria partecipazione al contratto dei legittimari esistenti in quel dato momento storico.203
- Quanto all’oggetto, dal trasferimento dell’azienda204 o delle partecipazioni sociali205 ed inoltre dalla determinazione del valore di liquidazione delle quote spettanti agli stretti congiunti del disponente, nonché dall’individuazione del soggetto obbligato alla liquidazione (ossia disponente o assegnatario) e dalla determinazione delle modalità di pagamento;
- Quanto agli effetti, dalla natura reale del trasferimento dell’azienda o delle partecipazioni sociali, ed obbligatoria di quelli relativi alla liquidazione delle quote spettanti ai legittimari;
- Quanto alla causa, la stessa non è univoca: è di regola gratuita per il disponente; parzialmente onerosa per l’assegnatario salvi i casi in cui il disponente si obblighi a liquidare la quota spettante ai legittimari; solvendi causa o gratuita per i legittimari partecipanti al patto a seconda che, rispettivamente, accettino o rinuncino alla liquidazione delle quote loro spettanti;
203 Relativamente alla necessaria partecipazione dei soggetti in questione si rimanda al capitolo III, paragrafo IV “la partecipazione al patto di famiglia”.
204 La lettera dell’art. 768 bis c.c. lascia intendere che il disponente abbia la possibilità di trasferire con il patto di famiglia, non solo l’intera azienda ma anche uno o più rami di essa. Le possibilità sono dunque molteplici per l’imprenditore, il quale può anche decidere di escludere taluni beni dalla cessione, purché i beni esclusi non siano tali da compromettere l’unità economica e funzionale di quella data azienda, la quale cesserebbe pertanto di essere tale.
205 Quanto alle partecipazioni sociali, ad una prima lettura della norma, non può passare inosservata la mancanza di rigore del Legislatore, la quale dà adito a gravi incertezze interpretative riguardanti diversi profili che sono fondamentali al momento dell’applicazione della disciplina nella pratica. Infatti, se è chiaro ciò a cui il Legislatore vuole alludere quando si riferisce al trasferimento dell’azienda, poco chiaro risulta il riferimento al trasferimento delle partecipazioni societarie, in quanto nell’ambito dell’espressione utilizzata possono rientrare una pluralità di fattispecie. L’art. 768 bis, infatti, fa esclusivo riferimento alle quote” sociali”, mentre l’art. 768 quater riprende il termine “partecipazioni societarie”: il legislatore utilizza i due termini alternativamente come se avessero lo stesso significato. Pertanto la tesi che interpreta restrittivamente la norma, escludendo l’applicazione dell’istituto ai pacchetti azionari di società per azioni nonché ai pacchetti azionari di società in accomandita per azioni, non convince, anche perché le azioni non sono altro che partecipazioni societarie incorporate in titoli di credito in modo tale da consentirne la trasferibilità secondo le regole semplificate della circolazione dei titoli di credito. In tal senso INZITARI, Il patto di famiglia, op. cit., 147 ss.
- Quanto alla forma, è richiesto, a pena di nullità, che il patto sia concluso per atto pubblico (art. 768, ter, c.c.).
La disciplina del patto di famiglia si caratterizza, inoltre, per una serie di deroghe alle norme di diritto successorio:
- in primis, i legittimari non assegnatari che abbiano partecipato al patto devono imputare quanto ricevuto alla quota di legittima loro spettante, anche se è stato corrisposto dagli assegnatari e non dal disponente (art. 768 quater, III comma, c.c.);
- all’apertura della successione dell’imprenditore, coloro che non hanno partecipato al patto possono chiedere ai beneficiari del contratto la liquidazione della somma corrispondente al valore della quota di riserva aumentata degli interessi legali (art. 768 sexies c.c.);
- quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione né a riduzione(art. 768, quater, IV comma, c.c.).
3.- Natura giuridica.
L’individuazione della natura giuridica del patto di famiglia costituisce uno dei momenti più difficili nella ricostruzione dell’istituto.
Il legislatore, infatti, si è limitato a definire il patto di famiglia come “contratto” ma non ha preso posizione in ordine alla sua natura giuridica206. Da questo contratto, tuttavia, scaturiscono precise e determinate attribuzioni patrimoniali: vi è, innanzitutto, il trasferimento da parte del disponente dell’azienda o delle partecipazioni sociali all’assegnatario e vi sono, poi, le prestazioni eseguite dall’assegnatario a favore dei legittimari partecipanti al patto e consistenti nel pagamento di una somma di denaro o nel trasferimento di beni in natura.
L’unica opinione, ormai consolidata e che sembra mettere d’accordo la maggior parte della dottrina, è quella che vuole il patto di famiglia contraddistinto dalla gratuità.
206 Il disegno di legge presentato il 2 ottobre 1997 dal Senatore Xxxxxxx invece prendeva posizione sulla natura giuridica del contratto definendolo come atto di donazione.
