CONTRATTO DI RETE E RIPOSIZIONAMENTO DELLE PMI: UNA LETTURA COORDINATA
CONTRATTO DI RETE E RIPOSIZIONAMENTO DELLE PMI: UNA LETTURA COORDINATA
DEgLI ASPETTI CIVILISTICI E FISCALI1
di Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxx
1. Aspetti civilistici. Introduzione
Il presente lavoro è dedicato al contratto di rete quale figura aggregativa di imprese di natura contrattuale per la regolamentazione di cooperazioni inter-imprenditoriali di tipo reticolare e si articola in due parti, la prima dedicata ai profili civilistici e la seconda ai profili tributari, nelle quali offre una lettura coordinata allo scopo di individuare soluzioni adeguate a sup- portare le PMI nei loro processi di riposizionamento nei mercati interni e internazionali, nonché a orientarle nell’accesso ai finanziamenti europei e regionali.
In particolare, in questa prima parte dedicata ai profili civilistici sono descritti gli aspetti qualificanti e innovativi della figura legislativa, anche allo scopo di evidenziarne gli elementi distintivi rispetto alle altre forme di aggregazione di imprese, tra i quali i più rilevanti risultano essere la “fles- sibilità organizzativa”, la “multilateralità dei rapporti”, la “limitazione del- la responsabilità patrimoniale” anche in assenza di soggettività giuridica.
Obiettivo della presente parte è evidenziare in primo luogo, come si stia sempre più affermando, sulla scorta di una più consolidata “econo- mia delle reti”, uno specifico “diritto delle reti” che comporta, in eguale maniera, una rielaborazione delle categorie tradizionali del codice civile (in particolare, bilateralità/plurilateralità, contratto/organizzazione/sog- gettività giuridica, responsabilità patrimoniale illimitata/limitata) e una prospettiva evolutiva in ambito internazionale e sovranazionale (in par- ticolare, in riguardo alla riflessione sull’introduzione di un “Contratto di rete europeo”). In secondo luogo, come sia necessario rapportare la figura del Contratto di rete al principio generale, di fonte costituzionale (art. 41) e sovranazionale (art. 16 Carta di Nizza), di libertà di iniziativa economica, allo scopo di evitare che vengano poste in essere modalità discriminatorie tra forme di aggregazione tra imprese, come quelle che potrebbero esse-
1 La parte civilistica (dal par. 1.1 al par. 1.6) è a cura di X. Xxxxxx; la parte fiscale (dal par. 2.1 al par. 2.7) è a cura di X. Xxxxxxx; la bibliografia è comune ad entrambe le parti.
Rivista Piccola Impresa/Small Business - n. 1, anno 2016 doi: 10.14596/pisb.242
re ricavate in riguardo ad alcuni recenti bandi di finanziamento regionale che ammettono tra i soggetti beneficiari le sole reti d’impresa dotate di soggettività giuridica (con conseguente esclusione all’accesso all’incentivo previsto delle cd. “reti-contratto”, ancora, come sia necessario rapportare la figura di derivazione legislativa italiana a termini, concetti, procedure valevoli in ambito europeo (come “organisation”, “legal entity, “legal per- sonality”) allo scopo di permettere ad entrambe le tipologie incluse nella definizione del Contratto di rete (cd. “rete-contratto” e “rete-soggetto”) di partecipare alle procedure di finanziamento del programma quadro di ri- cerca e innovazione Horizon 2020 (e conseguentemente di evitare che un eventuale errore procedurale per non corretta comprensione delle moda- lità di partecipazione possa escludere dal finanziamento lo specifico Con- tratto di rete richiedente).
Si possono premettere alla successiva esposizione i seguenti rilievi in- troduttivi.
Il Contratto di rete nasce con l’art. 3 comma 4-ter della legge 9 aprile 2009, n. 33 (che ha convertito, con modificazioni, il decreto legge 10 febbra- io 2009, n. 5, recante misure urgenti a sostegno dei settori industriali in cri- si) e la sua disciplina ha subito una evoluzione normativa fino alla versione attuale derivante dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 (di conversione con modifiche del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, recante ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese, cd. “Decreto Sviluppo bis”).
La disciplina ha una finalità di promozione di politiche industriali per contrastare la crisi economica ed è caratterizzata dalla presenza di norme di diritto pubblico (per i profili fiscali) e diritto privato (per i profili contrat- tuali). Nel tempo si sono succeduti tre diversi modelli normativi: il primo modello del 2009 incentrato sulla ristrettezza delle modalità inter-impren- ditoriali attuabili da parte dei partecipanti (il solo esercizio in comune di attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali) e sulla obbli- gatorietà della presenza del fondo patrimoniale e dell’organo comune, in principio senza neppure la previsione di una qualche sorta di responsabi- lità patrimoniale di natura speciale; il secondo modello del 2010 con una rilevante estensione delle modalità relazionali (anche la collaborazione e lo scambio di prestazioni ed informazioni), la rimessione all’autonomia contrattuale delle parti della decisione sulla presenza del fondo patrimo- niale e dell’organo comune, la previsione di un regime di responsabilità limitato per le obbligazioni assunte in attuazione del programma di rete; il terzo modello del 2012 con il definitivo chiarimento della possibile pre- senza, sempre rimessa alla libertà contrattuale delle parti, di una rete senza (ipotesi normale) e con soggettività giuridica (ipotesi eventuale).
Il fenomeno deve quindi essere considerato secondo una per così dire “summa divisio”, le “reti-contratto” e le “reti-soggetto”, che si differenzia- no in riguardo ai due elementi considerati, fondo patrimoniale e organo
comune, nel modo seguente. Nelle prime, “reti-contratto”, la titolarità dei rapporti giuridici è pro quota dei contraenti secondo l’operare di uno sche- ma fondato sul mandato e la rappresentanza volontaria (con la spendita del nome dei retisti vengono infatti imputati ai partecipanti i diritti e gli obblighi assunti dall’organo comune); nelle seconde, “reti-soggetto”, la ti- tolarità dei rapporti giuridici è in capo alla rete stessa secondo l’operare di uno schema fondato sulla soggettività e la rappresentanza organica.
Entrambe queste tipologie sono ricomprese nella disciplina legislativa che introduce una nuova figura aggregativa delle PMI di natura contrat- tuale, per la regolamentazione di cooperazioni inter-imprenditoriali di tipologia reticolare. La figura è destinata ad aggiungersi a quelle preesi- stenti, basate su modelli contrattuali bilaterali (quali, ad esempio, subfor- nitura o franchising), plurilaterali (quali, ad esempio, joint ventures, rag- gruppamenti di imprese, associazioni temporanee di imprese), consortili (con attività interna o esterna) o societari (di natura lucrativa tradizionale, cooperativa o consortile), in quanto caratterizzata dalla finalità di accresci- mento - individuale e collettivo - della capacità innovativa e competitiva delle parti contraenti.
La fattispecie negoziale introdotta dal legislatore appartiene alla cate- goria dei “contratti di impresa” della tipologia “B-to-B” tradizionale, senza riferimenti ad aspetti di asimmetrie contrattuali ed in particolare, ai “con- tratti di cooperazione tra imprese”, tra i quali, la propria natura reticolare, la contraddistingue rispetto alle diverse figure di integrazione proprietaria che non salvaguardano l’indipendenza delle singole imprese (quali, ad es., fusioni, acquisizioni, gruppi o altri fenomeni di direzione accentrata, inter- locking directorates, ecc.).
1.2 Gli aspetti qualificanti e innovativi del Contratto di rete
Gli elementi caratterizzanti del Contratto di rete sono i seguenti.
E’ un “contratto plurilaterale con comunione di scopo”; lo scopo consiste nell’incremento della capacità - dei singoli e della collettività dei parteci- panti - di innovazione (nei processi aziendali e nei prodotti) e competitività sul mercato, ovvero, in definitiva, dell’efficienza delle imprese aggregate. Pertanto, il Contratto di rete ontologicamente si differenzia dai contratti di varia tipologia basati sullo scambio corrispettivo (vendita, somministra- zione, subfornitura, affiliazione commerciale, ecc.).
E’ un “contratto a effetti obbligatori”, in quanto la definizione normati- va indica che le parti “si obbligano” e quindi allude alla presenza di speci- fici effetti obbligatori, comportanti il dovere di ciascun contraente di adem- piere le prestazioni collaborative derivanti dal programma comune di rete concordato ed il corrispondente diritto di ogni parte di pretendere dalle altre comportamenti consoni agli impegni assunti nel programma stesso.
Il programma comune di rete rappresenta quindi il meccanismo indicato dal legislatore per far individuare con precisione dalle parti quali siano le specifiche attività di collaborazione e coordinamento da compiersi in attuazione del programma; le attività così individuate costituiscono l’og- getto specifico del relativo contratto.
E’ un “contratto a contenuto programmatico” e, più precisamente, come sostenuto in dottrina, un “contratto quadro o normativo”, che stabilisce i diritti ed i doveri delle parti, per tutta la durata del rapporto (Cafaggi 2009 e Xxxxxxxxx, 2011). Questo significa che le parti, nelle loro relazioni inter- ne e nei rapporti con i terzi, devono atteggiarsi in modo corrispondente al progetto condiviso; i successivi contratti, anche di scambio bilaterale, conclusi dalle parti tra loro e con i terzi (fornitori, distributori, ecc.) sono attuativi della regolamentazione contenuta nel programma concordato.
E’ un “contratto formale”, in quanto la legge prevede espressamente quali siano gli aspetti che debbano essere previsti dalle parti. In particolare, l’articolato impone che il contratto contenga:
a) i dati identificativi di ogni partecipante, per originaria sottoscrizione o per adesione successiva, nonché la denominazione e la sede della rete qualora sia previsto il fondo patrimoniale comune;
b) l’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di competi- zione e le modalità per misurare l’avanzamento di tali obiettivi;
c) la definizione del programma di rete, con l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante e le modalità di realiz- zazione dello scopo comune;
d) la durata del contratto, le modalità di adesione e recesso;
e) la governance di rete, con la precisazione delle regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune.
A questi le parti, sulla base di una loro scelta discrezionale, possono aggiungere due elementi ulteriori:
f) un fondo patrimoniale comune;
g) un organo comune.
La presenza di un fondo patrimoniale comune comporta la necessità di prevedere nel contratto la misura ed i criteri di valutazione dei contributi iniziali e successivi che ciascun partecipante si obbliga a versare. È possi- bile anche prevedere un patrimonio destinato, costituito ai sensi dell’art. 2447 bis, I comma, lett. a cod. civ., se consentito dal programma.
Di fondamentale importanza sono le previsioni che assegnano al fondo patrimoniale comune una propria specificità.
In primo luogo, viene affermato che allo stesso si applicano, in quanto compatibili, le norme degli artt. 2614 e 2615, II comma cod. civ. previste con riguardo ai consorzi con attività esterna; il richiamo comporta le regole della non divisibilità del fondo finchè dura la rete e della responsabilità solidale del fondo e del singolo partecipante per le obbligazioni assunte
per conto di quest’ultimo. In secondo luogo, viene introdotta una norma specifica che afferma:
“in ogni caso, per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune”.
Quest’ultima è una regola espressamente derogatoria del principio ge- nerale della responsabilità patrimoniale illimitata del debitore di cui all’art. 2740 cod. civ., per la quale il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Si attribuisce così al fondo un partico- lare vincolo destinatorio con relativa previsione di una speciale limitazione della responsabilità patrimoniale delle imprese aderenti alla rete, il quale ha efficacia esterna in riguardo ai soggetti che avanzino pretese credito- rie aventi la propria causa in relazione all’attuazione del programma di rete, in quanto contratte con l’organo comune. In merito a quest’ultimo, la norma afferma che il contratto debba specificare i dati identificativi del soggetto prescelto per svolgere tale ufficio, con i relativi poteri di gestione e rappresentanza, potendo essere capace di svolgere attività, anche di natura commerciale, con i terzi.
