Dipartimento di Diritto Privato e Storia del Diritto
Dipartimento di Diritto Privato e Storia del Diritto
Corso di dottorato in Diritto comparato, privato, processuale civile e dell’impresa
Curriculum di Diritto privato XXXV ciclo
CLAUSOLE SULL’INVALIDITÀ CONTRATTUALE
Settore scientifico disciplinare IUS/01
Xxxxx Xxxxx
Tutor:
Xxxxx.xx prof. Xxxxxxxxxxx Xxxxx
Coordinatore del dottorato:
Xxxxx.xx xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxxx
A.A. 2021/2022
INDICE SOMMARIO
CAPITOLO I PATOLOGIA E AUTONOMIA
1. Clausole atipiche di deroga alla disciplina della patologia contrattuale 1
2. “Patologia” e “autonomia” 3
3. L’origine delle clausole in esame 10
3.2. Contratti internazionali; contratti “completi” 12
3.2.a. I contratti internazionali “standard” 14
3.2.b. segue: l’influsso dello stile redazionale dei Paesi di Common law 19
3.2.c. Contratti “tailor-made” 26
4. Sintesi dei principali risultati interpretativi in materia di clausole atipiche di deroga alla disciplina rimediale 44
4.1. Patti atipici di deroga alla disciplina della risoluzione per inadempimento 45
4.1.a. La clausola di irresolubilità 45
4.1.b. La condizione risolutiva di inadempimento 49
4.2. Patti atipici di deroga alla disciplina delle sopravvenienze 53
4.2.x. Xxxxxxxx di deroga alla disciplina della risoluzione per impossibilità sopravvenuta 53
4.2.b. Clausole di deroga alla disciplina dell’eccessiva onerosità sopravvenuta . 55 4.3. Conclusione e introduzione ai capitoli successivi 57
CAPITOLO II
LA CLAUSOLA DI RINUNCIA ALL'AZIONE DI ANNULLAMENTO
1. Clausole di “unico rimedio”, clausole di rinuncia all’azione di annullamento 59
2. Delimitazione dell’ambito di indagine 63
3. Contesto e funzioni della clausola di rinuncia all’azione di annullamento 66
4. L’invalidità della clausola secondo la dottrina maggioritaria; il piano di indagine . 74
4.1. Incompatibilità della clausola con il sistema dell’annullabilità del contratto 74
4.1.a. Nullità della clausola per contrasto con le norme imperative in materia di annullabilità del contratto 75
4.1.b. Nullità della clausola per contrasto con l’asserita funzione sanzionatoria
delle norme in materia di annullabilità del contratto 79
4.1.c. Incompatibilità della clausola con gli effetti caducatori derivanti dalla pronuncia di annullamento 80
4.2. Contrasto della clausola con gli artt. 1444, 1395 e 1462 c.c. 87
4.2.a. La clausola di rinuncia all’azione di annullamento e la convalida del
4.2.a.i. La convalida, la clausola di rinuncia all’azione di annullamento e
l’eccezione di annullabilità 89
4.2.a.ii. La convalida, la clausola di rinuncia all’azione di annullamento e l’art.
4.2.b. La clausola di rinuncia all’azione di annullamento e l’autorizzazione prevista dall’art. 1395 c.c 97
4.2.c. La clausola di rinuncia all’azione di annullamento e il divieto posto dall’art.
1462 c.c. 102
4.2.c.i. Norme che disciplinano differentemente le azioni e le eccezioni: proposta ricostruttiva e inapplicabilità dell’art. 1462 c.c. alla rinuncia all’azione di annullamento 105
4.2.c.ii. La ratio del divieto dell’art. 1462 c.c. non vale per la clausola in esame
....................................................................................................................................... 109
4.3. Altri profili problematici: indeterminatezza dell’oggetto della clausola; rinuncia
a diritti futuri 112
4.3.a. Nullità della clausola per indeterminatezza dell’oggetto 112
4.3.b. Patto di rinuncia all’azione di annullamento e rinuncia ai diritti futuri 114
5. Coerenza sistematica della clausola di rinuncia all’azione di annullamento 116
5.1. Xxxxxxxx di rinuncia all’azione di annullamento e interesse del legittimato 116
5.2. Clausola di rinuncia all’azione di annullamento e protezione della controparte
................................................................................................................................................ 118
5.3. Clausola di rinuncia all’azione di annullamento per errore e mancanza di qualità
della cosa compravenduta 124
5.3.a. I rapporti tra errore sulla qualità determinante e mancanza di qualità ... 124
5.3.b. La rilevanza del dibattito per la clausola di rinuncia all’azione di
annullamento 129
6. Limiti alla rinunciabilità dell’azione di annullamento: contratti con i consumatori,
dolo, violenza, incapacità, conflitto di interessi 132
6.1. Contratti con i consumatori 133
6.2. Ulteriori limiti di validità della clausola: il vizio riferito al singolo patto e l’immeritevolezza della clausola di rinuncia all’azione di annullamento del contratto per dolo, violenza, incapacità naturale o legale, per conflitto di interessi 134
6.2.x. Xxxx inerenti alla clausola in sé considerata: errore, dolo, conflitto di interessi
............................................................................................................................................ 134
6.2.b. Immeritevolezza della clausola di rinuncia all’azione di annullamento per
dolo, violenza, incapacità naturale e legale, conflitto di interessi 136
6.2.b.i. Dolo, violenza, incapacità naturale e legale: immeritevolezza della clausola 141
6.2.b.ii. Valutazione differenziata per il conflitto di interessi 143
6.2.b.iii. Meritevolezza della clausola di rinuncia all’azione di annullamento per
errore 145
CAPITOLO III
I PATTI SULLA NULLITÀ PARZIALE DEL CONTRATTO
1. Introduzione; pluralità di modelli negoziali 147
1.1. Clausole di salvezza e clausole di essenzialità 148
1.2. Xxxxxxxx che ricollegano effetti ulteriori alla nullità parziale 149
1.3. Clausole “omnibus” e clausole specifiche 150
2. Funzione dei patti sulla nullità parziale: i contratti internazionali e il rischio della nullità di singole clausole 151
3. Nullità e autonomia: validità ed efficacia delle clausole di salvezza e dei patti di essenzialità 154
3.1. L’art. 1419, comma 1 c.c. 155
3.1.a. La causa di nullità 155
3.1.b. Il giudizio di estensione della nullità: tesi soggettive e oggettive 158
3.1.c. Profili processuali: cenni sul riparto dell’onere probatorio e la rilevabilità d’ufficio 164
3.2. L’art. 1419, comma 2 c.c.: cenni 166
3.3. Validità ed efficacia dei patti sulla nullità parziale con riferimento al comma 1
dell’art. 1419 c.c 167
3.3.a. Tesi che ritengono validi i patti sulla nullità parziale 169
3.3.b. Tesi che ritengono non decisivi, ma comunque rilevanti, i patti sulla xxxxxxx xxxxxxxx 000
0.0.x. La tesi preferibile: nullità della clausola per contrasto con l’art. 1419, comma 1, c.c 176
3.3.d. …e sua rilevanza probatoria 178
3. 4. Validità ed efficacia dei patti sulla nullità parziale con riferimento al comma 2
dell’art. 1419 c.c 183
4. Xxxxx sulla nullità parziale dotati di meccanismi di sostituzione della clausola nulla/che ricollegano effetti ulteriori alla nullità di una singola clausola 185
4.1. Generalità 185
4.2. Obbligo di rinegoziare la clausola nulla 186
4.2.a. Validità dell’obbligo di rinegoziazione 187
4.2.b. Obbligo di rinegoziare la clausola nulla e art. 1419 c.c. 189
4.2.c. Contenuto dell’obbligo di rinegoziazione e conseguenze per il suo
inadempimento 190
4.2.d. Vicende processuali: l’eccezione di mancata rinegoziazione; la
rinegoziazione sopravvenuta 191
4.3. Patti “di riserva” 193
4.3.a. Sostituzione convenzionale di clausole nulle o dichiarate nulle 193
4.3.a.i. Validità 194
4.3.a.ii. Rapporti con l’art. 1419 c.c 196
4.3.b. Adeguamento convenzionale del contratto in caso di nullità parziale 197
5. Clausole “omnibus”, clausole di stile 198
6. Contratti stipulati da consumatori: cenni 202
7. Interferenze 204
7.1. Interferenze tra i patti sulla nullità parziale e la disciplina legale delle patologie contrattuali 205
7.2. Interferenze tra i patti sulla nullità parziale e altre clausole sulla patologia contrattuale 207
7.2.a. Conflitto tra clausole 207
7.2.b. Coerenza tra clausole 212
8. Conclusione. Deroghe alla disciplina della nullità del contratto? 213
Bibliografia 222
CAPITOLO I PATOLOGIA E AUTONOMIA
SOMMARIO: 1. Clausole atipiche di deroga alla disciplina della patologia contrattuale — 2. Patologia e autonomia — 2.1. “Patologia” — 2.2. “Autonomia” — 3. L’origine delle clausole in esame — 3.1. Nota di metodo — 3.2. Contratti “internazionali”; contratti “completi” — 3.2.a. I contratti internazionali “standard” — 3.2.b. segue: l’influsso dello stile redazionale dei Paesi di Common law — 3.2.c. Contratti “tailor made” — 3.3. Contratti relazionali — 3.4. Contratti “alieni”.
— 4. Sintesi dei principali risultati interpretativi in materia di clausole atipiche di deroga alla disciplina rimediale — 4.1. Patti atipici di deroga alla disciplina della risoluzione per inadempimento — 4.1.a. La clausola di irresolubilità — 4.1.b. La condizione risolutiva di inadempimento — 4.2. Patti atipici di deroga alla disciplina delle sopravvenienze — 4.2.a Clausole di deroga alla disciplina della risoluzione per impossibilità sopravvenuta — 4.2.b. Clausole di deroga alla disciplina dell’eccessiva onerosità sopravvenuta — 4.3. Conclusione e introduzione ai capitoli successivi.
1. Clausole atipiche di deroga alla disciplina della patologia contrattuale
La prassi testimonia la diffusione di contratti connotati da esigenze particolari, che determinano la necessità di adottare clausole di deroga alla disciplina della patologia contrattuale1.
Da una parte, si ritrovano accordi la cui stipulazione richiede negoziazioni complesse e dispendiose, che regolano operazioni articolate e danno vita ad assetti difficilmente reversibili. Le parti di questi contratti avvertono la necessità di poter confidare nella stabilità dell’accordo, poiché la sua caducazione vanificherebbe gli investimenti effettuati per condurre le trattative e adattare la propria organizzazione ai mutamenti che ne sono derivati. Inoltre, il travolgimento del contratto comporterebbe la restituzione delle prestazioni già effettuate, che potrebbero essere state concepite per soddisfare esigenze peculiari della controparte e, quindi, essere difficili da ricollocare sul mercato. Si tratta dei contratti che chiameremo “tailor-made”2. Queste considerazioni portano i contraenti a concordare l’esclusione dei rimedi che comporterebbero la caducazione del contratto: l’annullamento, la risoluzione, la rescissione. Eventualmente, in loro vece sarà previsto un ristoro monetario3. I patti citati coinvolgono istituti diversi, ciascuno dei quali pone problemi differenti: alcuni di
1 Della natura atecnica del termine “patologia contrattuale” si tratterà immediatamente infra, para. 2.1.
2 Si veda infra, para. 3.2.c.
3 Si veda infra, Cap. II, per l’analisi della clausola di rinuncia all’azione di annullamento.
essi sono stati già studiati approfonditamente, mentre altri non sono stati oggetto di analoga attenzione. È il caso della rinuncia all’azione di annullamento, alla quale sono stati dedicati solo alcuni cenni in contributi che hanno concluso quasi sempre per la sua nullità.
Dall’altra parte, un altro fenomeno di rilievo è la predisposizione di modelli negoziali da parte di imprese multinazionali, che li impiegano indifferentemente per stipulare contratti con controparti collocate ovunque nel globo. Chiameremo questi accordi “contratti- standard”4. In questi casi, l’esigenza avvertita dal predisponente è abbattere i costi che deriverebbero dalla redazione di tanti modelli quanti potrebbero essere i sistemi giuridici di appartenenza delle potenziali controparti. Per ottenere questo risultato, è necessario non solo adottare schemi uniformi, ma anche renderli completi, proteggendo il contratto dall’influenza della legge straniera che si candida a disciplinarlo, sulla scorta di norme di conflitto o norme di applicazione necessaria. Tuttavia, la pluralità degli ordinamenti con i quali l’accordo potrebbe venire a contatto moltiplica il rischio che norme imperative comportino la nullità di singole clausole, aprendo il problema della sorte da riservare alla parte residua del contratto. Si spiega così l’adozione di patti sulla nullità parziale, con i quali i contraenti indirizzano o predeterminano l’esito del giudizio di estensione all’intero contratto della nullità di una sua parte: clausole di severability e inseverability5. Queste clausole sono già state studiate da alcuni contributi, ma paiono meritare una riflessione ulteriore, specie per quanto concerne le loro interazioni con la disciplina legale e convenzionale (ove presente) di altre patologie contrattuali6.
Dunque, la prassi si muove nel senso dell’adozione di clausole, non previste dal codice civile, che incidono sulla disciplina legale dell’annullamento del contratto e della nullità parziale: clausole atipiche di deroga alla disciplina della patologia contrattuale. Se, come si vedrà meglio più avanti, le pattuizioni citate rispondono ad esigenze effettivamente avvertite dagli operatori economici, questa particolare modalità di esercizio dell’autonomia privata solleva diversi interrogativi, poiché avviene in un campo, l’invalidità contrattuale, nel quale l’intervento dell’autonomia negoziale è tradizionalmente ritenuto precluso.
Come si vedrà, questi problemi derivano principalmente dall’interazione con il diritto italiano di modelli pensati per ordinamenti appartenenti a tradizioni giuridiche diverse dalla nostra. Lo studio delle frizioni che ne conseguono permette di mettere in luce i limiti opposti
4 Per un’analisi dettagliata, si veda infra, para. 3.2.a.
5 Per l’elencazione delle diverse terminologie note alla prassi e l’analisi di questi patti, si veda infra, Cap. III.
6 Si veda infra, Cap. III, para. 7.
dall’ordinamento alle soluzioni elaborate dagli attori del mercato, che potrebbero pregiudicarne l’idoneità a rispondere alle esigenze citate7.
2. “Patologia” e “autonomia”
Innanzitutto, pare necessario chiarire il significato in cui si adopereranno i termini che compongono il binomio attorno a cui ruota lo studio: “patologia” e “autonomia”.
In secondo luogo, si analizzerà la genesi delle clausole in esame, convinti che la comprensione delle ragioni che portano i contraenti a includerle nel regolamento dei loro rapporti possa aiutare a superare una naturale diffidenza verso l’azione dell’autonomia privata negli ambiti di cui si è detto e, quindi, possa giovare all’analisi che si svolgerà nei rispettivi capitoli.
2.1. “Patologia”
È opportuno innanzitutto precisare il significato del termine “patologia del contratto”, a cui si farà spesso ricorso per fare riferimento in modo sintetico ad un fenomeno oggetto di regole, di vario contenuto, contenute nella legge.
Il lemma, sconosciuto al codice civile, si ritrova con una certa frequenza nella dottrina più recente, che lo utilizza in una grande varietà di accezioni8. Salvo casi sporadici, gli Autori
7 Il rilievo di questo tipo di studio è segnalato da X. XXXXXXX – XXXX in ID (a cura di), Boilerplate clauses, international commercial contracts and the applicable law, Cambridge, 2011, p. 5, che aggiunge che una maggiore consapevolezza potrebbe anche giovare de iure condendo, perché potrebbe portare a un intervento risolutivo del legislatore, che potrebbe dissipare i citati dubbi di validità (eventualmente, anche nel senso di ritenerle senz’altro invalide). Per gli aspetti pratici, si veda M. C. XXXXXXX, Multinational companies and national contracts, ibidem, p. 20. Chiaramente, nulla preclude l’impiego di clausole atipiche in contesti prettamente interni, come dimostra la controversia su una clausola di irresolubilità per inadempimento da ritardo annotata da X. XXXXXXX, «Ogni ritardo sarà considerato di scarsa importanza», in Riv. dir. civ., 1988, II, pp. 577 ss.
8 Quanto alle voci enciclopediche, la maggior parte dei contributi che contengono la parola “patologia” riferita all’ambito negoziale sono recenti: per es., nell’intero Digesto delle discipline privatistiche, sez. civ., nessuna voce prima del 1997 impiega il termine e la maggior parte delle ricorrenze si colloca dal 2007 in poi.
Alcune opere, ma sempre relativamente recenti, adottano il termine già nel titolo, come ad es.: X. XXXXX, La patologia del contratto di transazione: il regime della nullità e dell’annullabilità, in X. XXXXXXXX (a cura di), La transazione nella prassi interna e internazionale, Padova, 2000, 21 ss. e X. XXXXXXX, Il diritto dei contratti internazionali: la patologia dei contratti, in Studi e pubblicazioni della Rivista di diritto internazionale privato e processuale, Padova, 1988.
Il vocabolo è sconosciuto alla manualistica tradizionale, come X. XXXXXXXXX, Istituzioni di Diritto Privato, XXIII ed., Milano, 2020; X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXXXX, Manuale di Diritto Privato, Xxxxxx, XXXX xx., Xxxxxx, 0000; X. XXXXXXX, Manuale di Diritto Privato, XIX Ed., Napoli, 2019.
Quanto ai trattati, per esempio, il termine non sembra essere utilizzato da X. XXXXXXX, Trattato di diritto civile, II ed., Vol. II, Padova, 2010, né da X. XXXXX, I rimedi, la fiducia, l’apparenza, in Trattato del contratto, Vol. 3, Torino, 2010; compare invece in X. XXXXX, Trattato del contratto. I rimedi, Vol. IV, T. 1, Milano, 2006.
non precisano cosa debba intendersi per “patologia”, ma una definizione è facilmente ricavabile dal contesto in cui il termine è utilizzato9.
Così, a volte, questo è inteso come sinonimo di “invalidità”10 o di “vizio della volontà”11, altre volte come sintesi degli stati di bisogno e di pericolo che possono portare alla rescissione del contratto12. Tuttavia, la conclusione che per “patologia negoziale” o “contrattuale” si debbano intendere solo eventi coevi alla stipulazione del negozio, ossia i c.d. “vizi genetici”13,
9 Definisce il lemma in esame X. XXXXX, Teoria generale del negozio giuridico, in X. XXXXXXXX (diretto da), Trattato di diritto civile italiano, II ed., Torino, 1950, p. 364, che fa riferimento all’invalidità del contratto, nelle particolari categorizzazioni proposte dall’Autore trattate nel capitolo dedicato all’”anormalità” del negozio giuridico. L’opera rappresenta l’esempio più risalente di uso del termine “patologia”. Propone una definizione anche X. XXXXXXXX, voce Convalida (diritto privato) in Enc. Dir., Vol. X, 1962, p. 481, che distingue tra patologia negoziale in senso stretto, ossia l’invalidità, e in senso lato, categoria che abbraccerebbe anche il contratto «inutile o inefficiente», vale a dirsi quello «quelle situazioni negoziali in cui, pur presentando astrattamente la fattispecie tutti i caratteri tipici che la rendono idonea a produrre gli effetti che le sono propri, la mancanza di un elemento esterno ad essa ne impedisce il normale funzionamento». L’Autore fa l’esempio della vendita di cosa altrui e del contratto sottoposto a condizione sospensiva mancata. Un altro esempio di cura nel definire il termine si trova in X. XXXXX, Parte generale del contratto, contratti del consumatore e contratti asimmetrici (con postilla sul ‘terzo contratto’), in Riv. dir. priv., 2007, p. 683, che parla di “asimmetria patologica di potere contrattuale” per indicare i vizi della volontà e gli stati di bisogno e di pericolo.
10 X. XXXXXXXXX, voce Invalidità, in Enc. Dir., Vol. XXII, 1972, p. 577, che parla di “patologia giuridica”;
X. XXXXXX, voce Accertamento (negozio di), in Dig. Disc. Priv., sez. civ., agg. VII, 2012, p. 44; X. XXXXXXXX, voce Convalida (diritto privato) in Enc. Dir., Vol. X, 1962, p. 481, che distingue tra patologia negoziale in senso stretto, ossia l’invalidità, e in senso lato, categoria che abbraccerebbe anche il contratto «inutile o inefficiente», vale a dirsi quello «quelle situazioni negoziali in cui, pur presentando astrattamente la fattispecie tutti i caratteri tipici che la rendono idonea a produrre gli effetti che le sono propri, la mancanza di un elemento esterno ad essa ne impedisce il normale funzionamento». L’Autore fa l’esempio della vendita di cosa altrui e del contratto sottoposto a condizione sospensiva mancata; e X. XXXXX, ibidem, si può segnalare, ad esempio X. XXXXXXX, Autonomia privata e regole di validità: le nullità conformative, in Riv. Dir. Civ., 2011, 6, spec. p. 746.
Altri Autori, coerentemente con i rispettivi campi di indagine, riferiscono il termine alla sola annullabilità o alla sola nullità: per i primi, X. XXXX, Alcune riflessioni in tema di rettifica, in Riv. Dir. Civ. 2018, 1, pp. 1 ss.; X. XXXXXXXX, Annullamento del contratto concluso in conflitto di interessi, in Le società, 2, 2019, pp. 165 ss. per i secondi,
X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, voce Contratti del consumatore, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., agg. I, 2000, p. 256 con riferimento alla nullità e all’inefficacia delle clausole vessatorie.
11 X. XXXXX, voce Contratto asimmetrico, in Enc. Dir., Annali, Vol. V, 2012, p. 376 con riferimento ai vizi del consenso; X. XXXXXXXXX, voce Errore e raggiro nei contratti in diritto comparato, in Dig.disc. priv., sez. civ., agg. VII, p. 496; X. XXXXXXXXXXX, Osservazioni sulla “trattativa individuale” avente ad oggetto clausole vessatorie di un contratto preliminare immobiliare, nota Cassazione civile sez. VI, 14/01/2021, n.497 in XxxxxxxxxXxxxxx.xxx, 1° novembre 2021. 12 X. XXXXX, voce Contratto giusto, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., agg. III, 2007, p. 393, parla di «contrattazione avvenuta in condizioni di patologia sociale», alludendo al contratto concluso in stato di pericolo o di bisogno. X. XXXXXXXX, voce Solve et repete, in Enc. Dir., Vol. XLII, 1990, p. 1260, parla di “patologia” come espressione sintetica per annullabilità, nullità e rescissione, le cui eccezioni non possono essere paralizzate dalla clausola
commentata.
13 I concetti di sinallagma “genetico” e “funzionale” sono definiti da X. XXXXXXXX, Manuale di diritto civile e commerciale, Vol. III, Milano, 1959, IX Ed., p. 642 e ID., voce Contratto (dir. priv. – teoria generale), in Enc. Dir., Xx. XX, Xxxxxx, 0000, pp. 959 ss. Con il primo si allude al rapporto di interdipendenza tra le obbligazioni al momento del perfezionamento del contratto (in una dimensione statica, dunque), che deve sussistere pena la nullità per mancanza di causa. Sono quindi patologie afferenti al sinallagma genetico, o, in breve, “genetiche”, le cause di invalidità del contratto, specie afferenti alla causa. Con “sinallagma funzionale”, invece, ci si riferisce all’interdipendenza tra le prestazioni da eseguire, ossia al momento dell’esecuzione, successivo alla conclusione del contratto e dinamico. Il venir meno del sinallagma funzionale a causa dell’inadempimento, tipico vizio “funzionale”, porta alla mera risolubilità del contratto. Così, ad esempio, X. XXXXXXXXXXX, voce Risoluzione del
si rivela presto errata: non mancano Autori che impiegano la parola in questione per indicare sinteticamente i vizi del “sinallagma funzionale”, ossia l’inadempimento e l’impossibilità ed eccessiva onerosità sopravvenute14, o per riferirsi all’insieme delle fattispecie da cui può sorgere una responsabilità precontrattuale15. Si registrano poi diversi esempi di utilizzo del vocabolo per alludere a istituti accomunati solo dall’effetto di provocare la caducazione del negozio16. Altre volte, il termine “patologia” è impiegato nei casi in cui è in discussione proprio l’incidenza di una certa circostanza sulla validità del contratto, mancando quindi, almeno inizialmente, la possibilità di riferirsi a un istituto codicistico17. Infine, non sono difficili da rinvenire usi peculiari, non ascrivibili a nessuna delle ipotesi appena citate18.
contratto, in Nov. Dig. it., Vol. XVI, Torino, 1969, p. 127; X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento. Premesse generali, in X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXXX– X. XXXXXXX, La risoluzione, in Il contratto in generale, Vol. VIII**, in
X. XXXXXXX (diretto da), Trattato di diritto privato, Torino, 2011, pp. 3 ss. e spec. 5: «la risoluzione (nelle sue tre categorie) entra a far parte dei c.d. rimedi sinallagmatici, espressione divenuta ormai ricorrente in dottrina per indicare riassuntivamente, e senza pretesa di rigore scientifico, i molteplici mezzi […] per reagire ai turbamenti del sinallagma (spesso detto funzionale per distinguerlo da quello genetico) e dell’equilibrio della pretazione». Contra la qualificazione della risoluzione come patologia funzionale X. XXXXXX, Inattuazione e risoluzione: le fattispecie, in X. XXXXX (a cura di), Rimedi-2, in
X. XXXXX (diretto da), Trattato del contratto, II Ed., Vol. V, Milano, 2022, pp. 6 ss.: la terminologia perpetuerebbe
l’equivoco della risoluzione per inadempimento come vicenda afferente alla causa del contratto.
14 X. XXXXXXX, voce Revisione e rinegoziazione del contratto, in Enc. Dir., Annali, Vol. II, T. 2, 2008, p. 1035, con riferimento all’eccessiva onerosità sopravvenuta; X. XXXXXX, voce Leasing in Enc. Dir., agg. VI, 2002, p. 663, nota 54 con riferimento a inadempimento e impossibilità sopravvenuta; P. M. XXXXX, voce Negozio fiduciario, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., agg. II, 2003, riferito all’inadempimento; X. XX XXXX, voce Recesso, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., Vol. XVI, 1997, p. 319, parla di «patologie del rapporto» e così anche X. XXXXX, Il contratto inadeguato e il contratto immeritevole, in Contr. e impr. 3, 2017, pp. 936 ss., che li contrappone ai «vizi genetici»; F. DELFINI, Autonomia privata e risoluzione del contratto per inadempimento, NLCC, 2014, pp. 569 ss. parla di «patologie della fase esecutiva» o «del sinallagma funzionale». Sul concetto di “sinallagma funzionale” vedi la nota precente.
00 X. XXX XXXXX, Ai confini della risoluzione per inadempimento, in I contratti, 2013, 7, pp. 653 ss.
16 X. XXXXXXXXX, Causa in concreto e patti parasociali, in Giur. It., 2014 pp. 1614 ss. parla sia di patologie “originarie” che “sopravvenute”; X. XXXXXXXX, Divisione e sistema dei contratti, in Riv. Dir. Civ., 2009, p. 18, per rescissione, annullamento e garanzia per l’evizione. X. XXXXXXXX, Sinallagma rovesciato e ripetizione dell’indebito: l’impossibilità della restitutio in integrum nella prassi giurisprudenziale in Riv. Dir. Civ. 2008, p. 89, coerentemente con l’ambito di indagine dell’articolo, intende con “patologia” qualsiasi causa di dissoluzione del contratto. Così anche X. XXXXX, voce Scindibilità della dichiarazione contrattuale, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., agg. VII, 2012, p. 915, che riferisce il termine a risoluzione e annullamento, X. XXXXXXXXX, voce Clausola contrattuale, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., agg. II, 2003, p. 248, nota 258 e A. M. XXXXXX, voce Frazionamento contrattuale, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., agg. III, 2007, indifferentemente per nullità e risoluzione. T. V. RUSSO, La gestione delle sopravvenienze nelle operazioni di project financing tra adeguamento e rinegoziazione, in Riv. Dir. Civ., 2021, pp. 679 ss. tratta soprattutto di “patologie sopravvenute”, ma si pone anche il problema della ripercussione dell’invalidità del contratto di finanziamento o dell’atto costitutivo della società veicolo.
17 Questi casi sono emblematici della polisemia del vocabolo. Per es., VARONE, La rinegoziazione del contratto successiva all’aggiudicazione: fra capacità negoziale delle pubbliche amministrazioni, patologie negoziali e questioni di riparto di giurisdizione, in Foro amm. CDS, 2003, 1, pp. 14 ss., che si interroga sulla sorte del contratto stipulato in base a condizioni difformi da quelle risultanti dalla procedura di scelta del contraente. In giurisprudenza, Giudice di Pace X. Xxxxxxxxx, 12.9.2003, che si pone il problema della sorte del contratto a valle dell’intesa restrittiva vietata nel contesto del contenzioso assicurativo.
18 X. XXXXX, Parte generale del contratto, cit., p. 683; X. XXXXXXXX, op. cit., p. 189. X. XXXXX, Consegna di cosa usata e responsabilità del venditore, commento a Cass. civ. 10728/2001 in I contratti 2002, 2 pp. 177 ss. parla di
«patologie del bene consegnato».
Quanto alla giurisprudenza, se possibile, le pronunce sono ancora più varie nell’utilizzo del lemma “patologia”, registrandosi utilizzi ulteriori del termine19 oltre a quelli di cui si è già dato conto20.
Così ricostruito il quadro degli usi della parola in esame, l’unica conclusione che sembra lecito trarre è che, nel tempo, il vocabolo non ha assunto alcun significato preciso: anzi, se ne registra un uso sempre più vario e gli interpreti si mostrano sempre meno interessati ad enunciarne definizioni precise. Emerge come ogni autore adoperi un’accezione funzionale di “patologia”, relativizzata al ragionamento svolto: così, per esempio, se il contributo è incentrato sulle restituzioni, il termine ben potrà essere riferito a tutte le fattispecie che determinano la caduta del contratto21; se è dedicato ai vizi della volontà, si riferirà a questi ultimi22; se si discorre di “sopravvenienze”, verrà adoperato per alludere all’impossibilità ed eccessiva onerosità sopravvenuta sopravvenute, o a volte anche all’inadempimento23. Di
19 Per Corte d’appello Napoli, sez. III, 8.6.2020, n. 2032 “patologia” è la revoca dell’affidamento che porta il creditore ad agire verso il fideiussore; per Cass. civ. 13305/2018; 21042/2017 “patologici” sono gli elementi fraudolenti che permettono di qualificare un sale and lease back come una vendita in funzione di garanzia elusiva del divieto di patto commissorio ex artt. 1344 e 2744 c.c. Per Cass. civ. 1930/1993, è “patologia” la lite devoluta ad arbitri in virtù di clausola compromissoria.
20 Nella maggior parte dei casi, per “patologia” si intende l’inadempimento: Cass. civ. SSUU 2061/2021; 29672/2021; 23875/2021; 22126/2020; 13208/2010. Cass. civ. SSUU 11748/2019 parla di «patologia dell’effetto traslativo» in caso di vizi della cosa compravenduta.
Quanto agli altri usi del lemma fatti dalla dottrina, Cass. civ. 5423/2022 con “patologia” intende “vizi della volontà”; alludono invece a qualsiasi vicenda che possa comportare la caducazione del contratto Cass. civ. 1934/2020; Cass. civ. SSUU 26243/2014. Espressamente, Cass. civ. 715/2018: «poichè, una volta acclarata l'insussistenza di una causa adquirendi venga in gioco la nullità, l'annullamento, la risoluzione o la rescissione di un contratto, ovvero qualsiasi altra causa che faccia venir meno il vincolo originariamente esistente […] deve reputarsi che la tutela accordata è invero sempre la stessa, anche se le patologie genetiche e funzionali che hanno vulnerato il sinallagma, rendendone necessaria l'attivazione, possono essere diverse».
A volte vengono tratte conseguenze applicative dalla definizione di una certa vicenda come “patologica” o “fisiologica”. Per esempio, ai fini della verifica del rispetto del “tasso-soglia” in materia di usura si esclude che le commissioni di massimo scoperto e gli interessi moratori siano “interessi”, perché li si ritiene afferenti alla fase patologica del rapporto e non a quella “fisiologica”. Così Trib. Roma 29.8.2020, n. 11760 e Trib. Pisa 567/2019.
21 X. XXXXXXXX, op. cit.
22 Per es., X. XXXXXXXXX, op. cit.
23 X. XXXXXXX, op. cit.
Si può notare incidentalmente che un discorso analogo a quello fatto per il termine “patologia” si potrebbe compiere anche con riferimento al termine “sopravvenienza”. Il vocabolo è impiegato dal codice civile, che lo adotta come aggettivo dell’impossibilità e dell’eccessiva onerosità sopravvenute. Nonostante la rilevanza circoscritta del termine, la dottrina ne ha fatto un uso diffuso, al punto da ricavarne quasi una categoria ordinante nell’ambito della quale studiare gli eventi successivi alla stipulazione del contratto (si sarebbe tentati di dire, la rilevanza delle patologie successive alla conclusione del contratto).
In particolare, per X. XXXXX, Il contratto, in X. XXXXXX – X. XXXXX (a cura di), Trattato di diritto privato, Milano, 2001, p. 943, sono sopravvenienze gli eventi che «intervenendo dopo la conclusione del contratto e prima della sua completa attuazione, mutano il contesto in cui il contratto si attua». Per X. XXXXXXXXX, Le sopravvenienze, in X. XXXXXXX – X. XXXXXXX (diretto da), Lezioni di Diritto Civile – Casi, questioni e tecniche argomentative, Milano, 2012, p. 345, sono “sopravvenienze” «tutti i casi in cui il rapporto nato dal contratto subisce turbative, tali da interferire con l’utilità o la convenienza dell’operazione» e si veda anche La sopravvenienza contrattuale, Milano, 2002. Per X. XXXXXXX, voce
volta in volta, si parlerà di patologia “genetica” o “funzionale” a seconda del momento in cui interviene l’evento “anormale”. Sembra quindi che si possa adattare anche al termine “patologia” quanto affermato da un’autorevole voce a proposito di altra, analoga, formula: si tratta di un’espressione riassuntiva divenuta ormai ricorrente in dottrina e utilizzata senza pretesa di rigore scientifico24.
Stando così le cose, pare possibile adottare un significato lato del termine “patologia” nel prosieguo di questo lavoro, che abbracci tanto l’annullabilità, quanto la nullità del contratto. Il primo significato verrà in rilievo quando si studieranno le clausole di rinuncia all’azione di annullamento; il secondo, quando si esamineranno i patti di scindibilità e inscindibilità per il caso di nullità parziale del contratto. Nelle parti che si riferiranno all’insieme delle pattuizioni esaminate, la parola sarà impiegata come espressione riassuntiva di entrambe le patologie, salve le precisazioni del caso.
“Sopravvenienza”, in N. IRTI (promosso da), X. XXXXXXXXXX – X. XXXXXXXXX (a cura di), Dizionari del diritto privato, Milano, 2011, I Ed., p. 1638, il termine allude a tutte le circostanze, successive alla stipulazione del contratto, inattese e in grado di incidere significativamente sul rapporto che ne scaturisce. X. XXXXXXX, Sopravvenienze e rimedi nei contratti di durata, Milano, 2018, I Ed., p. 1, parla di «eventi che modificano l’originario equilibrio contrattuale stabilito dalle parti».
L’inadempimento non è generalmente ricompreso nello studio delle c.d. “sopravvenienze” anche se, a rigore, la sua collocazione temporalmente successiva alla conclusione del contratto, la sua idoneità a pregiudicarne lo scopo e la comunanza delle soluzioni elaborate con riferimento all’inadempimento e alle sopravvenienze “in senso stretto” ne giustificherebbero una trattazione congiunta. Contra, X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 345, che ritiene tale esclusione e quella dell’impossibilità sopravvenuta «pacifica». Sembra allora che il termine venga impiegato dalla dottrina soprattutto per riferirsi ai casi in cui non sia chiara l’incidenza dell’evento sul contratto in corso di svolgimento.
In seguito alla pandemia da Covid-19 si sono moltiplicati i contributi dedicati allo studio delle “sopravvenienze”, al punto da rendere radicalmente velleitario qualsiasi tentativo di fornirne un’elencazione. A titolo di esempio, X. XXXXXXXXX, Buona fede integrativa o poteri equitativi del giudice ex art. 1374 c.c.? in Giur. it., 2020, da p. 2435 e X. XXXXX, Emergenza Covid e revisione del contratto, ivi, da p. 2439, entrambe note a Trib. Roma, 27.8.2020, xxx, da p. 2433; si vedano poi X. XXXX, Note in margine agli effetti della pandemia sui contratti di durata, N. giur. civ., 2020, III (suppl.), da p. 57; X. XXXXXXX, CoViD-19 e sopravvenienze contrattuali: un’occasione per riflettere sulla disciplina generale?, ivi, da p. 80; X. XXXXXXXX, Pandemia, attività d'impresa e solidarietà, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, da p. 1153, X. XXXXXXXXX, L’interesse creditorio nell’emergenza covid tra rimedi estintivi e tensione conservativa, in Resp. civ. prev., 2021, da p. 1352, spec. pp. 1372 ss.; X. XXXXXXXXX, Emergenza Covid-19: un anno dopo, in Contr., II, 2021, da
p. 145, spec. pp. 147 ss.; X. XXXXXXXX, Il Covid-19 e l’esecuzione del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, da p. 1, spec. pp. 12 ss. Si veda anche la Relazione tematica n. 56/2020 dell’Ufficio del Massimario e del ruolo della Corte Suprema di Cassazione, spec. pp. 20 ss., disponibile sul sito web della Suprema Corte.
In precedenza, il termine compariva spesso negli studi dedicati alla presupposizione e alla rinegoziazione. Anche in questo caso i contributi in materia sono innumerevoli: si vedano solo, limitandosi ai più recenti, X. XXXXXXXXX, Presupposizione e gravità della turbativa, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 2014, 2, pp. 437 ss.; L. M. XXXXXXX, Recenti orientamenti in tema di presupposizione e sopravvenienze, in Obbl. e Contr., 2005, fasc. 2, pp. 163 ss.; G. F. XXXXXX, L’applicabilità del rimedio risolutorio al difetto sopravvenuto della presupposizione in un recente revirement della cassazione, in NGCC, 2011, fasc. 6, pp. 305 – 317; X. XXXXX, La prima norma in tema di rinegoziazione nel contesto del dibattito sulle sopravvenienze, in Contr. Impr., 2022, fasc. 1, pp. 15 – 26; X. XXXXXXXXX, La rinegoziazione, in Contr. Impr, 2002, fasc. 2, pp. 774 – 815; X. XXXXX, Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto, Milano, 1992 e ID., voce Revisione del contratto, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., Vol. XVII, Torino, 1998, pp. 431 ss.
24 Così X. XXXXXXXXX, La risoluzione, cit., p. 5, con riferimento al termine «rimedio sinallagmatico».
2.2. “Autonomia”
Il secondo fulcro attorno a cui ruota l’analisi che si compirà è l’autonomia privata.
Come si è già avuto modo di anticipare, infatti, lo studio in esame sarà dedicato a clausole atipiche: pertanto, innanzitutto si dovranno verificare gli spazi di autonomia concessi dall’ordinamento con riferimento alla patologia di volta in volta in rilievo, per giungere a un giudizio di validità o invalidità della pattuizione. Ad esempio, quando si tratterà della rinuncia preventiva all’azione di annullamento, si dovrà valutare l’incidenza dell’art. 1462 c.c., che vieta la rinuncia preventiva all’eccezione di annullamento.
Si potrebbe quindi ritenere opportuno, in apertura, esaminare le varie concezioni di “autonomia privata” elaborate dalla dottrina, per poi adottarne una. Questo approccio richiederebbe un approfondimento di questioni di vertice del diritto civile, che toccherebbe temi come il rapporto tra il diritto pubblico e quello privato, il concetto di “ordinamento giuridico” e la nozione di “negozio giuridico”. Tuttavia, un’indagine di questo tipo esorbita dagli scopi di questo studio. Infatti, non sembra che la soluzione dei problemi che via via si presenteranno dipenda dalla nozione di “autonomia privata” adottata in premessa. Piuttosto, un giudizio di validità o invalidità della singola pattuizione dipenderà dalle conclusioni a cui perverrà l’analisi del dato normativo (es.: la disciplina della nullità parziale o dell’azione di annullamento) e sarà solo all’esito di tale studio che si delineeranno gli spazi di intervento concessi alle parti nel contesto della singola patologia contrattuale.
Questo è, d’altronde, l’approccio adottato da autorevoli studiosi che si sono occupati di clausole integranti altre “deroghe atipiche” alla disciplina della patologia contrattuale, impostando le rispettive indagini a partire dagli istituti e dalle norme di volta in volta rilevanti, come elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina, piuttosto che da un’analisi della nozione di autonomia privata25.
25 Limitandosi alle opere monografiche, per esempio, X. XXXXXX, La condizione di inadempimento, Verona,
1996, pp. 20 ss., che costituisce il principale studio sulla clausola in esame. L’Autore affrontata prima gli ostacoli
c.d. “concettuali” (in particolare, pp. 70 ss.), riguardanti la compatibilità della clausola con i tradizionali requisiti dell’evento dedotto in condizione, e poi quelli “di ordine operativo” (pp. 310 ss.), riguardanti la compatibilità del meccanismo esaminato con la tutela sinallagmatica, la natura elettiva della risoluzione ordinaria e gli effetti inter partes della risoluzione del contratto. Si veda anche X. XXXXX, Condizione, autonomia privata e funzione di autotutela. L’adempimento dedotto in condizione, Milano, 1996, I Ed., pp. 8 ss. Per un approccio analogo nel contesto di clausole diverse, F. XXXXXXX, I patti sulla risoluzione per inadempimento, Milano, 1998, I Ed., pp. 42 ss., dedicato alla clausola di irresolubilità, e X. XXXXXXXXX, Contratti onerosi con prestazione incerta, Milano, 2003, dedicato alle clausole if and when. Si vedano poi le clausole atipiche esaminate in X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxxx negoziali: profili teorici e applicativi di clausole tipiche e atipiche, Vol. I, Torino, 2017 e Vol. II, Torino, 2019.
Pertanto, delineato il metodo che pare preferibile, sembra sufficiente definire l’autonomia privata come un potere normativo conferito ai soggetti dall’ordinamento per il perseguimento di fini indipendenti dal pubblico interesse, ossia entro limiti solo negativi, e che si esplica mediante il compimento di negozi giuridici26. In tal modo, il concetto in esame
26 X. XXXXX, L’autonomia privata, Milano, 1959, e ID. Nozione giuridica di autonomia privata, in Riv. trim. dir. proc.
Civ., 1957, pp. 129 ss., che costituisce un estratto dal primo capitolo dell’opera monografica.
Dal punto di vista formale, l’autonomia privata è potere di produrre effetti giuridici tramite la posizione di norme giuridiche: è potere normativo. Il negozio giuridico, in cui si esplica (profilo funzionale) è una fonte di diritto oggettivo, collocata sul gradino più basso della gerarchia in quanto subordinata alla legge, che conferisce ai singoli il potere di cui si discute (cap. II). Infatti, la generalità e l’astrattezza non sarebbero caratteri necessari della norma giuridica. Dal punto di vista sostanziale (cap. III), mentre i pubblici poteri sono predeterminati nel fine e quindi soggiacciono a un limite positivo, il potere normativo privato è libero e soggetto solo a limiti negativi: è “privato” nel senso di «indipendenza dal pubblico interesse» (p. 276). L’Autore critica la figura dell’abuso del diritto (pp. 300 ss.) e nega un significato pregnante all’art. 1322, comma 2 c.c. (p. 316).
Alla ricostruzione di X. XXXXX se ne contrappongono altre. Limitandosi a pochissimi cenni per un tema che, come si comprende, è sterminato, la più diffusa risale a XXXXX XXXXXX, L’ordinamento giuridico, Firenze, 1946, II Ed., p. 14, che la intende come «potestà di darsi un ordinamento giuridico». Si veda anche ID., voce Autonomia, in Frammenti di un dizionario giuridico, Milano, 1947. Per es., per X. XXXXXXXXXX, Teoria generale del diritto, Roma, 1940, p. 108, si ha autonomia quando «alla produzione del diritto servono le parti medesime». Similmente, per X. XXXXX, op. cit., p. 44 e ID. voce Autonomia privata, in Noviss. dig. It., Torino, 1981, Vol. 2, p. 1559, «autonomia significa […] potestà di darsi un ordinamento, di dare cioè assetto ai propri rapporti e interessi, spiegata dallo stesso ente o soggetto cui spettano». Per X. XXXXXXXXXXXX, Contributo alla teoria del negozio giuridico, II Ed., Napoli, 2008, pp. 83 ss., «autonomia privata è l’attitudine dell’individuo, in certo senso a lui connaturata, a fare regola da sé ai propri interessi». XXXXXXXXX XXXXXX, Autonomia privata, in Riv. trim. dir. pubblico, 1956, fasc. 6, p. 843, condivisa l’elaborazione di XXXXX XXXXXX, osserva che «l’autonomia privata è la relazione di un ordinamento privato con altro “superiore” […]». Per X. XXXXX, voce Autonomia nel diritto privato, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., Torino, 1987, p. 517, il problema dell’autonomia è
«identificare gli strumenti utilizzabili per esercitarla» e il concetto indica «la situazione di colui che è in grado di incidere sulle regole che lo riguardano (destinate cioè a operare nella sua propria sfera, o in sfere altrui ma con riflessi nella sua sfera propria o dei suoi interessi)».
Ferma la comune concezione dell’autonomia privata come posizione di regole da parte del destinatario di esse, e in disparte la teoria di X. XXXXX, le varie ricostruzioni divergono quanto alla natura di tali regole: se per
X. XXXXX, come detto, si tratta di norme giuridiche, per X. XXXXXXXXXX il comando privato sarebbe solo un “precetto” individuale e concreto e non una “norma”; per X. XXXXX, radicalmente, non si avrebbe creazione di regole, ma la posizione dell’ipotesi di fatto di norme, con recezione nell’ordinamento giuridico di un’autonomia preesistente sul piano sociale (cfr voce Autonomia, cit., p. 1561). Per X. XXXXXXXXXXXX, op. cit., p. 100, è “precetto” la determinazione della condotta altrui, profilo assente nel campo degli atti di autonomia; né sarebbe concepibile una “norma” dettata a se stessi. L’autoregolamento sarebbe un fenomeno a sé, vincolante alla stregua di norme sociali prima, e giuridiche poi. Per le teorie “normative”, la potestà privata deriva da un’investitura statuale, variamente intesa ma sempre in virtù di norme: così X. XXXXXX, Dottrina generale del diritto e dello Stato, Torino, 1952, pp. 139 ss. Ancora, le varie tesi divergono anche quanto all’origine dell’autonomia privata: fatto sociale riconosciuto dal diritto (X. XXXXX: Teoria generale, cit., p. 42 e 82) o potere conferito dall’ordinamento (X. XXXXX, v.di supra); nonché quanto al profilo sostanziale: potere libero nei fini (X. XXXXX, v.di supra) o sottoposto a controllo di coerenza della funzione perseguita con la «socialità del compito di ordine [della legge], [che svolge] un compito educativo e […] direttivo della condotta» (X. XXXXX, voce Autonomia, p. 1561).