Rimane, invece, isolato il pensiero di chi ritiene possibile l’applicazione degli artt. 768 bis e ss c.c. anche ai negozi a titolo oneroso stante l’omissione, in sede di adozione del provvedimento definitivo, dell’espresso riferimento alla natura donativa207. Quest’ultima tesi viene confutata sulla base di due argomentazioni: in primis, l’espressa previsione all’art. 768 quater, ultimo comma, c.c. della mancata soggezione a collazione e riduzione dei beni conferiti attraverso il patto di famiglia presuppone che quanto ricevuto dai contraenti sia qualificabile quantomeno come liberalità; per di più, un trasferimento a titolo oneroso non avrebbe necessitato di una disciplina speciale al fine di assicurare stabilità al patto208. I primi commentatori della novella hanno accostato l’istituto in questione al contratto di donazione209. In particolare, gli elementi che farebbero propendere per detta soluzione sono: la forma richiesta per la conclusione del contratto, ossia l’atto pubblico a pena di nullità ex art. 768 ter c.c.; la necessaria presenza di più contraenti per il perfezionamento dell’atto; l’assenza di ogni riferimento ad un corrispettivo della cessione da corrispondersi al cedente; il disposto di cui all’art. 768 quater, ultimo comma, c.c., che sottrae espressamente alla collazione e riduzione quanto ricevuto dai contraenti; il testo del disegno di legge del 2 ottobre 1997, proposto su iniziativa del Sen. Pastore ed altri che qualificava espressamente
l’istituto come atto di donazione.
Sempre secondo l’opinione in esame l’obbligo di liquidazione a favore dei legittimari può essere qualificato come onere a carico del donatario. Dunque, parrebbe corretto inquadrare il patto di famiglia all’interno dell’istituto della donazione modale prevista dall’art. 793 c.c., con la conseguenza che siffatto onere dovrebbe produrre i suoi effetti anche qualora il suo ammontare arrivasse ad assorbire l’intero arricchimento del donatario210.
207 FIETTA, Prime osservazioni sul patto di famiglia, op. cit., 3ss.
208 In tal senso, INZITARI, Il patto di famiglia, op. cit., 60ss; XXXXXXXX, La nuova disciplina del patto di famiglia, op. cit., 405 ss.
209 Così XXXXX, il patto di famiglia, op. cit. XXXXXXXXX, Appunti per uno studio sul patto di famiglia, op. cit., 304.
210 Contra PERLINGIERI, Il patto di famiglia tra bilanciamento dei principi e valutazione comparativa degli interessi, in Rass. dir. civ., 2008, 147 ss; nonché OBERTO, Lineamenti
La tesi in esame non appare del tutto convincente: “essa svilisce le peculiarità proprie del patto di famiglia rispetto al contratto di donazione”211. Se il nuovo istituto, infatti, si esaurisse nella sola attribuzione in favore dei destinatari dell’azienda o delle quote sociali, “magari
«compensata» da attribuzioni effettuate dallo stesso ascendente nei riguardi degli altri legittimari, la figura di riferimento più sicura sarebbe la donazione”212. È, tuttavia, innegabile che accanto al trasferimento posto in essere dall’ascendente a favore dell’assegnatario vi sia un ulteriore elemento essenziale della fattispecie costituito dalla liquidazione delle quote degli altri legittimari.
Sotto il profilo soggettivo, inoltre, mancherebbe l’elemento caratteristico della donazione, ossia l’animus donandi: non è sufficiente un’attribuzione patrimoniale fatta senza corrispettivo, ma è necessario che quest’ultima sia giustificata dalla coscienza di conferire ad altri un vantaggio patrimoniale senza esservi costretti213. Nel patto di famiglia, piuttosto, l’intento del disponente mirerebbe alla più efficiente prosecuzione dell’attività d’impresa, con la scelta tra più discendenti di quello più idoneo a continuare l’attività di gestione.
Altra parte della dottrina, invece, sottolinea la funzione divisionale del nuovo istituto214.
essenziali del patto di famiglia, op. cit., 413, secondo il quale “l’insostenibilità di quest’ultima tesi è resa palese non solo e non tanto dal fatto che l’adempimento dell’onere sia contestuale alla conclusione del contratto (ciò che potrebbe spiegarsi in base al fatto che gli stessi beneficiari del modo sono presenti in atto), quanto dalla considerazione che, se i legittimari non rinunziano in tutto o in parte ai loro diritti, la liquidazione della quota di costoro è elemento costitutivo ad validitatem (e non già meramente accidentale) del patto: ciò che evidentemente appare incompatibile con il concetto stesso di modo”.