Sono previsti specifici adempimenti pubblicitari (iscrizione nella sezio- ne del registro delle imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante), dai quali consegue l’efficacia del contratto una volta che sia stata compiuta l’ultima formalità a carico di tutti i sottoscrittori originari. Viene inoltre introdotta (all’art. 4-quater dell’art. 3 citato), nelle ultime modifiche dell’ar- ticolato, una formalità semplificata per le successive modifiche al contratto. La versione attualmente vigente della disciplina prevede la possibili- tà, a piena discrezione dei contraenti, di iscrivere la rete, dotata di fondo patrimoniale, nella sezione ordinaria del registro delle imprese, nella cui circoscrizione è stabilita la sua sede, con l’effetto di far acquistare alla rete
stessa la “soggettività giuridica”.
Sotto il profilo strutturale, l’autonomia delle parti, può configurare tre diverse modalità:
- reti contrattuali con struttura semplificata (cd. “reti leggere”), per le
quali sia stata convenuta la presenza dei soli aspetti essenziali (indi- cati nell’elenco riassuntivo prima riportato dalle lettere da a. ad e.) ;
- reti contrattuali con struttura complessa (cd. “reti pesanti”), per le
quali sia stata prevista la dotazione di un fondo patrimoniale comu- ne, di un organo comune o di entrambi tali aspetti eventuali (indicati nell’elenco nelle lettere f. e g.);
- reti contrattuali con soggettività giuridica (cd. “reti soggetto”), per
le quali le parti abbiano compiuto le specifiche formalità indicate in precedenza (secondo la norma del comma 4-quater sopra indicata).
1.3 Da una “economia delle reti” al nuovo “diritto delle reti”
Al legislatore italiano si può attribuire il merito di aver disciplinato per la prima volta, anche nel panorama europeo, il fenomeno di provenien- za economico-aziendale delle reti, con la conseguenza dell’essere presen- te oggi, sulla scorta di una già più consolidata “economia delle reti”, uno specifico “diritto delle reti” di matrice legislativa con la relativa previsione della nuova fattispecie contrattuale del Contratto di rete.
Con la previsione di questo strumento contrattuale collaborativo e coor- dinativo dell’attività di impresa, il legislatore ha permesso, mediante una chiara operazione promozionale, alle singole imprese di abbattere i propri costi transattivi che deriverebbero dall’incertezza degli schemi negoziali da adottare; in altre parole, infatti, l’impiego del Contratto di rete consente agli operatori di fare affidamento su uno strumento negoziale nel quale ri- versare le proprie strutture organizzative relazionali, avendo la previsione, proprio in quanto di diritto legislativo, dei relativi effetti giuridici.
Il nuovo “diritto delle reti”, in stretta correlazione alla “economia delle reti”, ha una valenza molteplice.
In riguardo al diritto interno, permette agli operatori di evitare i dubbi interpretativi derivanti da rapporti di fatto non espressamente definiti su base volontaristica, ovvero non adeguatamente formalizzati, con i poten- ziali rischi di riqualificazione degli stessi - in quanto “rete di fatto” - in figure anche lontane dalla reale volontà delle parti, come ad es. in “società di fatto”.
In riguardo al diritto internazionale, offre una disciplina applicabile alle “reti internazionali” mediante la possibilità di scelta della legge italiana in accordi stipulati tra operatori appartenenti a diversi paesi con l’esplicazio- ne della loro autonomia contrattuale in senso internazionalprivatistico (cd. “law shopping”).
In riguardo al diritto sovranazionale, segnatamente quello europeo, apre la discussione sulla necessità dell’introduzione (non solo con regola- mento ma anche come “soft law”, ovvero con raccomandazione o altre for- me di indirizzo da parte degli organi comunitari) di una figura comunita- ria di “Contratto di rete europeo” in un contesto di vuoto disciplinare. Per il Contratto di rete può prevedersi a livello europeo senza dubbio una sorte migliore di quella di altre figure contrattuali che si sono rivelate del tutto perdenti, come il Geie (Gruppo europeo di interesse economico), il quale per la propria disciplina complessa e la non corrispondenza alla realtà fe- nomenica che intendeva regolare ha avuto una scarsissima applicazione.
In riguardo infine all’evoluzione delle idee, anche in un’ottica compa- ratistica con altri ordinamenti e altre discipline, il modello italiano fornisce una risposta seria a coloro che hanno avanzato argomenti per sostenere la teoria dell’impossibilità di ascrivere il fenomeno economico delle reti in
uno specifico quadro concettuale legale (Xxxxxxx, 1993). La teoria per così dire nichilista appare peraltro già poco convincente in rapporto al ruolo attribuibile in generale al diritto come scienza sociale: il diritto infatti è la scienza predisposta dall’uomo per regolare le attività umane allo scopo di governare i conflitti sociali; essendo le reti un fenomeno reale, in quanto riconosciuto e approfonditamente indagato dagli studi economico-azien- dali, il diritto non può sottrarsi al proprio compito di fornire un preciso “framework” giuridico concettuale della realtà fenomenica, anche even- tualmente mediante un ripensamento dei propri paradigmi tradizionali.
Il modello italiano serve altresì a confutare la diffusa convinzione che la rete sia una figura “ibrida”, intermedia tra il contratto e l’organizzazione; peraltro, nel contesto internazionale gli sforzi sistematici si concentrano nel valutare i due concetti in termini di effettiva o meno contrapposizione tra “contract” e “corporation”, o meglio “organization” (Teubener, 2009). Questa convinzione di ordine giuridico si può collegare ad una analoga prospettazione ricavabile in studi economico-aziendali, per la quale la rete rappresenterebbe una figura a metà tra le due forme tradizionali del “mer- cato” (inteso come composto da una moltitudine di scambi transazionali) e della “gerarchia” (intesa come integrazione verticale proprietaria secondo il modello cd. fordista elaborato da Xxxxxx, basato sulla crescita dimensio- nale anche mediante gruppi con partecipazioni incrociate).
La convinzione può essere riletta nell’ottica più moderna della teori- ca dell’autonomia della rete (Xxxxxx, 1990) e delle tesi scientifiche di stu- diosi che evidenziano come il mercato sia un insieme di scambi ripetuti e relazionali piuttosto che di scambi transazionali isolati, in ragione del non essere “isolata” la stessa impresa contraente, per il quale gli operatori possono, prima ancora di valutare le relazioni reticolari come opportunità, prenderne atto come fenomeno imprescindibile delle proprie dinamiche economiche (Tunisini, 2013 e 2014).
Le reti non sono quindi un ibrido del mercato ma rappresentano un suo modo di manifestarsi; il mercato non è valutabile solo nella dimensione “polare”, con tutte le imprese indipendenti che compiono scambi bilate- rali transazionali isolati o si rapportano in maniera verticistica, ma anche nella dimensione “nodulare”, nella quale le imprese sono immerse in re- lazioni di interdipendenza reticolare anche pre-esistenti al momento della loro formalizzazione contrattuale. Può accadere che di queste relazioni di fatto gli operatori non ne abbiano neppure consapevolezza o cognizione, oppure che scelgano di avvantaggiarsene mediante meccanismi non for- malizzati, oppure ancora che ricerchino lo strumento contrattuale idoneo a formalizzarle.
Nella sua funzione di supporto, il diritto segue l’economia predispo- nendo gli strumenti di regolamentazione dei rapporti economici. Tuttavia, si deve constatare, anche con un certo stupore e incredulità, come fino a
tempi relativamente recenti le esigenze della classe imprenditoriale e degli studiosi economico-aziendali si siano attestate nel considerare le relazio- ni economiche principalmente come scambi bilaterali - alle quali i giuristi hanno risposto fornendo strumenti contrattuali di identica natura sinallag- matica (vendita, subfornitura, franchising, ecc.) – salvo poi accorgersi della impossibilità di trasformare una moltitudine di contratti paralleli o conse- quenziali (di regolazione di rapporti commerciali su e giù nella filiera) in un unico contratto plurilaterale, in mancanza di una specifica volontà al riguardo delle parti interessate (e, di conseguenza, di configurare una re- sponsabilità contrattuale per comportamenti opportunistici).
Il problema di “legare” in un unico contesto plurilaterale più contratti bilaterali tra loro autonomi è un’esigenza che viene avvertita nella nuova consapevolezza della realtà reticolare. Si considerino due esempi emble- matici in tema di rapporti verticali come nella subfornitura e orizzontali come nella licenza di marchio (collegata o meno a rapporti più complessi, franchising merchandising ecc.). Si pensi al caso, ripreso dalla dottrina ita- liana (Cafaggi e Xxxxxxx, 2009) e straniera (Teubner) del distributore com- merciale di “secondo livello”, nel quale il produttore imponga ai primi dis- tributori particolari condizioni da indicare in tutti i contratti con i secondi distributori, cessato il rapporto tra il primo ed il secondo distributore, per cessazione del rapporto tra produttore e primo distributore, può il secondo distributore vanzare una richiesta risarcitoria nei confronti del produttore? Si pensi ancora al caso analizzato in dottrina (Camardi, 2009), dell’uso scorretto del marchio da parte di un franchisee con perdita di clientela da parte di altro licenziatario, quest’ultimo, oltre all’azione contro il franchi- sor comune, ha anche azione diretta verso il primo per la sua infedeltà?
Il riferimento sia interno che internazionale a figure di contratti plu- rilaterali associativi atipici (come le joint ventures o i raggruppamenti temporanei di imprese, ATI ecc.) non si è dimostrato del tutto sicuro nei suoi effetti giuridici, oscillando anche questi schemi negoziali tra il con- tratto (in particolare un mandato collettivo congiunto) e l’organizzazione (in particolare un ente dotato di soggettività atipica, diverso dalle figure codicistiche), risultando invece pacifica l’impossibilità di configurare una responsabilità patrimoniale limitata per il fondo comune dei contraenti (la conclusione deriva dalla non derogabilità del principio della responsabilità patrimoniale universale ex art. 2740 cod.civ.).
Nel nostro ordinamento, prima della legge del 2009 sul Contratto di rete, si sarebbe potuto a livello interpretativo ricostruire, in presenza di una specifica volontà delle parti, una fattispecie composta da un contratto plurilaterale, in base al principio generale della libertà contrattuale (arg. ex art. 1322 cod. civ.), da collegarsi con un trust interno (ammesso per la legge del 16 ottobre 1989, n. 364 di ratifica della Convenzione dell’Aja), per introdurre la limitazione di responsabilità patrimoniale del fondo affidato
alle obbligazioni sorte in attuazione del programma collettivo. Tuttavia si sarebbe dovuto fare i conti con due inconvenienti: quello del rischio sulla certezza degli effetti giuridici essendoci la possibilità che il rapporto tra i contraenti venga invece qualificato da un eventuale giudice in sede con- tenziosa come “società di fatto” con la conseguenza della responsabilità illimitata e solidale di tutti gli interessati; quello del ricorso ad un istituto straniero (con la tecnica internazionalprivatistica dello « shopping del di- ritto”) per regolare una fattispecie interna.