Alla concezione di XXXXX XXXXXX, X. XXXXX, L’autonomia, cit., pp. 70 ss. obietta, fra l’altro, che nel testamento il destinatario del precetto non è chi l’ha redatto. Più recentemente, X. XXXXXXXXX, Autonomia negoziale e autonomia contrattuale, in X. XXXXXXXXXXX (diretto da), Trattato di Diritto civile del CNN, Napoli, 2008, pp. 5 ss. supera la nozione imperniata su «profili di riflessività» per la diffusa imposizione di «modelli contrattuali uniformi» da parte delle «imprese di maggior peso». Prevarrebbe quindi una nozione incentrata «sull’origine» privata della regola. Per un’analisi storica, X. XXXXXXX, voce Autonomia (storia), in Enc. Dir., Vol. IV, Varese, 1959, pp. 349 ss.; per la pluralità di significati dell’espressione, X. XXXXXXXXX, voce Autonomia privata, ibidem, pp. 366 ss. Per l’analisi delle diverse nozioni si veda comunque XXXXXXXXX XXXXXX, op. cit., pp. 810 ss.
viene definito sotto il profilo formale, sostanziale e funzionale. Quando tale potere si esplichi tramite la conclusione di contratti, si parlerà di autonomia o “libertà” contrattuale27. L’analisi che ci si appresta a compiere è quindi volta a individuare i limiti che presidiano l’esercizio dell’autonomia privata nel campo della patologia contrattuale28.
3. L’origine delle clausole in esame
3.1. Nota di metodo
Come si dirà meglio nel prosieguo, i pochi contributi che analizzano la validità dei patti oggetto di questo studio giungono prevalentemente alla conclusione negativa. Tuttavia, spesso le clausole sull’azione di annullamento e sulla nullità parziale non sono analizzate approfonditamente29; inoltre, la prassi testimonia un frequente impiego di queste pattuizioni in contratti internazionali, anche di un certo rilievo economico, e la loro diffusione anche a livello interno; in entrambi i contesti, poi, esse svolgono una funzione pregnante. Il problema della loro validità è, quindi, certamente rilevante e giustifica uno studio dedicato specificamente a questi temi.
Le pattuizioni di cui si tratterà, almeno nelle loro varianti più diffuse, condividono due tratti peculiari: la derivazione da modelli negoziali diffusi nei Paesi di common law e il loro frequente utilizzo in contratti definiti dalla dottrina “internazionali” o “completi” o “relazionali”, a seconda del punto di vista da cui muovono le diverse analisi che se ne sono occupate. Queste particolarità sembrano rilevanti, perché la consapevolezza dell’origine e della funzione di una clausola ne propizia uno studio privo di pregiudizi, che potrebbero altrimenti influenzare una ricerca sugli spazi di intervento delle parti in materia di invalidità
Nella dottrina civilistica, per X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 37, l’autonomia o libertà contrattuale consiste nella libertà delle parti «di decidere se, e in che modo, le proprie sfere giuridiche abbiano a essere incise dal contratto». Similmente, C. M. XXXXXX, Il contratto, Milano, 2019, III Ed., p. 2, definisce “atto di autonomia” quello «mediante il quale il soggetto dispone della propria sfera giuridica».
Tra i costituzionalisti, si veda X. XXXXXXXX, Profili costituzionali dell’autonomia privata, Padova, 2003, in particolare pp. 114 ss. e pp. 175 ss.
27 Così X. XXXXX, op. ult. cit., p. 37 e X. XXXXXXXX, voce Autonomia contrattuale, in X. XXXXXXX (diretto da), Dizionario enciclopedico del diritto, Vol. I, Padova, 1996. Si veda anche XXXXXXXXX XXXXXX, op. cit., pp. 808- 809, dove si osserva il frequente impiego del concetto in sede di trattazioni istituzionali di diritto privato senza però adeguatamente definirlo.
28 Limiti “negativi”, seguendo la terminologia di X. XXXXX ricordata supra, nota 26.
29 Questo è soprattutto vero per la clausola di rinuncia all’azione di annullamento: si veda infra, Cap. II, para. 4.
contrattuale30. Un’analisi congiunta di questi profili permetterà di mettere in luce tutte le ragioni che spiegano l’adozione dei patti sull’invalidità, scongiurando il rischio di un approccio parziale al fenomeno in esame. Dal punto di vista del diritto applicato, poi, la consapevolezza dell’origine delle clausole di cui si tratterà permette di valutarne l’adeguatezza rispetto alle esigenze manifestate dalle parti nel caso concreto31.
Pertanto, pare, opportuno anteporre all’esame delle singole clausole un breve inquadramento di respiro più ampio, in cui mostrarne il ruolo svolto nel contesto dei contratti “internazionali”, la loro funzionalità allo scopo di ottenere una convenzione “completa” e “stabile” e i problemi che derivano in via generale dalla circolazione di modelli negoziali
30 X. XXXXXXXXXX, Tecniche di redazione del contratto dal common law statunitense al diritto italiano: conseguenze sul piano della prova del contratto nel nostro ordinamento, in Contr. e impr., 2019, fasc. 2, p. 774, ritiene necessario
«comprendere il contesto normativo e culturale d’origine di tali modelli e le ragioni loro sottese, [per] indirizzare l’analisi verso
soluzioni che consentano la loro armonizzazione con le norme italiane che vi si applicano».
Un esempio notevole di questo approccio si ritrova in X. XXXXXXX – XXXX, op. cit.: il volume analizza in primo luogo la redazione dei contratti nella pratica e l’influsso delle società multinazionali sul relativo processo, per poi concentrarsi sul trattamento di un elenco di pattuizioni “standard” (o “boilerplate”) originate nei paesi di common law in Inghilterra (Paese d’origine), Germania, Francia, Italia, Danimarca, Finlandia, Norvegia, Svezia, Ungheria, Russia. La conclusione è che la fiducia riposta dalle parti sulla produzione di certi effetti in un dato ordinamento è spesso frustrata dall’influenza della legge applicabile. I redattori del contratto sono consapevoli di questo rischio e provano a gestirlo tramite accordi il più possibile “completi” (su cui si veda infra, para. 3.2.), tentativo ostacolato dalle spese di negoziazione, da limiti di tempo, dalla possibile conflittualità dei (futuri) contraenti, dall’incertezza del diritto o barriere linguistiche (p. 15). Tuttavia, una trattativa dettagliata può risultare ugualmente desiderabile: una clausola gravosa può conferire una posizione negoziale più forte anche se, a uno sguardo più attento, potrebbe essere invalida; inoltre, l’incertezza sugli esiti di una lite insorta su una clausola “standard” può incentivare una soluzione transattiva. Da ultimo, spesso il ricorso a una di queste pattuizioni non viene contestato («an invoked clause is not necessarily always contested»: p. 371). In ogni caso, il rischio della legal uncertainty non giustifica la negligenza nell’accertare lo stato della legge applicabile al contratto, pena l’impossibilità di selezionare le clausole su cui concentrare la trattativa (p. 373). È fatto salvo il caso in cui l’assunzione del rischio giuridico permetta di concludere rapidamente un affare, con i benefici commerciali del caso (p. 15).
Si veda anche ID, International Contracts between Common Law and Civil Law: Is Non-state Law to Be Preferred? The Difficulty of Interpreting Legal Standards Such as Good Faith, in Global Jurist, fasc. 1, 2007, citato da X. XXXXXXXXXX, op. cit., nota 4. Data l’incertezza derivante dall’applicazione al contratto di una legge statale, le parti a volte adottano come applicable law un corpus normativo autonomo, come la Convenzione di Vienna per la vendita internazionale di beni mobili (“CISG”), i Principi Unidroit sui contratti commerciali internazionali (“PICC”) o i Principi di diritto europeo dei contratti (“PECL”). L’articolo indaga il ruolo del principio di buona fede e correttezza, previsto dai PECL e dai PICC nella soluzione dei conflitti tra contratto internazionale “completo” e legge applicabile. Sul fenomeno dell’adozione dei PICC per “de-nazionalizzare” il contratto, M. J. BONELL, Il diritto europeo dei contratti e gli sviluppi del diritto contrattuale a livello internazionale, in Eur. Dir. priv., 2007, fasc. 3, pp. 628 ss. e ID, voce Contratti internazionali (principi dei), in Enc. Giur., Vol. IX, Roma, 1996, pp. 2 ss.: l’Autore rileva la diversità dei PICC e dei PECL dalle convenzioni di diritto uniforme e dai contratti-tipo elaborati dalle associazioni di categoria, in quanto volti ad esporre sistematicamente principi già accettati a livello universale o comunque preferibili e non predisposti unilateralmente. Per i PECL, P. SIRENA, La scelta dei Principles of European Contract Law (PECL) come legge applicabile al contratto, in Riv. dir. civ., 2019, fasc. 3, pp. 608-621.
31 Così M. C. XXXXXXX, op. cit., pp. 30-31: «only with this awareness will in-house lawyers be able to correctly allocate the expectations of their stakeholders […] the role of the in-house lawyer is to define, with respect to the expectations of the parties, if and how the instruments at the lawyer’s disposal are the right ones». Nello stesso senso X. XXXXXXXXXX, Diritto dei contratti internazionali. Manuale di diritto commerciale internazionale, Padova, 1997, p. 72.
concepiti nell’ottica di un certo ordinamento; si rinvierà ai capitoli successivi per l’esame degli
interrogativi che si pongono con riferimento a ciascuna clausola.
3.2. Contratti internazionali; contratti “completi”
Le clausole di deroga alla patologia contrattuale si ritrovano frequentemente nei contratti internazionali32.
Innanzitutto, è bene precisare cosa si intende per “contratto internazionale”.
Tale espressione potrebbe alludere a una particolare definizione normativa, rilevante al fine di identificare la disciplina applicabile a un certo contratto. Avviene così nel campo internazional-privatistico, dove la definizione di “contratto internazionale” è imperniata sulla presenza di elementi di collegamento con più ordinamenti e rileva al fine di individuare, tramite le norme di conflitto, la legge applicabile. Ancora, la nozione di “internazionalità” può servire per delimitare l’ambito di applicazione di una convenzione di diritto materiale
32 Es.: X. XXXXXXXX – F. DE LY, La redazione dei contratti internazionali a partire dall’analisi delle clausole, Milano, 2008, ad es. pp. 22 ss. per le clausole sulla nullità parziale, pp. 723 ss. per le clausole relative a eventi che possono comportare la fine del contratto; X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Il contratto internazionale. Diritto comparato e prassi commerciale, II ed., in X. XXXXXXX (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Padova, 2010, pp. 357 ss. per le clausole relative all’invalidità del contratto, alla rescissione e alla risoluzione; X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 119 per la clausola di severability e inseverability; X. XXXXXXX, preliminary agreements in international contract negotiation, in Houston Journal of International Law, 1983, fasc. 6, pp. 37-62 per i patti sulle trattative.
Esistono altri patti di disciplina convenzionale della patologia negoziali diffusi nei contratti internazionali, il cui studio, tuttavia, esorbita dall’ambito di indagine di questa trattazione. In particolare, si fa riferimento alle clausole di hardship, patti che prevedono meccanismi di adeguamento, variabili da clausola a clausola, al verificarsi di circostanze sopravvenute: si veda X. XXXXXXXX, voce Hardship clause, in Dig. Disc. Priv., sez. comm., Vol. VI, Torino, 1991; ID., La hardship clause nei contratti internazionali e le tecniche di allocazione dei rischi negli ordinamenti di civil law e di common law, in Riv. dir. civ., 1979, I, pp. 680 ss.; X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXX, op. cit., pp. 293 ss.; X. XXXXXXXXXX, Hardship e force majeure, in M. J. BONELL – X. XXXXXXX (a cura di), Contratti commerciali internazionali e Principi Unidroit, Milano, 1997; ID., La patologia dei contratti internazionali, in Giur. Comm., 1984, I, pp. 1111 – 1129; ID., La forza maggiore nella giurisprudenza arbitrale internazionale, in Dir. comm. int., 2021, fasc. 4, pp. 861 - 914; S. M. CARBONE, Autonomia privata e contratti internazionali, in NGCC, 1992, II, p. 291; X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 971; X. XXXXXXXX – F. DE LY, op. cit., pp. 579 ss.; X. XXXXXXXXXX, Diritto dei contratti internazionali. Manuale, cit., pp. 104 ss.; X. XXXXXXX, Force majeure and hardship under geneneral contract principles: exemption for non-performance in international arbitration, Alphen aan den Rijn, 2008; I. XXXXXXXXX, Duty to renegotiate and contract adaptation in case of hardship, in Revue de droit uniforme, Vol. 24, fasc. 1, 2019, pp. 149 – 174; CISG Advisory council Opinion No. 20 – Hardship under the CISG, in Internationales Handelsrecht, 2020, Vol. 20, fasc. 6, pp. 261-272.
Per la dottrina che ha riguardo alle difficoltà di esecuzione derivanti dalla pandemia, si veda, per esempio,
E. DEL PRATO, Covid-19, Act of God, Force Majeure, “hardship clauses”, performance and nonperformance, in NGCC 2020, fasc. 3, suppl., pp. 64 – 67; P. SIRENA, L’impossibilità ed eccessiva onerosità della prestazione debitoria a causa dell’epidemia di Covid – 19, ivi, pp. 73 – 79; X. XXXXXXXXXX, Covid – 19 e disfunzioni sopravvenute dei contratti. Brevi riflessioni su una crisi di sistema, ivi, pp. 87 – 93; X. XXXXX, Contratto, rinegoziazione, adeguamento, in Giur. It., 2020, fasc. 11, pp. 2433 – 2445; X. XXXXXXX, Contratto e covid-19: possibili scenari, in Banca, borsa e titoli di credito, 2020, fasc. 2, pp. 198
– 211; X. XXXXXXXX, Il Covid-19 nei contratti commerciali internazionali tra force majeure, material adverse change/effect e hardship, in Contr., 2021, fasc. 1, pp. 75 – 83
uniforme, in modo da permettere ai contraenti di comprendere in anticipo se a un certo
contratto si applicherà la disciplina “domestica” oppure quella uniforme33.
Nel contesto di questo lavoro, la natura “internazionale” di un contratto rileva su un piano extragiuridico, in quanto i problemi a cui cercano di dare risposta le clausole che si studieranno si pongono specialmente per gli accordi che presentano, «da un punto di vista fattuale e sociale, un collegamento con sfere territoriali sottoposte all’autorità di Stati diversi, nelle quali siano quindi in vigore sistemi giuridici differenti»34. Questa, dunque, sarà la nozione di “contratto internazionale” cui si farà riferimento nel prosieguo. A sua volta, il nesso tra l’accordo e ordinamenti giuridici differenti deriva da una peculiarità che è, prima che giuridica, economica: la circostanza che tali negozi regolano rapporti economici internazionali, le cui caratteristiche influenzano la struttura e il contenuto del contratto35.
Per comprendere perché le clausole di deroga alla patologia contrattuale vengano spesso incluse in contratti internazionali, al punto da essere spesso esaminate nel contesto delle trattazioni ad essi dedicati36, si devono considerare due particolari modi di atteggiarsi degli accordi in esame. Il primo è il contratto internazionale “standard” e “di massa”, destinato regolare una pluralità pressoché innumerevole di rapporti, spesso intercorrenti tra impresa e consumatori; il secondo è il contratto internazionale volto a regolare una specifica operazione commerciale, spesso di grande rilievo economico (c.d. contratto “tailor-made”) 37. Esempi di
33 X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXX, op. cit., pp. 102 – 106. È il caso dell’art. 1 della Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di beni mobili del 1980, che adotta un criterio soggettivo alla stregua del quale il carattere internazionale della compravendita dipende dalla circostanza che, al momento della stipulazione, venditore e compratore abbiano il proprio centro d’affari o stabilimento in due Stati diversi.
34 S. M. CARBONE, Autonomia privata, cit., p. 282. Similmente X. XXXXXXXX- X. XXXXXXXX, op. cit., pp. 105
– 106: preso atto dell’impossibilità di enucleare dal diritto positivo una definizione unitaria di “contratto internazionale”, si conclude per la necessità di riferisi alla prassi commerciale internazionale, allargandone la nozione a «ogni rapporto contrattuale non destinato ad esaurirsi, nei suoi elementi oggettivo o soggettivi, esclusivamente all’interno di un solo ordinamento statuale». Si vedano anche X. XXXXXXXXXX, Manuale di diritto commerciale internazionale, Vol. I Diritto dei contratti internazionali, III ed., Padova, 2009, pp. 123 ss. e S. M. CARBONE – X. XXXXXXXX, I contratti del commercio internazionale, in X. XXXXXXXX (diretto da), Trattato di diritto privato, Vol. XI, Torino, 1984, p. 117.
La natura transnazionale di un contratto potrà avere ricadute anche su altri aspetti: per es., X. XXXXXXXXXX, La patologia dei contratti internazionali, in Giur. comm.,1984, I, p. 1122, fa presente che difficilmente in ambito internazionale si porranno problemi di tutela del contraente debole da abusi del monopolista. Il rilievo, formulato nel 1984, tuttavia, non sembra più attuale, data la posizione pressoché monopolistica di diverse società multinazionali nel campo della tecnologia digitale.
35 X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXX, op. cit., p. 4: «il contratto è il vestito esterno che si dà a un rapporto di carattere economico (internazionale), è dalla individuazione degli elementi economici del rapporto che si vuole instaurare, dagli scopi che si prefiggono le parti, dai Paesi nei quali si vuole dare corso al rapporto contrattuale, che nasce la risposta del tipo di contratto, della sua struttura, dei suoi contenuti, dei soggetti da coinvolgere, delle precauzioni da adottare e così via».
36 V.di supra, nota 32.
37 La distinzione e alcuni degli esempi citati si possono trovare in M. J. XXXXXX, voce Contratti internazionali (tecnica di redazione dei), in Enc. Giur., Vol. IX, Roma, 1996. Per il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement: un contratto commentato, Torino, 2021, pp. 5 ss.
contratti del primo insieme sono la compravendita di prodotti fungibili o di serie, i contratti di trasporto, i contratti di licenza di software; esempi della seconda categoria sono il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie (c.d. sale and purchase agreement, o “SPA”), i contratti di costruzione e consegna di macchine o impianti industriali, gli appalti di opere civili, i contratti di assistenza tecnica38.
3.2.a. I contratti internazionali “standard”
Si consideri il contratto che regola i rapporti giuridici tra una società, specialmente multinazionale, e i suoi clienti/consumatori, collocati in Stati diversi.
In questo scenario, in capo alla società fornitrice di beni o servizi saranno ravvisabili una serie di interessi che danno ragione della previsione di alcune clausole sulla patologia contrattuale: si tratta dell’interesse a condurre una contrattazione efficiente e dell’interesse a non deludere le aspettative del mercato circa l’utilizzo di schemi contrattuali consolidati.
Quanto al primo, un’attività negoziale efficiente richiede l’adozione di modelli standard per accordi di contenuto omogeneo, che prescindano dalle particolarità dell’ordinamento di appartenenza del cliente39. Spesso, questa prassi sarà incentivata da precise direttive in tal
38 Come si può immaginare e come si vedrà diffusamente nel contesto dell’analisi delle singole clausole, la differenza tra contratti “di massa” e individuali rileva a diversi fini, soprattutto qualora la controparte dell’impresa sia un consumatore. A questo punto dell’esposizione, tuttavia, il discrimen riveste importanza solo in quanto per ciascuna categoria si pongono problemi specifici a cui i patti di deroga alla patologia contrattuale rispondono in maniera diversa.
39 X. XXXXXXX, Diritto ed economia alle soglie del nuovo millennio, in Contr. e impr., 2000, fasc. 1, p. 198: «la produzione in serie su scala planetaria esige una contrattazione altrettanto in serie. Sui mercati mondiali le imprese multinazionali, che controllano la produzione e la distribuzione su tutti i continenti, hanno bisogno di contrattare a condizioni uniformi. Ma i mercati mondiali si frantumano in una moltitudine di Stati, ciascuno con un proprio diritto nazionale». Spesso, addirittura, la legge applicabile al contratto non è nemmeno nota al momento della sua stesura, operata nella prospettiva di un possibile impiego tra parti di diversi Paesi: X. XXXXXXXXXX, Diritto dei contratti internazionali. Manuale, cit., p.
80. Inoltre, la dottrina comparatista ha sottolineato come in ogni singolo ordinamento siano all’opera più “formanti”, ossia componenti la cui interazione dà vita al diritto “vivo”: oltre ai formanti legali, esiste il formante giurisprudenziale e quello dottrinale e, all’interno di ognuno di essi, è possibile tracciare ulteriori distinzioni. Per avere contezza della possibile incidenza di un ordinamento sul contratto, quindi, non ci si può fermare al semplice studio della formulazione delle norme. Così X. XXXXX – X. XXXXX, Introduzione al diritto comparato, in X. XXXXX (diretto da), Trattato di diritto comparato, VII Ed., Vicenza, 2019, pp. 55 ss.; X. XXXXXXX - X. XXXXX, Sistemi giuridici comparati, IV Ed., Vicenza, 2018, pp. 3 ss.; X. XXXXX, voce Circolazione e mutazione dei modelli giuridici, in Dig. Disc. Priv.¸Sez. civ., Vol. II, Torino, 1989, pp. 367 ss.
senso emanate dalle società capogruppo alle filiali all’estero40. In questo modo, si possono conseguire diversi vantaggi41.
Il primo è l’abbattimento di costi di transazione42, che deriva dal non dovere elaborare una pluralità di schemi negoziali per contratti aventi a oggetto le medesime prestazioni, come avverrebbe se si scegliesse di adattare le condizioni dell’accordo allo “stile” in cui i contratti sono scritti nel Paese di appartenenza del cliente o alla disciplina ivi applicabile, per esempio con riferimento alle modalità di adempimento delle prestazioni e, per quanto più rileva in questa sede, alle conseguenze delle patologie negoziali43. Per esempio, un contratto di licenza di software stipulabile tramite l’accesso al sito del concedente si presta ad essere sottoscritto da soggetti provenienti da qualunque parte del pianeta: pertanto, l’impresa che volesse predisporre tanti modelli quanti i paesi di appartenenza del cliente, dovrebbe potenzialmente ricorrere a centinaia di schemi diversi, da redigere all’esito di altrettante consulenze legali.
La seconda ragione che spiega l’adozione di contratti standard è che, a valle della stipulazione del contratto, la scelta di schemi simili facilita la rendicontazione degli affari e dei ricavi, permettendo di ragionare per insiemi omogenei di operazioni senza dover considerare uno ad uno i singoli accordi.
Il terzo motivo, collegato al secondo, è che la costante adozione nel futuro di schemi già utilizzati in passato agevola la previsione dei ricavi derivanti da una certa attività, costituendo una costante all’interno del calcolo complessivo.
40 Ancora X. XXXXXXX, op. ult. cit., p. 199; ID., La globalizzazione nello specchio del diritto, Bologna, 2009, p.
59. X. XXX, La circolazione internazionale dei modelli contrattuali, in Contr. Impr., 1993, p. 476 e p. 480 ritiene che siano proprio le multinazionali il «grande motore» dei trasferimenti di schemi contrattuali oltre i confini degli ordinamenti di appartenenza.
41 Come segnala X. XXXXXXXXXX, La patologia, cit., p. 1122, in contesto internazionale i contratti standard hanno il significato di schemi predisposti dalle associazioni di categoria, e non solo di contratti per adesione, e vengono utilizzati anche per comodità e non solo per la prevalenza di una parte sull’altra.
42 D. M. XXXXX, A Course in Microeconomic Theory, Princeton, 2021, pp. 743 ss. definisce i costi di transazione come i costi in cui le parti incorrono per concludere un affare. Tali costi possono essere ex ante costs qualora vengano supportati prima della conclusione, come accade per le spese di trattativa e di redazione del contratto scritto, oppure ex post costs, sostenuti per «consummating and safeguarding the deal that was originally struck». Per considerazioni analoghe, G. L. RABITTI, Project finance e collegamento contrattuale, in Contr. Impr., 1996, 1, p. 225.
43 Come si vedrà meglio infra, para. 3.2.b., sussistono significative differenze tra lo stile di scrittura dei contratti tipico dei Paesi di common law e quello tipico dei Paesi di civil law. X. XXXXXXX – XXXX, International contracts, cit., pp. 3 ss. spec. pp. 20 ss., le riassume in breve: premesso che i sistemi di common law esaltano il valore della prevedibilità, mentre la tradizione di civil law considera in primo luogo la giustizia del contratto, declinata in diverse accezioni, questa diversità si traduce in una diversa incidenza della legge applicabile sull’accordo: nei Paesi di common law tale incidenza sarà bassa, in quelli di civil law più alta. Arrivando allo stile dei contratti, gli accordi di common law saranno redatti nel presupposto di tale minore ingerenza e, quindi, saranno più lunghi e dettagliati, con menzione espressa degli scopi del contratto e previsione di rimedi per l’inadempimento o eventi sopravvenuti, limitazioni di responsabilità etc... Al contrario, i contratti di civil law tenderanno a una maggior brevità, confidando sul soccorso di regole e principi previsti dalla legge applicabile.
Venendo al secondo ordine di ragioni a cui si accennava in apertura del presente paragrafo, oltre alle considerazioni di efficienza appena evidenziate, le imprese saranno spinte ad impiegare modelli uniformi anche per non deludere un’aspettativa in tal senso da parte di altri operatori economici.
Gli attori del mercato, infatti, nutrono una certa attesa circa l’utilizzo di schemi contrattuali ormai noti: in capo all’impresa predisponente sorgerà l’esigenza di non deludere questa aspettativa. Lo stesso potrà avvenire nei confronti degli istituti finanziari coinvolti a vario titolo in operazioni commerciali: il vaglio del merito creditizio dell’impresa potrà essere facilitato dall’impiego, da parte di quest’ultima, di schemi contrattuali già conosciuti e apprezzati dalla prassi44. Potrà anche accadere che sia l’ente finanziatore a fornire un modello di accordo per l’impresa finanziata, così contribuendo alla sua diffusione da parte di imprese diverse45.
Da ultimo, l’adozione di contratti standard è facilitata dalla presenza di formulari che raccolgono gli schemi più ricorrenti. Le imprese operanti tramite contratti internazionali, specie quelle di dimensioni meno considerevoli, saranno portate a valutare l’adozione dei contratti reperibili in queste opere, per diminuire ulteriormente i costi interni di redazione dei contratti-tipo46. Un’analoga opera di compilazione, particolarmente autorevole per la posizione del soggetto che la compie, è svolta anche dalle associazioni di categoria47.
In un certo senso, quindi, il fenomeno dell’impiego di schemi standard è incline ad auto- alimentarsi, anche sulla scorta dell’apprezzamento che un certo schema ha già conseguito in passato48.
Fino a questo punto si sono analizzate le ragioni che spingono all’adozione di modelli identici per gruppi omogenei di operazioni commerciali, senza prestare attenzione al contenuto di questi contratti. Ora, muovendo dal piano del “contenitore” a quello del
44 X. XXXXXXX – XXXX, Boilerplate clauses, cit., p. xxi.
45 X. XXXXXXX – XXXX, International contracts, cit, p. 2, fa l’esempio della European Bank for Reconstruction and Development (EBRD), che richiede l’utilizzo di contratti redatti nello stile di common law per le operazioni finanziate anche se gli enti che ne beneficiano, trattandosi di progetti nell’Est Europa, non appartengono alla tradizione giuridica anglosassone.
46 X. XXXXXXX – XXXX, International contracts, cit., p. 2.
47 M. J. XXXXXX, voce Contratti internazionali, cit., p. 1 ritiene insoddisfacenti questi strumenti, per il loro carattere unilaterale e l’inevitabile influenza esercitata «dai concetti giuridici dei rispettivi paesi d’origine». Ne sottolinea invece l’importanza X. XXXXXXXXXX, Diritto dei contratti internazionali. Manuale, cit., p. 71: per individuare i punti da disciplinare nel contratto sarà «assai utile, se non addirittura indispensabile, procedere all’analisi di eventuali modelli di contratto, dai quali si potranno trarre utili spunti per l’individuazione di problemi e soluzioni ricorrenti per i tipi contrattuali più diffusi a livello internazionale».
48 X. XXXXXXX – XXXX, Boilerplate clauses, cit., p. xxi.
contenuto, va osservato che una strategia che si arresti alla mera adozione di schemi identici non è in grado di assicurare una disciplina uniforme del rapporto, perché è anche necessario che il negozio contenga clausole in grado di limitare il più possibile l’influenza della legge applicabile. È necessario che il contratto sia “completo”49.
Infatti, la stipulazione di contratti regolati da condizioni uniformi è ostacolata dalla frammentazione dei mercati mondiali in più Stati, ciascuno dei quali dotato di un proprio diritto nazionale che si candida a disciplinare gli aspetti non previsti pattiziamente e, potenzialmente, ad invalidare clausole del contratto tramite le proprie norme inderogabili. Spesso, la legge applicabile non sarà nemmeno nota al momento della stesura del modello,
49 Si rende necessario un chiarimento circa l’utilizzo di questo aggettivo, che potrebbe sembrare l’inverso del contratto “incompleto” noto agli economisti e alla dottrina civilistica.
Senza nessuna pretesa di esaustività, ricorre un’incompletezza “in senso economico” quando l’accordo non specifica i diritti e i doveri delle parti in ciascuno dei possibili scenari (o “stati del mondo”) che si potrebbero verificare nel corso dell’esecuzione. La dottrina civilistica discorre invece di incompletezza “giuridica” quando l’accordo non disciplina alcuni aspetti del rapporto, è lacunoso. La prima nozione è alla base dell’economia neo- istituzionalista, che individua nel contratto il meccanismo fondamentale di regolazione delle transazioni economiche e ritiene inevitabile la sua “incompletezza” (in senso economico), come riflesso dell’altrettanto inevitabile razionalità limitata degli esseri umani. Questa imperfezione, sommata alla naturale inclinazione all’opportunismo delle parti, impedisce di superare eventuali circostanze impreviste semplicemente pattuendo ex ante un obbligo di rinegoziazione, poiché ogni tentativo risulterebbe frustrato dalla propensione a disattendere gli impegni presi per appropriarsi del vantaggio derivante dalla sopravvenienza. Oltre al fondamentale lavoro di O. E. XXXXXXXXXX, The Economics of Organization: The Transaction Cost Approach, in American Journal of Sociology, 1981, vol. 87, fasc. 3, pp. 548 – 577, spec. pp. 553 – 554 e ID., Transaction-Cost Economics: the Governance of Contractuale Relations, in Journal of Law & Economics, 1979, Vol. 22, fasc. 2, pp. 233-262, spec. 235 ss., si vedano, per esempio, X. XXXX, Il contratto “incompleto”, Torino, 2005, pp. 32 ss.; ID. voce Contratto incompleto, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., 2007, pp. 415 ss.; X. XXXXXXXXXXX, I contratti incompleti nel diritto e nell’economia, Padova, 2000, pp. 71 – 72; D. M. XXXXX, A course in Microeconomic theory, op. cit, pp. 568 - 570. Una possibile soluzione al problema è stata rinvenuta nell’elaborazione della teoria dei c.d. “relational contracts”, su cui si veda infra, para. 3.3.
Gli studiosi del contratto “incompleto” in senso giuridico, invece, si occupano dei problemi che sorgono quando la lacuna è frutto di una scelta dei contraenti. Per esempio, può accadere che le prestazioni siano difficili da individuare al momento della stipulazione, oppure sia necessaria una collaborazione che renda opportuna una certa flessibilità, oppure, l’incompletezza potrebbe servire per derogare a una disciplina legale inadeguata di gestione delle sopravvenienze: in questi casi, le parti potrebbero affidare ad un terzo, ad una di esse o a un loro accordo la determinazione successiva dell’elemento mancante, sia esso il prezzo o la prestazione caratteristica. I problemi che ne derivano riguardano, principalmente, la validità e l’efficacia del contratto incompleto e la tutela contro abusi della controparte. Si vedano X. XXXX, Il contratto “incompleto”, cit. e ID., voce Contratto incompleto, cit., pp. 413 ss. e 424 ss. per l’analisi di alcuni dei problemi citati; X. XXXXXXXXX, Il contratto
«incompleto», in Riv. dir. priv. 2008, fasc. 3, pp. 509 – 545, spec. pp. 518 ss. e 539 ss. per la disamina di alcuni punti problematici; X. XXXXXXXXXXX, op. cit.; X. XXXXXXXXX, Incompletezza e completamento del contratto, Milano, 2007;
X. XXXXXXXXX, Contratto completo e clausola di arbitraggio, in Riv. dir. civ., 2001, II, pp. 291 ss.
Così sintetizzati per sommi capi i termini del problema, e ricordato che, nel contesto che ci occupa, l’aggettivo “completo” è sinonimo di “autosufficiente”, si può concludere che la “completezza” di cui si è discorso è completezza giuridica, ossia la non-lacunosità dell’accordo. Nel contesto dei contratti “standard”, lo scopo di tale completezza è eliminare l’incidenza della legge applicabile per permettere una contrattazione a condizioni uniformi, più che disporre una particolare regolamentazione delle sopravvenienze o rendere il contratto flessibile. Invece, nel contesto dei contratti “tailor-made”, si vedrà come la completezza spesso serve a predisporre una disciplina efficace delle sopravvenienze: proprio uno degli obiettivi a cui può mirare anche il contratto incompleto.
destinato a essere impiegato con clienti di Paesi diversi50, oppure sarà di contenuto incerto51. Quindi, per ottenere la desiderata uniformità, non è sufficiente l’impiego di schemi che prescindano dalle peculiarità dei vari ordinamenti: è anche necessario che tali contratti contengano l’esaustiva disciplina del rapporto che ne deriva e che, in qualche modo, riducano il rischio dell’invalidità delle loro clausole. Il contratto non deve lasciare spazi all’applicazione del diritto nazionale: deve essere “autosufficiente”, “completo”, “delocalizzato”52, deve puntare a risolvere autonomamente i problemi che potrebbero sorgere escludendo le ingerenze dell’ordinamento in cui si inserisce53.
Il problema di limitare l’interferenza della legge applicabile permane anche qualora la lex contractus venga stabilita pattiziamente, tramite una clausola apposita: anche in questo caso, infatti, le parti potrebbero aver omesso un’indagine accurata circa il suo contenuto, né va trascurato che tale clausola non è in grado di impedire l’intervento delle norme di applicazione necessaria, ossia «disposizioni il cui rispetto è ritenuto cruciale da un paese per la salvaguardia dei suoi interessi pubblici, quali la sua organizzazione politica, sociale o economica, al punto da esigerne l’applicazione a tutte le situazioni che rientrino nel loro campo d’applicazione, qualunque sia la legge
50 X. XXXXXXXXXX, Diritto dei contratti internazionali. Manuale, cit., p. 80.
51 X. XXXXXXXXXX, Diritto dei contratti internazionali. Manuale, cit., p. 81, nota 6, che sottolinea anche le difficoltà di avvalersi di professionisti locali. Similmente anche X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXXX, Negotiating international contracts: does the process invite a review of standard contracts from the point of view of national legal requirements? in X. XXXXXXX – XXXX, Boilerplate clauses, op. cit., pp. 15 ss.: perplessità sul contenuto della legge potranno derivare da barriere linguistiche, indisponibilità di tempo e risorse, mancanza di giurisprudenza o da un quadro legale confuso, come avviene in alcuni Paesi del Medio Oriente.
52 Il termine è tratto da X. XXX, op. cit., p. 477.
53 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 774: il contratto viene «redatto in modo dettagliato fino al superfluo, punta a una self-regulation totale del rapporto tra le parti; ciò al fine di escludere ingerenze – attraverso integrazione e interpretazione – da aprte del sistema giuridico in cui il contraetto si inserisece»; X. XX XXXX, voce Contratti di impresa, in Enc. Dir., aggiornamento, Vol. IV, Milano, 2011, pp. 244-249; ID., I contratti di oggi e la necessità di un elenco condiviso di divieti e di clausole vietate: a proposito di armonizzazione del diritto europeo dei contratti, in Riv. dir. priv., 2007, p. 307; S. M. CARBONE, L’autonomia, cit., p. 288, p. 293: «i modelli maturati nella pratica del commercio internazionale offrono un quadro completo ed esaustivo di tutti gli aspetti dei rapporti contrattuali che intendono regolare, di cui si danno carico di garantire quella omogeneità e coerenza della relativa disciplina che la diversità delle fonti normative da cui dipendono non permettono. Si tratta di modelli tendenzialmente completi ed autosufficienti […]. La disciplina che ne risulta [prescinde] dall’applicazione di uno specifico ordinamento statale ed è idonea a ricevere identica valutazione nell’ambito dei vari sistemi giuridici nazionali». Così anche X. XXXXXXXXXX, Diritto dei contratti internazionali. Manuale, cit., p. 4 e pp. 79 ss.: il contratto internazionale «non si situa nell’alveo sciuro di un sistema normativo nazionale, e potrà essere sottoposto, a seconda delle circostanze, a legislazioni differenti […]. Tutto ciò introduce un elemento di incertezza sul quadro normativo, cui le parti tendono a porre rimedio attraverso la predisposizione di strumenti contrattual il più possibile distaccati dalle legislazioni nazionali, in grado cioè di reggere il confronto […] con qualsiasi normativa nazionale che possa risultare applicabile agli stessi». Si veda anche X. XXXXXXX, Contratti moderni. Factoring, franchising, leasing, in X. XXXXX (diretto da), Trattato di Diritto civile, I singoli contratti, Vol. IV, Torino, 2004, pp. 54-55.
applicabile al contratto” secondo le norme di conflitto», come recita l’art. 9, comma 1 del Regolamento
(CE) n. 593/2008, il Regolamento Roma I54.
È chiaro, allora, il ruolo svolto dalle clausole sulla patologia contrattuale in questi contesti: tramite il loro impiego, l’impresa predisponente cerca di rendere il contratto “impermeabile” alla disciplina nazionale in punto di nullità parziale e annullamento del contratto, per ottenere una disciplina uniforme delle patologie dei contratti stipulati. In particolare, tramite le clausole di scindibilità o inscindibilità, si tenta di minimizzare l’impatto invalidante delle norme inderogabili contenute nella legge applicabile o nelle norme di applicazione necessaria: con le prime, la nullità della singola clausola sarà circoscritta ad essa; con le seconde, si propagherà all’intero contratto, provocando la liberazione da un accordo non più rispondente a quanto inizialmente convenuto, a causa della caducazione di una sua clausola55. Attraverso di esse, il predisponente gestisce il rischio giuridico dell’incidenza di norme della legge applicabile la cui applicazione comporterebbe la nullità di una o più clausole del contratto-tipo. In questo modo, si riescono a risparmiare i costi che deriverebbero da un sistematico accertamento dello stato della legislazione di ogni Paese rilevante nella propria attività negoziale.
3.2.b. segue: l’influsso dello stile redazionale dei Paesi di Common law
Nel paragrafo precedente si è mostrato come le imprese che operano tramite la stipulazione “di massa” di accordi internazionali avvertano un forte bisogno di efficienza nella contrattazione. Si è visto come lo strumento per ottenere questo obiettivo sia l’adozione
54 Per un primo inquadramento generale si veda X. XXXXXX, voce Diritto internazionale privato (disposizioni generali), in Enc. dir., Agg. V, 2001, pp. 395-396; si vedano poi X. XXXXXX REGHIZZI, La «presa in considerazione» di norme straniere di applicazione necessaria nel regolamento Roma I, in Riv. dir. int. priv. proc., 2021, 2, pp. 291 ss., per alcune riflessioni circa i rapporti tra norme di applicazione necessaria e nullità del contratto, X. XXXXXX, Le norme imperative nel diritto internazionale privato, Zurigo, 1998, pp. 285 ss.; X. XXXXXXXXXXX, Clausole di individuazione della legge applicabile, in X. XXXXXXXXXX (a cura di), Clausole negoziali, Vol. I, Milano, 2017, pp. 1108 ss. Il rischio dell’intervento di una norma di applicazione necessaria è ben percepito da X. XXXXXXXX, “Severance” e nullità parziale del contratto, in AA. VV., A l’Europe du troisieme millenaire. Mélanges offerts a Xxxxxxxx Xxxxxxxx (Studi in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxxx), X. XX, Milano, 2004, p. 1160.
55 Per raggiungere la ricerca uniformità, l’elaborazione di condizioni generali identiche per Paesi diversi è da preferirsi rispetto al ricorso a convenzioni internazionali di diritto uniforme, che pur sembrerebbe una soluzione adeguata. Infatti, questi strumenti spesso presentano lacune su importanti aspetti di disciplina e, quindi, lasciano spazio all’applicazione dei criteri di diritto internazionale privato e alle norme dei diritti nazionali cui queste conducono; inoltre, sono esposti al rischio di interpretazioni divergenti nei vari Paesi e hanno scarsa capacità di adattamento: così M. J. XXXXXX, voce Contratti internazionali cit.; si veda anche X. XXXXXXX, op. ult. cit., pp. 198-199, che fa l’esempio della già segnalata Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale di cose mobili, lacunosa quanto alla disciplina del momento in cui il compratore acquista la proprietà del bene.
di condizioni contrattuali uniformi e si è potuto apprezzare come l’unico modo per raggiungere l’uniformità sia ricorrere a contratti autosufficienti, completi, dettagliati56.
In aggiunta a queste considerazioni, la presenza di clausole sulla patologia contrattuale si spiega anche perché la prassi internazionale è consolidata nell’impiego della tecnica redazionale tipica dei contratti dei Paesi di common law, in cui tali clausole sono frequenti57.
Questo successo è certamente dovuto alla particolare forza sul mercato di importanti imprese statunitensi e inglesi, che permette loro di imporre l’utilizzo di contratti elaborati secondo la propria tradizione giuridica58. Tuttavia, questo dato non è decisivo, in quanto la potenza di un operatore economico non comporta necessariamente che gli strumenti negoziali di cui si avvale siano efficaci e quindi si diffondano anche presso altri operatori. Piuttosto, va rilevato che la tecnica redazionale tipica dei Paesi di common law è risultata particolarmente adatta a rispondere alle esigenze di uniformità e completezza che si sono ricordate: lo stile contrattuale anglosassone è parso il più confacente ad assicurare un contratto “autosufficiente”59. Per dare conto di questo peculiare incontro tra l’esigenza di autosufficienza del regolamento contrattuale e lo stile di scrittura dei contratti diffuso presso i Paesi di common law, sembra utile ripercorrere in sintesi gli aspetti che hanno reso i contratti provenienti da questi sistemi giuridici così adatti ai bisogni del commercio internazionale “di massa”.
Il punto fondamentale è che, nei Paesi di origine, lo stile in cui vengono scritti i contratti è particolarmente dettagliato, specialmente se confrontato con quello dei Paesi appartenenti alla tradizione di civil law. Significativamente, parte della dottrina ha parlato di «due grandi
56 P. G. XXXXXXXX, Ripensare il contratto: verso una visione antagonista del contrato, in Riv. dir. civ. 2003, I, pp. 411 ss. vede nell’allungarsi dei testi contrattuali una delle caratteristiche del modello di contratto ivi definito “rude ma fluido”, perché incentrato sul testo, autonomo e atipico, che l’Autore contrappone al modello “rugiadoso”, basato sulla buona fede, gli obblighi di informazione, la cooperazione e la giustizia. Il primo modello, di stampo americano, sarebbe rispecchiato dalla prassi del nuovo millennio, mentre sul secondo si sarebbe soffermata la dottrina fino alla fine del ‘900. L’Autore conclude che è il primo modello a starsi “globalizzando”, determinando così un’“americanizzazione” del contratto. Questo perché tale concezione permette di prescindere dalle particolarità dei singoli ordinamenti e, quindi, è più funzionale alle esigenze della prassi. Si veda anche ID., I contratti di impresa e il diritto comunitario, in Riv. dir. civ., 2005, pp. 499 ss.
57 Queste ragioni valgono sia per i contratti internazionali “di massa” che per quelli “tailor made”, di cui al
paragrafo successivo.
58 M. C. XXXXXXX, op. cit., p. 20; P. G. MONATERI, Ripensare il contratto, cit., p. 419, su cui supra, nota 55. U. BRECCIA, Tempi e luoghi del diritto dei contratti, in I Contratti, 2018, 1, p. 15, osserva che uno degli scopi della riforma del Codice civile francese era proprio l’«intento di rendere appetibile un contratto domestico, in antitesi all’egemonia del “contratto alieno”». Per altre resistenze e perplessità a questo fenomeno, si veda infra, nota 154.
59 In sintesi, X. XXXXXXX – XXXX, International contracts, pp. 2 ss.: «when the contract is based on a Common law model, […] the contractual structure seems to exclude any interference».
modelli di drafting legal techniques»60. Tra le clausole inserite nell’accordo per renderlo il più completo possibile, oltre a preamboli, definizioni, esplicitazioni dello scopo delle parti, indicazioni dei momenti salienti delle trattative, clausole sull’interpretazione del contratto, spesso figurano i patti sulla patologia contrattuale61.
In questo capitolo introduttivo, sembra interessante soffermarsi brevemente sulle peculiarità degli ordinamenti di common law che concorrono a spiegare la scrittura di contratti così dettagliati e diversi da quelli a cui è abituato il civil lawyer. In sintesi, i fattori sembrano essere due: i ristretti poteri di cui gode il giudice in sede di interpretazione e integrazione del contratto e l’influenza della tecnica di redazione delle leggi che, in risposta alla tendenza delle corti ad interpretarle alla lettera, è anch’essa particolarmente curata e dettagliata62.
Soffermandosi sul primo dei due fattori appena citati, in primo luogo, dal punto di vista storico e in estrema sintesi, va considerato che la moderna sistematizzazione del diritto dei contratti di common law, avvenuta in Inghilterra a partire dal XVIII secolo63, non ha recepito la classificazione dei tipi contrattuali già operata dal diritto romano64, a causa della frammentazione ereditata dal sistema dei writs, che impediva la gerarchizzazione di concetti65. Tutt’ora, la classificazione continentale che separa i contratti tipici da quelli atipici non è contemplata dai manuali, perché i contratti “tipici” sono semplicemente quelli dotati di una disciplina a sé stante, anche di origine giurisprudenziale, e, quindi, trattati separatamente66.
60 Lo notano frequentemente gli autori che si sono occupati dei contratti internazionali, adottando quindi una prospettiva che permette di confrontare i due modelli: X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXX, op. cit., p. 107; X. XXXXXXXXXX, Diritto dei contratti internazionali. Manuale, cit., pp. 79-80; che contrappone l’atteggiamento di chi redige un contratto “interno”, facendo affidamento sulle norme suppletive, e di chi redige un contratto internazionale “autosufficiente”, che prescinda dalla legge applicabile. La tendenza a redigere contratti completi è accentuata nell’ambito dei contratti internazionali, proprio per le ragioni ricordate supra, para. 3.2. e come osservato anche da X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXX, op. cit., p. 108.
61 Ibidem e si vedano anche gli autori citati supra, nota 32.
62 X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXX, op. cit., p. 106, ove ulteriori riferimenti.
63 Nel periodo precedente, l’ottica a cui si guardava al contratto in un’ottica processuale e pratica, incentrata sulle azioni tipiche concesse contro l’inadempiente: all’inizio del 1400, tali rimedi erano il debt, per il recupero di somme di denaro; il detinue, per il recupero di una cosa determinata; il covenant, per azionare una promessa solenne e a difesa della proprietà fondiaria; l’account, con riferimento a debiti derivanti da rendite o merci vendute. Tale fase storica dell’evoluzione della law of contracts non rileva ai limitati fini di questa breve esposizione. Sul tema, si può fare riferimento a X. XXXXXX, voce Contract, in Enc. Giur., Vol. VIII, 1988; X. XXXX, voce Contratto nei sistemi di Common Law, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., Vol. IV, torino, 1989, pp. 153 ss.; X. XXXXXXX, Common law ed Equity in Inghilterra, in X. XXXXXXX – X. XXXXX, Sistemi giuridici comparati, in X. XXXXX (diretto da), Trattato di diritto comparato, III Ed., 2018, Vicenza, pp. 47 ss.; A. PADOA SCHIOPPA, Storia del diritto in Europa. Dal medioevo all’età contemporanea, II Ed., Bologna, 2016, pp. 221-237 e 395 ss.; X. XXXXXX, Common law. Il diritto anglo-americano, in X. XXXXX (diretto da), Trattato di diritto comparato, 1992, Torino. Tra gli autori in lingua, senza pretesa di esaustività, si vedano per esempio P. S. XXXXXX, Rise and Fall of Freedom of Contract, Londra, 1980; ANSON’S Law of contract, XXX Ed., 2016, Glasgow, pp. 10 ss.