211 DE NOVA , DELFINI, RAMPOLLA, XXXXXXXX, Il patto di famiglia, op. cit., 10ss.
212 OBERTO, op. cit.
213 Così BONILINI, Il patto di famiglia, in Trattato delle Successioni e delle Donazioni, op. cit., 639 ss. ; DELLE MONACHE, Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia, op. cit., 879 ss, secondo il quale “sarebbe erroneo desumere che vi sia piena coincidenza tra patto di famiglia e donazione, giacchè il rapporto tra il contenuto del patto e la sua struttura soggettiva segnala come, in realtà, la funzione cui esso risponde sia complessa e dunque non si riduca alla mera realizzazione di uno scopo liberale”.
214 DELLE MONACHE, Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia, op. cit., 879 ss; XXXXXXX, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia, op. cit.; IEVA, Il trasferimento dei beni produttivi in funzione successoria: patto di famiglia e patto di impresa, op. cit., 1372 ss; XXXXXXXX, Il patto di famiglia, op. cit., 639 ss. Contra M.G. XXXXXXX CALVISI, Diritto successorio, Temi e problemi, op. cit., secondo la quale il patto “non è neppure atto divisorio perché ad esso non prestano il consenso tutti gli aventi diritto (essendone comunque esclusi i legittimari sopravvenuti) e soprattutto perché è
Gli argomenti a sostegno dell’orientamento in esame sono:
a) La collocazione sistematica della novella, la quale è inserita alla fine del Titolo IV, Libro II, c.c. che disciplina la divisione ereditaria.
b) Le affinità esistenti tra l’istituto in esame e la divisio inter liberos, istituto risalente al diritto romano e definitivamente soppresso con il codice civile del 1942 attraverso il quale il padre e la madre insieme agli altri ascendenti potevano, per atto tra vivi, o mediante testamento, dividere e distribuire i loro beni tra figli e discendenti. L’istituto aveva, in particolare, il fine di sottrarre, in deroga al più generale principio dell’unità della successione, una parte dei beni alla successiva delazione ereditaria.
c) L’analogia del meccanismo proprio del patto con quello previsto dall’art. 720 c.c. in materia di divisione di immobili non divisibili. Quest’ultima norma ha quale fine ultimo l’assegnazione dell’intero bene ad uno solo dei condividenti e la liquidazione dei diritti di quota spettanti ai non assegnatari mediante la costituzione di altrettanti crediti corrispondenti215.
La critica alla funzione divisoria del patto di famiglia si basa essenzialmente sull’ unico argomento facente leva sull’assenza di uno stato di comunione ereditaria che sorgerà solo a seguito dell’apertura della successione216.
Al riguardo, parte della dottrina, sostiene si sia in presenza di una “divisione anticipata” riguardo ad una successione non ancora aperta e
diretto a prevenire il formarsi di una divisione ereditari sul bene azienda o partecipazione societaria piuttosto che a scioglierla. Sebbene in alcuni casi produca effetti analoghi a quelli propri della divisione di un bene non comodamente divisibile o della divisione parziale (soggettivamente od oggettivamente), in realtà l’atto posto in essere dal disponente è diretto a trasferire un certo bene – del quale è esclusivo proprietario – nella sua interezza ad uno o più soggetti determinati e ad escludere dall’eventuale comunione futura i legittimari non assegnatari tacitandoli (o facendoli tacitare) con una somma di denaro o beni in natura il cui valore rappresenta il minimo che la legge avrebbe loro garantito nel caso in cui il bene trasferito fosse rimasto nel patrimonio del disponente fino all’apertura della successione ed avesse conservato intatto il suo valore attuale”.
215 XXXXXXXX, op. ult. cit., 660.
216 XXXXXXXX, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv. not., 2006, 408ss;
quindi ad una comunione ereditaria futura ed eventuale217. Per di più, la mancanza di una effettiva comunione si ha anche nella divisione fatta dal testatore (art. 733 c.c.) il che potrebbe rafforzare la tesi che secondo cui si è in presenza di un contratto diretto a realizzare anticipati effetti divisori.
Secondo altra parte della dottrina, invece, proprio perché non ha una natura ben definita, occorre “rinunciare ad "incasellare" il patto di famiglia in uno degli schemi tipici preesistenti alla novella: semplicemente si tratta di un ulteriore contratto, avente una sua funzione tipica di natura complessa, irriducibile a quella dei tipi contrattuali precedentemente disciplinati dal codice civile218.
4. - La partecipazione al patto di famiglia.
La questione della necessaria partecipazione al patto dei legittimari ha impegnato la dottrina fin dall’introduzione nel nostro ordinamento della nuova figura contrattuale. Essa, in particolare, ha dato vita ad un intenso dibattito che ha visto contrapposte due diverse opinioni, l’una a favore della necessaria partecipazione al contratto dei più stretti congiunti del disponente, l’altra, invece, a favore della tesi che ritiene tale partecipazione solo facoltativa.