In Italia come all’estero vi potrebbero essere prospettive evolutive me- diante l’impiego di joint ventures collegate a trusts, ma non tutti i paesi europei considerano ammissibile di effetti giuridici vincolanti per i terzi il modello del trust inglese o internazionale. In altro ordine di idee, in dottri- na si è avanzata la teoria di individuare dei contratti quadro per regolare i rapporti tra imprese (cd, “Umbrella Agreement” dell’economista e giurista Mouzas 2005 e 2012) che rimangono tuttavia allo stato confinati nelle intese precontrattuali con l’obbligo di rinegoziare le condizioni dell’accordo al mutare delle situazioni relazionali o di mercato.
In questo contesto, si comprende appieno come lo strumento negoziale introdotto dal legislatore interno sia dotato di una specifica ontologia pro- pria che lo pone come modello di riferimento utilizzabile dagli operatori nel mercato interno ed internazionale.
1.4 Il Contratto di rete in rapporto alle figure tradizionali di scambi relazionali
Il Contratto di rete si pone infatti come uno strumento alternativo a quelli tradizionali in quanto caratterizzato da elementi innovativi, essendo un contratto plurilaterale connotato di responsabilità limitata, che lo rende efficiente vestimento giuridico dei rapporti reticolari.
La collocazione del nuovo Contratto di rete può essere rappresentata nello schema seguente che, rispetto a quello proposto in altro lavoro (Arri- go, 2013 e 2014) evidenzia altresì la differenza tra forme aggregative senza e con “soggettività giuridica”.
Business
Networks
Formal
Unconscious
Conscious
Market Exchanges
Relational
Exchanges
Transational
Exchanges
Figura 1. Xxxxxx T., Uno schema interpretativo
Distretti/
Clusters
Sub- -
fornitura e altri sub- contratti
Concessione Licenza di Altri contratti
di vendita, marchio diadici o Franchising bilaterali
Alleanze
Strategiche
( ,
(Costellazio
ni/Supply,
Chai
… )
ns)
Senza soggettività
Contratti
plurilaterali/ Multilateral
contracts
Joint
Ventures
Contratto
di rete
Con soggettività
Consorzi
Coopera-
tive
Contratto
di rete
ATI /RTI
Consapevoli
Reti di imprese/ Business Networks
Formali
Inconsapevoli
Umbrella Agreements
New Co
Scambi relazionali
Scambi transazionali
Scambi di mercato
(
Umbrella
Agreements
Strategic
Alliances
(Constellations , Supply Chain Integrations ,
… other )
Dyads /
Bilateral Contracts
… other
Industrial
Districts / Clusters
Sub -
Contracting
Franchising
Licensing
Gli scambi di mercato si possono suddividere in scambi transazionali ed in scambi relazionali, tra questi ultimi sono inquadrabili le reti di impre- se. A seconda della consapevolezza dell’esistenza di una rete e comunque della volontà dei soggetti di assumere le opportunità ma anche i vincoli corrispondenti (in una valutazione di natura giuridica trattasi ovviamente di obbligazioni da adempiere), è possibile individuare tre sottoclassi chia- mate convenzionalmente “inconsapevoli”, “consapevoli” o “formali”.
Nella prima sottoclasse, scambi relazionali inconsapevoli o comunque senza la volontà di fare rete con tutti i soggetti coinvolti da rapporti rela- zionali con l’interessato, sono ascrivibili tutte le figure di scambi diadici, anche compiuti nei distretti industriali e clusters locali, in quanto realiz- zanti contratti bilaterali di scambio (sub-contratti, contratti di franchising, di licenza, ecc.). Per questi la mancanza di relazioni contrattuali dirette con soggetti estranei (e quindi giuridicamente “terzi”) ai rapporti diadici even- tualmente formalizzati (con contratti bilaterali) comporta la non possibilità di configurare responsabilità contrattuali specifiche tra i soggetti in rete solo dal punto di vista informale o di fatto (anche rispetto alle eventuali formalizzazioni bilaterali di relazioni diadiche), con la conseguenza in caso di comportamenti opportunistici di individuare sanzioni di mera natura reputazionale ed eventualmente di natura extra-contrattuale (il comporta-
mento opportunistico può essere qualificato giuridicamente come “tort”?). Nella seconda sottoclasse, scambi relazionali consapevoli, sono incluse quelle modalità organizzative nella quali il soggetto ha la consapevolezza dell’esistenza di una rete relazionale più estesa dei singoli rapporti diadi- ci eventualmente formalizzati (con contratti bilaterali), ma, ciononostante, non intende formalizzare gli ulteriori aspetti relazionali, salvo adottando intese (si è nel campo delle “Strategic Alliances”) di natura giuridica pre- contrattuale (come i cd. “Umbrella Agreements” in precedenza accennati) dalle quali, in caso di comportamenti opportunistici, potrebbero consegui-
re responsabilità (pre-contrattuali) di identica natura.
Nella terza sottoclasse, scambi relazionali formali, nei quali il soggetto ha la volontà di formalizzare l’insieme dei rapporti relazionali di interesse, sono invece incluse tutte le diverse figure di contratti plurilaterali (sia di natura cd. “non soggettiva”, come gli accordi multilaterali di partneraria- to, Joint Ventures, Raggruppamenti temporanei di imprese, Associazioni temporanee di imprese, che di natura cd. “soggettiva”, come i consorzi, le cooperative, ecc.) dove si colloca il Contratto di rete, avente l’ontologia propria analizzata, in queste pagine.
Rispetto alle figure non soggettive, il Contratto di rete si differenzia in quanto figura dotata di responsabilità limitata mentre le altre tipologie di contratti plurilaterali (Joint Ventures, Raggruppamenti temporanei di im- prese, Ati) sono fondate su una responsabilità solidale dei partecipanti in ragione del loro inquadramento nell’ambito del mandato collettivo con- giunto.
Rispetto alle figure soggettive e segnatamente ai consorzi, il Contrat- to di rete si differenzia in quanto il primo è caratterizzato dalla propria storia di essere dapprima uno strumento regolatore della concorrenza e poi, con la modifica (nel 1976), figura di cooperazione tra imprese dotata anche di rilevanza esterna e basata sull’esercizio da parte dei partecipanti di “fasi” delle loro imprese, per il quale se da un lato il relativo concetto è andato oltre al mero esercizio di attività accessorie, dall’altro lato si è as- sistito a una restrizione della portata applicativa della regola (considerata in precedenza perché richiamata dalla disciplina legislativa del Contratto di rete) contenuta nel primo comma sulla limitazione della responsabilità al fondo consortile ed un corrispondente ampliamento della regola del se- condo comma sulla responsabilità solidale delle imprese in consorzio. Ri- sulta pertanto riduttivo, se non addirittura fuorviante, assimilare la nuova figura del Contratto di rete al consorzio in quanto essendo caratterizzata da novità non rappresenta certo una forma evoluta dello schema consortile bensì una tipologia di contratto plurilaterale estremamente flessibile per meglio adeguarsi alla realtà fenomenica che intende regolare.
In riguardo alla figura della cooperativa, il Contratto di rete si diffe- renzia principalmente in quanto l’acquisto della soggettività giuridica non
è un requisito caratterizzante la figura, costituendone, invece, una moda- lità eventuale, rimessa alla volontà delle parti. Al contrario, la cooperativa, nella collocazione sistematica che compie il nostro codice civile, è inclu- sa nell’ambito del genere societario, e quindi nella forma di esercizio di un’impresa collettiva dotata di soggettività giuridica autonoma, pur essen- do contraddistinta rispetto alle altre figure dallo scopo mutualistico in luo- go di quello ordinario lucrativo. Inoltre, il Contratto di rete si differenzia dalla cooperativa in quanto modello di aggregazione d’impresa di tipo ge- nerale, mentre per quest’ultima la possibilità di formazione di cooperative tra imprenditori (come, ad esempio, le cooperative agricole o le coopera- tive tra dettaglianti per l’approvvigionamento dal produttore delle mer- ci) rappresenta una tendenza espansiva del fenomeno che, dall’originaria cooperativa di consumo (come la prima storicamente nata in Inghilterra dei “Pionieri di Rochdale”) o dalle diffuse cooperative di lavoratori, oggi si presenta in modalità sempre più variegate fino a ricomprendere anche il gruppo cooperativo come gruppo orizzontale o paritetico di società (sull’evoluzione qui accennata si veda Xxxxxxx, 2004).
Da quanto esposto, è possibile configurare la seguente matrice inter- pretativa del rapporto tra il Contratto di rete e le altre forme contrattuali di rapporti tra imprese, secondo le due variabili del “livello di formalizza- zione” e del “livello di consapevolezza” di fare rete (la matrice costituisce una rielaborazione di quella presentata in precedenza da Tunisini, 2013). Un basso livello di formalizzazione comporta o l’impiego di contratti per transazioni isolate (dal più importante contratto di scambio, la vendita, alla permuta che riprende l’antico baratto, alla somministrazione che si differenzia dalla prima per la presenza di prestazioni continuative o perio- diche), oppure, con alta consapevolezza, rapporti non contrattuali inclusi nella categoria di origine aziendalistica delle alleanze strategiche.
Al contrario, un alto livello di formalizzazione, comporta o l’impiego di contratti bilaterali di sub-fornitura e di distribuzione anche facilitati all’in- terno di contesti territoriali caratterizzati da un accentramento di imprese (distretti industriali, clusters), oppure, con alta consapevolezza dell’impor- tanza di “fare rete”, contratti plurilaterali dalla forma minima delle joint ventures alla forma soggettivata dei consorzi o delle cooperative tra i quali si è aggiunto il Contratto di rete.
Figura 2: Una matrice interpretativa (Xxxxxx T., Contratto di rete)
Un ultimo profilo pare opportuno evidenziare: dal punto di vista azien- dalistico come da quello giuridico i rapporti relazionali sono basati sulla “fiducia” tra i componenti della rete. In ambito giuridico ne deriva che ogni retista sia infatti un “fiduciario” dell’interesse collettivo e gli altri con- traenti siano i beneficiari delle sue obbligazioni fiduciarie. Con il modello “confidenziale relazionale” si spiega anche il profilo patrimoniale: il fondo patrimoniale comune è formato dalla somma di tutti gli accantonamenti dei singoli retisti che hanno compiuto così una “auto-destinazione patri- moniale” (simile alle figure codicistiche del fondo patrimoniale nell’inte- resse della famiglia ex art. 167 e del vincolo di destinazione su beni im- mobili ex art. 2645 ter); l’eventuale organo comune in quanto mancante di titolarità sul fondo è solo un gestore. Sotto il profilo della fiducia in senso giuridico, in definitiva, si affievoliscono le differenze tra “reti-contratto” e “reti-soggetto”.
1.5 Il principio di libertà d’impresa come libertà della forma di aggregazione tra imprese
Nell’ordinamento giuridico italiano l’attività d’impresa è ordinata se- condo un principio generale: il principio di libertà di iniziativa economica. Il principio è affermato in fonti primarie, come la Carta Costituzionale (art. 41: “L’iniziativa economica privata è libera”) e la Carta dei diritti fonda- mentali dell’Unione Europea (cd. Carta di Nizza del 7 dicembre 2000, art. 16: “E’ riconosciuta la libertà d’impresa, conformemente al diritto dell’U- nione e alle legislazioni e prassi nazionali”).
Secondo l’interpretazione tradizionale, il principio è stato inteso nel sen- so di consentire lo svolgimento di attività d’impresa in modalità individua- le o collettiva; in altri termini, il soggetto interessato ha libertà di svolgere la propria attività come impresa individuale o come impresa che coinvolge altri soggetti, utilizzando, in questa seconda ipotesi, una delle forme previ- ste dalla legge. Infatti, risulta pacifico che il non corretto rispetto delle for- malità di legge non comporti una compressione o negazione della libertà in discorso, bensì la conseguenza dell’assunzione della relativa responsabilità di tutti i partecipanti all’attività d’impresa in questione per le obbligazioni derivanti dall’esercizio in comune della medesima attività (con la qualifica- zione interpretativa del fenomeno come “società di fatto”).