64 X. XXXXXXX – XXXX, International contracts, cit., pp. 6 ss.
65 Così, in generale, X. XXXXXXX, op. cit., p. 67.
66 X. XXXX, op. cit., p. 158.
Di qui, una concezione dell’oggetto del consenso delle parti come riferito alle parole dell’accordo, che rimane impossibile da ricondurre a uno schema astratto dotato di una propria disciplina idonea a colmarne le lacune. Pertanto, è storicamente mancata la possibilità di riferirsi a norme “suppletive” proprie della disciplina di ciascun tipo, eccettuati alcuni interventi del legislatore come il Sale of Goods Act del 1893, ora in vigore nella versione del 1979 con successive modifiche, e il Supply of Goods (Implied Terms) Act del 1973.
In secondo luogo, dal punto di vista assiologico, il moderno diritto dei contratti anglosassone si è sviluppato in Inghilterra con particolare riferimento a settori, quali quello marittimo e finanziario, in cui sono più sentite le esigenze di prevedibilità delle decisioni giudiziarie e di esatta esecuzione di quanto pattuito, rispetto a quella di giustizia del contratto67. Tutt’ora è centrale, almeno nell’ambito commerciale, il principio della freedom of contract: le parti sono ritenute i migliori giudici dei loro interessi e, se il contratto è stato stipulato liberamente, l’unica funzione del diritto è farlo rispettare68. Corollari di questo principio sono la vincolatività del contratto, l’irrilevanza della maggiore forza contrattuale esercitata da un contraente sull’altro in sede di trattative, l’impossibilità di impugnare l’accordo lamentandone l’ingiustizia o la dannosità a livello sociale (salvi i casi di illegalità o contrarietà al buon costume), l’inammissibilità di integrazioni del contratto con previsioni pur ritenute ragionevoli (c.d. implication of terms), il favore per un’interpretazione letterale69. È forte la percezione che la politica del diritto possa, nell’ambito negoziale, incoraggiare lo sviluppo del traffico internazionale70.
L’approccio restrittivo all’implication of terms e la preferenza per l’interpretazione letterale dell’accordo contribuiscono a dare ragione della tecnica di redazione dei contratti tipica dei Paesi di common law.
Nei Paesi appartenenti a questa tradizione, il contenuto del contratto, inteso come l’insieme delle clausole pattuite, si distingue in express terms, implied terms, conditions, warranties, exclusion clauses71. Concentrandosi sui primi due elementi, mentre gli express terms sono le
67 X. XXXXXXX – XXXX, International contracts, cit., p. 4 e p. 8.
68 CHITTY On contracts, XXX Xx., Xxx. X, Xxxxxx, 0000, pp. 21 ss.; X. XXXXXXXXX – X. XXXXXX, Law of contract, VIII Ed., 2014, Oxford, p. 3. Per una disamina delle principali limitazioni del principio, ANSON’S Law of contract, XXX Ed., 2016, Glasgow, pp. 5 ss. L’Autore, tuttavia, conclude osservando che «English law and English judges still to a great extent proceed on the assumption that the parties are free to choose whether or not they will enter into a contract and on what terms».
69 CHITTY, op. cit., p. 22; ANSON’S, op. cit., p. 8, riconduce alcuni di questi corollari al principio, correlato alla freedom of contract, della sanctity of cotnract.
70 Homburg Houtimport B. V. v Agrosin Private Ltd (The Starsin) [2003] UKHL 12, [2003] 3 W.L.R. 711, § 57, citato da CHITTY, op. cit., p. 22.
71 X. XXXX, op. cit., p. 177.
affermazioni fatte dalle parti e incluse nell’accordo, verbale o scritto, gli implied terms sono clausole non esplicitate, ma ricavabili dal giudice per colmarne eventuali lacune72. Gli implied terms si distinguono in due sottocategorie: gli implied terms by statute, qualora la legge disciplini un “tipo” di accordo in cui ricade quello di specie (es.: la già ricordata legge sulla vendita73) e gli implied terms by the Courts. Questi ultimi, a loro volta, si ripartiscono in implied terms by fact, by law e by custom: si ricade nel primo caso quando viene richiesto l’inserimento di un particolare e dettagliato term; si avrà invece un term implied by law quando viene in rilievo un rapporto contrattuale ricorrente, rispetto al quale la giurisprudenza ha elaborato pattuizioni operanti come «default rules» e «as an incident of a particular type», salvo accordo contrario74. Da ultimo, ricorrerà un implied term by custom quando il term ricorra nella prassi locale o di un particolare settore commerciale. In ogni caso, il fondamento dell’eterointegrazione operata tramite l’implication è rinvenuto nella presunta volontà delle parti75.
Ciò che importa rilevare è che l’operazione di riempimento delle lacune mediante la tecnica degli implied terms by the Courts (statisticamente significativa, poiché sono rari i casi in cui vige uno specifico statute) è circondata da numerose cautele, dettate dalla preoccupazione che non sia il giudice a scrivere il contratto al posto delle parti76.
In sintesi, la regola generale in materia di implication by fact è che l’implication di uno specifico term dal contesto letterale e dalle circostanze del caso di specie non è ammessa solo
72 Per una lettura degli implied terms dal punto di vista del civil lawyer, X. XXXXXXX, Contratto e regole dispositive, in Riv. dir. civ., 2004, I, pp. 9-10, che li definisce come «contenuti regolativi impliciti in un contratto a titolo di naturalia negotii», con la precisazione che «con la locuzione implied terms si design[ano] effetti diversi che spaziano dalle clausole implicite nel singolo contratto e che quindi rappresentano una inferenza logica tratta dalla sua interpretazione, alle clausole che invece debbono inerire ad un particolare tipo di contratto al fine di conferire ad esso un senso ed, al limite, dotarlo della necessaria consideration». Si veda anche X. XXXXXXX, Il giudice italiano e l’interpretazione del contratto internazionale, Padova, 2000, pp. 417 ss., citato da X. XXXXXXX, op. ult. cit., nota 38.
73 Altri esempi di implied terms by statute si ritrovano nei contratti di fornitura di beni e servizi, nei contratti di lavoro, nei contratti tra landlord e tenant: si veda ANSON’S Law of contract, op. cit., p. 161 e CHITTY op cit., p. 985.
74 ANSON’S, op. cit., p. 161, pp. 166 ss. spec. p. 167, fa, tra gli altri, gli esempi del contratto di trasporto e dei contratti tra le imprese operanti in settori regolati e i consumatori, come i contratti di telefonia e di fornitura di elettricità. In giurisprudenza, Xxxxx v Bank of Credit & Commerce International SA [1998] AC 20, 45 (Xxxx Xxxxx); Crossley v Faithful & Xxxxx Holdings Ltd [2004] EWCA Civ 293, [2004] 4 All ER 447. Circa le varie distinzioni si veda anche X. XXXX – X. XXXXXXX, The law of contract, XXX Xx., Xxxxxx, 0000, p. 223.
75 Come riporta X. XXXXXXX, op. ult. cit., p. 10, citando il leading case The Xxxxxxxx (1889), 14 P.D. 64. La dottrina più recente ritiene artificiosa tale presunzione e conclude che, piuttosto, l’implication dipenda da considerazioni più generali, che portano le Corti a desumere certi contenuti impliciti in certi rapporti frequenti, salvo patto contrario: XXXXXX, op. cit., p. 986; ANSON’S, op. cit., p. 7, che sottolinea anche la frizione tra la dottrina degli implied terms e il principio della freedom of contract.
76 «The court will not make a contract for the parties», frase che si legge in Xxxxxxxx & Colls Ltd v. North West Metropolitan Regional Hospital Board [1973], 2 AII ER 260; ANSON’S, op. cit., p. 161: «in the absence of statutory provision the cases in which the Courts will imply a term into a contract are strictly limited: it is not their task to make contracts for the parties concerned, but only to interpret the contracts already made»; X. XXXXXXXXXX, Contract law, XI Ed., 2015, Croydon, p. 45.
perché il term invocato è “ragionevole” 77: deve essere, invece, necessario per dare un senso economico (“business efficacy”) al contratto78, oppure deve costituire l’intenzione ovvia, ma inespressa, delle parti (c.d. “officious bystander test”: un passante che intendesse suggerire quel term alle parti in trattativa si sentirebbe rispondere: “oh, ma certo!”)79. Ancora, più il contratto sarà dettagliato, o “rischioso”, o inusuale, più la Corte sarà diffidente verso l’implied term proposto80. Da ultimo, il term che si ritiene necessario od ovvio dovrà essere ragionevole, formulabile con sufficiente precisione, senza eccessiva complicazione o artificiosità e dovrà essere coerente con il resto del contratto81. Significativamente, in una recente pronuncia la Corte Suprema ha ribadito la necessità di un approccio restrittivo all’implication of terms by fact, rifiutando alcune interpretazioni più largheggianti avanzate da alcuni commentatori e giudici82.
Quanto all’implication of terms by law, la giurisprudenza adotta lo stesso approccio visto per l’implication by fact, anche se non mancano pronunce che ragionano in termini di ragionevolezza e non solo di necessità dell’implication83.
Infine, un orientamento particolarmente severo si rinviene con riferimento all’implication by custom: l’uso deve essere provato rigorosamente, deve essere “certo tanto quanto un contratto scritto”, noto, riconosciuto come legalmente vincolante, ragionevole e coerente con le pattuizioni espresse del contratto84.
77 CHITTY, op. cit., pp. 985 ss.; testualmente ANSON’S, op. cit., pp. 161 - 163: «the touchstone is always necessity and not merely reasonableness», citando Liverpool City Council x Xxxxx [1977] AC 239, 266 (Xxxx Xxxxxx-Xxxxxx). La manualistica più recente dà conto di un precedente che ha in parte variato l’approccio all’implication of terms: in AG of Belize v Belize Telecom Ltd [2009] UKPC 10, si è precisato che i due “test” della business efficacy e dell’officious bystander non sono altro che modi in cui la giurisprudenza ha provato ad esprimere l’idea centrale per cui il termine proposto deve esplicitare il significato ragionevole del contratto, letto nella sua interezza con riferimento al contesto rilevante. Sarebbe anzi pericoloso intendere le due formulazioni tradizionali «as if they had a life of their own». Per ANSON’S, op. cit., p. 164, la pronuncia ha il merito di aver fornito un fondamento razionale ai due test. Successivamente, in Marks and Xxxxxxx plc v BNP Paribas Services Trust Company (Jersey) Limited, [2015] UKSC 72, [2015] 3 WLR 1843, la Corte Suprema si è fatta carico di respingere le interpretazioni della pronuncia citata che l’avevano letta come un allargamento delle maglie del tradizionale approccio restrittivo all’implication of terms by fact. Nella dottrina italiana, X. XXXXXXXXX, Il contratto nel diritto inglese, 2001, Padova, pp. 131 ss.; G. L. XXXXXXX, op. cit., p. 234, nel contesto dell’analisi circa l’importazione del project finance in Italia.
78 Il leading case è The Xxxxxxxx (1889), cit., citato da tutti i principali manuali e riassunto da ANSON’S, op. cit., p. 162. Si veda anche X. XXXX – X. XXXXXXX, op. cit., p. 224.
79 ANSON’S, op. cit., p. 162; X. XXXX – X. XXXXXXX, op. cit., p. 224. Va precisato che un’implication di questo genere verrà accettata dalla Corte solo se entrambe le parti avrebbero ragionevolmente concordato sull’inclusione di quella pattuizione: pertanto, la conflittualità in sede di giudizio e i diversi motivi che le avevano mosse a trattare spesso osteranno all’implication.
80 ANSON’S, op. cit., p. 163.
81 Ibidem.
82 Marks and Xxxxxxx plc v BNP Paribas Services Trust Company (Jersey) Limited, di cui alla nota 56.
83 Es.: Crossley v Faithful & Xxxxx Holdings Ltd, §36, citata da ANSON’S, op. cit., p. 167, che conclude: «it does appear that a broader approach is taken».
84 ANSON’S, op. cit., p. 169, ove ulteriori riferimenti.
Dunque, salvo il caso in cui l’accordo sia riconducibile a uno dei contratti “tipizzati” dagli statutes o dalla giurisprudenza, sarà molto difficile ottenere la desiderata implication by fact. Questo consolidato orientamento restrittivo non potrà che incentivare le parti a redigere contratti dettagliati, che includano quante più pattuizioni possibili e permettano di risolvere autonomamente le principali questioni che potrebbero insorgere: è il caso, per esempio, dei preamboli, di resoconti di alcuni momenti salienti delle trattative, delle clausole sulla risoluzione per inadempimento o sulla nullità parziale.
Ancora, contribuisce alla redazione di accordi completi anche l’indirizzo tradizionale in punto di interpretazione dei contratti scritti, che si esprime nella parol evidence rule. Secondo questa regola, è vietato l’utilizzo di qualsiasi prova per aggiungere, modificare, o contraddire un testo scritto, a tutela della certezza circa il suo contenuto e in ossequio alla volontà delle parti di redigere il documento85: in questo modo, si ritengono evitabili «great inconvenience and troublesome litigation»86. Nonostante le numerose eccezioni87, tanto da portare di recente a dubitare della sua stessa xxxxxxx00, il canone ermeneutico ha comunque storicamente
85 X. XXXX – X. XXXXXXX, op. cit., p. 213; XXXXXX, op. cit., pp. 960 ss.; X. XXXXX, Textbook on Contract law, XXX Xx., Xxxxxx, 0000, p. 199. In giurisprudenza, Jacobs v Batavia & General Plantations Trust Ltd [1924] 0 Xx. 000, § 000; Xxxx xx Xxxxxxxxx x Xxxxxx [1897] A.C. 540, 545.
86 Xxxxxx v Travers (1832) 8 Bing. 244, citato da XXXXXX, op. cit., p. 961.
87 X. XXXX – X. XXXXXXX, op. cit., pp. 214 ss., ne individuano ben 12: le parti non intendevano il documento come esaustivo dei termini concordati; la prova è invocata per dimostrare la validità o invalidità dell’accordo (es.: l’assenza di consideration, una misrepresentation…); la prova mira a dimostrare l’esistenza di un implied term by law o, in alcuni casi, la pattuizione orale di una garanzia nella compravendita; si vuole dimostrare che il contratto non è ancora o non è più efficace; la prova serve per identificare le parti e le eventuali loro qualifiche; la prova intende dimostrare l’inadempimento di una promessa orale da parte del claimant che richieda la specific performance di un accordo scritto; la prova orale permette di chiarire parti ambigue o contraddittorie o prive di significato se prese alla lettera, salvi alcuni casi in cui la prova è comunque inammissibile; la prova riguarda un custom che si vuole fare oggetto di implication; l’extrinsic evidence serve per identificare la prestazione pattuita; la prova mira a dimostrare che il documento redatto per dare conto di un precedente accordo orale è infedele; la parte intende dimostrare l’esistenza di un collateral agreement stipulato in forma orale o che la consideration asseritamente nominal era in realtà substantial. Si veda anche CHITTY, op. cit., pp. 961 - 979. L’eccezione più criticata è la prima: si veda la nota successiva.
88 Nel 1986 è stato pubblicato un report di una Law Commission dedicata alla parol evidence rule. In questo documento, la commissione ha concluso che la prima eccezione alla regola citata alla nota precedente è tale da farla degradare a «no more than a circular statement»: se la parol evidence rule si applica solo quando le parti intendevano includere nel documento scritto tutti i termini del contratto, allora prima di tutto la prova di altre pattuizioni sarebbe irrilevante e quindi inammissibile, mentre le parti potrebbero sempre provare terms che, sebbene non inclusi nel documento, erano intesi come parte di esso. Non esiste una regola che vieta di contraddire un documento scritto tramite elementi esterni ad esso; esiste invece la regola che impedisce di contraddire un contratto scritto che sia stato concepito dalle parti come esaustivo della loro volontà negoziale: la questione, dunque, va impostata in termini di volontà delle parti, oggettivamente accertata. Si veda CHITTY, op. cit., pp. 962 – 963.
influenzato le tecniche di redazione dei contratti, incentivando anch’esso l’inclusione nel
documento di tutte le informazioni ritenute rilevanti89.
Tutte queste particolarità hanno portato, dunque, alla formazione di uno stile di redazione di accordi lunghi e dettagliati, naturalmente adatto a rispondere alle esigenze di completezza e uniformità avvertite dalle imprese che operano tramite la stipulazione “di massa” di contratti internazionali.
3.2.c. Contratti “tailor-made”
Come si accennava, ai contratti “di massa” si contrappongono i contratti “complessi”, destinati a regolare una specifica operazione e quindi definibili “tailor-made”90. In questo contesto, le clausole sulla patologia contrattuale svolgono funzioni ulteriori rispetto a quella di limitare l’influenza della legge applicabile, come avviene nei contratti standard. Questi accordi, infatti, spesso riguardano attività imprenditoriali di grande importanza, danno vita a collaborazioni di lunga durata, necessitano di investimenti specifici, sono oggetto di un particolare interesse da parte di terzi o portano ad assetti difficili da ripristinare, caratteristiche che si riverberano sulla modalità di condurre le trattative e, soprattutto, sul contenuto del contratto91.
Concentrandosi su quest’ultimo profilo92, le peculiarità appena menzionate si traducono in una forte esigenza di stabilità del vincolo negoziale, che incentiva le parti a limitare il più
89 Sembra significativo constatare che, anche dopo la relazione del 1986, i manuali e le sentenze da questi citate in nota continuano a dare conto dell’applicazione della regola. Per es., XXXXXX, op. cit., p. 963, nota 439 per diverse pronunce successive al 2000.
90 X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXX, op. cit., p. 111; tuttavia, come notano gli Autori, le clausole tipiche di questi contratti si possono ritrovare anche in alcuni contratti “di massa”, come in alcuni contratti tailor-made possono essere utilizzate clausole standardizzate. X. XXXXXXXXX, op. cit., pp. 11 ss., parla di «one-off contracts». Si veda anche M. J. XXXXXX, voce Contratti internazionali (tecnica di redazione dei), cit., p. 1, che parla di «transazioni individuali a struttura complessa e/o di durata».
91 Per X. XXXXXXX – X. XXXXXXX, Microeconomia, Bologna, 1997, p. 692, «un investimento è specifico a una certa attività se, una volta effettuato, ha un valore maggiore se utilizzato nell’ambito di tale attività rispetto a qualsiasi altro utilizzo alternativo». Un esempio di contratto che comporta investimenti specifici si ritrova in X. XXXXXXXXX, op. cit.,
p. 13: si trattava di un contratto di manutenzione della durata di 15 anni, in cui il committente si voleva riservare un diritto di recesso dietro breve preavviso e senza costi aggiuntivi. Il manutentore rifiutò di stipulare l’accordo perché un recesso repentino avrebbe vanificato gli investimenti da effettuare nella fase iniziale del rapporto, i cui costi sarebbero stati coperti solo dopo diversi anni.
92 Quanto alla negoziazione di contratti di questo tipo, X. XXXXXXXXX, op. cit., pp. 12 ss., ne descrive il procedimento: i contatti tra le parti iniziano usualmente con l’invio delle condizioni generali di contratto di una di esse; seguono diverse controproposte che, per la scarsa disponibilità di tempo e il tentativo di contenere la spesa per le trattative, generalmente riguardano solo alcune questioni selezionate. Le clausole meno rilevanti possono essere utilizzate come merce di scambio; potrà inoltre accadere che una parte insista per includere alcune previsioni senza preoccuparsi della loro vincolatività, al solo scopo di influenzare il comportamento della controparte (es.: riferimenti a codici di condotta). Nella maggior parte dei casi, le negoziazioni avvengono sulla
possibile gli eventi idonei a caducare l’accordo e a preferire rimedi tendenzialmente conservativi rispetto a quelli ablativi eventualmente previsti dalla legge applicabile93. In questo contesto, dunque, l’adozione di clausole sulla patologia contrattuale non è strumentale ad esigenze di uniformità della contrattazione, trattandosi di contratti relativi a una singola operazione, e, tendenzialmente, la legge applicabile è fatta oggetto di particolare attenzione94. Piuttosto, lo scopo delle clausole di irresolubilità, di rinuncia all’azione di annullamento del contratto, di severability è disporre di una disciplina adeguata delle patologie contrattuali. In altre parole, la completezza è in funzione di esigenze di efficienza del singolo rapporto, non della complessiva attività negoziale “di massa” e spersonalizzata dell’impresa95.
Per esempio96, nei contratti di engineering, la specificità degli investimenti effettuati da entrambe le parti rende particolarmente sconveniente la caducazione del contratto: il progetto elaborato dall’engineer sarà ritagliato sulle esigenze della controparte e, quindi,
base di informazioni incomplete, a causa di barriere linguistiche, difficoltà di accertamento della legge applicabile o per la mancanza di tempo e risorse. Per X. XXXXXXXXXX, Diritto dei contratti internazionali. Manuale, cit., pp. 69 ss., prima della negoziazione è opportuno informarsi sul quadro legale in cui si inserirà il contratto, individuare i punti da disciplinare convenzionalmente e identificare i margini di negoziazione relativi a tali punti. Lo stesso Autore, alle pp. 6 ss., elenca alcune difficoltà che potrebbe sperimentare l’avvocato abituato alla fase patologica del contenzioso e non a quella, fisiologica, della redazione del contratto. Tra queste, la circostanza che, normalmente, il ragionamento del legale si incentra sulla contestazione della narrazione altrui dei fatti e sulla prospettazione di una diversa ricostruzione in diritto: questo porta a concentrarsi sulla legge applicabile al caso di specie e non sulle soluzioni contrattuali adottabili e favorisce un approccio “negativo” e non costruttivo. 93 Significativamente, X. XXXXXXXXXX, La patologia, cit., p. 1111, afferma che «uno dei problemi più delicati del commercio internazionale è certamente quello della distribuzione tra le parti dei rischi derivanti dall’inesecuzione del contratto». X. XXXXXXXX, L’esclusività del rimedio nella regolamentazione contrattuale, in Contr., 2020, p. 205, afferma che «simili accorgimenti portano così ad emersione la reale convenienza del contratto in quanto […] addomesticare le conseguenze connesse a possibili evoluzioni […] contenendole entro argini prestabiliti, aiuta a definire la realtà giuridico-economica entro cui ci si muove ed a più adeguatamente apprezzarne i futuri risvolti; a tutto vantaggio di più solide convergenze e più sicuri investimenti». L’inadeguatezza dell’impianto rimediale codicistico rispetto ad esigenze di stabilità è ben riassunta da X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 1037: tale carenza si può manifestare o «nella descrizione delle fattispecie che danno luogo a qualche rimedio», o «nell’indicazione degli specifici rimedi che la legge prevede contro il contratto difettoso. I rimedi legali sono generalmente ablativi […] ma spesso questa soluzione non è appagante, perché l’efficace protezione degli interessi meritevoli di tutela coinvolti nel contratto, richiederebbe […] il suo mantenimento coi diversi contenuti necessari per ovviare al difetto che lo affligge: di qui la ricerca dei rimedi manutentivi, che salvino il contratto adeguandolo». A p. 967, l’Autore fa presenti le possibili «conseguenze “catastrofiche” della risoluzione», portando ad esempio i contratti necessari a operazioni «di lunga durata, tecnicamente complesse ed economicamente impegnative». Si vedano anche X. XXXXX – X. XX XXXX, Il contratto, T. 2, in X. XXXXX (diretto da), Trattato di Diritto Civile, III ed., Torino, 2004, p. 723 e, per alcune considerazioni sulla tendenza lla stabilità del contratto, X. XXXXXXXX, Le clausole limitative delle impugnazioni contrattuali, in X. XXXXXXX (a cura di),
Remedies in contract. The Common Rules for a European Law, Padova, 2008, pp. 179 ss.
94 Tuttavia, come osserva X. XXXXXXXXX, op. cit., pp. 11 ss., anche in questi contratti limiti di tempo e risorse potrebbero portare a circoscrivere il vaglio di compatibilità con la legge applicabile alle sole clausole ritenute principali. M. C. XXXXXXX, op. cit., pp. 30-31, tuttavia, rileva che un accertamento superficiale della legge applicabile potrebbe portare a situazioni inattese in caso di lite davanti a un arbitro o a un giudice statale. 95 Alla stessa esigenza rispondono anche le clausole che prevedono la rinegoziazione del contratto a fronte
di sopravvenienze che rendano più gravosa l’esecuzione del contratto: è il caso, per esempio, delle hardship clauses, che tuttavia esorbitano dall’ambito di indagine di questo lavoro. Per alcune indicazioni all’interno della vasta letteratura in materia, si veda supra, nota 32.
96 Gli esempi che seguono sono tratti da F. DELFINI, Autonomia privata e risoluzione del contratto per inadempimento, in NLCC, 2014, fasc. 3, pp. 570 ss.; si veda anche F. XXXXXXX, I xxxxx, cit., pp. 11 ss.
difficile da riutilizzare. In vista delle innovazioni che apporterà l’engineer, invece, l’impresa del committente potrebbe aver ormai subito trasformazioni irreversibili97. La disciplina predisposta dalle associazioni di categoria riflette questa particolarità e cerca di evitare lo scioglimento del contratto in caso di inadempimento o sopravvenienze98.
Similmente, nei contratti di outsourcing le funzioni esternalizzate dal committente sono state ormai dismesse, tramite un procedimento reversibile solo ad alto prezzo; l’outsourcer, invece, ha parametrato la propria organizzazione sui bisogni del primo, perdendo così la flessibilità necessaria a reagire a un’improvvisa interruzione del rapporto99.
Un altro esempio è dato dalle operazioni di factoring, dove il cessionario ha interesse al mantenimento dei contratti stipulati dal cedente da cui derivano i crediti ceduti, in modo da poter incassare i relativi pagamenti100. Infatti, si ritiene che il debitore ceduto possa opporre al cessionario (il factor) l’avvenuta risoluzione del contratto da cui era sorto il credito ceduto, purché trovi fondamento in fatti precedenti alla conoscenza della cessione da parte del debitore ceduto. Quanto ai vizi genetici, per l’opinione prevalente il debitore ceduto può opporre in ogni caso l’annullamento del contratto o la sua annullabilità101. Pertanto, la
97 Con il termine “engineering” si definiscono in realtà diversi contratti, irriducibili ad un unico tipo. Sulla scorta della prassi, la dottrina distingue tra consulting engineering e commercial engineering: nel primo caso, l’engineer si impegna ad analizzare, progettare e installare insediamenti industriali o impianti. Nel secondo caso, il soggetto si obbliga anche all’esecuzione dell’opera e, a volte, alla sua gestione. La divisione è tuttavia sfumata: si vedano
X. XXXXXXXXX, voce Engineering, in Enc. Giur, Vol. XII, Roma, 1989, p. 1; G. DE NOVA, voce Engineering (contratto di), in Dig. Disc. Priv., sez. comm., Vol. V, Torino, 1990, p. 241; X. XXXX, I contratti di «engineering», in Tratt. Xxxxxxxx, Vol. XI, Torino, 1983, pp. 71 ss. Specificamente sugli strumenti alternativi alla risoluzione per inadempimento,
X. XXXXX, La disciplina e gli strumenti alternativi allo scioglimento del contratto di engineering, in G. DE NOVA (a cura di) Recesso e risoluzione nei contratti, Milano, 1994, pp. 536 ss.
98 F. DELFINI, Autonomia privata, cit., p. 570.
99 Con il termine “outsourcig”, secondo F. XXXXXXX, I xxxxx, cit., p. 12, nota 6, si designa una tecnica di gestione imprenditoriale che consiste nel ricorso a fonti esterne all’impresa per lo svolgimento di attività prima eseguite con risorse interne. Tale risultato si può ottenere tramite contratti diversi, come la somministrazione e l’appalto. Si xxxxxx X. XXXXXXX, voce Outsourcing (diritto privato), in Dig. Disc. Priv., sez. civ., agg. 2003, T. 2, pp. 992 ss. e
X. XXXXXXX, I contratti di «outsourcing» della manutenzione, in I Contratti, 1997, pp. 522 ss., spec. p. 529, per ulteriori riferimenti e l’osservazione che la lunga durata del contratto di manutenzione e la necessità di non interromperlo anzitempo portano all’esigenza di escludere la facoltà di cui all’art. 1460 c.c. Come nota F. XXXXXXX, I patti, cit.,
p. 13, nota 6, le stesse considerazioni giustificano una clausola di irresolubilità.
100 X. XXXXXXX, op. cit., pp. 64 – 65 definisce il factoring come «un accordo in virtù del quale un imprenditore cede, o si obbliga a cedere a titolo oneroso i propri crediti commerciali a un operatore specializzato (il factor), il quale s’impegna verso corrispettivo a fornire una serie di servizi aventi contenuto differenziato, tra cui d’abitudine rilevano la gestione, la contabilizzazione e l’esazione dei crediti ceduti».
101 La l. n. 52/1991 non ha disciplinato il regime delle eccezioni opponibili da parte del debitore ceduto, pertanto, si deve fare riferimento alle norme generali in tema di cessione del credito. Tuttavia, nemmeno il codice civile regola specificamente questo aspetto. Al riguardo, il principio accolto dagli interpreti è che il debitore ceduto non può essere pregiudicato dalla cessione e deve quindi poter opporre al cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto sollevare contro il cedente. Quanto alle eccezioni fondate sul rapporto originario, la regola generale è che «il mutamento della titolarità del credito, se non comporta una modificazione oggettiva del rapporto – come appunto accade per definizione nella cessione – deve tendenzialmente lasciare quanto più possibile inalterata sia la posizione
previsione di clausole che limitino il rischio di caducazione dei contratti facenti capo a un’impresa renderà più agevole la cessione a un factor dei crediti che ne derivano, poiché questi sarà sottratto dal rischio di vedersi eccepita la risoluzione o l’annullamento del contratto da cui è sorto il relativo credito102. In questo caso, quindi, l’esigenza di stabilità non deriva dalla presenza di investimenti specifici, quanto dall’interesse di un soggetto estraneo alle parti del contratto in cui è prevista la clausola sulla patologia contrattuale.
Un analogo interesse alla stabilità del rapporto instaurato tra altri soggetti si rinviene anche nelle operazioni di project financing, dove l’esigenza ricorre quanto ai contratti di fornitura di beni o servizi stipulati dalla società finanziata con i propri clienti: solo mantenendoli fermi, infatti, è possibile assicurare continuità ai flussi di cassa che le permettono di rimborsare al finanziatore quanto ricevuto103.
Ancora, un interesse al mantenimento del contratto si ravvisa nelle compravendite di partecipazioni societarie104. Dal lato del venditore, in caso di caducazione, la restituzione delle quote o azioni potrebbe essere di scarso interesse, qualora la società avesse subìto operazioni straordinarie in vista della vendita o dopo di essa e, quindi, le partecipazioni riguardassero
del debitore ceduto sia quella del nuovo creditore rispetto all’originaria del dante causa», come ricorda X. XXXXXXXXXXX, voce Cessione dei crediti, in Enc. Giur., Vol. VI, Roma, 1988, p. 15 e, similmente, X. XXXXXXX, op. cit., p. 130. Pertanto, il debitore ceduto potrà eccepire al cessionario la risoluzione del contratto per inadempimento, se l’inadempimento si è verificato prima della conoscenza della cessione, e potrà eccepire sempre le eccezioni di nullità, annullabilità, rescindibilità. Non rileverebbero nemmeno gli artt. 1445, 1452 e 1458 c.c. che predispongono una tutela per il terzo che abbia acquistato diritti in buona fede, come potrebbe essere il cessionario. Così X. XXXXXXX, op. cit., p. 135; G. DE NOVA, voce Factoring, in Dig. Disc. Priv., sez. comm., Vol. V, Torino, 1990, p. 359. A. A. DOLMETTA, voce Cessione dei crediti, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., Vol. II, Torino, 1988,
p. 322, sembra richiedere che il contratto originario sia già stato annullato o rescisso, ferma l’irrilevanza delle
tre norme citate. Contra, per una differenziazione delle varie ipotesi, X. XXXXXXXXXXX, Della cessione del credito, in
X. XXXXXXXX – X. XXXXXX, Commentario del codice civile, Artt. 1260 – 1267, Bologna – Roma, 1982, pp. 215 ss. Pare ritenere applicabili gli artt. 1445, 1452 e 1458 c.c. X. XXXXXX, Il trasferimento del credito. Artt. 1260 – 1267, in X. XXXXXXXXXXX (fondato da) – X. XXXXXXXX (diretto da), Il Codice civile. Commentario, Milano, 2014, p. 242.
102 L’orientamento tradizionale nega la possibilità di far valere la risoluzione in via di mera eccezione: pertanto, il debitore ceduto potrebbe opporre l’inadempimento del cedente ex art. 1460 c.c. o la già avvenuta risoluzione del contratto, non la sua mera risolubilità. In generale, si vedano C. M. BIANCA, La responsabilità, in Diritto civile, III Ed., Milano, 2021, p. 302, nota 97: la ragione dell’impossibilità di far valere la risoluzione in via di eccezione sarebbe che «essa tende a mutare la situazione sostanziale (il rapporto contrattuale)» e X. XXXXXXXX, L’atto unilaterale di risoluzione per inadempimento, in F. D. BUSNELLI – X. XXXXX – V- XXXXXXX – X. XXXXX (diretto da), Studi di diritto privato, Torino, 2013, p. 262, favorevole all’eccezione di risoluzione: l’orientamento negativo deriverebbe dall’assunta natura giudiziale della risoluzione, mentre l’orientamento positivo sarebbe diffuso presso i sostenitori della natura sostanziale dell’atto risolutivo. Nello stesso senso, Cass. civ. 21230/2009.
103 I rischi connessi alle operazioni di project financing sono esposti analiticamente da T. V. RUSSO, Il project financing, in X. XXXXXXXXXXX (diretto da), Trattato di diritto civile del CNN, Napoli, 2007, pp. 249 e, per quanto qui rileva, spec. p. 262. Si veda anche G. L. XXXXXXX, op. cit., p. 227.
104 X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Milano, 2007, pp. 482 – 483; X. XXXXXXXXXXX, Compravendita di partecipazione sociale e garanzie del venditore, in Not., 2012, fasc. 2, p. 208, che traccia un paragone con i problemi che si pongono in caso di invalidità della fusione, che hanno spinto il legislatore a prevedere espressamente il solo rimedio risarcitorio ex art. 2504-quater c.c.; G. DE NOVA, Il sale and purchase agreement: un contratto commentato, Torino, 2021, p. 197.
ormai un ente diverso. Quanto alla controparte, la perdita della partecipazione acquistata potrebbe frustrare gli investimenti specifici effettuati dal compratore, in quella società o in altre del gruppo. Da ultimo, porre nel nulla l’operazione potrebbe pregiudicare gli interessi dei finanziatori dell’acquirente, che potrebbero aver contato sulla redditività della società bersaglio per la restituzione del prestito erogatogli. Non sembra quindi che la risoluzione del contratto (o il suo annullamento) risulti sempre desiderabile105.
Su un piano diverso, un bisogno di stabilità ricorre anche rispetto ai contratti con i quali il socio si vincola ad eseguire prestazioni accessorie dovute in virtù di clausole sociali ex art. 2345 c.c. In questi casi, sussiste per entrambe le parti un interesse alla conservazione del contratto con cui vengono apportate le prestazioni accessorie, per non far venir meno improvvisamente il contributo del socio. Lo stesso art. 2345 c.c. consente di prevedere
«particolari sanzioni» per l’inadempimento: interpretando la norma come attributiva di un’ampia facoltà di disciplinare convenzionalmente la mancata esecuzione, si potrebbe concludere per la possibilità non solo di istituire sanzioni, ma anche di escluderle, per esempio precludendo la risoluzione dei contratti stipulati per provvedere alle prestazioni accessorie106. Una clausola simile potrebbe anche rispondere alla necessità di rimediare, almeno in parte, alle incertezze circa la disciplina applicabile in assenza di indicazioni nella clausola sociale107.
D’altronde, anche il legislatore sembra essere consapevole del fatto che il rimedio caducatorio può, in alcuni casi, risultare controproducente: lo si desume dalle norme che
105Si vedano anche le considerazioni che saranno compiute infra, para. 4, circa la preferibilità, in questi casi, di rimedi manutentivi.
106 Per X. XXXXXX XXXXXXXXXXX – X. XX XXXXXXXX (a cura di), I conferimenti nelle società per azioni. Acquisti “pericolosi”. Prestazioni accessorie. Artt. 2342 - 2345 in X. XXXXXXXXXXX (fondato da) – F. D. BUSNELLI (diretto da), Il Codice civile. Commentario, II Ed., Milano, 2015, p. 560, la previsione di sanzioni per l’inadempimento non è condizione di validità della clausola dell’atto costitutivo che preveda lo svolgimento di prestazioni accessorie. Infatti, la norma permette di includere «particolari» sanzioni, lasciando intendere che, in difetto, si applicherà una disciplina generale. Contra, Trib. Perugia, 4 marzo 1997, in Rass. Giur. Umbra, 1998, p. 474, citato dall’Autore in nota 125. In generale sulle prestazioni accessorie, si vedano anche A. BARTALENA, Le prestazioni accessorie, in X. XXXXXXX - G.B. PORTALE (diretto da), Trattato delle società per azioni, Torino, 2004, Vol. 1, T. III, pp. 803 ss.; X. XXXXXX, Prestazioni accessorie ad azioni o quote di società: appunti sulla propagazione di un modello legislativo, in Riv. dir. soc., 2015, fasc. 4, pp. 700 ss.; G. B. PORTALE, Azioni con prestazioni accessorie e clausole di riscatto, in Riv. dir. soc., 1982, pp. 763 ss.;
107 È discusso se, in caso di inadempimento (dei soci o della società) e in assenza di indicazioni nella clausola ex art. 2345 c.c., si debba applicare la disciplina comune in tema di inadempimento contrattuale o quella societaria in tema di inadempimento all’obbligo di eseguire i conferimenti. Per A. PISANI MASSAMORILE, op. cit., pp. 561 ss., ove ulteriori riferimenti, è decisivo osservare che l’obbligo di prestazione accessoria «nno equivale a quello di conferimento». Pertanto, sono inapplicabili le sanzioni societarie avverso l’inadempimento dei conferimenti, come quella prevista dall’art. 2344 c.c. e l’esclusione ex art. 2286 c.c. Tra le sanzioni particolari, l’Autore suggerisce la previsione di una clausola di riscatto, facoltativo o obbligatorio, delle azioni.
assoggettano la risoluzione del contratto per inadempimento a requisiti più alti che la generale
“non scarsa importanza” richiesta dall’art. 1455 c.c.108.
Significativamente, l’art. 1668, comma 2 x.x. xxxxxxxxx xx xxxxxxxxxxx xxx xxxxxxxxx xx xxxxxxx xxxx xxxxxxxxxxx che «le difformità o i vizi dell’opera siano tale da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione»: infatti, la caducazione del contratto di appalto pone nel nulla i costi sostenuti per scegliere l’appaltatore, spesso rilevanti, e attribuisce a questi un’opera difficilmente ricollocabile sul mercato, vuoi perché è estraneo alla compravendita di quei beni, vuoi perché la cosa era stata realizzata secondo particolari specifiche tecniche richieste dal committente109. Ancora, l’art. 1564 c.c. subordina la risoluzione del contratto di somministrazione per l’inadempimento di singole prestazioni alla circostanza che esso rivesta una «notevole importanza» e sia tale da «menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti». L’inasprimento del requisito generale di cui all’art. 1455 c.c. si spiega con le ripercussioni che la caducazione del rapporto può avere sull’organizzazione e i processi produttivi di entrambe le parti: il somministrante avrà predisposto la sua attività in funzione dell’esecuzione del contratto e il somministrato (imprenditore o consumatore) avrà riposto fiducia nella
108 F. XXXXXXX, I xxxxx, cit., pp. 64 ss. cita alcune di queste ipotesi per mostrare «l’inessenzialità del rimedio risolutorio nella attuazione del rapporto». Si veda anche X. XXXXXXXXX, Il contratto irresolubile o quasi. Profili di sostenibilità della clausola «exclusive remedy» nell’economia delle parti, in Contr. Impr., 2016, pp. 1029 ss., che cita alcune norme da cui si desume un «generale favore del nostro ordinamento per la conservazione del rapporto contrattuale anche in caso di inadempimento». Nei casi riportati dall’Autore, la risoluzione del contratto è esclusa (artt. 728, 1878 e 1976 c.c.) o disincentivata, poiché offerta in alternativa ad un altro rimedio (artt. 1492, 1578 c.c.), o concepita come ultima azione esperibile (art. 130 d.lgs. 206/2005), o subordinata a una particolare gravità dell’inadempimento (artt. 1668, 1480, 1489, 1486, 1564 c.c.; art. 40 d.lgs. 385/1993). A ben vedere, la preoccupazione che la risoluzione del contratto possa essere utilizzata in maniera strumentale emerge già dal requisito della “non scarsa importanza” ex art. 1455 c.c., che impedisce di porre nel nulla il contratto sulla base di una qualsiasi violazione, anche lievissima, delle obbligazioni a carico delle parti.
109 Così X. XXXXXX – X. XXXXXX, Dell’appalto. Art. 1655 – 1677, X. XXXXXXX (a cura di), Commentario del codice civile Scialoja – Branca, Bologna – Roma, 2007, p. 432: «la cosa rischierebbe di rimanere inutilizzata e sprecata presso [l’appaltatore]»; tuttavia, gli Autori giudicano la formula in commento troppo restrittiva, da correggere, quindi, con una «notevole interpretazione estensiva» (p. 429). Nello stesso senso anche X. XXXXXXXXX, La responsabilità dell’appaltatore, in X. XXXXXXX (a cura di) I contratti di appalto privato, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX (diretto da), Trattato dei contratti, Vol. XVIII, Trento, 2011, pp. 328 – 329 e F. XXXXXXX, op. ult. cit., p. 64; per un commento generale X. XXXXXXXX, Xxxxxxx, in X. XXXXXXXXXXX (diretto da), Trattato di diritto civile del CNN, Napoli, 2015, pp. 293 ss., con ampie citazioni giurisprudenziali: la giurisprudenza ritiene insufficienti vizi agevolmente eliminabili ma anche vizi che limitano in modo stabile il godimento del bene senza però pregiudicarne in assoluto la destinazione. X. XXXXXXXXXX, Il contratto di appalto, in X. XXXXXX (a cura di) Il diritto privato oggi, Milano, 2002, pp. 141-142.
prosecuzione della prestazione promessa110. Sussiste quindi un particolare interesse alla stabilità del contratto111.
Sono poi previsti altri casi in cui la risoluzione per inadempimento sottostà a particolari requisiti o, addirittura, è esclusa. Occorre precisare, tuttavia, che la ragione di queste discipline speciali non sembra essere la tutela degli investimenti specifici e dell’organizzazione dei contraenti che è alla base degli artt. 1668, comma 2 e 1564 c.c. e che porta all’inclusione delle clausole sulla patologia contrattuale nei contratti internazionali112.
110 In questo senso, chiaramente, L. F. DEL MORAL XXXXXXXXX, La somministrazione di cose, in X. XXXXXXXX
– A, X. XXXXXXX (a cura di) I contratti di somministrazione e di distribuzione, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX (diretto da), Trattato dei contratti, Vol. XVII, Trento, 2011, p. 604, ove ulteriori citazioni. Si veda anche X. XXXXX, La somministrazione, in X. XXXXXXX, Contratti commerciali, in X. XXXXXXX (diretto da), Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, Vol. XVI, Padova, 1991, p. 331, spec. nota 36. Per X. XXXXXXX, Del contratto estimatorio e della somministrazione. Art. 1556 – 1570, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXX, Commentario del codice civile, Bologna – Roma, 1970, p. 148, la norma si spiega per la prevalenza dei fini unitari del contratto sulla pluralità delle varie prestazioni. In generale sulla somministrazione, X. XXXXX – X. XXXXX, Somministrazione e permuta, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu – Messineo, Milano, 2017, pp. 90 ss.: il giudizio partirà da caratteri oggettivi dell’inadempimento per «approdare a corollari di ordine soggettivo» e sarà slegato da «una valutazione di colposità o dolosità dell’inadempimento».
111 X. XXXXXXXX, Eccezioni dilatorie e risoluzione del contratto per inadempimento nel contratto di somministrazione, in Riv. trim. dir. proc. civ.¸1981, pp. 419 ss., osserva che questa esigenza di stabilità potrebbe mancare ove sia facile reperire altrove le ulteriori prestazioni, presso operatori più affidabili. In questi casi, l’aggravio del requisito di gravità dell’inadempimento potrebbe risultare inefficiente.
112 Per esempio, l’art. 793, comma 4 c.c. ammette la risoluzione della donazione per inadempimento dell’onere solo se tale possibilità sia stata espressamente pattuita: per C. M. XXXXXX, La responsabilità, cit., p. 282, la norma evita che una previsione, di regola, secondaria possa travolgere l’attribuzione fatta per spirito di liberalità, mentre la risoluzione è permessa in modo da fornire un rimedio qualora questo sia stato il motivo principale della donazione. Tuttavia, qualora il valore dell’onere equivalga a quello della donazione, il contratto sarà a titolo oneroso e si applicheranno le normali regole in tema di risoluzione per inadempimento. Più in dettaglio si veda anche A. A. CARRABBA, Donazioni, in X. XXXXXXXXXXX (diretto da), Trattato di diritto civile del CNN, Napoli, 2009, pp. 541 ss., spec. 544, che ritiene necessario valutare caso per caso la natura corrispettiva dell’onere: ove presente, sarebbe possibile la risoluzione per inadempimento da parte del donante e per impossibilità ed eccessiva onerosità sopravvenute da parte del donatario.
Un caso in cui la risoluzione è esclusa è l’art. 1878 c.c. in tema di rendita vitalizia, segnalato da F. XXXXXXX, I xxxxx, op. cit., p. 66. La ratio della norma non è chiara: X. XXXXXXXX, La rendita vitalizia, in X. XXXXXXXX (diretto da), Trattato di diritto civile italiano, Vol. VIII, T. 3, fasc. 4, III Ed., Torino, 1958, pp. 68 ss., ricostruita l’origine storica, dubita della razionalità della disposizione, che si spiegherebbe per l’onerosità e dannosità della risoluzione per il debitore della rendita: «l’arricchimento del vitaliziato potrebbe risultare soverchio perché ordinariamente ogni annualità della rendita eccede la misura dell’interesse e contenendo, perciò, una parte del capitale, estingue gradualmente, di anno in anno, il valore del corrispettivo ricevuto dal vitaliziante per la costituzione della rendita». Tuttavia, «rimane pur sempre la difficoltà di conciliare il vigente art. 1878 c.c. con l’opposto principio di cui all’art. 1877». La norma è certamente derogabile tramite una clausola risolutiva espressa, come fatto presente dall’Autore a p. 205, ove ulteriori citazioni. Per X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 1031, la caducazione del vincolo danneggerebbe anche lo stesso vitaliziato, presumibilmente non in grado o non intenzionato ad amministrare il bene che era stato trasferito al vitaliziante e così costretto a reperire un altro contraente.
