CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DI LAVORO PER LA SEQUENZA CONTRATTUALE DELL'ART. 29 DEL CCNL DEL PERSONALE DELLA DIRIGENZA SANITARIA, PROFESSIONALE, TECNICO E AMMINISTRATIVA DEL
A U P I
Associazione Unitaria Psicologi Italiani
CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DI LAVORO PER LA SEQUENZA CONTRATTUALE DELL'ART. 29 DEL CCNL DEL PERSONALE DELLA DIRIGENZA SANITARIA, PROFESSIONALE, TECNICO E AMMINISTRATIVA DEL
SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
del 17 ottobre 2008 (contratto integrativo)
e
SECONDO BIENNIO ECONOMICO 2008-2009
sottoscritti il 6 maggio 2010
Integrato con:
- introduzione al Contratto del Segretario Generale dr. Xxxxx Xxxxxxx
- commento all'articolato contrattuale a cura del dr. Xxxxxxxx Xxxxxx
Tipografia: EDIGRAF - Editoriale Grafica Srl - Xxx Xxxxxx, 00 - 00000 Xxxx
Grafica VANNI - Bitritto (BA)
PREFAZIONE
A distanza di poco più di un anno, l'AUPI ha preparato e pubblica il testo commentato del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro secondo biennio economico 2008 - 2009. La precedente pubblicazione ha riguardato il quadriennio normativo 2006 - 2009 e il biennio economico 2006 - 2007.
Come si può ben vedere dal raffronto delle due pubblicazioni, l'attuale testo è, di gran lunga, più articolato e approfondito del precedente, pur trattandosi di un commento relativo solo a un biennio economico.
In realtà la scelta della Segreteria Nazionale è stata quella di predisporre un testo che avesse una funzione ben più ampia del commento agli articoli del biennio economico sottoscritto.
Il risultato è evidente. Si tratta di un vero e proprio “manuale” che riassume tutta la normativa ora in vigore, oltre a commentare gli specifici articoli dell'ultimo biennio contrattuale. È un testo che tutti i quadri e dirigenti sindacali devono “studiare” e “conoscere”. Deve diventare l'inseparabile compagno e strumento di ogni trattativa.
Deve essere conosciuto e “studiato” da tutti i Dirigenti e Dipendenti della Pubblica Amministrazione perché ciascuno di noi deve conoscere i propri “doveri” e i propri “diritti”.
Questo manuale contiene i principali riferimenti normativi adesso vigenti.
Un'attenzione molto particolare e una cura attenta è stata dedicata alle normative approvate negli ultimi 24 mesi. Una particolarissima attenzione è stata posta nel commento alla Riforma del Pubblico Impiego (c.d. “Riforma Brunetta”) e alla legge finanziaria approvata dal Parlamento nel luglio 2010.
Trattasi di atti legislativi e regolamentari che producono un impatto enorme sull'ordinamento e sullo stato giuridico dei Dipendenti e dei Dirigenti della Pubblica Amministrazione. Sono “regole nuove” che modificano profondamente, il nostro essere Dirigenti della P.A. e che spostano il ruolo e il peso della Contrattazione Negoziale riportando il “governo” del settore del Pubblico Impiego sotto l'egida “pubblicista”.
Ci troviamo di fronte ad una vera e propria inversione di tendenza che ricolloca il Pubblico Impiego nella situazione normativa e regolamentare precedente al 1992 con un salto indietro di circa 20 anni.
Nel corso di questi mesi una gravissima crisi economico-finanziaria ha messo in ginocchio le principali economie mondiali. Questa crisi, in Europa e negli Stati Uniti, ha investito tutto il mondo del lavoro (pubblico e privato).
I lavoratori del settore privato l'hanno subita con i licenziamenti e la CIG (cassa integrazione guadagni); i lavoratori del settore pubblico, con il
blocco della contrattazione per il prossimo triennio.
Nonostante questa profonda crisi, l'AUPI, con le XX.XX. di tutta la Dirigenza Sanitaria e Medica, è riuscita a chiudere la trattativa sulla base del tasso di inflazione programmata, senza subire tagli e decurtazioni degli incrementi spettanti.
La ripresa stenta a decollare e la crisi non è ancora superata. Non dobbiamo abbassare la guardia. La tentazione di “fare cassa” con i tagli degli stipendi è sempre forte.
La Storia ci insegna che nei periodi di maggiore crisi economica diventa vitale avere una Organizzazione Sindacale forte e capace di rappresentare le istanze degli Psicologi, di difendere le conquiste economiche maturate negli ultimi decenni e i diritti, che noi consideriamo acquisiti, ma che tali potrebbero non essere.
Solo un Sindacato forte può contrapporsi all'arroganza dei nostri datori di lavoro; un Sindacato forte nei numeri e nella capacità di svolgere fino in fondo il proprio ruolo.
Il Segretario Generale Xxxxx Xxxxxxx
PRESENTAZIONE
I due contratti collettivi di lavoro sottoscritti il 6 maggio 2010 ed in questo volume commentati, fanno seguito alle preintese del 9 febbraio 2010 in tema di biennio economico 2008-2009 e sequenza contrattuale (contratto integrativo) sulle materie e secondo le previsioni di cui all'art. 29 del CCNL 17 ottobre 2008.
Per quanto concerne il primo (CCNL biennio economico 2008-2009), essendo un contratto di esclusiva natura economica, i suoi contenuti vanno analizzati con riferimento alle disposizioni di cui al CCNL 17 ottobre 2008, relativo al quadriennio giuridico 2006-2009 ed al biennio economico 2006-2007, nonché con tutte le norme contrattuali rinvenibili nei precedenti contratti collettivi di lavoro, a tutt'oggi vigenti in quanto non disapplicate. Per tale motivo, la stesura del presente commentario va letta in forma integrata con il precedente commentario al CCNL 17 ottobre 2008 del quale, in ogni caso, verranno riportate nel presente testo e per una migliore lettura, alcune parti essenziali.
Il contratto integrativo, o sequenza contrattuale integrativa riguarda invece alcune delle problematiche per le quali le parti, in sede di sottoscrizione dell'accordo del 17 ottobre 2008 avevano inteso (art. 29) rinviarne la trattazione in quanto la necessità di chiudere in tempi brevi la tornata contrattuale, ritenuta obiettivo prioritario, non ne avrebbe consentito una utile ed esaustiva definizione in quella sede. Tale contratto ha assunto rilevanza in conseguenza della entrata in vigore del D.Lgs. 150/2009 che ha novellato il testo unico sul pubblico impiego incidendo, in particolare e per quanto di interesse in questa sede, sulla materia delle relazioni sindacali, della responsabilità disciplinare e della premialità. Rispetto alle materie individuate quale oggetto di rinvio dall'art. 29 del CCNL richiamato restano ancora escluse dalla trattazione nel presente contratto integrativo quelle relative a: a) disciplina delle flessibilità del rapporto di lavoro, b) disciplina della formazione; c) sistema di valutazione.
Sulla base del principio della rilevanza dei contenuti e delle problematiche trattate nei contratti oggetto del presente commentario, l'analisi della sequenza contrattuale integrativa precede quella sui contenuti del contratto relativo al biennio economico.
Xxxxxxxx Xxxxxx
Il Dr. Xxxxxxxx Xxxxxx è nato nel 1959. Laureato in Scienze Politiche, ricopre attualmente la carica di Direttore dello Staff dell’Azienda di Rilievo Nazionale per l’Alta Specializzazione: “Xxxxxxxxx, Xxx Xxxxx x X. Xxxxx, Xxxxxx- Xxxxxxxxx” xx Xxxxxxx. Esperto in programmazione e controllo direzionale, si è da sempre occupato con grande attenzione delle problematiche contrattuali realizzando, nelle aziende in cui ha prestato la propria attività lavorativa, modelli applicativi e di gestione delle risorse umane che hanno costituito esempio e riferimento per il Sistema Sanitario Nazionale.
CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DI LAVORO PER LA SEQUENZA CONTRATTUALE DELL'ART. 29 DEL CCNL DEL PERSONALE DELLA DIRIGENZA SANITARIA, PROFESSIONALE, TECNICO E AMMINISTRATIVA DEL
SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE
sottoscritto il 17 ottobre 2008
Il commento all'articolato è opera del
Xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxx
TITOLO I
CAPO I
DISPOSIZIONI GENERALI
Art. 1
Campo di applicazione, durata e decorrenze
1. Il presente contratto collettivo nazionale riguarda la sequenza contrattuale prevista dall'art. 29 del CCNL del 17 ottobre 2008 e si applica a tutti i dirigenti del ruolo Sanitario, Professionale, Tecnico e Amministrativo, con rapporto di lavoro a tempo indeterminato e determinato, dipendenti dalle aziende ed enti del Servizio Sanitario Nazionale, individuati dall'art. 10 del CCNQ dell'11 giugno 2007 relativo alla definizione dei comparti ed ai sensi di quanto previsto dall'art. 2, terzo alinea del CCNQ per la definizione delle autonome aree di contrattazione, stipulato il 1 febbraio 2008.
2. Sono confermati i commi 2, 3, 4 e 5 dell'art. 1 del CCNL 17.10.2008.
Commento all'art. 1
Si tratta di un articolo sostanzialmente introduttivo e di carattere generale rispetto alla restante parte del CCNL, che non necessita di particolari chiarimenti o approfondimenti, fatto salvo il richiamo ad alcune nozioni di carattere tecnico legate alla natura “privatistica” dei contratti collettivi di lavoro che, grazie alla riforma del pubblico impiego avviata con il X.Xxx. 29/93, hanno fatto la comparsa nel nostro ordinamento a partire dalla tornata contrattuale relativa al quadriennio 1994-1997.
Il presente contratto integrativo in esame fa riferimento alla norma pattizia di cui all'art. 29 del CCNL 17 ottobre 2008, attraverso cui le parti hanno inteso rinviare ad una successiva sequenza contrattuale integrativa del presente CCNL (e quindi non necessariamente al CCNL II° biennio economico) la trattazione di alcune tematiche, ritenute di particolare rilevanza, per le quali la necessità di chiudere in tempi brevi la tornata contrattuale, ritenuta obiettivo prioritario, non ne avrebbe consentito una utile ed esaustiva definizione in tale sede.
Il contratto si applica tanto ai dirigenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quanto ai dipendenti a rapporto di lavoro a tempo determinato; per questi ultimi il contratto definisce particolari modalità di applicazione degli istituti normativi rinviando, attraverso la conferma di quanto previsto dai due precedenti contratti nazionali di lavoro (CCNL 17 ottobre 2008 e CCNL 3 novembre 2005), a quanto previsto dai commi 2, 4, 5, 6,
lett. a), 11, 12, 13, 14 dell'art. 16 del CCNL 5 dicembre 1996 (riproposto
dall'art. 1 del CCNL del 5 agosto 1997) e dall'art. 63, comma 5 del CCNL 8
giugno 2000.
La novità sostanziale del contratto integrativo è che lo stesso si colloca temporalmente nella fase immediatamente successiva alla entrata in vigore del D.Lgs. 150/2009, che ha profondamente modificato il preesistente testo unico sul pubblico impiego, riconducibile al D.Lgs. 165/2001 ed alle sue successive modifiche ed integrazioni, introducendo in particolare importanti novità nella materia del rapporto di lavoro della dirigenza pubblica e delle correlate responsabilità nelle differenti fattispecie e profili. Per tale motivo si è ritenuto opportuno, in quanto utile ai fini di una migliore e completa lettura delle norme contrattuali contenute nel presente commentario, introdurre a seguire, nell'ambito del commento al presente articolo, una breve riflessione e disamina in ordine ai principi generali, agli obiettivi ed ai contenuti della nuova riforma del pubblico impiego.
Ritornando brevemente al commento dell'art. 1 e prima di passare alla più ampia riflessione di cui sopra, si evidenzia che vengono confermati i commi da 3 a 5 dell'art. 1 del precedente CCNL.
Pertanto:
a) ai dirigenti dipendenti da aziende o enti soggetti a provvedimenti di soppressione, fusione, scorporo, sperimentazioni gestionali, trasformazione e riordino - ivi compresi la costituzione in fondazioni ed i processi di privatizzazione - il presente contratto si applica sino all'individuazione o definizione, previo confronto con le organizzazioni sindacali nazionali firmatarie del presente contratto, della nuova specifica disciplina contrattuale applicabile al rapporto di lavoro dei dirigenti ovvero sino alla stipulazione del relativo contratto collettivo quadro per la conferma o definizione del comparto pubblico di destinazione;
b) con il termine “dirigente” si intende far riferimento, ove non diversamente indicato, a tutti i dirigenti dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo. Nel ruolo sanitario, sono compresi i dirigenti delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica i quali risultano indicati nel testo come “dirigenti delle professioni sanitarie”;
c) i riferimenti, contenuti nel contratto in esame, al d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 e successive modificazioni ed integrazioni, ivi comprese quelle da ultimo apportate dal d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229 nonché quelle relative al d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, così come modificato, integrato o sostituito dai d.lgs. 4 novembre 1997, n. 396 e d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 sono riportati rispettivamente come “d.lgs. n. 502 del 1992” e “d.lgs. n. 165 del 2001”. Quest'ultimo ha unificato tutta la disciplina di riforma del pubblico impiego ed è stato ulteriormente integrato con la legge n. 145 del 2002. L'atto aziendale
di cui all'art. 3 bis del d.lgs. n. 229 del 1999 è riportato come “atto aziendale”;
d) il riferimento alle aziende sanitarie ed ospedaliere, alle A.R.P.A ed alle agenzie, istituti ed enti del Servizio Sanitario Nazionale di cui all'art. 11 del CCNQ per la definizione dei comparti di contrattazione del 18 dicembre 2002 è riportato nel testo del presente contratto come “aziende ed enti”.
e) Infine, nel testo del contratto con il termine di “articolazioni aziendali” si fa riferimento a quelle direttamente individuate nel d.lgs. n. 502 del 1992 (Dipartimento, Distretto, Presidio Ospedaliero) ovvero in altri provvedimenti normativi o regolamentari di livello nazionale, mentre con i termini “unità operativa”, “struttura organizzativa” o “servizi” si indicano genericamente articolazioni interne delle aziende e degli enti, così come individuate dall'atto aziendale, dai rispettivi ordinamenti e dalle leggi regionali di organizzazione, cui sono preposti dirigenti. Per le tipologie di incarico si fa rinvio all'art. 27 del CCNL 8 giugno 2000.
f) il riferimento alle norme del CCNL 5 dicembre 1996 è comprensivo di tutte le modifiche ed integrazioni apportate con il CCNL in pari data relativo al II biennio economico 1996-1997 nonché dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro del 4 marzo, del 2 luglio e del 5 agosto 1997. Per le norme dei predetti contratti non disapplicate né modificate dal presente, il riferimento ai dirigenti di II livello va inteso come “Dirigente con incarico di direzione di struttura complessa” e quello di dirigente di I livello va inteso con riferimento agli incarichi di dirigente di cui all'art. 27 lett. b), c) e d). Il CCNL 8 giugno 2000, relativo al quadriennio normativo 1998 2001, I biennio economico 1998 - 1999, nel testo è indicato come CCNL 8 giugno 2000. Il CCNL dell'8 giugno 2000, relativo al II biennio economico 2000 2001, è indicato come CCNL 8 giugno 2000, II biennio. Per la semplificazione del testo la dizione “dirigente con incarico di direzione di struttura complessa” nel presente contratto è indicata anche con le parole “dirigente di struttura complessa” “di direttore” dizione quest'ultima indicata dal d.lgs. n. 254 del 2000.”
Il D.Lgs. 150/2009. CENNI INTRODUTTIVI.
La riforma dettata dal d.lgs. 150 del 2009 si inserisce, con consistenti novità, nel processo riformatore del pubblico impiego già dettato dapprima dal d.lgs.
n. 29 del 1993, quindi dal d.lgs. n. 80 del 1998, e confluito da ultimo nel d.lgs. n. 165 del 2001.
Le linee di fondo della materia, per come finora disciplinate dall'ordinamento, sono costituite dalla separazione tra materie riservate alla legge ed agli atti unilaterali della pubblica amministrazione (l'organizzazione degli uffici, le dotazioni organiche, le procedure concorsuali) e le materie assoggettate alla disciplina privatistica (la disciplina del rapporto di lavoro); dalla separazione tra compiti di indirizzo politico-amministrativo, riservati al Governo, e
compiti di organizzazione e gestione degli uffici e dei rapporti di lavoro, che spettano alla dirigenza, secondo criteri di managerialità orientati ai risultati; dall'ampliamento delle norme della contrattazione collettiva e dalla semplificazione della relativa procedura con la previsione di un apposito organo, l'ARAN, delegato a rappresentare la pubblica amministrazione nella contrattazione collettiva; dalla fruizione piena dei diritti sindacali previsti dal Titolo III dello Statuto dei Lavoratori, che trova applicazione in tutte le pubbliche amministrazioni indipendentemente dal numero di dipendenti; dalla devoluzione del contenzioso in materia al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, con la sola eccezione di quello attinente alla procedure concorsuali e di quello relativo ai rapporti di lavoro sottratti alla c.d. privatizzazione.
Con la legge 4 marzo 2009, n. 15, recante Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché di disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei Conti, il legislatore interviene dunque sulla disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, modificando in più parti il testo unico sul pubblico impiego di cui al d.lgs. 31 marzo 2001, n. 165, al fine di assicurare maggiore produttività del lavoro nelle pubbliche amministrazioni ed una più consistente efficienza e trasparenza dell'operato delle stesse.
Gli obiettivi perseguiti, quali risultanti dalle previsioni contenute tanto nella legge delega, all'art. 2, comma 1, quanto poi nel successivo provvedimento delegato, sono molteplici e possono essere sintetizzati come segue:
== far convergere gli assetti regolativi del lavoro pubblico con quelli del lavoro privato, con particolare riferimento al sistema delle relazioni sindacali; rendere più rigorosa la responsabilità (per le modalità ed i risultati della gestione di uffici e personale) del dirigente, garantendogli maggiore autonomia e indipendenza dalla politica e poteri manageriali più ampi, nonché indisponibili nei confronti della contrattazione collettiva, ma sottoponendolo al tempo stesso ad un più efficace sistema di valutazione, con conseguente diretta incidenza di quest'ultima anche sul piano retributivo;
== ottimizzare la distribuzione delle risorse umane, in ragione delle effettive esigenze delle singole strutture, promuovendo la mobilità e coinvolgendo i dirigenti nell'individuazione del fabbisogno dei propri uffici e nella definizione delle dotazioni organiche;
== migliorare la produttività del lavoratore pubblico, assoggettando anche la sua prestazione secondo modelli importati dal settore privato ad una più puntuale valutazione, alla quale viene connessa l'erogazione di incentivi e premi, ma anche di sanzioni, secondo un'impostazione, consolidata nella cultura organizzativa, imperniata sul principio meritocratico; principio
al quale devono ispirarsi altresì le progressioni c.d. orizzontali e verticali del lavoratore;
== riaffermare il principio generale di concorsualità per l'accesso al lavoro pubblico e per le progressioni di carriera;
== accrescere la disciplina ed il rispetto delle regole del rapporto di lavoro, al fine di ricondurre il lavoratore pubblico all'adozione di comportamenti professionali, oltre che più produttivi, fondati sull'etica del lavoro e sulla consapevolezza degli interessi pubblici comunque connessi alla sua prestazione;
== escludere l'incidenza del sindacato nella definizione delle regole in materia di organizzazione degli uffici e del lavoro e fissare per legge una disciplina inderogabile di alcuni istituti del rapporto di lavoro, o di specifici aspetti di essi, finanche in materia di meccanismi distributivi del salario accessorio;
== riorganizzare le procedure di contrattazione collettiva, perfezionando il sistema negoziale dal punto di vista del rapporto tra soggetti titolari dell'indirizzo politico e soggetti responsabili dell'attività contrattuale, ed introducendo più puntuali controlli sulla crescita del costo del lavoro pubblico, specialmente di quella derivante dalla contrattazione integrativa;
== imporre alle Pubbliche Amministrazioni l'obbligo di rendere trasparenti tutti i dati relativi alla propria organizzazione del lavoro ed ai sistemi retributivi adottati, consentendo l'accesso dall'esterno ai relativi dati, prevedendo controlli su di essi, nonché consentendo a cittadini e utenti di agire in giudizio nei confronti delle P.A. nel caso di “violazione di standard qualitativi ed economici o degli obblighi contenuti nelle carte dei servizi”, ovvero qualora dall'omissione degli obblighi di vigilanza e controllo, oppure dal mancato rispetto di termini, “derivi la lesione di interessi giuridicamente rilevanti per una pluralità di utenti o consumatori”.
Il decreto legislativo n. 150 del 27 ottobre 2009 (c.d. “decreto Brunetta”, dal nome del ministro della pubblica amministrazione ed innovazione), entrato in vigore il 15 novembre 2009, traduce i principi e i criteri direttivi contenuti nella legge delega, con l'effetto di determinare un profondo cambiamento di vari aspetti della disciplina del lavoro presso le Pubbliche Amministrazioni, al fine di consolidare e rendere più efficace l'apparato normativo che già regola l'organizzazione ed il rapporto di lavoro pubblico, correggendo le principali distorsioni applicative della normativa in essere.
L'intervento normativo si focalizza sugli aspetti più rilevanti del funzionamento delle pubbliche amministrazioni, quali:
1. la contrattazione collettiva;
2. la valutazione delle strutture e del personale;
3. la valutazione del merito;
4. la dirigenza pubblica;
5. la responsabilità disciplinare.
Il decreto ridisegna, anzitutto, i confini tra le fonti normative e contrattuali del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, incidendo in modo duplice: da un lato, si prevede -in netta controtendenza rispetto al sistema previgente attuato con quella che Xxxxxxx X'Xxxxxx chiamava la “seconda privatizzazione del lavoro pubblico” di cui al d.lgs. n. 80 del 1998- l'inderogabilità della legge ad opera della contrattazione collettiva successiva, affermando che la possibile derogabilità deve essere espressamente dichiarata; con la riforma si assiste, dunque, allo stravolgimento della regola della prevalenza giuridico-formale della contrattazione collettiva rispetto alla legge.
Dall'altro lato, si circoscrive il ruolo della contrattazione collettiva alla disciplina del rapporto di lavoro in senso stretto, senza possibilità di incidenza da parte della stessa sulle materia dell'organizzazione delle amministrazioni (nemmeno se attinenti ad aspetti di c.d. microorganizzazione), riservati alla competenza dei dirigenti amministrativi.
L'asse portante della riforma è dato dal binomio incentivi/disincentivi, così da premiare i capaci ed i meritevoli, incoraggiare l'impegno sul lavoro e scoraggiare comportamenti di segno opposto, il tutto valorizzando la cultura della valutazione alla cui carenza vengono addebitate le attuali criticità delle amministrazioni pubbliche.
La riforma affianca al “bastone” (come si dirà di seguito in relazione alla materia disciplinare ed alla responsabilità di dirigenti e dipendenti), anche la “carota”, quale costituita dalla disciplina di cui all'art. 5 (“Principi e criteri finalizzati a definire il merito e la premialità”), che oscilla fra due estremi: quello pubblicistico, che riconosce grande importanza alla resa meritocratica del principio di concorsualità, che permette di promuovere i migliori; e quello privatistico, che attribuisce grande rilevanza al resa efficentista del principio di incentivazione, che consente di premiare i più produttivi.
Se la valutazione del personale e della dirigenza non costituiscono una novità assoluta nel nostro ordinamento, in quanto la prima era già prevista in sede contrattuale e la seconda era normativamente regolata dal d.lgs. 286 del 1999, non si può tuttavia negare che l'oggetto in questione sia significativamente innovato sia nei contenuti sia nelle finalità.
Innanzitutto il sistema di valutazione del personale, precedentemente considerato materia negoziale in quanto rientrante nell'ambito del rapporto di lavoro, ora rientra all'interno del quadro normativo regolato dalla legge.
In secondo luogo è stata, per la prima volta, introdotta la valutazione delle strutture, logicamente antecedente a quella del personale, riferita alla verifica degli standard qualitativi ed economici delle funzioni che devono essere
“elevati”.
Analizzando il sistema di valutazione del personale il decreto prevede l'attivazione di un “ciclo di gestione della performance”, che deve essere sviluppato dalle amministrazioni in maniera coerente con i contenuti e con il ciclo della programmazione finanziaria e del bilancio. Esso offre alle amministrazioni un quadro di azione che realizza il passaggio dalla cultura dei mezzi (input) a quella dei risultati (output e outcome) auspicato dalle riforme precedenti.
Il nuovo sistema di valutazione viene delineato soltanto nei suoi tratti generali, dovendo poi essere regolato più analiticamente dai vari soggetti che ne sono a vario titolo i gestori.
In particolare, la legge prevede l'istituzione di una Commissione per la valutazione, cui è affidato il compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere le concrete funzioni di valutazione degli Organismi indipendenti di valutazione della performance, istituiti in seno ad ogni amministrazione.
Questi ultimi hanno il compito di garantire dall'interno la definizione e l'implementazione dei sistemi di valutazione, nel rispetto dei modelli definiti dalla Commissione.
Questa generale strategia fondata sulla valutazione delle performance è strettamente intrecciata con l'adozione del principio meritocratico come essenziale criterio gestionale, dato che il legislatore delegato ha collegato ai risultati della valutazione delle performance individuali, nonché delle strutture di appartenenza, la corresponsione ai singoli dipendenti, compresi i dirigenti, di quote di retribuzione incentivante e di premi, stabilendo altresì l'incidenza di tali risultati sulle progressioni economiche e di carriera, ma anche la loro rilevanza in materia disciplinare.
Così il dirigente è vincolato a far rispettare gli “standard quantitativi e qualitativi fissati dall'amministrazione”, nonché a “prevenire o contrastare […] le condotte assenteistiche”, a pena di sanzione; ed il lavoratore deve essere parimenti sanzionato “quando cagiona un grave danno al normale funzionamento dell'ufficio di appartenenza, per inefficienza o incompetenza professionale”, prevedendosi il licenziamento nel caso in cui, nel corso di un arco temporale non inferiore al biennio, subisca una valutazione di “insufficiente rendimento”, dovuto alla reiterata violazione degli obblighi legali o contrattuali inerenti la prestazione dovuta.
Centralità assoluta assumono anche le previsioni in materia di poteri dirigenziali.
Tra gli obiettivi del d.lgs. n. 150 del 2009 si colloca il riconoscimento, in capo al dirigente, di una maggiore autonomia nei confronti tanto della politica quanto del contropotere sindacale ed un rafforzamento delle sue prerogative manageriali.
Tutto ciò è attuato, da un lato ampliando l'intervento legislativo in tema di organizzazione e di rapporto di lavoro a scapito dei contratti, dall'altro, rinforzando la tutela dei dirigenti nel momento cruciale della nomina e della revoca dell'incarico.
Per quanto concerne il primo punto, considerando il combinato disposto degli artt. 5, comma 2, 9 e 40, comma 1, del riformato d.lgs. 165 del 2001, i poteri dirigenziali di organizzazione degli uffici e del lavoro continuano ad essere di natura privatistica ma, a differenza di quanto avviene nel settore privato, non è ammessa la loro disponibilità in sede di contrattazione collettiva, ed inoltre non è ammesso, rispetto ad essi, che la contrattazione nazionale possa prevedere forme partecipative più evolute della mera informazione: prevede infatti l'art. 5, comma 2, che “le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte in via esclusiva dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, fatta salva la sola informazione ai sindacati, ove prevista nei contratti di cui all'art. 9”.
Accanto a queste previsioni si collocano, poi, altre rilevanti disposizioni che attribuiscono al dirigente specifici poteri manageriali, ma anche relative responsabilità.
Le prerogative dirigenziali sono arricchite dall'importante aspetto relativo alla partecipazione/determinazione delle risorse e dei profili professionali necessari per lo svolgimento dei compiti istituzionali delle strutture di appartenenza e dal riconoscimento del potere/dovere di valutare il personale assegnato ai propri uffici, con conseguente erogazione di incentivi e premi.
Con riferimento, poi, all'oggetto della responsabilità dei dipendenti pubblici, questa è stata focalizzata in xxx xxxxxxxxxx xxxxx xxxx responsabilità disciplinare. Gli obiettivi dell'intervento riformatore, in questo campo, sono il potenziamento del livello di efficienza degli uffici pubblici ed il contrasto ai fenomeni di scarsa produttività e di assenteismo nel pubblico impiego.
Al fine di superare le difficoltà applicative della disciplina preesistente è stata, dunque, operata una rilegificazione della materia finalizzata all'incremento delle competenze disciplinari dei dirigenti e ad una rivisitazione delle disposizioni di carattere procedimentale.
Un'ulteriore finalità del decreto, che opera trasversalmente rispetto alle diverse questioni oggetto di riforma, concerne la trasparenza dell'operato delle pubbliche amministrazioni, anche a garanzia della legalità, principio che richiama l'attuazione del più generale obiettivo individuato dalla legge delega riguardante il perseguimento della garanzia della trasparenza dell'organizzazione del lavoro nelle pubbliche amministrazioni e dei relativi sistemi retributivi.
Vengono potenziati i vincoli di pubblicità posti a carico delle pubbliche
amministrazioni, alle quali viene imposto di pubblicare nei propri siti informatici l'insieme “delle informazioni concernenti ogni aspetto dell'organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all'utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell'attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti”.
Molte disposizioni del d.lgs. n. 150 si applicano immediatamente: si pensi ad esempio alle norme relative ai procedimenti disciplinari, che sono regolati dal principio “tempus regit actum”, ossia dal regime giuridico vigente al momento del compimento dell'atto.
Ai sensi dell'art. 40, comma 3-quinquies, le norme relative alle conseguenze della violazione del divieto per le amministrazioni pubbliche di sottoscrizione in sede decentrata di contratti collettivi integrativi, in contrasto con i vincoli e con i limiti risultanti dai contratti collettivi nazionali o che disciplinano materie non espressamente delegate a tale livello negoziale ovvero che comportano oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione, trovano applicazione a decorrere dai contratti sottoscritti successivamente alla data di entrata in vigore del decreto.
L'art. 73 del decreto stabilisce poi regole di diritto transitorio.
Dalla data di entrata in vigore del decreto non è ammessa, a pena di nullità, l'impugnazione di sanzioni disciplinari dinanzi ai collegi arbitrali di disciplina. I procedimenti di impugnazione di sanzioni disciplinari pendenti dinanzi ai predetti collegi alla data di entrata in vigore del presente decreto sono definiti, a pena di nullità degli atti, entro il termine di sessanta giorni decorrente dalla predetta data.