I dubbi in questione sono rafforzati dalla contraddizione presente nel testo legislativo: se, infatti, l’art. 768 quater c.c. pretende (attraverso la locuzione “devono partecipare”) che al contratto partecipino i più stretti congiunti del de cuius, l’art. 768 sexies c.c., invece, contempla l’ipotesi in cui gli stessi “non abbiano partecipato al contratto”.
217 Così XXXXXXXX, Il patto di famiglia, op. cit., 639 ss; XXXXXXX P., Ipotesi sul patto di famiglia, in Riv. dir. civ., 4/2006, 462.
218 XXXXXXXX, La nuova disciplina del patto di famiglia, op. cit. Della stessa opinione OBERTO, op. cit.; DI XXXXX, XXXXXXXXX, VERDICCHIO, Il Patto di famiglia, Commentario alla legge 14 febbraio 2006, n. 55, Milano, 2006; XXXXXXX, Patti di famiglia, op. cit.; XXXXX, Il patto di famiglia, op. cit.
È necessario, dunque, chiedersi se, a dispetto dell’apparente imposizione del citato art. 768 quater c.c., la partecipazione al contratto, concluso tra disponente e uno o più dei suoi discendenti, non sia per ogni altro legittimario soltanto facoltativa.
È chiaro che la questione non è di scarsa importanza in quanto, nella realtà, non sarà infrequente che uno o più legittimari non possano o non vogliano partecipare al patto, per cui lo stabilire se costoro siano o meno parti essenziali dell’atto inciderà sulla possibilità di ritenere perfezionabile o meno il contratto nel caso di loro assenza o rifiuto a partecipare.
Sul punto, la dottrina minoritaria, all’indomani dell’entrata in vigore della novella, si è espressa nel senso della non necessarietà della partecipazione al patto dei legittimari. Secondo detta impostazione il patto di famiglia è un contratto bilaterale, avente natura di donazione modale, che si perfeziona con l’accordo tra il disponente e l’assegnatario, mentre la partecipazione del coniuge e degli altri legittimari rimane esterna al contratto219. L’intervento di costoro sarebbe richiesto solo al fine di determinare in contraddittorio il valore dell’azienda o delle partecipazioni sociali e di procurare o la liquidazione dei diritti dei legittimari o la rinuncia a detta liquidazione: finalità, queste ultime, realizzabili anche con successivo contratto220.
La dimostrazione di tale assunto, secondo la tesi in commento, si fonderebbe su argomenti di carattere sistematico, mentre quelli testuali, pur essendo confortanti, non sarebbero dirimenti.
Indispensabile in tal senso è l’art. 768 sexies c.c., il quale prevede espressamente la possibilità che tali soggetti non partecipino al patto e che
219 XXXXXXXXX, Appunti per uno studio sul patto di famiglia: profili strutturali e funzionali della fattispecie, op. cit., 296. XXXXXXXX, La nuova disciplina del patto di famiglia, op.cit. XXXXXXXXXX, Xxxxx e terzi nel patto di famiglia, op. cit. In tal senso anche OPPO, Patto di famiglia e diritti della famiglia, op. cit., secondo il quale “d’altra parte condizionare il patto all’adesione di tutti significherebbe frustrare l’intento della legge, incentrato sulla volontà dispositiva dell’imprenditore e dovrebbe importare che anche il dissenso di un partecipante dalle condizioni del patto ne impedirebbe la conclusione. Si consideri altresì che la legge ammette il recesso del partecipante, il che significa che la partecipazione di tutti non è considerata essenziale. Appare quindi preferibile ritenere che la mancata partecipazione di alcuno dei presunti legittimari non impedisca la conclusione del patto ma lo renda inopponibile al non partecipante: la conseguenza sarebbe cioè non la nullità ma l’inefficacia (relativa)”.
220 Così XXXXXXXX, op. ult. cit.
siano abilitati a richiedere, al momento dell’apertura della successione dell’imprenditore, la liquidazione dei loro diritti di legittima, in qualità non di contraenti ma, com’è espressamente indicato nel testo legislativo, in qualità di terzi221.
Pertanto, secondo tale impostazione, i legittimari in genere, indipendentemente dal momento storico in cui assumono tale qualità, non sarebbero mai “parti” del contratto, ma in ogni caso “terzi”: le uniche parti del contratto sarebbero il disponente e l’assegnatario.
In definitiva, pertanto, la locuzione “devono partecipare” deve essere interpretata nel senso che è fatto obbligo alle parti che stipulano il contratto di chiamare ad intervenire gli ulteriori legittimari: questi ultimi, cioè, devono essere messi in grado di partecipare al patto e, l’omessa convocazione, non comporta la nullità o l’inefficacia del contratto, ma semplicemente l’inopponibilità ai non convocati dell’accertamento dell’entità della prestazione cui sono tenuti gli assegnatari nei loro confronti.