Un'altra ipotesi di esclusione della risoluzione, salvo patto contrario, si ha nell’art. 1976 c.c., in tema di transazione novativa. La ratio della norma non è certa, in conseguenza dell’incertezza circa la nozione di “transazione novativa”. La Relazione al Re del codice del 1942, n. 773, motiva la disposizione per l’incompatibilità tra reviviscenza del rapporto originario e volontà di estinguerlo; tuttavia, la derogabilità della regola contrasta con questa ritenuta incompatibilità ontologica: così X. XXXXXX, La transazione, in X. XXXXX (diretto da), Trattato di diritto civile, Milano, 2014, pp. 162 – 165. Al tema è dedicata l’opera monografica di X. XXXXXXX, La risoluzione della transazione novativa, Milano, 2005. Si veda poi X. XXXXXXXX, La transazione novativa,
È poi certamente possibile che un contratto “tailor-made” venga negoziato e concluso a partire da un modello standard diffuso in un certo settore commerciale, potendosi ravvisare anche in questo contesto valide ragioni per seguire questa strategia: avvantaggiarsi di una base comune per la discussione tra le parti, risparmiare le spese di redazione adottando modelli predisposti da associazioni di categoria (così riducendo i costi di transazione)113, facilitare l’esame dell’operazione da parte di istituti di credito, rispondere a richieste in tal senso da parte della società controllante; tuttavia, ciò non toglie che il contratto sarà destinato a disciplinare un’operazione una tantum.
in X. XXXXXXX (diretta da), Le monografie di Contratto e impresa, Milano, 2020, pp. 84 ss. spec. 99: la ratio sarebbe
«assicurare la definitività e l’incontrovertibilità» del regolamento di interessi scaturente dalla transazione novativa. Per altri riferimenti, si veda anche X. XXXXXXXXXXXXX, Della transazione. Artt. 1965 – 1976, in X. XXXXXXXXXXX (fondato da) – X. XXXXXXXX (diretto da), Il codice civile. Commentario Milano, 2018, pp. 250 ss.; per la genesi storica della norma, X. XXXXXXXXX, Il giuoco e la scommessa. La transazione, in A. CICU – X. XXXXXXXX (diretto da), Trattato di diritto civile e commerciale, Vol. XXXVII, T. 2, II Ed., 1986, pp. 430 ss.
Alle ipotesi appena citate, X. XXXXXXX, I xxxxx, op. cit., pp. 67 ss., aggiunge il caso, desunto in via interpretativa, dell’inadempimento dell’accordo stipulato tra compratore e terzo ex art. 1486 c.c., a cui il terzo potrebbe reagire con la risoluzione solo dopo aver esperito l’azione di adempimento verso il compratore.
L’Autore cita, inoltre, la ricostruzione di X. XXXXXXXXXXX, Della novazione, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXX (a cura di) Commentario del codice civile, Bologna – Roma, 1975, p. 151, 131, che esclude la risoluzione per inadempimento dell’accordo novativo. In questo senso anche X. XXXXX, La novazione dell’obbligazione, in Trattato di diritto civile e commerciale Cicu – Messineo, Milano, 2012, pp. 164 ss., spec. 166, perché nella novazione «l’intento delle parti si realizza in virtù della semplice produzione dell’effetto estintivo – costitutivo, senza richiedersi, da parte della legge, alcuna fase di esecuzione del risultato programmato». Similmente X. XXXXX, La novazione, in X. XXXXXXX – A- FONDRIESCHI – X. XXXXX, I modi di estinzione delle obbligazioni, in X. XXXXX (diretto da), Trattato di diritto civile. Le obbligazioni, Vol. IV, p. 71, Torino, 2012. Contra C. M. XXXXXX, L’obbligazione, in Diritto civile, Vol. IV, 2019, Milano, p. 461.
Ancora, si fa l’esempio dell’inadempimento dell’obbligo di pagare il conguaglio ex art. 728 c.c., a cui non si potrebbe reagire con la risoluzione del contratto di divisione: così X. XXXXXXXXX, Comunione e condominio, in
X. XXXXX (diretto da), Trattato di diritto civile. I diritti reali, Vol. VII, Milano, 2006, pp. 141 – 142, sulla base della natura dichiarativa della divisione e la sua assenza di corrispettività. Così anche X. XXXXXX, La divisione, in X. XXXXXX (diretto da), Giurisprudenza critica, Milano, 2006, p. 102. Nello stesso senso, Cass. civ. 19.7.1956, n. 2805, in Rep. Foro. It., 1956, Divisione¸80. Per X. XXXXXXX, Successioni e donazioni, T. 2, II Ed., Milano, 2002, p. 708, la risoluzione è impraticabile perché l’obbligo di conguaglio non incide sull’assegnazione proporzionale dei beni e il suo adempimento è garantito dalla particolare garanzia ex art. 2817, n. 2 c.c. Per l’opinione negativa si veda anche X. XXXXXXXX, La divisione ereditaria, Padova, 2006, p. 157, ove ulteriori riferimenti. Ammette la risoluzione del contratto di divisione per inadempimento ai conguagli C. M. BIANCA, La proprietà, in Diritto civile, Vol. VI, II Ed., Milano, 2017, p. 352, poiché la risoluzione è compatibile anche con i contratti non sinallagmatici e, nel caso concreto, ben l’obbligazione di versare un conguaglio potrebbe avere non scarsa importanza per il condividente creditore.
Da ultimo, viene citato l’orientamento che nega la risolubilità per inadempimento del contratto di cessione di contratto, in quanto l’effetto traslativo del contratto si verifica con il semplice consenso e quindi non sarebbe possibile un inadempimento. Così, ad es., X. XXXXXXX, La cessione del contratto, Milano, 1950 pp. 114-115 e DE NOVA, La cessione del contratto, in SACCO – DE NOVA, Il contratto, Tomo 2, op. cit., pp. 755 - 756; contra X. XXXXXXXX, La cessione del contratto. Artt. 1406-1410, in X. XXXXXXXXXXX (fondato da) – X. XXXXXXXX (diretto da), Il codice civile. Commentario, p. 57 e X. XXXXXXXX, La cessione del contratto, Padova, 1951, p. 61. Per esempio, potrebbe portare a risoluzione la consegna, da parte del cedente, di un documento radicalmente difforme al contratto ceduto; ancora, la cessione del contratto potrà essere a titolo oneroso, come osserva F. XXXXXXX, I xxxxx, op. cit., p. 70, nota 98.
113 M. C. XXXXXXX, op. cit., p. 30.
3.3. Contratti relazionali
Come visto, tra le peculiarità dei contratti internazionali “tailor-made” che giustificano l’inclusione di clausole sulla patologia contrattuale figurano la frequente lunga durata, la presenza di investimenti specifici e la preferenza per rimedi conservativi114. Queste caratteristiche richiamano alcuni tratti di un particolare “modello” di contratti: i contratti relazionali. Per rendere più consapevole e più rigoroso lo studio che ci occupa, si ritiene opportuno indagare se le clausole sulla patologia contrattuale si possano spiegare alla luce della natura relazionale del contratto che le prevede. Si passa quindi a illustrare brevemente la teoria dei contratti relazionali, soffermandosi sui suoi aspetti salienti.
La teoria dei relational contracts è stata elaborata negli Stati Uniti da Xxx Xxxxxxx negli anni Settanta del Novecento, per superare le inadeguatezze delle teorie classiche e neoclassiche dei contratti115. Entrambe le concezioni tradizionali di contratto, infatti, sarebbero imperniate sul modello del discrete contract: accordi con scarso coinvolgimento personale delle parti e comunicazioni tendenzialmente espresse e circoscritte all’oggetto dell’accordo, a sua volta limitato a denaro e merci facilmente monetizzabili; inoltre, tra le parti mancherebbero significative relazioni passate o future116. Gli obiettivi perseguiti da un sistema costruito attorno al modello in parola sarebbero il miglioramento della discreteness e della presentiation: una visione della realtà secondo la quale un soggetto percepisce gli effetti del futuro sul presente, sulla base dell’assunto che il corso degli eventi è così invariabilmente legato alla situazione attuale da rendere possibile trattare il futuro come se fosse già presente.
La ricaduta di questa concezione sul diritto dei contratti sarebbe la tendenza a restringere gli effetti futuri attesi a quelli già definibili al momento della conclusione del negozio117. Come è stato notato, un ordinamento che adottasse questa visione risulterebbe caratterizzato dalla
114 Supra, para. 3.2.c.
115 I. MACNEIL, Contracts: Adjustment of Long-Term Economic Relations Under Classical, Neoclassical and Relational Contract Law” 1978, 72 Northwestern University Law Review, pp. 340 ss.; X. XXXXXXXXX, Why There is No Law of Relational Contracts, Northwestern University Law Review, 94, 2000, pp. 805 ss.; X. XXXXXX-XXXXX, A Relational Law of Contract?, 2004, 20 Journal of Contract Law, pp. 125 ss. X. XXXXXXXXXXX, Contratti relazionali e tutela del rapporto contrattuale, Milano, 2017; X. XXXXXXXX, Il tempo e il contratto. Itinerario storico comparativo sui contratti di durata, Milano, 2007; X. XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996.
116 I. XXXXXXX, Contracts: Adjustment of Long-Term Economic Relations, cit., pp. 856-857. Questo varrebbe sia per la concezione “classica” che per quella “neoclassica” che, seppur con alcuni sviluppi in senso più flessibile, resta pur sempre basata largamente sulla prima: in questo senso si vedano pp. 870 ss., spec. pp. 883 ss. La distinzione tra i due modelli è tratteggiata alla nota 2 della p. 855 e analizzata da p. 856 a p. 886.
117 I. XXXXXXX, ibidem, p. 863: «Presentiation is a way of looking at things in which a person perceives the effect of the future on the present. It is a recognition that the course of the future is so unalterably bound by present conditions that the future has been brought effectively into the present so that it may be dealt with just as if it were in fact the present. Thus, the presentiation of a transaction involves restricting its expected future effects to those defined in the present, i.e., at the inception of the transaction».
preminenza del momento della promessa su quello del rapporto complessivo tra le parti, ridotto a una riproduzione del contenuto della prima. Lo stesso avverrebbe anche con riferimento ai contratti traslativi, negli ordinamenti che adottano il principio consensualistico: anche in questi casi, infatti, il rapporto tra le parti sarebbe irrilevante. Tra i valori dominanti spiccherebbero la prevedibilità e la stabilità degli effetti del contratto118.
Venendo ai principali risvolti di disciplina, il modello tradizionale limita rigidamente gli elementi rilevanti per stabilire il contenuto del contratto (per es.: la prevalenza della forma scritta su quella orale e della comunicazione espressa su quella per comportamenti concludenti), contempla un numero ridotto di rimedi, funzionale a rendere calcolabili le conseguenze dell’inadempimento (es.: risarcimento limitato ai danni prevedibili) e professa la freedom of contract, intesa come equivalenza tra gli effetti della promessa e quelli garantiti dalla legge119.
Secondo Xxxxxxx, i limiti del modello dei discrete contracts si sono rivelati evidenti con la progressiva evoluzione dei sistemi economici e la conseguenti esigenze di specializzazione e pianificazione incompatibili con le discrete transactions e soddisfabili, invece, tramite relazioni contrattuali di durata120. L’esigenza di mantenere il contratto e gestire in maniera flessibile le sopravvenienze, certamente possibili nel contesto di relazioni di durata, confliggerebbe con l’accentuata stabilità del modello tradizionale e la disponibilità di soli rimedi demolitori. Più radicalmente, la stessa idea di presentation risulterebbe una pretesa irrealistica121. Queste considerazioni imporrebbero un cambio di paradigma, che porta l’Autore all’elaborazione della teoria dei relational contracts.
La concezione relazionale di contratto si caratterizza per la frequenza dei contatti tra le parti, l’incompletezza dell’oggetto dell’accordo e la possibilità di integrarlo e modificarlo durante la fase esecutiva, anche per effetto della mera relazione tra le parti. Ancora, note salienti sono il sorgere di nuove obbligazioni nel corso della fase esecutiva, la fisiologica collaborazione delle parti e la condivisione dei rischi, la preferenza per rimedi conservativi del vincolo contrattuale - quali la sua rinegoziazione o il ricorso a metodi di A.D.R. -, l’assenza
118 Così X. XXXXXXXXXXX, Contratti relazionali e tutela del rapporto contrattuale, Milano, 2017, p. 57.
119 I. XXXXXXX, ibidem, pp. 863 – 864, ove vengono esposti ulteriori aspetti del modello tradizionali. L’Autore osserva che, dato che la discreteness esalta la possibilità della presentiation, tutte le applicazioni della prima tendono anche a favorire la seconda, seppure esistano istituti che sono appositamente dedicati a migliorare la presentiation.
120 Ibidem, p. 857. Il modello del discrete contract però non verrebbe totalmente superato: «discreteness and presentiation do not disappear from life or law simply because ongoing contractual relations become the organizational mode dominating economic activity […] they remain with us and […] they drastically affect contractual relations»: ibidem, p. 887.
121 I. XXXXXXX, op. cit., p. 893; X. XXXXXXXXXXX, op. cit., p. 66.
di una durata definita. Invece, non sarebbero di per sé significative né una durata minima del contratto né la sussistenza di un rapporto fiduciario, che integrano solo alcuni degli indici rivelatori di un relational contract122.
Tuttavia, manca una nozione condivisa di “contratto relazionale”: spesso, gli Autori che se ne sono occupati si sono limitati a una definizione in negativo, enunciando cosa non è relazionale123, mentre le poche definizioni in positivo sono state fortemente criticate124; altri contributi hanno enfatizzato l’uno o l’altro degli aspetti citati125 o elaborato indici di “relazionalità” senza proporre una definizione univoca126. Ancora, un’altra voce ha individuato l’essenza del modello proprio nella prevalenza della relazione sulla promessa, aspetto da cui discenderebbero, come corollari, le caratteristiche appena citate, tra le quali spiccherebbe l’assenza di una netta demarcazione tra ciò che rientra nel regolamento contrattuale e ciò che ne sta al di fuori, poiché la relazione tra i contraenti sarebbe in grado, al mutare delle circostanze, di dare vita a nuove obbligazioni127.
La teoria dei relational contracts ha suscitato un forte dibattito, tra chi ha criticato singoli aspetti della ricostruzione e chi ha dubitato della stessa validità e utilità della categoria128. In particolare, la «dimensione normogenetica della relazione», ossia la sua attitudine a far nascere obblighi a prescindere dal consenso delle parti, è stata ritenuta contrastante con l’autonomia contrattuale, declinata come libertà di non vincolarsi pattiziamente, e incurante del ruolo del
122 X. XXXXXXXXXXX, op. cit., p. 72 per la sussistenza di un rapporto fiduciario, che sarebbe solo ravvisabile
«nella maggior parte» dei contratti relazionali. Per i rapporti con i contratti di durata, si veda infra, nota 131.
123 Per es., V. P. XXXXXXXX, Relational contract, in The New Palgrave Dictionary of Economics and The Law, Vol.
III, Frome, 1998, p. 289.
124 Per C. J. XXXXX – R. E. XXXXX, Principles of relational contracts, in Xxxxxxxx Xxx Review, 67, 1981, p. 1091,
«a contract is relational to the extent that the parties are incapable of reducing important terms of the arrangement to well-defined obligations». La definizione è criticata da X. XXXXXXXXX, Relational contracts, in X. XXXXXXX – X. XXXXXXXXX (eds.), Good Faith and Fault in Contract Law, Oxford, 1995, pp. 294-295.
125 Per es., X. XXXXXXXXXX, The regulation of Long-term Contracts in English Law, in X. XXXXXXX – X. XXXXXXXXX (eds.), Good Faith and Xxxxx in Contract Law, cit., p. 309 evidenzia la preferenza per i rimedi conservativi, come nota A. FONDRIESCHI, op. cit., p. 68. Tuttavia, l’Autrice mette in guardia dall’assolutizzare questo aspetto, in quanto esso non può giustificare la prosecuzione del rapporto anche contro la volontà dei contraenti, per es., tramite un intervento giudiziale.
000 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 308, nota che I. XXXXXXX ha basato la sua ricostruzione sull’elaborazione
di indici di discreteness, assenti nelle relational transactions. Per una critica, si veda subito infra.
127 A. FONDRIESCHI, op. cit., pp. 69 ss., anche sulla scorta della comparazione con il modello relazionale asiatico: pp. 91 ss.
128 Sono state anche sollevate obiezioni di stampo più ideologico/politico: per una breve rassegna si rimanda a A. FONDRIESCHI, op. cit., pp. 117-118, che cita tra gli altri M. BARCELLONA, Appunti a proposito di obbligo di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, in Eur. Dir. priv.¸2003, pp. 469 ss., spec. p. 473: la teoria dei relational contracts è ritenuta una «mera impalcatura ideologica» per sostenere la possibilità di adeguamento giudiziale del contratto. La lettura è ritenuta frutto di un equivoco dall’Autrice.
consenso nel regime della circolazione dei beni129. Più radicalmente, per parte della dottrina la ricostruzione non è riuscita a delineare chiaramente una categoria di “contratti relazionali” caratterizzata da una propria disciplina130, soprattutto con riferimento alla categoria limitrofa dei contratti di durata131. Così, si è concluso che il modello relazionale è valido, al più, dal punto di vista sociologico o economico132.
Ai fini di questo lavoro non è necessario prendere posizione in questo articolato dibattito, poiché interessa solamente valutare se la funzione delle clausole che si analizzeranno si possa comprendere meglio alla luce della “relazionalità” dei contratti in cui si trovano. Pertanto, per giustificare questa breve analisi, sembra sufficiente osservare che il modello relazionale è oggetto di costante attenzione da parte della dottrina133 ed è stato impiegato per contribuire a spiegare i fenomeni più diversi, come risulta da una rassegna della letteratura soprattutto
129 X. XXXXXXXX, Il tempo e il contratto. Itinerario storico-comparativo sui contratti di durata, Milano, 2007, p. 57; R.
E. XXXXXXX, Conflicting visions. A critique of Xxx Xxxxxxx’x Relational Theory of Contract, in Xxxxxxxx Xxx Review, 78, 1992, pp. 1197 ss., evidenzia il rischio di «contractual overenforcement-that is, the enforcement of commitments that ought not be enforced» e osserva che il modello relazionale trascura «the knowledge-generating function of exchange made possible by both freedom to and freedom from contract»: per esempio, la scelta se vendere o meno una casa al prezzo di mercato si concretizza in un segnale inviato agli altri proprietari circa il valore degli immobili di loro titolarità, contribuendo a un uso più accorto delle risorse. X. XXXXXXXXXXX, op. cit., pp. 111-112, replica che l’attitudine della relazione a creare obbligazioni è presente nel modello tradizionale, come mostra l’art. 1374 c.c.
130 M. A. XXXXXXXXX, op. cit., pp. 812 ss., spec. 817 ss. L’Autore conclude, a p. 821: «there is no significant difference between contracts as a class and relational contracts, relational contracts must be governed by the general principles of contract law, whatever those should be. Of course, certain categories of contracts present special kinds of problems. These problems, however, derive not from the fact that the contracts in these categories are relational, but from more specific attributes». Si veda anche ID., Relational contracts, in X. XXXXXXX – X. XXXXXXXXX (eds.), Good Faith and Xxxxx in Contract Law, cit., pp. 293 ss. A p. 296, l’Autore ritiene che le regole proposte per i contratti relazionali siano in realtà valide per tutti i contratti (il dovere di comportarsi secondo buona fede, per esempio) o inapplicabili a qualsiasi contratto. Per X. XXXXXXXXXXX, op. cit., pp. 113 ss., spec. pp. 119-120, la critica commette un errore di metodo, ossia accusa di scarso rigore una teoria essenzialmente antipredittiva, nata come rifiuto delle regole astratte proprie del modello tradizionale.
131 I rapporti tra i contratti di durata e i contratti relazionali sono discussi. Per C. J. XXXXX- R. E. XXXXX, op. cit., p. 1091, l’elemento temporale non è sufficiente di per sé a rendere un contratto “relazionale”. Così anche X. XXXXXXXXX, Why There Is No Law of Relational Contracts, op. cit., p. 814. La differenziazione dei contratti relazionali dai contratti di durata è oggetto dello studio di A: FONDRIESCHI, op. cit., pp. 136 ss.
132 M. A. XXXXXXXXX, Relational contracts, cit., p. 293. X. XXXXXXXXXXX, op. cit., pp. 115 ss., spec. p. 117 ribatte che i contratti relazionali hanno una disciplina propria, soprattutto per quanto riguarda l’interpretazione delle condotte delle parti, che dovrà prevenire il più possibile comportamenti opportunistici, e l’integrazione/modifica del contratto scritto tramite comunicazioni informali, che dovrà essere particolarmente valorizzata.
133 Recentemente, X. XXXXX – X. XX – B. E. XXX, Putting relational contract theory to the test: experimental evidence, in Experimental Economics, 25, 2022, pp. 111 ss.; Z. XXXXXXX, Developing a relational law of contracts: striking a balance between abstraction and contextualism, in Legal Studies, 41, 2021, pp. 177–193; Z. XING TAN, Disrupting doctrine? Revisiting the doctrinal impact of relational contract theory, ivi, 2019, 39, pp. 98-119; X. XXXXXXXX, The Adaptation of Long-Term Gas Sale Agreements by Arbitrators, in International Arbitration Law Library, Vol. 41, 2017, pp. 157 ss.; X. XXXXXX-XXXXX, Comprehensive Contract Theory: A Four-Norm Model of Contract Relations, in Journal of Contract Law (Australia), 25, 2009, pp. 216 ss.; ID., A relational law of contract? In Journal of Contract Law (Australia), 20, 2004, pp. 125 ss.; la più volte citata A. FONDRIESCHI, op. cit. e ID., Contratti relazionali e contrattazione ripetuta in Giappone e Europa, in Osservatorio del diritto civile e commerciale, 2016, 2, pp. 483 ss. Più indietro nel tempo, ma comunque a distanza dalla prima elaborazione dei relational contracts, l’importante Relational Contract Theory: Unanswered Questions. A Symposium in Honor of Xxx X. Xxxxxxx, in Xxxxxxxxxxx University Law Review, 94, 2000, pp. 735 -907.
straniera134. Inoltre, quanto ai suoi profili applicativi, recentemente alcune pronunce di Tribunali italiani hanno ritenuto dirimente la qualificazione dei contratti impugnati come “relazionali”: in un caso, al fine di ritenere applicabile la limitazione degli effetti retroattivi della risoluzione ex art. 1458 c.c.135; in altri, al fine di ridurre il canone di locazione dovuto dal conduttore di un immobile commerciale in considerazione del calo dei ricavi derivante dalla pandemia da Covid-19136.
Procedendo quindi al confronto, non sembra che i contratti che presentano le clausole sulla patologia contrattuale si prestino a essere completamente inquadrati nel modello relazionale.
Da un lato, le clausole di irresolubilità, di rinuncia all’azione di annullamento e di severability mostrano certamente una preferenza per la conservazione del vincolo, elemento che, come visto, ricorre costantemente nelle ricostruzioni della categoria. Anche la necessità di cooperazione nella fase di esecuzione (es.: in un contratto di appalto internazionale) e la frequente lunga durata dei contratti in esame sembrano deporre per il loro inquadramento nei contratti relazionali, seppure la rilevanza dell’elemento temporale sia discussa137.
Dall’altro lato, diverse considerazioni militano nel senso opposto: le clausole di inseverability mirano a provocare la caducazione totale del contratto; soprattutto, la completezza dell’accordo ricercata dai contraenti contrasta con l’incompletezza tipica dei
134 Emblematicamente, X. XXXXXXXX, op. cit., ricorre alla teoria per inquadrare gli obblighi di buona fede e la revisione dei contratti di fornitura di gas da parte di Tribunali arbitrali; X. XXXXXXXX, Intimate relationships, relational contract theory, and the reach of contract, in Feminist Legal Studies, 93, 2000, pp. 93 ss., richiama la ricostruzione per studiare gli accordi taciti di coabitazione prematrimoniale; E. S. XXXXX – R. E. XXXXX, Marriage as relational contract, in Xxxxxxxx Xxx Review, 84, 1998, pp. 1225 ss. inquadrano i covenant marriage della legge del Louisiana all’interno della teoria dei contratti relazionali: «like relational contracts in commercial contexts, a marital contract contemplates a long-term commitment to pursue shared goals, the fulfillment of which will enhance the joint welfare of the parties»;
J. D. XXXXXXX – S. Y. XX, Relational contracts in Agricolture: Theory and Evidence, in Annual Review of Resource Economics, 2020, 12, pp. 111-127 si riferiscono ai contratti relazionali per concettualizzare alcuni problemi diffusi nella contrattazione relativa all’attività agricola, a beneficio degli economisti.
135 Trib. Modena, 16 novembre 2020, n. 1391, che ha risolto un contratto di appalto di servizi per lo sviluppo e l’implementazione di un software limitando gli effetti retroattivi ex art. 1458 c.c., sulla base della natura relazionale del contratto e degli investimenti specifici sopportati dall’appaltatore.
136 Trib. Lecce, Sez. II, 24 giugno 2021 (ord.), «la buona fede può essere utilizzata anche con funzione integrativa cogente nei casi in cui si verifichino dei fattori sopravvenuti ed imprevedibili non presi in considerazione dalle parti al momento della stipulazione del rapporto, che sospingano lo squilibrio negoziale oltre l'alea normale del contratto […] le suddette circostanze vengono a verificarsi nel caso dei cosiddetti contratti relazionali implicanti un rapporto continuativo tra le parti e che mal tollerano la risoluzione del contratto. All'interno della suddetta categoria sembrano poter rientrare anche i contratti di locazione di beni immobili per l'esercizio di attività produttive. In tal caso, infatti, l'eventuale risoluzione del contratto per eccessiva sopravvenuta onerosità comporterebbe inevitabilmente la perdita dell'avviamento per l'impresa colpita dall'eccessiva onerosità e la conseguente cessazione dell'attività economica»; similmente anche Trib. Roma, Sez. VI, 27 agosto 2020, con nota di X. XXXX, Pandemia, locazioni commerciali e giustizia contrattuale: l’incerta avanzata dell’obbligo legale di rinegoziare, in Resp. civ. prev., 2021, pp. 1295 ss.
137 Supra, nota 122.
relational contracts, che sono deliberatamente aperti a modifiche e integrazioni successive tramite comportamenti concludenti o comunicazioni orali, coerentemente con la prevalenza del rapporto sull’atto che li caratterizza138. Al riguardo, è particolarmente significativo che, accanto alle clausole sulla patologia contrattuale, gli accordi in esame spesso contengano pattuizioni come le merger clauses (o entire agreement clauses), le no oral modification clauses (c.d. clausole “NOM”) e le no waiver clauses che, rispettivamente, impediscono che il contratto sia integrato tramite il riferimento a fatti esterni ad esso (tipicamente, i documenti scambiati dalle parti durante le trattative), o venga modificato oralmente o, quanto alle no waiver, impediscono di qualificare i comportamenti delle parti successivi alla conclusione come rinunce per facta concludentia ai diritti previsti dall’accordo o ai rimedi per l’inadempimento (es.: la risoluzione del contratto o una clausola penale)139. In sostanza, tramite clausole del genere le parti escludono pattiziamente la prevalenza della relazione sull’atto, ossia l’aspetto che parte della dottrina ha ritenuto caratterizzare i contratti relazionali140. In ogni caso, anche qualora queste pattuizioni manchino, l’aspirazione alla certezza del diritto e alla completezza che caratterizza gli accordi in cui ricorrono le clausole sulla patologia dovrebbero comunque trattenere dall’operare un’automatica qualificazione del contratto in senso relazionale. A conclusioni analoghe si dovrebbe pervenire anche ove siano previste clausole di rinegoziazione che, se introducono un elemento di (eventuale e successiva) incompletezza, lo fanno comunque allo scopo di disporre di un’autoregolamentazione completa.
138 Supra, para. 3.3.
139 La frequente compresenza delle clausole sulla patologia e di quelle elencate è testimoniata dalle analisi di X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXX, op. cit., pp. 239 ss. per le NOM, pp. 254 ss. e per le merger clauses e X. XXXXXXXX – F. DE LY, op. cit., pp. 112 ss. per le merger clauses pp. 210 ss. per le NOM.
Sulle singole clausole, si vedano X. XX XXXX, Il contratto alieno, Torino, 2010, cap. 3, §3 e cap. 7 per le merger clauses; ID., “The law which governs this agreement is the law of the Republic of Italy”: il contratto alieno, in Riv. dir. priv., 2007, pp. 7 ss. e ora in ID., Il contratto. Dal contratto atipico al contratto alieno, Padova, 2010, pp. 31 ss. e, recentemente, ID., Validità ed effetti in diritto italiano di alcune clausole del commercio internazionale: merger clause, sole remedy clause, no waiver clause, in Riv. comm. int., 2022, 2, pp. 231 ss.; ID., voce Contratto alieno, in Dig. Disc. Priv., sez. civ., 2009, pp. 10 ss.; X. XXXXX, Mind the gap - Battle of forms, entire agreement e no waiver clauses in Inghilterra: alcune recenti lezioni, in Dir. comm. Int., 2011, pp. 618-625 per le clausole di entire agreement; pp. 625- 631 per le no waiver; per un riferimento tratto dalla letteratura straniera, M. N. XXXXXXX, Contract interpretation and the parol evidence rule: is the emperor wearing someone else’s clothes?, in Xxxxxxx Law Review, 62, 2009, pp. 107 ss.
Sostanzialmente, le merger clauses mirano a rendere applicabile la parol evidence rule, su cui supra, p. 25: così X. XXXXX, op. cit., p. 619; X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 786; ID, Autonomia contrattuale e disponibilità dell'integrazione: la merger clause dal diritto americano a quello italiano, Torino, 2017, p. 11 ss., a cui si rimanda per una disamina completa della merger clause e della sua interazione con gli artt. 2721-2724 c.c.; ID., The Americanization of contract law: the merger clause in the European perspective, in Annuario di diritto comparato e studi legislativi, 2017, pp. 617 ss. per una comparazione con il civil law europeo. Si vedano anche X. XXXXXX, Il contratto autoregolato: le merger clauses, Torino, 2015 e X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxxx di completezza, in X. XXXXXXXXXX (a cura di), Clausole negoziali, Vol. 1, Torino, 2017, pp. 973 ss. Le no waiver, invece, mirano ad escludere la waiver doctrine: X. XXXXX, op. cit., pp. 627 ss.
140 Supra¸ p. 36.
Da ultimo, non sembra possibile ravvisare aspetti di “relazionalità” nei contratti di compravendita di partecipazioni societarie (sale and purchase agreement, o “SPA”): in questi casi, l’esigenza di stabilità del vincolo negoziale è particolarmente avvertita, ma al verificarsi dell’effetto traslativo non seguono contatti ulteriori tra le parti o, al più, questi si limitano ad aspetti esecutivi di un assetto economico già delineato141.
3.4. Contratti “alieni”
Nei paragrafi precedenti si sono esaminati i contratti in cui compaiono le clausole che si studieranno nei prossimi capitoli, indagandone l’origine, lo stile e il tipo di rapporto a cui danno vita; ne è emersa la natura di contratti internazionali, completi, ispirati alla tradizione giuridica dei Paesi di Common law e caratterizzati da alcuni profili di relazionalità. Tuttavia, per il prosieguo dell’indagine, è decisiva la considerazione di un profilo “dinamico”, costituito dall’ampia circolazione di questi modelli al di fuori dei Paesi dove è diffuso lo stile completo e dettagliato che li contraddistingue e dalla loro conseguente interazione con ordinamenti di altre tradizioni giuridiche.
Xxxxxxxxxxxsi brevemente ad esaminare il fenomeno, si può ricordare come gli studiosi del diritto comparato abbiano notato che l’uniformazione del diritto porta alcuni vantaggi, incentivando l’avvicinamento delle normative dei vari ordinamenti. In sintesi, la diversità di regole giuridiche ostacola gli scambi e provoca difficoltà e possibili malintesi, pregiudicando la capacità del diritto di risolvere i conflitti tramite un meccanismo uguale per i vari soggetti coinvolti e dagli esiti prevedibili: di qui, una naturale propensione alla loro uniformazione142. Queste considerazioni sembrano valide anche per il diritto privato143 e si traducono (anche) in una disponibilità di fondo all’adozione di schemi negoziali uniformi, che costituiscono uno strumento utile per raggiungere la desiderata omogeneità.
141 Supra, p. 34.
142 X. XXXXX, Antropologia giuridica. Contributo a una macrostoria del diritto, Bologna, 2009, p. 42: «i conflitti di regole giuridiche (tra ordinamenti nazionali) ostacolano gli scambi. Diritto uniforme significa unità culturale, dunque eliminazione delle difficoltà e dei malintesi fra le diverse civiltà che devono convivere». L’uniformazione non avviene senza resistenza e senza costi: entrambi i profili sono esaminati dall’Autore alle pp. 48 ss., spec. p. 50.
143 X. XXXXX, op. cit., p. 43.
A questa tendenza si è accompagnata, in tempi recenti, la circolazione internazionale di modelli contrattuali. Le cause di questa propagazione sono principalmente tre, tutte riconducibili alla dimensione internazionale dei mercati tipica del mondo globalizzato144.
In primo luogo, la crescita degli scambi internazionali ha diffuso i contratti che li rivestono di forma giuridica145. Astrattamente, sarebbe possibile redigere questi accordi in inglese, ma strutturarli rispettando le peculiarità dell’ordinamento la cui legge risulterà applicabile, in virtù delle norme di diritto internazionale privato o in forza della scelta delle parti. Tuttavia, questo non avviene: le segnalate ragioni di efficienza della contrattazione di massa e di completezza del contratto tailor-made portano a uniformare i modelli contrattuali secondo lo stile dettagliato e autosufficiente proprio dei Paesi di Common law146.
In secondo luogo, la circolazione di schemi negoziali “completi” avviene tramite l’importazione di nuovi tipi contrattuali sconosciuti dal diritto nazionale, incentivata dalle citate ragioni di uniformità, dalla circolazione delle idee e delle esperienze (specie ad opera di avvocati e legali d’impresa) e da una certa propensione all’imitazione e all’accondiscendenza alle tendenze del momento: è stato notato che, spesso, gli operatori che adottano modelli stranieri operano solo in mercati nazionali e che, quindi, la spiegazione per l’adozione di schemi diffusi a livello internazionale non può risiedere solo in esigenze di uniformità147.
In terzo luogo, alla circolazione dei modelli contribuisce la diffusione di testi e clausole contrattuali ad opera di giuristi, uomini di affari, associazioni di categoria e società multinazionali, di cui si è già detto nei paragrafi precedenti148.
Seguendo questi tre percorsi, dunque, si sono diffuse in tutto il mondo pattuizioni dettagliate, autosufficienti, concepite secondo la tradizione giuridica anglosassone, venendo utilizzate per superare le differenze dei diritti nazionali e, in alcuni casi, anche per disciplinare rapporti puramente interni.
144 X. XXX, op. cit., pp. 475 ss. Il tema generale dei rapporti tra diritto e globalizzazione esula dall’oggetto dello studio che ci occupa. Per alcune indicazioni si vedano: X. XXXXXXX, La globalizzazione nello specchio del diritto, cit.; P. GROSSI, Globalizzazione, diritto, scienza giuridica, in Foro it., 2002, 5, pp. 151 ss.; X. XXXXXX, Globalizzazione e diritto, in Contr. Impr., 2008, pp. 867 ss.
145 Così X. XXX, op. cit., p. 476. Sull’accezione di “contratto internazionale” qui adottata, si veda supra, para.
3.2.
146 X. XXXXXXX – XXXX, Boilerplate clauses, cit. p. 9; X. XXXXXXXX, Il contratto nel mercato globale, in Contr. e
impr., 2013, fasc. 1, pp. 78-79; P. G. MONATERI, Ripensare il contratto, cit., p. 319, che descrive il fenomeno come una “americanizzazione” del contratto; si veda in generale supra, para. 3.2.
147 X. XXX, op. cit., pp. 476-477.
148 Xxxxx, para. 3.2.a e 3.2.c., a cui aggiungere X. XXX, op. cit., p. 476, 479; X. XXXXXXX – XXXX, International contracts, cit., p. 2; X. XXXXXXX, La categoria del contratto alle soglie del terzo millennio, in Contr. Impr., 2000, p. 199.
In questo modo, contratti e clausole concepiti secondo la struttura e lo stile dei Paesi di Common law sono venuti in contatto con ordinamenti radicalmente diversi, la cui normativa domestica si candida, tuttavia, a disciplinarli, o in virtù delle norme di conflitto di Diritto internazionale privato, o perché le parti, pur strutturando l’accordo secondo le categorie tipiche del Common law, lo hanno sottoposto alla legge di un Paese di Civil law (o di un’altra tradizione) e, in particolare, alla legge italiana. A questi contratti è stato dato il nome di “contratti alieni” dalla dottrina che per prima ha concettualizzato il fenomeno149.
Le parti ricorrono al contratto “alieno” in quattro casi: quando la parte italiana riesce a imporre l’applicabilità della propria legge domestica alla controparte straniera; quando il testo dell’accordo segue schemi anglosassoni, il contraente sarà individuato solo all’esito di una gara che coinvolge soggetti provenienti da più Paesi e risulta aggiudicatario un soggetto italiano; quando la controparte di un soggetto italiano è una società con sede nel nostro Paese, ma controllata da una società straniera; quando la capogruppo statunitense impone alla controllata italiana l’uso di modelli standard elaborati negli USA e scritti in inglese150.
La categoria del contratto “alieno” ha avuto una certa fortuna presso gli interpreti, che l’hanno impiegata per sistematizzare negozi e clausole di origine straniera e inquadrare i principali problemi che ne derivano151. Infatti, qualunque sia la ragione che porta i contraenti a scegliere un contratto con queste caratteristiche, la circolazione di accordi che incorporano regole proprie dei Paesi di Common law e, nondimeno, sono disciplinati dal diritto italiano,
149 X. XX XXXX, voce Contratto alieno, in Dig. Disc. Priv., Sez. Civ.¸Agg. IV, 2009, p. 140; ID., Contratto alieno, in Controversie contrattuali, Torino, 2022, pp. 1 ss.; ID., Il contratto alieno, XX Xx., Xxxxxx, 0000; ID., Contratto: per una voce, in Riv. dir. priv., 2000, pp. 533 ss.; ID., The law which governs, cit. Questi ultimi due contributi si ritrovano anche in ID., Il contratto. Dal contratto atipico al contratto alieno, cit.
150 X. XX XXXX, voce Contratto alieno, cit., p. 141. L’Autore osserva che i contratti “alieni” possono anche coincidere con tipi negoziali italiani, come la compravendita o la cessione di azienda: pertanto, la categoria del contratto alieno abbraccia sia accordi atipici, che tipici.
151 Per esempio, la qualificazione del singolo contratto o della singola clausola come “alieni” ha un particolare rilievo in X. XXXXXXXXXX, Il Garantievertrag contratto alieno di impresa, in Osservatorio del diritto civile e commerciale 2012, 2, pp. 221 ss.; X. XXXXXX, Una convenzione aliena per regolare i rapporti patrimoniali tra coniugi?, in NGCC, 2013, II, pp. 614 ss.; X. XXXXXXX, Homo oeconomicus, homo ludens: l’incontrastabile ascesa della variante aliena di un tipo marginale, la scommessa legalmente autorizzata (art. 1935 c.c.), in Contr. Impr., 2014, pp. 835 ss. e in X. XXXXX – F. DELFINI – X. XXXXXXX (a cura di), Studi in onore di Xxxxxxx Xx Xxxx : prospettive e limiti dell'autonomia privata, Milano, 2015; X. XXXXXXXXXX, op. cit., pp. 773 ss.; P. SIRENA, Il contratto alieno del diritto comune europeo della vendita (CESL), in NGCC, 2013, II, pp. 608 ss.; X. XXXXXXXXX, Il contratto autonomo di garanzia nell’evoluzione giurisprudenziale, in NGCC, 2010, II, pp. 435 ss.; C. COMMANDATORE, L’avvalimento: un alieno collegamento tra contratto e procedimento amministrativo, in NGCC, 2015, I, pp. 594 ss.; X. XXXXX, Basta la meritevolezza? I trust nella vita reale, in Trusts, 2019, 1, pp. 22 ss.; C. DI BITONTO, Diritto statutario di covendita, cessione di nuda proprietà azionaria e cambio di controllo - il commento, nota a Cass. civ. 3951/2018, in Società, 2018, pp. 1118 ss. Critica la categoria (o, forse, unicamente la terminologia usata), X. XXXXXXXXX, Il contratto «incompleto», in Riv. dir. priv., 2008, 3, pp. 509-510.
solleva diversi interrogativi, tra i quali riveste particolare interesse quello attinente al grado di
resistenza che l’ordinamento italiano oppone alla diffusione di tali clausole152.
Dal punto di vista della prassi, la diffusione di contratti “alieni” è ampissima, al punto che, osservando gli scambi internazionali, si è parlato di “americanizzazione” dei contratti153 e, quanto ai contratti “domestici”, si è notato che, non di rado, anche operazioni prive di collegamenti con altri ordinamenti adottano schemi di origine anglosassone154.
Analizzando la questione dal punto di vista dell’evoluzione legislativa, si è osservata la progressiva accettazione di modelli stranieri: è quanto accaduto, per esempio, per il leasing, ora disciplinato dalla l. n. 124/2017; per la fusione a seguito di acquisizione con indebitamento (il c.d. leveraged buy out), regolato dall’art. 2501-bis c.c.155; per i contratti di assicurazione con clausole claims made, la cui stipulazione è espressamente richiesta, per esempio, dall’art. 10 della l. n. 24/2017156.
152 Il problema si pone in primo luogo per i contratti concepiti secondo xxxxxx stranieri, come accaduto in passato per i contratti derivati, i performance bonds, il leasing, le operazioni di leveraged buy out. G. DE NOVA, op. ult. cit., p. 141 osserva come queste figure siano state progressivamente riconosciute dal legislatore italiano. Si veda anche X. XXXXXXXX, op. cit., p. 78.
Altri interrogativi sono di ordine strutturale, come avviene per la qualificazione e la disciplina da riservare a contratti di scambio strutturati come negozi unilaterali (es.: atti, firmati dal solo titolare dell’immagine, che consentono ad altri di utilizzarla dietro pagamento). Ancora, non è chiaro il valore da attribuire ai documenti scambiati durante le negoziazioni secondo scansioni diverse da quella codicistica.
Un terzo insieme di problemi è interpretativo e riguarda il valore delle premesse e delle definizioni dei termini utilizzati nel contratto e la validità ed efficacia vincolante delle merger clauses o entire agreement clauses.
153 P. G. MONATERI, Ripensare il contratto, cit., pp. 419-420; X. XXXXXXX – XXXX, International contracts, cit.
p. 2 e in generale supra, para. 3.2.b.
154 X. XXX, op. cit., p. 476. Lo nota X. XXXXXXXXXX, op. cit, p. 222, per il Garantievertrag. La diffusione di modelli anglosassoni non è vista sempre con favore: per es., U. XXXXXXX, op. cit., p. 15, sottolinea che uno degli scopi della riforma del Codice civile francese era l’«intento di rendere appetibile un contratto domestico, in antitesi all’egemonia del “contratto alieno”»; lo stesso X. XX XXXX, voce Contratto alieno, cit., p. 141, fa presente la necessità di un approccio critico e similmente anche X. XXX, op. cit., p. 480; P. XXXXXX, op. cit., pp. 162-163 mette in guardia da «facili entusiasmi» e invita al «coraggio e alla vigilanza», poiché i creatori dei modelli contrattuali in esame sono grandi imprese multinazionali dal forte potere economico. X. XXXXXXX, La categoria, cit., pp. 204-205, valorizza il ruolo di «mediazione culturale» dei giuristi.
155 Per questi esempi, X. XX XXXX, voce Contratto alieno, cit., p. 141.
000 X. XXXXXXXX, Xxxxxxxx “aliene” nell’ordinamento italiano: il caso delle assicurazioni claims made, in X. XXXXXXXX (a cura di), I nuovi orientamenti della Cassazione civile, Milano 2017, pp. 399 ss., nota. 1 e ID., Il fine giustifica i mezzi? xxxxxxx claims made tra «primo», «secondo» e «terzo» contratto, in Eur. Dir. priv.¸2018, fasc. 2, p. 592, dove si conclude che «l’interazione fra le nuove discipline di settore e l’ultimo diritto vivente segnala, all’esito di un dibattito iniziato negli anni Novanta, l’emersione del modello claims made nel nostro ordinamento, o quantomeno sancisce ufficialmente l’avvio del processo di “domesticazione” di quel paradigma contrattuale alieno». Per gli avvocati, si veda il d.m. 22 settembre 2016, n. 238, in vigore dal 10 novembre 2017, che ha stabilito i massimali e le condizioni minime per le polizze, in attuazione dell’art. 12 della legge professionale, l. n. 247/2012. Si veda poi l’art. 3, comma 5, let. e) del d.l. 138/2011, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 148/2011 e novellato dall’art. 1, comma 26, della l. n. 124/2017.
Il riconoscimento del Garantievertrag ad opera dell’art. 75 d.lgs. 163/2006, ora artt. 93 e 103 del d.lgs. 50/2016, è invece discusso, stante la scarsa chiarezza del testo legislativo: si veda A. MONTANARI, Garanzia autonoma e autonomia privata, in Banca, borsa, tit. cred., 2017, pp. 353-354, dove si esamina anche la riconducibilità alla garanzia autonoma del contratto previsto dagli artt. 30 e 38-bis d.P.R. 633/1972
La giurisprudenza si è poi mostrata propensa a giudicare meritevoli ex art. 1322 c.c. i contratti alieni qualificabili come atipici157. Emblematico è stato il caso del contratto autonomo di garanzia o Garantievertrag, sospettato prima di nullità per assenza di causa o contrasto con il principio di accessorietà, poi giudicato valido e meritevole anche per non pregiudicare l’inserimento del nostro Paese nel commercio internazionale158, fino all’intervento delle Sezioni Unite 7341/1987 e 3947/2010159. Una traiettoria simile è stata seguita dai contratti di assicurazione con clausole claims made, culminata con la pronuncia a Sezioni Unite n. 22437/2018 che ne ha ritenuta la natura tipica, in contrasto con la precedente Cass. civ. SSUU 9140/2016, anche in considerazione dell’introduzione della segnalata l. n. 124/2017160. Il fenomeno è estremamente rilevante, in quanto il raggiungimento di una certa omogeneità tramite l’adozione di modelli negoziali uniformi è possibile solo se la giurisprudenza li recepisce, riconoscendoli validi161.
Il presente lavoro mira a valutare il grado di resistenza opposto dal nostro ordinamento alla recezione di clausole atipiche di deroga alla disciplina dell’invalidità contrattuale. Si tratterà dunque di comprendere se siano valide le clausole di rinuncia preventiva all’azione di annullamento e i patti di (in)severability.