L'obbligo di esposizione di cartellini o targhe identificativi, previsto dall'articolo 55-novies del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, introdotto dall'articolo 69 del presente decreto, decorre dal novantesimo giorno successivo all'entrata in vigore del presente decreto.
Infine, le disposizioni di legge, non incompatibili con quelle del decreto, concernenti singole amministrazioni e recanti fattispecie sanzionatorie specificamente concernenti i rapporti di lavoro del personale di cui all'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, continuano ad essere applicabili fino al primo rinnovo del contratto collettivo di settore successivo alla data di entrata in vigore del decreto.
Sulla complessa problematica relativa ai tempi di attuazione del D.Lgs. 150/2009, si rimanda alla Circolare della Funzione Pubblica 7/2010, ampiamente trattata e commentata nel presente testo a margine del successivo articolo 3.
TITOLO II
CAPO I
Art. 2 Coordinamento regionale
1. All'art. 5 , comma 1, del CCNL del 17 ottobre 2008, dall'entrata in vigore del presente contratto, sono aggiunte le seguenti materie:
m) i criteri generali per la determinazione della tariffa percentuale, di cui all'art. 57, comma 2, lett. i) del CCNL 8.6.2000 nonché per l'individuazione delle discipline della dirigenza sanitaria che abbiano una limitata possibilità di esercizio della libera professione intramuraria;
n) le indicazioni in tema di articolo 16, comma 4 del presente contratto relativo all'assistenza umanitaria, all'emergenza e alla cooperazione.
2. All'art. 5 del CCNL del 17 ottobre 2008, dalla data di entrata in vigore del presente CCNL, al termine del comma 6 è aggiunto il seguente capoverso:
“Le Regioni inoltre, svolgono opportuni confronti e verifiche con le XX.XX. al fine di valutare, sotto il profilo delle diverse implicazioni normativo-contrattuali, le problematiche connesse al lavoro precario e flessibile, tenuto conto della garanzia di continuità nell'erogazione dei LEA”.
3. Nell'ambito del coordinamento regionale di cui all'art. 5 del CCNL del 17.10.2008, saranno effettuate le opportune verifiche ai fini dell'individuazione delle risorse da destinare ai progetti per il miglioramento dei servizi all'utenza e delle relative modalità attuative, secondo quanto previsto dall'art. 12 del CCNL del biennio 2008-2009 siglato in data 6 maggio 2010.
Commento all'art. 2
L'introduzione del Coordinamento regionale su specifiche materie disciplinate dal Contratto Collettivo di Lavoro, avvenuta con l'articolo 9 del CCNL 3 novembre 2005, rappresenta un traguardo importante e qualificante per le Regioni, coerente con la riforma federalista introdotta con la modifica del titolo V della Costituzione (Legge Costituzionale n. 3/2001).
Alle Regioni è data l'opportunità di svolgere una fattiva azione di indirizzo e coordinamento nei confronti della contrattazione integrativa per la valorizzazione di questo livello e per un efficace e corretto utilizzo delle risorse economiche dalle stesse finanziate.
In sostanza si tratta di definire linee di indirizzo che si sviluppano su diverse materie e sulle quali deve essere svolto un confronto con le organizzazioni
sindacali; il pronunciamento di ogni singola Regione, derivando da un preciso intendimento contrattuale, diventa vincolante per l'azione delle Aziende che insistono nell'ambito regionale, ferma restando l'autonomia delle aziende di definire a livello locale e nel rispetto dei modelli relazionali contrattualmente previsti, in quella che può essere definita una vera e propria “contestualizzazione” delle singole problematiche, le modalità operative ed attuative degli indirizzi regionali in relazione alla natura (azienda ospedaliera-territoriale), alle caratteristiche ed alla mission aziendale (alta specializzazione, struttura di emergenza, struttura adibita a cure primarie ecc.), ai modelli di organizzazione del lavoro ed alle caratteristiche della popolazione lavorativa (es. prevalenza\rilevanza dei percorsi formativi, presenza di una rilevante attività libero-professionale, ecc.).
Il Coordinamento regionale garantisce, di fatto, un ruolo di visibilità delle Regioni nel rispetto dell'autonomia negoziale delle aziende ed anche del patto di stabilità, essenzialmente al fine del controllo della spesa nella contrattazione di secondo livello.
Il presente articolo integra l'art. 5 del CCNL 17 ottobre 2008, prevedendo un arricchimento delle materie oggetto di confronto e rendendo così più pregnante il livello di coordinamento regionale. Si tratta della risposta al cambiamento e all'evoluzione del quadro giuridico- istituzionale e culturale che vede una sempre maggiore affermazione delle logiche federaliste. Si viene, in sostanza, a modificare il ruolo della Regione da soggetto di mera verifica e controllo a soggetto che partecipa attivamente alla gestione contrattuale, impostando direttive sulle quali attivare un confronto sindacale nelle aziende. Entrando nel merito del testo del presente articolo, che va letto in forma coordinata con l'art. 9 del CCNL 3 novembre 2005 e con l'art. 5 del CCNL 17 ottobre 2008, le Regioni, previo confronto con le organizzazioni sindacali, possono, entro novanta giorni, adottare delle linee di comportamento e di azione in materie prestabilite.
Il termine confronto non rientra tra i livelli di relazioni sindacali tipicizzati e non va interpretato come un terzo livello contrattuale che sarebbe contrario al volere del legislatore, tanto che per rendere più esplicito tale intendimento il testo contrattuale riporta un termine diverso ed estraneo al lessico presente nel consolidato sistema di relazioni sindacali e cioè “il confronto”, inteso come interlocuzione tra le parti che non può che avere caratteristiche e specificità proprie in relazione alla singola Regione.
Il periodo individuato per la definizione delle linee d'indirizzo (90 giorni) è determinato ritenendolo congruo con l'esplicarsi del pronunciamento regionale nei termini e con la procedura già evidenziata; peraltro esso rappresenta una garanzia anche per la stessa autonomia aziendale. Infatti è espressamente previsto che, se entro i novanta giorni suddetti la Regione non
si esprime, le Aziende riassumono la propria autonomia, fermo restando che per gli istituti non contemplati le Aziende sono assolutamente libere a partire dal giorno seguente alla stipula dal CCNL.
Le materie del confronto sono quelle specificatamente previste dall'art. 5 comma 1 del CCNL 17 ottobre 2008, come integrate dal comma 1 del presente articolo e, specificatamente:
a) utilizzo delle risorse regionali di cui all'art. 53 del CCNL 3 novembre 2005;
b) realizzazione della formazione manageriale e formazione continua, comprendente l'aggiornamento professionale e la formazione permanente
c) metodologie di utilizzo da parte delle aziende ed enti di una quota dei minori oneri derivanti dalla riduzione stabile della dotazione organica del personale - art. 50 comma 2 lett. a) del CCNL 8 giugno 2000, ora articolo 49 comma 2, primo e secondo alinea del CCNL 3 novembre 2005;
d) modalità di incremento dei fondi in caso di aumento della dotazione organica del personale o dei servizi anche ad invarianza del numero complessivo di essa ai sensi dell'art. 53 del CCNL 8 giugno 2000;
e) criteri generali dei sistemi e meccanismi di valutazione dei dirigenti che devono essere adottati preventivamente dalle aziende, ai sensi dell'art. 25 comma 5 del CCNL 3 novembre 2005;
f) verifica dell'efficacia e della corrispondenza dei servizi pubblici erogati alla domanda e al grado di soddisfazione dell'utenza;
g) criteri generali per sviluppare a livello aziendale un sistema di standard e procedure finalizzati all'individuazione dei volumi prestazionali riferiti all'impegno, anche temporale, richiesto nonché di monitoraggio delle prestazioni concordate e correlate al raggiungimento degli obiettivi, nel rispetto delle disposizioni del d.lgs 196 del 2003 in materia di protezione dei dati personali;
h) criteri generali per la razionalizzazione ed ottimizzazione delle attività connesse alla continuità assistenziale ed urgenza/emergenza al fine di favorire la loro valorizzazione economica secondo la disciplina del presente contratto, tenuto anche conto dell'art. 55, comma 2 del CCNL 8 giugno 2000 relativo alle tipologie di attività professionali ed ai suoi presupposti e condizioni;
i) applicazione dell'art. 17 del CCNL 10 febbraio 2004, diretto a regolare la mobilità in caso di eccedenza dei dirigenti nei processi di ristrutturazione aziendale attuati ai sensi del comma 4;
j) criteri generali per l'inserimento, nei regolamenti aziendali sulla libera professione di cui all'art. 4, comma 2 lett. G) del 3.11.2005, di
norme idonee a garantire che l'esercizio della libera professione sia modulato in modo coerente all'andamento delle liste di attesa;
k) criteri generali per l'attuazione dell'istituzione della qualifica unica di dirigente delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della professione ostetrica e modalità e limiti della copertura dei relativi oneri;
l) criteri per la definizione delle modalità di riposo nelle 24 ore, di cui all'art. 7 del CCNL;
m) i criteri generali per la determinazione della tariffa percentuale, di cui all'art. 57, comma 2, lett. i) del CCNL 8.6.2000 nonché per l'individuazione delle discipline della dirigenza sanitaria che abbiano una limitata possibilità di esercizio della libera professione intramuraria;
n) le indicazioni in tema di articolo 16, comma 4 del presente contratto relativo all'assistenza umanitaria, all'emergenza e alla cooperazione.
Fra tutte le predette materie, particolare importanza assumono le due ipotesi di incremento dei fondi a fronte di una riduzione o aumento della dotazione organica. Le lettere c) e d), confermano e rafforzano il principio di flessibilità di gestione dei fondi, posto che si verifichino le due condizioni di seguito contemplate:
1) se la riduzione della dotazione organica ha carattere di stabilità, vale a dire se viene mantenuta nel tempo, la Regione individuerà le modalità per finalizzare i risparmi derivanti dai minori costi, attraverso un incremento (interamente o solo in parte) del fondo di posizione (come previsto nell'articolo 50 del CCNL 8 giugno 2000, riconfermato nel successivo articolo 54, comma 2, alinea 1 del CCNL qui esaminato);
2) la Regione stabilirà inoltre le modalità di incremento dei fondi a fronte di un aumento di personale o dei servizi anche ad invarianza del numero complessivo di esso. Va sottolineato che in questa fattispecie il riferimento non è a un fondo specifico, ma genericamente al sistema dei fondi.
La motivazione si fonda sul fatto che tale ipotesi non si basa, come la precedente, su una “riduzione” di organico, bensì sull'adeguamento dello stesso o dei servizi, per cui può essere necessaria una revisione anche dei fondi (risultato e disagio) maggiormente correlati all'organizzazione del lavoro e dei servizi medesimi, ambedue materie, a loro volta, direttamente afferenti all'area gestionale dell'azienda in rapporto alla programmazione regionale. In questa logica il prevedere il rinvio al livello di singola Regione appare coerente con l'assetto complessivo della contrattazione.
Per entrambe le fattispecie appena descritte, diversamente dal CCNL 3 novembre 2005, che prevedeva un carattere di automatismo e di congruità di questa fattispecie di incremento dei fondi, il nuovo disposto sottrae dalla sfera
del suddetto automatismo l'azione di incremento dei fondi, ponendola in un contesto di “analisi ragionata” che valuti le singole tipologie, la situazione venutasi a creare e colleghi l'intervento delle aziende con le scelte strategiche di programmazione regionale.
A questa motivazione si aggiunge, non ultima per importanza, la necessità, o meglio l'opportunità, che all'interno dell'ambito regionale ci siano dei comportamenti uniformi che valorizzino la previsione contrattuale e non viceversa, come l'esperienza ha dimostrato, rilevando un forte differenziale di comportamento non collegato a scelte strategiche aziendali differenti.
Pertanto la Regione ha l'opportunità di dare delle indicazioni in merito per rendere operativa una delle varie ipotesi di incremento dei fondi (vale per tutte e due le tipologie riportate),tenendo conto che tale materia incide sulle risorse del bilancio aziendale ovvero rappresenta un costo applicativo aggiuntivo al finanziamento previsto dal CCNL.
Una ulteriore previsione di intervento regionale, riguardante i fondi contrattuali, o meglio, una revisione degli stessi è attinente alla ricaduta (impatto) sui fondi contrattuali stessi delle problematiche derivanti da una eventuale opera di riordino e/o riorganizzazione all'interno della programmazione regionale. In questo caso il CCNL rinvia l'intervento alle linee di indirizzo di cui al comma 1, fermo restando il valore della spesa regionale che così diventa un vincolo ovvero obbligo contrattuale.
Il combinato disposto dei tre contratti collettivi di lavoro in materia di Coordinamento regionale prevede inoltre:
1) la possibilità di integrare le materie espressamente previste e descritte in precedenza. Quest'aspetto prevede una definizione all'interno dei protocolli definiti in ogni regione previsti dal sistema delle relazioni sindacali regionali;
2) l'analisi delle risultanze e dell'impatto che le procedure di revisione del trattamento economico, contenute nel CCNL medesimo hanno prodotto sui fondi contrattuali;
3) una attività di confronto e verifica con le XX.XX. finalizzata alla valutazione confronti e verifiche con le XX.XX. al fine di valutare, sotto il profilo delle diverse implicazioni normativo-contrattuali, delle problematiche connesse al lavoro precario e flessibile, tenuto conto della garanzia di continuità nell'erogazione dei LEA.
4) le problematiche connesse ai processi di riordino previsti dalla programmazione regionale.
In particolare, le prime due azioni sono previste esclusivamente nel caso in cui si verifichi una incapienza dei fondi da utilizzare. In quest'ambito è opportuno evidenziare con il giusto rilievo, che la linea di lavoro ipotizzata, nella e per la fase di “coordinamento generale”, si può definire di verifica tra risorse
contrattualmente individuate e applicazione reale delle disposizioni complessive a livello di singola azienda. Qualora questa relazione presenti saldi diversi dal pareggio l'azione che la Regione è chiamata ad effettuare è quella di compensazione (perequazione) tra aziende.
Art. 3
Disposizioni in materia di contrattazione integrativa
1. Le Aziende sono tenute ad attivare la contrattazione integrativa, secondo le modalità ed i tempi previsti dall'art. 4 del CCNL del 17 ottobre 2008, al fine di adottare, nel quadro della massima trasparenza dei ruoli e delle responsabilità delle parti, scelte condivise nelle materie alla stessa demandate, anche nell'ottica di conseguire il miglioramento qualitativo dei servizi e dei livelli assistenziali, tenuto conto degli obiettivi prioritari di ciascuna Azienda.
2. Nell'ambito della Conferenza Permanente, istituita presso le Regioni ai sensi dell'art. 6 del CCNL del 3 novembre 2005, si provvederà a verificare gli andamenti della contrattazione integrativa allo scopo di analizzarne i risultati ed individuare gli eventuali elementi ostativi alla concreta attuazione della stessa. Nei casi di mancato avvio delle trattative, la Conferenza potrà, inoltre, formulare proposte e fornire indicazioni al fine di favorire l'attivazione delle stesse da parte dell'Aziende.
3. Nell'ambito dell'attività di monitoraggio di cui all'art. 46 del d.lgs. n. 165 del 2001 e s.m.i l'ARAN evidenzia le eventuali criticità in relazione alla contrattazione integrativa delle Aziende o degli Enti del Servizio Sanitario Nazionale nell'ambito del rapporto annuale, da inviare al Dipartimento della funzione pubblica, al Ministero dell'Economia e finanze, nonché al Comitato di settore.
Commento all'art.3
L'articolo in esame, pur lasciando invariato il sistema delle relazioni sindacali e le caratteristiche e dinamiche dei modelli relazionali già contenuti nei precedenti contratti di lavoro e, in particolare, nel CCNL 3 novembre 2005, introduce, in linea con le previsioni contenute nel D.Lgs. 150/2009 (c.d. “Decreto Brunetta”) - che ha modificato seppur, come vedremo più avanti, con tempi di attuazione disomogenei e differiti, tutta la problematica relativa alla contrattazione collettiva ed al sistema delle relazioni sindacali nel pubblico impego concrete forme di controllo in ordine all'andamento ed all'attuazione della contrattazione integrativa all'interno di ogni singola Azienda o Ente del Servizio sanitario nazionale.
Da un lato viene pertanto ribadito quanto già previsto dall'art. 4 del CCNL 17 ottobre 2008 in ordine alle modalità ed ai tempi di attivazione, in sede locale,
della contrattazione integrativa (“== 1. I contratti collettivi integrativi hanno durata quadriennale per la parte normativa e biennale per la parte economica e si riferiscono a tutti gli istituti contrattuali rimessi a tale livello da trattarsi in un'unica sessione negoziale, tranne per le materie che, per loro natura, richiedano tempi di negoziazione diversi, essendo legate a fattori organizzativi contingenti. L'individuazione e l'utilizzo delle risorse sono determinati in sede di contrattazione integrativa con cadenza annuale. == 2. L'azienda provvede a costituire la delegazione di parte pubblica abilitata alle trattative di cui al comma 1 entro quindici giorni da quello successivo alla data di stipulazione del presente contratto ed a convocare la delegazione sindacale di cui all'art. 10, comma 2 del CCNL dell'8 giugno 2000, per l'avvio del negoziato, entro quindici giorni dalla presentazione delle piattaforme e comunque entro 60 giorni dall'entrata in vigore del presente contratto. == 3. Entro trenta giorni dalla stipula del presente CCNL, l'Azienda, trasmette alla Regione la documentazione relativa all'ammontare dei fondi contrattuali e ne fornisce contestuale informazione alle XX.XX. ai sensi dell'art. 6, comma 1, lett. a) del CCNL del 3 novembre 2005. == 4. La contrattazione integrativa, avviata tenendo conto della tempistica stabilita nel comma 4 dell'art 5 (Coordinamento regionale), sulla base di documentazione prodotta dall'Azienda, ove non siano state presentate le piattaforme, deve concludersi perentoriamente entro 150 giorni dalla stipula del presente contratto, salvo diverso accordo tra le parti opportunamente motivato e comunque in presenza di trattative già avviate e in fase conclusiva. == 5. Nel corso delle trattative le parti sono tenute a collaborare fattivamente, nell'osservanza dei principi di lealtà e buona fede, al rispetto della predetta tempistica contrattuale. A tal fine, nel periodo di contrattazione aziendale, le parti devono incontrarsi con una frequenza e assiduità tali da consentire la stipula del contratto integrativo nei tempi sopra riportati e possono accordarsi sulle modalità ritenute più utili per la conclusione delle trattative. == 6. I contratti collettivi integrativi devono contenere apposite clausole circa tempi, modalità e procedure di verifica della loro attuazione, anche per quanto riguarda lo stato di utilizzo dei fondi e conservano la loro efficacia fino alla stipulazione dei successivi contratti. == 7. Il controllo sulla compatibilità dei costi della contrattazione collettiva integrativa con i vincoli di bilancio è effettuato dal Collegio Sindacale. A tal fine, l'ipotesi di contratto collettivo integrativo definita dalla delegazione trattante è inviata a tale organismo entro cinque giorni corredata dall'apposita relazione illustrativa tecnico finanziaria. Trascorsi quindici giorni senza rilievi, il contratto viene sottoscritto. Per la parte pubblica la sottoscrizione è effettuata dal titolare del potere di rappresentanza dell'azienda o ente ovvero da un suo delegato. In caso di rilievi la trattativa deve essere ripresa entro cinque giorni. == 8. Le Aziende e gli enti sono tenuti
a trasmettere all'ARAN i contratti integrativi entro cinque giorni dalla sottoscrizione ai sensi dell'art. 46, comma 5 del d.lgs. n. 165 del 2001.”).
Dall'altro lato viene dato mandato alla Conferenza permanente istituita presso le Regioni ai sensi dell'art. 6 del CCNL 3 novembre 2005 di verificare l'andamento della contrattazione integrativa all'interno di ogni azienda e di fornire indicazioni ed utili elementi per l'avvio della contrattazione in caso di mancata attivazione. Infine, nell'ambito dell'attività di monitoraggio prevista dall'art. 46 del D.Lgs. 165/2001 e smi viene fatto obbligo all'ARAN di evidenziare, nell'ambito del rapporto da trasmettere con cadenza annuale al Ministero dell'Economia e delle Finanze ed al Comitato di Settore le eventuali criticità riconducibili alla contrattazione integrative delle Aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale.
L'ATTUALE SISTEMADELLE RELAZIONI SINDACALI
Il sistema delle relazioni sindacali è lo strumento che regolamenta la metodologia dei rapporti fra la parte pubblica e le XX.XX. al fine di consentire un ampio e tempestivo coinvolgimento della categoria nelle decisioni riguardanti gli assetti organizzativi e l'attribuzione delle responsabilità dirigenziali, al fine di contemperare l'interesse al miglioramento delle condizioni di lavoro ed alla crescita professionale dei dirigenti con l'esigenza aziendale di mantenere elevate l'efficienza e l'efficacia dei servizi erogati.
I precedenti Contratti Collettivi Nazionali di Xxxxxx individuano le materie oggetto della contrattazione integrativa decentrata; l'elencazione contenuta nei contratti è esaustiva e nessun altro argomento può essere introdotto dalle Delegazioni trattanti in tale livello di contrattazione, se non di livello squisitamente locale.
In questa sede è opportuno precisare che alcune materie, riservate alla contrattazione integrativa decentrata, oltre ad essere disciplinate nei singoli contratti, dovranno essere anche introdotte nei regolamenti delle aziende e degli enti del S.S.N., in ragione della loro natura prettamente regolamentare: es. l'atto aziendale con il quale viene regolamentata la disciplina e l'organizzazione dell'attività libero professionale intramuraria e l'attribuzione dei relativi proventi ai Dirigenti.
I Contratti di Lavoro suddividono le materie oggetto di contrattazione integrativa decentrata in due gruppi:
a) materie con obbligo di accordo tra le Parti negoziali, consistenti in quelle materie che implicano direttamente l'erogazione di risorse destinate al trattamento economico;
b) materie senza obbligo di accordo tra le Parti negoziali, che corrispondono a tutte le altre materie oggetto di contrattazione integrativa decentrata, elencate nel citato art. 4 ed in altri articoli del CCNL e per le quali,
complessivamente o singolarmente, ove non si addivenga ad una intesa entro 30 giorni - elevabili a 60 giorni di comune accordo tra le Parti negoziali - ognuna di queste riassume le rispettive prerogative e libertà di iniziativa e di decisione, adottando le azioni che ritiene opportune.
Ci sembra evidente che il dissenso espresso dalle XX.XX. sulle materie in questione, ove non sia stato raggiunto un accordo tra le Parti, debba evincersi chiaramente dai verbali delle riunioni sulla contrattazione integrativa decentrata; riteniamo, anche, che il dissenso sindacale debba risultare dagli atti formali dell'amministrazione aziendale, ove quest'ultima adotti misure o provvedimenti nelle materie di contrattazione decentrata che hanno formato oggetto di contestazione.
I Contratti di Lavoro e, in particolare, l'art. 4 del CCNL 3 novembre 2005, individuano una serie di argomenti oggetto della contrattazione integrativa decentrata; una parte di questi implica direttamente l’erogazione di risorse destinate al trattamento economico, mentre un'altra parte di essi non assume valenza economica se non in modo indiretto, quale conseguenza di una disciplina generale della materia trattata.
Le materie regolamentate in sede di contrattazione decentrata sono:
1) individuazione delle posizioni dirigenziali i cui titolari devono essere esonerati dallo sciopero, ai sensi della legge 12 giugno 1990, n. 146, nel testo recentemente modificato dalla legge 11 aprile 2000, n. 83, secondo quanto previsto dall'Accordo sulle norme di garanzia dei servizi pubblici essenziali relativi all'area dirigenziale;
2) criteri generali per:
== la definizione della percentuale di risorse di cui al Fondo dell'art. 51 da destinare alla realizzazione degli obiettivi generali aziendali affidati alle articolazioni interne individuate dal D.L.vo n. 502/1992, dalle leggi regionali di organizzazione e dagli atti aziendali, ai fini dell'attribuzione della retribuzione di risultato ai Dirigenti. Detta retribuzione deve essere strettamente correlata alla realizzazione degli obiettivi affidati ed avviene, quindi, a consuntivo dei risultati totali o parziali conseguiti ovvero per stati di avanzamento, in ogni caso dopo la necessaria verifica almeno trimestrale, secondo le modalità previste dal CCNL precedente (5 dicembre 1996). Inoltre, nella determinazione della retribuzione di risultato occorre tener conto degli effetti di ricaduta dei sistemi di valutazione dell'attività dei dirigenti;
== l'attuazione dell'art. 43 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (legge finanziaria per il 1998), in materia di sponsorizzazioni ed accordi di collaborazione, convenzioni con soggetti pubblici e privati, contributi dell'utenza per i servizi pubblici non essenziali e misure di incentivazione della produttività;
== la distribuzione tra i fondi di posizione, di risultato e trattamento accessorio delle risorse contrattuali e delle eventuali risorse aggiuntive regionali, ove previste dal contratto nazionale;
== le modalità di attribuzione ai Dirigenti, ai quali è conferito uno degli incarichi previsti dall'art. 27, comma 1, lett. b), c) e d), del CCNL 8 giugno 2000, della retribuzione collegata ai risultati e agli obiettivi e programmi assegnati secondo gli incarichi conferiti. Gli incarichi in questione sono quelli: 1) di direzione di struttura semplice; 2) di natura professionale, anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio e ricerca, ispettivi, di verifica e controllo; 3) di natura professionale conferibili ai Dirigenti con meno di cinque anni di anzianità;
== lo spostamento di risorse tra i Fondi di cui agli artt. 25, 26 e 27 del vigente CCNL ed al loro interno, in apposita sessione di bilancio, lafinalizzazione tra i vari istituti nonché la rideterminazione degli stessi in conseguenza della riduzione di organico derivante da stabili processi di riorganizzazione previsti dalla programmazione sanitaria regionale;
3) linee generali di indirizzo dei programmi annuali e pluriennali dell'attività di formazione manageriale e aggiornamento dei Dirigenti, anche in relazione all'applicazione dell'art. 16 bis e seguenti del D.L.vo n. 502/1992 sull'argomento;
4) pari opportunità, con le procedure indicate dall'art. 8 del CCNL 8 giugno 2000, anche per le finalità della legge 10 aprile 1991, n. 125;
5) criteri generali sui tempi e sulle modalità di applicazione delle norme relative alla tutela in materia di igiene, ambiente, sicurezza e prevenzione nei luoghi di lavoro, con riferimento al D.L.vo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni, e nei limiti stabiliti dall'Accordo quadro relativo all'attuazione dello stesso decreto nelle P.A. (autorizzato con
D.P.C.M. 5 giugno 1996);
6) implicazioni derivanti dagli effetti delle innovazioni organizzative, tecnologiche e dei processi di esternalizzazione, disattivazione o riqualificazione e riconversione dei servizi sulla qualità del lavoro, sulla professionalità e mobilità dei Dirigenti;
7) criteri generali per la definizione dell'atto di cui all'art. 54, comma 1, del CCNL 3 novembre 2005, per la disciplina e l'organizzazione dell'attività libero professionale intramuraria, nonché per l'attribuzione dei relativi proventi ai Dirigenti interessati.
Come espressamente stabilisce il CCNL, nelle materie di cui ai nn. 3), 4), 5), 6), e 7), che non implicano direttamente l'erogazione di risorse destinate al trattamento economico, le Parti negoziali possono anche non trovare una intesa su tutti o parte degli argomenti trattati; in tale ipotesi, trascorsi trenta
giorni (elevabili di comune accordo a sessanta) dall'inizio delle trattative senza che sia stato raggiunto l'accordo, le Parti riacquistano la loro libertà di azione.
Altre disposizioni contrattuali affrontano, direttamente o indirettamente, specifici argomenti rimessi all'ambito della contrattazione integrativa decentrata, anche se per lo più riguardano l'applicazione pratica delle materie indicate nell'art. 4 CCNL.
Citiamo per tutti, l'art. 57 del CCNL 8 giugno2000, tutt'ora vigente, che attribuisce alla contrattazione decentrata l'individuazione della quota - non inferiore al 5% della massa di tutti i proventi dell'attività libero/professionale - da accantonare quale Fondo aziendale da destinare alla perequazione per le discipline sanitarie, sempre individuate nel contratto decentrato, che abbiano una limitata possibilità di esercizio della libera professione intramuraria.
Le norme di garanzia dei servizi pubblici essenziali.
II problema degli scioperi nei servizi pubblici essenziali ha sempre costituito un aspetto molto delicato dei rapporti tra le Amministrazioni pubbliche e le Organizzazioni sindacali. Le prime si rendevano conto dei disagi arrecati alla collettività dagli scioperi in determinati settori di intervento della P.A., soprattutto laddove gli interventi dei pubblici poteri si concretizzavano nella erogazione di servizi pubblici indispensabili ed essenziali, tra i quali un posto di assoluto rilievo spetta al settore sanitario; le seconde, sempre gelose della loro autonomia, pur essendo abbastanza propense ad una disciplina specifica delle modalità del diritto di sciopero in tali settori, cercavano di rinviare il problema adottando, nella contrattazione collettiva, norme di autoregolamentazione finalizzate a ridurre al massimo i disagi per l'utenza.
La genesi di questa autoregolamentazione dello sciopero va ricercata nella legge quadro sul pubblico impiego (legge 29 marzo 1983, n. 93) che prevedeva la possibilità per le associazioni sindacali dei pubblici dipendenti di essere ammesse alla contrattazione collettiva solo previa dimostrazione dell'adozione di appositi codici di autoregolamentazione del diritto di sciopero. Da allora, i contratti collettivi nazionali per il personale del comparto del S.S.N. contennero sempre - o in allegato al contratto (cfr. D.P.R.
20 maggio 1987, n. 270, per l'accordo 1985/1987), ovvero inseriti espressamente nel testo del contratto (cfr. D.P.R. 28 novembre 1990, n. 384, per l'accordo 1988/1990) - precise "norme di garanzia del funzionamento dei servizi pubblici essenziali".
Finché una apposita legge - la legge 12 giugno 1990, n. 146, recante norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona tutelati costituzionalmente-non provvide a disciplinare definitivamente il settore dei pubblici servizi
indispensabili; tra i settori disciplinati da quel provvedimento legislativo figura, ovviamente e in una posizione di preminenza, anche la sanità. Risultano, pertanto, specificamente disciplinati, nel quadro della regolamentazione del diritto di sciopero: la sanità, l'igiene pubblica e la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani e di quelli speciali, tossici e nocivi. Recentemente, peraltro, la citata legge n. 146/1990 è stata modificata ed integrata dalla legge 11 aprile 2000, n. 83; l'adeguamento dei provvedimento si è reso necessario al fine di consentire, da parte dello Stato, una maggiore salvaguardia dell'utenza dei servizi pubblici nei confronti delle procedure di sciopero e di altre forme di lotta instauratesi negli ultimi anni e ritenute lesive delle esigenze della collettività servita.