L’orientamento esposto, tuttavia, non appare convincente.
Ciò che non appare condivisibile è il ruolo marginale assegnato al coniuge e a coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione, dei quali si perviene a sostenere la partecipazione solo eventuale al patto di famiglia in nome di una supposta centralità dell’accordo tra disponente ed assegnatario222.
In realtà, la disciplina del nuovo istituto appare ispirata al criterio del coinvolgimento necessario di tutti i legittimari esistenti in un dato momento temporale. Ed infatti, nell’illustrare la ratio della novella, la relazione al progetto di legge ha sottolineato come la finalità normativa sia quella di “conciliare il diritto dei legittimari con l’esigenza dell’imprenditore che intende garantire alla propria azienda o alla propria partecipazione
221 Così XXXXXXXXX, op. ult. cit., 296, secondo il quale l’interpretazione per cui l’art. 768 sexies cc si riferirebbe ai legittimari sopravvenuti è “incoerente, sul piano logico e sistematico, che soggetti appartenenti ad una medesima categoria possano o meno assumere la veste di parti del contratto in relazione a circostanze contingenti e non in funzione, invece, degli interessi dei quali siano portatori; interessi, che evidentemente non differiscono a seconda del momento in cui la prevista qualifica è conseguita e, soprattutto, in ragione del momento in cui la qualifica stessa diviene nota”.
222 DI XXXXX, I necessari partecipanti al patto di famiglia, op. cit., 538.
societaria una successione non aleatoria a favore di uno o più dei propri discendenti”223.
Detto orientamento, sostenuto dalla dottrina maggioritaria224, si basa sulla lettera dell’art. 768 quater, I comma, c.c. il quale sembrerebbe imporre la partecipazione al patto di tutti i legittimari esistenti in quel dato momento storico225; in tal senso la disposizione è stata intesa anche in sede di lavori preparatori, dove è stato respinto un emendamento che ammetteva espressamente il patto di famiglia al quale non fossero intervenuti tutti i legittimari226.
In secondo luogo, la tesi in oggetto, nega alla disposizione di cui all’art. 768 sexies, I comma, c.c., portata di carattere generale, così che la stessa possa riferirsi a qualsiasi fattispecie di mancato intervento del coniuge o di altro legittimario al contratto. La disposizione, infatti, sembra riferirsi unicamente all’ipotesi del soggetto il quale non sia intervenuto al patto poiché venuto ad esistenza o comunque abbia acquisito la qualità di legittimario dopo la stipula del patto di famiglia e prima dell’apertura della successione: in altre parole, l’apparente antinomia tra la disposizione di cui all’art. 768 quater, I comma, c.c. e l’art. 768 sexies, I comma, c.c. è risolta
223 Intervento del relatore Xx. Xxxxxx Xxxxx alla Camera dei Deputati nella seduta del 25 luglio 2005.
224 In tal senso, XXXXXXXX, Prime osservazioni sul patto di famiglia, op. cit.; DELLE MONACHE, Spunti ricostruttivi e qualche spigolatura in tema di patto di famiglia, op. cit.; DE NOVA , XXXXXXX, RAMPOLLA, XXXXXXXX, Il patto di famiglia, op. cit., DI XXXXX, I necessari partecipanti al patto di famiglia, op. cit.; XXXXXXX, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia, op. cit. ; INZITARI, Il patto di famiglia, Negoziabilità del diritto successorio con la legge 14 febbraio 2006, n. 55, op. cit.; XXXXX, il patto di famiglia, op. cit. ; M.G. XXXXXXX XXXXXXX, Patto di famiglia, patti successori e tutela dei legittimari, op. cit; XXXXX, Il patto di famiglia: analisi di un contratto per il trasferimento dell’azienda, op. cit.; XXXXXXX P., Ipotesi sul patto di famiglia, op. cit.
225 Secondo BONILINI, Il patto di famiglia, in Trattato delle Successioni e donazioni, La successione legittima, op. cit., “la tesi della richiesta partecipazione - i quali sarebbero tali se, al momento di stipulazione del patto, si aprisse la successione nel patrimonio del disponente – ai fini della validità del patto, invero, poggia, soprattutto, sulla sua natura anticipatamente divisoria, seppur intesa in senso lato, la quale postula la necessaria presenza di tutti i soggetti menzionati, com’è a dirsi, del resto, riguardo alla divisione dei beni ereditari, che è nulla, appunto, ove non vi partecipino tutti gli aventi diritto”.
226 La relazione presentata alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati il 23 settembre 2003 afferma espressamente che l’accordo “deve essere obbligatoriamente sottoscritto dal coniuge e dai legittimari che sarebbero tali se in quel momento si aprisse la successione”. Nella seduta del 31 gennaio 2006 è stato respinto l’emendamento dell’on. Xxxxxxx il quale disponeva che “qualora uno o più legittimari non intenda sottoscrivere il patto di famiglia lo stesso è comunque vincolante nei suoi confronti ove il titolare dell’azienda o il titolare delle partecipazioni societarie preveda un lascito alternativo nel rispetto della quota di riserva”.
considerando questa seconda norma come riferita esclusivamente alla sopravvenienza di un nuovo coniuge o di altri legittimari227.