4. Sintesi dei principali risultati interpretativi in materia di clausole atipiche di deroga alla disciplina rimediale
157 Per l’esistenza di contratti “alieni” tipici, si veda supra, nota 150.
158 Cass. civ. SSUU 7341/1987, in Foro it.,1988, I, c. 106, con nota di X. XXXXX: «è inoppugnabile che sia meritevole di tutela l'esigenza, connessa, come accennato, al commercio internazionale in grande espansione, che il creditore ha di assicurarsi la prestazione del debitore, tramite un rapporto di garanzia che lo assicura dalle lungaggini e dalle complicazioni connesse alla peculiarità delle varie legislazioni nazionali»; Trib. Milano 22 settembre 1986 e 9 ottobre 1986, in Banca, borsa e tit. cred., 1987, II, pp. 331 ss., segnalate da X. XXXXXXX, Diritto ed economia, cit., p. 202. Si veda poi X. XXXXXXXX, op. cit., p. 81, anche con riferimento al contratto di lesasing. La letteratura sul contratto autonomo di garanzia è sterminata: si veda, per una lettura sinottica, X. XXXXXXXXXX, op. cit., ove ampie citazioni di dottrina e giurisprudenza.
159 Le Sezioni Unite ripercorrono in sintesi l’origine della figura in esame, dando atto della sua funzionalità a rispondere alle esigenze del commercio internazionale, e l’evoluzione della giurisprudenza in materia di validità del contratto autonomo di garanzia; al § 11, affrontano il problema della causa del contratto, declinandola secondo l’accezione della causa in concreto.
160 Anche la letteratura sulle polizze claims made è vastissima: si rimanda alle opere di X. XXXXXXXX citate supra, nota 156, a cui si aggiunga X. XXXXXXXXX, La clausola claims made e le Sezioni Unite: bis in idem, nota a Cass. civ. SSUU 22437/2018, in I Contratti, 2018, pp. 639 ss.; F. XXXXXXX, Il controllo sulle polizze claims made tra primo e secondo comma dell’art. 1322 c.c., in NGCC, 2021, 2, pp. 371 ss.; ID., Le Sezioni Unite e le claims made: l’ultima sentenza e la ‘‘Big Picture’’, in Giur. it., 2019, pp. 30 ss.; X. XXXXXXXXXX, Evoluzioni e rivoluzioni nella giurisprudenza in tema di assicurazioni claims made, nota a Cass. civ. SSUU 22437/2018, in Banca, borsa, tit. cred., 2019, pp. 152 ss.; X. XXXXXXX, Critica della causa al servizio dell'adeguatezza in concreto del contratto. Il caso dell'assicurazione della responsabilità civile con copertura claims made, in Eur. Dir. priv.¸2019, pp. 1045 ss.; X. XXXXXX, Dalle Sezioni Unite alla Legge Gelli: la claims made dalla atipicità alla tipizzazione, in Resp. civ. prev., 2017, pp. 1390 ss.
161 X. XXXXXXX, ibidem.
Il tema si inserisce nel contesto del più ampio studio dei limiti che incontra l’autonomia privata nell’intervenire sulla disciplina dei rimedi contrattuali tramite patti atipici. Com’è stato notato, la materia non ha ancora ricevuto una sistemazione organica162, nonostante l’insufficienza dell’apparato rimediale codicistico163 e la diffusione di queste pattuizioni164 rendano il problema senz’altro rilevante165. Per collocare in questo quadro lo studio delle clausole di rinuncia all’azione di annullamento e dei patti sulla nullità parziale, sembra utile ripercorrere brevemente gli esiti ai quali è pervenuta la dottrina con riferimento ad altre ipotesi di deroga convenzionale alla disciplina della patologia contrattuale.
4.1. Patti atipici di deroga alla disciplina della risoluzione per inadempimento
Una prima linea di indagine si è rivolta ai presupposti e agli effetti della risoluzione per inadempimento. Dal primo punto di vista, l’attenzione si è concentrata sulla clausola di irresolubilità e sui patti attraverso i quali i contraenti innalzano il livello di gravità dell’inadempimento necessario ad ottenere la risoluzione del contratto. Dalla seconda prospettiva, è stata esaminata la possibilità di dedurre in condizione risolutiva l’inadempimento della controparte, tramite la c.d. condizione di inadempimento.
4.1.a. La clausola di irresolubilità
In passato, la validità delle clausole di irresolubilità era stata contestata: se ne era lamentato il contrasto con l’art. 1453 c.c., norma ritenuta inderogabile per la sua funzione sanzionatoria166; si era osservato che avrebbero fatto venire meno la causa del contratto,
162 X. XXXXXXXXX, Autonomia privata ed esclusione dei rimedi contrattuali (brevi spunti di riflessione sulla clausola di exclusve remedy), in Riv. dir. comm., 2018, p. 209: «L’ampiezza dell’argomento, e la pluralità di piani di incidenza sui quali lo stesso può manifestarsi, è tuttavia tale che certamente c’è ancora molta strada da percorrere nella relativa riflessione e ricerca poiché è la stessa nozione di rimedio, come insegna la dottrina di common law, a non essere suscettibile né di un’agevole definizione; né tanto meno di un facile inquadramento teorico, dato che numerose e variabili sono le ipotesi che potrebbero essere ricondotte all’interno del suo nucleo concettuale, nel tentativo di comporle in un’ordinata sistemazione e classificazione». Sulla nozione di “rimedio”, si veda X. XXXXXXXXX, La nozione di rimedio nel diritto continentale, in Eur. Dir. priv., 2007, pp. 585 ss.
163 Si vedano gli Autori citati supra, nota 93.
164 Si veda supra, para. 3.2.a. e 3.2.b.; con specifico riferimento alle clausole di rinuncia all’azione di annullamento, si veda infra, Cap. II, para. 3 e, per i patti sulla nullità parziale, infra, Cap. III, para. 2.
000 X. XXXXX, Xx contratto, cit., p. 975, all’esito di una riflessione sul problema della c.d. “contract governance”
afferma che «il tema dei rimedi si rivela, così, più che ogni altro, il vero cuore del diritto dei contratti e della teoria del contratto».
166 G. G. AULETTA, La risoluzione per inadempimento, Milano, 1942, pp. 147 ss., ma contra già X. XXXX, Il contratto con prestazioni corrispettive, Padova, 1963, p. 160, per le motivazioni di cui si dirà subito nel prosieguo.
avvicinandolo al gioco o alla scommessa167; ancora, le si erano ritenute incompatibili con l’art.
2740 c.c.168.
Alla prima obiezione si è replicato che la risoluzione per inadempimento non mira a punire il debitore inadempiente: al più, una funzione sanzionatoria è svolta dalla responsabilità risarcitoria che, peraltro, l’art. 1229 c.c. consente di escludere nei casi di colpa semplice169. Quanto al dubbio circa l’elisione della causa del contratto, si è ritenuto necessario distinguere il sinallagma genetico dal sinallagma funzionale: il primo consiste nella presenza di una repromissione al momento della stipulazione del contratto, elemento sufficiente a integrare il requisito causale; il secondo, invece, è il nesso di interdipendenza che avvince le prestazioni durante la fase esecutiva. Il patto di irresolubilità incide solo sul sinallagma funzionale, lasciando intatta la causa del contratto170. Infine, la censura vertente sul contrasto con l’art. 2740 c.c. è parsa non pertinente, poiché la norma impedisce la creazione di patrimoni separati, effetto che non deriva in alcun modo dalla clausola di irresolubilità171.
In positivo, si è osservato che l’art. 2932, comma 1 c.c. permette di escludere l’azione per l’adempimento dell’obbligo di contrarre, così privando il creditore della tutela principale del sinallagma funzionale, perché «destinat[a] fisiologicamente all’attuazione del vincolo». Pertanto, la norma depone per la rinunciabilità ex ante della tutela avverso l’inadempimento. Ancora, la clausola solve et repete impedisce al debitore di rifiutarsi di eseguire la prestazione adducendo l’inadempimento del creditore e, in questo modo, rende la successiva domanda di risoluzione
167 X. XXXXX, in X. XXXXXXXX (diretto da), Trattato di diritto civile italiano, Vol. VI, T. 2, Torino, 1975, p. 936: il gioco e la scommessa inizierebbero già promettendo indipendentemente dalla certezza di ottenere la controprestazione (opinione poi mutata nel citato X. XXXXX – X. XX XXXX, Il contratto, in X. XXXXX (diretto da), Trattato di diritto civile, T. 2, Torino, 2004, III Ed., pp. 617 – 618), come segnalato da F. DELFINI, Autonomia privata, cit., p. 576, nota 24. Formulano questa critica anche X. XXXXXX, voce Risoluzione del contratto, in Enc. giur., Roma, 1991, Vol. XXXI, p. 4 e X. XXXXXXXXX, in X. XXXXXXXX – X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXXX, Della
risoluzione per inadempimento, in X. XXXXXXX (a cura di), Commentario del codice civile Scialoja - Branca, Bologna-Roma, 1990, p. 110.
168 G. G. AULETTA, op. cit., p. 490; per la terza in particolare, X. XXXXXXX PASSERELLI, Dottrine generali del diritto civile, IX Ed., Napoli, 2002, p. 185.
169 F. XXXXXXX, I xxxxx, cit., pp. 20-21, che costituisce il lavoro più importante dedicato alla clausola di irresolubilità. L’Autore aggiunge che la risoluzione potrebbe sanzionare il debitore solo qualora il contratto costituisse per lui un buon affare, poiché, in tal caso, egli verrebbe privato della controprestazione di maggior valore. Tuttavia, si tratta di una circostanza contingente, che non può assurgere a nota distintiva del rimedio risolutorio. A p. 21 si osserva poi come la dottrina più recente abbia sottolineato che la risoluzione del contratto tutela gli interessi – disponibili – del creditore.
170 F. XXXXXXX, op. ult. cit., pp. 23 ss. e pp. 42 ss. Per la distinzione tra sinallagma genetico e funzionale si veda supra, nota 13.
171 F. XXXXXXX, op. ult. cit., p. 20, che nota come il creditore verrà tutelato dall’azione di adempimento e dall’azione per il risarcimento del danno, davanti alle quali il debitore risponderà con tutti i propri beni presenti e futuri, come vuole l’art. 2740 c.c.
del contratto necessariamente re non integra172. In altre parole, l’art. 1462 c.c. legittima una forma di rinuncia alla risoluzione del contratto re adhuc integra che, come notato dalla dottrina, è il modello che assicura al creditore la conservazione della propria prestazione e lo tutela maggiormente dagli inadempimenti della controparte. Dunque, se è permesso rinunciare alla tutela più forte, anche quella meno incisiva deve ritenersi derogabile.
Ancora, si sono messi in luce diversi indici normativi che mostrano come la risoluzione del contratto svolga, in molti casi, un ruolo non centrale173. Infine, si è sottolineato il rischio che il rimedio risolutorio si presti ad impieghi strumentali, che ne rendono opportuna una rinuncia convenzionale174.
In questo modo, si è dimostrata la validità di principio delle clausole di irresolubilità. L’indagine si è così spostata sui limiti che incontra l’autonomia delle parti nell’escludere il rimedio risolutorio e ha portato ad individuare tre ordini di vincoli.
In primo luogo, si è ritenuta inammissibile l’esclusione contestuale di tutti i rimedi previsti dall’art. 1453 x.x., xxxx x’xxxxxxxx xxx xxxxxxxx di corrispettività tra le prestazioni175. Infatti, l’esistenza del sinallagma funzionale risulta dalla presenza di strumenti di reazione all’inadempimento. Questi strumenti sono più di uno e, quindi, la rinuncia a uno di essi non cancella il legame tra prestazione e controprestazione; tuttavia, a diverse conclusioni si dovrebbe giungere qualora le parti escludessero tutte le azioni avverso l’inadempimento.
In secondo luogo, un limite è stato individuato nell’art. 1229 c.c., ritenuto applicabile sulla scorta di una nozione ampia del termine “responsabilità” contenuto nella norma176. Pertanto, si è ritenuto impossibile rinunciare al rimedio demolitorio in caso di inadempimenti dolosi o gravemente colposi.
172 Per F. XXXXXXX, op. ult. cit., pp. 39-40.
173 F. XXXXXXX, op. ult. cit., pp. 64 ss. Su queste ipotesi ci si è soffermati diffusamente supra, para. 3.2.c., pp. 30 ss.
174 F. XXXXXXX, op. ult. cit., pp. 61 ss. Come si vedrà infra, Cap. II, para. 3, considerazioni analoghe valgono
anche per l’azione di annullamento per errore.
175 F. XXXXXXX, op. ult. cit., pp. 44 ss., spec. p. 49.
176 F. XXXXXXX, op. ult. cit., pp. 76 ss., e già in questo senso X. XXXXXXXX, voce Risoluzione per inadempimento, in Enc. dir., Vol. XL, Milano, 1989, pp. 1310 ss. e X. XXXXXXX, voce Clausole di esonero della responsabilità, in Dig. disc. priv., sez. civ., Vol. II, Torino, 1988, p. 399. Concordano sul ruolo dell’art. 1229 c.c. X. XXXXX, Il contratto, T. 2, cit., pp. 617-618; X. XXXXX, I rimedi, la fiducia, l’apparenza, in Trattato del contratto, Vol. III, Torino, 2010, pp. 2149 ss., che sottolinea la possibilità, in un contratto plurilaterale, di attribuire soltanto ad alcune parti la possibilità di agire per la risoluzione del contratto; X. XXXXXX, sub Art. 1453 c.c., in X. XXXXXXXXX (a cura di), Commentario del codice civile, Vol. IV, Torino, 2011, p. 415; Cass. 7054/2012; Cass. 3866/1980, segnalate da F. XXXXXXX, Autonomia privata, cit., p. 575; X. XXXXXXXXX, Autonomia privata ed esclusione dei rimedi contrattuali, cit., p. 223.
In terzo luogo, considerato che la clausola di irresolubilità mostra la volontà dei contraenti di tutelare il sinallagma funzionale tramite l’azione di adempimento, è sembrato impossibile escludere l’eccezione prevista dall’art. 1461 c.c., che protegge nei casi in cui la fruttuosità dell’azione esecutiva paia dubbia177.
Dal punto di vista dell’efficacia della clausola, si affermata la possibilità di dichiarare inefficace il patto sulla scorta di un’applicazione analogica dell’art. 1462, comma 2, c.c., qualora le mutate condizioni patrimoniali della controparte facciano presagire l’infruttuosità delle azioni di adempimento e risarcimento del danno178.
La dottrina successiva al contributo appena richiamato è per lo più concorde sulla validità del patto di irresolubilità179, anche se permangono alcune divergenze circa la pertinenza del richiamo all’art. 1229 c.c.180 e la possibilità di dichiarare inefficace il patto nei casi dell’art. 1462, comma 2 c.c.181. Al netto di queste incertezze, si può comunque concludere che la
177 F. XXXXXXX, op. ult. cit., pp. 84-85.
178 F. XXXXXXX, op. ult. cit., p. 85, che aggiunge anche la possibilità di disapplicare la clausola qualora
sussistano altri “gravi motivi”.
179 Per es., X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., pp. 217 ss.; X. XXXXXXX, Sulla validità di una clausola di irresolubilità del contratto per inadempimento, in NGCC, 2013, fasc. 2, pp. 544 ss. Si vedano poi le recenti opere monografiche di X. XXXXXXXXXXX, Autonomia privata e risoluzione del contratto per inadempimento, Milano, 2019; X. XXXXXXX, Disponibilità ed esclusività dei rimedi contro l’inadempimento contrattuale, Milano, 2020, spec. pp. 243 ss.
Si segnalano però le posizioni contrarie di C. M. XXXXXX, La responsabilità, cit., p. 75, pena un’inammissibile menomazione di uno strumento di tutela legale del diritto di credito, e di X. XXXXX, Il contratto, cit., p. 944. Dubitativo – seppure contro la tesi tradizionale dell’invalidità - anche X. XXXXXX, Inattuazione e risoluzione, cit., p. 26.
180 Per es., X. XXXXXXXXX, Brevi note in tema di disponibilità convenzionale della disciplina della risoluzione per inadempimento, in Contr., 2021, pp. 599 ss., ritiene valido il patto di rinuncia preventiva alla sola risoluzione per inadempimento, salva la possibilità di disapplicarlo in accoglimento di un’eccezione di buona fede ex art. 1175
c.c. o un’exceptio doli generalis avuto riguardo alle circostanze e, in particolare, alla natura dell’obbligazione inattuata. Invece, la clausola che sostituisca a tutti i rimedi per l’inadempimento il solo risarcimento del danno (clausola di exclusive remedy), sarebbe valida solo qualora le prestazioni siano state eseguite da ambo i lati ma una sia difettosa o eseguita in ritardo: in tutti gli altri casi, «la clausola in esame finisce con il disarmare completamente uno dei contraenti e con lo svuotare di ogni significato lo scambio tra prestazione e controprestazione del sinallagma funzionale». Questo anche sul presupposto che il rimedio risarcitorio non possa attribuire il controvalore della prestazione dovuta dal debitore inadempiente. Si vedano poi ID., Della risoluzione per inadempimento, cit., pp. 109 – 110 e ID., La risoluzione, cit., pp. 28 – 30.
Sembrano condivisibili i rilievi di X. XXXXXXXXX, Nullità della clausola di rinuncia alla risoluzione e massime mentitorie, in Giur. it. 2012, III, p. 2257 e ID., La risoluzione per inadempimento, in X. XXXXXXXXXXX (fondato da) –
F. D. BUSNELLI (diretto da), Il Codice Civile. Commentario, Milano, 2007, p. 395: la clausola di irresolubilità svolge una funzione diversa da quella di limitazione della responsabilità risarcitoria e «i piani operativi sono del tutto diversi». Similmente anche X. XXXXXXXXX, op. cit., pp. 1053-1054, «il dato letterale della norma [è] di tutt’altro tenore e la ratio della medesima non [è] affatto pregiudicata dalla deroga allo scioglimento (unilaterale) del vincolo per comportamento infedele di una delle due parti». Per questo Autore, la clausola sarebbe valida, salvo il caso di scuola in cui riguardasse tutti i rimedi disponibili, tutte le obbligazioni del contratto e valesse per entrambe le parti.
181 X. XXXXXXXXX, La risoluzione, cit., pp. 30 ss., propone il ricorso alla clausola generale di correttezza e buona fede per individuare i casi in cui ritenere inefficace la clausola pur valida: così avverrebbe nel caso in cui il convenuto in risoluzione eccepisse l’irresolubilità del contratto dopo aver reso impossibile o inutile l’azione per l’adempimento, magari trattenendo la prestazione già ricevuta. X. XXXXXXX, op. ult. cit., pp. 243 ss., ipotizza l’applicazione analogica dell’art. 1462 c.c. e della clausola generale di buona fede.
clausola di irresolubilità per inadempimento è generalmente ammessa nel nostro ordinamento, almeno nei contratti tra soggetti di pari xxxxxx000.
A maggior ragione, si devono ritenere possibili interventi più limitati, come l’innalzamento della soglia di rilevanza dell’inadempimento richiesta per la caducazione dell’accordo o l’accordo volto a considerare non gravi specifici inadempimenti (es.: il ritardo nell’esecuzione)183.
4.1.b. La condizione risolutiva di inadempimento
Un’altra direzione che può prendere l’esercizio dell’autonomia negoziale è dedurre l’inadempimento di una parte in una condizione risolutiva, pattuendo la c.d. “condizione risolutiva di inadempimento”. In questo modo, l’inesecuzione della prestazione causerà il travolgimento automatico del contratto, con effetto retroattivo erga omnes ex art. 1357 c.c.
L’utilità di questa clausola consiste nel rendere opponibile ai terzi la risoluzione del contratto, superando la regola contenuta nell’art. 1458, comma 2, c.c.184. Inoltre, la presenza di una pattuizione del genere costituisce certamente un incentivo ad adempiere, analogamente alla clausola risolutiva espressa e al termine essenziale185.
182 Per i consumatori, l’art. 33, comma 2, lett. b) presume vessatorie – fino a prova contraria - le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di «escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di un'altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista»; inoltre, sembra che le clausole in esame comportino quello «significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi» che l’art. 33 cod. cons. pone al centro del giudizio di abusività della clausola. Così già F. XXXXXXX, op. cit., pp. 81-82.
183 La validità di questi patti si può argomentare sulla base dell’art. 1455 c.c. che, dando rilevanza all’«interesse» della parte all’adempimento, dovrebbe permettere che tale valutazione avvenga ex ante, simmetricamente a quanto avviene nella clausola risolutiva espressa: così X. XXXXXXXXX, La risoluzione, cit., p. 27 e X. XXXXXX, op. cit., p. 4 e si veda anche ID., Brevi note, cit., pp. 600-601. X. XXXXXXX, «Ogni ritardo sarà considerato di scarsa importanza», cit., da p. 577, ritiene validi questi patti, salvi il diritto al risarcimento del danno e la possibilità di risolvere il contratto nel caso in cui il ritardo renda «del tutto inutile» la prestazione. Così anche
X. XXXXX, in X. XXXXX – X. XXXXXXXX– X. XXXXXXXXX, Della risoluzione per inadempimento, in X. XXXXXXX (a cura di), Commentario del Codice civile Scialoja – Branca, T. 1, Vol. II, Bologna-Roma, 2007, p. 37. Critico sulla clausola di irresolubilità, anche ove limitata al solo inadempimento consistente nel ritardo, C. M. XXXXXX, La responsabilità, cit., p. 75. Ritiene valida la clausola solo se non escluda totalmente il rimedio, X. XXXXXXXX, sub Art. 1453 c.c., in X. XXXXXX (a cura di), Commentario al codice civile. Artt. 1343-1469 bis, Milano, 2010, pp. 1525 ss. In ogni caso, non si vedono valide ragioni per precludere alle parti quanto il legislatore fa nei casi in cui innalza la soglia di gravità dell’inadempimento o esclude del tutto la risoluzione del contratto: per esempio, artt. 1668, 1878, 728 c.c., segnalati da F. XXXXXXX, I xxxxx, cit., pp. 64 ss.
184 Così, nitidamente, il recente contributo di X. XXXXXXXXX, Brevi note, cit., p. 601.
185 Si potrebbe dire che la condizione di inadempimento rappresenta un incentivo maggiore, perché l’art.
1456 c.c. subordina l’effetto risolutorio alla dichiarazione di volersi avvalere della clausola; mentre l’art. 1457
c.c. dispone che la risoluzione si verifichi immediatamente, ma il creditore possa dichiarare entro tre giorni di
esigere ugualmente l’esecuzione della prestazione. Tuttavia, la condizione di inadempimento è una condizione
c.d. “unilaterale”, il cui avveramento, per la giurisprudenza, può essere oggetto di rinuncia da parte del creditore. Si veda X. XXXXX, Il contratto, T. 1, cit., pp. 430-433, critico nei confronti della costruzione; in giurisprudenza,
L’ammissibilità di un patto di questo tipo è stata ampiamente dibattuta. Come per la clausola di irresolubilità, si è assistito al superamento dell’opinione tradizionale, contraria alla loro validità.
Da un lato, i caratteri del fatto “inadempimento” sembravano incompatibili con i requisiti dell’evento deducibile in condizione: l’incertezza, l’accidentalità e l’estrinsecità agli interessi già disciplinati dal contratto186. Le obiezioni sono state superate mostrando come la condizione di inadempimento si armonizzi con il significato corretto da attribuire a questi termini.
Quanto al primo requisito, la constatazione che la prestazione è dovuta non attribuisce al creditore la certezza che il debitore adempierà187. Quanto all’accidentalità, intesa come possibilità di rimuovere la condizione senza che ciò cancelli, nel contenuto residuo, «un programma capace di essere giuridicamente rilevante ed efficace», la condizione di inadempimento è certamente “accidentale”188. Infine, la condizione di inadempimento rispetterebbe anche il requisito dell’“estrinsecità”, intesa come idoneità del meccanismo condizionale a dare rilievo
per esempio: Cass. civ. 18031/2020; 13650/2013; 17059/2011. Cass. civ. 6634/2012 ha qualificato come unilaterale proprio una condizione risolutiva di inadempimento, quali dovrebbero essere quelle in esame. Critica anche I. XXXX, A proposito della condizione risolutiva unilaterale di adempimento in Riv. trim. dir. proc. civ., fasc.1, 2013, pp. 203 ss.
Si precisa che la decorrenza dell’effetto risolutorio ex art. 1457 c.c. è discussa: nel senso del testo, X. XXXXXXXXX, Il contratto: inadempimento e rimedi, Milano, 2010, pp. 70-71, salva successiva dichiarazione del creditore che faccia venire meno la risoluzione. In questo modo, si permette al creditore di ricercare immediatamente una prestazione sostitutiva; quanto al debitore, «il porre a [suo] carico […] l’incertezza per i successivi tre giorni è giustificato dal suo inadempimento». Contra C. M. XXXXXX, La responsabilità, cit., pp. 343 ss., per il quale l’effetto si verifica alla scadenza del terzo giorno successivo al decorso del termine, salvo che il creditore compia un negozio di rifiuto della risoluzione.
186 X. XXXXXX, La condizione di inadempimento, Verona, 1996, pp. 20 ss., che costituisce il principale studio sulla clausola di cui si discute. Sono affrontati prima gli ostacoli c.d. “concettuali” (in particolare, pp. 70 ss.) – riguardanti la compatibilità della clausola con i tradizionali requisiti dell’evento dedotto in condizione – e poi quelli “di ordine operativo” (pp. 310 ss.), riguardanti la compatibilità del meccanismo esaminato con la tutela sinallagmatica, la natura elettiva della risoluzione ordinaria e gli effetti inter partes della risoluzione del contratto. Si veda anche X. XXXXX, Condizione, autonomia privata e funzione di autotutela. L’adempimento dedotto in condizione, Milano, 1996, pp. 8 ss.
187 X. XXXXXX, op. ult. cit., pp. 82 ss. Nemmeno andrebbe trascurato che la possibilità di ottenere in via coattiva l’adempimento presuppone l’inesecuzione e che l’adozione della clausola in esame rivela un disinteresse per l’azione di adempimento.
188 X. XXXXXX, op. ult. cit., pp. 107 ss., che adotta la visione di X. XXXXXX, voce Condizione, in Enc. giur., Roma, 1988, p. 73. Nessun problema sorgerebbe anche riferendosi alle altre nozioni di essenzialità/accidentalità: «intendendo l’essenzialità come sinonimo di appartenenza allo schema tipico», andrebbe considerato che l’esecuzione è tratto caratteristico del tipo solo in specifiche applicazioni del patto di cui si discute; in ogni caso, poi, in tali ipotesi il contratto condizionato diverrebbe, al più, atipico. Infine, va rigettata la tesi che «[fa] coincidere l’essenzialità con la sua necessità ai fini della esistenza o della validità del negozio», perché in tal modo si considererebbe invalido il contratto inadempiuto. La pretesa assenza di “accidentalità” è un punto in passato sottolineato dalla giurisprudenza: si veda Cass. civ. 7007/1993 ma contra, tra le prime, Cass. civ. 8051/1990 e Cass. civ. 1842/1997. Per una critica all’uso dei precedenti fatto dalla giurisprudenza, X. XXXXX, Deducibilità dell’adempimento in condizione e autonomia negoziale, in Giur. it.¸1994, I, 1, pp. 903 ss.
a motivi personali e interessi ulteriori rispetto a quelli tipicamente perseguiti con la stipulazione di un certo contratto: infatti, la pattuizione ha la funzione di proteggere maggiormente gli interessi del creditore, considerati l’automatismo e l’opponibilità ai terzi che la caratterizzano189.
Un secondo ordine di obiezioni verteva sull’incompatibilità della clausola in esame con l’inadempimento inteso come «difetto funzionale della causa», al cui venir meno si sarebbe potuto reagire esclusivamente con la risoluzione ex artt. 1453 ss. c.c.190. Tuttavia, si è dimostrata l’infondatezza di entrambi gli assunti191. Si è poi argomentata la compatibilità della condizione risolutiva di inadempimento con la natura “elettiva” del rimedio risolutorio, di cui costituisce una scelta “anticipata”, e con gli effetti normalmente non automatici della risoluzione per inadempimento, osservando che l’art. 1457 c.c. prevede una fattispecie demolitoria automatica192.
Un problema delicato è sorto in relazione all’efficacia retroattiva erga omnes dell’avveramento della condizione193, che ha fatto sospettare il contrasto della pattuizione in esame con l’inopponibilità della risoluzione ai terzi sancita dall’art. 1458, comma 2, c.c. e con il principio di relatività degli effetti del contratto ex art. 1372 c.c.
Al riguardo, è stato osservato che la retroattività ultra partes non deriva da un successivo venir meno degli effetti traslativi, quanto piuttosto «dal loro originario non prodursi o non prodursi in modo pieno» in capo al terzo avente causa. Dunque, «l’opponibilità della caducazione costituisce, a questo punto, non il contenuto immediato del precetto d’autonomia, quanto la conseguenza (logica prima che) normativa della configurazione impressa alla vicenda sul pano reale»194. Inoltre, si è condivisibilmente
189 X. XXXXXX, op. ult. cit. p. 84; F. DE XXXXXXXXXX, Xxxxx c.d. condizione di adempimento, nota a Cass. civ. 1842/1997, in Corr. Xxxx., 1997, p. 1104, che esprime anche perplessità sul fondamento legale del requisito in esame; X. XXXXXX, Condizione e termini, in X. XXXXXXXX (a cura di), Effetti, in X. XXXXX (diretto da), Trattato del contratto, Vol. III, II Ed., Milano, 2023, pp. 357-358, osserva che, anche ammettendo l’esistenza di tale requisito, dagli artt. 1353 ss. c.c. non risulterebbe esclusa «la destinazione della figura ad altri fini»: il problema è, piuttosto, la sua compatibilità con la disciplina della risoluzione per inadempimento, su cui subito infra. Si vedano anche
X. XXXXX, Deducibilità dell’adempimento in condizione e autonomia negoziale, in Giur. it.¸1994, I, 1, pp. 903 ss., che critica la giurisprudenza in materia, e X. XXXXX, In tema di adempimento come condizione: ammissibilità, qualificazione e disciplina, in Riv. not., 1986, pp. 88 ss.
190 Tale concezione risale a X. XXXXXXX XXXXXXXXXX, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1981, p. 199.
191 X. XXXXXX, op. ult. cit., pp. 322 ss.
192 L’art. 1457 c.c. rendere irrilevante l’interesse del debitore a poter adempiere tardivamente e, quindi, mostra la compatibilità della condizione con la considerazione che la disciplina della risoluzione ha degli interessi del debitore. Quanto alla coerenza della clausola de qua con l’interesse del creditore, l’Autore osserva come essa sia una (auto) limitazione delle possibilità di scelta del soggetto in favore del quale è predisposta, indubitabilmente legittima.
193 Ritiene dirimente l’aspetto X. XXXXXXXX, «Incertezza», autonomia privata e modello condizionale, Napoli, 1976, p. 89.
194 Sempre X. XXXXXX, ibidem, pp. 360 ss. e in particolare p. 409. Per una sintesi: X. XXXXXXX, La condizione di inadempimento, in Contratti, 2004, fasc. 7, pp. 671 ss.
affermato che la retroattività reale non è una nota caratteristica della condizione risolutiva di inadempimento, ma un effetto che la legge attribuisce ex art. 1357 c.c. a qualsiasi condizione risolutiva195. Né sarebbe irrimediabilmente pregiudicato l’affidamento dei terzi, ossia l’interesse protetto dall’art. 1458, comma 2, c.c.: nelle compravendite immobiliari, la condizione verrebbe menzionata nella nota di trascrizione (art. 2659, ult. comma, c.c.) mentre, nelle compravendite mobiliari, l’art. 1153 c.c. soccorrerebbe a consolidare il loro acquisto196.
Sono stati dunque superati gli ostacoli tradizionalmente frapposti all’ammissibilità della figura in esame197.
Resta il problema della risarcibilità del danno patito per l’inadempimento dell’obbligazione dedotta in condizione198. Parte della dottrina ha ritenuto contraddittorio ristorare il pregiudizio derivante da una violazione la cui rilevanza giuridica viene travolta, per l’operare della condizione, nel momento stesso in cui si realizza. Da altro punto di vista, è parso che la caducazione della regola violata faccia venire meno il criterio per giudicare illecita la sua trasgressione199. A fronte di tali obiezioni, si è raccomandata l’adozione di
195 X. XXXXXXXXX, Brevi note, cit., p. 602.
196 X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 602.
197 In dottrina, sono favorevoli alla condizione di inadempimento, tra gli altri, X. XXXXXX, op. ult. cit., passim; X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., pp. 602 ss.; X. XXXXXX, op. cit., pp. 356 ss.; X. XXXXXXXX, L’atto unilaterale di risoluzione per inadempimento, in F. D. BUSNELLI – X. XXXXX – X. XXXXXXX – X. XXXXX (collana diretta da), Studi di Diritto Privato, Vol. LIII, Torino, 2013, pp. 252 ss.; ulteriori riferimenti in X. XXXXXXX, La condizione di inadempimento, op. cit., p. 672, nota 12. In giurisprudenza, Cass. civ. 9504/2010 e Cass. civ. 17859/2003, che però negano la risarcibilità del danno da inadempimento. Si vedano poi X. XXXXXXX, Condizione risolutiva d’inadempimento, in NGCC, 2008, fasc. 3, pp. 71 ss.; X. XXXX, Condizione di inadempimento e interpretazione del contratto, nota a Cass. civ. Sez. II, 02 ottobre 2014, n. 20854, in Contr., 2015, pp. 465 ss.; X. XXXXXXXX, La condizione risolutiva di inadempimento, nota a Cass. civ. Sez. II Sent., 15 novembre 2006, n. 24299, in Obbl. e Contr., 2008, fasc. 3, pp. 215 ss.
198 Un problema ulteriore consiste nel comprendere se l’inadempimento dedotto in condizione debba essere imputabile e grave per produrre l’effetto risolutorio. X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 603 conclude per la superfluità del primo requisito; invece, della gravità dell’inadempimento si potrà prescindere solo ove la clausola contempli specifiche obbligazioni, sulla falsariga di una clausola risolutiva espressa.
199 Le due accezioni dell’opinione negativa sono riassunte da X. XXXXXX, op. ult. cit., pp. 417 ss. Contrario alla risarcibilità G. G. AULETTA, op. cit., pp. 92-95, nel contesto di un’analisi dedicata al diverso tema del fondamento della risoluzione del contratto. Per A. C. XXXXXX, La proprietà risolubile nella teoria del negozio condizionato, Milano, 1975, pp. 219-221, il danno da inadempimento è risarcibile solo qualora la condizione risolutiva sia apposta alla controprestazione dovuta dal creditore deluso, e non all’intero contratto. Tuttavia, la conclusione è influenzata dalla particolare ricostruzione della retroattività della condizione seguita dall’Autore. Si veda anche X. XXXXXXX, voce Condizione, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ. Torino, 1988, p. 282. Su un piano diverso, secondo Xxxx. civ. 17859/2003, in presenza di una condizione di inadempimento, l’inesecuzione non costituirebbe «un illecito contrattuale, bensì il legittimo esercizio d'una potestà convenzionalmente attribuita, in quanto costituente l'evento espressamente dedotto in condizione risolutiva potestativa per concorde volontà d'entrambe le parti». Il ragionamento trascura che la funzione della clausola è rafforzare la tutela del creditore e non concedere una specie di diritto di recesso al debitore; inoltre, il comportamento del debitore è pur sempre dedotto in obbligazione e quindi doveroso. Così I. XXXX, A proposito della condizione risolutiva unilaterale di adempimento, in Riv. trim. dir. e proc. civ.,
clausole di esclusione della retroattività o di risarcibilità del danno da inadempimento200, mentre rimane dubbia la soluzione da adottare nel caso in cui queste manchino201.
4.2. Patti atipici di deroga alla disciplina delle sopravvenienze
Nella prassi sono diffuse anche clausole di deroga alla disciplina dell’impossibilità e dell’eccessiva onerosità sopravvenuta sopravvenute. Tramite di esse, le parti ripartiscono tra loro il rischio degli eventi regolati dagli artt. 1463 e 1467 c.c., oppure sostituiscono il rimedio manutentivo a quello caducatorio ivi previsto. L’attenzione degli interpreti si è concentrata sulla validità di queste pattuizioni e, quindi, sulla derogabilità delle norme citate.
4.2.x. Xxxxxxxx di deroga alla disciplina della risoluzione per impossibilità sopravvenuta
Quanto all’impossibilità sopravvenuta, va esaminata anzitutto l’ammissibilità di clausole che precludano la risoluzione del contratto ex art. 1463 c.c. o il recesso ex art. 1464 c.c., in caso di impossibilità parziale. In secondo luogo, si dovrà comprendere se siano validi i patti tramite i quali le parti modificano la ripartizione del rischio del perimento fortuito del bene compravenduto prevista dall’art. 1465 c.c.
Sotto il primo profilo, è opinione diffusa quella che qualifica gli artt. 1463 e 1464 x.x. xxxx xxxxx xxxxxxxxxx: xx xxx, xx xxxxxxxx xxxxx xxxxxxxx che preveda l’irresolubilità del
2003, fasc. 1, pp. 211. Per X. XXXXXXXX, Gli elementi accidentali del contratto, in Vita not., 1988, suppl., p. LIV, la condizione risolutiva preclude il risarcimento del danno da inadempimento e, quindi, è nulla ex art. 1229 c.c.
200 X. XXXXXX, op. ult. cit., pp. 425-427 suggerisce di escludere la retroattività ex art. 1360 c.c.; X. XXXXXXX, op. cit., p. 677, propone anche la previsione di una clausola penale, strumento ritenuto legittimo da Cass. civ. 6634/2012 e 24299/2006. Resterebbe salva la possibilità di rinunciare alla condizione per avvalersi dell’ordinario rimedio risolutorio e dell’azione di risarcimento del danno: X. XXXXXXXX, La condizione «elemento essenziale» del negozio giuridico, Milano, 2000, p. 447; X. XXXXXX XXXXXXXX, L'avveramento della condizione risolutiva di inadempimento e la questione sulla responsabilità della parte inadempiente, nota a Cass. civ. 17859/2003, in Riv. not., 2004, p. 530.
201 Negano tale compatibilità gli Autori citati supra, nota 199. In giurisprudenza si vedano per es. la citata Cass. civ. 17859/2003 e Cass. civ. 1805/1977, in Giur. it., 1977, I, 1259; ulteriori riferimenti in X. XXXXXXX, op. cit., p. 672, nota 11. Xxx X. XXXXXX, op. ult. cit., pp. 432 ss. il problema può essere superato adottando la particolare nozione di “danno da risoluzione” proposta da X. XXXXXXXX, Della risoluzione per inadempimento, in
X. XXXXXXX (diretto da), Commentario del Codice civile Scialoja – Branca, T. 1, Vol. 1, Bologna – Roma, 1990, pp. 224 ss.: sarebbe proprio la perdita del diritto alla prestazione derivante dalla risoluzione del contratto a fondare il diritto al risarcimento del danno. È per la risarcibilità del danno X. XXXXXXX, Teoria generale delle obbligazioni, Milano, 1956, p. 436.
contratto per impossibilità sopravvenuta202. Il contratto contenente la pattuizione così congegnata dovrebbe qualificarsi come convenzionalmente aleatorio203.
Quanto agli interventi dell’autonomia privata sull’art. 1465 c.c., il problema, stante il rimando operato dalla norma all’art. 1376 c.c., è stato affrontato secondo due approcci differenti.
Da un lato, alcuni studi hanno indagato la derogabilità del principio consensualistico ex art. 1376 c.c., concludendo per la validità delle clausole con cui si rinvii l’effetto reale alla rinnovazione del contratto in una forma più solenne, al pagamento del prezzo o a un successivo atto di adempimento dell’obbligazione di dare204.
Dall’altro, la dottrina ha esaminato la possibilità di derogare al solo art. 1465 c.c., tramite patti che recidano il nesso tra trasferimento della proprietà e passaggio del rischio del
202 R. SXXXX, Xx contratto, T. 2, cit., p. 978; F. DELFXXX, Xxll’impossibilità sopravvenuta, in X. XXXXXXXXXXX (xxndato da) – F. D. BUSNELLI (diretto da), Il Codice Civile. Commentario, Milano, 2003, pp. 78 ss.; X. XXXXXXX, Xx contratto, in A. CXXX – X. XXXXXXXX (diretto da) – X. XXXXXXX (xxntinuato da), Trattato di diritto civile e commerciale, Vol. XXX, X. 0, Xxxxxx, 1987, pp. 287-288. L’opinione è condivisa dalla giurisprudenza, che, premessa la derogabilità delle norme citate, ritiene in via di principio valide le c.d. “clausole di inversione del rischio” nel contratto di leasing (ossia patti con cui si prevede che l’utilizzatore sopporti il rischio di mancata consegna o vizi della cosa): per es., Cass. civ. 10926/1998. In dottrina si vedano X. XXXXXX, Xx traslazione del rischio contrattuale nel leasing, Milano, 1989; G. DE NOVA, voce Leasing in Dig. Disc. Priv., sez. civ., Vol. X, pp. 476 ss.; F. DELFXXX, xx. ult. cit., pp. 71 ss.; X. XXXXXXX, Xxntxxxxx xxxerni. Factoring, franchising, leasing, in R. SXXXX (xxretto da), I singoli contratti, Vol. IV, in Trattato di diritto civile, Torino, 2004, pp. 335 ss., ove ulteriori riferimenti bibliografici. Si veda anche la risalente Cass. civ. 5592/1977, in Giur. It., 1978.
203 F. DELFXXX, xxidem, pp. 78 ss. Si avrebbe un contratto commutativo “con alea estesa” in presenza di un riequilibrio del sinallagma tramite strumenti appositamente predisposti. A tale contratto si applicherebbero la rescissione per lesione ex art. 1448, comma 4 c.c. e gli altri «rimedi per le sopravvenienze (anche quelli che, come la inesigibilità, hanno fondamento nel canone di buona fede e nell’equità)». Contra X. XXXXXXX, Xxttx xxx rischio e sopravvenienza, Xxxx, 0000, pp. 97-98. Per X. XXXXX, Xx contratto, cit., p. 883, la clausola di irresolubilità per impossibilità sopravvenuta «nella peggiore delle ipotesi, si affaccerebbe sul precipizio della nullità per mancanza di causa; nella migliore, cadrebbe sul terreno del contratto (convenzionalmente) aleatorio»; inoltre, qualora la rinuncia fosse bilaterale, si avrebbero
«due promesse indipendenti fra loro (giacché la sorte dell’una non influisce sulla sorte dell’altra), e sostanzialmente unilaterali. Ma allora si sfiorerebbe pericolosamente la violazione del principio di tipicità delle promesse unilaterali (art. 1987): principio con valore di ordine pubblico […]».
204 Per la prima ipotesi, Cass. civ. 692/1969, in Giur. it., 1969, I, 1, p. 2162 e Cass. civ. 3807/1978, in Rep. foro. it., 1978, voce “Vendita”, n. 100, riportate da F. DELFXXX, xx. ult. cit., p. 138; per la subordinazione dell’effetto traslativo al pagamento del prezzo, si veda la giurisprudenza che permette il condizionamento della sentenza ex art. 2932 c.c. all’adempimento del promissario acquirente (per es. Cass. civ. 16881/2007 e Cass. civ. 59/2002); per la subordinazione a una datio successiva, si veda F. DELFXXX, xx. ult. cit., pp. 145 ss., che valorizza la giurisprudenza in tema di contratto preliminare per affermarne il ruolo di «equivalente, quantomeno funzionale, della vendita a efficacia obbligatoria», alla luce della ricostruzione del contratto definitivo come «atto traslativo con causa esterna (solutoria)» (Cass. civ. 5147/1987 e Cass. civ. 9500/1987). Viene poi sottolineata la portata sistematica dell’art. 2645-bis, commi 2 e 3, c.c. In dottrina si vedano anche G. B. PORTALE, Principio consensualistico e conferimento di beni in proprietà, in Riv. delle società, 1970, pp. 913 ss.; C. M. BIANCA, La vendita e la permuta, in X. XXXXXXXX (diretto da), Trattato di diritto civile italiano, II Ed. Torino, 1993, pp. 78 ss.; X. XXXXXXX, Xxincipio consensualistico, produzione e differimento dell’effetto reale. I diversi modelli, in Contr. Impr., 1998, pp. 572 ss. Come nota
F. DELFXXX, xx. ult. cit., p. 154, il rinvio del trasferimento della proprietà alla consegna del bene grava l’alienante del rischio del perimento e dell’impossibilità sopravvenuta di adempiere alla prestazione di dare; correlativamente, egli potrà invocare l’eccessiva onerosità sopravvenuta, per il caso in cui il bene venduto aumenti eccezionalmente di valore.
perimento fortuito. L’indagine ha messo in luce come questo effetto possa essere ottenuto tramite tre modalità diverse.
In primo luogo, le parti potrebbero derogare all’art. 1465 c.c., ricollegando il passaggio del rischio del perimento fortuito alla consegna. Raggiunto l’accordo in questo senso, la consegna/passaggio del rischio potrebbe precedere il trasferimento della proprietà, oppure avvenire dopo di esso. Nella prima sotto-ipotesi, i contraenti adotterebbero il paradigma già seguito dal codice civile per la vendita con riserva della proprietà, ove l’immediata soggezione al rischio del perimento opera come una sorta di “costo” per la disponibilità attuale del bene da parte dell’accipiens205. Nella seconda sotto-ipotesi, i contraenti rinvierebbero il passaggio del rischio a un evento successivo al trasferimento del dominio, come la consegna del bene compravenduto206. Questa sequenza tutelerebbe l’acquirente dal rischio che l’alienante compia vendite successive alla prima che prevalgano su di essa in forza dell’operare, per esempio, dell’art. 1153 c.c.207.
In secondo luogo, i contraenti potrebbero pattuire che il rischio del perimento fortuito gravi sull’acquirente dalla stipulazione del contratto, ma rinviare l’acquisto della proprietà a un momento successivo208. Si tratterebbe, in tal caso, dello schema prefigurato dall’art. 1465, comma 2 c.c., che pone tale rischio sul compratore già dal momento del perfezionamento dell’accordo, anche ove l’effetto traslativo sia differito allo scadere di un termine209.
4.2.b. Clausole di deroga alla disciplina dell’eccessiva onerosità sopravvenuta
Per concludere questa breve analisi dei patti atipici di deroga alla disciplina delle sopravvenienze resta da indagare la possibilità di intervenire sulla regolazione dell’eccessiva onerosità sopravvenuta.
205 Si avrebbe, quindi, la sequenza contratto (ma non trasferimento della proprietà: deroga all’art. 1376 c.c.)
- consegna della cosa/passaggio del rischio (in deroga all’art. 1465 c.c.) - trasferimento della proprietà (per es., subordinato al pagamento del prezzo). Come noto, l’art. 1523 c.c. prevede che «nella vendita a rate con riserva della proprietà, il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell'ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna». Per queste riflessioni, si veda F. DELFXXX, xx. ult. cit., pp. 155, 162.
206 Secondo la sequenza contratto/trasferimento della proprietà (art. 1376 c.c.) – consegna della cosa/passaggio del rischio (deroga all’art. 1465 c.c.).
207 Per C. M. BIANXX, xx. ult. cit., p. 79, il patto sarebbe meritevole ogniqualvolta il compratore nutra un interesse qualificato alla consegna immediata, ma il venditore sia impossibilitato ad effettuarla. Similmente F. DELFXXX, xx. ult. cit., pp. 155-157, 161-162: la meritevolezza del patto dipenderebbe dall’impossibilità o dall’interesse del venditore a rinviare la consegna.