Le regole che la legge n. 146/1990 ha dettato per la salvaguardia dei diritti della persona consistono in: a) obbligo, da parte del Sindacato, di un preavviso minimo non inferiore a 10 giorni, con indicazione della durata dell'astensione dal lavoro; b) obbligo, per i soggetti che proclamano lo sciopero, di comunicare per iscritto, nel termine del preavviso, la durata e le modalità di attuazione, nonché le motivazioni dell'astensione collettiva dal lavoro; c) obbligo dell'indicazione preventiva della durata delle singole astensioni, con assicurazione, in ogni caso, di un livello di prestazioni compatibili con i principi perseguiti; d) obbligo, da parte delle aziende sanitarie, di concordare con le rappresentanze sindacali le prestazioni indispensabili che sono tenute ad assicurare, le modalità e le procedure di erogazione e le altre misure dirette a consentire gli adempimenti di legge; e) obbligo per le amministrazioni aziendali di dare comunicazione all'utenza (mediante gli organi di stampa, le reti televisive, ecc.) dell'astensione dal lavoro almeno cinque giorni prima dello sciopero e di rendere nota tempestivamente la riattivazione del servizio; f) le associazioni degli utenti sono legittimate ad agire in giudizio - anche al solo fine di ottenere la pubblicazione, a spese del responsabile, della sentenza che accerta la violazione dei diritti degli utenti - nei confronti delle XX.XX. responsabili che abbiano contravvenuto alle norme sulle modalità di sciopero previste dalla citata legge n. 146/1990 e nei confronti dei pubblici amministratori che non abbiano informato tempestivamente l'utenza del proclamato sciopero, quando da ciò sia derivato un disagio.
Le forme di confronto e partecipazione nel sistema delle relazioni sindacali
I Contratti di Lavoro per la Dirigenza sanitaria, professionale, tecnica ed amministrativa, al pari degli altri Contratti del comparto sanitario, nel delineare il sistema delle relazioni sindacali - che deve essere finalizzato all'obiettivo primario di contemperare l'interesse al miglioramento delle condizioni di lavoro e alla crescita professionale del personale dirigenziale
con l'esigenza delle aziende sanitarie di incrementare e mantenere elevate l'efficacia e l'efficienza dei servizi erogati alla collettività servita -disciplina alcuni specifici istituti contrattuali i quali, nel loro insieme, realizzano il principio della partecipazione dei lavoratori all'attività aziendale che traspare in ogni singola parte del complesso contrattuale.
Così, gli istituti dell'informazione, della concertazione e della consultazione - accanto ad alcune forme paritetiche di partecipazione, finalizzate essenzialmente all'approfondimento di determinate problematiche, sia a carattere generale sia a carattere specifico - unitamente e a supporto della contrattazione integrativa decentrata, costituiscono, all'interno dell'azienda sanitaria, il quadro generale di riferimento dei rapporti tra amministrazione e soggetti sindacali.
Gli istituti della partecipazione che, nell'ottica dei rapporti Amministrazione aziendale/OOSS e fatta eccezione per la contrattazione integrativa decentrata, rivestono la maggiore importanza sono: l'informazione, la concertazione e la consultazione; e se l'informazione costituisce un obbligo unilaterale, in quanto il soggetto attivo di essa è rappresentato dalla sola amministrazione aziendale, le altre due tipologie di istituti vedono su un piano di parità i due soggetti contrattuali, nel senso che, come si esaminerà in seguito, esistono diritti e doveri per entrambe le parti.
Accanto ai tre descritti istituti contrattuali principali sono previste dai CCNL altre forme partecipative, non negoziali, delle rappresentanze sindacali alla attività delle aziende sanitarie; ci si riferisce qui alle Commissioni paritetiche e agli Osservatori per l'approfondimento di determinate tematiche interne, soprattutto di quelle relative all'organizzazione del lavoro in relazione ai processi di riorganizzazione aziendale, di riconversione o disattivazione delle strutture sanitarie, di esternalizzazione di servizi, nonché di quelle relative all'ambiente, all'igiene e sicurezza del lavoro e di quelle concernenti le attività formative extra e intra aziendale. Il compito di questi organismi bilaterali è di monitoraggio (es. raccolta ed elaborazione sistematica di dati) e di iniziativa e proposta all'amministrazione.
L'informazione.
L'informazione si concretizza in un obbligo, per l'amministrazione aziendale, di portare a conoscenza i Dirigenti - per il tramite della loro rappresentanza interna - delle scelte gestionali/decisionali e dell'attività generale dell'ente che riguardino il rapporto di lavoro, l'organizzazione degli uffici e dei servizi e la gestione complessiva del personale. A tal fine, il CCNL ritiene indispensabile che le Parti - amministrazione, RSA aziendale e XX.XX. di categoria firmatarie del contratto -si incontrino almeno una volta all'anno. Tale cadenza annuale rappresenta il minimo che il Contratto prevede perché
siano rispettati i principi del rapporto che deve intercorrere in modo ottimale tra l'amministrazione aziendale e le rappresentanze sindacali.
L'azienda sanitaria, al fine di rendere trasparente e costruttivo il confronto con le rappresentanze della Dirigenza, deve, inoltre, informare periodicamente e tempestivamente i soggetti sindacali sugli atti di valenza generale, anche di carattere finanziario, che riguardino il rapporto di lavoro, l'organizzazione dei servizi ed uffici e la gestione complessiva delle risorse umane; ovviamente l'informazione obbligatoria deve vertere sugli atti gestionali che riguardino o, meglio, che dispieghino effetti su più dipendenti ovvero su una o più categorie di dipendenti, con esclusione degli atti relativi al singolo Dirigente i quali, se lesivi di un diritto di questi, possono essere oggetto di altre modalità di tutela da parte delle XX.XX.. Le forme di questa informazione non sono specificate nel contratto, per cui l'amministrazione aziendale può procedere nel modo che ritiene più congeniale: comunicati di servizio, ordini di servizio, relazioni informative, ecc.; peraltro, l'informazione, a prescindere dalla forma utilizzata dall'amministrazione, deve essere idonea, laddove per idoneità dell'informazione si deve intendere completezza, chiarezza e tempestività.
L'informazione, nella sostanza, si traduce in un obbligo per una sola delle Parti: l'amministrazione dell'azienda datore di lavoro; il diritto all'informazione, per converso, grava sul soggetto sindacale, il quale può solo pretendere di essere informato di quanto l'amministrazione attua nei settori oggetto dell'informazione, ma può sicuramente attivarsi in sede di contrattazione decentrata per disciplinare al meglio l'istituto dell'informazione, stabilendone le forme, le procedure, le modalità ed i tempi. In ogni caso, l'informazione deve essere tempestiva: sul significato della tempestività non si riscontra cenno alcuno nel CCNL, per cui dobbiamo, quindi, sopperire a tale carenza attingendo al significato che la lingua italiana attribuisce alla parola. Evidentemente non esaurisce correttamente l'obbligo di informazione una amministrazione aziendale che, con puntuale ritardo, comunica alla RSA i provvedimenti che essa va ad adottare, magari sempre dopo aver attivato, sul piano pratico, i provvedimenti stessi. Riteniamo oltremodo auspicabile ed opportuno che tutta l'attività di informazione da parte dell'amministrazione aziendale fosse ispirata ad un carattere preventivo, con comunicazione tempestiva alla RSA, onde metterla in grado di approfondire i problemi e, se del caso, utilizzare gli strumenti a sua disposizione per contestarli ed eventualmente opporvisi.
L'informazione può essere preventiva o successiva; sarebbe auspicabile che in tutte le aziende l'informazione dall'amministrazione alla rappresentanza sindacale sia sempre preventiva, onde consentire a quest'ultima di prendere atto delle attività aziendali sugli argomenti oggetto di informazione in tempo utile per eventuali interventi.
II CCNL del 3 novembre 2005 prevede, all'art. 4, l'obbligatorietà per l'amministrazione aziendale dell'informazione preventiva nelle materie per le quali sono previste la contrattazione integrativa decentrata, la concertazione e la consultazione. Quindi, il contratto ha stabilito al tempo stesso i casi nei quali l'informazione debba essere obbligatoria e preventiva; per le altre materie, almeno in teoria, la informazione può anche essere successiva; sarà l'amministrazione aziendale a decidere di volta in volta, autonomamente e discrezionalmente, le modalità circa i tempi di informazione alla RSA, sempre nel rispetto dei principi generali ai quali si ispira l'informazione.
In ordine ai tempi di ricorrenza dell'obbligo per l'amministrazione aziendale di informazione ai soggetti sindacali, i CCNL utilizzano genericamente il termine "periodicamente", senza peraltro stabilirne la cadenza temporale; solo in un caso individua un tempo preciso, quando sostiene che le Parti, al fine di dare completezza ai processi informativi, si debbano incontrare almeno una volta all'anno.
In via derogatoria a tale principio di incontri annuali, poi, il CCNL del 3 novembre 2005 stabilisce che le Parti debbano incontrarsi tutte le volte che si sia in presenza di: a) iniziative concernenti le linee di organizzazione degli uffici e dei servizi; b) iniziative per l'innovazione tecnologica degli stessi; c) eventuali processi di dismissione, di esternalizzazione e di trasformazione dei servizi stessi; anche in relazione all'opportunità - segnalata dall'art. 11, comma 5, dell'Accordo nazionale quadro sui comparti di contrattazione del 2 giugno 1998 - di realizzare, per il personale del settore sanitario ove operano soggetti pubblici e privati, omogeneità di comportamenti nelle scelte politiche contrattuali in occasione del rinnovo dei contratti collettivi di lavoro, xxxxx restando i rispettivi ambiti di rappresentanza.
Comunque, poiché tutti gli argomenti specifici sopradescritti rientrano tra le materie oggetto di contrattazione integrativa decentrata, è richiesta per essi una informazione obbligatoria e preventiva.
II CCNL stabilisce che l'incontro o gli incontri a scopo informativo tra le due Parti contrattuali possano essere indetti su espressa richiesta dell'amministrazione o della rappresentanza sindacale; questo nel caso in cui non sia necessaria una informazione generica, quale è quella derivante dalla comunicazione alla RSA - a qualsiasi titolo - dell'attività dell'amministrazione che interessi in un qualche modo la gestione del personale.
In determinati casi l'informazione costituisce il presupposto per instaurare un processo che sfocia in un altro istituto contrattuale: la concertazione.
La concertazione.
Cronologicamente, la concertazione rappresenta, la fase successiva a quella dell'informazione; infatti, una volta ottenuta l'informazione, la
rappresentanza sindacale può attivare, con richiesta scritta, la concertazione nelle materie e negli argomenti individuati espressamente dal CCNL per avviarli a soluzione. Anche l'amministrazione aziendale è, peraltro, abilitata ad attivare la concertazione nelle materie indicate dall'art. 6 del CCNL medesimo, per cui può sostenersi che il ricorso a tale istituto rappresenti un diritto/dovere per entrambe le Parti contrattuali, nel senso che ambedue sono obbligate a partecipare agli incontri di concertazione a prescindere dal soggetto che abbia attivato il procedimento.
La concertazione si svolge su una serie di materie, elencate nell'art. 6 del CCNL, ed in relazione ad esse assume due aspetti: concertazione facoltativa e concertazione obbligatoria.
La concertazione si svolge in appositi incontri - da iniziarsi entro 48 ore dal ricevimento della richiesta - nei quali le Parti si adeguano, nei loro comportamenti, a principi di responsabilità, correttezza e trasparenza e devono astenersi, durante tutto il periodo della trattativa, dall'adottare iniziative unilaterali nelle materie in discussione. Gli incontri si devono concludere nel termine di trenta giorni dalla data della richiesta di incontro; dell'esito degli incontri di concertazione viene redatto apposito verbale dal quale devono risultare, oltre il risultato al quale esse sono pervenute, anche le posizioni assunte dalle Parti contrattuali nella relativa discussione. II termine fissato dal CCNL - 30 giorni - non riveste natura di termine perentorio, per cui è possibile che le due Parti riescano a raggiungere validamente un accordo anche oltre la scadenza.
La concertazione investe alcune materie espressamente elencate dall'art. 6 del CCNL 3 novembre 2005, per le quali la rappresentanza sindacale, una volta ottenuta l'informazione, può attivare, mediante richiesta scritta, la concertazione sui criteri generali concernenti alcune materie, le quali, a nostro avviso, rivestono una importanza fondamentale per i Dirigenti del S.S.N.. L'espressione lessicale utilizzata dall'articolo testè citato " I soggetti sindacali, ricevuta l'informazione, possono attivare. " farebbe pensare ad un
carattere di facoltatività della concertazione, nel senso che la rappresentanza sindacale può anche astenersi dall'attivazione di tale istituto; peraltro, altre disposizioni contrattuali si esprimono in maniera tassativa circa una obbligatorietà della concertazione in specifiche materie (risoluzione consensuale del rapporto di lavoro; graduazione delle funzioni dirigenziali; criteri generali che informano i sistemi di valutazione dell'attività professionale dei Dirigenti, ecc). Per cui riteniamo - anche in relazione all'importanza fondamentale che tali argomenti rivestono per il rapporto di lavoro e per gli sviluppi di carriera della Dirigenza del S.S.N. - che si sia trattato di una espressione linguistica più che di una impostazione sostanziale. Le materie oggetto di concertazione vertono sui criteri generali in ordine a:
a. affidamento, mutamento e revoca degli incarichi dirigenziali;
b. articolazione delle posizioni organizzative, delle funzioni e delle connesse responsabilità dei Dirigenti ai fini della retribuzione di posizione;
c. effetti di ricaduta dei sistemi di valutazione dell'attività dei singoli Dirigenti sul trattamento economico;
d. articolazione dell'orario di lavoro e dei piani aziendali per assicurare le emergenze;
e. condizioni, requisiti e limiti per il ricorso alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro.
Nelle materie suindicate il soggetto attivo è sempre il soggetto sindacale, il quale procede- senza dover rispettare alcun limite di tempo dalla informazione ed anche se in determinate ipotesi è opportuno un immediato intervento - nella richiesta di incontro per l'attivazione della fase della concertazione aziendale.
La consultazione.
Il quadro partecipativo del personale all'attività dell'azienda sanitaria alla gestione delle risorse umane, come delineato dai Contratti di Lavoro, è completato con lo specifico istituto della consultazione.
La consultazione si presenta come un istituto che, in relazione alle materie e agli argomenti trattati - riveste un carattere obbligatorio e/o un carattere facoltativo; inoltre, sia il D.L.vo n. 29/1993 sia il D.L.vo n. 626/1994, in materia di tutela protezionistica dei lavoratori sul luogo di lavoro, prevedono alcune forme di consultazione delle XX.XX. del personale della P.A. le quali, ovviamente, devono essere applicate anche ai dipendenti del S.S.N., ivi compresi i Dirigenti.
I Contratti di Lavoro prevedono una forma generica di consultazione, preventiva e facoltativa: l'amministrazione aziendale, infatti, può, prima dell'adozione degli atti interni di organizzazione aventi riflessi sul rapporto di lavoro, consultare il sindacato (RSA e XX.XX. territoriali firmatarie del contratto collettivo nazionale di lavoro).
Invece, quando si tratta di organizzazione e disciplina di strutture ed uffici - ivi compresa quella dipartimentale e distrettuale - di consistenza e variazione delle dotazioni organiche, nonché della tutela protezionistica del personale dirigente, la consultazione è obbligatoria.
Tra gli argomenti oggetto di consultazione obbligatoria, si richiamano i casi previsti dall'art. 19 del D.L.vo n. 626/1994, disposizione che tratta in modo specifico del o dei rappresentanti per la sicurezza nell'azienda sanitaria.
La figura del rappresentante per la sicurezza, obbligatoria in ogni azienda sanitaria - che formalmente si contrappone a quella del Responsabile del
servizio di prevenzione e protezione, anch'essa obbligatoria, scelto discrezionalmente dall'amministrazione aziendale ed a questa legato da un rapporto fiduciario in virtù della predetta scelta - è disciplinata nelle sue grandi linee dagli artt. 18 e 19 del citato D.L.vo n. 626/1994 e successive modificazioni ed integrazioni e in particolare dalla contrattazione collettiva nazionale. II rappresentante per la sicurezza costituisce l'espressione della volontà dei lavoratori dell'azienda sanitaria, in quanto o da loro direttamente eletto ovvero designato dalle loro rappresentanze sindacali.
Nella P.A. - e quindi anche nelle aziende ed enti del S.S.N. - la materia è stata disciplinata dall'Accordo nazionale quadro 5 giugno 1996, il quale ha stabilito:
a) quanto al numero dei rappresentanti per la sicurezza: n. 1, eletto dai lavoratori, nelle amministrazioni che impiegano sino a 15 dipendenti; n. 1, individuato nell'ambito delle rappresentanze sindacali, nelle amministrazioni che impiegano da 16 a 200 dipendenti; n. 3, individuati nell'ambito delle rappresentanze sindacali, nelle amministrazioni che impiegano da 201 a 1000 dipendenti; n. 6 rappresentanti eletti o designati nell'ambito delle rappresentanze sindacali presenti in azienda, nelle amministrazioni che impiegano oltre mille dipendenti;
b) quanto alla formazione del rappresentante per la sicurezza, questa è a carico della Amministrazione e deve essere articolata sulla base di un programma di almeno 32 ore che deve comprendere, oltre le conoscenze generali sui diritti ed i doveri previsti nella normativa di riferimento, anche:
1) conoscenze generali sui rischi dell'attività e sulle relative misure di prevenzione e di protezione; 2) metodologie sulla valutazione del rischio; 3) metodologie minime delle comunicazioni. La formazione del rappresentante per la sicurezza deve essere integrata dall'azienda ogni qualvolta siano introdotte innovazioni che abbiano rilevanza ai fini della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
La consultazione, da parte dell'amministrazione aziendale, della rappresentanza sindacale e, per essa, del o dei rappresentanti per la sicurezza, richiamata dal CCNL all'art. 6, prevede i seguenti casi, tutti indicati dall'art. 19 del D.L.vo n. 626/1994:
a) consultazione preventiva e tempestiva in ordine alla valutazione dei rischi, alla individuazione, programmazione, realizzazione e verifica della prevenzione nell'azienda o nell'unità produttiva;
b) consultazione sulla designazione degli addetti al servizio di prevenzione, all'attività di prevenzione incendi, al pronto soccorso, alla evacuazione dei lavoratori;
c) consultazione in ordine all'organizzazione della formazione dei lavoratori.
Le Commissioni paritetiche e gli Osservatori per specifici argomenti.
II CCNL del 3 novembre 2005 prevede infine la costituzione, a richiesta, di apposite Commissioni bilaterali e di Osservatori per l'approfondimento di specifiche problematiche: in particolare, in materia di organizzazione del lavoro in relazione ai processi di riorganizzazione aziendale ovvero in relazione alla riconversione o alla disattivazione dette strutture sanitarie, in materia di ambiente, igiene e sicurezza del lavoro e in materia di attività formative. Soggetti attivi nel richiedere la costituzione degli organismi di che trattasi sono entrambe le Parti negoziali: l'amministrazione aziendale e la rappresentanza sindacale; compito specifico di essi è quello di raccogliere tutti i dati relativi alle materie oggetto di esame - dati che l'azienda o l'ente ha l'obbligo di fornire loro - e di formulare proposte in ordine ai temi trattati.
Completa il quadro degli istituti partecipativi a livello di azienda o ente del S.S.N., delineato dal CCNL, il Comitato per le pari opportunità, organismo obbligatoriamente istituito e disciplinato in sede di contrattazione collettiva nazionale, sulla base dei principi contenuti nel D.L.vo n. 165/2001 e nella legge 10 aprile 1991, n. 125.
II primo provvedimento, agli artt. 7 e 61, stabilisce che ogni pubblica amministrazione, al fine di garantire pari opportunità tra uomini e donne per l'accesso al lavoro e il trattamento sul lavoro, debba: A) riservare alle donne, salva motivata impossibilità, almeno un terzo dei posti di componente delle commissioni giudicatrici di concorso; B) adottare propri atti regolamentari per assicurare pari opportunità di uomini e donne sul lavoro; C) garantire la partecipazione delle proprie dipendenti ai corsi di formazione e di aggiornamento professionale in rapporto proporzionale alla loro presenza nelle amministrazioni interessate ai corsi stessi, adottando modalità organizzative atte a favorirne la partecipazione, consentendo la conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare; D) adottare tutte le misure per attuare le direttive della U.E. in materia di pari opportunità.
Inoltre, le Pubbliche amministrazioni possono finanziare programmi di azioni positive e l'attività di Comitati di pari opportunità nell'ambito delle proprie disponibilità di bilancio. Ed è proprio in attuazione di questo ultimo principio che il CCNL per la Dirigenza sanitaria, professionale, tecnica ed amministrativa, al pari degli altri contratti del personale - dirigente e non - del comparto del S.S.N., ha previsto la costituzione obbligatoria in ogni azienda sanitaria del Comitato per le pari opportunità. L'organismo in questione provvede a:
== raccogliere i dati relativi alle materie di propria competenza, dati che l'amministrazione aziendale ha l'obbligo di fornire;
== formulare proposte in materia di pari opportunità anche ai fini della contrattazione collettiva, la quale per l'appunto - ai sensi dell'art. 4
comma 2, lett. D) del CCNL - comprende tra gli argomenti di sua competenza anche la pari opportunità;
== promuovere iniziative dirette ad attuare le Direttive comunitarie per l'affermazione sul lavoro della pari dignità delle persone, nonché eventuali azioni positive in applicazione della citata legge n. 125/1991.
II Comitato per le pari opportunità è presieduto da un rappresentante dell'amministrazione aziendale ed è composto da un rappresentante designato da ciascuna delle organizzazioni sindacali firmatarie del CCNL e da un numero pari di rappresentanti dell'azienda sanitaria; quindi, anche il Comitato è un organo paritetico. II presidente del Comitato designa un vicepresidente, che lo sostituisce in caso di assenza o di impedimento, e per ogni componente è previsto un supplente. II Comitato per le pari opportunità rimane in carica quattro anni e, in ogni caso, sino alla ricostituzione del nuovo Comitato in regime di “prorogatio”; i componenti di questo organismo possono essere rinnovati nell'incarico per un solo mandato.
L'azienda sanitaria è tenuta a favorire l'operatività del Comitato, garantendo a tale organismo tutti gli strumenti idonei al suo funzionamento, valorizzando e pubblicizzando, in ambito lavorativo e con ogni mezzo, i risultati del lavoro da esso svolto.
II Comitato deve svolgere una relazione annuale sulle condizioni delle lavoratrici all'interno dell'azienda sanitaria fornendo, in particolare, informazioni sulla situazione occupazionale in relazione alla presenza nelle varie categorie e nei vari profili, nonché sulla partecipazione ai processi formativi.
Quanto alle misure che devono essere adottate in azienda per favorire effettive parità nelle condizioni di lavoro e di sviluppo professionale - che tengano anche nel dovuto conto la posizione del Dirigente in seno alla famiglia - l'azienda sanitaria, sentito il Comitato per le pari opportunità, deve attivarsi sulla pratica attuazione delle seguenti problematiche: A) accesso ai corsi di formazione manageriale; B) flessibilità degli orari di lavoro in rapporto agli orari dei servizi sociali; C) processi di mobilità.
Prerogative e diritti sindacali
In materia di prerogative e di diritti sindacali viene riconfermata la normativa di riferimento contenuta nei vari contratti collettivi nazionali quadro e nei precedenti CC.CC.NN.LL. Si ricorda che la fruizione dei permessi sindacali è consentita a tutte le organizzazioni sindacali rappresentative, intendendo con quest'ultimo termine quelle ammesse alla contrattazione nazionale, a prescindere che successivamente non dovessero risultare firmatarie del relativo CCNL. Rimane confermato, invece, che il diritto di partecipazione
alla contrattazione integrativa discende dalla sottoscrizione del CCNL di categoria.
Si ritiene tuttavia necessario, in questa sede, riassumere i contenuti della normativa in materia di diritti e prerogative sindacali, con la precisazione che tutta la materia è in corso di rivisitazione nel suo impianto complessivo per precisa volontà del Governo.
Lo svolgimento delle attività sindacali nei luoghi di lavoro.
Nel determinare le diverse tipologie di attività sindacali nei luoghi di lavoro il primo riferimento è al diritto di assemblea del personale delle aziende e degli enti del S.S.N. durante le ore di lavoro; seguono, quindi, il diritto di affissione e l'utilizzazione continuativa di idonei locali per l'esercizio delle attività sindacali.
II diritto di partecipare, durante le ore di lavoro, ad assemblee sindacali è riconosciuto a tutti i dipendenti delle aziende sanitarie, ivi compresi i lavoratori con contratto di lavoro temporaneo; le assemblee devono essere tenute in locali idonei concordati tra l'amministrazione aziendale e le organizzazioni sindacali e per un numero di dieci ore annue pro capite senza decurtazione della retribuzione.
I soggetti sindacali - che qui interessano - che sono autorizzati ad indire le assemblee sono: a) RSA aziendali; b) le organizzazioni sindacali di categoria firmatarie del contratto collettivo nazionale per le aree Dirigenziali del S.S.N. Le assemblee, che riguardano la generalità dei dipendenti o gruppi o categorie di essi, possono essere indette singolarmente o congiuntamente con specifico ordine del giorno su materie di interesse sindacale e del lavoro; la convocazione, la sede, l'ordine del giorno e l'eventuale partecipazione di dirigenti sindacali esterni sono comunicate all'amministrazione aziendale, con preavviso scritto, almeno tre giorni prima. L'amministrazione sanitaria - ove per eventuali condizioni eccezionali e motivate fosse costretta ad esigere uno spostamento della data dell'assemblea - deve comunicare per iscritto almeno 48 ore prima questa esigenza alle rappresentanze sindacali che hanno indetto l'assemblea.
La rilevazione dei partecipanti e delle ore di partecipazione di ciascun dipendente all'assemblea sindacale è effettuata dai responsabili delle singole Unità operative e comunicata all'amministrazione aziendale.
Nel caso in cui l'attività lavorativa sia articolata per turni, l'assemblea deve svolgersi, di regola, all'inizio o alla fine di ciascun turno; analoga impostazione deve essere seguita nel caso di uffici con servizi continuativi aperti al pubblico. In ogni caso, durante le ore dell'assemblea, deve essere garantita la continuità delle prestazioni indispensabili nelle unità operative interessate, secondo quanto previsto dal Contratto nazionale collettivo di
lavoro.
Per quanto riguarda, invece, il c.d. diritto di affissione e la disponibilità di idonei locali nei quali svolgere l'attività sindacale, l'Accordo nazionale quadro del 7 agosto 1998 ha sostanzialmente recepito le disposizioni della legge n. 300/1970; infatti, le rappresentanze sindacali (RSU o RSA e organizzazioni sindacali firmatarie del contratto nazionale per il comparto del S.S.N.) hanno diritto di affiggere, in appositi spazi che l'amministrazione dell'azienda sanitaria ha l'obbligo di predisporre, in luoghi accessibili a tutto il personale, pubblicazioni, testi e comunicati inerenti a materie di interesse sindacale e del lavoro, utilizzando, ove disponibili, anche sistemi informatici. Circa i locali, l'Accordo - come del resto lo stesso Statuto dei lavoratori - formula due ipotesi difformi a seconda che si tratti di amministrazioni pubbliche con oltre duecento dipendenti o con meno di duecento dipendenti; ovviamente, con riferimento alle Aziende sanitarie, l'ipotesi più realistica è la prima, in quanto sicuramente essa dispone di oltre duecento dipendenti. Di conseguenza, l'amministrazione aziendale deve mettere a disposizione, permanentemente e gratuitamente, delle rappresentanze sindacali di cui sopra l'uso continuativo di un idoneo locale comune - organizzato secondo modalità concordate tra le due parti - per consentire l'esercizio della loro attività istituzionale. L'obbligo per l'Azienda sanitaria è quello di mettere a disposizione un solo locale da utilizzarsi da tutti i soggetti sindacali; ma, ovviamente, questo impegno rappresenta il minimo, per cui, ove esistano spazi maggiori, nulla vieta all'amministrazione - previa motivata richiesta del Sindacato - di mettere a disposizione di esso più di un locale.
I distacchi, i permessi e le aspettative sindacali.
II delicato problema dei distacchi, dei permessi e delle aspettative sindacali è stato regolamentato, nel tempo, da una serie cospicua di disposizioni. II D.L.vo n. 165/2001 rinvia ad accordi nazionali quadro la disciplina della materia..
II distacco sindacale spetta a tutti i dipendenti - sia a tempo pieno sia a par- time - in servizio con rapporto a tempo indeterminato presso le aziende e gli enti del S.S.N., che siano componenti degli organismi direttivi statutari delle proprie Confederazioni ed organizzazioni sindacali rappresentative. Il distacco sindacale assicura al dipendente che ne fruisce: a) il mantenimento della retribuzione, nei limiti previsti dal contratto nazionale collettivo di lavoro del comparto sanità, per tutta la sua durata; b) il riconoscimento, a tutti gli effetti, del periodo di distacco sindacale come servizio prestato nell'amministrazione, salvo che per il periodo di ferie e per il periodo di prova, che eventualmente resterà sospeso per tutto il periodo del distacco medesimo. Gli Accordi quadro del 7 agosto 1998 e del 9 agosto 2000 stabiliscono un tetto
al numero dei dipendenti e dei dirigenti della P.A. che possono usufruire del distacco sindacale; all'interno del comparto sanità, il contingente di personale al quale attribuire i distacchi sindacali è ripartito per il 90% alle organizzazioni sindacali di categoria rappresentative e per il 10% alle Confederazioni sindacali, garantendo comunque a queste ultime almeno un distacco. Le Associazioni sindacali rappresentative sono le esclusive intestatarie dei distacchi sindacali; la distribuzione dei distacchi in questione tra le Confederazioni e le Associazioni sindacali rappresentative è effettuata sulla base della loro rappresentatività, accertata dall'ARAN, della diffusione territoriale e della consistenza delle strutture organizzative nel comparto sanità.