Considerata necessaria la partecipazione al patto dei soggetti indicati nell’art. 768 quater c.c., si pone il diverso problema di stabilire quali siano le conseguenze nell’ipotesi in cui taluni legittimari rimangano estranei alla formazione dell’accordo contrattuale.
Secondo una parte della dottrina, il contratto così formato non può considerarsi un patto di famiglia e,come tale, non potrà applicarsi la disciplina prevista nel nuovo capo V – bis228. Il contratto stipulato, pertanto, al di là del nomen iuris utilizzato dalle parti, dovrà considerarsi alla stregua di una donazione modale: ciò significa che eventuali rinunce alla quota di legittima, non potendosi ritenere consentite ex art. 768 quater, II comma, c.c., saranno da considerarsi nulle per violazione degli artt. 458 e 557 c.c., ed, inoltre, non potrà operare la disattivazione dei meccanismi di tutela a favore dei legittimari, segnatamente la collazione e l’azione di riduzione. 229
227 Secondo DI XXXXX, op. cit., 539, “puo` sottolinearsi ulteriormente come, gia` nella mens legislatoris, il patto di famiglia si configuri quale strumento negoziale idoneo sı` a trasmettere l’azienda o le quote societarie ad uno solo o piu` dei legittimari, ma che nel contempo sia diretto a contemperare le esigenze, o rectius, i diritti degli altri legittimari esclusi dall’assegnazione. Una funzione, quella del patto di famiglia, che, pertanto, anche in considerazione della significativa collocazione topografica assegnata al nuovo istituto all’interno del codice civile, assume una spiccata caratteristica divisionale del patrimonio dell’imprenditore, non molto dissimile dal vecchio istituto della divisio inter liberos, che si ispira, se vista da un angolo visuale diverso, ad una (sorta di) anticipata successione relativamente al patrimonio (o parte di esso) dell’imprenditore”.
228 In tal senso DE NOVA , DELFINI, RAMPOLLA, XXXXXXXX, op. cit., 17 ss; XXXXX, op. cit., 435
ss.
229 XXXXX, op. ult. cit., 435 ss secondo il quale “ Ma se, da un lato, il contratto cui non intervenga taluno dei potenziali legittimari (benché denominato Patto di famiglia) deve essere qualificato come donazione modale, dall’altro, si potrebbe, invece, pensare, qualora dopo la sua stipula ma prima del decesso dell’imprenditore, intervenisse l’adesione di tutti i legittimari non intervenuti, ad una sorta di “conversione” del contratto originario qualificabile come donazione in un contratto qualificabile invece come patto di famiglia, con conseguente operare dei meccanismi di disattivazione della collazione e della riduzione (anche nei confronti dei legittimari sopravvenuti alla stipula del contratto originario). Al riguardo non sembra vi siano motivi per poter escludere un simile procedimento di conclusione del patto di famiglia (come “fattispecie a formazione progressiva”), purché: – nel contratto originario sia prevista espressamente la volontà delle parti di assoggettare il rapporto alla disciplina del patto di famiglia una volta ottenuto il consenso di tutti i legittimari (lo stesso adempimento dell’onere consistente nella liquidazione dei legittimari può essere subordinato alla adesione unanime ed alla conseguente conversione in patto di famiglia, cosicché, in mancanza di tale conversione, il contratto originario andrebbe qualificato come donazione “ordinaria” e non come “donazione modale”); gli atti di adesione degli altri familiari risultino da atto pubblico; – i familiari accettino la liquidazione dei loro diritti calcolato sulla base del valore
Secondo altri, tuttavia, il contratto concluso senza la partecipazione di tutti i legittimari esistenti in quel dato momento è affetto da nullità ex art. 1418, comma I, c.c.230. L’ipotesi è quella del contratto nullo per violazione di una norma imperativa: in altre parole, secondo la tesi in commento, la locuzione “devono partecipare” non lascerebbe alcun dubbio ermeneutico in quanto detta norma sarebbe dotata del carattere dell’imperatività. Nel caso specifico si tratterebbe di una nullità virtuale in considerazione della mancata espressa previsione normativa231.
dell’azienda trasferita determinato con riferimento al momento di stipula del contratto originario (a meno che gli stessi non rinuncino alla liquidazione)”.