208 Si veda F. DELFXXX, xx. ult. cit., pp. 157 ss.
209 In questo caso, per F. DELFXXX, xx. cit., p. 162, l’ammissibilità della clausola dovrà essere valutata «con particolare cautela e rigore», specie considerate le perplessità mostrate dalla dottrina circa l’art. 1465, comma 2, c.c., su cui sempre F. DELFXXX, xx. cit., pp. 124 ss.
La derogabilità degli artt. 1467 ss. c.c. è comunemente riconosciuta in dottrina210. L’attenzione degli interpreti non si è concentrata su questo aspetto, quanto, piuttosto, sulle modalità attraverso le quali sia possibile escludere il rimedio risolutorio.
In estrema sintesi, una prima strada per ottenere questo effetto è stata individuata nella stipulazione di un contratto convenzionalmente aleatorio, come prefigurato dallo stesso art. 1469 c.c. Da questo punto di vista, l’analisi della derogabilità dell’art. 1467 c.c. sfocia nello studio delle pattuizioni in grado di trasformare il contratto commutativo in aleatorio. In questo modo, si ottiene una deroga “indiretta” alla disciplina della patologia in esame211.
Un’altra serie di pattuizioni capaci di precludere il ricorso alla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta è rappresentata dalle clausole con le quali una parte si assume il rischio dell’accadere di un certo evento, senza che, però, ciò permetta di categorizzare l’accordo quale convenzionalmente aleatorio: piuttosto, si dovrà parlare di contratto ad alea normale “estesa”212. Un esempio è offerto dai patti che escludono l’applicabilità dell’art. 1664 c.c., ammessi dalla giurisprudenza e ritenuti inidonei a trasformare l’appalto in contratto aleatorio per volontà delle parti213.
210 Per es., R. SXXXX, Xx contratto, T. 2, cit., p. 698; X. XXXXXXX, Xx rinegoziazione del contratto. Strumenti legali e convenzionali a tutela dell'equilibrio negoziale, Padova, 2006, p. 127; X. XXXXX, xxce Eccessiva onerosità sopravvenuta e presupposizione, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., Agg. VII, p. 457, che cita anche le clausole di deroga all’art. 1664 c.c.;
F. DELFINI, Autonomia privata e rischio contrattuale, Milano, 1999, pp. 000, 000. X significativa la constatazione che alcuni studi non si soffermano sul punto e trattano direttamente la possibilità di escludere convenzionalmente il rimedio: per es., X. XXXXX, Xx contratto, cit., pp. 944-945
211 Così, recentemente, G. DE NOVA, Disciplina convenzionale delle sopravvenienze, in Controversie contrattuali, Torino, 2022, p. 23. Per alcuni riferimenti sul tema dei contratti aleatori, si veda infra, Cap. III, para. 8.
212 R. SXXXX, Xx contratto, T. 2, cit., p. 698, che avverte che il rimedio resta esperibile per fronteggiare l’onerosità derivante da rischi diversi da quelli accollati a una parte; G. DE NOVA, Il contratto ha forza di legge, Milano, 1993, pp. 39-40; X. XXXXX, xx. ult. cit., che puntualizza che nei contratti ad “alea normale estesa” l’eccessiva onerosità sopravvenuta resta rilevante qualora derivi da rischi ulteriori rispetto a quelli ripartiti dal programma contrattuale; nei contratti convenzionalmente aleatori, invece, il rimedio sarebbe del tutto precluso. Contra X. XXXXX, Xx contratto, cit., p. 961: anche per i contratti aleatori continuerebbero a rilevare le sopravvenienze che realizzino il rischio che costituisce l’alea di quel determinato contratto.
Patti di questo tipo richiedono di distinguere il contratto convenzionalmente aleatorio dal contratto ad alea normale “estesa”: il primo è irresolubile per eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell’art. 1469 c.c., il secondo ai sensi dell’art. 1467, comma 2 c.c. Per alcuni riferimenti, si rinvia infra, Cap. III, para. 8, ma si vedano, fin da ora, X. XXXXXX, xxce Alea, in Enc. dir., Vol. I, Milano, 1958, pp. 1025 ss. e F. DELFXXX, xx. ult. cit., pp. 199 ss., spec. 210 ss. e pp. 239 ss. per l’incidenza della presenza di una clausola “di minimo garantito” sulla qualificabilità del contratto come convenzionalmente aleatorio o commutativo “con alea estesa”.
213 G. DX XXXX, xx. ult. cit., pp. 39-40; F. DELFXXX, xx. ult. cit., p. 199; X. XXXXX, xx. ult. cit., p. 457; X. XXXXXX – X. XXXXXX, Xxll'appalto, in A. SXXXXXXX – X. XXXXXX (x cura di), Commentario del Codice civile, Bologna- Roma, 1992, p. 304. In giurisprudenza, Cass. civ. 5267/2018; Cass. civ. 11478/2016, con riferimento all’alea normale del contratto; Cass. civ. 4198/2014: «la clausola con la quale si escluda, in deroga all'art. 1664 cod. civ., il diritto dell'appaltatore a ulteriore compenso per le difficoltà impreviste incontrate nell'esecuzione dell'opera (cosiddetto appalto “a forfait”) non comporta alcuna alterazione della struttura ovvero della funzione dell'appalto, nel senso di renderlo un contratto aleatorio, ma solo un ulteriore allargamento del rischio, senza che questo, pur cosi ulteriormente allargato, esorbiti dall'alea normale del tipo contrattuale». Tutte le pronunce citate sono disponibili sulla banca dati OneLegale. Contra, Cass. civ. 8949/1990,
Infine, la riconosciuta derogabilità dell’art. 1467 c.c. permette alle parti di adottare una clausola che escluda sic et simpliciter il rimedio, operando una deroga “diretta” alla disciplina di questa sopravvenienza214.
In direzione opposta, è comunamente ammessa la possibilità di estendere l’ambito di applicazione degli artt. 1467 ss. c.c.215, o regolare convenzionalmente sopravvenienze altrimenti “atipiche”, descrivendone la relativa fattispecie e prevedendo meccanismi di gestione ad hoc216. Quest’ultimo è il caso delle clausole di hardship, patti che, al ricorrere di certe condizioni, ricollegano meccanismi di adeguamento del contratto217.
4.3. Conclusione e introduzione ai capitoli successivi
Alla luce di quanto precede si può concludere che lo studio dei patti atipici di deroga alla disciplina della patologia contrattuale ha portato ad estendere gli spazi di intervento dell’autonomia privata in questa materia: è emblematico il caso della clausola di irresolubilità e della condizione di inadempimento, in passato ritenute nulle e, ora, ammesse dalla dottrina largamente maggioritaria. Una spinta significativa è arrivata dalla prassi, che ha testimoniato come queste clausole rispondano ad esigenze effettive e largamente percepite presso gli operatori economici.
I risultati ai quali è pervenuta la dottrina sono condivisibili, poiché rispettosi delle norme inderogabili del nostro ordinamento (per es., l’art. 1229 c.c., ove ritenuto applicabile ai patti di irresolubilità) e idonei a rendere effettive le soluzioni elaborate dai contraenti. Sembra, dunque, che la flessibilità del sistema rimediale codicistico permetta alle parti di risolvere efficacemente le inadeguatezze che lo affliggono.
Gli studi circa gli spazi di intervento dell’autonomia privata sulla disciplina della patologia contrattuale si sono concentrati sulle fattispecie funzionali, lasciando in ombra il problema dell’ammissibilità di clausole operanti nella materia dell’invalidità. Questa scelta si spiega perché le norme che regolano questa materia svolgono esattamente la funzione di limitare l’autonomia contrattuale: di qui, la difficoltà di concepire un esercizio dell’autonomia negoziale in questo ambito. Tuttavia, la prassi mostra una diffusione crescente di clausole
in Mass. Giur. it., 1990, che ha qualificato come aleatorio il contratto di appalto navale dove era stata esclusa la rilevanza di eventuali forti aumenti dei prezzi di materiali e manodopera.
214 Espressamente, per es., R. SXXXX, xx. cit., T. 2, cit., p. 698.
215 X. XXXXX, Xx contratto, cit., pp. 945, 963-964 per la constatazione dell’inadeguatezza del sistema rimediale
codicistico dal punto di vista delle fattispecie contemplate.
216 X. XXXXX, Xx contratto, cit., pp. 970 ss.; R. SXXXX, Xx contratto, T. 2, cit., pp.
217 Per alcuni riferimenti, si veda supra, nota 32.
che mirano a regolare convenzionalmente l’annullamento e la nullità parziale del contratto: clausole di esclusione dell’azione di annullamento e patti di limitazione o estensione della nullità parziale. I primi sono stati oggetto di alcuni contributi che, tuttavia, hanno concluso generalmente per la loro nullità, seppure seguendo percorsi diversi e all’esito di analisi non sempre approfondite218. I patti sulla nullità parziale, invece, hanno ottenuto un’attenzione maggiore; tuttavia, queste clausole sembrano meritare una riflessione ulteriore, specie per quanto riguarda le interferenze che la loro previsione potrebbe comportare con riferimento alla disciplina legale o convenzionale di altre patologie del contratto219. I capitoli che seguono sono dedicati alla clausola di rinuncia all’azione di annullamento e ai patti sulla nullità parziale.
218 Si veda infra, Cap. II, para. 4.
219 Infra, Cap. III, spec. para. 8.
CAPITOLO II
LA CLAUSOLA DI RINUNCIA ALL’AZIONE DI ANNULLAMENTO
SOMMARIO: 1. Clausole di “unico rimedio”, clausole di rinuncia all’azione di annullamento — 2. Delimitazione dell’ambito di indagine — 3. Contesto e funzioni della clausola di rinuncia all’azione di annullamento — 4. L’invalidità della clausola secondo la dottrina maggioritaria; il piano d’indagine
— 4.1. Incompatibilità della clausola con il sistema dell’annullabilità del contratto — 4.1.a. Nullità della clausola per contrasto con le norme imperative in materia di annullabilità del contratto — 4.1.b. Nullità della clausola per contrasto con l’asserita funzione sanzionatoria delle norme in materia di annullabilità del contratto — 4.1.c. Incompatibilità della clausola con gli effetti caducatori derivanti dalla pronuncia di annullamento — 4.2. Contrasto della clausola con gli artt. 1444, 1395 e 1462 c.c.
— 4.2.a. La clausola di rinuncia all’azione di annullamento e la convalida del contratto annullabile —
4.2.a.i. La convalida, la clausola di rinuncia all’azione di annullamento e l’eccezione di annullabilità —
4.2.a.ii. La convalida, la clausola di rinuncia all’azione di annullamento e l’art. 1338 c.c. — 4.2.b. La clausola di rinuncia all’azione di annullamento e l’autorizzazione prevista dall’art. 1395 c.c. — 4.2.c. La clausola di rinuncia all’azione di annullamento e il divieto posto dall’art. 1462 c.c. — 4.2.c.i. Norme che disciplinano differentemente le azioni e le eccezioni: proposta ricostruttiva e inapplicabilità dell’art. 1462 c.c. alla rinuncia all’azione di annullamento — 4.2.c.ii. La ratio del divieto dell’art. 1462
c.c. non vale per la clausola in esame — 4.3. Altri profili problematici: indeterminatezza dell’oggetto
della clausola; rinuncia a diritti futuri — 4.3.a. Nullità della clausola per indeterminatezza dell’oggetto
— 4.3.b. Patto di rinuncia all’azione di annullamento e rinuncia a diritti futuri — 5. Coerenza sistematica della clausola di rinuncia all’azione di annullamento — 5.1. Clausola di rinuncia all’azione di annullamento e interesse del legittimato — 5.2. Clausola di rinuncia all’azione di annullamento e protezione della controparte — 5.3. Clausola di rinuncia all’azione di annullamento per errore e mancanza di qualità della cosa compravenduta — 5.3.a. I rapporti tra errore sulla qualità determinante e mancanza di qualità — 5.3.b. La rilevanza del dibattito per la clausola di rinuncia all’azione di annullamento — 6. Limiti alla rinunciabilità dell’azione di annullamento: contratti con i consumatori, dolo, violenza, incapacità, conflitto di interessi — 6.1. Contrati con i consumatori — 6.2. Ulteriori limiti di validità della clausola: il vizio riferito al singolo patto e l’immeritevolezza della clausola di rinuncia all’azione di annullamento del contratto per dolo, violenza, incapacità naturale o legale, per conflitto di interessi — 6.2.a. Vxxx xxxrenti alla clausola in sé considerata: errore, dolo, conflitto di interessi — 6.2.b. — Immeritevolezza della clausola di rinuncia all’azione di annullamento per dolo, violenza, incapacità naturale e legale, conflitto di interessi — 6.2.b.i. Dolo, violenza, incapacità naturale e legale: immeritevolezza della clausola. — 6.2.b.ii. Valutazione differenziata per il conflitto di interessi — 6.2.b.iii. Meritevolezza della clausola di rinuncia all’azione di annullamento per errore.
1. Clausole di “unico rimedio”, clausole di rinuncia all’azione di annullamento
La prima clausola che si esamina è il patto con cui le parti stabiliscono che l’accordo non potrà essere impugnato per chiederne l’annullamento e, eventualmente, attribuiscono al contraente che sarebbe legittimato a ottenerne la caducazione il diritto a ricevere un indennizzo.
Le pattuizioni in esame sono chiamate in vario modo: si parla di clausole di exclusive1 o sole2 o single o no other remedy3, o di clausole di indemnity, con riferimento alla circostanza che il diritto a un ristoro monetario è l’unico rimedio a fronte dell’annullabilità del negozio. Nella traduzione italiana, si parla di clausole di “unico rimedio”4 o di “clausole indennitarie”5.
Tuttavia, la previsione di un indennizzo sostitutivo non è necessaria, in quanto potrebbe accadere che le parti convengano semplicemente di escludere l’azione di annullamento del contratto, senza attribuire in sua vece il diritto a ristori monetari di sorta. In tal caso, si potrà parlare di clausola di rinuncia all’azione di annullamento. Per esempio, nei Paesi di Common Law sono diffuse particolari pattuizioni di entire agreement6 in cui le parti dichiarano di aver confidato solo sulle dichiarazioni contenute nel contratto stesso (non-reliance statements) o rinunciano ai rimedi che sarebbero disponibili per dichiarazioni non contenute nel contratto (exclusion clauses)7. In questo modo, si cerca di paralizzare la responsabilità per misrepresentation e i connessi rimedi dell’annullamento del contratto e del risarcimento del danno, senza contestualmente attribuire alla parte caduta in errore il diritto a una somma di denaro8. Ancora, per parte della dottrina integrano una rinuncia all’azione di annullamento le c.d. “clausole di incontestabilità”, patti diffusi nei contratti di assicurazione con i quali l’assicuratore rinuncia, dopo un certo periodo, a far valere eventuali reticenze o inesattezze
1 E. GXXXXXXXX, Xxtonomia privata ed esclusione dei rimedi contrattuali, cit. pp. 215 ss., con riferimento
all’esclusione convenzionale della risoluzione per inadempimento.
2 Così recentemente G. DX XXXX, Xxlidità ed effetti in diritto italiano di alcune clausole del commercio internazionale: merger clause, sole remedy clause, no waiver clause, in Riv. dir. comm. int., 2022, 2, pp. 231 ss. e ora anche in ID., Controversie contrattuali, pp. 31 ss. Nel prosieguo, le citazioni andranno riferite alla prima versione citata.
3 A. GXXXXXXXX, xx. cit., p. 1022, con riferimento al patto di irresolubilità del contratto parla indifferentemente di clausole di single remedy, sole remedy, no other remedy, o exclusive remedy. Si veda anche E. GXXXXXXXX, Xxtonomia privata ed esclusione dei rimedi contrattuali, cit., p. 215.
4 V. DX XXXXXX, Xxausola di unico rimedio, in X. XXXXXXXXXX (x cura di), Clausole negoziali, Vol. I, Torino, 2017, pp. 1063 ss.
5 Così X. XXXXXXXX, Xx “clausola indennitaria” nel contratto di acquisizione (Sale Purchase Agreement), in Riv.
Not., 2017, pp. 295 ss.
6 Per alcuni riferimenti bibliografici generali, si veda supra, Cap. I, nota 139.
7 E. BXXXX, xx. cit., pp. 620 ss., chiama queste clausole “non-reliance clauses” e ne riporta un esempio: «Each party acknowledges that in entering into this agreement it does not rely on, and shall have no remedies in respect of, any representation or warranty (whether made innocently or negligently) that is not set out in this agreement». Come si vedrà meglio infra, para. 4.1.a., in questi casi si è di fronte, più correttamente, a una clausola di rinuncia all’annullabilità del contratto.
8 Le clausole in esame sono ritenute valide dalla giurisprudenza inglese, a condizione che siano formulate in maniera chiara e inequivocabile e che superino il reasonableness test richiesto dagli artt. 3 del Misprepresentation Xxx 0000 e 11, comma 1 dell’Unfair Contract Terms Xxx 0000. Inoltre, resta ferma l’impossibilità di escludere la responsabilità da fraudolent misrepresentation. In BskyB Limited and another v Hp Enterprise Services Uk Limitaed (formerly Electronic Data System Limited) and another [2010] EWHC 86 (Tcc), 26 January 2010, la Corte ha ritenuto che una merger clause non specifica non fosse idonea ad escludere la responsabilità per misprepresentation. In Raiffeisen Zentralbank Osterreich Ag v Royal Bank of Scotland Plc [2010] EWHC 1392 (Comm) e Springwell Navigation Corp v Jp Xxxxxx Xxxxx Bank [2010] EWCA 1211, citate da E. BXXXX, xx. cit., p. 622, si è ritenuto che la clausola avrà l’effetto di precludere i rimedi per false rappresentazioni anche qualora rivesta la forma della non-reliance statement e non della più esplicita exclusion clause. Pertanto, anche in tal caso sarà soggetta al vaglio di reasonableness.
rese dal contraente o dall’assicurato, salvo il caso di mala fede 9. In questo modo, si mette al riparo l’assicurato dal rischio che l’assicuratore annulli il contratto ex art. 1892 c.c., vanificando la copertura10.
Come si vedrà meglio nel prossimo paragrafo, l’ambito di elezione di queste clausole sono i contratti tailor-made, nei quali vengono adottate per stabilizzare l’operazione economica intrapresa dalle parti, sottraendola al rischio che una di esse ne domandi l’annullamento11. Per esempio, i contratti di compravendita di partecipazioni societarie sono stipulati all’esito di trattative complesse e di accurate due diligence, che comportano un dispendio ingente di risorse e di tempo12. Inoltre, una volta eseguito il contratto, la società acquistata potrebbe andare incontro a modifiche radicali, trattandosi di un soggetto che svolge attività di impresa ed è quindi soggetto a continui mutamenti (ad es.: operazioni straordinarie, assunzioni o licenziamenti di personale, cessioni di rami di azienda). In questo contesto, l’annullamento della compravendita vanificherebbe gli sforzi sostenuti durante le trattative, esporrebbe il venditore al rischio di riottenere un bene diverso da quello alienato e costringerebbe il compratore a riportare la propria organizzazione di impresa all’assetto precedente la compravendita13. La delusione delle aspettative della controparte sarebbe particolarmente forte in caso di annullamento per errore: un vizio che insorge a prescindere da una sua attività ed è subordinato a un requisito, la riconoscibilità, che potrebbe essere difficile da accertare
9 A. MXXXXXX, Xx clausola di incontestabilità nei contratti di assicurazione, in Resp. civ. prev., 2009, pp. 440 ss., anche in G. DE NOVA (a cura di), Clausole a rischio nullità, Milano, 2009, pp. 79 ss., che riprende la tesi di A. MXXXX, Xxno valide le clausole di incontestabilità contenute nelle polizze dei contratti di assicurazione? in Riv. dir. comm., 1960, II, pp. 4 ss. Si veda anche X. XXXXXXX, xxce Assicurazione sulla vita, in Enc. dir., Vol. III, Milano, 1958, p. 637. La tesi opposta qualifiche le clausole come decadenze convenzionali, valide nei limiti dell’art. 2965 c.c. Per un approfondimento si rimanda a X. XXXXXXX, xx. cit., p. 637.
10 E dall’art. 1893 c.c., che però prevede come rimedio il recesso e non l’annullamento del contratto. Allo stesso tempo, l’assicuratore conserva un certo tempo per verificare la rispondenza tra rischio rappresentato e rischio reale.
11 Anche a distanza di molto tempo dalla sua conclusione, considerato che l’art. 1442, comma 2, c.c. fa decorrere il termine di prescrizione quinquennale a partire dal giorno in cui, per esempio, è stato scoperto l’errore. Per alcune considerazioni relative all’eccessiva incertezza che deriva da questa scelta legislativa, si veda infra, para. 5.2.
12 Per un’analisi delle modalità attraverso le quali avviene la trattativa per la conclusione di un contratto di compravendita di partecipazioni societarie, si vedano G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement, cit., pp. 47 ss. e spec. pp. 66 ss. per la due diligence, e A. XXXX, Xx contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Milano, 2007, pp. 79 ss.
13 Rispettivamente, per il caso che ad annullare il contratto sia il compratore o il venditore. Per illustrare meglio questa seconda ipotesi, si può pensare all’evenienza in cui il compratore sia la società a capo di un gruppo che, in considerazione dell’acquisto appena perfezionato, abbia apportato modifiche organizzative ad altre società o alla struttura del gruppo.
e, quindi, provocare un contenzioso14. Né va trascurato che il compimento un’istruttoria anteriormente alla conclusione del contratto responsabilizza il compratore e, correlativamente, aumenta la fiducia del venditore circa la bontà del consenso prestato dalla controparte.
Per permettere alle parti di confidare nella definitività dell’assetto di interessi cristallizzato nella compravendita, è necessario ripartire in capo a ciascuna di esse il rischio dei propri errori di valutazione, impedendo loro di porli alla base di una domanda di annullamento del contratto. Dunque, dal punto di vista degli interessi coinvolti, un patto che precluda l’esperimento dell’azione di annullamento sembra rispondere a un’esigenza effettiva, che ne spiega la significativa diffusione. Tuttavia, esso si deve confrontare con le norme inderogabili che regolano l’invalidità negoziale, specialmente gli artt. 1444 e 1462, comma 1, c.c., e con il pericolo che l’esclusione del rimedio esponga un contraente ad abusi della controparte. In particolare, come si vedrà, incontra perplessità insuperabili una clausola che cerchi di precludere l’impugnazione dell’accordo per dolo, violenza, incapacità naturale e legale e conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato, in quanto porrebbe la parte in una posizione di irrimediabile soggezione rispetto a un eventuale approfittamento della controparte. Ancora, non sembra che una clausola di rinuncia all’azione di annullamento possa superare il vaglio di vessatorietà ex art. 33 e 34 cod. cons., ove prevista in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore15.
Riconosciuta l’utilità dei patti di rinuncia all’azione di annullamento, in questo capitolo si cercherà di dimostrarne l’ammissibilità, entro alcuni limiti precisi.
In primo luogo, si affronteranno le argomentazioni spese dalla dottrina per giungere alla conclusione opposta: l’incompatibilità del patto con alcuni profili del sistema dell’annullabilità del contratto, le interferenze con la convalida ex art. 1444 c.c., con il divieto di rinuncia all’eccezione di annullabilità ex art. 1462 c.c. e l’autorizzazione ex art. 1395 c.c.16. L’esito a cui si perverrà sarà che tali obiezioni comportano la nullità della clausola di rinuncia preventiva all’eccezione di annullabilità, ma non anche della clausola di rinuncia preventiva all’azione di annullamento. Dunque, l’analisi proseguirà valutando sotto ulteriori profili l’ammissibilità del patto di rinuncia preventiva alla sola azione di annullamento.
14 Tanto più ove il bene oggetto della compravendita siano partecipazioni societarie, stante la complessità di queste operazioni. Per un’analisi dei complessi problemi che si pongono in materia di tutela dell’acquirente, si veda infra, note 48 e 52.
15 Si pensi al caso di viziato da dolo determinante, violenza o incapacità naturale.
16 Si vedano i successivi paragrafi da 4 a 4.3.
Di tale clausola si valuterà anzitutto la coerenza con il ruolo centrale che l’interesse del legittimato svolge all’interno della disciplina dell’annullabilità, e con l’esigenza, da tempo avvertita dalla dottrina, di limitarne il potere di annullamento17. Ancora, si vedrà come la rinuncia all’azione di annullamento si armonizzi con la possibilità di escludere la garanzia per mancanza di qualità ex art. 1490, comma 2, c.c.18. Nella parte conclusiva del capitolo si elaboreranno alcuni limiti di validità della clausola di rinuncia all’azione di annullamento, ritenendola inammissibile con riferimento ai contratti con i consumatori e all’annullamento del contratto per dolo, violenza, incapacità naturale e legale, conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato: rispetto ai primi, il limite sarà costituito dal vaglio di vessatorietà ex artt. 33 e 34 cod. cons.19; i secondi, invece, incontreranno l’ostacolo della verifica di meritevolezza ex art. 1322, comma 2, c.c.20.
Pertanto, le parti potranno escludere soltanto l’azione di annullamento, e non anche l’eccezione; inoltre, all’interno di questo ristretto spazio di intervento non sarà loro permesso rinunciare all’azione di annullamento per dolo, violenza, incapacità naturale e legale e conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato, né includere tale clausola in contratti tra soggetti di status diseguale. La conclusione a cui perverrà questa analisi sarà quindi differenziata: non è ammessa la rinuncia all’eccezione di annullabilità e la rinuncia all’azione di annullamento non opera identicamente per le due categorie di contraenti e i diversi vizi della volontà.
2. Delimitazione dell’ambito di indagine
Prima di entrare nel merito del problema, è necessario delimitare l’ambito della presente trattazione. Infatti, la clausola che preclude l’annullamento del contratto stabilendo in sua vece il diritto a una somma di denaro pone svariati problemi, sia nella parte in cui si conviene l’esclusione del rimedio caducatorio, sia nella parte in cui si attribuisce in sua vece il diritto a ottenere una somma di denaro. Inoltre, tendenzialmente, i contraenti escludono contestualmente l’annullamento e la risoluzione del contratto per inadempimento21, o
17 Rispettivamente, para. 5.1. e 5.2.
18 Para. 5.3.
19 Para. 6.1.
20 Para. 6.2.
21 Come testimoniano le analisi di X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 1028, X. XXXXXXXXX, Autonomia privata ed esclusione dei rimedi contrattuali, cit., p. 215; G. DE NOVA, op. ult. cit., pp. 239 ss.
arrivano a eliminare qualsiasi rimedio previsto dalla legge applicabile, incluse l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, la rescissione del contratto, la disciplina delle garanzie della compravendita, prevedendo il solo diritto a ottenere l’indennizzo pattuito22. Come si comprende, si tratta di profili radicalmente diversi, in quanto il grado di resistenza opposto dall’ordinamento italiano a clausole di questo tipo varia sensibilmente a seconda dell’istituto di cui le parti cercano di escludere l’applicazione.
Come visto, alcuni di questi aspetti sono già stati esaminati dalla dottrina, come la possibilità di pattuire una clausola di irresolubilità23 o di derogare alla disciplina
X. XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento, in X. XXXXXXXXX – M. D’AURIA – F. GALBUSERA, Risoluzione dei contratti, in X. XXXXXXXXXXX (diretto da), Trattato di Diritto civile del Consiglio Nazionale del Notariato, Sez. IV, T. Vol. 11, Napoli, 2013, p. 32, riporta la seguente clausola, tratta da un contratto di compravendita di un pacchetto azionario di maggioranza di una società: «l'acquirente rinuncia a qualsiasi rimedio previsto dalla legge in tema di risoluzione e di annullamento e accetta il seguente impegno di indennizzo quale unico e idoneo strumento utilizzabile per soddisfare qualsiasi aspettativa e pretesa nascente da questo contratto».
AA.VV., STUDIO TREVISAN&CUONZO, Proprietà industriale, intellettuale e XX, XX Xx., Xxxxxx, 0000, p. 1311, propone questa clausola di indennizzo per un contratto di acquisizione societaria “IP-driven”: «fatti salvi i casi di dolo o colpa grave, i diritti di indennizzo previsti ai sensi dell’art. del presente Accordo costituiscono il solo e unico rimedio in
caso di violazione delle dichiarazioni e garanzie, ovvero in caso di inadempimento alle obbligazioni assunte da , in luogo di
qualsivoglia altro diritto, azione o pretesa prevista dalla legge». Nel commento alla clausola si legge che lo scopo del patto è evitare la risoluzione del contratto, escludere la garanzia per mancanza di qualità, l’eccezione di inadempimento e l’annullamento del contratto per dolo; tuttavia, vengono sollevati dubbi sulla validità della clausola con riferimento a questi ultimi due rimedi. Si vedano anche le clausole riportate alla nota successiva.
22 G. DE NOVA, op. ult. cit., p. 238, cita come esempio la seguente clausola, tratta da un contratto di compravendita di partecipazioni societarie: «The rights and remedies provided in this Article [ ] of the share purchase agreement shall be exclusive and in lieu of any other right, action, defense, claim or remedy of the Buyer, provided by applicable Law or otherwise, however arising in connection with, or by virtue of, any breach of the representations, warranties, undertakings and covenants of the Seller contained in this Agreement. In particular, but without limitation, the Buyer shall not have any right to terminate, annul or rescind this Agreement or to refuse to effect the Closing or to start the action set forth in the articles 1492, 1494, of the Italian Civil Code», tradotta dall’Autore come segue: «I diritti e i rimedi previsti in questo Articolo [ ] del Share Purchase Agreement dovranno essere esclusivi ed in sostituzione di ogni altro diritto, azione, difesa, pretesa o rimedio del Compratore, previsti dalla legge applicabile o altrimenti, quantunque derivanti o in commissione con, o in forza di, ogni violazione delle representations, warranties, undertakings and covenants del Venditore contenute in questo Accordo. In particolare, ma senza limitazione, il Compratore non dovrà avere alcun diritto di risolvere, annullare o sciogliere questo Agreement o di rifiutare di eseguire il Closing o di promuovere le azioni previste dagli articoli 1492,1494, del Codice Civile Italiano». La clausola è anche riportata in G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement, cit., p. 278.
Un altro esempio, sempre tratto da un contratto di compravendita di partecipazioni societarie, è riportato da F. DELFINI, Autonomia private e risoluzione del contratto per inadempimento, cit., p. 570: «The right of each party to obtain indemnification pursuant to Article excludes any other right of action or remedy (including the right to terminate, rescind or modify this Agreement) available to such Party at law».
X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 220, riporta la seguente clausola, tratta da un contratto di finanza di progetto:
«each of the Parties waives any rights which it may have pursuant to articles 1460, 1467 or 2236 of the Italian Civil Code or otherwise to apply to have this Contract revised or set aside as an onerous contract; and each of Owner and Contractor hereby irrevocably and unconditionally waives, to the extent permitted by applicable law, any and all rights which it may now have or which may at any time hereafter be conferred upon on it, by applicable law or otherwise, to terminate (risoluzione and rescissione), cancel (annullamento), quit or surrender this Contract, except in accordance with the express terms hereof or as otherwise agreed in writing between Owner and Contractor».
23 Sulla quale si veda supra, Cap. I, para. 4.1.a.
dell’impossibilità o dell’eccessiva onerosità sopravvenute24. Altri, come la rinuncia all’eccezione ex art. 1460 c.c. o alla garanzia per vizi, appaiono meno problematici, perché regolati dalla legge (artt. 1462 e 1490, comma 2, c.c.). Altri ancora, come la rinuncia alla rescissione del contratto, sembrano rivestire minore rilevanza pratica25. L’aspetto più problematico e meno studiato è la possibilità di rinunciare in anticipo all’azione ex art. 1441 c.c., che, come si vedrà, sembra incompatibile con numerosi profili della disciplina dell’annullabilità del contratto.
Quanto alla previsione dell’indennizzo, parlare di “sostituzione” del rimedio risarcitorio a quello demolitorio sembra improprio. La legge, in certi casi, attribuisce a una parte l’azione di annullamento e di risarcimento del danno ex art. 1338 c.c. e i contraenti non possono sostituire un rimedio a un altro; piuttosto, possono (cercare di) escludere la tutela caducatoria e, separatamente, prevedere un indennizzo per il caso si verifichino certe evenienze. Tuttavia, si tratta, di due profili diversi: il primo attiene alla rinunciabilità convenzionale dell’azione di annullamento; il secondo, alla possibilità di pattuire garanzie convenzionali o deroghe alla responsabilità ex art. 1338 c.c., qualora le parti strutturino il diritto all’indennità come un’esclusione o una limitazione di questa forma di responsabilità. Questo secondo insieme di problemi si colloca nel contesto delle analisi dedicate alle garanzie convenzionali e ai patti di esclusione della responsabilità e, quindi, esorbita da questo lavoro26. Pertanto, nel prosieguo ci si limiterà a valutare la validità della pattuizione che esclude la sola azione di annullamento – l’ipotesi che pare suscitare il maggiore interesse - e la si considererà nella versione priva dell’indennizzo – aspetto, quest’ultimo, attratto nell’orbita delle trattazioni dedicate all’art. 1229 c.c.
La dottrina ha sollevato numerose perplessità circa la validità della clausola in esame. Tuttavia, gli Autori che se ne sono occupati l’hanno fatto solo incidentalmente e, pur concordando sulla sua nullità, hanno addotto ragioni diverse a sostegno di tale conclusione27.
24 Si veda supra, Cap. I, para. 4.2.a e 4.2.b.
25 Oltre a una certa difficoltà nell’immaginare contratti tailor-made stipulati in caso di bisogno, va considerato che, verosimilmente, la clausola di sole remedy sarebbe sottoscritta unitamente al resto del contratto e, quindi, sarebbe anch’essa a sua volta rescindibile. Per l’analisi dei problemi legati all’annullabilità parziale, si veda infra, para. 4.1.c.
26 Sulle garanzie convenzionali nei contratti di compravendita di partecipazioni societarie, si veda infra, note 48 e 52.
27 G. DE NOVA, Validità ed effetti in diritto italiano di alcune clausole, cit., p. 240; X. XXXXXXXXX, Autonomia privata ed esclusione dei rimedi contrattuali, cit., p. 261; X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 1028; V. DI GRAVIO, op. ult. cit., pp. 1608-1609, che, attualmente, rappresenta la trattazione più completa della clausola in esame, seppure questa venga affrontata con riferimento principalmente all’esclusione della risoluzione per inadempimento; A.
Pertanto, allo stato, non solo manca una trattazione specificamente dedicata al patto di esclusione dell’annullamento del contratto28, ma nemmeno si registra uniformità di vedute circa i motivi che conducono alla soluzione negativa. Prima di esaminare singolarmente le diverse argomentazioni con cui la dottrina ha negato validità alla clausola, sembra opportuno soffermarsi sulle ragioni che spingono alla sua adozione, calando in questo contesto le considerazioni generali svolte nel primo capitolo. La comprensione della logica sottesa alla sua previsione potrà favorire un approccio più consapevole dell’utilità di una pattuizione che, comprensibilmente, ha suscitato forti dubbi circa la propria ammissibilità nel nostro ordinamento29.
3. Contesto e funzioni della clausola di rinuncia all’azione di annullamento
La clausola di unico rimedio si ritrova con una certa frequenza nei contratti di compravendita di partecipazioni azionarie ed è stata studiata principalmente con riferimento a questo contesto30. Tuttavia, un’indagine più approfondita rivela la sua diffusione anche nella prassi relativa ad altre operazioni commerciali: la si ritrova nei contratti di appalto, specialmente internazionale31, di fornitura di servizi32, di cessione di azienda33, di project
MANIACI, op. cit., pp. 441 ss.; X. XXXXX, op. cit., pp. 3 ss. esaminano più in dettaglio la questione, ma con riferimento alla clausola di incontestabilità nei contratti di assicurazione. Le singole tesi saranno esaminate funditus più avanti. Favorevoli alla clausola di rinuncia all’azione di annullamento X. XXXXX, I rimedi, la fiducia, l’apparenza, cit., p. 2534, «in un’ottica che privilegia i rimedi conservativi rispetto a quelli ablativi del contratto […] impregiudicato il diritto al risarcimento del danno, ove se ne ravvisino i presupposti (dolo o violenza), o per lo meno alla riconduzione ad equità del contratto (errore)» e X. XXXXXXXX, op. ult. cit., pp. 188 ss., posizione sulla quale si avrà modo di tornare nel prosieguo. X. XXXXXXXX, Il mutuo bancario, Padova, 2013, p. 618 e X. XXXXXXXXXX, Le «garanzie» delle garanzie, in X. XXXXXX (diretto da), Le acquisizioni societarie, Bologna, 2011, danno conto brevemente della clausola, senza però prendere posizione sulla sua validità.
28 Come invece è avvenuto per diverse altre clausole atipiche di deroga alla disciplina della patologia contrattuale, quali la clausola di irresolubilità, la condizione di inadempimento e i patti sulla nullità parziale: per le prime due, si veda supra, Cap. I, para. 4.1.a. e 4.1.b.; per le terze, si veda infra, Cap. III.
29 X. XXXXXXXXXX, Tecniche di redazione del contratto, cit., p. 774, già citato supra, nota 30, ritiene che la comprensione del «contesto normativo e culturale d’origine» dei modelli contrattuali “alieni” sia necessario per
«indirizzare l’analisi verso soluzioni che consentano la loro armonizzazione con le norme italiane che vi si applicano».
30 Per esempio, X. XXXXXXX, Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento: le garanzie del venditore, in Dir. comm. int., 2007, p. 322; G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement, cit., p. 236; ID., Validità ed effetti in diritto italiano di alcune clausole, cit., p. 238; X. XXXXXXXX, op. cit.; V. DI GRAVIO, Clausola di unico rimedio, cit., p. 1606; X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 1022; X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 239.
00 X. XX XXXXXX, op. ult. cit., p. 217; G. DE NOVA, Validità ed effetti in diritto italiano di alcune clausole, cit., p.
233; X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 599; X. XXXXXX, op. ult. cit., p. 19.
32 X. XXXXXX, op. ult. cit., p. 19; X. XXXXXXXX, L’esclusività del rimedio nella regolamentazione contrattuale, in Contr., 2020, op. cit., p. 205, che elenca le compravendite azionarie, la cessione di ramo d’azienda, i contraddi di fornitura di servizi e quelli di appalto.
33 X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 217; X. XXXXXXXXX, ibidem; X. XXXXXX, op. ult. cit., p. 19.
financing34, di finanziamento35, di acquisto di terreni che si sospetta inquinati36 e anche nei contratti di assicurazione, seguendo la tesi che annovera le clausole di incontestabilità tra i patti di rinuncia all’azione di annullamento37.
Si tratta di operazioni dal frequente grande rilievo economico, stipulate all’esito di accurate trattative e, quindi, inquadrabili nella categoria dei contratti “tailor-made”38. In questi casi, come visto, i contraenti avvertono con forza l’esigenza di stabilità del vincolo negoziale, che li porta ad escludere convenzionalmente i rimedi caducatori previsti dalla legge applicabile oppure a sostituirli con un mero indennizzo. L’interesse al mantenimento del contratto può derivare dalla presenza di investimenti specifici39, dalla difficoltà di ricollocare sul mercato la propria prestazione, restituita all’esito della caducazione dell’accordo40, o dall’impossibilità di ripristinare la situazione precedente alla sua conclusione41. Ancora, le clausole in esame possono essere adottate per rispondere all’esigenza di un soggetto terzo, interessato alla stabilità dell’assetto negoziale42, o per cercare di minimizzare il più possibile
34 X. XXXXXXXXX, op. ult. cit., p. 220.
35 G. DE NOVA, op. ult. cit., p. 233.
36 X. XXXXXX, Vendita di terra inquinata: quali garanzie per il compratore?, in Giur. it., 2018, pp. 2637 ss., con riferimento alla sostituzione della garanzia codicistica per vizi e difetto di qualità con garanzie convenzionali, assistite, in caso di violazione, da una clausola di indemnity. Si veda anche ID., La proprietà della terra inquinata. Responsabilità, circolazione e garanzie, Milano, 2017, pp. 193 ss.
37 Supra, para. 1, e si vedano gli Autori citati in nota.
38 V.di supra¸Cap. I, para. 3.2.
39 Come avviene nei contratti di engineering e outsourcing. Nei primi, il progetto elaborato dall’engineer è impossibile da utilizzare per altri contraenti, poiché ritagliato sulle esigenze del committente; a sua volta, l’impresa potrebbe aver già modificato radicalmente la propria organizzazione in vista delle innovazioni operate dall’engineer. Nell’outsourcing, il committente è pregiudicato dalla caducazione del contratto, che lo costringerebbe a intraprendere un difficile procedimento di ripresa delle funzioni già esternalizzate; l’outsourcer, invece, potrebbe avere difficoltà a ripresentarsi rapidamente sul mercato, avendo ormai dimensionato la propria organizzazione sui bisogni del primo. Si veda amplius supra, para. 3.2.c.
40 Come potrebbe avvenire per l’appaltatore in caso di risoluzione del contratto di appalto: la cosa potrebbe essere stata realizzata sulla base delle peculiari preferenze del committente e potrebbe, quindi, non essere appetibile per altri soggetti; più radicalmente, potrebbe accadere che l’appaltatore sia totalmente estraneo al mercato della compravendita dei beni che costruisce, riuscendogli difficile ricollocarli: si veda più ampiamente supra, para. 3.2.c.
41 È il caso dei contratti di cessione di partecipazioni societarie e di cessione o affitto di azienda, come fatto presente, tra gli altri, da V. DI GRAVIO, op. ult. cit., p. 1613, e X. XXXXXXXX, op. cit., p. 211, nota 30. Sui primi, si veda subito infra nel testo. Quanto ai secondi, va considerato che l’affittuario potrebbe avere apportato modifiche ai beni aziendali e che tale rischio è ancora più elevato in caso di cessione di azienda: su questi profili si veda X. XXXXXXX, Risoluzione del contratto e retrocessione dell’azienda ceduta, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, pp. 730 e 741-742.
42 È il caso dei contratti di factoring: la “garanzia” del mantenimento dei contratti da cui sorgono i crediti da cedere, ottenuta tramite la previsione di idonee clausole, rende l’acquisto di tali crediti più appetibile per un potenziale factor. Nelle operazioni di project financing, la società finanziata ha l’esigenza di evitare la caducazione dei contratti stipulati con i propri clienti, in modo da assicurarsi la continuità dei flussi di cassa che le permette di rimborsare il finanziatore.
l’incidenza della legge applicabile, percepita come incerta oppure inadeguata43. L’eterogeneità dei rimedi esclusi dalle clausole di sole remedy è dunque solo apparente, in quanto tutti gli istituti citati hanno in comune l’effetto di causare lo scioglimento del contratto44.
Se quanto detto circa la funzione della pattuizione vale per tutti i contratti citati all’inizio del paragrafo, la sua previsione assume un significato particolarmente pregnante nei contratti di affitto di azienda, di compravendita di terreni inquinati o di partecipazioni azionarie. Anzitutto, queste operazioni sono accomunate dall’avere a oggetto, immediatamente o mediatamente45, beni con caratteristiche complesse e difficili da valutare, sui quali il venditore dispone di maggiori informazioni rispetto all’acquirente. Queste peculiarità rendono non remota l’eventualità che il compratore, stipulato il contratto, si accorga di aver errato nelle proprie valutazioni (es.: circa le qualità del bene acquistato) e decida di impugnarlo, azionando le garanzie previste dalla legge o dal contratto oppure domandandone l’annullamento per errore o dolo, magari omissivo, lamentando la sleale reticenza del venditore circa alcune caratteristiche del bene46. In ipotesi patologiche, l’esperimento
43 Sulle difficoltà che possono sorgere nell’accertamento della legislazione di un Paese straniero, si veda supra nota 51. In generale, circa l’inadeguatezza dell’apparato rimediale predisposto dal Codice civile italiano, cfr. supra, Cap. I, nota 93. Si consideri, poi, che sussiste un forte dibattito circa l’individuazione della regolamentazione da riservare alle restituzioni derivanti dalla risoluzione del contratto per inadempimento: non si può escludere, quindi, che le parti rinuncino al rimedio risolutorio anche per evitare di aprire una trattativa o un contenzioso sugli effetti restitutori. Sul punto, si vedano X. XXXXXXXXX, Il contratto: inadempimento e rimedi, Milano, 2010, pp. 73-74, circa il sinallagma che intercorre tra gli obblighi restitutori; G. VILLA, Danno e risarcimento contrattuale, in X. XXXXX (a cura di) Rimedi-2, in Trattato del contratto, Milano, 2006, pp. 1234 ss.; A. DI MAJO, La responsabilità contrattuale. Modelli e rimedi, Torino, 2002, p. 150 ss.; X. XXXXX, Arricchimento senza causa e quasi contratti, in X. XXXXX (diretto da), Trattato di diritto civile, II Ed., Torino, 2008, pp. 254 ss.; X. XXXXXXXXX, Gli effetti della risoluzione, in X. XXXXXXXXX -X. XXXXXXXXX – X. XXXXXXX, La risoluzione, in X. XXXXXXX (diretto da), Trattato di diritto privato, Vol. XIII, T. 8**, Torino, 2011, pp. 192 ss. L’incertezza sulla disciplina delle restituzioni conseguenti a risoluzione per inadempimento si acuisce in caso di caducazione del contratto di affitto di azienda, perché il trasferimento di contratti, crediti e debiti dall’affittuario all’originario proprietario non è regolato dal codice civile, che si occupa solo dei rapporti pendenti nel caso di primo mutamento della titolarità imprenditoriale. Si rende così necessario coordinare le (già incerte) regole generali sulle restituzioni e la disciplina dei rapporti pendenti in caso di cessione di azienda: su questi profili, A. VITALI, Restituzione d’azienda e rapporti pendenti, in Contr., 2018, pp. 493 ss. e X. XXXXXXX, op. cit., p. 730. Per superare le incertezze sulla disciplina delle restituzioni, un’alternativa alla rinuncia al rimedio risolutorio potrebbe essere offerta da clausole che disciplinino direttamente le restituzioni: così X. XX XXXX, Nuove tutele e nuovi rimedi in ambito contrattuale, in ID. Il contratto: dal contratto atipico al contratto alieno, cit., p. 93 e già in Riv. dir. priv., 2003, pp. 453 ss. Quanto alla problematica individuazione delle tutele a disposizione dell’acquirente di partecipazioni sociali, si veda subito infra nel testo.
44 Si vedano le clausole riportate supra, note 21 e 22, che contemplano l’annullamento del contratto, la
rescissione, la risoluzione, i rimedi redibitori di cui all’art. 1492 c.c.
45 Il riferimento all’oggetto mediato allude al contratto di compravendita di partecipazioni societarie, su cui subito infra, nota 52.
46 Come noto, i limiti di rilevanza del dolo omissivo sono discussi dalla dottrina, che propende per la soluzione negativa. Per alcuni riferimenti, si vedano X. XXXXX, voce Dolo omissivo e obbligo di informazione, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., Agg. VI, Torino, 2011, pp. 356 ss.; X. XXXXX – X. XX Xxxx, Il contratto, cit., pp. 558 ss.; X. XXXXX, Il contratto, cit., pp. 763 ss.; C. M. XXXXXX, Il contratto, cit., p. 620; X. XXXXXXXXX, La reticenza nella formazione
dell’azione potrebbe essere anche strumentale, ossia nascondere il pentimento dell’acquirente circa la convenienza dell’affare: durante la fase delle trattative, questi potrebbe essersi accorto di alcuni problemi inerenti al bene, ma potrebbe averli accettati, confidando nella sua capacità di superarli o di rivendere a terzi; tuttavia, tale previsione potrebbe essersi rivelata errata una volta concluso l’accordo, facendo sorgere l’esigenza di liberarsi da un’operazione ormai sgradita. Date le incertezze di un giudizio di annullamento del contratto, l’acquirente potrebbe risultare vittorioso sul venditore, le cui esigenze di stabilità risulterebbero frustrate. Di qui, l’opportunità di cautelarsi con una clausola di rinuncia all’azione di annullamento.