L'Accordo quadro prevede la flessibilità in tema di distacchi sindacali; infatti, nei limiti del loro numero complessivo, essi possono essere frazionati, nel senso che più dirigenti sindacali possono fruire dello stesso distacco per periodi non inferiori a tre mesi. Ovvero, sempre nel rispetto del numero complessivo, il Dirigente sindacale a tempo pieno può utilizzare - previa intesa del dipendente con l'amministrazione aziendale - il distacco mediante articolazione della prestazione lavorativa al 50%`; in tale caso, il dirigente sindacale può scegliere la riduzione di orario in questione in tutti i giorni lavorativi, ovvero in determinati giorni della settimana, del mese o di determinati periodi dell'anno, purché sia rispettato, come media, la durata del lavoro settimanale prevista per la prestazione ridotta nell'arco di tempo preso in considerazione.
In materia di prerogative sindacali si rileva la conferma, al comma 3 dell'articolo in esame, della distinzione tra la fruizione delle prerogative sindacali, che discende dall'ammissione alla contrattazione nazionale ed è un diritto tutelato dal CCNQ del 7 agosto 1998 e sue successive modificazioni ed integrazioni, ai sensi del d.lgs. n. 165 del 2001, indipendentemente dalla firma dei contratti quadro o di comparto, dal diritto di partecipazione alla contrattazione integrativa che discende dalla sottoscrizione del contratto collettivo nazionale di categoria. Tale ultima materia in armonia con il d.lgs.
n. 165 del 2001 è tuttora disciplinata dall'art. 9 del CCNL dell'8 giugno 2000, che è stato riconfermato dal presente contratto.
Al Dirigente che fruisce dei distacchi sindacali compete il trattamento economico complessivo in atto goduto, ivi compresa la retribuzione di risultato e tutti gli emolumenti legati alla produttività comunque denominati: egli, infatti, è contrattualmente equiparato, a tutti gli effetti, al personale in servizio.
I Dirigenti sindacali possono usufruire nei luoghi di lavoro di permessi sindacali retribuiti, giornalieri ed orari, per l'espletamento del loro mandato (partecipazione a trattative sindacali, a Convegni e Congressi di natura
sindacale); i permessi in questione spettano ai seguenti dirigenti sindacali:
a) ai componenti delle RSA aziendali;
b) ai dirigenti sindacali delle organizzazioni sindacali firmatarie del CCNL.
I permessi sindacali retribuiti, sia giornalieri sia orari, sono equiparati a tutti gli effetti al servizio prestato, anche se nell'utilizzo dei permessi deve essere comunque garantita la funzionalità dell'attività lavorativa della struttura o dell'unità operativa di appartenenza del dipendente. A tal fine, della fruizione del permesso sindacale deve essere previamente avvertito il responsabile dell'unità operativa o della struttura lavorativa, secondo le modalità concordate in sede di contrattazione integrativa decentrata.
L'Accordo/quadro prevede anche la disciplina dei permessi sindacali non retribuiti per la partecipazione a trattative sindacali o a Congressi o Convegni di natura sindacale; tali permessi spettano ai Dirigenti sindacali titolari della fruibilità dei permessi sindacali retribuiti in misura non inferiore ad otto giorni l'anno, cumulabili anche trimestralmente. Per questi permessi è necessaria la comunicazione scritta - del dirigente sindacale interessato, per il tramite della propria associazione sindacale - all'amministrazione aziendale almeno tre giorni prima della fruizione.
I Dirigenti sindacali che ricoprono cariche in seno agli organismi direttivi statutari delle proprie Confederazioni e Organizzazioni sindacali rappresentative possono anche usufruire di aspettative sindacali non retribuite per tutta la durata del mandato.
La tutela del Dirigente sindacale.
L'Accordo/quadro del 7 agosto 1998 si è anche preoccupato della tutela giuridica del dirigente sindacale che riprende servizio al termine del distacco o dell'aspettativa sindacale, sulla falsariga di quanto era stato previsto, a suo tempo, dallo Statuto dei lavoratori per il settore lavorativo privato.
II Dirigente sindacale - che rientra in servizio dopo il periodo del distacco dell'aspettativa sindacale - deve essere ricollocato nel sistema organizzativo dell'azienda sanitaria dalla quale dipende, fatte salve le anzianità maturate e conserva, ove più favorevole, il trattamento economico goduto all'atto del trasferimento mediante l'attribuzione ad personam della differenza con il nuovo trattamento economico previsto, fino al riassorbimento a seguito dei futuri miglioramenti economici.
II Dirigente non può inoltre essere discriminato per l'attività in precedenza svolta nella sua veste di Dirigente sindacale né può essere assegnato ad attività che possano far sorgere conflitto di interesse con la stessa.
Inoltre, il trasferimento di un Dirigente sindacale cessato dal mandato in una unità operativa dell'azienda sanitaria, ubicata in una sede diversa da quella di
assegnazione originaria, può essere effettuata solo previo nullaosta della Organizzazione sindacale di appartenenza o della RSA, ove egli ne sia componente; tale nullaosta è necessario sino alla fine dell'anno successivo a quello della cessazione del mandato sindacale. I Dirigenti sindacali - nell'esercizio delle loro funzioni - non sono ovviamente soggetti al principio della subordinazione gerarchica prevista dalla normativa vigente.
I rapporti con l'amministrazione.
Riteniamo opportuno, infine, fornire un cenno sul problema degli strumenti a disposizione del Sindacato nei rapporti con l'amministrazione aziendale, strumenti che possono suddividersi in:
a) formali, quali le richieste di incontro, di concertazione e di consultazione, ovvero richieste di costituzione di Commissioni bilaterali o di Osservatori per l'approfondimento di particolari problematiche. Ovviamente tali richieste devono assumere la forma scritta, soprattutto per quanto riguarda le richieste di concertazione, dalla cui data decorrono i tempi abbastanza ristretti (30 giorni) stabiliti dal CCNL;
b) riepilogativi, quali i verbali degli incontri tra amministrazione aziendale e sindacato, predeterminati (ordinari) o straordinari, verbali che assumono rilevante importanza in sede di incontri di concertazione, laddove le Parti non trovino una intesa entro i termini stabiliti dal CCNL (30 giorni) e riassumano i propri ruoli e le proprie responsabilità. Ovvero i verbali delle riunioni delle Commissioni e degli Osservatori, verbali che, ovviamente, devono essere firmati da tutti i componenti presenti alle diverse riunioni;
c) meramente informativi, con i quali il Sindacato informa l'amministrazione aziendale della data di una assemblea del personale;
d) di preavviso obbligatorio, con i quali il Sindacato informa l'amministrazione aziendale di iniziative di astensione dal lavoro del personale (sciopero).
Tempi e procedure per la contrattazione integrativa
La costituzione della delegazione di parte pubblica che deve avvenire entro quindici giorni dalla stipula del contratto con obbligo di convocare la delegazione trattante per l'avvio del negoziato comunque entro sessanta giorni dall'entrata in vigore del CCNL, anche in assenza di piattaforme da parte delle organizzazioni sindacali. Le aziende hanno altresì l’obbligo di fornire preventivamente (entro 30 giorni dalla stipula del CCNL) alle organizzazioni sindacali idonea documentazione sull'ammontare dei fondi contrattuali, al fine di consentire un consapevole avvio delle trattative. La contestuale trasmissione alla Regione dei fondi contrattuali consente alla stessa di verificare, ove lo ritenga opportuno, la correttezza procedurale
nell'utilizzo dei fondi. Ciò sembra ben garantire le organizzazioni sindacali, la maggior parte delle quali ha fortemente voluto l'inserimento di tale clausola. La contrattazione integrativa può essere avviata in assenza di piattaforme, in tal caso basandosi su documentazione prodotta dall'azienda e va definita entro il termine finale perentorio di 150 giorni dalla stipula del contratto. Tale termine può essere posticipato solo ove, in presenza di trattative già in fase di conclusione, vi sia un accordo fra le parti debitamente motivato. Si lascia, pertanto, la possibilità alle parti, nella imminenza della conclusione delle trattative, di conservare un minimo di flessibilità che consenta di arrivare, sia pure con qualche ritardo, alla sottoscrizione dell'accordo integrativo.
Si ritiene opportuno richiamare i principi che devono ispirare la conduzione delle trattative: lealtà e buona fede e rispetto della tempistica individuata. Ne consegue un periodo di incontri frequenti ed assidui al fine di pervenire ad una conclusione delle trattative, potendo altresì definire le modalità di svolgimento di detti incontri a livello locale.
Ricostruiamo adesso di seguito l'iter procedurale per la contrattazione integrativa aziendale, come disciplinato dai vari contratti collettivi di lavoro. Il periodo di validità del contratto integrativo corrisponde a quello del contratto nazionale e conserva la sua efficacia fino alla stipula del contratto successivo.
Viene ribadita l'opportunità di affrontare, in una unica sessione negoziale, gli istituti rimessi alla contrattazione, al duplice fine di individuare con la massima puntualità la destinazione delle risorse e, nel contempo, favorire l'efficacia dell'azione contrattuale tra le parti. Anche se nelle realtà aziendali può apparire difficile dare puntuale applicazione a questa regola procedurale sia per la complessità delle relazioni tra la rappresentanza di parte pubblica e le organizzazioni sindacali, sia per la natura stessa del processo negoziale diventa contrattualmente opportuno e per certi versi indispensabile ribadire la necessità e la giustezza di perseguire questo orientamento.
Infatti, oltre che consolidare e sviluppare un approccio culturale di confronto fra le parti impostato sulla verifica del massimo livello di mediazione fra le esigenze dell'azienda e le aspettative e gli interessi dei lavoratori (espressi dalle organizzazioni sindacali), questo metodo diventa indispensabile perché il CCNL è stato costruito seguendo la logica del “budget generale”, con finalizzazioni predeterminate, ma con la possibilità, in sede di contrattazione aziendale, di spostare risorse verso gli obiettivi che si intende perseguire. La logica è quella del “salvadanaio”: individuare priorità e agire di conseguenza e in coerenza nell'ambito della destinazione delle risorse.
La delegazione di parte pubblica deve essere costituita entro quindici giorni dalla sottoscrizione del contratto nazionale. Al coordinatore del tavolo di trattativa (solitamente il Direttore Generale o il suo delegato) spetta di
condurre le trattative, formulare le proposte dell'ente ed esprimere la posizione unitaria della delegazione (di parte pubblica).
L'amministrazione è tenuta a convocare le organizzazioni sindacali entro 15 giorni dalla presentazione delle richieste di parte sindacale. Viene finalmente espressamente chiarito che la mancata presentazione delle piattaforme non è di impedimento all'avvio delle trattative, ma non facilita lo sviluppo di regole mediate ed efficaci, mentre si configura come “obbligo contrattuale” la convocazione da parte dell'Azienda nei termini su descritti.
La delegazione trattante di parte sindacale è costituita dai rappresentanti delle organizzazioni sindacali di categoria territoriali firmatarie del CCNL.
In merito a questa situazione si sottolinea la differenza esistente tra settore privato e settore pubblico in merito ai soggetti ammessi alla contrattazione aziendale; infatti mentre nell'universo privato è consolidata l'assoluta libertà negoziale, in quello pubblico è prevista una apposita e propedeutica procedura e, quindi, una sorta di “tutela giuridica” finalizzata proprio all'individuazione dei requisiti necessari per essere ammessi ai tavoli di contrattazione nei due livelli.
I soggetti ammessi al tavolo negoziale aziendale sono le organizzazioni sindacali firmatarie del CCNL; si può quindi affermare che la mancata firma del CCNL da parte di una Organizzazione Sindacale comporta una “autoesclusione” della medesima, dalle fasi applicative, ivi compresa la contrattazione di secondo livello. La trattativa si conclude con la firma dell'ipotesi di accordo aziendale. Trattandosi di una ipotesi di contratto, i soggetti che non hanno firmato, ovviamente, possono farlo in sede di sottoscrizione definitiva.
Il contratto aziendale è valido, esecutivo ed esigibile se risulta firmato dalle parti contraenti e più precisamente:
== per la parte aziendale dal Direttore generale
Se la firma posta è quella del suo delegato, l'ipotesi contrattuale deve essere recepita formalmente dal Direttore generale a conferma che il testo sottoscritto corrisponde al mandato assegnato dai responsabili delle singole organizzazioni al delegato.
== per la parte sindacale
Nella contrattazione a livello aziendale, relativa alle aree della dirigenza, non trova applicazione la regola della media tra il dato elettorale e il dato associativo (prevista per il Rappresentanza Sindacale Unitaria (RSU) aziendale. L'Aran, supportata da un parere del Dipartimento della funzione pubblica, ha calcolato la rappresentatività solo sulla base del numero delle deleghe (dato associativo che deriva dal numero di adesioni alla sigla sindacale rilasciate all'amministrazione e inviato all'Aran a cura della Pubblica amministrazione e controfirmato da un rappresentante sindacale
nella salvaguardia della riservatezza delle informazioni), con l'esclusione della media con il dato elettorale.
La azienda o ente ha l'obbligo di trasmettere l'ipotesi di accordo, unitamente alla relazione illustrativa tecnico finanziaria, al Collegio Sindacale, al quale spetta verificare che gli oneri derivanti dall'applicazione delle clausole del contratto integrativo aziendale siano coerenti con i vincoli posti dal contratto nazionale e con il bilancio aziendale. In quest'ambito va ricordato, che in caso di rilievi l'azienda agisce analogamente all'ARAN verso la Corte dei Conti nell'ambito della contrattazione nazionale ovvero è tenuta a fornire i chiarimenti al collegio sindacale e, se questo non li ritenesse sufficienti, riconvoca il tavolo negoziale.
La tempistica è speculare a quella stabilita per la contrattazione nazionale. Viene, inoltre, confermato l'obbligo, per le amministrazioni, di trasmettere all'ARAN, entro cinque giorni dalla sottoscrizione definitiva il contratto integrativo ai sensi dell'articolo 46, comma 5 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Sono nulle le clausole contrattuali non conformi o difformi al CCNL (articolo 4, comma 5).
Alcune note a margine: con l'entrata in vigore del contratto integrativo si è aperta una nuova fase, non meno complessa della precedente, e cioè quella che riguarda l'applicazione e la gestione degli istituti contrattuali, nel rispetto dei tempi di applicazione. In questo ambito è importante sottolineare che tra gli istituti aventi riflessi economici e che annualmente devono essere contrattati, rientra la determinazione dei fondi contrattuali e i sistemi di incentivazione al risultato. Tali materie caratterizzano il processo di negoziazione annuale, determinando e prefigurando delle possibili modificazioni e novazioni di clausole contrattuali integrative.
Si rammenta che le norme contrattuali hanno carattere vincolante per le parti e quindi la loro non applicazione dà diritto al soggetto che si ritiene leso di avviare una specifica azione di tutela.
Infine un ultimo richiamo alla normativa nazionale vigente in materia di contrattazione aziendale; tale legislazione e più precisamente il decreto legislativo n. 165/2001, articolo 46, comma 7 prevede la possibilità, per le Aziende, di richiedere la presenza dell'ARAN stessa al tavolo della negoziazione e ciò può avvenire o attraverso la figura della “rappresentanza”(sostituzione vera e propria della delegazione pubblica) o della “assistenza” (in forma di coadiuvante della delegazione aziendale).
LACONTRATTAZIONE COLLETTIVANEL D.LGS. 150/2009.
Uno schema di sintesi.
Il d.lgs. n. 150 del 2009 ha apportato rilevanti modifiche in materia di contrattazione collettiva e poteri del datore di lavoro nell'ottica di avvicinare
la disciplina del pubblico impiego a quella del lavoro privato. Le novità legislative incidono, modificandolo in maniera sostanziale, sul testo del d.lgs
n. 165 del 2001 che, oltre a costituire la principale fonte di disciplina del lavoro pubblico, detta le regole fondamentali della contrattazione collettiva. Le innovazioni di maggiore rilievo possono essere così sintetizzate:
1. Ambito di operatività della contrattazione collettiva (art. 2 , art. 9 d.lgs. 165/2001)
La legge statale torna ad essere la fonte principale in materia di pubblico impiego regolandone in maniera inderogabile gli aspetti più rilevanti. Il nuovo testo dell'art. 2 del d.lgs. 165 del 2001 prevede che gli accordi e contratti collettivi possano derogare alla legge ai regolamenti e agli statuti solo se espressamente previsto: le disposizioni contrattuali in contrasto con norme di legge imperative sono nulle ed automaticamente sostituite. Ne deriva un nuovo ruolo del legislatore nazionale che regolerà a livello centrale gli aspetti salienti del rapporto di lavoro con la conseguente riduzione dell'autonomia contrattuale delle parti.
2. Riduzione delle materie oggetto di contrattazione collettiva. (art. 5, art. 40 d. lgs. 165/2001)
Gli ambiti sui quali può incidere la contrattazione collettiva vengono sensibilmente ridotti specularmente al rafforzamento dei poteri e delle prerogative dirigenziali. Il nuovo art. 5 del d.lgs. 165/2001, infatti, prevede che le determinazioni relative all'organizzazione degli uffici e alla gestione dei rapporti di lavoro debbano essere assunti in via esclusiva dagli organi di gestione dell'ente “con le capacità ed i mezzi del privato datore di lavoro”, mentre alle XX.XX. rimane esclusivamente il diritto all'informazione, se prevista dai contratti collettivi nazionali di comparto.
La contrattazione collettiva ora riguarderà le seguenti materie: diritti e gli obblighi pertinenti al rapporto di lavoro; relazioni e prerogative sindacali; procedimento disciplinare, valutazione prestazioni, mobilità e progressioni economiche (esclusivamente nei limiti imposti dalla legge); vincoli, limiti, soggetti e risorse della contrattazione integrativa; composizione del fondo per la contrattazione decentrata; struttura contrattuale, rapporti tra i diversi livelli e durata dei contratti collettivi garantendo la coincidenza tra la vigenza della disciplina giuridica e quella economica.
Mentre saranno espressamente escluse: l'organizzazione degli uffici, le materie oggetto di partecipazione sindacale, gli atti di gestione dei rapporti di lavoro, il conferimento e la revoca di incarichi dirigenziali.
3. Nuova composizione del trattamento accessorio, legato alla performance individuale e collettiva (art. 40, art. 45 d. Lgs. 165/2001)
L'introduzione del criterio per cui il trattamento accessorio debba essere legato alla valutazione della performance, che costituisce il cuore della
Riforma Xxxxxxxx, incide anche sulle relazioni sindacali perché sarà la contrattazione decentrata a stabilire la nuova composizione dei fondi per il trattamento accessorio. Il d.lgs. 150 del 2009 impone al tavolo della contrattazione decentrata di destinare la quota prevalente del fondo ai profili del trattamento accessorio legato alla valutazione delle performance individuali del dipendente.
Inoltre, nell'intento di snellire le procedure e dare concreta applicazione al principio ispiratore della riforma che collega la premialità e l'incentivazione al merito, la legge prevede che, nel caso in cui non si raggiunga l'accordo, l'amministrazione può provvedere autonomamente, seppur in via provvisoria, sulle materie oggetto di contrattazione (art. 40, comma 3ter).
4. Controlli sulla contrattazione integrativa (art. 40bis d.lgs. 165/2001)
I contratti integrativi saranno sottoposti a controlli finalizzati a verificarne, per un verso, la compatibilità con i vincoli e i limiti di competenza imposti dalla contrattazione e dalle norme di legge e, dall'altro, il rispetto dei vincoli finanziari. Quest'ultima verifica avviene attraverso un controllo preventivo effettuato dal collegio sindacale. Sulla stessa linea si pone l'obbligo per le PP.AA. di inviare al Ministero dell'economia e delle finanze entro il 31 maggio di ogni anno, specifiche informazioni riguardanti i costi della contrattazione integrativa, il rispetto dei vincoli finanziari, il livello di attuazione dei criteri improntati alla premialità, al merito e alle performance individuali. Inoltre è imposto l'obbligo di pubblicazione del contratto integrativo stipulato sul sito internet dell'amministrazione.
5. Risorse finanziarie e contenuti della contrattazione nazionale (art. 48 d.lgs. 165/2001)
L'onere finanziario derivante dalla contrattazione sarà previsto a carico del bilancio dello Stato ed inserito nella legge finanziaria. Tuttavia, per alcuni enti, tra cui le università, gli oneri derivanti dalla contrattazione collettiva nazionale sono a carico dei rispettivi bilanci. Anche la contrattazione nazionale dovrà prevedere trattamenti economici collegati alle performance individuali ed organizzative (intese come quelle riferite all'amministrazione nel suo complesso e alle aree organizzative e di responsabilità in cui si articola l'ente) e allo svolgimento di attività disagiate. Inoltre, i CCNL non potranno derogare alle norme sulla valutazione che saranno inserite nei contratti collettivi a partire dal biennio 2010/2012.
6. Nuove procedure di contrattazione e numero dei comparti (art. 40, c.II, art. 47 d. lgs. 165/2001)
Il d.lgs. 150 del 2009 ha ripristinato i controlli del Governo ed eliminato l'eventualità dell'automatica entrata in vigore del contratto decorsi 40 giorni dall'inizio della procedura di certificazione dell'accordo. Rimane ferma l'ipotesi di silenzio-assenso nel caso in cui la Corte dei Conti non certifichi in
ordine alla quantificazione dei costi contrattuali entro 15 giorni dalla presentazione. La mancata certificazione da parte della Corte dei Conti impedirà la stipula dell'accordo. Il numero dei comparti di contrattazione sarà ridotto al numero massimo di 4, la cui composizione sarà stabilita dalla contrattazione.
7. Tutela retributiva dei dipendenti (art.47bis d.lgs 165/2001)
Nel caso in cui l'accordo contrattuale non sia stato ancora concluso è prevista l'erogazione provvisoria degli incrementi previsti dalla Finanziaria ed un'anticipazione dei benefici contrattuali attribuibili al momento del rinnovo del CCNL.
8. Sanzioni disciplinari e contrattazione collettiva(art. 55 d.lgs. 165/2001)
Il d.lgs. 150 del 2009 attribuisce alla contrattazione collettiva il compito di stabilire la tipologia delle infrazioni più lievi e delle relative sanzioni. Inoltre esclude che i contratti possano introdurre strumenti di impugnazione dei provvedimenti disciplinari anche se resta ferma la possibilità di istituire procedure conciliative. Le sanzioni gravi, invece, saranno previste dalla legge e applicate esclusivamente dal dirigente. Il D.lgs. 150/2009, infine, introduce nuove gravi fattispecie disciplinari che saranno inderogabili nell'ambito degli accordi collettivi.
9. Modifiche in materia di funzionamento e composizione dell'ARAN. (art. 41 e art. 46 D.lgs.165/2001)
L'art. 46 del d.lgs. 165/2001, relativo all'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni, contiene alcune novità relative al funzionamento, la composizione ed i compiti dell'ARAN. In particolare prevede che l'ARAN svolga attività di consulenza e di monitoraggio nell'applicazione dei contratti collettivi e possa avvalersi dell'apporto di personale proveniente dai ruoli delle amministrazioni rappresentate. Sono, inoltre definiti alcuni casi specifici di incompatibilità per il personale dell'Agenzia.
L'art. 41 del d. lgs. 165/2001, inoltre, prevede che per tutte le amministrazioni dello Stato, diverse dagli enti locali, operi come comitato di settore il Presidente del Consiglio dei Ministri coadiuvato dal Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca per il comparto di competenza.
10. Modifiche ai procedimenti negoziali per il personale ad ordinamento pubblicistico- vigenza temporale dei contratti collettivi
L'art.63 del d.lgs.150 del 2009 incide su una serie di articolati normativi disponendo che la vigenza dei contratti collettivi in materia di pubblico impiego passi da quattro a tre anni in modo omogeneo per la parte giuridica e per quella economica.
11. Adeguamento dei Contratti collettivi vigenti alla nuova disciplina
L'art. 65 del d.lgs.150 del 2001 prevede che entro il 31 dicembre 2010 i
contratti integrativi vigenti dovranno adeguarsi alle nuove disposizioni altrimenti perderanno efficacia alla data del 01 gennaio 2011. Il medesimo articolo prevede che l'ARAN avvierà la contrattazione collettiva nell'ambito dei nuovi comparti tenendo conto dei dati rappresentativi delle XX.XX. relativi al biennio 2008-2009.
Tutte le previsioni in materia di contrattazione collettiva ed integrativa, ivi comprese pertanto le problematiche alla stessa demandate o riconducibili (es. premialità), contenute nel D.Lgs. 150, vanno coordinate dal punto di vista della entrata in vigore e dei tempi di attuazione, con le disposizioni contenute nella cosiddetta “finanziaria d'estate” (D.L. 78/2010 convertito in legge 122/2010) che ha bloccato la contrattazione collettiva e, pertanto, i rinnovi contrattuali per tutto il triennio 2011-2013.
LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA NEL D.LGS. 150/2009. UNA ANALISI RAGIONATA
Gli obiettivi principali della riforma.
Nel sistema normativo precedente alla riforma in esame, il legislatore si era impegnato, già con la legge delega 23 ottobre 1992 n. 421 e con il relativo decreto attuativo 3 febbraio 1993, n. 29, a traghettare il personale delle pubbliche amministrazioni (salvo alcune esclusioni soggettive e relative ad alcune materie) dal regime specifico di diritto pubblico alle disposizioni generali del codice civile, dello statuto dei lavoratori e della legislazione speciale del lavoro applicabili al settore privato, in tal modo segnando il passaggio dalla legge al contratto (soprattutto collettivo) come fonte di regolamentazione del rapporto di pubblico impiego. Il sistema era caratterizzato dalla fine della supremazia speciale della Pubblica Amministrazione e dalla sua riconduzione ad un rapporto paritario in termini privatistici tra le parti del rapporto di lavoro; si era anzi prevista, in linea generale, quale regola disciplinatrice del rapporto tra le fonti di regolamentazione del rapporto di lavoro, la possibilità per il contratto collettivo di poter derogare alle disposizioni di legge in materia di rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazioni. Si prevedeva che il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche fosse disciplinato dalle disposizioni del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa e si stabiliva che i rapporti individuali e di impiego venissero regolati contrattualmente. Tutto ciò dava chiara l'idea dell'avvenuta contrattualizzazione del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.
Anche se la modifica del regime dei rapporti di lavoro, che venivano ricondotti nell'ambito della disciplina privatistica, non cambiava la natura del datore di lavoro, che rimaneva sempre pubblica, con la privatizzazione del rapporto si
attuava una parificazione dei poteri di gestione del datore di lavoro pubblico rispetto a quello privato.
In buona sostanza, gli atti di gestione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni dovevano considerarsi atti di diritto privato e non di diritto amministrativo, con la conseguenza, sul piano processuale, che competente a decidere diveniva il giudice ordinario, il quale poteva sindacare l'atto di gestione del datore di lavoro pubblico al pari dell'atto del datore di lavoro privato, sotto il profilo della motivazione.
Veniva introdotto il principio della coesistenza delle fonti, pubblicistiche e privatistiche, ad ognuna delle quali viene attribuita una competenza specifica: in particolare, l'organizzazione degli uffici è affidata a fonti pubblicistiche (legge, atti normativi ed amministrativi), mentre i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche a fonti di carattere privatistico (disposizioni del codice civile, leggi sul lavoro subordinato nell'impresa, contratto collettivo ed individuale).
Nel sistema normativo dell'epoca (poi confluito nel d.lgs. 165 del 2001, recante il testo unico per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni), rilevante e decisiva importanza veniva attribuita dal legislatore al contratto collettivo, cui veniva riconosciuto un ruolo autonomo, che diviene lo strumento privilegiato di disciplina del rapporto di lavoro pubblico.
Sul piano delle fonti, si stabiliva che eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto sopravvenute che introducessero discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità fosse limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, le stesse potevano essere derogate da successivi contratti o accordi collettivi e, per la parte derogata, non erano ulteriormente applicabili, salvo che la legge disponesse espressamente in senso contrario.
Si consentiva così la deroga da parte del contratto collettivo alla legge.
Tale sistema, improntato ad un paritetico e imparziale, almeno formalmente, rapporto tra fonte pubblicistica e fonte contrattuale, si è rilevato, con il passare degli anni, inadeguato e non privo di inconvenienti: infatti, da un lato lo strumento contrattuale è stato utilizzato meglio e più efficacemente dalla parte sindacale (spesso non per esigenze di interesse pubblico, ma per esigenze di tutela degli interessi collettivi propri non coincidenti con le prime), mentre per altro verso di fatto il potere datoriale è stato relegato ad un ruolo marginale, ed i dirigenti hanno trovato comodo adagiarsi sui risultati della contrattazione: ciò ha comportato da un lato che il contratto collettivo ha invaso materie riservate alla legge e ai regolamenti di organizzazione, e, dall'altro lato, che una contrattazione collettiva non governata, e certamente non rispondente alle esigenze di buon funzionamento delle amministrazioni, ha fatto perdere alla p.a. importanti istituti di direzione ed organizzazione del
lavoro (si pensi alla regolamentazione delle procedure di progressione interna, o alla disciplina dei contratti a tempo determinato, o ancora alla regolamentazione degli orari di servizio e di apertura degli uffici al pubblico). Tra gli elementi di disfunzione si evidenziano:
a) crescita complessiva della spesa del personale, per effetto dell'incremento delle retribuzioni di fatto dei pubblici dipendenti, soprattutto attraverso la contrattazione integrativa;
b) costante prassi dei ritardi nei rinnovi contrattuali, derivante dalle stesse procedure contrattuali; la difficoltà, a monte, nella definizione delle risorse per la stipulazione dei contratti collettivi per un determinato biennio economico, si è tradotta inevitabilmente nello slittamento, anche di diversi anni rispetto al suddetto biennio, dell'avvio della trattativa, con inevitabili ricadute anche sulle legittime attese dei lavoratori;
c) scarso apporto all'accrescimento quantitativo e qualitativo delle attività e dei servizi delle Pubbliche Amministrazioni;
d) logica distributiva o meramente amministrativa che vede ancora oggi, in molte esperienze applicative, il contratto integrativo come mero strumento per il riparto delle risorse o come adempimento amministrativo per corrispondere gli emolumenti a carico del fondo, con la conseguente distribuzione “a pioggia” dei compensi;
e) non rari sconfinamenti della contrattazione collettiva anche negli ambiti regolativi riservati alla legge; accanto a questa, si è riscontrata anche la tendenza, a livello locale, della contrattazione integrativa a regolamentare materie che, in realtà, sulla base del contratto nazionale sono riservate solo agli istituti della partecipazione (informazione, consultazione, concertazione).
