COMUNITÀ RESIDENZIALI PER MINORENNI: PER LA DEFINIZIONE DEI CRITERI E DEGLI STANDARD
COMUNITÀ RESIDENZIALI PER MINORENNI: PER LA DEFINIZIONE DEI CRITERI E DEGLI STANDARD
DOCUMENTO DI PROPOSTA
Documento di proposta elaborato dal Gruppo di lavoro sulle Comunità di tipo familiare, attivato all’interno della Consulta delle Associazioni e delle Organizzazioni, istituita presso l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza
Roma, 5 Maggio 2015
AUTORITÀ GARANTE PER L’INFANZIA
E L’ADOLESCENZA
xxx xx Xxxxx Xxxxx, 0 00000 Xxxx
Tel. x00 00 00000000
Fax x00 00 00000000
xxxxxxxxxx@xxxxxxxxxxxxxxx.xxx xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xxx
Progetto grafico, impaginazione e stampa: Tipografia Legatoria Rossini s.r.l.
SOMMARIO
INTRODUZIONE 5
DOCUMENTO FINALE DEL GRUPPO DI LAVORO 9
PRIMA PARTE
DEFINIZIONE DELLA TEMATICA 10
DEFINIZIONE DEL PROBLEMA 10
LA NORMATIVA IN MATERIA 12
INDICAZIONI NAZIONALI 12
LE REGOLAMENTAZIONI REGIONALI 13
LE LINEE GUIDA E LE RACCOMANDAZIONI 14
DELL’ ONU - UNO SGUARDO TRANSNAZIONALE
LE OSSERVAZIONI E LE RACCOMANDAZIONI 14
SECONDA PARTE
LE DIMENSIONI TEMATICHE PER LA 16
DEFINIZIONE DEI CRITERI PER LE COMUNITÀ RESIDENZIALI MINORENNI
IL CONTESTO AMBIENTALE - LA CASA 17
IL MODELLO PSICOPEDAGOGICO DI 18
RIFERIMENTO
IL CONTESTO SOCIALE 19
PROGETTO QUADRO E PROGETTO 19
INDIVIDUALIZZATO: LA RETE DI GOVERNO
IL BUON ABBINAMENTO: L’APPROPRIATEZZA 20
DELLA SCELTA DELLA COMUNITÀ
CHI ACCOGLIE (CHI ABITA LA COMUNITÀ): LE 21
FAMIGLIE/ADULTI RESIDENTI. GLI EDUCATORI
CHI È ACCOLTO 22
VIGILANZA E CONTROLLO 23
IL GIUSTO PREZZO 23
LE PROPOSTE 24
VERSIONE ETR (EASY TO READ) 27
DEL DOCUMENTO FINALE
COSA NE PENSANO I RAGAZZI E LE RAGAZZE 31
AUTORITÀ GARANTE PER L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA
INTRODUZIONE
S
AUTORITÀ GARANTE PER L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA
pesso si ripete da più parti che il nostro Paese soffre di una parcellizzazione delle competenze e dell’assenza di una rete in grado di mettere a sistema esperienze e capacità. Una verità che ritrova purtroppo conferma quotidiana, e con la quale io, nella mia attività di garante, mi trovo a misurarmi in più di un’occasione.
Da qui la priorità di creare un luogo permanente di consultazione e confronto coinvolgendo innanzitutto realtà organizzative che hanno scelto di lavorare anche in coordinamento tra loro.
La legge istitutiva dell’Autorità che presiedo ha giustamente voluto evidenziare il ruolo delle associazioni e delle organizzazioni, in particolare di quelle che favoriscono la partecipazione dei bambini e dei ragazzi, prevedendo che il Garante assicuri forme idonee di collaborazione con loro. Per rispettare lo spirito e la lettera di tale norma, sulla base delle esperienze realizzate in altri Paesi, ma anche di quanto raccomandato dal Comitato ONU sui diritti dell’infanzia, nel Regolamento dell’Autorità (DPCM 20 luglio 2012, n. 168) è stata prevista la creazione della Consulta delle Associazioni e delle Organizzazioni.
Tutto questo per ricordare che “il fare squadra” è indispensabile, soprattutto in situazioni di penuria di finanziamenti (vedi il nostro presente) o di scarse politiche sociali. Così si è creato un Gruppo di Coordinamento, composto da delegati di associazioni e organizzazioni che a loro volta sono referenti di altri coordinamenti nazionali.
Si sono poi individuati i primi Gruppi di lavoro tenendo come criterio le tematiche ritenute prioritarie per l’azione del Garante (sempre su proposta di associazioni e organizzazioni). Una di queste è stata la necessità di contribuire al processo per la definizione degli standard strutturali e gestionali e dei criteri di qualità delle relazioni, nelle Comunità di tipo famigliare.
Questa pubblicazione raccoglie il frutto dei lavori del Gruppo dedicato a questo argomento: un percorso che ha visto il coinvolgimento di numerose associazioni e organizzazioni, alcune interpellate in un’ampia consultazione che ha visto la partecipazione anche di minorenni con un’esperienza di vita in comunità.