In secondo luogo, la pattuizione in esame (ove ritenuta valida), svolgerebbe un ruolo particolarmente significativo nei casi in cui l’azione di annullamento assume una rilevanza peculiare, in quanto costituisce il rimedio principale a disposizione di una delle parti. Nei contratti di compravendita di terreni, per esempio, la scoperta dello stato di inquinamento da parte dell’acquirente potrebbe avvenire ben oltre il termine di prescrizione annuale ex art. 1490 c.c.47 e, in assenza di garanzie convenzionali, l’unica strada a disposizione del compratore potrebbe essere l’annullamento del contratto per errore o per dolo. Nei contratti di acquisizione di partecipazioni societarie, la giurisprudenza prevalente distingue tra l’oggetto “immediato” del contratto, ossia le partecipazioni sociali, e il suo oggetto “mediato” o “indiretto”, ossia il patrimonio della società, e da tale premessa fa discendere l’impossibilità di invocare la garanzia per mancanza di qualità o domandare l’annullamento per errore,
dei contratti, Padova, 1972; X. XXXXX, L’obbligo precontrattuale di informazione, Napoli, 1990; G. VILLA, Errore riconosciuto, annullamento del contratto ed incentivi alla ricerca di informazioni, in Quadr., 1988, pp. 286 ss., specie 297 ss.;
X. XXXXX, Asimmetrie informative e doveri di informazione, in Riv. dir. civ., 2007, spec. pp. 668 ss. e ID., La responsabilità precontrattuale: la fattispecie, in Riv. dir. civ., 2004, pp. 311 ss.; X. XXXXXXXX, Gli obblighi informativi nella formazione dell’accordo contrattuale, in NGCC, 2018, pp. 1200 ss.; X. X’XXXXX, Regole di validità e principio di correttezza nella formazione del contratto, Napoli, 1996, pp. 62 ss. e ID., Regole di validità e regole di comportamento nella formazione del contratto, in Riv. dir. civ, 2002, pp. 37 ss.; X. XXXXXXX, Squilibrio contrattuale e mala fede del contraente forte, in Contr. Impr., 1997, p. 417 ss.; M. DE POLI, Servono ancora i “raggiri” per annullare il contratto per dolo? Note critiche sul concetto di reticenza invalidante, in Riv. dir. civ., 2004, pp. 911 ss.; X. XXXXXXX, Il dolo omissivo incidente nel prisma della responsabilità precontrattuale, in Contr., 2012, spec. pp. 895-896. L’orientamento della giurisprudenza si è cristallizzato nella seguente massima: «il dolo omissivo rileva quale vizio della volontà, idoneo a determinare l'annullamento del contratto, solo quando l'inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l'inganno perseguito; pertanto, il semplice silenzio e la reticenza, anche su situazioni di interesse della controparte, non immutando la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione di essa alla quale sia pervenuto l'altro contraente, non costituiscono causa invalidante del contratto»: si vedano, per esempio, Cass. civ. 11605/2022; Cass. civ. 11009/2018; Cass. civ. 9253/2006; Cass. civ. 5549/2005. Calando il principio di diritto nel contesto specifico della vendita di partecipazioni azionarie, si ritiene necessario che «il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l’inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza»: così, per esempio, Cass. civ. 17053/2021; Cass. civ. 14255/2015; Cass. civ. 16031/2007, con nota di X. XXXX, Trasferimento di partecipazioni societarie e annullamento del contratto, in Giur. comm. 2008, II, pp. 110 ss., spec. 124 ss.; Trib. Mi., Sez. II, 11.12.2018; Appello Milano, 11 luglio 2003, in Giur. it., 2003, pp. 2009 ss.
47 X. XXXXXX, Vendita di terra inquinata, cit., p. 2637.
qualora il patrimonio sociale si riveli inferiore alle aspettative48. In assenza di clausole relative
all’oggetto “indiretto”, resteranno aperte solo la strada dell’annullamento per dolo49 o per
48 Il problema della tutela dell’acquirente di partecipazioni sociali in caso di difetti (in senso lato) riguardanti il patrimonio sociale è estremamente dibattuto, fin dal codice del 1865. La distinzione tra oggetto mediato e oggetto immediato (o “indiretto) risale alla dottrina della metà degli anni ’30: X. XXXXXXXXX, In tema di vendita di pacchetto di azioni, nota Cass. civ. 29 marzo 1935 e Corte d’appello di Milano, 1° maggio 1934, in Foro it., 1935, pp. 1027 ss. e X. XXXXX, Le società di comodo e la vendita delle loro azioni, nota a Cass. civ. 27 luglio 1933, in Riv. dir. comm., 1935, II, pp. 128 ss. Un altro modo per designare il problema in esame consiste nalla definizione delle partecipazioni quali beni “di secondo grado”, in quanto l’incorporazione della posizione di socio fa sì che esse rappresentino diritti relativi a beni «che pur sempre economicamente appartengono, attraverso la collettività di cui è parte, al titolare delle azioni stesse»: così X. XXXXXXXXX, Riflessioni in tema di titoli azionari e società per azioni, in Banca, borsa, tit. cred., 1952, I, pp. 385 ss., ora anche in Saggi di diritto commerciale, Milano, 1955, pp. 219 ss.
Come si accennava nel testo, dall’identificazione dell’oggetto della compravendita nelle sole partecipazioni discendono importanti conseguenze in punto di tutela dell’acquirente, nel caso in cui il patrimonio sociale sia inferiore alle attese. Innanzitutto, in assenza di garanzie convenzionali (per le quali si veda infra, nota 52), la giurisprudenza e la dottrina prevalente ritengono inapplicabile la disciplina dell’errore, poiché il difetto in esame riguarderebbe il valore del bene e, quindi, non potrebbe essere essenziale ex art. 1429 c.c. In particolare, il valore della partecipazione non atterrebbe alla qualità del bene ex art. 1429, n. 2 c.c., perché il criterio del “comune apprezzamento” permetterebbe di dare rilievo alla destinazione tipica della cosa e, quindi, alle sole caratteristiche inerenti ad essa. Il riferimento alle “circostanze”, poi, abbraccerebbe anche eventuali stime del valore del bene, ma solo ove l’errore riguardasse la valutazione in sé considerata e non i fatti alla sua base; né sarebbe possibile dare rilievo a valutazioni personali circa la convenienza dell’affare (così per es.: Cass. civ. 17053/2021, in Dejure; Cass. civ. 5134/2018; Cass. civ. 16031/2007, cit.; Cass. civ. 9067/1995, in Giust. civ., Mass., 1995, p. 1552). Ancora, si ritiene che il valore delle partecipazioni sia frutto di un numero elevato di fattori, anche soggettivi, che renderebbero l’errore irriconoscibile alla controparte (Corte d’appello di Milano, 13 aprile 1951, in Foro it., 1951, I, 607).
In secondo luogo, dalla distinzione tra oggetto mediato e immediato discende l’inapplicabilità della garanzia per difetto di qualità ex art. 1497 c.c., poiché costituirebbero “qualità” delle partecipazioni solo i diritti e gli obblighi attribuiti al titolare e non anche la consistenza patrimoniale della società (così, per es., Cass. civ. 17053/2021; Cass. civ. 15706/2008; Cass. civ. 26690/2006, in Giur. comm. 2008, II, p. 948, con nota di X. XXXXXXX, Osservazioni in tema di vendita della partecipazione sociale, ivi, pp. 954 ss.; Cass. civ. 5773/1996, in Contr. 1997, pp. 231 ss., con nota di X. XXXXXXXXXXX, In tema di errore sul valore economico di quote; in Banca, borsa, tit. cred., 1997, II, pp. 18 ss, con nota di X. XXXXXXXX, Xxxxx note in tema di vendita di quota sociale ed errore sui motivi, in Foro it., 1996, I, 3382, con nota di X. XXXXXXX, Cessione di quote di s.r.l. e consistenza patrimoniale della società; Trib. Bari, 7 marzo 2019, n. 1020).
In generale, su questi profili si vedano X. XXXX, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, Milano, 2007, pp. 169 ss.; C. X’XXXXXXXXXX, Compravendita di partecipazioni sociali e tutela dell’acquirente, Milano, 2003, pp. 13 ss.; G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement, cit., pp. 228 ss.; G. IORIO, Struttura e funzioni delle clausole di garanzia nella vendita di partecipazioni sociali, Milano, 2006, pp. 76 ss.; M. SPERANZIN, Vendita della partecipazione di "controllo" e garanzie contrattuali, Milano, 2006, pp. 8 ss. e 71 ss.; A. BERTOLOTTI, Rimedi contrattuali e non, in M. IRRERA (diretto da), Le acquisizioni societarie, Bologna, 2011, pp. 693 ss.; F. BONELLI, Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento: le garanzie del venditore, cit.; A. TINA, Compravendita di partecipazioni societarie nella recente giurisprudenza di legittimità, in Giur. comm., 2020, I, pp. 735 ss.; M. SPERANZIN, Una criticabile sentenza della Cassazione in materia di garanzie legali e convenzionali nel caso di trasferimento di partecipazioni sociali, in Corr. Giur., 2020, pp. 512 ss.; ID., Compravendita «non convenzionalmente garantita» di partecipazioni sociali di “controllo”, in Giur. comm., 2019, I, pp. 468 ss.
49 Si vedano le pronunce citate alla nota 32, cui adde Cass. civ. 23207/2012, con nota di M. VERNIZZI, Brevi note in materia di diritto al risarcimento per l’acquirente di partecipazioni societarie, in Resp. civ. prev., 2014, 1, pp. 202 ss.; Cass. civ. 16031/2007, cit.; Cass. civ. 15706/2008; Trib. Milano, 25 agosto 2006, in Giur. it., 2007, pp. 913 ss.; Appello Milano, 11 luglio 2003, cit. In dottrina, si vedano A. TINA, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, op. cit., pp. 232 ss., con grande abbondanza di riferimenti; ID., Trasferimento di partecipazioni societarie: risoluzione del contratto per mancanza di qualità, aliud pro alio e annullamento del contratto per dolo, nota a Trib. Cagliari, 18 marzo 2008, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, II, pp. 565 ss.; V. CARBONE, Raggiri e artifizi nella compravendita di azioni non quotate in borsa, in Società, 1992, pp. 763 ss.; G. DONATIVI, Il dolo tra vizi del consenso ed elemento soggettivo della responsabilità per inadempimento in Giur. it., 2007, nota a Cass. civ. 16031/2007, annotata anche da A. TINA,
violenza50 e la rescissione del contratto51. Solo qualora il venditore abbia garantito convenzionalmente una certa consistenza del patrimonio sociale, diventeranno invocabili i
Trasferimento di partecipazioni societarie e annullamento del contratto, cit.; A. BERTOLOTTI, op. cit., pp. 700 ss.; G. IORIO, op. cit., pp. 84 ss.
50 Trib. Milano, 29 novembre 2006, in Giur. it., 2007, 1979, con nota di S. LUONI.
51 Trib. Milano, 27 febbraio 1992, in Giur. it., 1992, I, 2, pp. 601 ss., con nota di O. CAGNASSO, Trasferimento delle partecipazioni sociali, contratto aleatorio e rescissione per lesione. In dottrina, F. BONELLI, Giurisprudenza e dottrina su acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, in S. BONELLI – M. DE ANDRÉ, Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, Milano, 1990, p. 24, constata che la soggettività dei criteri di valutazione delle azioni rende difficile provare la lesione ultra dimidium. Lo stesso G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement, cit., p. 229 che aggiunge che «pare impossibile configurare lo stato di bisogno».
rimedi per mancanza di qualità e l’annullamento per errore52, oltre a quelli eventualmente previsti dal contratto in caso di violazione della garanzia53.
52 L’indirizzo prevalente circa l'oggetto del contratto di acquisizione (su cui si veda supra, nota 48), ha portato la prassi all’adozione di clausole relative all'oggetto indiretto, ossia al patrimonio sociale (c.d. “business warranties”, da tenere distinte dalle “legal warranties”, con le quali il venditore garantisce le caratteristiche e le quantità delle azioni vendute). Con queste clausole, il venditore rappresenta una certa condizione del patrimonio della società e ne garantisce alcune caratteristiche, variabili a seconda del tipo societario e dell'attività svolta; in questo modo, il compratore può rimediare alla mancanza di informazioni dettagliate circa la società. Le business warranties si differenziano in clausole di rappresentazione e clausole di garanzia (con terminologia inglese, representations o declarations le prime e warranties le seconde): con le prime l'alienante attesta la sussistenza di un fatto oppure esprime un giudizio; con le seconde, il venditore si assume il rischio dell'accadere o non accadere di un certo evento, a prescindere dalla sua imputabilità al garante stesso. Qualora ricorrano clausole relative al patrimonio sociale, la giurisprudenza ammette l’annullabilità del contratto per errore o la sua risoluzione per difetto di qualità ex art. 1497 c.c. ove la consistenza patrimoniale della società risulti inferiore alle aspettative.
L’adozione delle pattuizioni in commento, se contribuisce senz’altro ad aumentare la tutela del compratore, suscita diversi dubbi interpretativi, tutt’ora irrisolti. Rinviando alla dottrina in materia per una trattazione esaustiva, si può ricordare che, per esempio, accanto a un orientamento favorevole ad accomunare le rappresentazioni e le garanzie, se ne registra anche un altro che ritiene necessario distinguere le due tipologie di clausole. Ancora, è discussa la natura delle garanzie contrattuali: parte della giurisprudenza le qualifica come promesse di qualità, facendone discendere l’applicabilità del termine di decadenza ex art. 1495 c.c.; la dottrina, al contrario, ritiene trattarsi di pattuizioni atipiche e accessorie del contratto, alle quali sarebbe inapplicabile il citato termine di decadenza, o ancora, parla di clausole con natura assicurativa o di promesse del fatto del terzo. In terzo luogo, è discussa l’applicabilità o meno dell’art. 1229 c.c. alle clausole di indennizzo che assistono le garanzie, problema la cui soluzione dipende dalla natura riconosciuta alle pattuizioni, e, similmente, è discussa la possibilità di escludere la risoluzione del contratto in caso di violazione delle garanzie. Si vedano F. BONELLI, Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, cit., spec. pp. 316 ss.; C. D’ALESSANDRO, op. cit., pp. 201 ss.; A. TINA, La natura giuridica delle clausole di garanzia nel trasferimento di partecipazioni societarie, in Giur. comm., 2012, II, p. 1023 ss.; ID, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., p. 294 ss., spec. 310 ss. (per la natura assicurativa del patto di garanzia); M. SPERANZIN, Vendita della partecipazione di “controllo” e garanzie contrattuali, Milano, Giuffrè, 2006, pp. 288 ss.; ID., Una criticabile sentenza della Cassazione in materia di garanzie legali e convenzionali, cit., pp. 515 ss.; ID., Compravendita «non convenzionalmente garantita» di partecipazioni sociali di “controllo”, cit., pp. 475 ss.; ID., Le clausole relative all’oggetto «indiretto» (il patrimonio sociale); garanzie sintetiche e garanzie analitiche, in M. IRRERA (diretto da), Le acquisizioni societarie, Bologna, 2011, pp. 198 ss.; A. BERTOLOTTI, op. cit., pp. 696 ss.; G. SALATINO, op. cit., pp. 298 ss., ID, Il “patto di garanzia” nei contratti di compravendita di partecipazioni sociali: prassi ed evoluzione, in Giur. comm., 2021, I, pp. 996 ss., ID., Compravendita di partecipazioni sociali. Garanzia legale e business warranty, in Notariato, 2021, pp. 1222 ss., nota a Cass. civ. 17977/2021 (il patto di garanzia costituirebbe promessa del fatto del terzo ex art. 1381 c.c.); G. DE NOVA, Il Sale and Purchase Agreement, cit., pp. 153 ss.
In giurisprudenza, si vedano Cass. civ. 7183/2019 e Cass. civ. 16963/2014, che hanno confermato la necessità di specifiche garanzie sulla consistenza patrimoniale della società (anche se la pronuncia del 2014 contiene un riferimento alla rilevanza della buona fede: si veda la nota seguente per il problema delle garanzie “implicite”), ma hanno disatteso la ricostruzione che le qualifica come promesse di qualità; Cass. civ. 26690/2006; Cass. civ. 16031/2007, cit., per la qualificazione in termini di promesse di qualità. Per ulteriori riferimenti, si vedano le opere citate supra.
53 Come si accennava alla nota precedente, il novero dei rimedi disponibili è influenzato dalla soluzione data al problema della natura delle clausole di garanzia: per esempio, sono discusse l’applicabilità dell’art. 1229
c.c. e la possibilità di escludere il rimedio risolutorio. Inoltre, l’orientamento della giurisprudenza e della dottrina in materia di c.d. oggetto “indiretto” non è unanime e, nel tempo, si sono compiuti alcuni tentativi di attribuire al compratore una tutela più decisa. Le strade percorse sono state due: l’elaborazione di c.d. garanzie implicite, ricostruzione che permette la risoluzione del contratto per aliud pro alio, e la presupposizione.
Quanto alla prima, la strada della garanzia “implicita” era stata seguita da Cass. civ. 18181/2004 e Cass. civ. 3370/2004, in Giur. it., 2004, pp. 997 ss., con nota di G. COTTINO, recentemente riprese da Cass. civ. 22790/2019, con nota di M. SPERANZIN, Una criticabile sentenza, cit., pp. 512 ss. (ma si veda anche Cass. civ. 2843/1996, in Foro it., 1996, I, 3382, con nota di L. VASQUEZ). In sintesi, i soci acquistano una posizione giuridica che permette loro di partecipare alla gestione collettiva dei beni sociali; pertanto, tali beni non potrebbero essere considerati estranei all'oggetto del contratto di cessione delle partecipazioni: non solo ove le
L’orientamento della giurisprudenza attribuisce all’azione di annullamento un ruolo inedito, in quanto la eleva da rimedio tendenzialmente subordinato all’azione di garanzia, considerata la difficoltà di provare il vizio della volontà, a strada maestra per ottenere la caducazione del contratto54, con la precisazione che l’annullamento per dolo diventa addirittura la sola via percorribile in assenza di garanzie convenzionali circa la consistenza patrimoniale della società target. In questo contesto, la clausola di rinuncia all’azione di annullamento avrebbe un effetto molto rilevante, in quanto priverebbe l’acquirente non garantito della principale possibilità di liberarsi del contratto; invece, presenti garanzie convenzionali, il patto in esame impedirebbe l’annullamento per errore, reso possibile proprio dalla previsione della garanzia. Correlativamente, si assicurerebbe all’operazione la massima stabilità55.
Chiarita la funzione della clausola in esame, è possibile affrontare i vari argomenti spesi dalla dottrina per giungere alla conclusione della sua invalidità.
parti abbiano adottato specifiche garanzie contrattuali circa la consistenza del patrimonio sociale, ma anche
«quando l'affidamento, da parte del cessionario, sulla ricorrenza di tali requisiti debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede». La dottrina si è mostrata critica verso tale arresto: oltre all’appena citato M. SPERANZIN, op. ult. cit.; A. TINA, Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., pp. 290 ss., per la necessità di ridimensionare il ricorso alla figura in esame; G. COTTINO che, nella nota redazionale alla pronuncia, parla di un «lieve salto logico» nella parte in cui si ammette la garanzia implicita, ma solo ove giustificato secondo buona fede; A. BERTOLOTTI, op. cit., pp. 711 ss.; ma si veda F. GALGANO, Cessione di partecipazioni sociali e superamento dell’alterità soggettiva fra socio e società, in Contr. Impr., 2004, pp. 543 ss. L’orientamento è stato sostanzialmente abbandonato (riferimenti in M. SPERANZIN, op. ult. cit.). In ogni caso, l’indirizzo era funzionale ad ammettere il ricorso alla figura dell’aliud pro alio (sulla quale, per tutti, C. M. BIANCA, La vendita e la permuta, in F. VASSALLI (diretto da), Trattato di Diritto civile italiano, II Ed., Torino, 1993, Vol. VII, Tomo 1.2, p. 904; G. B. FERRI, La vendita in generale, in P: RESCIGNO (diretto da), Trattato di Diritto privato, Vol. XI, T. 3, Torino, 2000, pp. 561 ss.), che si rinviene in Cass. civ. 3370/2004, cit., dove tuttavia se ne esclude l’applicabilità nel caso concreto, e in Cass. civ. 22790/2019, cit., con riferimento a una società già in stato di insolvenza e successivamente fallita. In passato, tuttavia, non sono mancati Autori che hanno ritenuto applicabile il rimedio in esame senza prendere posizione sulla sussistenza di eventuali garanzie “implicite”: si vedano i contributi citati da A. TINA, Trasferimento di partecipazioni societarie: risoluzione del contratto, cit., pp. 570 ss.; più in generale, si veda ID., Il contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, cit., pp. 245 ss., ove ampi riferimenti.
Cass. civ. 12921/1991, in Giur. it., 1992, I, 1, 2210, ha fatto ricorso alla presupposizione, riconoscendo la risoluzione del contratto di compravendita di azioni in considerazione della sopravvenuta indisponibilità di un bene (un panfilo) nel patrimonio sociale, poiché il trasferimento della sua proprietà era il presupposto del contratto. L’esempio è ripreso da R. SACCO, Il contratto, cit., p. 545. Trib. Milano, 17 ottobre 2002, in Giur. it., 2003, pp. 297 ss., con nota di G. COTTINO, Noterelle in tema di cessione di quote (o azioni), di discrepanze di valori e di presupposizione ha prospettato la possibilità di caducare il contratto tramite la presupposizione, salvo non ravvisarne gli estremi nel caso concreto. La pronuncia è ritenuta particolarmente significativa dall’Autore della nota.
54 Così A. TINA, Trasferimento di partecipazioni societarie: risoluzione del contratto, cit., p. 575, che cita in nota 56 alcuni casi in cui, significativamente, era stata proposta solamente l’azione di annullamento per dolo determinante (Cass. civ. 9227/1991, in Riv. dir. comm., 1994, II, pp. 379 ss., e Cass. civ. 3001/1996, in Corr. Giur., 1997, pp. 81 ss) o di risarcimento del danno per dolo incidente (Trib. Milano, 4 giugno 1998).
55 In altre parole, la previsione di garanzie convenzionali sulla consistenza del patrimonio sociale apre la strada all’annullamento per errore che, però, viene immediatamente chiusa dalla rinuncia all’azione di annullamento.
4. L’invalidità della clausola secondo la dottrina maggioritaria; il piano di indagine
Come si accennava, alla clausola di rinuncia all’azione di annullamento non è stata riservata un’attenzione pari a quella che hanno meritato altre clausole c.d. “aliene”56; inoltre, non solo sono mancati studi monografici, ma gli Autori che si sono occupati della pattuizione l’hanno fatto solo per cenni e sono giunti a ritenerla invalida ricorrendo ad argomentazioni molto diverse tra di loro57. Innanzitutto, è necessario operare una revisione della letteratura in materia, per raggruppare in insiemi omogenei le obiezioni mosse alla sua validità: a questo fine, si distingueranno le tesi imperniate su un’incompatibilità strutturale della clausola in esame con il sistema dell’annullabilità del contratto da quelle incentrate su singoli aspetti della disciplina dell’annullabilità.
Una volta esaurita l’analisi delle posizioni espresse dalla dottrina, si procederà a illustrare la coerenza della clausola di rinuncia all’azione di annullamento con le teorie che, in tempi e con modi diversi, hanno provato a limitare il potere conferito dalla disciplina dell’annullabilità a una delle parti. In secondo luogo, si trarranno argomenti a favore della validità della clausola dalla rinunciabilità dei rimedi per i vizi della cosa compravenduta che, come noto, occupano un ambito in parte coincidente con lo spazio riservato all’annullamento del contratto per errore.
Da ultimo, si elaboreranno alcuni limiti alla validità della clausola in esame: anzitutto, si affronterà il problema della natura abusiva delle clausole contenute nei contratti stipulati da consumatori, esaminando il concreto atteggiarsi del giudizio di vessatorietà ex artt. 33 e 34 cod. cons. 58; in secondo luogo, si affermerà la nullità per immeritevolezza ex art. 1322, comma 2, c.c. della rinuncia all’azione di annullamento per incapacità naturale, legale, dolo e violenza e conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato 59. All’esito della disamina, la validità del patto sarà circoscritta all’annullamento del contratto per errore, salvi gli ulteriori limiti che risulteranno dalle riflessioni che si svolgeranno in materia di contratti con i consumatori.
4.1. Incompatibilità della clausola con il sistema dell’annullabilità del contratto
56 Supra, nota 28.
57 Supra, nota 27.
58 Infra, para. 6.1.
59 Infra, para. 6.2.
Un primo ostacolo alla validità della pattuizione in commento deriva, in sintesi, dalla sua ritenuta incompatibilità con il sistema dell’annullabilità del contratto. Questa conclusione si può argomentare alla stregua di considerazioni di vario genere e non sempre è esplicitata; per lo più, sembra la conseguenza logica di alcune particolari concezioni di questa forma di invalidità, anche se non mancano voci in dottrina che l’hanno affermata esplicitamente nel contesto di contributi dedicati alla clausola in esame.
Così, la nullità potrebbe derivare dal suo contrasto con le norme in materia di annullamento del contratto, accedendo alla tesi che le ritiene norme imperative60 o poste a sanzione delle violazioni delle regole disciplinanti gli atti di autonomia privata61. Da altro punto di vista, si è ritenuto che la clausola di unico rimedio non potrebbe non essere travolta dalla caducazione del contratto in cui è contenuta62.
Quanto alla tesi che riconduce l’annullabilità del contratto alla violazione di norme imperative, si può rilevare che la clausola di rinuncia all’azione di annullamento non pregiudica la possibilità di qualificare come “annullabile” il contratto a cui accede e, in questo senso, non costituisce propriamente una deroga pattizia alla patologia negoziale. Dunque, salvi i limiti di validità di cui si dirà, riguardanti i contratti stipulati da consumatori e l’annullamento per incapacità naturale, legale, dolo, violenza e conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato, non sembra che la natura inderogabile della disciplina dell’annullabilità osti ad ammettere le clausole di rinuncia all’azione di annullamento. Per
60 M. FRANZONI, Dell’annullabilità del contratto. Artt. 1425-1426, in P. SCHLESINGER (fondato da) – F. D. BUSNELLI (diretto da), Il Codice Civile. Commentario, II Ed., Milano, 2005, pp. 2 ss.; G. D’AMICO., Regole di validità e principio di correttezza nella formazione del contratto, Napoli, 1996, p. 17. A. GALLARATI, op. cit., pp. 1028-1029: «la compatibilità con il nostro sistema giuridico [dei patti relativi alle azioni di annullabilità] parrebbe impossibile, per ovvie ragioni di imperatività delle relative disposizioni, permeate di ordine pubblico e intenti protettivi del contraente più debole»; V. DI GRAVIO, Clausola di unico rimedio, cit., p. 1608: «le [norme che disciplinano l’annullamento del contratto] attribuiscono tutele non abdicabili a priori, ma solo a posteriori allorché la parte tutelata sia consapevole del vizio che colpisce il contratto».
61 C. SCOGNAMIGLIO, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 2008 (rist.), pp. 249 ss.
62 V. DI GRAVIO, Clausola di unico rimedio, cit., p. 1608: «[…] sotto un profilo formale, è facile osservare che le clausole di unico rimedio non possono considerarsi “autonome” rispetto al contratto cui accedono, come avviene, ad esempio, per la clausola compromissoria, sicché esse risulterebbero a loro volta travolte dal vizio che colpisce il contratto»; tuttavia, come si vedrà, questa lettura trascura, quantomeno, la possibilità di configurare un’annullabilità parziale del contratto, che permetterebbe di conseguire il risultato invece escluso.
giungere a questa conclusione, è necessario considerare con attenzione le varie tutele che
l’ordinamento appresta a fronte di un contratto annullabile63.
Dalla qualifica di un contratto come “annullabile” discendono diversi rimedi, non limitati alla mera suscettibilità di annullamento64, intesa come possibilità di agire in giudizio per ottenere una sentenza costitutiva che travolga ex tunc gli effetti del contratto annullabile65: oltre all’azione di annullamento, infatti, il soggetto legittimato può eccepire l’annullabilità ex art. 1442, comma 4, c.c., convalidare il contratto ai sensi dell’art. 1444 c.c., domandare il risarcimento del danno ex art. 1338 c.c.66. L’insieme di questi profili compone la disciplina del contratto annullabile e delinea la posizione del contraente legittimato, che non si riduce alla sola esperibilità dell’azione ex art. 1441, comma 1, c.c.
La prospettiva rimediale, quindi, permette di cogliere la pluralità di tutele apprestate dall’ordinamento e che connota il regime del contratto annullabile. La clausola in esame incide solamente su una di esse, l’azione di annullamento, e non pregiudica la possibilità di eccepire l’annullabilità del contratto, di convalidarlo ex art. 1444 c.c. o di agire per il risarcimento ex art. 1338 c.c.
In parte anticipando quanto si dirà nei paragrafi dedicati a questi profili, va osservato che per l’eccezione, la sua indipendenza dall’azione di annullamento è confermata dall’art. 1442, comma 4, c.c., che permette di opporre il vizio anche una volta che l’azione si è prescritta; inoltre, un patto di rinuncia all’eccezione di annullabilità incorrerebbe senz’altro nella nullità ex art. 1462 c.c.67. Quanto alla convalida, attraverso di essa la parte legittimata manifesta un apprezzamento positivo per l’assetto di interessi risultante dal contratto annullabile, una volta conosciuto il vizio; inoltre, come si vedrà meglio più avanti, la convalida fa venire meno anche la possibilità di invocare l’annullabilità in via di eccezione. Al contrario, il patto di rinuncia all’azione di annullamento è stipulato contemporaneamente al contratto, quando il
63 La possibilità di una deroga convenzionale è brevemente esaminata da R. TOMMASINI, voce Invalidità (dir. priv.), in Enc. dir., 1972, XXII, p. 586, nella forma della configurabilità di una invalidità convenzionale. L’Autore è dubitativo, anche se esclude certamente l’applicazione integrale del regime dell’invalidità (es.: la conversione). Un caso di invalidità è stato rivenuto, da parte della dottrina, nella forma contrattuale volontaria; tuttavia, il tema esula dal presente lavoro.
64 F. MESSINEO, voce Annullabilità e annullamento, in Enc. dir., II, Milano, 1958, p. 469: «annullabilità […] significa e importa, per il negozio giuridico […], o per l’atto giuridico, suscettibilità di annullamento […], ossia l’essere, il negozio (o l’atto), esposto alla possibilità dell’annullamento, o invalidazione».
65 Per un’esposizione sintetica degli effetti della sentenza di annullamento, R. TOMMASINI, Art. 1441: legittimazione, in R. TOMMASINI – E. LA ROSA, Dell’azione di annullamento. Artt. 1441-1446, in P. SCHLESINGER (fondato da) – F. D. BUSNELLI (diretto da), Il Codice Civile. Commentario, Milano, 2009, pp. 42 ss. e 105 ss.
66 I rapporti tra art. 1338 e annullamento del contratto sono discussi: si veda infra, para. 4.2.a.ii.
67 Per i rapporti tra il patto in esame e l’art. 1462 c.c. si veda meglio infra, para. 4.2.c.
vizio non è ancora noto, e la sua previsione, come visto, non può pregiudicare l’eccezione di annullabilità: allora, esso non interferisce con l’istituto di cui all’art. 1444 c.c. e, dunque, la rinuncia all’azione di annullamento non pregiudica la possibilità di convalidare successivamente il contratto a cui accede68. Venendo alla responsabilità ex art. 1338 c.c., parte degli interpreti ritiene che il risarcimento sia dovuto anche a prescindere dal previo vittorioso esperimento dell’azione di annullamento: pertanto, la responsabilità da mancata comunicazione di una causa di invalidità risulterebbe invocabile anche dal contraente che avesse rinunciato all’azione di annullamento69.
Dunque, la clausola di rinuncia all’azione di annullamento non “neutralizza” la causa di invalidità, che resta operante e permette di qualificare ugualmente quel contratto come annullabile. Anche stipulata la clausola, l’annullabilità potrà essere opposta in via d’eccezione, l’accordo potrà essere convalidato, il risarcimento del danno ai sensi dell’art. 1338 c.c. potrà essere richiesto. Questa considerazione sembra sufficiente per escludere che il patto in esame incorra in una nullità per contrasto con le norme imperative che sanciscono l’annullabilità del contratto a fronte di certi vizi: pertanto, esso è, sotto questo profilo, valido. Restano salvi i limiti di cui si dirà più avanti, concernenti i contratti stipulati dai consumatori70, l’annullamento del contratto per incapacità naturale e legale, per dolo, violenza e conflitto di interessi tra rappresentante e rappresentato71.
Diversamente avverrebbe, per esempio, per il patto che sancisse l’irrilevanza dell’errore essenziale e riconoscibile72, oppure escludesse in radice la qualifica di annullabilità del contratto (per esempio prevedendo espressamente che l’accordo non possa essere ritenuto annullabile), oppure, ancora, cancellasse la rilevanza delle circostanze che hanno dato vita al vizio della volontà (es.: una dichiarazione della controparte o di un terzo). Tuttavia, tramite la clausola in esame non avviene nulla di tutto questo: più limitatamente, le parti convengono di rinunciare alla sola azione di annullamento, l’accordo resta viziato e gli altri rimedi connessi alla causa di invalidità rimangono esperibili.
68 Sul ruolo dell’art. 1444 c.c. nel problema della validità della clausola in esame si veda infra, para. 4.2.
69 Si allude alla tesi che ritiene predicabile una responsabilità “da contratto invalido non invalidato”, che permetterebbe alla parte in favore della quale è posta la causa di invalidità di ottenere un risarcimento del danno anche senza previo annullamento dell’accordo: sulla relazione tra art. 1338 c.c. e annullamento del contratto si veda infra, para. 4.2.a.ii.
70 Infra, para. 6.1.
71 Si veda infra, para. 6.2.
72 Operazione, questa sì, che farebbe venire meno tutti i rimedi per quel vizio e, quindi, comporterebbe una deroga alla disciplina dell’annullabilità.
Così precisata la portata della clausola di rinuncia, ci si può confrontare con alcune delle pattuizioni più diffuse che disciplinano convenzionalmente l’annullabilità del contratto.
In primo luogo, e senza pregiudizio per i limiti di validità di cui si dirà più avanti73, le clausole di sole remedy possono escludere soltanto l’azione di annullamento; resta impossibile rinunciare preventivamente all’eccezione di annullabilità (art. 1462 c.c.) o sancire l’irrilevanza di certi vizi della volontà o della qualifica del contratto come annullabile. Così, le parti non potrebbero accordarsi per ritenere completamente ininfluente l’eventuale errore nel quale fosse caduta una di esse o per stabilire che il contratto non potrà essere considerato invalido, poiché, in tal modo, esse derogherebbero all’art. 1428 c.c., che prevede l’annullabilità del contratto per errore essenziale e riconoscibile. Piuttosto, potranno rinunciare all’azione di annullamento per errore.
Alla luce di quanto precede, le c.d. non-reliance clauses pongono problemi particolarmente gravi, poiché eliminano la rilevanza delle dichiarazioni pre-negoziali non riportate all’interno del contratto e, quindi, impediscono di invocarle non solo per fondare l’azione di annullamento (es.: per dolo), ma anche per rifiutarsi di eseguire la prestazione eccependo l’annullabilità del contratto o per ottenere il risarcimento del danno da lesione dell’affidamento nella validità del contratto74. Lo stesso si dovrebbe dire per le clausole di incontestabilità, qualora si condivida la tesi che le qualifica come patti di esclusione dell’annullabilità del contratto e non come decadenze convenzionali dal potere di annullamento: infatti, in tal caso, anche tramite di esse si cerca di rende irrilevante una causa di annullabilità del contratto75. Pertanto, le non-reliance clauses non possono trovare spazio nel nostro ordinamento, a meno di non ridurne la portata a una mera rinuncia all’azione di annullamento, e lo stesso varrebbe per le clausole di incontestabilità, ove intese quali patti di esclusione dell’annullabilità del contratto.
Dunque, un primo risultato consiste nel limitare alla rinuncia all’azione di annullamento l’intervento dell’autonomia privata in materia di annullabilità, impregiudicata la possibilità di qualificare il contratto come annullabile, con tutte le conseguenze citate.
73 Ci si riferisce ai già citati para. 5.1. e 5.2., dove si tratterà, rispettivamente, delle clausole contenute in contratti con i consumatori e dei patti di rinuncia all’azione di annullamento per incapacità naturale e legale, per dolo e violenza.
74 Sulla clausola di non-reliance si veda supra, p. 60.
75 A. MANIACI, op. cit., pp. 442 ss. e A. MOTTA, op. cit., pp. 3 ss., qualificano le clausole di incontestabilità come rinunce all’azione di annullamento e le ritengono nulle per contrasto con gli artt. 1444 e 1462 c.c. Come si vedrà nei paragrafi successivi, gli artt. 1444 e 1462 c.c. non sembrano precludere radicalmente questa clausola, piuttosto, a militare per l’invalidità dovrebbe essere il contrasto con l’inderogabilità delle norme che pongono cause di annullabilità del contratto.
Una tesi ritiene che le norme che stabiliscono i casi di annullabilità del contratto abbiano la funzione di sanzionare le violazioni delle regole che presiedono l’esercizio dell’autonomia privata. Poiché la rilevanza negoziale di un accordo, ossia la sua validità, implica principalmente la sua impegnatività, la soggezione del contratto annullabile all’azione di annullamento permette di qualificarlo come invalido; tuttavia, si tratta di una forma di invalidità «notevolmente attenuata» in considerazione del principio di conservazione del negozio e consistente in una precarietà del vincolo. Tale disciplina sarebbe posta a sanzione delle norme che regolano la stipulazione di atti di autonomia76.
Da questa lettura si potrebbe far discendere la nullità della clausola in esame, poiché una rinuncia all’azione vanificherebbe l’effettività della sanzione prevista dall’ordinamento per il contratto annullabile. Tuttavia, tale tesi, seppur autorevolmente sostenuta, non risulta avere avuto seguito. È, infatti, diffusa la convinzione che l’annullabilità del contratto sia un istituto posto a tutela degli interessi di una parte dove, quindi, l’accento è posto sulla posizione del soggetto legittimato all’azione di annullamento, più che sulla condotta riprovevole della controparte77; un’eccezionale funzione sanzionatoria si può riconoscere soltanto al regime di
76 R. SCOGNAMIGLIO, op. cit., p. 397: «non può contestarsi che la annullabilità costituisca una sanzione disposta avverso i negozi che violano le norme intese ad disciplinarli, coincidendo dunque, sotto questo riguardo, con l’invalidità; basti pensare alle cause principali di annullamento ipotizzate dalla legge: i vizi del consenso, il difetto di capacità di agire ecc., e correlativamente, alle sue conseguenze, in particolare alle ripercussioni sull’efficacia del negozio». Così anche E. BETTI, Teoria generale, cit., p. 469. 77 La concezione sanzionatoria dell’invalidità è espressamente rigettata da R. TOMMASINI, op. cit., p. 576:
«la configurazione dell’invalidità come sanzione, anche se mette in luce n aspetto importante, non riesce a cogliere l’essenza effettiva del fenomeno e la sua complessa struttura» e da R. SACCO, Il contratto, cit., p. 525, con riferimento alla nullità come rimedio. Si vedano poi A. NATUCCI, L’annullabilità parziale del contratto, in Riv. dir. civ., 2008, p. 575, nota 16, che rileva come la qualificazione in termini di “sanzione” o “rimedio” dipenda dal punto di vista dal quale si osserva la vicenda contrattuale concreta e M. PROSPERETTI, op. cit., pp. 116 ss. Nel senso di accentuare la funzione di tutela dell’interesse di una parte, per es., F. MESSINEO, voce Annullabilità e annullamento, cit., p. 470: l’annullamento «si configura come reazione, o rimedio offerto all’interessato, contro il negozio (o atto) che, viziatamente sorto, pregiudica, con il suo vigore e con la sua efficacia, l’interesse di chi lo ha costituito, o ha concorso a costituirlo»; E. DEL PRATO, Le annullabilità, in A. GENTILI (a cura di), Rimedi-1, in V. ROPPO (diretto da), Trattato del Contratto, Vol. IV, II Ed., Milano, 2023, pp. 183 ss., spec. p. 185: «volendo schematizzare la fenomenologia delle cause di annullabilità, conviene muovere dal regime dell'annullamento e quindi dalla funzione che ne emerge. Questa prospettiva, per l'efficacia del contratto annullabile, per la legittimazione limitata a far valere la patologia (art. 1441), per la convalidabilità (art. 1444), aiuta a comprendere che l'annullabilità appronta un rimedio volto a presidiare in via diretta interessi particolari, e precisamente l'interesse del soggetto legittimato a chiedere l'annullamento»; R. TOMMASINI, op. cit., p. 586: l’invalidità consiste in una qualificazione negativa dell’atto di autonomia in quanto non conforme allo schema normativo. Il contratto annullabile è qualificato negativamente perché «non prospetta o è fondatamente dubbio che prospetti l'effettivo interesse di un soggetto […]. In queste ipotesi, l'ordinamento non esclude a priori l'efficacia dell'atto, ma attribuisce all'efficacia carattere di precarietà, rimettendo al soggetto interessato la valutazione circa carattere vantaggioso o pregiudizievole dell'atto e la consequenziale decisione sulla sua conservazione o sulla sua eliminazione». Tuttavia, a p. 583 l’Autore precisa che «l’invalidità resta sempre forma di tutela e garanzia di certezza di valori generali (del sistema) e particolari (dei soggetti); anche se presenta le graduazioni
annullabilità assoluta del contratto stipulato dal soggetto in stato di interdizione legale, per effetto di una pena accessoria (art. 32 cp)78. D’altronde, la carica sanzionatoria non sembra compatibile con l’attivazione a richiesta di parte, la legittimazione limitata, la non rilevabilità d’ufficio dell’annullabilità del contratto79 e la sua convalidabilità ex art. 1444 c.c.
Nemmeno si può trascurare che la clausola in esame non incide sulla qualificazione del contratto come annullabile, con le conseguenze di disciplina già accennate: resta eccepibile in perpetuo l’annullabilità del contratto (si intende, salvo che questo sia stato eseguito) e rimane possibile domandare il risarcimento del danno patito per aver confidato nella validità del contratto ex art. 1338 c.c., ove si aderisca alla tesi che non subordina la domanda risarcitoria all’annullamento del contratto80.
Non pare, quindi, che questa interpretazione possa essere utilmente invocata per
sorreggere la tesi dell’invalidità della clausola di rinuncia all’azione di annullamento.
Una terza obiezione “strutturale” alla clausola di rinuncia all’azione di annullamento, questa volta espressamente formulata nel contesto di una disamina dedicata al tema, è incentrata sulla sua incompatibilità con gli effetti demolitori della pronuncia costitutiva. Si
della nullità e dell’annullabilità». Ad ogni modo, resta estranea dall’analisi la prospettiva sanzionatoria. L’analisi dell’interesse sotteso alla disciplina dell’annullabilità del contratto è centrale in F. LUCARELLI, Lesione d’interesse e annullamento del contratto, Napoli, 2009 (rist.), p. 9. Si vedano anche M. PROSPERETTI, Contributo alla teoria dell’annullabilità, Milano, 1973, pp. 15 ss. e M. FRANZONI, op. ult. cit., pp. 2, 27. Per una critica, R. SCOGNAMIGLIO, op. cit., p. 399, nota 90: il profilo teleologico citato sarebbe valido solo in pratica, ma sarebbe inadatto a «determinare il concetto di questa figura» e ad individuarne «esattamente la funzione […] posto che la distinzione tra interesse privato e pubblico […] è tra le più vaghe ed incerte che si possano concepire». Resta, tuttavia, il fatto che la nullità del contratto è rilevabile d’ufficio, mentre non lo è l’annullabilità, differenza che gli Autori citati in questa nota spiegano alla luce della diversità degli interessi tutelati dalle due fattispecie di invalidità. Sul rilievo d’ufficio dell’intervenuto annullamento del contratto, si veda la nota 214.
78 F. GAZZONI, op. ult. cit., p. 1006; R. TOMMASINI, Art. 1441: legittimazione, in R. TOMMASINI – E. LA ROSA, Dell’azione di annullamento, in P. SCHLESINGER (fondato da) - F. D. BUSNELLI (diretto da), Il Codice Civile. Commentario, Milano, 2009, p. 67, che aggiunge che una conferma della natura sanzionatoria dell’interdizione legale deriva dalla sua soggezione a pubblicità, che conferma la rilevanza erga omnes della situazione. Si veda sempre R. TOMMASINI, op. ult. cit., pp. 68 ss. per la legittimazione a fare valere l’annullabilità del testamento e le invalidità matrimoniali.
79 Si tratta, infatti, di eccezione in senso stretto, come risulta dal tenore dell’art. 1441, comma 2 c.c. (l’annullabilità può essere «opposta dalla parte convenuta») e dall’assenza di indicazioni sulla linea dell’art. 1421 c.c. in materia di nullità. Tale assetto è poi coerente con il fatto che l’ordinamento lascia al legittimato la scelta se agire o meno per l’annullamento del contratto. Così C. M. BIANCA, Il contratto, cit., p. 625; F. MESSINEO, voce Annullabilità, cit., p. 476; R. SACCO, voce Nullità, cit., p. 305. In giurisprudenza, ex multis, Cass. civ. 2313/2016; Cass. civ. 20988/2014; Cass. civ. SSUU 1099/1998. Contra la parte della dottrina che attribuisce natura sostanziale al diritto potestativo di annullamento: qualora il legittimato l’avesse esercitato prima del giudizio e la circostanza risultasse dagli atti, il giudice potrebbe praticare il rilievo officioso: I. PAGNI, Le azioni di impugnativa negoziale. Contributo allo studio della tutela costitutiva, Milano, 1998, pp. 276-277, spec. nota 153.
80 Su cui infra, para. 4.2.a.ii.
afferma, infatti, che le pattuizioni in esame non potrebbero considerarsi autonome rispetto al contratto cui accedono, al pari di quanto avviene, per esempio, per le clausole compromissorie, con la conseguenza che risulterebbero anch’esse necessariamente travolte dal vizio da cui è inficiato il contratto81. Si richiamano poi due pronunce del Tribunale di Milano che hanno ritenuto irrilevante la clausola di unico rimedio contenuta in un contratto di acquisizione di partecipazioni societarie, in considerazione del dolo con cui aveva agito il venditore e in applicazione del brocardo “fraus omnia corrumpit”82.
L’obiezione incentrata sulla non autonomia della clausola si potrebbe intendere in due modi diversi: da un lato, come negazione della possibilità che la causa di annullabilità riguardi solo alcune parti del contratto; dall’altro, nel senso di ritenere impossibile che una singola pattuizione sopravviva agli effetti caducatori della sentenza di annullamento.
Dal primo punto di vista, l’osservazione sembra sconfessare la configurabilità di un’annullabilità c.d. oggettivamente parziale, che ricorre quando il vizio riguarda solo alcune clausole o alcune parti del contratto83. L’ammissibilità di questa particolare forma di invalidità è discussa giusta l’assenza, nel Capo del codice civile dedicato all’annullabilità, di una disposizione analoga all’art. 1419 c.c. in materia di nullità parziale.