230 DI XXXXX, op. cit.; XXXXXXX; op. cit.
231 Secondo GAZZONI, op. ult. cit, in particolare, “se la partecipazione totalitaria dei legittimari non fosse prevista a pena di nullità, il discendente potrebbe allora accordarsi con l’imprenditore e con uno solo dei suoi fratelli, escludendo l’altro e il coniuge, con fissazione di un valore basso per l’azienda assegnata (magari compensando altrimenti il fratello), per poi aspettare l’apertura della successione e liquidare d’autorità gli altri due legittimari in base a quel valore, oltre interessi legali”. In tal senso anche XXXXXXX, op. cit.
Considerazioni conclusive.
Le recenti riforme che hanno interessato la materia successoria hanno sicuramente “rotto l’immobilismo del codice”232, imponendosi all’attenzione degli studiosi di diritto, non solo perché costellate di dubbi esegetici, ma anche per un’innegabile carica innovativa.
Sicuramente gli strumenti utilizzati dal Legislatore non si sono dimostrati all’altezza delle aspettative: nel caso, ad esempio, del patto di famiglia, come si è avuto modo di sottolineare nel presente lavoro, il Legislatore introduce una disciplina assai lacunosa che pone diversi problemi interpretativi non solo per ciò che dice ma ancora di più per ciò che non dice. Ciò è dimostrato anche dal fatto che, pur essendo stato accolto con entusiasmo dai primi commentatori, ad oggi, pochissime, se non quasi nulle, sono state le applicazioni pratiche dell’istituto.
È chiaro che, comunque sia, un passo avanti è stato fatto in quanto con l’istituto del patto di famiglia “l’autonomia privata guadagna uno spazio aggiuntivo”233nell’ambito del passaggio generazionale dell’azienda e delle partecipazioni societarie. Accanto al testamento ed agli istituti contrattuali ad esso alternativi elaborati dalla dottrina si insedia il nuovo istituto il cui effetto più originale, nonché il più apprezzato, è quello di disattivare i meccanismi dell’azione di riduzione e della collazione che, insieme al divieto dei patti successori, costituiscono i principali limiti all’autonomia privata in ambito successorio.
Del resto è questa la direzione di rinnovamento che è stata suggerita dalla dottrina maggioritaria ed anche dagli organismi comunitari.
Anche i consociati chiedono maggiore autonomia nella sistemazione dei loro rapporti patrimoniali per il tempo in cui avranno cessato di vivere, autonomia che si esplica in una maggiore libertà di scelta dei modi e delle forme più appropriate a seconda della natura dei beni coinvolti e dell’identità dei successori predestinati.
232 XXXXXXXX, Regole successorie e continuità dell’impresa, op. cit., 157 ss.
233 BUCCELLI, op. ult. cit. In tal senso anche XXXXXX, Il contratto con causa successoria. Contributo allo studio del patto di famiglia, op. cit., 68.
Il testamento, d’altro canto, pur essendo uno strumento di indubbia vitalità, sembrerebbe non essere più sufficiente ad assecondare le istanze di chi intenda pianificare la propria successione.
L’insoddisfazione verso l’atto mortis causa per eccellenza, infatti, è rappresentata non tanto dal decadimento dell’istituto testamentario ma dalle tutele riconosciute ai più stretti congiunti del de cuius. Questi ultimi, infatti, all’apertura della successione, possono stravolgere il volere del disponente nell’ipotesi in cui quest’ultimo li abbia pretermessi oppure li abbia indicati nel testamento in una quota inferiore a quella spettante loro per legge: l’esito vittorioso dell’azione di riduzione da parte dei legittimari “scolora la volontà testamentaria sino alla misura necessaria a reintegrare quei diritti”234.
Il testamento, tuttavia, garantisce al disponente un’autonomia maggiore rispetto al contratto, consentendogli di decidere la sorte dei propri beni per il tempo in cui non sarà più in vita senza dover condividere tale scelta con altri, senza dover tener conto dell’affidamento generato nei beneficiari, poiché la libertà testamentaria trova il suo unico limite nell’illiceità dei motivi. L’atto di ultima volontà, infatti, consente all’ereditando la conservazione della ricchezza e la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della vita.
La scelta del legislatore di escludere il contratto dalla regolazione mortis causa del passaggio generazionale, scelta ricavabile dal combinato disposto degli artt. 457 e 458 c.c., infatti, non si giustifica tanto con l’inadeguatezza dello strumento contrattuale a far circolare i beni oggetto del patrimonio ereditario, bensì con il fatto che detto strumento non garantisce al disponente la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo istante della propria vita235.
234 Così BONILINI, Le successioni mortis causa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss.
235 Sul contratto ereditario si veda BONILINI, Le successioni mortis caussa e la civilistica italiana. La successione testamentaria, in Nuova giur. civ. comm., 3/1997, 223 ss., il quale afferma “personalmente, sono contrario al contratto ereditario; esso denuncia lo spirito che apprezza tutto in danaro, che considera che tutto può essere oggetto di vendita; non mi pare dannosa scelta quella di lasciare un alone di mistero almeno nei confronti della morte”.