Secondo un’interpretazione più aggiornata al fenomeno moderno e at- tuale delle reti d’impresa, il principio può essere declinato, nel senso che qui interessa, come libertà di scelta della forma aggregativa d’impresa, in primo luogo nelle forme aggregative tradizionali sia bilaterali (subfornitu- ra, franchising e altri contratti bilaterali di fornitura o di distribuzione) sia plurilaterali (raggruppamenti di imprese, joint ventures, consorzi e altri contratti multilaterali dotati o meno di soggettività giuridica).
Per queste forme aggregative tradizionali risulta di riferimento la norma contenuta nel codice civile che afferma l’autonomia contrattuale (art. 1322) la quale fonda il nostro sistema civilistico di atipicità contrattuale: i privati possono liberamente vestire le proprie operazioni negoziali anche utiliz- zando contratti non appartenenti ai tipi disciplinati dal legislatore (per le reti contrattuali è emblematica la diffusione del contratto di franchising).
Con riguardo alla forma aggregativa del Contratto di rete, la disciplina contenuta nella legge speciale in precedenza richiamata (art. 3 comma 4 ter
l. 33/2009 e successive modificazioni), ha attuato tale principio generale di libertà di forma contrattuale di reti d’impresa introducendo una figura estremamente flessibile per le modalità organizzative (eventualità dell’or- gano comune), gli aspetti patrimoniali (eventualità del fondo comune) e la soggettività giuridica (eventualità della presenza della stessa rimessa alla libera scelta dei partners-contraenti). Di conseguenza, gli imprenditori possono modulare la rete che intendono formalizzare nell’ambito dell’e-
splicazione della propria libertà d’impresa adottando così una delle due vesti contrattuali che sono state all’uopo individuate a livello interpretati- vo (“reti-contratto” e “reti-soggetto”).
Risulterebbe lesivo pertanto del principio di libertà di iniziativa econo- mica impedire agli operatori l’utilizzo di alcune forme contrattuali di reti d’impresa, siano queste di tipo cd. tradizionale che di tipo cd. evoluto (una rete di operatori in franchising può essere formalizzata, oltre con il contrat- to di franchising o di affiliazione commerciale, anche con il Contratto di rete), dovendo al contrario invece essere esaltata la possibilità di competi- zione tra gli strumenti giuridici.
Allo stesso modo, risulterebbe lesivo del medesimo principio di libertà porre in essere discipline discriminatorie tra le diverse forme contrattuali aggregative d’impresa, impedendo ad esempio alle imprese aggregate in una specifica veste di ottenere vantaggi fruibili invece da concorrenti for- malizzati in modo opportunisticamente ossequioso alle discipline in que- stione.
Per la prospettiva esposta, appare pertanto difficilmente giustificabile la soluzione adottata da discipline contenute in alcuni bandi di finanzia- mento regionale le quali prevedono come soggetti beneficiari le sole “reti- soggetto”. Emblematico in tal senso risulta essere il bando della Regione Liguria in tema di “incentivi alle piccole e medie imprese (PMI) per l’in- ternazionalizzazione dell’offerta turistica ligure (deliberazione Giunta re- gionale n. 486 del 29 aprile 2014 come modificata con deliberazione n. 688 del 6 giugno 2014). L’art. 4 del bando, nell’individuare come “aggregazioni e reti di micro, piccole e medie imprese” che possono presentare doman- da, le “reti d’impresa (con soggettività giuridica), raggruppamenti anche temporanei di consorzi e/o società consortili, anche in forma cooperati- va”, ha ristretto alle sole aggregazioni dotate di soggettività giuridica la possibilità di divenire soggetti beneficiari dei vantaggi oggetto del bando. La indicata restrizione, compiendo una discriminazione con riguardo alle reti formalizzate in una veste senza soggettività giuridica, appare in effetti irrazionale, in quanto l’esclusione delle cd. “reti-contratto”, ovvero di ag- gregazioni dotate di fondo comune e di conseguente limitazione ex lege di responsabilità, non sembra possa sostenersi eventualmente neppure sull’e- sigenza di introdurre un’eccezione al principio di libertà d’impresa basata sulla necessità di garantismo nei confronti dell’ente regionale finanziatore.
1.6 Contratto di rete e finanziamenti europei: complessità procedurali di una figu- ra innovativa
Per valutare il Contratto di rete in una prospettiva di diritto co- munitario e in particolare in riferimento ai finanziamenti europei, occorre rapportare gli aspetti caratteristici della figura legislativa italiana e i relati- vi termini, concetti e categorie derivanti dalla tradizione giuridica interna, con i corrispondenti termini, concetti e categorie contenuti nella discipli- na europea, allo scopo di comprendere le corrette modalità procedurali di accesso agli specifici finanziamenti, come quelli previsti nel programma quadro di ricerca e innovazione Horizon 2020.
Nella premessa dell’inesistenza di una disciplina europea specifica sulle reti di impresa (Business Networks), per compiere l’operazione de- scritta occorre in primo luogo muovere dall’analisi dei termini e categorie concettuali valevoli nel diritto interno.
Appartiene alla tradizione giuridica italiana, costituendone una par- te inclusa nelle nozioni istituzionali di base del diritto privato (si cfr., per tutti, Visintini, 2014), la nozione di “soggetto di diritto” con la relativa distinzione in “persone fisiche” e “persone giuridiche”. Il soggetto di di- ritto è ogni soggetto al quale l’ordinamento giuridico italiano attribuisce la capacità giuridica di essere titolare di situazioni giuridiche soggettive, ovvero di diritti e doveri. E’ soggetto di diritto innanzitutto la persona fi- sica (ovvero ogni essere appartenente alla razza umana nato vivo), per la quale non sono ammesse differenze o limitazioni in spregio al principio di uguaglianza (art. 3 Costituzione). È soggetto di diritto anche l’entità diver- sa dall’uomo, che si concretizza in un complesso organizzato di persone e beni destinati a uno scopo superindividuale, in quanto l’ordinamento riconosce l’utilità di ammettere soggetti che possano realizzare scopi che trascendano le capacità e la vita delle singole persone fisiche. Per giustifi- care la presenza nel mondo giuridico di tali entità diverse dall’uomo, nel corso dell’Ottocento varie teorie interpretative (per lo più di derivazione dottrinale tedesca) si sono succedute, quali la cd. “teoria della finzione” (il diritto finge l’esistenza degli enti), la cd. “teoria antropomorfica” (gli enti, come gli uomini, sono formati da organi che gli permettono di operare), la cd. “teoria della funzione” (gli enti svolgono la funzione propria della specifica disciplina di riferimento), con l’impiego di termini e concetti per lo più valevoli ancora oggi (ad es., quello di “organo” assembleare, ammi- nistrativo, ecc.).
A tutti i soggetti di diritto, persone fisiche e entità diverse dall’uomo, è riconosciuta dall’ordinamento la capacità giuridica di essere soggetti giuri- dici e quindi di avere la conseguente categoria concettuale della “soggetti- vità giuridica”. Esistendo perciò una propria soggettività giuridica dell’en- te diversa dalla soggettività giuridica delle persone coinvolte nell’ente
stesso, è possibile concettualmente individuare l’attività delle persone che agiscono per l’ente come agire “in nome” non proprio ma dell’ente sogget- tivizzato in questione. L’ente agisce nel mondo giuridico tramite i propri rappresentanti secondo lo schema della cd. “rappresentanza organica”; questi hanno il potere ma anche il corrispondente dovere di agire (non solo “in nome”) ma anche “nell’interesse” o “per conto” dell’ente, potendo un atto compiuto in conflitto d’interessi essere invalidato (salva la posizione di alcuni terzi).
Diversa e da non confondere dalla precedente è la categoria concettuale della “personalità giuridica”, la quale può essere assunta soltanto da enti per i quali i soggetti coinvolti (fondatori, promotori, amministratori, ecc.) abbiano la volontà di compiere le formalità previste per ottenere il “ricono- scimento”, allo scopo di ottenere i vantaggi da questo conseguenti, primo fra tutti il beneficio della responsabilità patrimoniale limitata. Per questo aspetto, gli enti si distinguono in “enti riconosciuti” e in “enti non rico- nosciuti” (sottintendendo, come “persone giuridiche”), con la differenza disciplinare che solo ai primi l’ordinamento riconosce una cd. “autonomia patrimoniale perfetta” per la quale delle obbligazioni dell’ente risponde solo il fondo o patrimonio dello stesso. In riguardo anche alla distinzione tra enti non lucrativi (disciplinati nel libro primo del codice civile) e enti lucrativi (disciplinati nel libro quinto) si possono classificare tra gli “enti non riconosciuti” e quindi “senza personalità giuridica”, le associazioni non riconosciute, i comitati e le società di persone; tra gli “enti riconosciu- ti” e quindi “con personalità giuridica", le fondazioni, le associazioni rico- nosciute, le società di capitali. Pertanto, l’imprenditore individuale non ha personalità giuridica (avendo invece ovviamente la soggettività giuridica), salvo non ricorra alla veste specifica della srl unipersonale (che è società di capitali con personalità giuridica); l’imprenditore collettivo può avere per- sonalità giuridica se adotta la veste specifica dell’ente riconosciuto (come la forma di una società di capitali), mentre non avrà personalità giuridica qualora adotti la veste dell’ente non riconosciuto (come la forma di una società di persone) oppure non si sottoponga ad alcuna formalità (realiz- zando nel mondo giuridico una cd. società di fatto).
Tenendo in considerazione quanto richiamato sopra e passando a consi- derare i termini e le categorie concettuali utilizzate nella disciplina comu- nitaria, sempre avendo il fuoco sul programma di finanziamenti Horizon 2020, vengono in rilievo alcune fonti regolamentari (Regolamento UE n. 1290/2013 art. 2.2, il Regolamento UE n. 966/2012 art. 131.2, il Regola- mento UE n. 1268/2012 art. 198) e operativamente la Guida sulle modalità procedurali di registrazione (Guide on beneficiary registration, validation and financial viability check, versione 1.0 dell’11 aprile 2014) dalle quali ricavare alcune keywords, quali “organisation”, “legal entity”, “legal personality”. Più in particolare, la Guida, nella parte dedicata alla procedura di re-
gistrazione dei beneficiari (al punto III.4.2.2, Validation criteria e paragrafo
2.1 Legal entity) afferma come principio generale che solo le “legal entities” sono legittimate ai finanziamenti (“As a general principle only legal enti- ties are eligible for Horizon 2020 grants”) e definisce come segue:
“ ‘Legal entity’ means any natural or legal person created and recognised as such under national law or international law, that has legal personality and that may, acting in its own name, exercise rights and be subject to obligations.
If your organisation does not have legal personality, you may nevertheless be eligible to apply for a Horizon 2020 grant (as ‘entity without legal personality’), if you can prove that your organisation:
- has representatives who have the capacity to undertake legal obligations on its behalf and;
- can offer guarantees for protecting the EU’s financial interests equivalent to those offered by legal persons (i.e. it has the same financial and operational capacity than that of a legal person with legal personality).