81 V. DI GRAVIO, Clausola di unico rimedio, cit., p. 1608.
82 V. DI GRAVIO, op. ult. cit., p. 1610. Le due sentenze sono Trib. Milano, 26 e 27.5.2004, non pubblicate, note perché citate da F. BONELLI, Acquisizioni di società e di pacchetti azionari di riferimento, cit., pp. 323-324. Dal contributo dell’Autore non è chiaro se il Tribunale abbia dichiarato nulle le clausole: «malgrado la presenza in contratto di una clausola di Exclusive Remedy, il dolo del venditore consente di superare tale limitazione («fraus omnia corrumpit») e consente pertanto di invocare sia l'eccezione di inadempimento sia l'abilità del contratto per dolo». Il paragone che viene instaurato tra questo caso e quello di escussione fraudolenta di una garanzia a prima richiesta potrebbe fare ritenere che il Tribunale avesse accolto un’exceptio doli sollevata dal compratore e, quindi, dichiarato inefficace la clausola. Ad ogni modo, si può fare presente che il brocardo richiamato dal Tribunale viene normalmente inteso in un altro senso, ovvero per legittimare l’annullamento del contratto anche qualora l’inganno non ingeneri un errore “essenziale” ai sensi dell’art. 1429 c.c.: si veda infra, nota 315.
83 Si parla di annullabilità oggettivamente parziale per distinguere la fattispecie in esame dall’art. 1446 c.c., che disciplina le conseguenze dell’annullabilità che riguarda il vincolo di una sola delle parti di un contratto plurilaterale. Analogamente a quanto avviene per gli artt. 1420, 1459 e 1466 c.c., si stabilisce che la patologia non importa annullamento del contratto, salvo che la partecipazione affetta dal vizio debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale. In sintesi, l’art. 1446 c.c. corrisponde all’art. 1420 c.c., mentre manca, nell’annullabilità, una norma parallela all’art. 1419 c.c. Si veda A. NATUCCI, L’annullabilità parziale, in Riv. dir. civ., 2008, p. 570.
Si colloca all’interno del filone che ritiene inevitabile il “contagio” di tutto il contratto F. PADOVINI, op. cit., p. 198: il patto di rinuncia all’azione di annullamento sarebbe necessariamente inficiato dal medesimo vizio che riguarda il resto dell’accordo: questo, però, (a nostro parere, contraddittoriamente) solo in caso di dolo o violenza. Così anche P. GRECO, La clausola “solve et repete”: ragioni e limiti della sua efficacia, in Riv. dir. comm., 1931, fasc. 2, p. 153: «altro è un distinto e separato atto di volontà che rinunzi in una forma o nell’altra alla impugnativa di un precedente atto di volontà, altro è la rinunzia che si pretenderebbe legittimamente contenuta nello stesso atto che sia determinato da incapacità o da vizio del consenso, poiché è chiaro che in tal caso è la stessa rinunzia che sarebbe affetta da vizio».
In passato, la dottrina ne aveva negato la configurabilità, svolgendo argomentazioni in parte analoghe a quella in commento84. Preliminarmente, era stata criticata la comune afferenza di nullità e annullabilità al medesimo genus dell’invalidità, facendone derivare l’inapplicabilità alla seconda del principio di conservazione del negozio sotteso agli artt. 1419 e 1424 c.c. In secondo luogo, si era ritenuto non probante il parallelismo intercorrente tra l’art. 1446 c.c., in tema di annullamento del contratto plurilaterale, e l’art. 1419 c.c. Da ultimo, l’annullabilità parziale era sembrata incompatibile con la rettifica del contratto ex artt. 1430 e 1432 c.c., che permette di evitare l’annullamento totale, ma attribuendo la relativa iniziativa alla controparte. Compiuti questi rilievi, la dottrina in esame aveva affrontato alcune singole cause di annullamento del contratto, quali i vizi della volontà e l’incapacità naturale.
In estrema sintesi, partendo dalla violenza, questa riguarderebbe «più l’aspetto soggettivo della volizione che non il contenuto della volontà» e, quindi, non sarebbe concepibile una violenza avente a oggetto solo alcune parti del negozio85. Pur con una certa difficoltà a comprendere esattamente il significato dell’espressione, una serrata critica all’opinione in commento ha rilevato che non è possibile distinguere tra “volere” e “voluto”, poiché non è concepibile una
«pura volontà senza contenuto»86. Soprattutto, casi di annullabilità parziale potrebbero ricorrere in contratti a formazione progressiva o aventi a oggetto la vendita di più beni, qualora la minaccia intervenisse solo a un certo punto dell’iter negoziale o solo con riferimento ad alcuni di essi. Ancora, se si ammette la possibilità di una nullità parziale ex art. 1419 c.c. ove la violenza fisica ricada sulla stipulazione di una specifica clausola, sembra poi difficile negare che la minaccia possa portare ad annullabilità parziale87. Da ultimo, l’astratta compatibilità tra violenza e vizio parziale del contratto risulta confermata dall’art. 624, comma 1 c.c., in materia di annullabilità della (singola) disposizione testamentaria per errore, violenza o dolo88.
84 A. DALMARTELLO, Questioni in tema di annullabilità del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1963, pp. 16 ss. Oltre agli Autori citati nel prosieguo, si vedano L. CARIOTA FERRARA, Il negozio giuridico nel diritto privato italiano, Napoli, 1949, pp. 365 ss.; F. MACARIO, Adeguamento e rinegoziazione, cit., pp. 137 ss.
85 Ibidem, p. 24.
86 A. NATUCCI, op. cit., p. 581.
87 A. NATUCCI, op. cit., pp. 581-582. L’Autore ha cura anche di mostrare come parti della dottrina spesso
citata contro la configurabilità del vizio in esame sia stata in realtà travisata: si veda la nota 27 a p. 581.
88 Ibidem, p. 583; si vedano anche G. CRISCUOLI, Precisazioni in tema di annullabilità parziale del negozio giuridico in rapporto ai vizi della volontà, in Riv. dir. civ., 1964, I, pp. 364 ss. e A. FONDRIESCHI, Annullabilità parziale dell’oggetto della prestazione e adeguamento del contratto, in Osservatorio del Diritto civile e commerciale, fasc. 1, 2014, p. 50, con ampi riferimenti bibliografici. L’Autrice distingue tra annullabilità parziale dell’oggetto e del regolamento contrattuale. Per D. MAFFEIS, Conflitto di interessi nel contratto e rimedi, Milano, 2002, pp. 370 ss., non sarebbe possibile un’annullabilità parziale in caso di violenza del terzo non conosciuta dalla parte, di errore non riconosciuto e di conflitto di interessi non conosciuto dal terzo.
Per l’incapacità legale varrebbero considerazioni sovrapponibili a quelle che dovrebbero condurre a negare un’annullabilità parziale del contratto oggetto di violenza89. Anche in questo contesto, tuttavia, si possono immaginare ipotesi in cui l’incapacità sopraggiunga solo dopo un certo stadio della trattativa, o riguardi solo alcuni dei beni oggetto del contratto90. Lo stesso dovrebbe valere anche quanto all’incapacità naturale o al contratto stipulato dal minore, seppure si tratti di casi difficili da immaginare nella pratica91.
L’argomentazione differisce per il caso di errore o dolo. Questi vizi della volontà sarebbero astrattamente concepibili con riferimento a singole clausole o parti del contratto; tuttavia, sarebbe la legge a limitarne la rilevanza ai soli casi in cui essi siano determinanti per la stipulazione dell’intero contratto92. Seppure tramite un percorso diverso, dunque, nemmeno l’errore e il dolo potrebbero comportare l’annullamento parziale del contratto.
In verità, l’argomentazione dà per presupposto quanto si dovrebbe invece dimostrare, ossia la possibilità che l’errore o il raggiro riguardino una parte soltanto del contratto, scindibile dal resto93. E in effetti, ben si può concepire un errore che sia essenziale per la clausola su cui cade, ma al contempo non essenziale nei confronti dell’intero negozio94: in altre parole, un conto è l’essenzialità ex art. 1429 c.c., che deve ricorrere perché il vizio della volontà possa portare all’annullamento, e un conto è l’essenzialità della clausola viziata nell’economia complessiva del contratto, che rileva ai fini di valutare l’estensione degli effetti demolitori all’intero negozio95.
89 A. DALMARTELLO, op. cit., p. 24.
90 A. NATUCCI, op. cit., p. 584, che riporta anche due casi giurisprudenziali dove è stata ravvisata l’annullabilità parziale di un contratto: Cass. civ. 932/1970, in Foro pad., 1971, I, pp. 108 ss., con riferimento a un caso di violazione dell’art. 323, comma 1 c.c., testo previgente, e Cass. civ. 1592/1980, in Giur. it., I, 1, p. 1586, due soggetti avevano promesso in vendita alcuni beni, ma uno di loro era inabilitato. Tuttavia, questo secondo caso appare meno probante poiché il negozio si sarebbe potuto distinguere in due diversi contratti e perché, forse, si sarebbe potuto applicare l’art. 1446 c.c.
91 Ibidem, p. 587; contra, oltre al DALMARTELLO, anche A. GENTILI, La risoluzione parziale, Napoli, 1990, p.
97.
92 A. DALMARTELLO, op. cit., pp. 26-27.
93 A. NATUCCI, op. cit., p. 588; A. GENTILI, op. cit., p. 103.
94 Cass. civ. 2647/1967, in Giust. civ., 1968, I, pp. 892 ss., citata da A. NATUCCI, op. cit., p. 589, riguardante
una clausola di prelazione viziata da errore di diritto e giudicata inessenziale ex art. 1419 c.c., applicabile per analogia al caso di annullabilità parziale.
95 Così già G. CRISCUOLI, op. cit., pp. 384 ss. e ora anche A. FONDRIESCHI, op. cit., p. 54 e p. 57 per il dolo.
Per l’annullabilità del contratto per conflitto di interessi si veda la particolare ricostruzione di D. MAFFEIS, op. cit., pp. 20 ss., che comunque giunge ad ammettere l’annullabilità della sola parte del contratto viziata dalla patologia in esame. L’Autore constata, con osservazione per ogni caso di annullabilità parziale, che dalla legittimazione ristretta a fare valere l’annullamento discende che il contraente convenuto per l’annullamento parziale non potrà difendersi domandando l’estensione dell’annullamento (p. 364).
A queste considerazioni si può aggiungere, riprendendo le osservazioni svolte in via preliminare dalla voce qui criticata, che l’afferenza di nullità e annullabilità al medesimo genus dell’invalidità negoziale è convinzione diffusa tra gli interpreti, tanto che un’autorevole dottrina ha ritenuto che l’art. 1419 c.c. si possa applicare in via diretta96, e non già solo analogica97, al caso in esame. Inoltre, l’importanza attribuita dalla legislazione più recente98 e dalla giurisprudenza al principio di conservazione del contratto rendono difficile limitarne la portata al solo campo della nullità contrattuale, escludendo l’annullabilità del contratto99, anche considerato che l’art. 1446 c.c. ne mostra una significativa applicazione proprio nel
96 R. SACCO, voce Nullità e annullabilità, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., Vol. XII, Torino, 1995, p. 300. In generale, sulla collocazione dell’annullabilità a fianco della nullità all’interno della categoria dell’invalidità, R. SCOGNAMIGLIO, op. cit., p. 395; R. TOMMASINI, op. cit., pp. 583 ss.; E. DEL PRATO, op. ult. cit., pp. 184 ss.; A.
NATUCCI, op. ult. cit., pp. 572 ss., ove ampi riferimenti di dottrina e giurisprudenza; per F. MESSINEO, voce Annullabilità e annullamento, cit., p. 470, il contratto annullabile è valido fino alla pronuncia costitutiva ed è quindi dubbia l’ascrivibilità del vizio all’invalidità; dubitativo anche U. MAJELLO, La patologia discreta del contratto annullabile, in Riv. dir. civ., 2006, pp. 340 ss.: «dalle precedenti osservazioni sulla nullità e sull’annullabilità del contratto potrebbe forse emergere, in contrapposizione alla ben nota categoria generale dell’invalidità, quella non altrettanto considerata dell’invalidabilità […] Quest’ultima esprime infatti più che un’invalidità meno grave, come asseriscono coloro che accomunano nullità e annullabilità nella categoria dell’invalidità, un’invalidità allo stato meramente potenziale, tanto da rendere riconducibile il contratto annullabile ad un’ipotesi di validità precaria». Una posizione particolare è assunta da F. LUCARELLI, op. cit., pp. 229 ss., che ritiene che il contratto annullabile sia valido ed efficace e che l’annullamento incida solo sui suoi effetti inter partes: così si spiegherebbe la normale inopponibilità ai terzi.
97 Così G. CRISCUOLI, op. cit., p. 368, che non ravvisa l’esistenza di ragioni ostative all’applicazione
analogica.
98 Soprattutto, dall’art. 36 del d.lgs. n. 206/2005, il Codice del consumo, che prevede che «le clausole considerate vessatorie ai sensi degli articoli 33 e 34 sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto». Si vedano anche gli artt. 7 e 8 del d.l. 7/2007, relativamente al divieto di clausole penale per l’estinzione anticipata dei mutui immobiliari e al divieto di patti che impediscano o rendano gravoso l’esercizio della surrogazione ai sensi del comma 1 del medesimo art. 8.
99 Per R. TOMMASINI, Dell’azione di annullamento, cit., p. 95, l’annullabilità parziale ben può riguardare «clausole scindibili dall’intero contesto negoziale», la cui eliminazione «non incida irreparabilmente sull’economia negoziale e sulla capacità di realizzare comunque l’assetto fondamentale degli interessi». Tuttavia, la base normativa non sarebbe l’applicazione analogica dell’art. 1419 c.c., ma del più generale principio della conservazione del contratto.
È noto come il principio di conservazione del contratto sia alla base del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c. (ex multis, Cass. civ. 19493/2018), della disciplina della patologia del contratto plurilaterale (artt. 1420, 1446, 1459, 1466 c.c.) e della nullità parziale e della conversione del contratto (artt. 1419, su cui, per es., Cass. civ. 23950/2014, e 1424 c.c.). La giurisprudenza ne ha poi fatto applicazione, anche se non sempre condivisibilmente, nelle materie più diverse, per es., per stabilire la legittimità di un recesso esercitato a distanza di tempo dal fatto che lo legittimava (Cass. civ. 7384/2021). Sul principio in esame, si vedano per tutti C. GRASSETTI, VOCE Conservazione (principio di), in Enc. dir., Vol. IX, Milano, 1961, p. 172; G. STELLA RICHTER, Il principio di conservazione nel negozio giuridico, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1967, pp. 411 ss., spec. 413.; R. TOMMASINI, voce Nullità (dir. priv.), in Enc. dir., 1978, XXVIII, p. 903 e C. M. BIANCA, Il contratto, cit., pp. 398-400 e 595 ss.; sulla sua crescente importanza, per es., nel contesto di operazioni attuate tramite la stipulazione di contratti collegati, si veda M. RABITTI, sub Art. 1419 c.c., in E. NAVARRETTA - A. ORESTANO (a cura di), Dei contratti in generale. Art. 1387 - 1424, in E. GARIELLI (diretto da), Commentario del codice civile, Milano, 2012, p. 597.
campo di questa figura di invalidità100. Nemmeno ricorrono le lamentate interferenze con
l’istituto della rettifica101.
D’altro canto, ammettere l’annullabilità parziale sembra coerente con il funzionamento di questa patologia negoziale: se in caso di annullabilità totale l’iniziativa è comunque rimessa all’interessato, a maggior ragione tale facoltà di scelta si deve affermare qualora il vizio riguardi una parte soltanto dell’accordo102. Infine, l’interpretazione trova conforto nel riferimento a un autorevole corpus quale i Principi Unidroit, il cui art. 3.2.13. espressamente prevede l’annullabilità parziale103.
In definitiva, non solo è logicamente concepibile un vizio della volontà che riguardi una parte soltanto del contratto, ma questa ipotesi è contemplata da una norma codicistica (cfr. art. 624 c.c.), nota alla giurisprudenza e facilmente governabile tramite l’applicazione diretta o analogica dell’art. 1419 c.c. o, per un’altra voce, tramite esclusivo riferimento ai principi vigenti in materia di annullabilità del contratto104. Sembra quindi affrettato negare recisamente l’ammissibilità della clausola di rinuncia all’azione di annullamento nel nostro ordinamento, osservando che essa verrebbe necessariamente travolta dal vizio che inficia il contratto.
100 G. CRISCUOLI, op. cit., p. 368.
101 Immaginando un acquisto di beni per quantità inferiore al voluto, la rettifica opererebbe in senso ampliativo e non parzialmente ablativo degli effetti del contratto. Immaginando invece un acquisto di beni per quantità superiore al voluto, la rettifica porta agli stessi effetti dell’annullamento parziale e, quindi, l’istituto depone semmai a favore dell’annullabilità parziale, e non contro. Così A. FONDREISCHI, op. ult. cit., p. 56 e A. GENTILI, op. ult. cit., p. 89.
102 G. CRISCUOLI, op. cit., p. 372. A. FONDRIESCHI, op. ult. cit., p. 55, nota che, ammettendo l’annullabilità
parziale, si introduce un terzo modello, intermedio tra annullamento totale e convalida.
103 Lo nota A. FONDRIESCHI, op. ult. cit., p. 69, nota 68. L’articolo recita che «where a ground of avoidance affects only individual terms of the contract, the effect of avoidance is limited to those terms unless, having regard to the circumstances, it is unreasonable to uphold the remaining contract». Le cause di annullabilità del contratto sono approssimativamente sovrapponibili ai nostri vizi della volontà: sono contemplati il mistake (art. 3.2.1.), la fraud (3.2.5.) e la threat (3.2.6.), oltre che la gross disparity (art. 3.2.7.). L’Autrice osserva inoltre che ammettere l’annullabilità parziale risulta anche efficiente dal punto di vista economico, permettendo al contraente caduto in errore, per esempio, sulla quantità del bene compravenduto di usufruire di una scelta intermedia tra l’annullamento totale e la convalida.
104 R. TOMMASINI, voce Nullità, cit., p. 904: l’Autore nega l’applicabilità analogica dell’art. 1419 c.c., accusando di imprecisione e vaghezza le argomentazioni che sorreggono tale soluzione. Piuttosto, l’annullabilità parziale si deve ammettere perché «nullità ed annullabilità appartengono entrambe al genus della invalidità della quale costituiscono articolazioni diverse» Di qui, la possibilità di invocare l’argomento a fortiori: «posto che è ammessa la parzialità della nullità che costituisce la gradazione più intensa della invalidità appare logico ritenere ammissibile la parzialità dell'annullabilità, allorché il vizio riguardi esclusivamente clausole accessorie o secondarie dell'atto». Tuttavia, l’annullabilità parziale sarà «interamente governata dalle regole specifiche della annullabilità e non - neppure in via analogica - da quelle della nullità parziale»: è chiaro che se il vizio riguarda solo una clausola del contratto, si potrà domandare l’annullamento solo di quella clausola. Utilizza l’argomento a fortiori anche G. CRISCUOLI, op. ult. cit., p. 368. Favorevole all’annullabilità di singole clausole anche C. M. BIANCA, Il contratto, cit., p. 626.
La conclusione è la medesima anche riflettendo sulla seconda accezione in cui si può declinare l’obiezione riportata all’inizio del paragrafo, secondo la quale gli effetti caducatori della pronuncia di annullamento non potrebbero che coinvolgere anche la clausola in esame, che non sarebbe autonoma dal contratto caducato come avviene, invece, per le clausole compromissorie.
In effetti, sembra che l’obiezione dia per dimostrato quello che invece è da provare, ossia che la clausola di rimedio esclusivo sia nulla e non impedisca alla parte di adire il giudice per ottenere la pronuncia caducatoria. Se, al contrario, la clausola fosse valida, questione che è il thema probandum, non si giungerebbe al travolgimento del contratto.
Il riferimento all’autonomia della clausola arbitrale, poi, può essere sfruttato proprio per comprendere meglio la dinamica messa in atto dalla presenza della clausola di rinuncia all’azione di annullamento. La natura autonoma della clausola arbitrale è stata teorizzata dalla dottrina ben prima del suo riconoscimento legislativo nell’art. 808, comma 3 cpc, che prevede che «la validità della clausola compromissoria deve essere valutata in modo autonomo rispetto al contratto al quale si riferisce»105. In questo modo, si è permessa la devoluzione ad arbitri di controversie relative alla validità del contratto, che sarebbe risultata impossibile ove si fosse ritenuto che la causa di invalidità del contratto avrebbe travolto anche la clausola arbitrale106.
A ben vedere, la conclusione della “separatezza” della clausola arbitrale si impone proprio perché essa regola (anche) vicende derivanti dalla caducazione del contratto e quindi, a meno di non volerla vanificare, si deve ritenere che la causa di invalidità non la pregiudichi. A riprova di quanto si sta dicendo, si può considerare che il ragionamento qui criticato si potrebbe applicare anche ad altre clausole che regolano vicende relative alla caducazione del contratto, rispetto alle quali, tuttavia, non risulta siano state mosse censure di tenore analogo:
105 F. CARNELUTTI, Clausola compromissoria e competenza degli arbitri, in Riv. dir. comm., 1921, II, pp. 327 ss. Si vedano in generale E. ZUCCONI GALLI FONSECA, La convenzione d’arbitrato, in A. GRAZIOSI - L. SALVANESCHI, L’arbitrato, Milano, 2020, pp. 111 ss., spec. 135 ss.; C. PUNZI, voce Arbitrato, in Enc. giur., Roma, 1995; R. MARENGO in A. BRIGUGLIO - E. FAZZALARI - R. MARENGO, La nuova disciplina dell'arbitrato, Milano, 1994; P. RESCIGNO, Arbitrato e autonomia contrattuale, in Riv. arb., 1991, 1, p. 23: l’autonomia della clausola è motivata dalla conservazione del patto «in primo luogo nelle ipotesi in cui si controverta, e si chieda la pronuncia degli arbitri, proprio sulla validità del contratto a cui accede la clausola compromissorio». Recentemente, A. HENKE, Alcune considerazioni sulla legge applicabile alla validità formale e sostanziale di una convenzione arbitrale per arbitrato estero, in Riv. com. int., 2018, p. 627, ove si dà conto dell’ampia diffusione del principio (es.: Section 7 dell'English Arbitration Act e, nei regolamenti arbitrali internazionali, i Regolamenti ICC, LCIA) e di alcune sue conseguenze pratiche (ad es.: la clausola compromissoria contenuta in una proposta contrattuale opera anche se l'accettazione contiene modifiche riguardanti la sola parte sostanziale del contratto, come ritenuto da Cass. civ. 4842/2000). Si veda, da ultimo, Cass. civ. 25024/2013, che ha negato che la nullità del contratto travolgesse anche la clausola arbitrale ivi prevista.
106 Chiaramente, la clausola arbitrale può essere inficiata da un vizio proprio.
è il caso, per esempio, delle clausole di scindibilità, dei patti con i quali si regolano le restituzioni derivanti dal contratto nullo107 o risolto108, della clausola penale, che di certo resta efficace nonostante la risoluzione per inadempimento del contratto a cui accede, e, soprattutto, della clausola di irresolubilità, anch’essa volta a escludere un rimedio demolitorio109. In sintesi, non solo esistono clausole che sopravvivono alla caducazione, ponendosi a valle di essa e regolandone gli effetti, ma si ritrovano anche patti che si collocano a monte di essa e, tuttavia, non sono mai stati oggetto di una critica analoga a quella mossa alla clausola di rinuncia all’azione di annullamento.
Dunque, non si può concludere per l’invalidità della clausola di rinuncia all’azione di annullamento affermando che essa non potrebbe che seguire la sorte del contratto a cui accede: in primo luogo, perché l’annullamento del contratto è possibile solo se la clausola è nulla (che è proprio la tesi che va dimostrata); in secondo luogo, perché essa regola proprio l’invalidità del contratto e, quindi, se ne deve ammettere una certa autonomia.
4.2. Contrasto della clausola con gli artt. 1444, 1395 e 1462 c.c.
Il paragrafo precedente conclude la disamina degli argomenti contrari alla validità della clausola e imperniati sulla sua incompatibilità con alcuni caratteri fondamentali dell’annullamento del contratto: il suo essere regolato da norme imperative, la concezione che qualifica l’annullamento quale “sanzione” a carico dei privati, il contrasto con una certa ricostruzione delle cause di annullabilità e con gli effetti demolitori della pronuncia di annullamento. Nei paragrafi che seguono, si esaminerà la compatibilità della clausola con due aspetti specifici della disciplina dell’annullabilità: la convalida del contratto annullabile, regolata dall’art. 1444 c.c., e l’irrinunciabilità dell’eccezione di annullamento ex art. 1462 c.c.
107 Si veda lo stesso V. DI GRAVIO, Clausola che regola le conseguenze dell’invalidità del contratto, cit., pp. 672 ss.
108 Sulle quali L. GUERRINI, Le restituzioni contrattuali, in F. D. BUSNELLI – S. PATTI – V. SCALISI – P. ZATTI (collana diretta da), Studi di Diritto Privato, Torino, 2012, pp. 196 ss., spec. 209 ss., dedicate alle clausole sulla conversione da restituzione «in natura» a restituzione «per equivalente»; P. GALLO, voce Restituzioni contrattuali e inadempimento, in Dig. Disc. Priv., Sez. civ., Agg. XII, 2012, para. 10, che significativamente accomuna le clausole destinate a disciplinare le restituzioni alle clausole arbitrali, in quanto entrambe «destinate a sopravvivere nonostante la caducazione del contratto»; G. DE NOVA, Nuove tutele e nuovi rimedi in materia contrattuale, in G. DE NOVA, Il contratto: dal contratto atipico al contratto alieno, Padova, 2010, pp. 93 ss.
109 Sulla quale si vedano gli Autori citati al para. 4.1.a. del Cap. I. Significativamente, non è mai stato sostenuto che la clausola di irresolubilità sia nulla perché verrebbe travolta dall’effetto risolutorio; anzi, proprio questo effetto sarà da escludersi ove la clausola sia ritenuta valida, all’esito di un vaglio che andrà effettuato – come è stato fatto – sulla base di altre considerazioni. Peraltro, anche accedendo a questa tesi non è chiaro quale sia la causa di nullità che inficerebbe il patto di irresolubilità.
4.2.a. La clausola di rinuncia all’azione di annullamento e la convalida del contratto annullabile
Il patto di rinuncia all’azione di annullamento si potrebbe ritenere nullo in quanto incompatibile con l’art. 1444 c.c., che sembrerebbe ammettere la rinuncia all’azione solo una volta conosciuto il vizio da cui il contratto è inficiato e solo nelle modalità ivi previste.
In effetti, nelle trattazioni dedicate a questo meccanismo di recupero del contratto annullabile è diffusa la tesi che ritiene inammissibile una convalida (espressa) contestuale alla stipulazione del contratto e generica, poiché operata in assenza del presupposto indefettibile costituito dalla conoscenza del vizio. A maggior ragione, la stessa conclusione varrebbe per un’ipotetica convalida preventiva, relativa a negozi futuri, in quanto, in tal caso, il vizio non sarebbe solo ignoto all’epoca della convalida, ma neppure esisterebbe110.
A prima vista, questa lettura sembrerebbe precludere qualsiasi spazio alla clausola in
esame, che costituirebbe proprio quella “convalida generica” ritenuta inammissibile.
110 G. MARINI, Il contratto annullabile, in A. GENTILI (a cura di), Rimedi-1, in V. ROPPO (diretto da), Trattato del contratto, Vol. IV, Milano, 2023, p. 430; A. GENTILI, Le invalidità, in P. RESCIGNO (a cura di), I contratti in generale, T. 2, II Ed., Milano, 2006, p. 1628. Alcuni Autori si limitano a ritenere inammissibile la clausola di unico rimedio perché opererebbe una rinuncia preventiva all’annullabilità in difetto della consapevolezza del vizio, senza precisare se questa osservazione rilevi ex art. 1444 c.c., o in quanto rende indeterminato il contenuto della clausola, oppure perché rende nulla la rinuncia a un diritto futuro (aspetti, questi ultimi, sui quali si veda infra, para, 4.3.a. e 4.3.b.): E. GABRIELLI, op. ult. cit., p. 216; A. SPATUZZI, op. cit., p. 207, che segue la tesi di V. DI GRAVIO, Clausola di unico rimedio, cit., p. 1608. In giurisprudenza, Cass. civ. 272/2004, in DeJure e Leggi d’Italia. Il contenzioso davanti all’autorità giudiziaria era stato instaurato da un soggetto che aveva incaricato un altro di gestire una farmacia per tre anni, dietro promessa di un corrispettivo calcolato secondo una certa formula. Il contratto conteneva una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, ed era prevista la non impugnabilità del lodo. Tra i due era insorta una lite sulla determinazione del compenso, risolta con lodo irrituale che aveva dato ragione al gestore della farmacia. Il lodo era stato impugnato dal proprietario davanti al Tribunale di Roma, che ne aveva pronunciata la nullità per errore essenziale circa il calcolo del compenso. Il gestore aveva impugnato la sentenza davanti alla Corte d’appello, lamentando, tra le altre cose, l’improponibilità dell’azione giusta la clausola di non impugnabilità del lodo.
La Corte aveva accolto l’appello osservando che la clausola doveva ritenersi valida: il patto doveva essere interpretato come una limitazione delle eccezioni proponibili, e quindi dei motivi a sostegno dell'azione di annullamento, ammissibile ex art. 1341, comma 2 c.c.; la conclusione veniva rafforzata poi (pare) da un argomento a fortiori: considerata la possibilità di rimettersi all'arbitrium merum del terzo arbitratore nella determinazione dell'oggetto del contratto (art. 1349 c.c.), si sarebbe dovuta ammettere, a maggior ragione, la possibilità di «rimettersi fiduciariamente alla volontà dispositiva di un terzo premunendosi "ex antea" contro possibili impugnazioni». Il proprietario ricorreva quindi per Cassazione, lamentando, tra l’altro, la violazione degli artt. 1349 e 1444 c.c.
La Suprema Corte osservava l’assoluta inconferenza dell’argomento imperniato sull’art. 1349 c.c., norma che riguarda l’arbitraggio e non l’arbitrato, «istituto finalizzato alla risoluzione di controversie insorte in relazione a rapporti giuridici preesistenti e compiutamente definiti». Inoltre, affermava che la clausola non comportava una semplice rinuncia alle eccezioni, trattandosi «dell'ipotesi del tutto diversa di una rinunzia a far valere i vizi della volontà che affliggessero il contratto, rinunzia che però non può intervenire in via anticipata e preventiva, ma che presuppone che il negozio viziato sia già venuto ad esistenza al momento della rinunzia, che questa sia formalizzata con autonomo atto che contenga la menzione del contratto e del motivo di annullabilità, che l'intenzione di convalidare l'atto da parte del rinunzi ante sia espressamente manifestata (art. 1444 c.c.). Da ciò si desume quindi che non è neppure astrattamente configurabile una convalida preventiva e generalizzata rispetto a negozi futuri, i cui motivi di annullabilità non sono ancora venuti ad esistenza - e quindi non possono neppure essere conosciuti - al momento dell'accordo». La sentenza veniva quindi cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello.
Tuttavia, qualche margine di operatività si potrebbe ricavare ragionando sulla diversità di effetti che derivano dalla convalida e dalla clausola di rinuncia all’azione di annullamento.
Come noto, la convalida del contratto annullabile è un istituto disciplinato dall’art. 1444
c.c. che si articola nelle species della convalida espressa (art. 1444, comma 1 c.c.) e tacita (art. 1444, comma 2 c.c.). Si tratta di un meccanismo di recupero del contratto annullabile previsto in via generale, a differenza della rettifica del contratto, che è disciplinata solo per il caso di errore (art. 1432 c.c.)111. Per suo tramite, la situazione di incertezza caratteristica del contratto annullabile viene superata in una maniera opposta a quanto avviene in caso di annullamento del contratto, ossia tramite la sua conservazione. Se rimanendo a un livello superficiale la convalida può essere descritta agevolmente, non appena si progredisce nell’esame dell’istituto ci si avvede che i punti saldi sono ben pochi.
Infatti, della convalida sono discusse la natura negoziale112, la riconducibilità a una sorta di sanatoria del negozio annullabile piuttosto che a una rinuncia all’azione di annullamento113,
111 La dottrina si è interrogata circa l’applicabilità della rettifica anche ai casi di dolo e violenza, per es.: SACCO, Il contratto, cit., pp. 590 ss., lo esclude, constatando l’univoca delimitazione dell’istituto all’errore. Un correttivo si potrebbe rinvenire, però, attribuendo al convenuto per l’annullamento un’eccezione di dolo, qualora l’attore agisca rifiutando la correzione. Al di là del diverso ambito di applicazione, la convalida e la rettifica divergono per molti aspetti: per es., la convalida avviene a iniziativa del legittimato all’azione di annullamento, mentre la rettifica è iniziativa della controparte. Ancora, la convalida cristallizza l’assetto di interessi recepito dal contratto annullabile, mentre la rettifica porta al regolamento che la parte in errore intendeva stipulare. Si vedano E. LA ROSA, in R. TOMMASINI – E. LA ROSA, Dell’azione di annullamento, in P. SCHLESINGER (fondato da) – F. D. BUSNELLI (diretto da) Il Codice Civile. Commentario, Milano, 2009, pp. 210 – 211 e M. FRANZONI, sub Art. 1444 c.c., in F. GALGANO (a cura di), Commentario del codice civile Scialoja – Branca, Bologna, 1998, p. 529.
112 Si vedano G. MARINI, op. cit., pp. 415-416; E. LA ROSA, op. cit., pp. 182 ss., che attribuisce alla convalida espressa natura negoziale e alla convalida tacita natura attuosa, con varietà di argomentazioni; G. PIAZZA, La La convalida nel diritto privato. La convalida tacita, Napoli, 1980, pp. 6 ss. e pp. 65 ss., per la natura attuosa della convalida tacita: l’avverbio “volontariamente” andrebbe inteso come “spontaneamente”; contra G. GIACOBBE; op. cit., pp. 494 ss.: l’esecuzione deve « consistere in un’attività che, tendendo a realizzare esecutivamente la situazione che si sarebbe dovuta determinare attraverso il negozio invalido, manifesti la volontà del soggetto agente di procedere alla convalida»; R. SACCO, Il contratto, cit., pp. 583-584, per la natura negoziale della convalida espressa. Ritiene invece che la convalida sia sempre un atto giuridico G. B. FERRI, voce Convalida, conferma e sanatoria del negozio giuridico, in Dig. Disc. Priv., Sez. Civ., Vol. IV, 1989, pp. 347-348; G. GIACOBBE, op. cit., pp. 497 ss. Problema ulteriore è se la convalida espressa sia recettizia o meno: la considera recettizia, per es., F. MESSINEO, voce Annullabilità e annullamento, cit., p. 483; contra G. GIAMPICCOLO, La dichiarazione recettizia, Napoli, 2011 (rist.), p. 94.
113 Vari riferimenti in G. B. FERRI, op. cit., p. 343; E. LA ROSA, op. cit., pp. 166 ss.; G. MARINI, pp. 415 ss.; si segnalano poi le posizioni di M. PROSPERETTI, op. cit., p. 133, che parla di una rinuncia solo in senso atecnico, poiché si tratta, piuttosto, di una preclusione nei confronti dell’impugnazione, e di G. PIAZZA, La convalida nel diritto privato. La convalida espressa, Milano, 1973, pp. 105 ss., che accosta l’istituto al negozio di accertamento. Contra G. B. FERRI, op. cit., p. 346. R. SACCO, Il contratto, cit., p. 584 osserva che, di regola, la rinuncia al potere di annullamento o la cessazione dello stato di incertezza o l’esigibilità delle prestazioni sono effetti che si producono contemporaneamente. La lettura della convalida in termini di sanatoria non è condivisibile, poiché
la sua efficacia retroattiva114, l’applicabilità ex art. 1324 c.c. ai negozi unilaterali115, la forma che dovrebbe rivestire la convalida espressa116, la possibilità di domandarne l’annullamento per vizio della volontà e la rilevanza della protestatio contra factum117, la definizione di “esecuzione” ex art. 1444, comma 2 c.c.118, la possibilità di una convalida parziale119, la legittimazione nel caso di contratti plurilaterali120 o di annullabilità assoluta121. Alcuni di questi problemi, inoltre, possono essere risolti solo dopo aver preso posizione nel contesto del dibattito circa la qualificazione del contratto annullabile come fattispecie già produttiva di effetti precari, oppure come atto di autonomia invalido e inefficace ab origine: seguendo la prima ipotesi, la convalida non si potrebbe qualificare come una sanatoria, poiché gli effetti si starebbero già producendo; qualora, invece, si ritenesse che il contratto annullabile sia inefficace, sarebbe possibile sostenere che la convalida “sani” retroattivamente il negozio, permettendogli di produrre effetti122, oppure ritenere che essa costituisca un atto che, aggiungendosi al contratto viziato, dà vita a una fattispecie complessa a cui la legge ricollega l’efficacia negoziale123.
Non è questa la sede per un esame analitico dei numerosi problemi che si pongono per l’istituto in esame, poiché, ai limitati fini dell’indagine circa la validità della clausola di rinuncia all’azione di annullamento, è sufficiente considerare gli effetti che scaturiscono dalla convalida del contratto annullabile. In particolare, è cruciale osservare che la convalida non
i vizi che affliggono il contratto sono fatti storici, ineliminabili da un meccanismo negoziale successivo: così G.
B. FERRI, op. cit., p. 346 e E. LA ROSA, op. cit., p. 167.
114 Per es., G. GIACOBBE, op. cit., p. 500, gli effetti vanno ricondotti alla fattispecie complessa “negozio invalido convalidato” e si producono ex nunc. Sulla scorta di una concezione del contratto annullabile come contratto invalido ma immediatamente produttivo di effetti, R. SACCO, Il contratto, cit., p. 584, osserva che parlare di “retroattività” è improprio.
115 Su cui, per es., G. GIACOBBE, op. cit., p. 492, con riguardo al testamento e ai rapporti con l’art. 590 c.c. 116 Il problema consiste nel comprendere se il comma 1 dell’art. 1444 c.c. imponga la forma scritta o se tale requisito sia richiesto solo in caso di convalida di un contratto formale: G. B FERRI, op. cit., pp. 350-351 per la tesi della libertà delle forme; F. MESSINEO, op. ult. cit., p. 483 per la forma scritta. Posizione articolata in G.
MARINI, op. cit., pp. 421 ss.
117 Per alcuni riferimenti, E. LA ROSA, op. cit., pp. 186 ss. e G. MARINI, op. cit., p. 426. La ritiene irrilevante
G. B. FERRI, op. cit., p. 348, coerentemente con la natura di atto giuridico riconosciuta alla convalida.
118 Si veda l’analisi critica di R. SACCO, Il contratto, cit., pp. 585 ss. Cfr. anche E. LA ROSA, op. cit., pp. 180 ss. e G. MARINI, op. cit., pp. 424 ss.
119 Si veda, per es., G. GIACOBBE, op. cit., p. 499.
120 G. B. FERRI, op. cit., p. 351 si occupa della parte soggettivamente complessa e distingue a seconda che la causa di annullabilità sia o meno comune a tutti i soggetti; diversamente F. MESSINEO, op. ult. cit., p. 484. Posizioni articolate anche in E. LA ROSA, op. cit., pp. 193 ss.
121 Ammette la convalidabilità R. SACCO, Il contratto, cit., p. 583; contra G. PIAZZA, La convalida nel diritto privato. La convalida espressa, cit., pp. 142 ss., poiché l’annullabilità è posta a tutela di un interesse diverso da quello del legittimato; contraria anche E. LA ROSA, op. cit. p. 199. Si veda poi G. MARINI, op. cit., pp. 427 ss.
122 Giudica la retroattività degli effetti una «palese fictio iuris» F. LUCARELLI, op. cit., p. 286; si veda anche la sintetica e chiara esposizione di E. LA ROSA, op. cit., pp. 162 ss.
123 Così M. FRANZONI, op. ult. cit., p. 11.
comporta solo l’impossibilità di esperire l’azione di annullamento (aspetto ben messo in evidenza dalla tesi che la ritiene una rinuncia all’azione)124, ma anche l’impossibilità di eccepire l’annullabilità125. Si tratta di un punto pacifico tra gli interpreti, pur nella varietà delle espressioni utilizzate per descrivere il fenomeno126, coerente con il fatto che, attraverso la convalida, il soggetto legittimato esprime un giudizio positivo di rispondenza del contratto viziato ai propri interessi127. Al contrario, un tale effetto di stabilizzazione dell’assetto negoziale non è assolutamente conseguibile tramite una clausola stipulata prima della conoscenza della causa di annullabilità, da parte del soggetto legittimato, costituendo un ostacolo insormontabile il divieto posto dall’art. 1462 c.c.128.
Da quanto precede consegue che la clausola di rinuncia all’azione di annullamento non si sovrappone alla convalida espressa e, anzi, è possibile ordinare i due atti di autonomia in una scala crescente di idoneità a stabilizzare gli effetti del contratto: tramite la rinuncia è possibile disporre dell’azione di annullamento prima di conoscere la causa di annullabilità, ma resta precluso disporre anche della relativa eccezione; tramite la convalida, invece, è possibile stabilizzare definitivamente il contratto, precludendo non solo l’azione di annullamento, ma anche l’eccezione: non sarà più possibile fare valere l’annullabilità del
124 Supra, nota 112.
125 Per tutti E. LA ROSA, op. cit., p. 164: «la preclusione dell'azione di annullamento è solo uno dei più complessi e variegati effetti scaturenti dalla convalida. Il più significativo è certamente quello di rendere retroattivamente definitivi gli effetti eliminando lo stato di incertezza che connotano il negozio annullabile, ma ad esso si accompagnano anche altre non meno rilevanti effetti: paralizzare l'eccezione di annullamento, rendere esigibili delle stazioni e chiedere l'esecuzione di tutti gli obblighi contrattuali». Si può ricordare che questi effetti, invece, non conseguono dalla prescrizione dell’azione che, senza esecuzione completa della prestazione dovuta, lascia inopponibile l’eccezione di annullabilità: M. PROSPERETTI, op. cit., pp. 132-133.
126 G. GIACOBBE, op. cit., p. 493: «la convalida determina la definitività degli effetti dell’atto»; G. B. FERRI, op. cit.,
p. 346: la convalida «non si sostanzia in altro che nella impossibilità di fare valere l’invalidità»; G. GIAMPICCOLO, op. cit., pp. 94-95. Per F. MESSINEO, op. ult. cit., p. 483, «la convalida concreta la volontà di considerare come eliminata la causa di invalidità […] onde [il negozio] dopo la convalida, diviene definitivamente valido». La tesi che qualifica la convalida come rinuncia all’azione sembra, quindi, trascurare questo aspetto fondamentale, riducendo la portata effettiva della convalida: così, chiaramente, E. LA ROSA, op. cit., pp. 163-164.
127 In maniera opposta a quanto avviene con l’esperimento dell’azione di annullamento: F. LUCARELLI, op. cit., pp. 287 ss. «nella convalida prevale l'aspetto positivo di una conferma di interesse, giustificata dal fatto che l'ordinamento riconosce alla parte turbata la possibilità di esprimere nuovamente un proprio giudizio di valore d'accordo negoziale in vista di una situazione contrattuale sorta in maniera ambigua […] la convalida rispetta la possibilità concessa alla parte di utilizzare o meno il mezzo di reazione, predisposto nel suo solo interesse». Parla di «atto preclusivo nei confronti dell’impugnazione» M. PROSPERETTI, op. cit., p. 133, similmente G. GIAMPICCOLO, op. cit., p. 94.
128 Percepisce la diversità tra convalida e rinuncia (ex post) all’azione di annullamento F. MACIOCE, voce Rinuncia (dir. priv.), in Enc. dir., Vol. XL, Milano, 1989, p. 939. Tuttavia, la prospettiva dell’Autore, incentrata sulla critica dell’opinione che riduce la convalida del contratto annullabile a una rinuncia, impedisce di trarne le conseguenze in punto di validità di una clausola di rinuncia preventiva. Anzi, si sostiene che «sul piano processuale gli effetti della rinuncia e della convalida possono ritenersi equivalenti, precludendo l’esperimento dell’azione». Gli effetti della convalida in punto di eccezione di annullabilità sono trascurati.
contratto129. Coerentemente con questi effetti ben più gravi, la convalida è possibile solo una volta conosciuta la causa di annullamento del contratto, mediante un atto che contenga la menzione del contratto, del motivo di annullabilità e la dichiarazione di volerlo convalidare130; queste condizioni, invece, non devono ricorrere per la clausola di rinuncia all’azione di annullamento, che produce effetti più modesti, diversi da quelli che deriverebbero da un’ipotetica (e inammissibile) convalida generica, contestuale alla stipulazione del contratto. Un’ulteriore differenza tra la pattuizione in esame e la convalida risiede nella natura bilaterale della prima e unilaterale della seconda; tuttavia, non ci sembra che questo aspetto sia dirimente131. Infatti, nel contesto che ci occupa l’art. 1444 c.c. rileva perché se ne desume il divieto di una manifestazione di autonomia privata, antecedente alla conoscenza del vizio, che cerchi di rendere irrilevante la causa di annullabilità. Il significato “negativo” dell’art. 1444 c.c. risiede nel vietare un certo effetto e, dunque, non pare decisivo che l’atto di autonomia che mira a produrlo assuma le forme di un negozio unilaterale o di un patto
bilaterale.
4.2.a.ii. La convalida, la clausola di rinuncia all’azione di annullamento e l’art. 1338 c.c.
Quanto precede sembra sufficiente a dimostrare la non interferenza dell’art. 1444 c.c. con la clausola di rinuncia all’azione di annullamento. Per distanziare ulteriormente le due fattispecie, si può menzionare un’altra tutela che, per un certo indirizzo, non è più invocabile dalla parte che abbia convalidato il contratto annullabile e che, invece, resterebbe impregiudicata dalla clausola di rinuncia all’azione di annullamento: la responsabilità per conclusione di contratto invalido ex art. 1338 c.c. Tuttavia, la possibilità di distinguere convalida e clausola di rinuncia all’azione di annullamento incontra varie difficoltà e la relativa analisi deve procedere per gradi.
129 Nitidamente E. LA ROSA, op. cit., p. 165: «va rilevato che la rinunzia all'azione non comporta alcuna sanatoria e non esclude la possibilità di far valere il vizio in via di eccezione. Viceversa, una volta intervenuta la convalida il contratto non può più essere impugnato in via di azione e resta preclusa anche la relativa eccezione». Il rilievo riguarda la rinuncia ex posti, ma è valido anche per quella ex ante.
130 La giurisprudenza esercita un vaglio rigoroso circa la ricorrenza dei requisiti nella convalida espressa: Cass. civ. 2029/1982, in Giust. civ. Mass., 1982, p. 734 e Cass. civ. 272/2004, cit. Come si vedrà più avanti, però, l’atteggiamento della giurisprudenza è opposto nel contesto della convalida tacita: accanto a un vaglio severo circa l’acquisita certezza della causa di invalidità (per es., Cass. civ. 2029/1982, cit.), si afferma un’interpretazione fortemente estensiva della nozione di “esecuzione”. Diversamente F. MESSINEO, op. cit., p. 483, che osserva che la legge non richiede anche la «consapevolezza del soggetto di avere a disposizione l’azione di annullamento». In questo modo, ci si avvicina ad ammettere la convalida preventiva.
131 Così, invece, F. PADOVINI, op. cit., pp. 187-189.