Proprio per ovviare a questi inconvenienti, il legislatore del d.lgs. 150 del 2009 ha previsto innanzitutto che non vi è più un potere generale del contratto collettivo di derogare alle disposizioni di legge in materia di rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, ma che tale potere può essere riconosciuto al contratto solo ove esplicitamente richiamato dalla legge con riferimento alle singole fattispecie; infatti, ai sensi dell'art. 2, comma 2, del nuovo testo del D.Lgs. 165/2001, come modificato dal D.Lgs. 150/2009,“I rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle legge sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto, che costituiscono disposizioni a carattere imperativo. Eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi, possono essere derogate da successivi contratti o accordi
xxxxxxxxxx e, per la parte derogata, non sono ulteriormente applicabili, solo qualora ciò sia espressamente previsto dalla legge”.
Con la riforma, dunque, cambia radicalmente il rapporto tra le fonti di disciplina del rapporto lavorativo pubblico: prima si dava la possibilità a futuri contratti di modificare le norme contenute in fonti legislative a meno che le stesse non prevedessero l'immodificabilità delle stesse; oggi si prevede che, affinché un contratto possa modificare una disposizione normativa, è necessaria una previsione esplicita.
Risulta quindi definitivamente tramontata la precedente preoccupazione del legislatore di tutelare l'area riservata alla contrattazione da possibili invasioni della fonte legislativa, laddove oggi la preoccupazione legislativa è esattamente l'opposta, ossia restringere il più possibile gli spazi che nel tempo l'autonomia collettiva è riuscita a ritagliarsi, sebbene ciò implichi in parte anche un arretramento dell'autonomia dell'amministrazione.
Si è così passati dalla delegificazione alla rilegificazione, e si assiste ad un fenomeno di “unilateralizzazione” del rapporto di impiego, restando il ruolo del sindacato e della contrattazione collettiva notevolmente ridimensionato, sia sotto il versante dell'organizzazione del lavoro e del rapporto tra dirigente e dipendenti, sia con riferimento alla determinazione dei trattamenti economici.
Il nuovo art. 2 del decreto dispone oggi che le disposizioni di legge contenute nel testo unico del pubblico impiego hanno carattere imperativo, e non sono suscettibili di essere derogate dalla contrattazione collettiva né in pejus né in melius.
Nel segno dell'indebolimento dell'autonomia contrattuale è anche il richiamo agli artt. 1339 e 1419 comma 2 del codice civile, per il caso di nullità delle clausole contrattuali per violazione di norme imperative o dei limiti fissati dalla contrattazione collettiva nazionale.
Rispetto ad un rapporto paritetico delle due fonti disegnato dal previgente articolo, la riforma riassegna un ruolo prioritario alla legge, in quanto contenenti regole ed istituti fondamentali per assicurare l'efficacia e l'efficienza delle strutture pubbliche.
Le competenze della contrattazione.
Oltre a quanto appena detto con riferimento al nuovo rapporto tra la legge ed il contratto collettivo, con la riforma cambia anche l'oggetto della contrattazione, la cui competenza viene ad essere circoscritta.
Il vecchio sistema vedeva la contrattazione collettiva munita di competenza generale e residuale in merito alla gestione del rapporto di lavoro, svolgendosi essa, “su tutte le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali”; la norma veniva interpretata estensivamente, fino a
ritenere negoziabili tutte le materie e tutti gli istituti comunque connessi, anche se solo indirettamente, al rapporto di lavoro, con la conseguenza che la contrattazione nazionale aveva finito spesso per occuparsi di materie riservate alla legge e ai regolamenti di organizzazione, e la contrattazione decentrata aveva disciplinato a livello locale materie che, in realtà, sulla base del contratto nazionale erano riservate solo agli istituti della partecipazione (informazione, consultazione, concertazione).
Più a monte, poi, nel sistema precedente la riforma, restava fermo che, nella dimensione privatizzata del lavoro pubblico, la contrattazione collettiva non era più obbligatoria, come avveniva nell'ambito del precedente impianto pubblicistico, essendo rimesso essenzialmente alla forza delle parti sociali la composizione concreta degli interessi in conflitto (l'unica ipotesi di contrattazione obbligatoria era quella espressamente prevista dalla legge relativamente al trattamento economico, fondamentale ed accessorio, del personale).
A quanto detto va poi aggiunto che, mentre nella prima fase di riforma erano qualificati come privatistici solo i poteri di gestione del rapporto di lavoro (testo originario dell'articolo 4 del d.lgs. n. 29 del 1993), nella seconda fase dettata dal d.lgs. n. 80 del 1998 (e poi confluita nel D.Lgs. 165/2001) era stato parzialmente ricondotto all'ambito regolamentare privatistico anche il potere di organizzazione degli uffici, con limitato riferimento ai c.d. atti di micro organizzazione, che venivano sottratti al regime pubblicistico precedentemente operante per gli stessi. In tale contesto, la demarcazione tra atti di micro e di macro organizzazione veniva rimessa all'interprete e, quindi, alle stesse parti sociali, sebbene una linea orientativa era contenuta nell'art. 2, che elencava le materie necessariamente riservate alla legge ed agli atti unilaterali amministrativi (ossia le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, la individuazione degli uffici di maggiore rilevanza ed i modi di conferimento della titolarità degli stessi; la determinazione delle dotazioni organiche complessive), laddove, al di là di tale elenco, tutte le altre materie comunque attinenti all'organizzazione degli uffici erano ricondotte all'area privatistica della micro-organizzazione.
Ciò aveva consentito un intervento dei poteri sindacali non solo nella definizione delle regole per la disciplina del rapporto di lavoro ma anche nella stessa amministrazione e gestione del personale, con accordi non aventi contenuto normativo ma assai sovente carattere gestionale, volti alla regolamentazione dei poteri organizzativi del datore di lavoro più che dei diritti dei lavoratori strettamente inerenti il rapporto di lavoro, con un sostanziale svuotamento delle prerogative manageriali e nella conseguente deresponsabilizzazione della stessa dirigenza.
Che la contrattazione collettiva nazionale potesse assoggettare il potere
organizzativo e gestionale del dirigente agli istituti della partecipazione (informazione, consultazione, concertazione) ed - a volte - anche alla contrattazione aveva effetti assai rilevanti, in quanto dalla negoziabilità della cosiddetta micro-organizzazione, poteva derivare che l'eventuale stipulazione di un accordo gestionale in materia di organizzazione degli uffici avrebbe, paradossalmente, reso indisponibile la materia per la pubblica amministrazione, atteso che, una volta sottoscritto un tale accordo, per effetto dei generali principi di ultrattività e di prorogatio dei contratti collettivi, esso avrebbe trovato applicazione fino al raggiungimento di un nuovo accordo, e sempre che ovviamente le organizzazioni sindacali avessero concordato sull'opportunità di una modifica delle regole già pattuite.
Ne derivava allora l'impossibilità per l'amministrazione di adottare unilateralmente quelle ulteriori modifiche dei propri assetti ritenute necessarie per la tutela del proprio interesse organizzativo come dalla stessa autonomamente valutato, in conformità ai principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'articolo 97 della Costituzione, cui anche l'attività di micro-organizzazione, sia pure in via mediata, è funzionalizzata.
Approfittando della debolezza manifestata dal datore di lavoro pubblico specie a livello decentrato, le materie di partecipazione sindacale, a carattere organizzativo, sono state sovente contrattate, con una risalita della contrattazione a monte della sfera organizzativa, che ha determinato forme di cogestione dai tratti ambigui.
Nel nuovo sistema, invece, si prevede che la contrattazione possa determinare esclusivamente i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, e, per altro verso, le materie relative alle relazioni sindacali; sono inoltre indicate le materie nelle quali la contrattazione non può ingerirsi. Ai sensi dell'art. 40 del D-Lgs. 165 novellato, infatti, “La contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonché le materie relative alle relazioni sindacali”.
Con l'espressione «diritti ed obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro», la competenza della contrattazione risulta ora circoscritta esclusivamente alla sola regolamentazione di quelle situazioni soggettive di debito e credito delle parti che strettamente e direttamente si riferiscono o sono connesse al rapporto di lavoro e che trovano il proprio fondamento nel contratto individuale (ad esempio trattamento economico, durata dell'orario di lavoro, sistemi di inquadramento, riposi, tutela della salute del lavoratore, a tutela della maternità, ferie e festività, trattamento economico, ecc.), e risulta evidente la portata riduttiva delle nuove previsioni rispetto al passato.
L'effettivo ambito di possibile intervento della contrattazione collettiva viene, poi, ulteriormente specificato, anche in negativo, attraverso la previsione di alcuni specifici divieti.
Nel nuovo sistema normativo, allora, resta esclusa dalla contrattazione collettiva l'organizzazione degli uffici; oggi l'intera rete organizzativa è sottratta alla contrattazione e, in buona parte, anche la micro organizzazione. La contrattazione si concentra su come viene condotto il rapporto di lavoro, una volta costituito. Anche le progressioni verticali risultano oggi escluse dall'oggetto possibile di contrattazione; le selezioni interne, in particolare, sono oggi ricondotte alle procedure concorsuali pubbliche espressamente, atteso che l'art. 5 della legge delega e poi l'art. 24 del decreto delegato hanno previsto che le progressioni di carriera avvengano per concorso pubblico, limitando le aliquote da destinare al personale interno ad una quota comunque non superiore al 50% dei posti messi a concorso.
L'art. 40 del D.Lgs. 165 novellato prevede poi che “Nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità e delle progressioni economiche, la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge”.
Dato il carattere imperativo delle previsioni, si dovrebbe ritenere contra legem una diversa disciplina contrattuale che, comunque, prevedesse la contrattazione integrativa o la concertazione sulle materie di cui si è detto; il che implica la creazione di una sorta di scudo totale dei poteri della dirigenza contro ogni forma di pressione sindacale.
La riappropriazione di una serie di materie decisive della disciplina del rapporto di lavoro da parte della legge rompe la posizione di parità delle parti contrattuali, e in conseguenza della profonda sfiducia del legislatore sulle capacità delle parti contrattuali pubbliche di affrontare la contrattazione con la corretta interpretazione del ruolo del datore di lavoro e la volontà di affermarsi come vera e propria controparte dei sindacati, la legge delega (Legge 15/2009) prima ed il Decreto delegato poi (D.Lgs. 150/2009) annullano, di fatto, il valore della contrattazione.
Da ultimo, sul piano economico, la riforma intende eliminare la distribuzione a pioggia di incentivi e di premi ai dipendenti pubblici, introducendo un sistema che consenta di legare la distribuzione delle risorse disponibili all'effettiva produttività dei lavoratori.
La determinazione delle risorse - a differenza delle relazioni sindacali private
- è sottratta alle parti sociali ed è frutto delle determinazioni del governo in via esclusiva, non oggetto né di contrattazione nazionale né decentrata: si tratta, in altri termini, di una funzione esclusivamente datoriale ed unilaterale, condizionata dalla disponibilità di risorse pubbliche, definita con leggi finanziarie o di manovra economica. Il contratto collettivo determina solo come utilizzare le risorse, ma non si estende alla quantificazione delle risorse stesse.
Il decreto di riforma prevede oggi che la contrattazione collettiva nazionale, in sede di riparto delle risorse da destinare alla contrattazione collettiva decentrata, sarà vincolata dalla graduatoria di performance delle amministrazioni, dovendo distribuire le risorse in modo da rispettare i diversi livelli di merito previsti dal decreto.
Ai sensi dell'art. 45 comma 3 del D.Lgs. 165 novellato, “I contratti collettivi definiscono, in coerenza con le disposizioni legislative vigenti, trattamenti economici accessori collegati: a) alla performance individuale; b) alla performance organizzativa con riferimento all'amministrazione nel suo complesso e alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola l'amministrazione; c) all'effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate ovvero pericolose o dannose per la salute”. E l'art. 40, comma 3-bis, aggiunge che “la contrattazione collettiva integrativa assicura adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l'impegno e la qualità della performance ai sensi dell'articolo 45, comma 3. A tale fine destina al trattamento economico accessorio collegato alla performance individuale una quota prevalente del trattamento accessorio complessivo comunque denominato”.
I trattamenti integrativi ed accessori non sono più agganciati alla produttività, ma alla performance individuale ed organizzativa: il cambiamento non è privo di significato, in quanto, mentre la produttività si concentra sull'aspetto neutrale ed oggettivo della quantità di lavoro svolto in un determinato periodo di tempo, la performance attiene prevalentemente alla rispondenza tra risultati raggiunti ed obiettivi programmati.
Con riferimento, poi, alla regolamentazione delle relazioni sindacali, la contrattazione collettiva dovrà disciplinare la struttura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli, la durata dei contratti collettivi nazionali ed integrativi (art. 40 comma 3).
La legge, peraltro, stabilisce limiti penetranti alla contrattazione collettiva: così, quanto alla struttura contrattuale, se i contenuti del contratto e lo schema delle clausole sono lasciati alla contrattazione collettiva, la norma pubblicistica definisce già i rapporti tra i diversi livelli, prevedendo che la contrattazione decentrata non possa violare i vincoli posti dalla contrattazione collettiva nazionale a pena di nullità delle clausole connesse.
Ai sensi della disposizione dell'art. 40 comma 3-bis, “Le pubbliche amministrazioni attivano autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa, nel rispetto dell'articolo 7, comma 5, e dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. ... La contrattazione collettiva integrativa … si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi
prevedono”.
Fondamentale, altresì, la norma dell'art. 40, comma 3-quinquies, introdotta dalla riforma nel t.u., secondo la quale “la contrattazione collettiva nazionale dispone, per le amministrazioni di cui al comma 3 dell'articolo 41, le modalità di utilizzo delle risorse indicate all'articolo 45, comma 3-bis, individuando i criteri e i limiti finanziari entro i quali si deve svolgere la contrattazione integrativa. Le pubbliche amministrazioni non possono in ogni caso sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con i vincoli e con i limiti risultanti dai contratti collettivi nazionali o che disciplinano materie non espressamente delegate a tale livello negoziale ovvero che comportano oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Nei casi di violazione dei vincoli e dei limiti di competenza imposti dalla contrattazione nazionale o dalle norme di legge, le clausole sono nulle, non possono essere applicate e sono sostituite ai sensi degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile. In caso di accertato superamento di vincoli finanziari da parte delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, del Dipartimento della funzione pubblica o del Ministero dell'economia e delle finanze è fatto altresì obbligo di recupero nell'ambito della sessione negoziale successiva”.
Quanto alla durata dei contratti collettivi, la norma stabilisce il principio della coincidenza fra la vigenza della disciplina giuridica con quella economica, fissandola in tre anni.
Si ricorda infine che gli istituti della partecipazione, si tratta di materie escluse dalla contrattazione per il resto, sicché gli istituti di partecipazione, cioè le forme mediante le quali i sindacati possono essere coinvolti per concertare o per essere sentiti a livello esclusivamente consultivo in merito a decisioni concernenti l'organizzazione, non potranno mai divenire oggetto della contrattazione decentrata a pena di nullità.
Viene dunque esclusa ex professo la contrattabilità delle materie oggetto di partecipazione sindacale, e le stesse modalità relazionali vengono limitate alla sola informazione (allorché prevista dai contratti collettivi) nelle materie relative alla determinazione per l'organizzazione degli uffici ed alle misure inerenti alla gestione del rapporto di lavoro, restando inibita la contrattazione della cd. micro-organizzazione, ponendosi in tal modo un argine rispetto ad ogni ipotesi di sconfinamento o cogestione nelle materie datoriali con un indubbio rafforzamento delle prerogative dirigenziali.
In tema, sotto altro profilo, è poi previsto, per il caso in cui non venga raggiunto l'accordo per la stipulazione di un contratto integrativo, che l'amministrazione si avvalga della possibilità di provvedere unilateralmente in via provvisoria alla materia oggetto del mancato accordo fino alla successiva sottoscrizione.
Comparti, comitati e procedimento di contrattazione. La rappresentatività. Come noto, il contratto collettivo, una volta sottoscritto, acquista efficacia erga omnes, sia per le amministrazioni che per i lavoratori.
Quanto alla vincolatività dei contratti, il problema non si pone per la parte pubblica, che è rappresentata dall'ARAN, che è un organismo unitario: l'art. 45, comma 2.t.u., infatti, impone alle p.a. di “garantire ai propri dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi”. Per converso, la vincolatività dei contratti assume aspetti diversi nei confronti dei dipendenti delle p.a., con particolare riferimento ai non aderenti alle organizzazioni sindacali stipulanti. Sul punto, la sentenza della Corte costituzionale n. 309 del 97 ha affermato che il pubblico dipendente rinviene nel contratto individuale di lavoro la fonte regolatrice del proprio rapporto, e che l'obbligo di conformarsi al contratto collettivo, negozialmente assunto, nasce proprio dal rinvio alla disciplina collettiva contenuta nel contratto individuale: infatti, l'obbligo per la p.a. di assicurare ai dipendenti un trattamento non inferiore a quello garantito dai contratti collettivi, e di applicare condizioni contrattuali uniformi agli stessi impone che, nei contratti individuali di lavoro, siano richiamati quelli collettivi e, tramite il detto rinvio, questi ultimi finiscono per spiegare effetti anche nei confronti dei lavoratori non legati alle organizzazioni sindacali firmatarie degli accordi. La disciplina legale della contrattazione (non modificata formalmente sul punto dalla riforma) detta specifici criteri e modalità per la individuazione del soggetto sindacale da ammettere alle trattative, stabilendo che alle trattative per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali di comparto o di area dirigenziale sono ammesse solo le organizzazioni sindacali che possono considerarsi effettivamente rappresentative nell'ambito del comparto stesso, in quanto godono di un consenso ampio e diffuso tra i lavoratori interessati, verificabile in relazione a due criteri legali di rappresentatività sindacale: 1) le deleghe rilasciate per la riscossione del contributo sindacale a favore di ciascuna sigla sindacale, rispetto al totale delle deleghe nell'ambito considerato; 2) il numero dei voti conseguiti da ciascuna sigla sindacale nelle votazioni per la elezione delle rappresentanze sindacali unitarie, rispetto al totale dei voti.
Sulla base di questi criteri, alle trattative per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali di comparto o di area dirigenziale, sono ammesse solo le organizzazioni sindacali che raggiungono la soglia minima del 5%, espressa dalla media tra il dato associativo (le deleghe per il contributo sindacale) e il dato elettorale (voti conseguiti nell'elezione delle RSU).
Vi è, poi, una regola specifica per la sottoscrizione del contratto collettivo nazionale, che non trova riscontro nel settore del lavoro privato, essendo
previsto che, prima della sottoscrizione dei contratti collettivi nazionali di comparto o di area dirigenziale, l'ARAN deve verificare che le organizzazioni sindacali che intendono procedere alla stipulazione rappresentino, nel loro insieme, almeno il 51 % nella media tra dato associativo ed elettorale o almeno il 60% calcolato con riferimento al solo dato elettorale.
Tale soglia di rappresentatività minima e necessaria per la valida stipulazione dei contratti collettivi nazionali rappresenta anche un preciso requisito di efficacia degli stessi.
Queste regole formalmente non sono state modificate dalla riforma e perciò continueranno a trovare applicazione anche nell'ambito del nuovo sistema contrattuale delineato dal decreto legislativo n. 150 del 2009; tuttavia, va subito evidenziato che la riforma ha inciso in modo rilevante sui comparti, con la conseguenza che anche la rappresentatività -che al comparto si relaziona nel modo su descritto- può risultare in concreta incisa.
Il comparto assume una duplice valenza in materia, essendo l'ambito di riferimento della contrattazione e, nel contempo, della rappresentatività delle organizzazioni sindacali.
Nel sistema precedente alla riforma, nella configurazione dei comparti, le parti negoziali godevano, in relazione alle esigenze da soddisfare ed ai contenuti delle politiche contrattuali perseguite, della più ampia autonomia, incontrando in materia un unico limite generale di natura legale, secondo il quale i comparti devono essere definiti con riferimento a settori omogenei ed affini.
I comparti, in numero di dodici prima della riforma, sono stati quindi ridotti dalla riforma stessa, che -restringendo significativamente l'autonomia negoziale- ha affidato ad appositi accordi tra l'ARAN e le confederazioni rappresentative, nel rispetto delle procedure ex art. 41, comma 5, e 47 del t.u., nonché senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, il compito di ridefinire la rete dei comparti, prevedendo in ogni caso un limite massimo di 4 comparti, a ciascuno dei quali corrispondono altrettante aree per la dirigenza. La riduzione dei comparti risponde all'esigenza di omogeneizzare per quanto possibile la disciplina giuridica ed economica di base, volendosi evitare che nel pubblico impiego si attuino discipline contrattuali troppo diversificate tra loro e non sempre giustificate dalla diversità dei settori dell'amministrazione. La scelta normativa non è peraltro, come si è già anticipato, neutra sotto il profilo della incidenza sui soggetti legittimati alla partecipazione alla procedura contrattuale: infatti, posto che il comparto, come detto, rappresenta anche l'ambito di riferimento per la misurazione della rappresentatività sindacale, è evidente che ogni mutamento della configurazione dei comparti può avere un effetto determinante ai fini del1'individuazione delle organizzazioni sindacali da ammettere alle
trattative. Con l'accorpamento in pochi comparti di tutti quelli precedentemente previsti, infatti, può ben accadere che una organizzazione sindacale rappresentativa in un determinato comparto perda tale qualificazione nell'ambito di quello nuovo conseguente al1'accorpamento, proprio per effetto della confluenza in questo anche di altri comparti, che si traduce in un aumento del numero dei dipendenti in esso ricompresi e, quindi, della stessa base di calcolo su cui applicare le regole per la misurazione della rappresentatività sindacale; ciò, se da un lato può portare ad una semplificazione della delegazione sindacale per le trattative nazionali, mentre importa un'omogeneizzazione delle contrattazioni per amministrazioni pubbliche anche diversissime tra loro, può in concreto incidere nel senso di escludere determinati soggetti prima ammessi. Tale scelta del legislatore comporta il sacrificio di quelle esigenze di specificità e di diversificazione regolativa progressivamente consolidatesi nel tempo, a seguito del decentramento amministrativo avviato nel 1997, che, incentrato sul principio della sussidiarietà e sulla valorizzazione dell'autonomia e delle responsabilità organizzative e gestionali delle amministrazioni (nell'ambito delle diverse tipologie in cui si articola il sistema amministrativo italiano), si era tradotto nella corrispondente crescita dei comparti e delle aree di contrattazione.
I livelli di contrattazione
Il contratto collettivo nazionale di comparto rappresenta ancora il baricentro del sistema contrattuale pubblico, cui è attribuito il compito di definire il trattamento normativo ed economico standard di tutti i lavoratori pubblici del comparto.
È confermata, anche dopo la riforma, quella particolare tipologia di contratto collettivo nazionale rappresentata dai contratti collettivi quadro, in quanto espressamente menzionati anche nel nuovo testo dell'articolo 41, comma 5, t.u., ed al quale è riconosciuta la funzione di regolazione di una determinata materia o di un determinato istituto in modo uniforme per il personale di più comparti.
Quanto alla durata dei contratti collettivi, nel sistema precedente la riforma di che trattasi, nessuna norma di legge aveva definito la durata dei contratti collettivi di lavoro, nazionali ed integrativi, sicché tale aspetto era stato precisato dalla fonte contrattuale, che aveva fissato il periodo di vigenza delle clausole contrattuali in 4 anni per quelle con contenuto normativo ed in 2 anni per quelle concernenti la parte economica.
Con il punto 2 dell'accordo quadro sulla riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009, la materia ha subito una decisa modifica, in quanto la durata del contratto collettivo nazionale di lavoro è stata fissata in 3 anni, tanto per la parte economica che per quella normativa: la modifica si era resa necessaria
per l'esigenza di evitare quel fenomeno di sovrapposizione dei cicli negoziali nazionali ed integrativi che di fatto e spesso, a causa dei ritardi della prima, aveva finito con il paralizzare la seconda.
La pluralità delle amministrazioni pubbliche e la loro autonoma capacità organizzativa e gestionale ha portato negli anni passati allo sviluppo di forme di contrattazione decentrata, in funzione naturalmente integrativa del contratto collettivo nazionale ed adattativa di questo alle peculiarità organizzative e gestionali di ciascuna di esse.
L'obiettivo della valorizzazione della contrattazione di secondo livello è stato poi recentemente assunto come uno dei punti qualificanti del nuovo accordo quadro di riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009, quale strumento per migliorare la produttività e l'efficienza del lavoro pubblico. In quest'ottica da ultimo evidenziata si è posto il legislatore della riforma del decreto n. 150 del 2009, che ha visto nella contrattazione integrativa (quasi solo) uno strumento idoneo a promuovere politiche premiali e meritocratiche del personale, in vista dell'obiettivo finale di una maggiore efficienza dei servizi e delle attività che le Pubbliche Amministrazioni rendono ai cittadini utenti.
Il comma 3-bis dell'art. 40 t.u., introdotto dall'art. 54 del d.lgs. 150 del 2009, valorizza tale ultimo aspetto, ma nel contempo fissa una serie di limiti alla contrattazione integrativa.
In tal senso la contrattazione decentrata è tesa ad assicurare adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, nonché incentivare l'impegno e la qualità della performance.
Proprio l'utilizzazione distorta della contrattazione integrativa, avvenuta in passato quale strumento di distribuzione non selettiva di risorse economiche al personale, ha spinto il legislatore ad intervenire su questo punto, con l'esigenza di legare la legittimità di previsioni contrattuali decentrate di erogazioni premiali ad una effettiva valorizzazione professionale del personale, condizionandone l'attribuzione alla realizzazione di obiettivi di maggiore produttività ed efficienza delle amministrazioni stesse. Tra le violazioni più ricorrenti attraverso l'utilizzo distorto della contrattazione integrativa si segnalano:
•la reiterazione dell'applicazione di incrementi contrattuali, prevista in realtà solo per una certa annualità;
•l'applicazione di incrementi alle risorse decentrate di carattere facoltativo, in assenza dei presupposti previsti dalla legge;
•il mancato rispetto dei criteri fissati dai contratti per la quantificazione del monte salari;
•la mancata restituzione al fondo della contrattazione decentrata delle risorse provenienti dalle posizioni di sviluppo acquisite per progressione
orizzontale, in occasione della cessazione del rapporto di lavoro o della progressione verticale del personale interessato;
•l'attribuzione di indennità non previste dalla contrattazione o comunque incrementi di dette indennità non consentiti;
•l'approvazione di progetti obiettivo, finanziati dai bilanci invece che dai fondi della contrattazione;
•l'attribuzione di salario accessorio legato alla produttività, in assenza della formalizzazione e del concreto funzionamento di servizi di controllo interno e dei nuclei di valutazione, ovvero l'erogazione di tale salario accessorio legate alla produttività, in base alla presenza in servizio ed alle categorie di inquadramento;
•la contrattazione, invece che il ricorso a forme di relazioni sindacali diverse, in relazione alla programmazione delle assunzioni alla determinazione della dotazione organica o della fissazione degli orari di servizio, nonché delle progressioni orizzontali o verticali.
Da ciò l'introduzione di un sistema di vincoli ad opera della riforma, vincoli peraltro a ben vedere connaturati alla stessa natura integrativa e, perciò, secondaria del livello di contrattazione.
Operano in particolare tre distinte classi di limiti:
a) il limite delle materie: la contrattazione decentrata può affrontare solo le materie espressamente ad essa riservate dal contratto collettivo nazionale, ad esclusione di qualsiasi altra;
b) il limite dei vincoli: la contrattazione decentrata non può violare i vincoli finanziari e normativi posti dai contratti collettivi nazionali;
c) il limite procedurale: la contrattazione decentrata si svolge tra i soggetti e mediante le procedure fissate dalla contrattazione collettiva nazionale, che, dunque, detta i criteri per la formazione della parte contrattuale pubblica e sindacale e descrive i termini ed i passaggi fondamentali del procedimento di contrattazione.
Nel sistema della riforma del d.lgs. n. 150 del 2009, le pubbliche amministrazioni non possono in ogni caso sottoscrivere in sede decentrata contratti collettivi integrativi in contrasto con i vincoli e con i limiti risultanti dai contratti collettivi nazionali o che disciplinano materie non espressamente delegate a tale livello negoziale ovvero che comportano oneri non previsti negli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. Nei casi di violazione dei vincoli e dei limiti di competenza imposti dalla contrattazione nazionale o dalle norme di legge, le clausole sono nulle, non possono essere applicate e sono sostituite ai sensi degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile. La sanzione della nullità colpisce solo la singola clausola che vi ha dato luogo, sicché si tratta di nullità parziale, che non determina la nullità dell'intero contratto collettivo. Secondo
le regole generali, la nullità, opera di diritto, non si prescrive ed è rilevabile d'ufficio non solo dal giudice, ma da qualsiasi soggetto chiamato ad applicare la regola nulla.
Inoltre, continuano a trovare applicazione le regole già attualmente vigenti in materia di responsabilità amministrativa. In particolare, la sanzione coinvolge la responsabilità personale dei soggetti chiamati ad applicare le clausole: la colpa grave, se non il dolo, è insita nella stessa applicazione di una regola da riconoscere come nulla.
Quanto ai limiti ulteriori della contattazione integrativa, attraverso il richiamo all'articolo 7, comma 5, del t.u., il comma 3-bis dell'art. 40 introdotto dalla riforma prevede che le pubbliche amministrazioni «non possono erogare trattamenti economici accessori che non corrispondono alle prestazioni effettivamente rese».
La norma, con il garantire l'effettiva operatività di quella leva gestionale rappresentata dal salario accessorio, ed in particolar modo dagli incentivi per la produttività, pone un forte vincolo alla autonomia delle parti negoziali decentrate in ordine alle stesse modalità di utilizzo delle risorse disponibili, e valorizza la posizione del dirigente.
Peraltro osservato la contrattazione integrativa deve destinare «al trattamento economico accessorio del personale collegato alla performance individuale una quota prevalente del trattamento economico accessorio complessivo comunque denominato», questa indicazione potrebbe essere interpretata come una precisa direttiva per la contrattazione integrativa nel senso che la stessa dovrà provvedere a che la quota del trattamento economico accessorio del personale collegata alla performance (il salario di produttività) assuma un carattere prevalente, dal punto di vista quantitativo, nell'ambito del complessivo trattamento accessorio attualmente corrisposto, a discapito, quindi, dei trattamenti indennitari e delle altre voci retributive, comunque, di carattere fisso e continuativo che, oggi, sono previste... E' evidente che, sulla base di tale ultima interpretazione, il vincolo che deriverebbe per la contrattazione integrativa (ma a monte per la stessa contrattazione collettiva nazionale, che rappresenta la cornice di riferimento di quella di secondo livello, anche e soprattutto in materia di istituti del trattamento accessorio) sarebbe indubbiamente rilevante, in quanto implicherebbe una significativa modifica qualitativa e quantitativa delle voci retributive che attualmente compongono il trattamento economico accessorio del personale, in controtendenza alle prassi contrattuali in atto, sia a livello nazionale che decentrato”.