In più, nel paragrafo 3.2 intitolato “List of documents” nel punto dedi- cato alle “Entities without legal personality” si prevedono i seguenti docu- menti da presentare:
- copy of an official document attesting that the representatives representa- tives of your organisation have the capacity to undertake legal obligations on its behalf;
- copy of an official document attesting that your organisation has the same operational and financial viability as that of a legal entity, i.e:
- a document showing patrimony/asset/capital that is separated and different from those of the members/owners of your organisation and
- a copy of the rules providing that creditors can rely on this patrimony/asset/ capital and — in case of liquidation / insolvency — are reimbursed before the patrimony /asset /capital is divided between the owners/members).
In base alla disciplina riportata è “legal entity”, oltre alla persona fisica (“natural person”), ogni “legal person” che ha “legal personality” e che può, agendo nel suo proprio nome (“acting in its own name”), esercitare diritti e essere sottoposta a obbligazioni. Ancora, pur non avendo la “legal personality”, può nondimeno essere legittimata alla procedura di Horizon 2020, come “entity without legal personality”, la “organisation” che possa provare di avere i propri “representatives” con la capacità di assumere ob- bligazioni “on its behalf” e di offrire garanzie bancarie equivalenti a quelle delle “legal person” (“with legal personality”).
Nel compiere il rapporto con il diritto interno, nel contesto dell’obiet- tivo della presente indagine, appare corretto rapportare “legal entity” a
“soggetto di diritto”, “legal personality” a “soggettività giuridica”, “orga- nisation” come “entity without legal personality” a una organizzazione che non sia un soggetto di diritto autonomo rispetto ai soggetti coinvolti (gli imprenditori che hanno originato l’organizzazione), “in name (of)” a “in nome di” e “on behalf (of)” a “nell’interesse di” oppure nell’equivalen- te “per conto di”; sempre nella medesima prospettiva, non appare invece che vengano in rilievo i concetti di “persona giuridica” e “personalità giu- ridica” nel senso proprio del diritto interno sopra descritto.
Nel giungere alla valutazione che importa nel presente paragrafo del- le modalità di partecipazione delle due tipologie di Contratto di rete alle procedure di finanziamento europeo, risulta agevole inquadrare la “rete soggetto” nell’ambito della categoria di beneficiari “legal entity” in quanto dotate di “legal personality” nel senso sopra individuato (ovvero, secon- do il diritto interno, della “soggettività giuridica” e non della “personalità giuridica”); risulta invece meno lineare ma in ogni caso possibile inquadra- re le “reti-contratto” nelle “organisation” come “entity without legal per- sonality” (ovvero, sempre secondo il diritto interno, organizzazioni “senza soggettività giuridica”), essendo caratterizzate dalla presenza di soggetti che hanno la capacità di assumere obbligazioni (“on behalf of”) “nell’inte- resse di”, oppure “per conto della” rete contratto (in quanto “organisation” in questione).
Per motivare maggiormente i rapporti terminologici e concettuali com- piuti si può aggiungere che le “reti-soggetto”, essendo dotate di “soggetti- vità giuridica”, hanno la capacità, mediante l’operare dell’organo comune improntato in queste a uno schema di rappresentanza organica, di agire “in proprio nome”, esercitando diritti e assumendo obbligazioni che sono nella titolarità del “soggetto di diritto” autonomo denominato “rete sog- getto”; diversamente, le “reti-contratto”, non essendo dotate di “soggetti- vità giuridica”, sono, nel rispetto della disciplina comunitaria, equiparabili alle prime sotto il profilo dell’accesso alle procedure europee, in quanto organizzazioni che agiscono mediante un organo comune improntato in queste o ad uno schema di rappresentanza volontaria (anche inquadrabile come mandato con rapprentanza) e quindi “in nome dei” singoli partners- contraenti, oppure a uno schema di imputazione allo stesso soggetto (or- gano comune) che ha agito (in un modello concettuale anche inquadrabile come mandatario senza rappresentanza) “nell’interesse dei” oppure “per conto dei” singoli partners-contraenti.
Pertanto, pare convincente argomentare l’ammissibilità delle “reti-con- tratto” alle procedure dei bandi europei del programma Horizon 2020, pro- prio sulla base degli elementi caratterizzanti e peculiari della figura legi- slativa. Questa tipologia di Contratto di rete infatti ha tra i propri elementi distintivi la mancanza della soggettività giuridica (e della personalità giu- ridica) e la presenza necessaria dell’organo comune che agisce, secondo le
categorie interne, “nell’interesse di” o “per conto della” rete nel suo com- plesso, in quanto attua l’interesse comune e dei singoli partners-contraenti nel senso della “conformità al” o “in attuazione del” programma di rete (e, quindi, nel senso della disciplina europea, “on behalf of” della “organi- sation” in questione “rete-contratto”). Dalla conformità dell’agire dell’or- gano comune al programma di rete consegue, come afferma la disciplina legislativa interna, la responsabilità patrimoniale del fondo comune per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete; questo aspetto corrisponde altresì al secondo requisito indicato dalle fonti comunitarie della equivalenza della garanzia del fondo patrimoniale comune con i fondi di enti dotati di soggettività giuridica (come il fondo patrimoniale della “rete-soggetto”).
In definitiva, il Contratto di rete per le sue peculiarità di contratto-pluri- laterale-programmatico-a responsabilità patrimoniale limitata come espo- sto in queste pagine, risulta del tutto idoneo a supportare le PMI nei loro processi di riposizionamento nei mercati interni e internazionali, nonché all’accesso ai finanziamenti europei e regionali in entrambe le sue struttu- razioni di “rete-contratto” e “rete-soggetto”.
2.1 Profili fiscali. Premessa
L’attuale disciplina del contratto di rete è il risultato di diversi passag- gi legislativi compiuti nell’arco di pochi anni che hanno, nelle soluzioni normative di volta in volta adottate, progressivamente mutato la stessa struttura dell’istituto, costringendo la dottrina a ripensare continuamente le soluzioni teoriche elaborate.
Le ragioni di un simile divenire normativo sembrano doversi ricercare nelle indubbie difficoltà a collocare entro un modello legislativo le, natu- ralmente atipiche, forme di collaborazione tra imprese e nella necessità di apportare adattamenti per offrire uno strumento più idoneo alle esigenze della realtà imprenditoriale italiana.
Le incertezze attinenti al quadro giuridico ed alle relative elaborazioni dottrinali hanno notevolmente rallentato la riflessione di diritto tributario, che appare invece necessaria perché non è stato contestualmente previsto un regime fiscale ad hoc.
L’unica disposizione tributaria è costituita dalla agevolazione fisca- le, di carattere temporaneo, introdotta dall’art. 42, comma 2-quater, d.l. n. 78/2010, che tuttavia non risulta particolarmente utile per ricostruire, in termini sistematici, la tassazione del contratto e dei rapporti di rete.
Alle poche voci della dottrina che si sono occupate del tema, si è ag- giunta l’Agenzia delle Entrate, in particolare con una circolare2 che, oltre a
2 Direzione centrale normativa, Circ. n. 20/E del 18 giugno 2013. In precedenza, ma con riferi-
costituire un importante contributo alla discussione, testimonia l’urgenza di definire la fiscalità “ordinaria” del contratto di rete, soprattutto perché i dati empirici ne evidenziano la grande diffusione.
Come si avrà modo di mettere in luce, l’attuale configurazione delle reti di impresa porta ad individuare diversi modelli legislativi e contrattuali, tra loro notevolmente differenti, che aprono importanti questioni dal pun- to di vista tributario.
Oltre al tema della soggettività della rete e delle conseguenze fiscali del- la manifestazione di volontà delle parti, occorre valutare quale sia la rile- vanza, in assenza di soggettività, delle forme di articolazione patrimoniale realizzate dal contratto di rete e quali gli effetti fiscali degli atti (e della at- tività) di esecuzione del programma, compiuti nell’ambito di un contratto plurilaterale con comunione di scopo, di per sé idoneo ad esprimere una unitarietà di interessi e finalità.
2.2. La fiscalità della “rete-soggetto”
La conclusione di un contratto di rete dotato di organo e fondo comuni, iscritto nella sezione ordinaria del registro delle imprese, determina l’ac- quisto della “soggettività giuridica” da parte della rete e quindi la nascita di un nuovo soggetto di diritto.
Al di là della problematica civilistica di individuare lo “statuto giuridi- co” di tale ente in assenza di una compiuta disciplina (e della possibilità di applicare analogicamente le disposizioni del codice civile in materia di so- cietà ed enti) non sembra potersi dubitare che, acquistata la soggettività di “diritto comune”, la rete acquisti anche quella tributaria, potendo quindi esprimere una propria capacità contributiva ai fini delle diverse imposte.
Se si ritiene che la titolarità giuridica delle situazioni soggettive, por- tato della soggettività di carattere generale, costituisca il presupposto per l’imputazione degli indici di capacità contributiva, ne deriva la necessità di imputare e tassare autonomamente la forza economica espressa dalla rete. La soggettivazione della rete non risulta però particolarmente proble- matica dal punto di vista fiscale, perché il regime tributario dei cosiddetti “enti intermedi” appare in grado, perché consolidato nella tradizione giu- ridica nazionale, di rappresentare un modello completo anche per nuove
figure soggettive.
Per un verso, è necessario valutare la rete-soggetto considerando l’og- getto principale che la stessa è destinata a realizzare.
Nelle imposte sui redditi, posta la soggettività della rete ai fini Ires, da tale qualificazione conseguirà l’applicazione di differenti regole di deter-
mento ad un differente quadro legislativo, l’Agenzia delle Entrate aveva dato indicazioni circa la fiscalità del contratto di rete, nella Circ. n. 4/E del 15/2/2011 e nella Ris. n. 70/E del 30/6/2011.
minazione della base imponibile, come sono quelle riservate, rispettiva- mente, agli enti commerciali (81 ss. Tuir) ed agli enti non commerciali (143 ss. Tuir).
Nell’Iva, l’oggetto commerciale o agricolo sarà in grado di attribuire lo status imprenditoriale alla rete e, dunque, l’applicazione generalizzata del- la disciplina dell’imposta alle operazioni attive e passive (art. 4, comma 2, n. 2, Dpr 633/72).
Per determinare l’oggetto dell’ente, le disposizioni legislative vigenti fanno riferimento, come è noto, alla struttura negoziale tipica delle società e degli altri enti regolati dal codice civile (art. 73, commi 4 e 5, Tuir).
Il testo normativo deve però essere interpretato in modo estensivo, come già proposto in relazione ad altre figure soggettive, facendo riferimento al contratto di rete (con i requisiti di forma indicati), in quanto negozio giu- ridico avente una portata costitutiva e di regolamentazione dell’agire del soggetto, alla stessa stregua di uno statuto e di un atto costitutivo.
Qualche riflessione si impone relativamente alla possibilità che il con- tratto di rete sia utilizzato per esercitare una attività di impresa ulteriore rispetto a quella degli imprenditori partecipanti e che, quindi, possa defi- nirsi come attività della rete-soggetto.
Si è visto come il contratto di rete possa avere diversi contenuti e ben difficilmente la rete costituita per “collaborare in forme e in ambiti prede- terminati” oppure per “scambiarsi informazioni o prestazioni” potrà con- figurare un esercizio di impresa.
Si potrà quindi affermare la commercialità della rete-soggetto solo quan- do si individui, in base al contratto di rete, una autonoma attività svolta in modo abituale nei confronti di soggetti terzi, programmata e disciplinata a livello contrattuale, con un fondo patrimoniale ed un organo comune ad essa dedicati.
Solo in questo modo può dirsi che gli imprenditori aderenti alla rete esercitino in comune, ed “indirettamente” attraverso la partecipazione al nuovo soggetto giuridico, una attività economica che, però, ai sensi dell’art. 3, comma 4-ter, d.l. 5/2009, deve rientrare nell’oggetto delle ri- spettive imprese.