Per di più, la funzione svolta dall’atto di ultima volontà non può essere in tutto e per tutto svolta dal contratto: si considerino le disposizioni di ultima volontà a contenuto non patrimoniale, come il riconoscimento del figlio naturale, che solo per via testamentaria possono essere predisposte. Sul versante patrimoniale, inoltre, se pur esistono valori che meglio si prestano ad una circolazione negoziata, e di fatto circolano già attraverso contratti, pur non aventi causa successoria, “è doveroso riconoscere al testamento assoluta vitalità ed attualità tutte le volte in cui la natura del bene non desti perplessità in ordine ad una loro destinazione successoria decisa unilateralmente dal disponente”236.
Ingeneroso, pertanto, appare il tentativo di relegare l’atto mortis causa per eccellenza, nonché l’unico ritenuto valido nel nostro ordinamento, al ruolo marginale di strumento per la trasmissione post mortem di piccoli patrimoni237. Del resto il testamento è probabilmente l’atto di disposizione più importante nella vita della persona: in esso è quanto mai vivace ed intenso il legame volontà – sentimento dell’uomo; la possibilità di dar regola a rapporti che sopravvivono al disponente è prevista e tutelata dall’ordinamento poiché rispondente ad un bisogno antico dell’uomo238.
Senza contare che non esiste nel nostro ordinamento uno strumento, avente natura contrattuale, che possa essere considerato un’alternativa “adeguata” al testamento. In particolare, come si è visto nel corso del presente lavoro, gli istituti elaborati dalla dottrina devono ugualmente fare i conti con le tutele previste per i legittimari e, pertanto, non assicurano quella stabilità degli effetti post mortem che tanto viene pretesa dal testamento. Pertanto, le critiche mosse dalla dottrina maggioritaria al testamento e relative all’incertezza ed instabilità delle attribuzioni patrimoniali in esso contenute si possono estendere anche agli atti liberali post mortem.
236 ZANCHI, Percorsi del diritto ereditario attuale e prospettive di riforma del divieto dei patti successori, op. cit., 700 e ss
237 In tal senso M.G. XXXXXXX CALVISI, Diritto successorio, Temi e problemi, Volume I, Xxxxxxx Editore, 4 e ss.
238 Così XXXXXXXX, Il negozio testamentario, op. cit., 7 ss.
Né può dirsi che qualcosa sia cambiato con l’istituto del patto di famiglia in quanto detto contratto riguarda esclusivamente l’azienda e le partecipazioni societarie ed, inoltre, lo strumento utilizzato non si distingue certo per chiarezza e linearità.
Le garanzie offerte dall’atto di ultima volontà, pertanto, non si riscontrano,
in nessuno degli strumenti predisposti dalla dottrina o introdotti di recente dal Legislatore.
Il testamento, pertanto, lungi dal potersi considerare uno strumento superato, potrà e dovrà essere adeguato alle mutate esigenze sociali239: del resto,come si è detto in precedenza, salvo poche norme, nulla è stato modificato dall’entrata in vigore del codice civile.
Le disposizioni testamentarie, infatti, così come le disposizioni liberali realizzate in vita dal de cuius, possono essere sempre poste in discussione all’apertura della successione, pregiudicando così la possibilità di predefinire un assetto certo e stabile del patrimonio: fenomeno questo particolarmente problematico quando oggetto del patrimonio ereditario è un bene produttivo. La tutela di interessi individualistici assicurata dalla legittima nel sistema attuale ed ancor più la tutela di una pseudo- eguaglianza formale di tutti i discendenti, anche a prescindere dalle attitudini o dai bisogni individuali appaiono un'esigenza affievolita nel terzo millennio, soprattutto con riferimento ai grandi patrimoni240.
La soluzione, tuttavia, non può essere quella di eliminare completamente la successione necessaria dal nostro ordinamento come taluno ha ipotizzato: il sistema delineato dal nostro codice civile nella materia successoria è un “sistema imperfetto ma efficace”241. Occorrerà, pertanto, eliminare le inefficienze ed assicurare maggior vigore alla volontà
239 Così M.G. XXXXXXX CALVISI, Diritto successorio, Temi e problemi, op. cit., 6 e ss.
240 In tal senso MASCHERONI, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati. L’ordinamento successorio italiano dopo la L. 14 febbraio 2006 n. 55, in AA.VV., Patti di famiglia per l’impresa, Quaderno della Fondazione Italiana per il Notariato, Milano, 2006.
241 Così M.G. XXXXXXX CALVISI, Diritto successorio, Temi e problemi, op. cit., 242.
del privato, rivedendo il catalogo dei legittimari ed i criteri di attribuzione di detta qualità242.
242 In tal senso M.G. XXXXXXX CALVISI, op. ult. cit., 242.
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