Una scelta quest’ultima non casuale, perché la Consulta ha indicato con chiarezza la necessità, direi l’indispensabilità, di lavorare sul tema della partecipazione dei bambini e dei ragazzi come attenzione trasversale per tutti i gruppi creati e non solo per quello che aveva al centro questa tematica.
I documenti sono pertanto stati realizzati in una doppia versione: la prima contiene il risultato complessivo dei lavori, la seconda è stata invece pensata per rendere più fruibili i contenuti ai ragazzi, una versione Easy to read (ETR) dove sono state anche raccolte le loro voci e opinioni diventate così parte integrante del documento di proposta.
Xxxxxxxxx dunque quanti hanno contribuito alla stesura di questo documento, a diverso titolo.
Mi impegno a farne buon uso, a creare un ponte tra l’esperienza delle associazioni e delle organizzazioni e i decisori politici che devono, quanto prima, arrivare alla definizione di standard comuni a tutte le strutture residenziali che ospitano minorenni, ascoltando in primis l’opinione di chi le conosce perché ci lavora o le gestisce, o di chi lì ci vive.
Xxxxxxxx Xxxxxxxxx
Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza
7
AUTORITÀ GARANTE PER L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA
DOCUMENTO FINALE DEL GRUPPO DI LAVORO SULLE COMUNITÀ DI TIPO
FAMILIARE
OBIETTIVO DEL GRUPPO DI LAVORO 1
L’oggetto del lavoro di gruppo è stato quello di approfondire l’analisi e la definizione dei contenuti e delle caratteristiche peculiari e distintive della COMUNITA’ DI TIPO FAMILIARE al fine di dare concreta applicazione al mandato normativo della legge nazionale 149/2001 laddove afferma che ogni minorenne
– qualora non sia possibile nel suo superiore interesse la permanenza nella propria famiglia d’origine o la definizione di un’adozione legittimante o di un affidamento familiare – può essere accolto in una Comunità di tipo familiare, quale forma di superamento degli istituti di assistenza pubblici o privati.
Obiettivo è stato quello di avviare un processo virtuoso verso la definizione degli standard strutturali e gestionali e dei criteri di qualità delle relazioni, nelle Comunità di tipo familiare.
PRIMA PARTE
DEFINIZIONE DELLA TEMATICA
La legge 4 maggio 1983, n.184 «Diritto del minore ad una famiglia» e successive modificazioni, nell’affermare il principio che ogni minorenne ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia, prevede che, nel caso in cui un minorenne sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, lo stesso venga affidato ad una famiglia o ad una persona singola in grado
1 Componenti del Gruppo di lavoro sulle Comuni- tà di tipo familiare della Consulta delle Associazio- ni e delle Organizzazioni, istituito presso l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (AGIA): Gio- vanni Fulvi e Xxxxxxxx Xxxxxxx (Coordinamento Na- zionale delle Comunità per Minori - CNCM), Mar- co Xxxxxxxx (Progetto Famiglia), Xxxxxxx Xxxxxxx (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglien- za - CNCA), Xxxxxx Xxxxxxx (Associazione Comu- nità Xxxx Xxxxxxxx XXXXX - APG23), Xxxxx Xxxxxxx (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Mal- trattamento e l’Abuso all’Infanzia - CISMAI), Xxxx Xxxxx Xxxxxxxxx (APS Il Fiore del Deserto), Xxxxxxxx Xxxxxxxx (Anici dei Bambini – Xx.Xx.), Xxxxxxxx Xx- desco (SOS Villaggi dei Bambini), Xxxxx Xxxxxxx (Associazione nazionale famiglie adottive e affidata- xxx - Xxxxx), Xxxxxxxx Xxxxx (Agevolando). Xxxxxxxxx Xxxxxx, referente dell’AGIA per il gruppo di lavoro. Hanno collaborato: Xxxxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxx Xxxxx- san.
di garantirgli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui ha bisogno o, qualora questo non sia possibile, che venga inserito in una Comunità di tipo familiare.
Le Comunità di accoglienza sono state in questo periodo oggetto di particolare interessamento da parte di qualche mass media (giornali e Tv) ed anche di qualche iniziativa parlamentare con Interpellanze e Disegni di legge rivolti alla costituzione di un Osservatorio e di una Commissione d’inchiesta sulle strutture di accoglienza (comunità familiari/case famiglia e comunità educative).
Si rendono pertanto necessari una riflessione ed un confronto per andare a definire alcuni elementi che facciano maggior chiarezza sul mondo delle Comunità di accoglienza e che possano definire alcune strategie operative o proposte.
A partire dalla norma, dunque, il Gruppo di lavoro assume come “oggetto di lavoro” l’analisi della situazione oggi presente nel Paese, al fine di rilevarne le caratteristiche e le differenze, valorizzarne le buone prassi, denunciarne le inadeguatezze e giungere alla definizione puntuale di criteri omogenei sull’intero territorio nazionale, al fine di rendere esigibile il diritto alla non discriminazione ed all’uguaglianza per tutti i bambini e i ragazzi temporaneamente fuori famiglia.