Per altro verso, sembra necessario valutare i rapporti tra gli imprendito- ri e la rete-soggetto in termini di “partecipazione”.
Il contratto di rete che dà vita ad un nuovo soggetto giuridico deve pre- vedere i “conferimenti iniziali”, oltre che “eventuali contributi successivi”, che “ciascun partecipante si obbliga a versare al fondo”, in modo tale che simili apporti si configurino quali trasferimenti di beni e diritti dal parteci- pante alla rete, in grado di “oggettivare” la partecipazione dell’imprendi- tore relativa ad una posizione negoziale.
Qualora il contratto configuri la partecipazione del singolo come tito- larità di un “cespite patrimoniale valutabile in denaro”, così come accade
per le partecipazioni societarie, vi sarà una assimilazione, ai fini fiscali, ai conferimenti ed apporti in società.
Ne deriva l’equiparazione alla cessione a titolo oneroso nelle imposte sui redditi, ex art. 9, ultimo comma, Tuir e la normale assoggettabilità ad Iva.
Eventuali remunerazioni iniziali o finali spettanti ai singoli imprendito- ri dovranno considerarsi come “redditi di partecipazione”, in quanto deri- vanti dalla “partecipazione al capitale o al patrimonio” di un ente soggetto Ires (art. 44, primo comma, lett. e, Tuir), con la necessità di distinguere, nel- le specifiche attribuzioni ed in applicazione dei principi generali, la mera restituzione di apporti dalla erogazione di redditi quale “ricchezza novel- la” generata dalla partecipazione medesima.
Ai fini del tributo di registro, il contratto di rete che dà vita ad un nuovo soggetto giuridico è riconducibile alla previsione dell’art. 4, Tariffa allegata al Dpr 131/1986, in tema di atti di società ed enti commerciali, che prevede l’imposizione fissa per i conferimenti, salvo che in caso di conferimento di proprietà o diritto reale su beni immobili.
E’ però da notare che il conferimento di beni di impresa, se assoggettato ad Iva, determinerà comunque l’imposizione fissa di registro per il princi- pio di alternatività tra le due imposte.
Se la rete soggetto non ha “per oggetto esclusivo o principale l’eserci- zio di attività commerciali o agricole”, la disposizione citata non risulta applicabile e, secondo la prassi amministrativa, si dovrebbe riservare al contratto di rete l’imposizione del 3% ai sensi dell’art. 9, Tariffa allegata al Dpr 131/1986, destinata agli atti aventi per oggetto “prestazioni a conte- nuto patrimoniale”.
2.3. La fiscalità della “rete-contratto”. La costituzione della rete ed il regime tribu- tario del fondo patrimoniale comune
Per individuare i profili tributari della rete-contratto, occorre in primo luogo valutare la scelta negoziale della istituzione del fondo patrimoniale comune, perché è solo partendo dalla qualificazione della natura del fondo che è possibile definire se ed in quali termini le vicende giuridiche riguar- danti i beni ed i diritti assumano rilevanza fiscale.
Alla luce della elaborazione dottrinale degli ultimi anni, si delineano due alternative ricostruzioni della natura giuridica del fondo comune: la prima, che vede in esso una comunione di beni e diritti costituita tra i par- tecipanti; la seconda, che lo qualifica in termini di patrimonio autonomo.
Nella prima prospettiva teorica, i conferimenti al fondo comune, a cui ciascun partecipante si obbliga in sede di contratto di rete, implicherebbe- ro delle “cessioni” di quote ideali della proprietà dei beni medesimi o, in genere, dei diritti e delle situazioni giuridiche oggetto del conferimento.
La soluzione interpretativa si accompagna(va), in base alla disciplina previgente alle modifiche del 2012, alla affermazione della responsabili- tà personale degli imprenditori partecipanti per le obbligazioni assunte in esecuzione del contratto di rete.
Responsabilità personale che sembrava coerente perché le norme, da una parte, non lasciavano spazio al riconoscimento della soggettività giu- ridica della rete e, dall’altra, imponevano un giudizio di compatibilità nell’applicare la regola di cui all’art. 2615, primo comma, c.c.
Come si è detto in precedenza, le innovazioni alla disciplina recate nel 2012 debbono però spingere a ricercare nuovi percorsi di qualificazione giuridica per il fondo patrimoniale comune, visto che, anche in caso di rete- contratto, si prevede espressamente l’autonomia patrimoniale del fondo e la limitazione di responsabilità per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete.
Ed occorre riflettere sul fatto che, secondo i principi generali, forme di limitazione di responsabilità e di connessa articolazione patrimoniale pos- sono essere giustificate, in assenza di soggettività giuridica, solo ritenendo realizzata una fattispecie di patrimonio autonomo o separato.
In questa prospettiva, il contratto di rete sarebbe qualificabile quale “ne- gozio di destinazione”, in grado di realizzare la costituzione di tanti vincoli di destinazione quanti sono i patrimoni degli imprenditori partecipanti, relativamente ai beni ed ai diritti conferiti.
In quanto patrimonio autonomo, il fondo patrimoniale comune sarebbe una variante quantitativa del patrimonio separato, ovvero un patrimonio la cui separazione opera, non nei confronti di un unico soggetto, ma di più soggetti, con la realizzazione di una separazione plurilaterale.
Se questa soluzione teorica risulta quella maggiormente convincente nell’attuale contesto normativo, il carattere fondamentale, dal punto di vista tributario, è rappresentato dall’assenza di fattispecie traslative e, co- munque, “realizzative” in senso fiscale.
Nelle imposte sui redditi e nell’Iva, l’apporto di beni e servizi non rea- lizzerà una perdita della titolarità giuridica da parte dell’imprenditore, con inconfigurabilità della fattispecie di destinazione a finalità estranee, anche perché il solo vincolo di destinazione realizzato sul patrimonio separato risulta inerente e strumentale rispetto alla singola attività imprenditoriale, come peraltro richiesto dalla disciplina.
Speculari osservazioni devono svolgersi con riferimento al momento in cui il vincolo sarà sciolto, per conclusione del contratto di rete o della ade- sione del singolo partecipante.
L’assenza di un fenomeno traslativo in vicende onerose, tra patrimoni appartenenti a soggetti diversi, impedisce poi che si integri il presupposto impositivo per l’applicazione dell’imposta proporzionale di registro e (in caso di beni immobili) di quelle ipotecaria e catastale.
Alla tassazione fissa nelle imposte da ultimo citate, collegate al solo atto registrato ed alle relative formalità, “non avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”, non potrebbe poi neppure accompagnarsi la rilevanza fiscale della vicenda nell’imposta sulle successioni e donazioni.
Nonostante la disciplina normativa preveda espressamente la tassazio- ne della “costituzione di vincoli di destinazione” (art. 2, comma 47, d.l. n. 262/2006), è da osservare che l’elaborazione teorica, confermata dalla indi- cazioni del “diritto vivente”, è nel senso di ritenere tassabili solo le fattispe- cie in cui la costituzione del vincolo sia collegata ad un effetto traslativo.
Anche l’Agenzia delle Entrate ha affermato la tassazione in misura fissa del contratto di rete nel tributo di registro e l’irrilevanza ai fini della impo- sta sulle successioni e donazioni, sul presupposto che le imprese parteci- panti “con i conferimenti al fondo patrimoniale comune destinano parte del proprio patrimonio alla realizzazione del programma comune senza, tuttavia, che si verifichi alcun effetto traslativo”.
E’ importante osservare la notevole differenza a livello fiscale qualora il fondo comune non fosse considerato quale patrimonio autonomo, bensì come comunione di diritti costituita per il tramite di vicende traslative.
La natura realizzativa in senso fiscale, collegata all’effetto traslativo, potrebbe comportare l’integrazione del presupposto impositivo nell’ Iva e nelle imposte sui redditi, in capo agli imprenditori apportanti.
Un primo approccio potrebbe essere quello di considerare tali trasferi- menti come “destinazioni a finalità estranee” dei beni di impresa.
Secondo un diverso approccio, probabilmente più corretto, si potreb- bero ritenere realizzate operazioni permutative tra i partecipanti alla rete, dato che la cessione delle “quote ideali” dei beni e dei diritti non avviene a titolo gratuito, bensì a fronte della contestuale cessione da parte degli altri. Tale cessione potrebbe poi determinare (ovviamente considerando an- che il principio di alternatività con l’Iva, trattandosi di beni di impresa) l’applicazione in misura proporzionale del tributo di registro, sia nella fase di costituzione del fondo sia in quella del suo scioglimento, oltre che delle
imposte ipotecaria e catastale.
E’ evidente come la ricostruzione del fondo in termini di “comunione di diritti” possa rivelarsi penalizzante dal punto di vista fiscale, forse an- che scoraggiando la costituzione di fondi comuni nei contratti di rete e, in definitiva, la realizzazione di reti adeguatamente strutturate ed in grado di raggiungere gli obiettivi posti.
Nonostante le indicazioni provenienti dall’Amministrazione finanzia- ria, non può però negarsi che il dibattito civilistico sia ancora in piena evo- luzione e, mancando del tutto l’apporto giurisprudenziale, sarà importan- te seguire gli approdi a cui giungerà.
Un’ultima considerazione deve essere svolta in relazione ai connotati fiscali del fondo patrimoniale comune.
L’assenza di una vicenda propriamente traslativa, che deriva dalla im- postazione teorica in questa sede accolta, si collega alla non alterazione dei meccanismi di imputazione soggettiva dei beni del fondo.
Nel senso che il bene, pur se con un vincolo di destinazione, sarà ancora soggettivamente riferibile al singolo imprenditore partecipante alla rete.
Salvo diverse previsioni negoziali, eventuali cessioni dei singoli beni (compiute dall’imprenditore oppure dall’organo comune ma su mandato individuale di quest’ultimo) saranno in grado di generare fattispecie impo- sitive nelle diverse imposte in capo al singolo, in relazione alla sua specifi- ca attività di impresa.
Analogamente dovrà dirsi per quanto attiene i redditi derivanti dai beni sui cui grava il vincolo di destinazione, che saranno imputabili individual- mente agli imprenditori proprietari.
Sembra a questo fine necessario distinguere tra fattispecie impositive attinenti alla titolarità dei singoli beni costituenti il fondo e fattispecie im- positive derivanti da atti o attività di esecuzione del programma di rete, posti in essere utilizzando il fondo patrimoniale comune (si pensi alla ese- cuzione verso terzi di prestazioni di servizi di rete, dietro corrispettivo, re- alizzati tramite il fondo patrimoniale comune, in grado di produrre redditi ed operazioni Iva).
L’imputazione di questa seconda tipologia di fattispecie non potrà che avvenire pro quota in capo ai singoli imprenditori partecipanti, secondo le indicazioni contenute nel contratto di rete.
Ciò potrà anche generare situazioni di comproprietà di beni e diritti (si pensi all’acquisto di un bene, effettuato dall’organo comune in esecuzione del programma di rete) che come tali devono essere considerate fiscalmen- te.
In relazione a questi aspetti, è inoltre necessario valutare le forme giu- ridiche e le modalità gestionali attraverso cui la rete opera nei confronti dei terzi e, quindi, la disciplina degli atti e delle attività di rete, su cui ci concentreremo in seguito.