È infine previsto che ogni contratto collettivo integrativo deve essere sempre accompagnato non solo dalla relazione tecnico finanziaria ma anche da una specifica relazione illustrativa, entrambe rese accessibili sia agli organi di
controllo interno che alla collettività.
Di fondamentale importanza in materia è poi la più volte richiamata disposizione che stabilisce il potere dell'amministrazione, in mancanza di contrattazione, di procedere - in via provvisoria - unilateralmente sulle materie oggetto del mancato accordo fino alla successiva sottoscrizione. La norma assesta, oggettivamente, un colpo durissimo alle organizzazioni sindacali, svuotando di fatto l'obbligo a stipulare, tipico della vera e propria contrattazione. Xxxx atti adottati unilateralmente si applicano le procedure di controllo di compatibilità economico-finanziaria previste dall'articolo 40-bis. Con tale norma viene fissato il principio che sulla contrattazione prevale l'interesse pubblico alla continuità dell'azione amministrativa, che non può essere condizionata dalla ricerca obbligatoria del consenso. In altre parole, le amministrazioni sono messe nelle condizioni di proporre loro direttamente e attivamente le piattaforme contrattuali e su quelle perseguire l'accordo; la circostanza che a detto accordo non si pervenga non impedisce alle amministrazioni di andare avanti egualmente, applicando le innovazioni ritenute utili per il miglior funzionamento.
Naturalmente, l'amministrazione, quale datore di lavoro, valuterà anche i rischi di un possibile conflitto che ne potrebbe derivare, con iniziative di lotta o di contrasto che, nella logica propria delle relazioni sindacali, legittimamente potrebbero porre in essere le organizzazioni sindacali, a seguito della mancata stipulazione del contratto collettivo integrativo e delle eventuali discipline unilateralmente adottate dal datore di lavoro pubblico.
Non va dimenticato, peraltro, che allo svuotamento della contrattazione collettiva si è accompagnata, sul piano del rapporto di lavoro, il potenziamento del ruolo della dirigenza: l'esito della riforma è stato proprio quello di ampliare la sfera del potere datoriale ed il numero degli atti rientranti tra gli atti di gestione, per salvaguardarli sia dall'ingerenza della sfera politica sia per sottrarli dalla cogestione degli istituti della partecipazione sindacale.
Il modello che traspare dalla riforma non è allora tanto quello di ridurre lo spazio per la contrattazione a vantaggio di una più pervasiva regolazione per legge, quanto quello che vede “meno contrattazione e più autorità discrezionale”, cioè meno regole, meno vincoli, meno diritti e più poteri ai dirigenti, soprattutto repressivi, con il paradosso di avere un dipendente di un'amministrazione pubblica in una relazione formalmente squilibrata sul piano delle posizioni contrattuali, e senza avere a disposizione un potere collettivo analogo a quello che la disciplina privatistica riconosce nei confronti delle imprese.
Il procedimento di contrattazione.
Nel settore del lavoro privato, le procedure della contrattazione collettiva nazionale si svolgono prevalentemente e quasi esclusivamente sulla base di prassi applicative ormai consolidate, non esistendo alcuna indicazione legislativa al riguardo. Nel settore del lavoro pubblico, invece, la procedura di negoziazione, sin dai suoi esordi all'inizio degli anni settanta, ha sempre trovato la sua fonte di regolamentazione direttamente nella legge, sulla base della considerazione che, coinvolgendo la contrattazione collettiva nazionale l'utilizzo di risorse pubbliche, si poneva necessariamente il problema di assicurare adeguati controlli sulla spesa pubblica e sui risultati della contrattazione stessa. Proprio tale ultimo aspetto si è confermato anche dopo la “privatizzazione” del rapporto di lavoro pubblico come l'elemento principale e soprattutto ineliminabile di specificità della contrattazione nel settore pubblico. Nel settore del lavoro pubblico, quindi, anche dopo l'ultima riforma, la procedura di negoziazione continua a trovare la sua fonte di regolamentazione direttamente nella legge sulla base delle specificità che ancora lo contraddistinguono rispetto all'esperienza del lavoro privato.
La fase preliminare inizia con l'indirizzo che le p.a. esercitano verso l'Aran con proprie istanze espresse tramite i comitati di settore, costituiti per ciascun comparto di contrattazione collettiva: si tratta di organismi per legge previsti per ogni comparto di contrattazione pubblica e costituiti direttamente dalle Pubbliche Amministrazioni, sulla base di loro autonome scelte, espresse attraverso le proprie forme di associazione o di rappresentanza (Comitato di Settore).
In presenza dell'ampio decentramento amministrativo avviato con la legge delega n. 59 del 1997 e del significativo riconoscimento dell'autonomia organizzativa e gestionale e delle relative responsabilità delle Pubbliche Amministrazioni, il legislatore, preso atto della oggettiva diversità (di funzioni, di modello organizzativo, di dimensioni, di bilancio e di ordinamento contabile) che ormai le caratterizzava dal punto di vista soggettivo, attraverso l'introduzione dei comitati di settore, ha inteso predisporre uno strumento idoneo a consentire (mediante la formulazione dell'atto di indirizzo e l'espressione del conseguente parere) una maggiore diversificazione delle discipline contrattuali e il raggiungimento di un risultato negoziale effettivamente rispondente alle esigenze ed alle necessità di ciascun gruppo o tipologia di amministrazioni rappresentate nei comitati stessi.
La nuova regolamentazione, tuttavia, non incide sull'impostazione di fondo della disciplina pregressa: ai comitati di settore resta pertanto attribuito il compito non solo di predisporre gli atti di indirizzo necessari per lo svolgimento dell'attività contrattuale da parte dell'ARAN, ma anche di esprimere il proprio parere sull'ipotesi di accordo raggiunta dalla stessa
XXXX e dalle XX.XX. al termine del confronto negoziale e, ai fini della sottoscrizione definitiva del contratto collettivo nazionale.
Il Comitato di settore delibera gli atti di indirizzo, che sono sottoposti al governo; questo, nei successivi venti giorni, può esprimere le sue valutazioni sulla compatibilità con le linee di politica economica e finanziaria nazionale; trascorso il termine nel silenzio o con il parere favorevole del governo, l'atto di indirizzo è inviato all'Aran.
La fase successiva consiste nell'apertura delle trattative: l'ARAN deve informare costantemente i comitati di settore e il Governo sullo svolgimento della negoziazione.
La trattativa si conclude con l'espressione del consenso sull'ipotesi di accordo, che l'ARAN, corredandola della relazione tecnica illustrativa, deve a sua volta inoltrare ai comitati di settore ed al Governo entro 10 giorni dalla data di sottoscrizione, per i rispettivi pareri.
Inizia, quindi, la fase di controllo sui contenuti dell'ipotesi di accordo.
Da ultimo, va ricordato che, con riferimento alla contrattazione integrativa, il legislatore, anche dopo la riforma del 2009, non detta alcuna disposizione in ordine alle procedure, restando tali aspetti regolati dalla contrattazione collettiva nazionale, introducendo esclusivamente la previsione dell'effettuazione di controlli interni, come si dirà nel successivo paragrafo.
I vincoli e i controlli finanziari
Con riferimento alla contrattazione nazionale, una volta acquisito il parere favorevole sull'ipotesi di accordo, l'ARAN trasmette la quantificazione dei costi alla Corte dei conti, che provvederà alla certificazione di compatibilità con gli strumenti di programmazione e di bilancio (è previsto un meccanismo di silenzio assenso). In caso positivo, il Presidente dell'ARAN sottoscrive definitivamente il contratto collettivo.
La riforma, che lascia nei tratti principali immutata la procedura fin qui esaminata, incide nettamente sulla procedura per il caso di esito negativo del controllo, disponendo che le parti non possono procedere alla sottoscrizione definitiva del contratto collettivo nazionale. Viene, pertanto, meno, a pena della responsabilità del presidente dell'ARAN, la prassi precedentemente diffusa che ha visto in molte occasioni la sottoscrizione definitiva dei contratti collettivi nazionali di lavoro nonostante la certificazione negativa della Corte dei Conti.
Successivamente alla loro stipulazione, i contratti ed accordi collettivi nazionali, così come le eventuali interpretazioni autentiche (“Quando insorgano controversie sull'interpretazione dei contratti collettivi, le parti che li hanno sottoscritti si incontrano per definire consensualmente il significato delle clausole controverse. L'eventuale accordo di interpretazione autentica,
stipulato con le procedure di cui all'articolo 47, sostituisce la clausola in questione sin dall'inizio della vigenza del contratto. Qualora tale accordo non comporti oneri aggiuntivi e non vi sia divergenza sulla valutazione degli stessi, il parere del Presidente del Consiglio dei Ministri è espresso tramite il Ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze”), sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, oltre che sul sito dell'ARAN e delle amministrazioni interessate.
Con riferimento, invece, alla contrattazione integrativa, sin dalla prima disciplina della stessa data dalla legge n. 59 del 1997, il legislatore si era orientato verso il superamento delle previgenti forme di controllo esterno (Corte dei Conti, Coreco) e aveva optato per controlli interni, individuati secondo l'ordinamento proprio di ciascuna di esse. Con l'esperienza pratica, tuttavia, il sistema dei controlli interni aveva dato cattiva prova di funzionamento e la contrattazione integrativa era spesso divenuta un fattore di crescita della spesa pubblica, rilevante ed incontrollabile, idoneo a pregiudicare gli stessi equilibri di finanza pubblica.
Proprio in considerazione di tali aspetti, il legislatore ha presto reintrodotto alcune forme di controllo esterno sulla contrattazione integrativa. Con riferimento alle ultime evoluzioni legislative, la legge 133 del 2008 aveva imposto alle amministrazioni di comunicare alla magistratura contabile gli istituti della contrattazione decentrata forieri di spesa pubblica, ed imposto di sospendere le clausole nulle per violazione dei vincoli della contrattazione collettiva, obbligando l'amministrazione a recuperare le risorse illegittimamente erogate nella successiva sessione negoziale, salva in ogni caso la responsabilità amministrativa.
Con riferimento alla contrattazione integrativa, l'art. 55 riprende tali principi e nel novellare l'art. 40-bis disciplina i controlli sui contratti integrativi, prevede che per tutte le amministrazioni, i collegi dei revisori dei conti o analoghi organismi di controllo contabile operanti negli enti sono tenuti ad effettuare il controllo sulla compatibilità dei costi della contrattazione collettiva integrativa con i vincoli di bilancio e quelli derivanti dall'applicazione delle norme di legge. Tale funzione di verifica deve riguardare, in particolare, le disposizioni inderogabili che incidono sulla misura e sulla corresponsione dei trattamenti accessori.
La norma prevede inoltre un'altra forma di controllo esterno, affidato alla competenza congiunta della Presidenza del Consiglio, Dipartimento della funzione pubblica, ed al Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, che devono accertare la compatibilità economica finanziaria dei contratti integrativi delle amministrazioni che vi sono tenute.
La principale novità del sistema dei controlli attiene peraltro all'ambizione del legislatore di realizzare una trasparenza totale delle amministrazioni ed una accessibilità totale ai loro atti negoziali. In proposito, si prevede, sempre con riferimento alla contrattazione collettiva integrativa, l'invio al Ministero dell'Economia e delle Finanze di dettagliate informazioni sui costi della contrattazione integrativa, la pubblicazione permanente sul sito dell'amministrazione dei contratti integrativi stipulati con relazione tecnico illustrativa, certificata dagli organi di controllo; la trasmissione telematica all'ARAN del testo contrattuale con la relazione tecnico finanziaria allegata (l'Aran esegue il monitoraggio dei contratti collettivi).
La mancata osservanza di tali obblighi comporta, oltre che l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 60 comma 2 del d.lgs. 165 del 2001, il divieto alle amministrazioni inadempienti di procedere a qualsiasi adeguamento delle risorse destinate alla contrattazione collettiva.
L'intento della norma è assicurare la piena conoscibilità e trasparenza della contrattazione collettiva, così da permettere, oltre ai controlli istituzionali, anche controlli diffusi da parte dei cittadini, messi nelle condizioni di verificare come gli enti investono le risorse sulla produttività dei dipendenti e se da questi investimenti derivino effettivamente benefici alla comunità amministrata.
Si è così incisivamente rilevato che non sarà più sufficiente per le amministrazioni avvalersi del, pur obbligatorio, sistema di valutazione svolto da organismi interni: poiché la qualità dei servizi deve principalmente riverberarsi sui cittadini, ad essi spetta il diritto di esprimere a loro volta una valutazione sull'operato delle amministrazioni: i sistemi di controllo interno, in effetti, potrebbero non essere in grado di misurare quanto le politiche generali e la gestione siano in grado di rispondere ai fabbisogni della popolazione; così, se il richiamo un po' demagogico alla percezione esterna dei servizi espressa da parte dei cittadini può non essere del tutto soddisfacente, essendo tale valutazione atecnica e perciò spesso sommaria, generalizzante e generica, tuttavia, non va dimenticato che sistemi gestionali e di controllo eccessivamente attenti al modo di utilizzare le risorse (input) e meno a quello dell'esito delle attività (output) finisce per non rivelarsi del tutto inutile all'interesse collettivo.
Le modifiche riguardanti l'ARAN
Con il decreto legislativo n. 150 del 2009, mentre viene operata una significativa rivisitazione della normativa concernente l'agente negoziale pubblico, nulla cambia per ciò che attiene alla regolamentazione di quella sindacale.
L'ARAN (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pubbliche
Amministrazioni) è soggetto con personalità giuridica di diritto pubblico (dotata di autonomia organizzativa e contabile nei limiti del proprio bilancio), che ha la complessiva rappresentanza legale delle pubbliche amministrazioni agli effetti della contrattazione collettiva nazionale del pubblico impiego privatizzato. Esercita a livello nazionale ogni attività relativa alle relazioni sindacali, alla negoziazione dei contratti collettivi ed all'assistenza delle sole pubbliche amministrazioni ai fini dell'applicazione dei contratti collettivi; cura le relative attività di studio, monitoraggio e documentazione. Tra le altre attività, assicura la raccolta dei dati sui voti e sulle deleghe dei sindacati da ammettere alla contrattazione e, su richiesta delle amministrazioni, può fornire assistenza ai fini della contrattazione integrativa.
L'art. 1, comma 134, della legge n. 311 del 2004 (che inserisce nel t.u. L'art. 63-bis) ha previsto che l'ARAN possa intervenire, al fine della corretta interpretazione dei contratti collettivi, nei giudizi sulle controversie di lavoro il cui esito possa avere ripercussioni di rilievo sui contratti nazionali o sulla spesa pubblica.
Il d.lgs 150 del 2009 precisa che l'ARAN cura le attività di studio, monitoraggio e documentazione necessarie all'esercizio della contrattazione collettiva.
Predispone a cadenza semestrale, ed invia al Governo, ai comitati di settore dei comparti regioni e autonomie locali e sanità e alle commissioni parlamentari competenti, un rapporto sull'evoluzione delle retribuzioni di fatto dei pubblici dipendenti. A tale fine l'ARAN si avvale della collaborazione dell'ISTAT per l'acquisizione di informazioni statistiche e per la formulazione di modelli statistici di rilevazione. L'ARAN si avvale, altresì, della collaborazione del Ministero dell'economia e delle finanze che garantisce l'accesso ai dati raccolti in sede di predisposizione del bilancio dello Stato, del conto annuale del personale e del monitoraggio dei flussi di cassa e relativi agli aspetti riguardanti il costo del lavoro pubblico. L'ARAN effettua il monitoraggio sull'applicazione dei contratti collettivi nazionali e sulla contrattazione collettiva integrativa e presenta annualmente al Dipartimento della funzione pubblica, al Ministero dell'economia e delle finanze nonché ai comitati di settore, un rapporto in cui verifica l'effettività e la congruenza della ripartizione fra le materie regolate dalla legge, quelle di competenza della contrattazione nazionale e quelle di competenza dei contratti integrativi nonché le principali criticità emerse in sede di contrattazione collettiva nazionale ed integrativa (nuovi commi 3 e 4 dell'art. 46 d.lgs 165 del 2001).
La differenza rispetto al passato è evidente: il monitoraggio non è più affidato ad un comitato paritetico costituito da rappresentanti dell'ARAN, dai comitati di settore e dalle organizzazioni dell' ARAN, ma compete esclusivamente alle competenze dell'ARAN.
Come si è ben osservato, nella nuova configurazione, l'attività di monitoraggio sembra dar vita, in sostanza, ad una forma generale di controllo a posteriori sulla contrattazione nazionale ed integrativa, di natura interna alla parte datoriale, finalizzato al miglior funzionamento della stessa e, quindi, alla maggiore tutela degli interessi negoziali e gestionali delle Pubbliche Amministrazioni.
Altre novità riguardano poi il rafforzamento dell'assetto istituzionale dell'ARAN: la revisione della nomina del suo Presidente, ora con decreto del Presidente della Repubblica (in luogo del precedente D.P.C.M.), la ridefinizione del regime delle incompatibilità professionali in chiave restrittiva, la previsione di un più ampio ventaglio di requisiti culturali e professionali necessari per aspirare alla carica (art. 41 e 46 t.u., nuovo testo).
I TEMPI DI ATTUAZIONE DEL D.LGS. 150/2009. LA CIRCOLARE DELLAFUNZIONE PUBBLICAN. 7/2010
1. Premessa
La Circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica 13 maggio 2010 n. 7, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 15 luglio 2010, “Contrattazione integrativa. Indirizzi applicativi del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150”, indica i tempi di applicazione del Decreto Brunetta in materia di contrattazione integrativa e di premialità.
La Circolare non può peraltro non essere letta con le previsioni del D. L. 78/2010 convertito in legge 122/2010, in materia di rinnovi contrattuali e di contrattazione collettiva.
2. Norme di immediata applicazione
Secondo la Circolare sono di immediata applicazione:
a) Relazioni tecnico-finanziaria ed illustrativa.
I contratti integrativi, ai sensi dell'articolo 40, comma 3-sexies, d.lgs. n. 165 del 2001, devono essere corredati dalle relazioni tecnico-finanziaria ed illustrativa, redatte sulla base di appositi schemi predisposti dal Ministero dell'economia e finanze d'intesa con il Dipartimento della funzione pubblica e certificate dai competenti organi di controllo.
Nelle more della pubblicazione nei siti istituzionali degli "appositi schemi", le amministrazioni sono tenute ad utilizzare gli schemi già in uso, accompagnando, in ogni caso, la relazione tecnica con una relazione illustrativa che evidenzi il significato, la ratio e gli effetti attesi da ogni norma anche e soprattutto con riferimento alla natura premiale e selettiva cui è connessa l'erogazione delle risorse, la ricaduta sui livelli di produttività individuale e collettiva, la garanzia del servizio pubblico, l'interesse specifico
della collettività.
La relazione illustrativa, infatti, secondo la legge deve fra l'altro evidenziare gli effetti attesi dalla sottoscrizione del contratto integrativo in materia di produttività ed efficienza dei servizi erogati, anche in relazione alle richieste dei cittadini (articolo 40-bis, comma 4, nuovo testo).
La relazione illustrativa deve distintamente illustrare il rispetto dei principi di legge e di contratto, anche con riferimento alle materie oggetto di contrattazione integrativa.
b) Il sistema dei controlli.
Sono di immediata applicazione i controlli sui contratti integrativi previsti dall'articolo 55 del d.lgs. n. 150 del 2009 che sostituisce il testo dell'articolo 40-bis del d.lgs. n. 165 del 2001.
La materia dei controlli sulla contrattazione integrativa viene disciplinata con estrema ricchezza e puntualità.
Più precisamente, il controllo avrà ad oggetto la verifica del rispetto da parte del contratto integrativo:
a) dei vincoli derivanti dal contratto nazionale, anche con riferimento alle materie contrattabili, che devono essere espressamente delegate dal contratto nazionale alla contrattazione decentrata;
b) dei vincoli derivanti da norme di legge e dello stesso d.lgs. n. 165 del 2001, che per espressa disposizione legislativa sono definite "imperative" e, quindi, inderogabili da tutti i livelli contrattuali;
c) delle disposizioni sul trattamento accessorio, secondo i già descritti criteri in relazione alla finalizzazione "teleologica" della contrattazione integrativa a merito e produttività (con la necessaria selettività delle integrazioni retributive e delle progressioni orizzontali);
d) della compatibilità economico-finanziaria;
e) dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione.
c) Le sanzioni.
Le sanzioni relative alla contrattazione integrativa sono definite dall'articolo 40, comma 3- quinquies, del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato
dall'articolo 54 del d.lgs. n. 150 del 2009.
Detta disposizione prevede che nei casi di violazione dei vincoli e dei limiti di competenza imposti dalla contrattazione nazionale o dalle norme di legge, le clausole sono nulle, non possono essere applicate e sono sostituite di diritto ai sensi degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile.
Inoltre, il medesimo articolo, dispone che in caso di superamento dei vincoli finanziari, comunque accertato dalle sezioni regionali di controllo della Corte
dei conti, dal Dipartimento della funzione pubblica o dal Ministero dell'economia e delle finanze, è fatto "obbligo di recupero" nella sessione negoziale successiva (articolo 40, comma 3-quinquies, sesto periodo).
Si sottolinea che le suddette disposizioni si applicano alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (quindi alle aziende ed enti del servizio sanitario nazionale) ed a tutti i contratti integrativi sottoscritti successivamente al 15 novembre 2009, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2009, indipendentemente dall'anno di riferimento finanziario del fondo di amministrazione regolato.
Con particolare riferimento agli obblighi di pubblicazione e comunicazione previsti dall'articolo 40-bis del d.lgs. n. 165 del 2001, nuovo testo, relativamente alla contrattazione integrativa, si segnala che il mancato adempimento da parte delle pubbliche amministrazioni comporta il divieto di qualsiasi adeguamento delle risorse destinate alla contrattazione integrativa (articolo 40-bis, comma 7, nuovo testo).
3. Adeguamento dei contratti integrativi vigenti: le disposizioni relative alla ripartizione delle materie tra contratto e legge e quelle del Titolo III del d.lgs. n. 150 del 2009.
Xx xxxxx xxxx'xxx. 00, x. 0, xxx xxxxxxx legislativo n. 150 del 2009, le amministrazioni sono tenute all'adeguamento entro il 31 dicembre 2010 dei contratti integrativi vigenti ai principi di ripartizione di competenza della legge e della contrattazione collettiva ed alle disposizioni del Titolo III (Merito e premi), a prescindere dall'anno di riferimento finanziario del fondo di amministrazione regolato.
E' da sottolineare che il comma 2 del citato articolo 65 prevede una sanzione nel caso di mancato adeguamento entro il termine finale, che comporta la cessazione e la conseguente non applicabilità dei contratti integrativi a partire dal 1° gennaio 2011.
I termini su indicati, di cui ai commi 1 e 2 del citato art. 65, sono posticipati, rispettivamente, al 31 dicembre 2011 ed al 31 dicembre 2012, per le amministrazioni del comparto Regioni ed autonomie locali nonché del Servizio sanitario nazionale.
In merito all'applicabilità delle disposizioni dei Titoli II e III del d.lgs. n. 150 del 2009, per le Regioni e gli Enti locali resta la necessità di adeguamento dei propri ordinamenti ai relativi principi entro il termine del 31 dicembre 2010, in assenza del quale verranno applicate integralmente le disposizioni previste dallo stesso decreto legislativo.
Entro il 31 dicembre 2010 quindi, i contratti integrativi, per evitare la sanzione dell'inapplicabilità' (articolo 65, comma 2, d.lgs. n. 150 del 2009), dovranno
adattare i contenuti sulla base di quanto previsto dalle disposizioni riguardanti la definizione degli "ambiti riservati", rispettivamente, alla contrattazione collettiva ed alla legge, e dalle disposizioni del Titolo III (Merito e premi) del d.lgs. n. 150 del 2009.
Tale inapplicabilità per Regioni, Enti Locali e Servizio Sanitario Nazionale si verifica, come prima evidenziato, al 31 dicembre 2012, fermo restando il termine di adeguamento fissato al 31 dicembre 2011.
Per quanto attiene l'adeguamento previsto "alle disposizioni riguardanti la definizione degli ambiti riservati" occorrerà verificare attentamente se i contratti integrativi dispongono in materie riservate ovvero non espressamente rinviate a questo livello contrattuale.
Al riguardo, rileva sia il comma 3-bis che il comma 1 dell'articolo 40 del decreto legislativo n. 165 del 2001, come novellato dall'articolo 54 del d.lgs. n. 150 del 2009.
In particolare, le citate disposizioni stabiliscono che:
a) la contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonché le materie relative alle relazioni sindacali;
b) sono escluse dalla contrattazione collettiva le materie attinenti all'organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali , la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali, nonché quelle di cui all'articolo 2, comma 1, lettera c), della legge 23 ottobre 1992 n. 421;
c) la contrattazione collettiva è consentita negli esclusivi limiti previsti dalle norme di legge nelle materie relative alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità e delle progressioni economiche;
d) la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali;
e) la contrattazione collettiva integrativa assicura adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l'impegno e la qualità della performance; a tal fine destina al trattamento economico accessorio collegato alla performance individuale una quota prevalente del trattamento accessorio complessivo comunque denominato.
Pertanto:
a) la contrattazione nazionale ed a maggior ragione quella integrativa non potranno aver luogo sulle materie appartenenti alla sfera della organizzazione e della microorganizzazione, su quelle oggetto di partecipazione sindacale e su quelle afferenti alle prerogative dirigenziali; ciò, in particolare, con riferimento alle materie dell'organizzazione del lavoro e della gestione delle risorse umane, che costituiscono l'ambito elettivo tipico
delle prerogative dirigenziali;
b) in tali materie - esclusa la contrattazione - la partecipazione sindacale potrà svilupparsi esclusivamente nelle forme dell'informazione, qualora prevista nei contratti collettivi nazionali.
Queste disposizioni, non essendo previsto dalla legge un termine di adeguamento, operano dal 15 novembre 2009, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2009.
Nei confronti dei contratti collettivi che dispongano in modo diverso vengono applicati i meccanismi di eterointegrazione contrattuale previsti dagli articoli 1339 ed 1414, secondo comma, codice civile, ai sensi dell'articolo 2, comma 3- bis, del d.lgs. n. 165 del 2001 (come modificato dall'art. 33 del d.lgs. n. 150 del 2009). Per cui, nelle predette materie, le forme di partecipazione sindacale, se già previste dai contratti nazionali, "regrediscono" all'informazione.
Relativamente a quanto previsto dal titolo III del d.lgs. n. 150 del 2009 (Merito e Premi), vengono, tra le altre, in rilievo le disposizioni che attengono all'attribuzione delle progressioni economiche/orizzontali, che andranno previste selettivamente sulla base dei risultati conseguiti ed allo sviluppo delle competenze professionali ed esclusivamente nei confronti di una quota di personale, e quelle relative alle progressioni verticali, che rimangono equiparate al pubblico concorso e sono precluse dalla contrattazione, ovvero quelle che promuovono il merito e la performance organizzativa e individuale attraverso sistemi premianti selettivi secondo logiche meritocratiche (articolo 18).
Tutte le amministrazioni dovranno procedere, entro il 31 dicembre 2010 ed in attesa della definizione dei sistemi di valutazione, ad "adeguare" i vigenti contratti integrativi ai principi di selettività e concorsualità enunciati dal Titolo III del decreto legislativo citato.
Ne discende, peraltro, che i "nuovi" contratti integrativi, cioè quelli stipulati successivamente alla data del 15 novembre 2009, data di entrata in vigore del
n. d.lgs. 150 del 2009, sono soggetti all'applicazione delle nuove regole. I contratti integrativi attualmente vigenti, ma stipulati in data antecedente, invece, potranno essere applicati sino a quando non intervenga un nuovo contratto integrativo che proceda all'adeguamento di cui all'articolo 65, comma 1, entro la data del 31 dicembre 2010, termine ultimo per disporre l'adattamento, dopo il quale si determina ex lege la cessazione delle vecchie regole.
4. Disposizioni la cui applicazione decorre a partire dalla stipulazione contratti collettivi relativi al periodo contrattuale 2013-2015
Altre norme del d.lgs. n. 150 del 2009 non risultano invece applicabili se non a partire, secondo la circolare dalla stipulazione dei contratti collettivi relativi
al periodo contrattuale 2010-2012, in quanto ne presuppongono l'entrata in vigore, ma che alla luce del D. L. 78/2010 convertito in Legge 122/2010, vanno rinviate al 2013.
E' questo il caso:
a) della norma che impone di destinare alla produttività individuale la quota prevalente della retribuzione accessoria, la quale presuppone un intervento sulla struttura della retribuzione che può essere attuata solo con i successivi contratti collettivi (comma 3-bis dell'art 40 del d.lgs. n. 165 del 2001, nuovo testo);
b) delle disposizioni relative al trattamento accessorio dei dirigenti collegato ai risultati di cui all'articolo 24 del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato dall'articolo 45 del d.lgs. n. 150 del 2009;
c) del bonus annuale delle eccellenze e del premio annuale per l'innovazione, che richiedono comunque l'intervento del contratto nazionale per la determinazione dell'ammontare (articoli 21 e 22 del d.lgs. n. 150 del 2009); Analogamente, l'applicazione delle disposizioni che prevedono la possibilità di distribuire le risorse della contrattazione decentrata sulla base della "graduatoria di performance" di cui all'articolo 40, comma 3-quater, è direttamente collegata alla stipulazione dei nuovi contratti nazionali per il periodo 2010-2012, la quale dovrà definire le modalità di ripartizione delle stesse tra i diversi livelli di merito delle amministrazioni.
Alla luce di quanto previsto dall'art. 9, comma 17, del D. L. 78/2010, “Non si dà luogo, senza possibilità di recupero, alle procedure contrattuali e negoziali relative ai triennio 2010-2012 del personale di cui all'articolo 2, comma 2 e articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”, le norme di cui sopra saranno applicabili dal 2013.
5. Pubblicazione e comunicazione e connesse sanzioni in caso di inadempimento
Il comma 4 dell'articolo 40-bis, nuovo testo, prevede che le amministrazioni pubbliche hanno l'obbligo di pubblicare, in modo permanente, sul proprio sito istituzionale, con modalità che garantiscono la piena visibilità ed accessibilità delle informazioni ai cittadini:
a) i contratti integrativi stipulati;
b) la relazione tecnico-finanziaria, certificata dagli organi di controllo;
c) la relazione illustrativa, certificata dagli organi di controllo;
d) le informazioni trasmesse annualmente al Ministero dell'economia, sulla base degli schemi già approntati, ai fini dell'inoltro alla Corte dei conti (adempimento già previsto dall'articolo 67 del decreto-legge n. 112 del 2008);
e) gli esiti della valutazione, da parte dei cittadini-utenti, sugli effetti attesi sul funzionamento dei servizi pubblici in esito alla contrattazione integrativa.
Per l'adempimento di cui al punto e) le amministrazioni dovranno attendere la pubblicazione sul sito istituzionale dell'apposito modello di rilevazione previsto dalla nuova normativa, che è in corso di predisposizione.
Per quanto attiene la pubblicazione sui siti web, si segnala, inoltre, l'articolo 11, comma 8, del d.lgs. n. 150 del 2009, che dispone, nell'ambito degli obblighi finalizzati a garantire una maggiore trasparenza, la pubblicazione sul sito istituzionale delle amministrazioni, tra l'altro, dell'ammontare complessivo dei premi collegati alla performance stanziati e dell'ammontare dei premi effettivamente distribuiti, nonché dei dati relativi al grado di differenziazione nell'utilizzo della premialità sia per i dirigenti che per i dipendenti.
Agli obblighi di pubblicazione del contratto integrativo fanno riscontro gli ulteriori obblighi di comunicazione (anche a fini di controllo oltre che di monitoraggio), previsti dai commi 3 e 5 dell'articolo 40-bis del d.lgs. n. 165 del 2001, nuovo testo.
Si prevede che le amministrazioni trasmettano alla Corte dei Conti, tramite il Ministero dell'economia e finanze - Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, entro il 31 maggio di ogni anno, specifiche informazioni sulla contrattazione integrativa, certificate dagli organi di controllo interno.
Infine, il comma 5 dell'articolo 40-bis sancisce specifici obblighi per le amministrazioni di trasmissione per via telematica all'ARAN ed al CNEL del contratto integrativo con le relazioni tecnica ed illustrativa e con l'indicazione delle modalità di copertura dei relativi oneri con riferimento agli strumenti annuali e pluriennali di bilancio. Il termine per l'inoltro e' fissato in cinque giorni che decorrono dalla sottoscrizione.
In tutti i casi di mancato adempimento dei predetti obblighi è prevista la sanzione generale consistente nel divieto di qualsiasi adeguamento delle risorse destinate alla contrattazione integrativa.
Anche in questo caso, queste disposizioni, sulla base del principio del tempus regit actum, si applicano a tutti i contratti integrativi sottoscritti successivamente al 15 novembre 2009, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2009, indipendentemente dall'anno di riferimento finanziario del fondo di amministrazione regolato.
TITOLO II RAPPORTO DI LAVORO
CAPO I
Art. 4
Disposizioni in materia di funzioni dirigenziali
1. Ad integrazione di quanto previsto dalle vigenti norme contrattuali in tema di incarichi e ferma restando la competenza dell'azienda in merito alla graduazione delle funzioni dirigenziali, ai sensi dell'art. 50 del CCNL 5.12.1996, come modificato dall'art. 26 del CCNL 8.6.2000, si precisa che:
- l'incarico di direzione di struttura semplice, ed in particolare quella dipartimentale, include necessariamente la responsabilità di gestione di risorse umane e strumentali, che deve essere prevalente rispetto agli altri criteri e parametri. Ove previsto dagli atti di organizzazione interna, lo stesso può comportare, inoltre, la responsabilità di gestione diretta di risorse finanziarie;
- l'incarico di natura professionale di cui all'art. 27, comma 1, lett. c) del CCNL 8.6.2000 prevede in modo prevalente rispetto agli altri criteri e parametri, responsabilità tecnico-specialistiche.
2. L'incarico dirigenziale di natura gestionale o professionale si perfeziona solo a seguito della stipula del contratto individuale con le modalità di cui all'art. 13 del CCNL 8.6.2000 come integrato dall'art. 24, comma 6 del CCNL 3.11.2005 e secondo quanto previsto dall'art. 28, comma 5 del CCNL 8.6.2000, come integrato dall'art. 24, comma 7 del CCNL 3.11.2005.
3. I valori massimi delle fasce di cui agli artt. 54 e 55 del CCNL 5.12.1996, come modificati dall'art. 40, comma 10 del CCNL 8.6.2000, sono così rideterminati, nei limiti delle disponibilità del fondo di competenza:
- Fascia a) dell'art. 54: € 50.000,00
- Fascia b) dell'art. 54: € 42.000,00
- Fascia a) dell'art. 55: € 42.000,00
- Fascia b) dell'art. 55: € 30.000,00
4. Il comma 9 dell'art. 40 del CCNL 8.6.2000 è così modificato: le parole “è prevista una maggiorazione fra il 35 ed il 50%” sono sostituite dalle seguenti: “senza ulteriori oneri aggiuntivi a carico del bilancio dell'Azienda è prevista una maggiorazione fra il 30 % ed il 50%”.
5. Al comma 5 dell'art. 27 del CCNL dell'8 giugno 2000, l'espressione “quelle strutture” viene così sostituita: “quelle strutture di carattere gestionale”.
Commento all'art. 4
Il presente articolo integra la complessa ed articolata materia degli incarichi dirigenziali nella sua sequenza normativa a partire dal CCNL 5 dicembre 1996. La norma in questione contiene: a) modifica/integrazione di norme contrattuali preesistenti; b) ulteriori precisazioni in ordine al modello contrattuale degli incarichi dirigenziali, come consolidatosi con i precedenti CCNL. In particolare, per quanto riguarda gli aspetti relativi al primo punto (modifica/integrazione di norme contrattuali preesistenti) si procede alla rideterminazione, in aumento, del valore massimo delle fasce economiche di retribuzione di posizione, riconducibili alle quattro tipologie contrattuali di incarichi dirigenziali (incarico di direzione di struttura complessa, incarico di direzione di struttura semplice, incarico di alta specializzazione o di elevata professionalità, incarico professionale di base conferibile ai dirigenti con meno di cinque anni di anzianità). Tale valore massimo resta attribuibile solo in presenza della procedura di graduazione degli incarichi dirigenziali che ne fissa, in ambito aziendale, i relativi parametri economici e previa verifica della disponibilità sullo specifico fondo contrattuale (fondo per la retribuzione di posizione), determinato ai sensi dell'art. 8 del CCNL 6 maggio 2010, biennio economico 2008\2009. Allo stesso modo viene incrementato il valore minimo e massimo (da 15mila a 25mila Euro annui) della maggiorazione della indennità di retribuzione di posizione, prevista, per i direttori di dipartimento (o, più in generale, per i titolari di incarico di direzione di articolazioni aziendali di particolare rilevanza che prevedano, al loro interno, più strutture complesse),- dall'art. 40 comma 9 del CCNL 8 giugno 2000 che, tuttavia, a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente contratto, va corrisposta “senza ulteriori oneri aggiuntivi a carico del bilancio dell'Azienda” e, pertanto, anch'essa a carico del fondo di posizione di cui al richiamato art. 8 del CCNL di biennio economico 6 maggio 2010. Si ricorda che la norma preesistente, oggi modificata (art. 40 CCNL 8 giugno 2000), prevedeva che alla corresponsione della maggiorazione in questione l'Azienda provvedesse “con oneri a carico del proprio bilancio” (comma 12).
Attraverso il presente articolo le parti hanno inteso inoltre meglio chiarire alcuni ambiti relativi alla natura ed alle caratteristiche di alcune tipologie di incarichi dirigenziali come già definiti dai precedenti CCNL e, in particolare, dall'art. 27 del CCNL 8 giugno 2000.
Viene specificato, in particolare, che l'incarico di direzione di struttura semplice, ed in particolare quella dipartimentale, include necessariamente la responsabilità di gestione di risorse umane e strumentali, e che tale caratteristica deve essere prevalente rispetto agli altri criteri e parametri. Ove previsto dall'atto aziendale o da altri atti di organizzazione interna, tale tipologia di incarico può comportare, inoltre, la responsabilità di gestione
diretta di risorse finanziarie. Ad ulteriore e definitivo chiarimento viene altresì precisato che la struttura semplice si configura come un'articolazione interna di una struttura complessa aziendale, mentre la struttura semplice dipartimentale afferisce al dipartimento e non è incardinata all'interno di una struttura complessa (dichiarazione congiunta n. 1).
Al contrario, l'incarico di natura professionale di alta specialità o di elevata professionalità (art. 27, comma 1, lett. c) del CCNL 8.6.2000) si caratterizza per la prevalenza delle responsabilità tecnico-specialistiche rispetto agli altri criteri e parametri. La necessità di questa ulteriore integrazione contrattuale di normativa preesistente, che - alla luce dei contenuti della precedente normativa di riferimento - potrebbe sembrare scontata, nasce dalla constatazione che, in sede di concreta attuazione da parte delle Aziende del modello contrattuale degli incarichi dirigenziali sono stati spesso classificati e, successivamente, conferiti come incarichi di direzione di struttura semplice, fattispecie che per caratteristiche, contenuti, competenze e responsabilità erano, al contrario, dei veri e propri incarichi professionali. Attraverso la dichiarazione congiunta n. 2 si intende inoltre ribadire e rafforzare quanto già previsto dall'art. 6 del CCNL 17 ottobre 2008 in ordine alla pari dignità ed importanza delle tipologie di incarico, sia gestionali che professionali, che essendo entrambi funzionali - ma con caratteristiche ed attribuzioni diverse ad un'efficace organizzazione aziendale, possono raggiungere una analoga retribuzione di posizione in conseguenza della graduazione delle funzioni stabilita in azienda.
L'incarico dirigenziale di natura gestionale o professionale si perfeziona solo a seguito della stipula del contratto individuale con le modalità di cui all'art. 13 del CCNL 8.6.2000. In particolare, la durata degli incarichi non può essere inferiore a quella contrattualmente prevista (da cinque a sette anni per gli incarichi di direzione di struttura complessa e da tre a cinque anni per i restanti incarichi) anche nei casi di rinnovo, ad eccezione dei casi in cui venga disposta la revoca anticipata per effetto di valutazione negativa. L'incarico - anche se non ne sia scaduta la durata - cessa automaticamente al compimento del limite massimo di età.
Un breve riepilogo sul sistema degli incarichi dirigenziali e sulla graduazione delle funzioni
Ad integrazione del commento al presente articolo nonché a completamento della problematica contrattuale appare opportuno delineare, schematicamente, le linee generali che caratterizzano il “sistema degli incarichi”.
È ormai noto come la dirigenza del Servizio Sanitario Nazionale abbia conosciuto negli ultimi anni un articolato e profondo processo di riordino
all'interno del più ampio disegno di riforma dell'assetto dell'intera dirigenza pubblica avviato con il decreto legislativo n. 29 del 1993. Con il varo della terza riforma della sanità ad opera del decreto legislativo n. 229 del 1999 si è giunti, sotto il profilo legislativo, a dare attuazione, anche per i dirigenti sanitari del servizio sanitario nazionale, alle norme contenute nella riforma del pubblico impiego.
Le disposizioni previste da tale riforma si sono così tradotte per il settore sanitario nell'istituzione, da un lato, del ruolo unico della dirigenza sanitaria, distinto nei profili professionali di medico, veterinario, biologo, chimico, fisico, psicologo e farmacista ai quali si aggiungono i profili professionali afferenti ai ruoli professionale, tecnico e amministrativo, dall'altro lato di un unico livello (in sostituzione dei tre previsti dal D.P.R. 761/79 e dei due del precedente decreto legislativo 502/92), articolato in diverse responsabilità professionali, per le quali la norma stessa prevede, in linea con il processo di aziendalizzazione della struttura e di “privatizzazione” del rapporto di lavoro del pubblico impiego, che sia la contrattazione collettiva, in particolare quella del livello aziendale, a disciplinare:
a) graduazione delle funzioni dirigenziali
b) assegnazione, valutazione e verifica degli incarichi dirigenziali
c) attribuzione del trattamento economico legato alle funzioni attribuite ed al risultato raggiunto.
In questo quadro di riferimenti normativi e contrattuali si prevede che ai dirigenti di qualsiasi profilo venga riconosciuto un duplice livello di autonomia con il conseguente nesso di responsabilità:
a) TECNICO-PROFESSIONALE
autonomia e responsabilità legate all'esercizio della propria professione;
b) GESTIONALE
di natura più strettamente organizzativa ed economico finanziaria, legata all'efficiente ed efficace gestione ed utilizzo delle risorse assegnate.
Stante, come si è detto, l'unicità di ruolo e livello, la differenziazione tra dirigenti avviene secondo i gradi di responsabilità attribuiti e i compiti assegnati; questi due elementi caratterizzano gli incarichi dirigenziali e le conseguenti tipologie.
Questa differenziazione si concretizza con una particolare procedura che contrattualmente è definita “graduazione delle funzioni” e la cui disciplina è data dalla lettura combinata dell'articolo 51 del CCNL 5 dicembre 1996 e dell'articolo 26 del CCNL 8 giugno2000 che ne contiene la conferma con alcune modifiche ed integrazioni.
Essa in sostanza indica i riferimenti generali ed omogenei ai quali le aziende devono attenersi nella definizione delle singole posizioni di incarico e dei propri criteri. In particolare, grazie alla modifica apportata dal contratto
CCNL 8 giugno 2000, articolo 26, quasi a chiarire una situazione che spesso aveva in passato dato adito a dubbi interpretativi, la norma ribadisce che la graduazione delle funzioni deve avere carattere di obiettività e di conseguenza prescindere sia dalla situazione personale dei dirigenti, sia con riferimento alle posizioni giuridiche di provenienza che al rapporto di lavoro. Questa disposizione trova una ulteriore affermazione, e di fatto la concretizzazione, nella sua stessa traduzione retributiva che avviene in ossequio del principio che, a parità di graduazione, va prevista una identica e conseguente retribuzione. Per confermare ulteriormente questo quadro interpretativo anche il contratto del CCNL 8 giugno 2000 si pronuncia, con l'articolo 24, comma 9.
Il CCNL, al solo scopo di favorire il pieno sviluppo dell'iniziativa aziendale, individua un insieme di criteri generali che le aziende sono tenute a seguire, con possibilità di integrarli, per la graduazione delle funzioni; essi vengono riassunti negli schemi che seguono.
Le aziende una volta disegnato il proprio assetto organizzativo secondo quanto previsto dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 229/99, attraverso la definizione dell' “atto aziendale”, e stabilita, in base ai criteri di cui si è detto la graduazione (che, ricordiamo, è materia di concertazione come previsto dall'articolo 6 comma 1 lett. B), attribuiscono ad ogni posizione dirigenziale prevista un determinato “peso”, vale a dire un valore economico, assumendo e operando in coerenza con il principio menzionato, e cioè che a parità di struttura organizzativa e corrispondenza delle funzioni, alle posizioni deve essere attribuita la stessa valenza economica.
Alla retribuzione della posizione si provvede mediante le risorse individuate in un apposito fondo contrattuale, costituito presso ciascuna azienda proprio al fine di assegnare ai dirigenti un trattamento economico legato alle funzioni dell'incarico attribuito ed alle connesse responsabilità.
Proprio questo quadro di disposizioni configura una dinamicità della struttura retributiva fortemente differenziata dalla precedente, ovverosia da quella corrispondente alla carriera “per concorso”. In questa il vincitore di un concorso accedeva, stabilmente, ad una nuova posizione giuridica (assistente/aiuto/primario) e ad un nuovo corrispondente livello retributivo(9º, 10º, 11º); ora invece il dirigente assegnatario di un incarico non acquisisce una nuova posizione giuridica, ma assume, a tempo determinato, un nuovo incarico dirigenziale al quale corrisponde una retribuzione di posizione che, ferma restando la parte fissa e variabile garantita già acquisita (e fotografata) in sede di CCNL 5 dicembre 1996 e quindi definibile come “propria”, si modifica esclusivamente nella sua parte variabile, la così detta variabile aziendale.
Come noto l'articolo 27 del CCNL 8 giugno 2000, in conformità con l'articolo
15 del decreto legislativo 502 del 1992 prevede le quattro tipologie di incarichi dirigenziali: incarico di direzione di struttura complessa (lett. a), incarico di direzione di struttura semplice (lett.b); incarichi di natura professionale anche di alta specializzazione, di consulenza, di studio, e ricerca, ispettivi, di verifica e di controllo (lett. c) e incarichi professionali conferibili ai dirigenti con meno di 5 anni di attività. Questa norma, nel prevedere che ai dirigenti che compiono il quinquennio, dopo il processo valutativo e a fronte di esito positivo dello stesso, possono essere assegnati incarichi di maggior valore (lettera c), in realtà prevede una sub tipologia, corrispondente ai dirigenti equiparati ma non assegnatari di ulteriori incarichi. Coerentemente le tabelle di cui all'articolo 37 e seguenti prevedono cinque tipologie.
E' infine importante chiudere la trattazione relativa agli incarichi dirigenziali con uno schematico ragionamento sulla procedura complessiva che le aziende dovranno seguire per dare una corretta applicazione delle norme in materia. Ciò consente da un lato di avere una visione completa dei processi descritti, dall'altro di inquadrare ogni considerazione teorica e giuridica nella realtà in cui operano quotidianamente gli attori principali dei processi medesimi: le aziende, le organizzazioni sindacali e i dipendenti.
Dalla lettura combinata dei contratti collettivi di lavoro, stipulati in regime applicativo del decreto legislativo n. 29/93, e dalle norme di legge in materia, è possibile descrivere un procedimento che si articoli in tre distinti momenti: fase 1: definizione del modello organizzativo
Le aziende, in virtù dell'autonomia d'impresa di cui l'articolo 3 del decreto legislativo n. 502/92 e successive modifiche ed integrazioni, disciplinano autonomamente il proprio assetto organizzativo (e non solo) con la predisposizione dell'atto aziendale, all'interno del quale individuano le proprie articolazioni interne principali (dipartimenti, strutture semplici e strutture complesse), stabilendo anche gli aspetti della loro sovra o sotto ordinazione (come peraltro è previsto dal CCNL 8 giugno 2000 dall'articolo 27, comma 2), dandone informazione alle organizzazioni sindacali.
fase 2: graduazione delle funzioni
In un secondo momento, sulla base di quanto stabilito nell'atto aziendale e da altre norme e in coerenza con tutto il sistema di criteri generali e principi oggettivi di cui si è detto finora, le aziende decidono la graduazione delle funzioni da conferire ai dirigenti, attribuendo ad ogni posizione di responsabilità un peso ed un valore economico conseguente, secondo la regola per cui a parità di funzioni corrisponda la stesso trattamento economico relativo all'incarico ricoperto. La graduazione delle funzioni è sottoposta alla necessaria revisione periodica, informando sempre, in via preventiva (per iscritto ed in tempo utile) le rappresentanze sindacali; alla medesima informazione l'azienda è tenuta in sede di attribuzione del valore economico
degli incarichi e su richiesta delle organizzazioni sindacali a fissare un incontro per illustrarne i contenuti.
fase 3: assegnazione dell'incarico
Il momento conclusivo del processo è dato dall'assegnazione vera e propria degli incarichi. Prima di far questo però l'azienda deve preventivamente, con apposito provvedimento, stabilire i criteri e le procedure sia per l'affidamento che per la revoca degli incarichi, attenendosi ai seguenti criteri:
a) la natura e caratteristiche dei programmi da realizzare;
b) l'area e disciplina di appartenenza;
c) le attitudini personali e le capacità professionali del singolo dirigente;
d) i risultati conseguiti in rapporto agli obiettivi assegnati nonché alle valutazioni riportate;
e) le valutazioni del collegio tecnico (vedi oltre);
f) il criterio della rotazione ove applicabile;
g) data l'equivalenza delle mansioni dirigenziali - non si applica l'articolo 2103, comma 1, del C.C.
In questa fase il sistema delle relazioni sindacali prevede l'attivazione della procedura di concertazione con i sindacati.
Da ultimo va ricordato che i criteri generali utili a definire le modalità di attribuzione, ai dirigenti, della retribuzione collegata ai risultati ed agli obiettivi e programmi assegnati secondo gli incarichi conferiti (ex retribuzione di produttività ora di risultato) sono materia di contrattazione integrativa.
Si riporta di seguito una tabella riepilogativa delle disposizioni contrattuali in materia di incarichi dirigenziali per la dirigenza sanitaria a partire dal CCNL
5 dicembre 1996, tutt'oggi vigenti, comprensivi dell'attuale tornata contrattuale:
Tavola - I -
Graduazione delle funzioni e conferimento incarichi | Valutazione, conferma, revoca | Retribuzione di posizione |
Art. 50 CCNL 5.12.1996, modificato art. 26 CCNL 8.6.2000 | Artt. 25-32 CCNL 3.11.2005 | Artt. 53-55 CCNL 5.12.1996 |
Artt. 27, 28 e 29 CCNL 8.6.2000 | Art. 39 e 47 CCNL 8.6.2000 | |
Art. 6 CCNL 17.10.2008 | Art. 3 CCNL 6.5.2010 | |
Art. 4 CCNL 6.5.2010 | Art. 4 CCNL 6.5.2010 |
CAPO II
RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE
Art. 5 Principi generali
1. In considerazione degli specifici contenuti professionali, delle particolari responsabilità che caratterizzano la figura del dirigente, nel rispetto del principio di distinzione tra le funzioni di indirizzo e controllo spettanti agli organi di governo e le funzioni di gestione spettanti alla dirigenza, nonché della giurisprudenza costituzionale in materia ed al fine di assicurare una migliore funzionalità ed operatività delle Aziende ed enti del SSN, sono stabilite specifiche fattispecie di responsabilità disciplinare per i dirigenti, nonché il relativo sistema sanzionatorio con la garanzia di adeguate tutele al dirigente medesimo, nel rispetto di quanto stabilito dal D.Lgs. 150/2009.
2. Costituisce principio generale la distinzione tra le procedure ed i criteri di valutazione dei risultati e quelli relativi alla responsabilità disciplinare, anche per quanto riguarda gli esiti delle stesse. La responsabilità disciplinare attiene alla violazione degli obblighi di comportamento, secondo i principi e le modalità di cui al presente CCNL e resta distinta dalla responsabilità dirigenziale, disciplinata dall'art. 15/ter del d.lgs. n. 502 del 1992, che invece riguarda il raggiungimento dei risultati in relazione agli obiettivi assegnati, nonché la capacità professionale, le prestazioni e le competenze organizzative dei dirigenti. Quest'ultima viene accertata secondo le procedure e mediante gli organismi previsti nell'ambito del sistema di valutazione di cui agli artt. 25 e segg. del CCNL del 3 novembre 2005.
3. Restano ferme le altre fattispecie di responsabilità di cui all'art. 55 del d.lgs. n. 165 del 2001, che hanno distinta e specifica valenza rispetto alla responsabilità disciplinare.
4. Per la responsabilità disciplinare, la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni, individuate dal presente CCNL, sono applicate secondo i principi e i criteri definiti dal presente CCNL medesimo, nel rispetto di quanto previsto dagli artt. 55 e seguenti del d.lgs. 165/2001, come modificato dal d.lgs. 150/2009, con particolare riferimento alla regolamentazione del procedimento disciplinare. L'irrogazione della sanzione deve basarsi su elementi certi ed obiettivi, deve essere tempestivamente comunicata al dirigente e, al fine di garantire la certezza delle situazioni giuridiche, non può essere applicata una sanzione di specie diversa da quella prevista dalla legge o dal contratto collettivo.
Art. 6 Obblighi del dirigente
1. Il dirigente conforma la sua condotta ai principi di diligenza e fedeltà di cui agli artt. 2104 e 2105 del Codice Civile e contribuisce alla gestione della cosa pubblica con impegno e responsabilità.
2. Il comportamento del dirigente è improntato al perseguimento dell'efficienza e dell'efficacia dei servizi istituzionali nella primaria considerazione delle esigenze dei cittadini utenti, operando costantemente nel pieno rispetto del Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, allegato al CCNL del 3.11.2005, di cui si impegna a osservare tutte le disposizioni nonché dei codici di comportamento adottati dalle Aziende ai sensi dell'art. 54, comma 5 del d.lgs. 165/2001 e di quanto stabilito nelle Carte dei Servizi.
3. Il dirigente, tenuto conto della necessità di garantire la migliore qualità del servizio, deve, in particolare:
a) assicurare il rispetto della legge, con riguardo anche alle norme regolatrici del rapporto di lavoro, nonché delle disposizioni contrattuali, nonché l'osservanza delle direttive generali e di quelle impartite dall'Azienda e perseguire direttamente l'interesse pubblico nell'espletamento dei propri compiti e nei comportamenti che sono posti in essere dando conto dei risultati conseguiti e degli obiettivi raggiunti;
b) non utilizzare a fini privati le informazioni di cui disponga per ragioni d'ufficio;
c) nello svolgimento della propria attività, mantenere una condotta uniformata a principi di correttezza e di collaborazione nelle relazioni interpersonali, all'interno dell'Azienda con gli altri dirigenti e con gli addetti alla struttura, astenendosi, in particolare nel rapporto con gli utenti, da comportamenti lesivi della dignità della persona o che, comunque, possono nuocere all'immagine dell'Azienda;
d) nell'ambito della propria attività, mantenere un comportamento conforme al proprio ruolo, organizzando ed assicurando la presenza in servizio correlata alle esigenze della propria struttura ed all'espletamento dell'incarico affidato, nel rispetto della normativa contrattuale e legislativa vigente;
e) xxxxxxxsi dal partecipare, nell'espletamento delle proprie funzioni, all'adozione di decisioni o ad attività che possano coinvolgere direttamente o indirettamente interessi finanziari o non finanziari propri, del coniuge, dei parenti e degli affini fino al quarto grado e dei conviventi;
f) sovrintendere, nell'esercizio del proprio potere direttivo, al corretto espletamento dell'attività del personale, anche di livello dirigenziale, assegnato alla struttura cui è preposto, nonché al rispetto delle norme del
codice di comportamento e disciplinare, ivi compresa l'attivazione dell'azione disciplinare, secondo le disposizioni vigenti;
g) informare l'Azienda di essere stato rinviato a giudizio o che nei suoi confronti è esercitata l'azione penale, quando per la particolare natura dei reati contestati al dirigente si possono configurare situazioni di incompatibilità ambientale o di grave pregiudizio per l'Azienda;
h) xxxxxxxsi dal chiedere o accettare omaggi o trattamenti di favore, se non nei limiti delle normali relazioni di cortesia e salvo quelli d'uso, purché di modico valore;
i) garantire, per quanto nei suoi poteri e nei suoi obblighi, il massimo rispetto dei compiti di vigilanza, operatività e continuità dell'assistenza al paziente nell'arco delle 24 ore, nell'ambito delle funzioni assegnate al dirigente, nel rispetto dalla normativa contrattuale vigente;
j) assicurare la massima diligenza nella compilazione e tenuta e controllo delle cartelle cliniche, referti e risultanze diagnostiche;
k) rispettare le norme di legge, contrattuali ed aziendali in materia di espletamento dell'attività libero professionale;
l) rispettare le leggi vigenti in materia di attestazione di malattia e di certificazione per l'assenza per malattia;
m)assolvere diligentemente e prontamente agli obblighi a lui ascrivibili in merito alla certificazione delle assenze per malattia.
4. Il dirigente è tenuto comunque ad assicurare il rispetto delle norme vigenti in materia di segreto d'ufficio, riservatezza e protezione dei dati personali, trasparenza ed accesso all'attività amministrativa, informazione all'utenza, autocertificazione, protezione degli infortuni e sicurezza sul lavoro, nonché di divieto di fumo.
5. In materia di incompatibilità, resta fermo quanto previsto dall'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, anche con riferimento all'art. 1, comma 60 e segg. della legge 662 del 1996.
6. L'art. 14 del CCNL del 17 ottobre 2008 è disapplicato.
Art. 7
Sanzioni e procedure disciplinari
1. Le violazioni, da parte dei dirigenti, degli obblighi disciplinati nell'art.
6 (obblighi del dirigente), secondo la gravità dell'infrazione, previo procedimento disciplinare, danno luogo all'applicazione delle seguenti sanzioni:
a) censura scritta;
b) sanzione pecuniaria;
c) sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, secondo le
previsioni dell'art. 8 (codice disciplinare);
d) licenziamento con preavviso;
e) licenziamento senza preavviso.
2. Per l'individuazione dell'autorità disciplinare competente per i procedimenti disciplinari della dirigenza e per le forme e i termini del procedimento disciplinare, trovano applicazione le previsioni dell'art. 55 bis del d.lgs. 165/2001.
3. Per le infrazioni di minore gravità fino alla sospensione dal servizio non superiore a dieci giorni, il titolare del potere disciplinare è, ai sensi dell'art. 55/bis, comma 2, il dirigente responsabile della struttura cui l'interessato è formalmente assegnato. Per le infrazioni punibili con sanzioni più gravi della sospensione dal servizio per più di dieci giorni, il procedimento disciplinare viene svolto dall'ufficio competente per i procedimenti disciplinari ai sensi dell'art. 55/bis, comma 4.
4. Nei casi stabiliti dall'art. 55, comma 4 del d.lgs. n. 165 del 2001, il soggetto competente ad assumere le determinazioni conclusive del procedimento disciplinare è il direttore generale o chi da lui delegato.
5. Nell'ambito del procedimento disciplinare previsto dall'art. 55/bis del d.lgs. 165/2001 come introdotto dal d.lgs. n. 150/2009, la contestazione dell'addebito deve essere specifica e tempestiva, nel rispetto dei termini temporali previsti dalla legge, nonché contenere l'esposizione chiara e puntuale dei fatti in concreto verificatisi, al fine di rendere edotto il dirigente degli elementi a lui addebitati e consentire allo stesso di esercitare il diritto di difesa.
6. Non può tenersi conto, ai fini di altro procedimento disciplinare, delle sanzioni disciplinari, decorsi due anni dalla loro applicazione.
7. I provvedimenti cui al presente articolo non sollevano il dirigente dalle eventuali responsabilità di altro genere nelle quali egli sia incorso, compresa la responsabilità dirigenziale, che verrà accertata nelle forme previste dal sistema di valutazione.