2.4 Fondo patrimoniale comune e separazione patrimoniale: riflessioni intorno al problema della soggettività tributaria della rete-contratto e de iure condendo
La ricostruzione del fondo comune quale ipotesi di separazione patri- moniale, se conduce ad interrogarsi sulle modalità giuridiche con cui tale articolazione è realizzata, per i connessi riflessi fiscali, non crediamo invece possa portare con certezza ad affermare una autonoma soggettività tribu- taria, come si potrebbe ritenere valorizzando l’elemento della destinazione patrimoniale in base ad elaborazioni dottrinali avanzate in tempi recenti.
La eventuale negazione della soggettività tributaria non deriva, a no- stro avviso, tanto dalla chiara alternativa posta dalla disciplina legislativa,
che prevede l’acquisto della soggettività giuridica basandosi sulla manife- stazione della volontà delle parti, ma più problematicamente dallo stesso esame dei caratteri propri della separazione patrimoniale.
Per un verso, perché, pur con le incertezze teoriche ancora sussistenti, l’impostazione teorica che ha portato a definire i concetti di “destinazione patrimoniale” e di “vincolo di destinazione” si basa su una idea di patri- monio non più fondato sull’elemento aggregante del soggetto, ma qualifi- cato essenzialmente dal criterio della funzione e della destinazione impres- sa ai beni.
Il rifiuto della necessaria coincidenza tra forme di articolazione patri- moniale e soggettività giuridica segna peraltro l’evoluzione del sistema giuridico italiano, in cui si riscontra il “netto abbandono della tendenza alla personificazione dei patrimoni destinati”.
In tale prospettiva, non può non evidenziarsi come i patrimoni separati, se si distaccano dal patrimonio generale del soggetto per effetto del vincolo di destinazione, sono tuttavia pur sempre appartenenti ad un soggetto e, quindi, secondo il paradigma dell’art. 73, secondo comma, Tuir, ad “altri” soggetti passivi, il che escluderebbe una autonoma soggettività di diritto tributario.
Per altro verso, è importante valutare i tratti comuni e le differenze esi- stenti tra il fenomeno di separazione patrimoniale del contratto di rete e le ipotesi di segregazione in senso stretto, in particolare di quella che ha por- tato in tempi recenti il legislatore fiscale ad individuare nel trust una nuova figura di soggetto passivo Ires.
La segregazione patrimoniale tipica del trust determina normalmente la perdita della appartenenza giuridica da parte del soggetto che la effettua e, in ogni caso, la “incomunicabilità bidirezionale” tra il patrimonio segrega- to e il soggetto che ne è titolare.
Quando, come nel caso del trust, il vincolo di destinazione prodotto dalla segregazione si presenta come di carattere reale, in modo tale che il patrimonio segregato non possa ritenersi validamente riferibile a nes- sun altro soggetto, secondo i parametri costituzionali, si può giustificare la soggettivazione tributaria dello stesso e, quindi, l’autonoma imputazione e tassazione della ricchezza prodotta nelle singole fattispecie impositive.
Simili tratti in maniera più problematica si ripetono invece nella fatti- specie di separazione patrimoniale del contratto di rete, non potendo im- mediatamente giustificare né la costruzione di una autonoma soggettività tributaria né la teorizzazione di forme di imposizione “senza soggetto”.
Il vincolo di destinazione che crea la separazione patrimoniale dovrebbe invece aprire una riflessione sulla esigenza di dare alla stessa una adeguata valorizzazione fiscale, sul piano del diritto positivo.
E’ questo un tema che eccede gli scopi del presente lavoro, essendo suf- ficiente notare come la separazione patrimoniale conseguente al “conferi-
mento” nel fondo comune sia in grado di determinare uno “statuto spe- ciale” di diritto civile per i beni ed i diritti facenti parte del patrimonio autonomo.
Inoltre, la predisposizione programmatica e la funzionalizzazione dei beni allo scopo, fanno sì che il fondo comune si presenti come un “autono- mo centro di imputazione di interessi”, pur se privo di soggettività, soprat- tutto quando oggetto del contratto di rete sia lo svolgimento di una attività economica ulteriore e diversa da quella delle singole imprese.
Queste caratteristiche potrebbero allora condurre ad immaginare, de iure condendo, sia agevolazioni di tipo strutturale basate sulla meritevolezza so- cio-economica della destinazione, sia regimi fiscali ad hoc, non necessaria- mente agevolativi, come potrebbe essere una autonoma disciplina (formale e sostanziale) Iva delle operazioni attive e passive compiute in esecuzione del programma di rete o, anche, la previsione di una tassazione unitaria e proporzionale dei redditi di impresa prodotti nell’ambito della rete.
2.5 La tassazione degli atti di esecuzione del programma di rete
La non configurabilità di un autonomo soggetto giuridico richiede di valutare gli atti di esecuzione del programma di rete e, in genere, i rapporti giuridici scaturenti dalla conclusione di un contratto di rete senza potersi avvalere dello schema della rappresentanza organica e della riferibilità ad un unitario (ed autonomo) centro di imputazione soggettivo.
In termini generali, è possibile affermare che le dinamiche giuridiche “di rete” sono costituite da rapporti facenti capo direttamente ai partecipanti al contratto; rapporti che assumono indubbiamente un connotato comune (nella gestione, nel coordinamento e nello scopo finale) ma che rimangono imputabili ai singoli imprenditori e, ulteriormente, alle singole attività di impresa esercitate da questi ultimi.
Simile considerazione deve però essere specificata considerando le con- crete scelte negoziali relative alla rappresentanza della rete ed al compi- mento degli atti di esecuzione.
L’art. 3, comma 4-ter, lett. e), d.l. 5/2009, prevede che il contratto defi- nisca i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti, derivandone una certa ampiezza per l’autonomia negoziale nella disciplina delle modalità di esecuzione del contratto.
L’organo comune può essere o meno istituito, così come allo stesso può essere affidata l’esecuzione anche solo di una parte del contratto, oppure è possibile regolare il mandato con o senza rappresentanza.
Le prime esperienze delle reti confermano che il modello più diffuso è quello della individuazione dell’organo comune, con potere generale di mandato con rappresentanza.
Nella logica del mandato con rappresentanza, gli atti compiuti dall’or-
gano comune potranno far nascere situazioni giuridiche attive e passive dal punto di vista fiscale (di natura sostanziale come formale) che saranno imputate ai singoli partecipanti, tendenzialmente in rapporto alla loro par- tecipazione al contratto.
Non solo, ma la imputazione agli imprenditori partecipanti degli atti compiuti dall’organo comune implica la riferibilità degli stessi alle singo- le attività di impresa esercitate e, quindi, l’applicazione del regime fiscale d’impresa, nelle diverse imposte.
Salva la possibilità di configurare una attività di rete “comune” ed ulte- riore a quelle dei partecipanti, la realizzazione del programma di rete deve essere considerata come esplicazione unitaria e/o coordinata di segmenti delle singole attività imprenditoriali.
Le operazioni di acquisto della proprietà o della disponibilità di beni oppure di servizi, potranno allora determinare la deducibilità dei costi dal reddito di impresa dei singoli imprenditori, così come la detraibilità dell’I- va assolta.
Lo strumento del mandato con rappresentanza rende possibile la diretta imputazione, anche fiscale, delle operazioni compiute ai singoli parteci- panti ed il giudizio di inerenza, necessario tanto per la deducibilità dei costi quanto per la detrazione dell’Iva, non può che dare esiti positivi vista la stretta relazione tra progetto di rete ed attività delle imprese.
Per quanto attiene, poi, la quota individuale di detrazione e di dedu- zione relativamente al costo sostenuto, per determinare la stessa occorre- rà fare riferimento alle indicazioni del contratto di rete, nella parte in cui specifica i diritti ed i doveri dei singoli partecipanti e, verosimilmente, sarà proporzionale agli apporti effettuati (anche se non è escluso che il contratto di rete possa prevedere una alterazione della regola di proporzionalità).
Lo stesso schema si ripete in relazione alle operazioni attive (es. presta- zioni di servizi prodotte “in rete”), nel senso che queste saranno in grado di determinare la realizzazione di componenti positivi di reddito (ricavi o plusvalenze) quota parte imputabili ai singoli partecipanti; così come l’ob- bligazione Iva sorgerà individualmente, nel momento in cui si è procedu- to all’emissione di diverse fatture relative all’unica cessione o prestazione comune.
Proprio perché le scelte di gestione contenute nel contratto di rete pos- sono essere diverse, oltre alla opzione per il mandato generale con rappre- sentanza, le parti possono prevedere di non affidare all’organo comune parte della esecuzione del contratto oppure che il mandato sia senza rap- presentanza.
Nel primo caso, il contratto di rete individuerà separati ambiti di attività da svolgersi autonomamente da ognuno dei partecipanti alla rete, ma co- ordinati unitariamente dall’organo comune, con un successivo, eventuale, atto di “messa in comune” dei risultati, tramite apporto al fondo.
In questo senso, si possono configurare acquisti (e cessioni) di beni e servizi da parte del singolo partecipante (che potrebbe anche farsi rappre- sentare individualmente dall’organo comune) con una autonoma e sepa- rata rilevanza fiscale, in termini di deduzione dei costi, detrazione Iva ed assoggettamento ad imposta.
Anche la scelta per l’attribuzione all’organo comune o, più probabil- mente, ad una delle imprese (c.d. capo-rete) di un mandato senza rappre- sentanza sembra poter derivare da esigenze di snellezza operativa, visto che, nei confronti dei terzi, il mandatario agisce in proprio ed il rapporto con i singoli imprenditori attiene ad un momento successivo ed interno.
La disciplina Iva del mandato senza rappresentanza conferma, almeno in parte, questo schema giuridico, perché è previsto (art. 3, comma 3, Dpr 633/72) che “le prestazioni di servizi rese o ricevute dai mandatari senza rappresentanza sono considerate prestazioni di servizi anche nei rapporti tra il mandante ed il mandatario”; analogamente è previsto in generale per i “contratti di commissione”, in relazione ai diversi passaggi dei beni (art. 2, comma 2, n. 3, Dpr 633/72).
Considerando altresì le regole di determinazione dell’imponibile, è pos- sibile affermare che l’imposta viene corrisposta sull’ammontare del com- penso, pur se con un aumento del volume di affari.
Nelle imposte sui redditi, il mandato senza rappresentanza ha genera- to un importante dibattito circa l’imputazione del presupposto impositivo derivante dagli atti di esecuzione posti in essere dal mandatario.
A fronte della tesi tradizionale secondo cui i redditi dovrebbero essere imputati in capo a chi ha la titolarità giuridica della fonte (e, quindi, il man- datario), parte della dottrina ha sostenuto la diretta imputabilità dei redditi in capo al mandante.
Tale ultima posizione è stata affermata in particolare interpretando il concetto di “possesso di reddito” in base alla disponibilità giuridica del medesimo che, prodotto dal mandatario, sarebbe invece disponibile e, al- lora imputabile, in capo al mandante.
Più che l’adozione di argomentazioni, di per sé poco pregnanti, di pre- valenza della sostanza sulla forma, questa teorizzazione sembra potersi fondare sul vincolo di natura “reale” che civilisticamente graverebbe in relazione ai beni mobili acquistati dal mandatario, assoggettabili ad una azione di rivendica da parte del mandante (art. 1706, 1 comma, c.c.).
Tanto che in dottrina si ritiene che, per il mandante, si verifichi l’acqui- sto immediato della proprietà sulle cose mobili non registrate e che la suc- cessiva consegna dei beni non sia oggetto di un contratto di trasferimento a sé stante, ma esecuzione di una obbligazione connaturata al mandato.
Tale impostazione teorica ha condotto negli ultimi anni l’Amministra- zione finanziaria a riferire al mandante le conseguenze fiscali nelle impo- ste sui redditi degli acquisti di beni mobili da parte del mandatario senza
rappresentanza affermando che “gli effetti economici e reddituali delle operazioni di acquisto di beni e servizi, poste in essere dal mandatario si producono solo in capo al mandante, proprio perché il ruolo del primo si limita in realtà alla mera intermediazione nell’attività del secondo”.
Se quindi in questo modo si realizza una ipotesi di divaricazione tra momento della produzione e momento della imputazione della fattispecie impositiva, al tempo stesso si deve considerare che la conclusione non può essere generalizzata a tutti gli atti compiuti dal mandatario.
In particolare, non a quelli che determinano l’acquisto di beni immobili o mobili registrati, visto che il diritto del mandante a richiedere l’esecu- zione in forma specifica ex art. 2932, comma 2, c.c. sembra doversi leggere come necessità di un ulteriore negozio traslativo dal mandatario al man- dante, tale da giustificare allora anche l’imputazione in capo al primo dei redditi prodotti (art. 1706, 2 comma, c.c.).
2.6 La (problematica) configurabilità di una “attività economica comune” della rete-contratto
Nel modello della rete-contratto, l’esecuzione del programma passa at- traverso l’imputazione ai partecipanti dei rapporti giuridici instaurati, da cui deriva la rilevanza fiscale, in capo ai singoli, delle fattispecie impositive di volta in volta realizzate.
Rilevanza fiscale che può evidenziarsi diversamente, a seconda del con- creto schema di gestione adottato ed in relazione al rapporto con i beni e diritti che costituiscono il fondo comune.
Le osservazioni che abbiamo fin qui svolto fanno coincidere l’imputa- zione giuridica degli atti e dei rapporti di rete, in capo ai singoli imprendi- tori, con la riferibilità di questi stessi atti e rapporti alle attività di impresa dei partecipanti.
Tale paradigma si riproduce nella generalità delle reti che hanno per og- getto la “collaborazione” in ambiti attinenti alle diverse imprese, oppure lo “scambio” di informazioni o prestazioni. In queste reti, infatti, il program- ma si configura come un coordinamento, anche parziale, di attività che rimangono individuali e che, per determinati segmenti, assumono profili di “gestione” collettiva.
Nella disciplina vigente, tuttavia, il contratto di rete può avere ad oggetto anche l’esercizio “in comune” di una attività che, se non vi è l’opzione per la soggettività giuridica, sarà esercitata nell’ambito di una rete-contratto.
In queste circostanze, non è possibile ritenere che gli atti di esecuzione del programma di rete siano riferibili direttamente alle singole attività im- prenditoriali dei partecipanti, andando invece a comporre la [e ad ordinar- si nella] “attività comune” della rete.
Sembrerebbe allora doversi delineare un profilo di autonomia della rete,
anche nel modello contrattuale, attinente alla individuazione, qualificazio- ne ed esercizio dell’attività di impresa che risulterebbe distinta da quelle dei singoli partecipanti, configurandosi una fattispecie di “impresa collet- tiva non societaria”.
Simile ricostruzione sarebbe ulteriormente avvalorata dalla presenza di un fenomeno di separazione attinente i singoli patrimoni degli imprendi- tori che andrebbe a comporre un patrimonio autonomo.
Importante dottrina ha infatti, già da tempo, ipotizzato la riferibilità dello svolgimento di una attività economica anche ad autonomi nuclei patrimoniali, in quanto centri di imputazione di interessi, pur in assenza dell’affermazione di una propria soggettività giuridica.
Dal punto di vista fiscale, si tratta tuttavia di ricostruire una disciplina del tutto originale, perché praticamente sconosciuta è la fattispecie di una attività comune esercitata in modo collettivo su base contrattuale ma senza l’attribuzione della soggettività giuridica, se si considera che, nel diritto civile come nel diritto tributario, l’esercizio di una “attività organizzata in comune” tradizionalmente rappresenta l’a priori normativo della soggetti- vazione di un ente collettivo.
Non è detto che l’attività interpretativa sia, da sola, in grado di dare ade- guata rappresentazione fiscale a simile ipotesi o, comunque, di giungere a soluzioni certe dal punto di vista applicativo.
Nelle imposte sui redditi, la soluzione più coerente dovrebbe essere quella della unitaria determinazione del reddito di impresa derivante dalla attività comune, considerando gli elementi positivi e negativi inerenti alla attività di esecuzione del programma di rete.
L’unitaria ed autonoma determinazione del reddito di impresa, con i connessi obblighi formali e strumentali, si accompagnerebbe, tuttavia, ad una imputazione dei risultati di tale attività direttamente in capo ai singoli partecipanti (in base a quanto stabilito nel contratto di rete), con la con- seguenza che il reddito (o la perdita) di impresa dovrebbe imputarsi pro- quota ai singoli imprenditori.
L’idea che si tratti di una autonoma attività di impresa esercitata da una pluralità di soggetti, dovrebbe poi portare ad affermarne il riconoscimento anche ai fini Iva, sia in relazione ai profili formali (es. attribuzione di un nu- mero di partita Iva per l’attività della rete; unitaria dichiarazione), sia per quanto attiene la costruzione delle fattispecie impositive. Nel senso che, per qualificare i caratteri delle operazioni imponibili, non imponibili ed esenti, così come per il diritto di detrazione, dovrà farsi riferimento all’atti- vità comune di rete ed alla relativa programmazione negoziale.
2.7 Conclusioni
Lo studio delle problematiche fiscali connesse al contratto di rete richie- de di affrontare temi che rappresentano snodi fondamentali nelle elabo- razioni concettuali e normative di diritto civile e tributario, oltre che nei rapporti tra le due discipline.
Il primo importante profilo che emerge è quello della autonomia nego- ziale, ossia del riconoscimento del ruolo della volontà della parti che non solo incide sulla disciplina (degli atti, dei rapporti con i terzi e dei beni) delle dinamiche giuridiche di rete, ma costituisce essa stessa fondamento per le forme di tipizzazione normativa.
L’alternativa tra i modelli della rete-contratto e della rete-soggetto è at- tualmente basata sulle opzioni della autonomia privata, tanto che si pos- sono anche configurare reti con organo e fondo comuni (e limitazione di responsabilità) esercitanti una attività economica, con o senza soggettività giuridica in base a quanto deciso dalle parti.
La scelta legislativa di attribuire la soggettività in modo quasi del tut- to indipendente da elementi oggettivo-strutturali, quali quelli tradizionali del connotato organizzativo del contratto associativo o plurilaterale e del- la dimensione comune dell’attività economica, si presenta come originale anche nel diritto civile, richiedendo una adeguata riflessione e forse un ripensamento delle soluzioni dottrinali.
Nel diritto tributario, se si afferma lo stretto rapporto tra fattispecie im- positive ed effetti giuridici, ne deriva il pieno riconoscimento fiscale delle scelte di autonomia negoziale, in quanto in grado di determinare quelle modificazioni della realtà giuridica rilevanti ai fini della tassazione.
Quello della soggettività giuridica è un altro tema che emerge, risultan- do però meno problematico rispetto ad altri, per quanto attiene gli effetti fiscali della attribuzione della soggettività. A livello concettuale, perché è consolidata l’idea che la soggettività civilistica rappresenti normalmente il presupposto di quella tributaria; nella costruzione del regime fiscale, per- ché lo schema degli enti “intermedi” e dei rapporti di partecipazione è in grado di dare adeguata rappresentazione alle vicende giuridiche della rete-soggetto, pur con qualche accorgimento interpretativo.
Ben più complesso è invece il profilo della separazione/autonomia pa- trimoniale derivante dalla conclusione di una rete-contratto con fondo pa- trimoniale comune.
Sia perché richiede di mettere in relazione le forme di articolazione pa- trimoniale con l’aspetto della soggettività, anche se la stessa elaborazione del concetto di separazione patrimoniale conduce ad escludere una auto- noma soggettività tributaria del fondo.
Sia perché si tratta di definire gli effetti giuridici della costituzione del fondo, come fattispecie che determina vicende traslative oppure come vin-
colo di destinazione di un patrimonio che, benché separato, rimane nella titolarità di un soggetto.
Al momento ci sembra che questa seconda soluzione sia quella mag- giormente convincente, con conseguenze di tendenziale “neutralità” fisca- le, come si è avuto modo di sottolineare.
L’ultimo filone che caratterizza l’esame fiscale del contratto di rete è quello degli atti di esecuzione del programma, in assenza di una imputa- zione unitaria, nel modello di rete-contratto.
L’inconfigurabilità di una rappresentanza organica lascia spazio ad al- ternativi modelli gestionali noti al sistema fiscale e già sperimentati, come quelli del mandato con o senza rappresentanza.
Qualche difficoltà ad adattare questi modelli alle dinamiche di rete sor- gono, oltre che per aspetti meramente applicativi, soprattutto a livello teo- rico nella ipotesi di rete-contratto che esercita una attività economica. Fatti- specie che non ha una facile collocazione sistematica, lo si è visto, nelle due branche giuridiche e che richiede uno sforzo interprativo, ma forse anche legislativo, per costruire un adeguato regime tributario.
Xxxxxxx Xxxxxx (corresponding author) Università degli Studi di Genova xxxxxx@xxxxxxxx.xxxxx.xx
Xxxxxx Xxxxxxx Università degli Studi di Urbino xxxxxx.xxxxxxx@xxxxxx.xx
Riassunto
L’articolo riguarda gli aspetti giuridici del Contratto di rete (CR) introdotto dall’art. 3 comma 4-ter della legge 09/04/2009 n. 3 ed è diviso in due parti riferite ai profili civilistici e fiscali. La parte sul profilo civilistico del CR analizza le principali caratteristiche e le differenza rispetto agli altri tradizionali strumenti contrattuali di relazioni tra imprese, con particolare attenzione alla sua flessibilità come contratto multilaterale e alla limitazione di responsabilità del fondo comune della rete, anche in riferimento al principio della libertà d’impresa e alle procedure di finanziamento europeo Horizon2020.
La tassazione del contratto di rete richiede di considerare distintamente i modelli negoziali con cui lo stesso può essere concluso, derivandone alternativi modelli impositivi. Il primo, basato sulla soggettività passiva della rete, è regolato dalle ordinarie norme fiscali per gli “enti”, sia nelle imposte dirette sia in quelle indirette. Il secondo, basato sulla creazione di un fondo ma senza soggettività passiva di imposta, ha un regime fiscale tipico delle forme di separazione patrimoniale anche se molteplici sono i problemi fiscali attinenti alla attività della rete.
Abstract
This paper details the legal nature of the Contratto di rete (CR) introduced by the art. 3 comma 4-ter law 09/04/2009 n. 33 and is divided into two parts concerning civil and taxation profiles.
The part of CR’s civil profile analyzes the main characteristics and how does it differentiates from the other legal tools of inter-firm relationships, with particular attention to his flexibility and limited responsibility of the common fund of the networks, also in regard to principle of the freedom of enterprise and Horizon2020 grant procedures.
The taxation of CR demands to take separately into account the negotiating models by which it can be closed and such as to derive alternative taxation models. The first one, based on the taxable status of the network, is regulated by ordinary tax rules for “entities”, both for direct and indirect taxation. The second one, based on the creation of a fund but without taxable status, has a typical tax system of the forms of asset segregation although there are many tax issues related to the network activity.
Key words: Business Networks Contract – Limited responsibility – Freedom of enterprice – Taxable status – Contratto di rete – Limitazione della responsabilità – Libertà d’impresa – Soggettività tributaria passiva
JEL codes: K120, K340
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