Art. 8 Codice disciplinare
1. Le Aziende sono tenute al rispetto dei principi di gradualità e proporzionalità delle sanzioni in relazione alla gravità della mancanza. A tale fine sono fissati i seguenti criteri generali riguardo il tipo e l'entità di ciascuna delle sanzioni:
- l' intenzionalità del comportamento;
- il grado di negligenza dimostrata, tenuto anche conto della prevedibilità dell'evento;
- la rilevanza della infrazione e dell'inosservanza degli obblighi e delle disposizioni violate;
- le responsabilità connesse con l'incarico dirigenziale ricoperto, nonché con la gravità della lesione del prestigio dell'Azienda;
- entità del danno provocato a cose o a persone, ivi compresi gli utenti;
- l'eventuale sussistenza di circostanze aggravanti o attenuanti, anche connesse al comportamento tenuto complessivamente dal dirigente o al concorso nella violazione di più persone.
2. La recidiva nelle mancanze previste ai commi 4, 5, 6, 7 e 8 già sanzionate nel biennio di riferimento, comporta una sanzione di maggiore gravità tra quelle individuate nell'ambito del presente articolo.
3. Al dirigente responsabile di più mancanze compiute con unica azione od omissione o con più azioni od omissioni tra loro collegate ed accertate con un unico procedimento, è applicabile la sanzione prevista per la mancanza più grave se le suddette infrazioni sono punite con sanzioni di diversa gravità.
4. La sanzione disciplinare dal minimo della censura scritta fino alla multa da € 200 a € 500 si applica, graduando l'entità della stessa in relazione ai criteri del comma 1, nei casi di:
a) inosservanza della normativa contrattuale e legislativa vigente, nonché delle direttive, dei provvedimenti e delle disposizioni di servizio, anche in tema di assenze per malattia, nonché di presenza in servizio correlata alle esigenze della struttura ed all'espletamento dell'incarico affidato ove non ricorrano le fattispecie considerate nell'art. 55/ quater, comma 1, lett. a) del D.Lgs. 165/2001;
b) condotta, negli ambienti di lavoro, non conforme ai principi di correttezza verso i componenti della direzione aziendale, gli altri dirigenti, i dipendenti o nei confronti degli utenti o terzi;
c) alterchi negli ambienti di lavoro, anche con utenti o terzi;
d) comportamento negligente nella compilazione, tenuta e controllo delle cartelle cliniche, referti e risultanze diagnostiche;
e) violazione dell'obbligo di comunicare tempestivamente all'azienda di essere stato rinviato a giudizio o di avere avuto conoscenza che nei suoi confronti è esercitata l'azione penale quando per la particolare natura dei reati contestati al dirigente si possono configurare situazioni di incompatibilità ambientale o di grave pregiudizio per l'Azienda;
f) violazione dell'obbligo di xxxxxxxsi dal chiedere o accettare, a qualsiasi titolo, compensi, regali o altre utilità in connessione con l'espletamento delle proprie funzioni o dei compiti affidati, se non nei limiti delle normali relazioni di cortesia e fatti salvi quelli d'uso, purché di modico valore;
g) inosservanza degli obblighi previsti in materia di prevenzione degli infortuni o di sicurezza del lavoro, nonché del divieto di fumo, anche se non ne
sia derivato danno o disservizio per l'azienda o per gli utenti;
h) violazione del segreto d'ufficio, così come disciplinato dalle norme dei singoli ordinamenti ai sensi dell'art. 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241, anche se non ne sia derivato danno all'azienda.
L'importo delle multe sarà introitato nel bilancio dell'Azienda ed è destinato alle attività formative.
5. La sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino ad un massimo di 15 giorni, si applica nel caso previsto dall'art. 55 bis, comma 7 del d.lgs. 165/2001.
6. La sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino ad un massimo di 3 mesi, con la mancata attribuzione della retribuzione di risultato per un importo pari a quello spettante per il doppio del periodo di durata della sospensione, si applica nei casi previsti dall'art. 55 sexies, comma 3 e dall'art. 55 septies, comma 6 del d.lgs. 165/2001.
7. La sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di 3 giorni fino ad un massimo di 3 mesi, si applica nel caso previsto dall'art. 55 sexies, comma 1 del d.lgs. 165/2001.
8. La sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni fino ad un massimo di sei mesi, si applica, graduando l'entità della sanzione in relazione ai criteri di cui al comma 1, per:
a) recidiva nel biennio delle mancanze previste nei commi 4, 5, 6, e 7 oppure quando le mancanze previste dai medesimi commi si caratterizzano per una particolare gravità;
b) minacce, ingiurie gravi, calunnie o diffamazioni verso il pubblico oppure nei confronti dell'Azienda o dei componenti della direzione aziendale, degli altri dirigenti o dipendenti ovvero alterchi con vie di fatto negli ambienti di lavoro, anche con utenti;
c) manifestazioni offensive nei confronti dell'Azienda o dei componenti della direzione aziendale, degli altri dirigenti, dei dipendenti o di terzi, salvo che non siano espressione della libertà di pensiero, ai sensi dell'art. 1 della legge n. 300 del 1970;
d) tolleranza di irregolarità in servizio, di atti di indisciplina, di contegno scorretto o di abusi di particolare gravità da parte del personale dipendente, ove non ricorrano le fattispecie considerate nell'art. 55 sexies, comma 3, del D.Lgs. 165/2001;
e) salvo che non ricorrano le fattispecie considerate nell'art. 55-quater, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 165/2001, assenza ingiustificata dal servizio o arbitrario abbandono dello stesso; in tali ipotesi l'entità della sanzione è determinata in relazione alla durata dell'assenza o dell'abbandono del servizio, al disservizio determinatosi, alla gravità della violazione degli
obblighi del dirigente, agli eventuali danni causati all'azienda, agli utenti o ai terzi;
f) occultamento da parte del dirigente di fatti e circostanze relativi ad illecito uso, manomissione, distrazione o sottrazione di somme o beni di pertinenza dell'amministrazione o ad esso affidati;
g) mancato rispetto delle norme di legge e contrattuali e dei regolamenti aziendali in materia di espletamento di attività libero professionale;
h) comportamenti omissivi o mancato rispetto dei compiti di vigilanza, operatività e continuità dell'assistenza al paziente, nell'arco delle ventiquattro ore, nell'ambito delle funzioni assegnate e nel rispetto della normativa contrattuale vigente;
i) comportamento negligente od omissivo nella compilazione, tenuta e controllo delle cartelle cliniche, referti e risultanze diagnostiche, da cui sia derivato un danno per l'azienda o per i terzi;
j) inosservanza degli obblighi, a lui ascrivibili in merito alla certificazione medica concernente assenze di lavoratori per malattia;
k) qualsiasi comportamento negligente, dal quale sia derivato grave danno all'azienda o a terzi, fatto salvo quanto previsto dal comma 7;
l) atti o comportamenti aggressivi, ostili e denigratori nei confronti di dirigenti o altri dipendenti;
m) atti, comportamenti o molestie, anche di carattere sessuale, lesivi della dignità della persona.
9. Nei casi di sospensione di cui al presente articolo, l'Azienda, in relazione a documentate esigenze organizzative e funzionali dirette a garantire la continuità assistenziale, può differire, per un massimo di 30 giorni, rispetto alla conclusione del procedimento disciplinare, la data di esecuzione della sanzione.
10. In relazione alla specificità della funzione sanitaria, professionale, tecnica ed amministrativa, anche con riferimento alla garanzia della continuità assistenziale, l'Azienda, con provvedimento motivato e previo consenso del dirigente, può trasformare la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in una sanzione pecuniaria corrispondente al numero dei giorni di sospensione dell'attività lavorativa, tenendo presente la retribuzione giornaliera di cui all'art. 26 del CCNL del 10 febbraio 2004. Tale clausola non si applica ai casi di sospensione previsti dagli artt. 55 bis, comma 7 del d.lgs. 165/2001, dall'art. 55 sexies, comma 3 e dall'art. 55 septies, comma 6 del d.lgs. 165/2001.
La relativa trattenuta sulla retribuzione è introitata dal bilancio dell'Azienda ed è destinata alle attività formative.
11. Ferma la disciplina in tema di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, la sanzione disciplinare del licenziamento si applica:
1. con preavviso, per:
a) le ipotesi considerate dall'art. 55 quater, comma 1, lett. b) e c) del D.lgs. 165/2001 e 55, septies, comma 4;
b) recidiva plurima, in una delle mancanze previste ai commi 4, 5, 6, 7 e 8, anche se di diversa natura, o recidiva, nel biennio, in una mancanza che abbia comportato l'applicazione della sanzione massima di 6 mesi di sospensione dal servizio o, comunque, quando le mancanze di cui ai commi precedenti si caratterizzino per una particolare gravità;
c) mancato rispetto delle norme di legge e contrattuali e dei regolamenti aziendali in materia di espletamento di attività libero professionale, ove ne sia seguito grave conflitto di interessi o una forma di concorrenza sleale nei confronti dell'azienda;
2. senza preavviso, per:
a) le ipotesi considerate dall'art. 55 quater, comma 1, lett. a, d), e) ed f) del D.lgs. 165/2001 e dall'art. 55 quinques, comma 3;
b) gravi fatti illeciti di rilevanza penale, ivi compresi quelli che possono dar luogo alla sospensione cautelare, secondo la disciplina dell'art. 10 (Sospensione cautelare in corso di procedimento penale), fatto salvo quanto previsto dall'art. 11, comma 1 (Rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare);
c) condanna, anche non passata in giudicato, per:
a. i delitti già indicati nell'art. 58, comma 1, lett. a), b) limitatamente all'art. 316 del codice penale, lett. c), d) ed e), e nell'art. 59, comma 1, lett. a), limitatamente ai delitti già indicati nell'art. 58, comma 1, lett. a) e all'art. 316 del codice penale, lett. b) e c), del D. Lgs. n. 267 del 2000;
b. gravi delitti commessi in servizio;
x. xxxxxxx previsti dall'art. 3, comma 1 della legge 97/2001.
d) recidiva plurima di sistematici e reiterati atti o comportamenti aggressivi, ostili e denigratori che assumano anche forme di violenza morale o di persecuzione psicologica nei confronti di dirigenti o altri dipendenti;
e) recidiva plurima in atti, comportamenti o molestie, anche di carattere sessuale, lesivi della dignità della persona;
f) per gli atti e comportamenti non ricompresi specificamente nelle lettere precedenti, seppur estranei alla prestazione lavorativa, posti in essere anche nei confronti di terzo, di gravità tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro, ai sensi dell'art. 2119 del codice civile.
12. Le mancanze non espressamente previste nei commi da 4 a 8 e dal comma 11 sono comunque sanzionate secondo i criteri di cui al comma 1, facendosi riferimento, quanto all'individuazione dei fatti sanzionabili, agli obblighi dei dirigenti di cui all'art. 6 (Obblighi del dirigente), nonché quanto al
tipo e alla misura delle sanzioni, ai principi desumibili dai commi precedenti.
13. Al codice disciplinare di cui al presente articolo, nonché al codice di comportamento e alle carte dei servizi, ove emanate, deve essere data la massima pubblicità mediante pubblicazione sul sito istituzionale dell'azienda, secondo le previsioni dell'art. 55, comma 2, ultimo periodo del D.lgs. 165/2001. Tale pubblicità equivale a tutti gli effetti all'affissione all'ingresso della sede di lavoro.
14. In sede di prima applicazione del presente CCNL, il codice disciplinare deve essere obbligatoriamente reso pubblico nelle forme di cui al comma 13, entro 15 giorni dalla data di stipulazione del presente CCNL e si applica dal quindicesimo giorno successivo a quello della sua affissione o dalla pubblicazione nel sito web dell'amministrazione. Resta fermo che le sanzioni previste dal X.Xxx. 150/2009 si applicano dall'entrata in vigore del decreto stesso.
15. I commi 3 e 5 dell'art. 35 del CCNL 5 dicembre 1996 sono abrogati.
Art. 9
Sospensione cautelare in corso di procedimento disciplinare
1. L'azienda, qualora ritenga necessario espletare ulteriori accertamenti su fatti addebitati al dirigente, in concomitanza con la contestazione e previa puntuale informazione al dirigente, può disporre la sospensione dal lavoro dello stesso dirigente, per un periodo non superiore a trenta giorni, con la corresponsione del trattamento economico complessivo in godimento. Tale periodo potrà essere prorogato a sessanta giorni nei casi di particolare gravità e complessità.
2. Qualora il procedimento disciplinare si concluda con la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione, il periodo dell'allontanamento cautelativo deve essere computato nella sanzione, ferma restando la privazione della retribuzione limitata agli effettivi giorni di sospensione irrogati.
3. Il periodo trascorso in allontanamento cautelativo, escluso quello computato come sospensione dal servizio, è valutabile agli effetti dell'anzianità di servizio.
Art. 10
Sospensione cautelare in caso di procedimento penale
1. Il dirigente colpito da misura restrittiva della libertà personale o da provvedimenti giudiziari inibitori che impediscono la prestazione lavorativa, è obbligatoriamente sospeso dal servizio, con sospensione dell'incarico
dirigenziale conferito e privazione della retribuzione, per tutta la durata dello stato di restrizione della libertà, salvo che l'azienda non proceda direttamente ai sensi dell'art. 8 (codice disciplinare) comma 11.
2. Il dirigente può essere sospeso dal servizio con privazione della retribuzione e con sospensione dell'incarico, anche nel caso in cui venga sottoposto a procedimento penale, che non comporti la restrizione della libertà personale o questa sia comunque cessata, secondo quanto previsto dall'art. 55 ter del d.lgs. 165/2001, salvo che l'Azienda non proceda direttamente ai sensi dell'art. 11, comma 2 (Rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale) del presente CCNL.
3. Resta fermo l'obbligo di sospensione del dirigente in presenza dei casi già previsti dagli artt. 58, comma 1, lett. a), b), limitatamente all'art. 316 del codice penale, lett. c), d) ed e), e 59, comma 1, lett. a), limitatamente ai delitti già indicati nell'art. 58 comma 1, lett. a) e all'art. 316 del codice penale, lett. b), e c), del D. Lgs .n. 267 del 2000 e fatta salva l'applicazione dell'art. 8 (codice disciplinare), comma 11, qualora l'azienda non disponga la sospensione del procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, ai sensi dell'art. 55 ter del d.lgs. 165/2001, nonché dell'art. 11 (Rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale) del presente CCNL.
4. Nel caso dei delitti previsti all'art. 3, comma 1, della legge n. 97/2001, trova applicazione la disciplina ivi stabilita. Per i medesimi delitti, qualora intervenga condanna anche non definitiva, ancorché sia concessa la sospensione condizionale della pena, trova applicazione l'art. 4, comma 1, della citata legge n. 97/2001. E' fatta salva l'applicazione dell'art. 8 (codice disciplinare), comma 11, punto 2, qualora l'azienda non disponga la sospensione del procedimento disciplinare fino al termine di quello penale, ai sensi dell'art. 55 ter del d.lgs. 165/2001 nonché dell'art. 11 (Rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale) del presente CCNL.
5. Nei casi indicati ai commi precedenti si applica, comunque, quanto previsto dall'art. 55 ter del d.lgs. 165/2001, comma 1, ultimo periodo.
6. Ove l'azienda intenda procedere all'applicazione della sanzione di cui all'art. 8 (codice disciplinare), comma 11, punto 2, la sospensione del dirigente disposta ai sensi del presente articolo conserva efficacia fino alla conclusione del procedimento disciplinare. Negli altri casi, la sospensione dal servizio eventualmente disposta a causa di procedimento penale conserva efficacia, se non revocata, per un periodo non superiore a cinque anni. Decorso tale termine, essa è revocata ed il dirigente è riammesso in servizio, salvo i casi nei quali, in presenza di reati che comportano l'applicazione dell'art. 8 (codice disciplinare) comma 11, punto 2, l'azienda ritenga che la permanenza in servizio del dirigente provochi un pregiudizio alla credibilità della stessa a causa del discredito che da tale permanenza potrebbe derivarle da parte dei cittadini e/o
comunque, per ragioni di opportunità ed operatività dell'amministrazione stessa. In tal caso, può essere disposta, per i suddetti motivi, la sospensione dal servizio, che sarà sottoposta a revisione con cadenza biennale. Ove il procedimento disciplinare sia stato eventualmente sospeso, fino all'esito del procedimento penale, ai sensi dell'art. 55 ter del d.lgs. 165/2001, tale sospensione può essere prorogata, ferma restando in ogni caso la possibilità di ripresa del procedimento disciplinare per cessazione di motivi che ne avevano determinato la sospensione, ai fini dell'applicabilità dell'art. 8 (codice disciplinare).
7. Al dirigente sospeso dal servizio ai sensi del presente articolo sono corrisposti un'indennità alimentare pari al 50% dello stipendio tabellare, la retribuzione individuale di anzianità o il maturato economico annuo, ove spettante, e gli eventuali assegni familiari, qualora ne abbiano titolo.
8. Nel caso di sentenza penale definitiva di assoluzione, pronunciata con la formula “il fatto non sussiste” o “l'imputato non lo ha commesso”, quanto corrisposto, durante il periodo di sospensione cautelare, a titolo di assegno alimentare verrà conguagliato con quanto dovuto al dirigente se fosse rimasto in servizio, tenendo conto anche della retribuzione di posizione in godimento all'atto della sospensione. Ove il procedimento disciplinare riprenda per altre infrazioni, ai sensi dell'art. 11, (Rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale) il conguaglio dovrà tener conto delle sanzioni eventualmente applicate.
9. In tutti gli altri casi di riattivazione del procedimento disciplinare a seguito di condanna penale, ove questo si concluda con una sanzione diversa dal licenziamento, quanto corrisposto al dirigente precedentemente sospeso viene conguagliato quanto dovuto se fosse stato in servizio, tenendo conto anche della retribuzione di posizione in godimento all'atto della sospensione; dal conguaglio sono esclusi i periodi di sospensione del comma 1 e quelli eventualmente inflitti a seguito del giudizio disciplinare riattivato.
Art. 11
Rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale
1. Nell'ipotesi di procedimento disciplinare che abbia, in tutto o in parte, ad oggetto fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, trovano applicazione le disposizioni dell'art.55ter, del D.Lgs.n.165/2001.
2. L'Azienda, nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al dirigente e, quando all'esito dell'istruttoria, non disponga di elementi sufficienti a motivare l'irrogazione della sanzione, può sospendere il procedimento disciplinare attivato.
3. Nel caso del procedimento disciplinare sospeso, ai sensi dell'art. 55ter
del D.Lgs.n.165/2001, qualora per i fatti oggetto del procedimento penale, interviene una sentenza penale irrevocabile di assoluzione che riconosce che il fatto addebitato non sussiste o non costituisce illecito penale o che “l'imputato non l'ha commesso”, l'autorità disciplinare procedente, nel rispetto delle previsioni dell'art. 55ter, comma 4, del D.Lgs.n.165/2001, riprende il procedimento disciplinare ed adotta le determinazioni conclusive, applicando le disposizioni dell'art.653, comma 1, del codice di procedura penale. In questa ipotesi, ove nel procedimento disciplinare sospeso, al dirigente, oltre ai fatti oggetto del giudizio penale per i quali vi sia stata assoluzione, siano state contestate altre violazioni, oppure i fatti contestati, pur non costituendo illeciti penali, rivestano comunque rilevanza disciplinare, il procedimento riprende e prosegue per dette infrazioni, nei tempi e secondo le modalità stabilite dell'art. 55ter, comma 4.
4. Se il procedimento disciplinare non sospeso si sia concluso con l'irrogazione della sanzione del licenziamento, ai sensi dell'art. 8 (codice disciplinare) comma 11, punto 2 e, successivamente, il procedimento penale sia definito con una sentenza penale irrevocabile di assoluzione, che riconosce che il fatto addebitato non sussiste o non costituisce illecito penale o che “l'imputato non l'ha commesso, ove il medesimo procedimento sia riaperto e si concluda con un atto di archiviazione, ai sensi dell'art. 55-ter, comma 2, del D.Lgs.n.165/2001, il dirigente ha diritto dalla data della sentenza di assoluzione alla riammissione in servizio presso l'ente, anche in soprannumero nella medesima sede o in altra sede, nonché all'affidamento di un incarico di valore equivalente a quello posseduto all'atto del licenziamento. Analoga disciplina trova applicazione nel caso che l'assoluzione del dirigente consegua a sentenza pronunciata a seguito di processo di revisione.
5. Dalla data di riammissione di cui al comma 4, il dirigente ha diritto a tutti gli assegni che sarebbero stati corrisposti nel periodo di licenziamento, tenendo conto anche dell'eventuale periodo di sospensione antecedente, nonché della retribuzione di posizione in godimento all'atto del licenziamento. In caso di premorienza, gli stessi compensi spettano al coniuge o al convivente superstite e ai figli.
6. Qualora, oltre ai fatti che hanno determinato il licenziamento di cui al comma 1, siano state contestate al dirigente altre violazioni, ovvero nel caso in cui le violazioni siano rilevanti sotto profili diversi da quelli che hanno portato al licenziamento, il procedimento disciplinare viene riaperto secondo le procedure previste dal presente CCNL.
7. E' abrogato l'art. 19 del CCNL del 3.11.2005, come modificato dall'art. 17 del CCNL del 17/10/2008.
Art. 12
La determinazione concordata della sanzione
1. L'autorità disciplinare competente ed il dirigente, in via conciliativa, possono procedere alla determinazione concordata della sanzione disciplinare da applicare fuori dei casi per i quali la legge ed il contratto collettivo prevedono la sanzione del licenziamento, con o senza preavviso.
2. La sanzione concordemente determinata in esito alla procedura conciliativa di cui al comma 1 non può essere di specie diversa da quella prevista dalla legge o dal contratto collettivo per l'infrazione per la quale si procede e non è soggetta ad impugnazione.
3. L'autorità disciplinare competente o il dirigente può proporre all'altra parte l'attivazione della procedura conciliativa di cui al comma 1, che non ha natura obbligatoria, entro il termine dei cinque giorni successivi alla audizione del dirigente per il contraddittorio a sua difesa, ai sensi dell'art.55-bis, comma 2, del D.Lgs.n.165/2001. Dalla data della proposta sono sospesi i termini del procedimento disciplinare, di cui all'art.55-bis del D.Lgs.n.165/2001. La proposta dell'autorità disciplinare o del dirigente e tutti gli altri atti della procedura sono comunicati all'altra parte con le modalità dell'art.55-bis, comma 5, del D.Lgs.n.165/2001.
4. La proposta di attivazione deve contenere una sommaria prospettazione dei fatti, delle risultanze del contraddittorio e la proposta in ordine alla misura della sanzione ritenuta applicabile. La mancata formulazione della proposta entro il termine di cui al comma 3 comporta la decadenza delle parti dalla facoltà di attivare ulteriormente la procedura conciliativa.
5. La disponibilità della controparte ad accettare la procedura conciliativa deve essere comunicata entro i cinque giorni successivi al ricevimento della proposta, con le modalità dell'art.55-bis, comma 5, del D.Lgs.n.165/2001. Nel caso di mancata accettazione entro il suddetto termine, da tale momento riprende il decorso dei termini del procedimento disciplinare, di cui all'art.55- bis del D.Lgs.n.165/2001. La mancata accettazione comporta la decadenza delle parti dalla possibilità di attivare ulteriormente la procedura conciliativa.
6. Ove la proposta sia accettata, l'autorità disciplinare competente convoca nei tre giorni successivi il dirigente, con l'eventuale assistenza di un procuratore ovvero di un rappresentante dell'associazione sindacale cui il lavoratore aderisce o conferisce mandato.
7. Se la procedura conciliativa ha esito positivo, l'accordo raggiunto è formalizzato in un apposito verbale sottoscritto dall'autorità disciplinare e dal dirigente e la sanzione concordata dalle parti, che non è soggetta ad impugnazione, può essere irrogata dall'autorità disciplinare competente.
8. In caso di esito negativo, questo sarà riportato in apposito verbale e la procedura conciliativa si estingue, con conseguente ripresa del decorso dei termini del procedimento disciplinare, di cui all'art.55-bis del D.Lgs.n.165/2001.
9. In ogni caso la procedura conciliativa deve concludersi entro il termine di trenta giorni dalla contestazione e comunque prima dell'irrogazione della sanzione. La scadenza di tale termine comporta la estinzione della procedura conciliativa eventualmente già avviata ed ancora in corso di svolgimento e la decadenza delle parti dalla facoltà di avvalersi ulteriormente della stessa.
Art. 13
Xxxxx finali relative alla responsabilità disciplinare
Al fine di monitorare e verificare l'applicazione delle norme contrattuali definite dal presente CCNL, le Aziende sono tenute ad inviare, con cadenza annuale, a ciascuna Regione un rapporto informativo sui procedimenti disciplinari effettuati anche con riferimento ai risultati degli stessi sia in termini di sanzioni erogate che di archiviazioni effettuate.
Art. 14
La reintegrazione del dirigente illegittimamente licenziato
1. L'Azienda, a domanda, reintegra in servizio il dirigente illegittimamente o ingiustificatamente licenziato dalla data della sentenza che ne ha dichiarato l'illegittimità o la ingiustificatezza, anche in soprannumero nella medesima Azienda, con il conferimento allo stesso di un incarico di valore equivalente a quello posseduto all'atto del licenziamento. I dirigenti con incarico di struttura sono reintegrati in servizio con il medesimo incarico, ove disponibile, oppure con incarico, anche di natura professionale, di valore economico corrispondente a quello precedentemente ricoperto. Ai dirigenti spetta, inoltre, il trattamento economico che sarebbe stato corrisposto nel periodo di licenziamento, anche con riferimento alla retribuzione di posizione in godimento all'atto del licenziamento.
2. Qualora, oltre ai fatti che hanno determinato il licenziamento di cui al comma 1, siano state contestate al dirigente altre violazioni, ovvero nel caso in cui le violazioni siano rilevanti sotto profili diversi da quelli che hanno portato al licenziamento, il procedimento disciplinare viene riaperto secondo le procedure previste dalle vigenti disposizioni.
Art. 15
Indennità sostitutiva della reintegrazione
1. L'Azienda o il dirigente possono proporre all'altra parte, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, di cui all'art. 14 (Reintegrazione del dirigente illegittimamente licenziato), il pagamento a favore del dirigente di un'indennità supplementare determinata, in relazione alla valutazione dei fatti e delle circostanze emerse, tra un minimo pari al corrispettivo del preavviso maturato, maggiorato dell'importo equivalente a due mensilità, ed un massimo pari al corrispettivo di ventiquattro mensilità.
2. L'indennità supplementare di cui al comma 1 è automaticamente aumentata, ove l'età del dirigente sia compresa fra i 46 e i 56 anni, nelle seguenti misure già previste per analoghe finalità nel CCNL del 10 febbraio 2004:
7 mensilità in corrispondenza del 51esimo anno compiuto;
6 mensilità in corrispondenza del 50esimo e 52esimo anno compiuto; 5 mensilità in corrispondenza del 49esimo e 53esimo anno compiuto; 4 mensilità in corrispondenza del 48esimo e 54esimo anno compiuto; 3 mensilità in corrispondenza del 47esimo e 55esimo anno compiuto; 2 mensilità in corrispondenza del 46esimo e 56esimo anno compiuto.
3. Nelle mensilità di cui ai commi 1 e 2 è ricompresa anche la retribuzione minima unificata già in godimento del dirigente al momento del licenziamento, con esclusione della variabile aziendale e di quella di risultato e delle atre indennità connesse all'incarico precedentemente ricoperto.
4. Il dirigente che accetti l'indennità supplementare in luogo della reintegrazione non può successivamente adire l'autorità giudiziaria per ottenere la reintegrazione. In caso di pagamento dell'indennità supplementare, l'Azienda non può assumere altro dirigente nel posto precedentemente coperto dal dirigente cessato, per un periodo corrispondente al numero di mensilità riconosciute, ai sensi dei commi 1 e 2.
5. Il dirigente che abbia accettato l'indennità supplementare in luogo della reintegrazione, per un periodo pari ai mesi cui è correlata la determinazione dell'indennità supplementare e con decorrenza dalla sentenza definitiva che ha dichiarato l'illegittimità o la ingiustificatezza del licenziamento, può avvalersi della disciplina di cui all'art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001. Qualora si realizzi il trasferimento ad altra Azienda, il dirigente ha diritto ad un numero di mensilità pari al solo periodo non lavorato.
6. La presente disciplina trova applicazione dalla data di definitiva sottoscrizione del presente CCNL.
Commento agli artt. da 6 a 15
L'articolato in esame concerne, in buona sostanza, l'adeguamento delle disposizioni contrattuali per la dirigenza del Servizio sanitario nazionale in materia di responsabilità disciplinare, di tipologia delle infrazioni e del relativo sistema sanzionatorio e della sua irrogazione, alle novità in materia introdotte dal D.Lgs. 150/2009 che ha riformato quanto già previsto dal D.Lgs. 165/2001 e successive modifiche ed integrazioni. Si precisa che nel commento che segue con il termine “testo unico” (t.u.) si definisce il D.Lgs. 165/2001 come novellato dal D.Lgs. 150/2009.
LARESPONSABILITA' DISCIPLINARE NEL D.LGS. 150/2009
La contrattualizzazione del rapporto e la disciplina applicabile
La responsabilità disciplinare è una delle cinque responsabilità del dipendente pubblico, insieme alla responsabilità civile, amministrativo- contabile, penale e dirigenziale.
Con riferimento alla responsabilità disciplinare, va preliminarmente ricordato che, a norma dell'art. 2 del t.u. dettato con il d.lgs. n. 165 del 2001, i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel decreto; inoltre, ai sensi dell'art. 4 comma 2 del medesimo decreto, nelle materie inerenti al rapporto di lavoro, le pubbliche amministrazioni operano con i poteri del datore di lavoro privato: nell'ambito delle leggi e degli atti organizzativi di cui all'articolo 2, comma 1, le determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro.
Il potere disciplinare della pubblica amministrazione non è dunque più un potere fondato sulla supremazia speciale della stessa ma solo un potere di tipo privatistico analogo in tutto al potere disciplinare del datore di lavoro privato. In materia, è tradizionalmente recepito il principio di tipicità delle sanzioni, essendo applicabili solo le sanzioni previste, con riferimento a ciascuna specifica infrazione, dalla disciplina; peraltro, come si vedrà, sull'operatività concreta del principio incide la fonte normativa di disciplina delle sanzioni.
La privatizzazione del potere disciplinare implica sul piano sostanziale la competenza della contrattazione collettiva in ordine alla tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni, la non esperibilità del ricorso gerarchico e del ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, l'inapplicabilità delle regole sul procedimento amministrativo di cui alla l. 241 del 90 (con particolare riferimento ad obblighi di motivazione e regole generali di accesso agli atti), l'impossibilità dell'amministrazione di esercitare l'autotutela