DEFINIZIONE DEL PROBLEMA - Quali sono
le criticità su cui vogliamo intervenire
Com’è noto, alla fine del 2001 è entrata in vigore la Legge Costituzionale n. 3/2001 di revisione del Titolo V della Costituzione. Uno degli aspetti centrali della riforma è rappresentato dal capovolgimento dell’originario impianto costituzionale di ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni. In particolare il nuovo testo dell’art. 117 comma IV stabilisce che le Regioni siano titolari di una potestà legislativa piena ed esclusiva nel settore dell’assistenza sociale.
Vi sono però nel nuovo ordinamento costituzionale altre tipologie di potestà statali idonee ad influire direttamente sull’autonomia legislativa regionale in ambito socio
assistenziale e sulle modalità di attuazione e tutela del diritto all’assistenza sociale. L’art. 117 comma II, lett. m) prevede la competenza dello Stato per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
Dunque, pur nel decentramento, lo Stato non può non garantire ai cittadini condizioni minime essenziali dei diritti sociali e civili anche sul tema del collocamento dei bambini e dei ragazzi nelle Comunità di accoglienza.
Alcune Leggi/Decreti a livello nazionale ancora in vigore, demandano alla programmazione nazionale:
• la legge 28 marzo 2001, n.149, “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante ‘Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori’, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile”
- Art. 1 comma 3: “Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l’abbandono e di consentire al minore di essere educato nell’ambito della propria famiglia… ”;
- Art. 2 comma 5: “Le regioni, nell’ambito delle proprie competenze e sulla base di criteri stabiliti dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, definiscono gli standard minimi dei servizi e dell’assistenza che devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare e dagli istituti e verificano periodicamente il rispetto dei medesimi”;
• la legge 8 novembre 2000, n. 328, “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”
- Art. 8. Funzioni delle regioni
comma 3 lett. f): “definizione, sulla base dei requisiti minimi fissati dallo Stato, dei criteri per l’autorizzazione, l’accreditamento e la vigilanza delle strutture e dei servizi
a gestione pubblica o dei soggetti di cui all’articolo 1, commi 4 e 5”;
- Art. 9. Funzioni dello Stato
comma 1: “Allo Stato spetta l’esercizio delle funzioni di cui all’articolo 129 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, nonché dei poteri di indirizzo e coordinamento e di regolazione delle politiche sociali per i seguenti aspetti:
a) determinazione dei principi e degli obiettivi della politica sociale attraverso il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali di cui all’articolo 18;
b) individuazione dei livelli essenziali ed uniformi delle prestazioni, comprese le funzioni in materia assistenziale, svolte per minori ed adulti dal Ministero della giustizia, all’interno del settore penale;
c) fissazionedeirequisitiminimistrutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale; previsione di requisiti specifici per le comunità di tipo familiare con sede nelle civili abitazioni”;
- Art. 11. Autorizzazione e accreditamento comma 1: “I servizi e le strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica o dei soggetti di cui all’articolo 1, comma 5, sono autorizzati dai comuni. L’autorizzazione è rilasciata in conformità ai requisiti stabiliti dalla legge regionale, che recepisce e integra, in relazione alle esigenze locali, i requisiti minimi nazionali determinati ai sensi dell’articolo 9, comma 1, lettera c), con decreto del Ministro per la solidarietà sociale, sentiti i Ministri interessati e la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281”.
Da questo è scaturito il D.M. n. 308 del 21 maggio 2001 “Requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, a norma dell’articolo 11 della legge 8 novembre 2000, n. 328”.
LA NORMATIVA IN MATERIA
Il panorama classificatorio delle strutture residenziali per minori presenta variegate sfumature ed approcci che mutano da regione a regione.
Manca al momento una indicazione nazionale (legislativa o regolamentare) univoca delle varie tipologie.
Ne consegue che anche sul versante della definizione delle “comunità di tipo familiare” si sviluppano approcci spesso assai diversi.
Indicazioni nazionali
L’istanza di raccordo e armonizzazione tra il livello nazionale e regionale si è espressa in alcune iniziative che, pur lasciando alle regioni il compito e l’autonomia di specificare e regolamentare la materia, hanno tentato di tracciare alcuni principi comuni.
• Atto n. 357 del 13.11.1997 della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano
La Conferenza adottò un documento in base al quale i “presidi residenziali socio- assistenziali per minori” furono ripartiti in alcuni macrogruppi:
- le comunità di pronta accoglienza;
- le comunità di tipo familiare e le comunità educative, ospitanti fino a 12 minori;
- gli istituti, ospitanti più di 12 minori (tipologia poi superata per effetto della legge n. 149/2001).
• D.M. n. 308 del 21 maggio 2001 “Requisiti minimi strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale, a norma dell’articolo 11 della legge 8 novembre 2000, n. 328”
Il decreto, tuttora in vigore, definisce:
- le comunità di tipo familiare e i gruppi appartamento (art. 3), i quali: accolgono fino ad un massimo di sei utenti; (…) devono possedere i requisiti strutturali previsti per gli alloggi destinati a
civile abitazione. Gli specifici requisiti organizzativi, adeguati alle necessità educativo-assistenziali dei bambini e degli adolescenti, sono stabiliti dalle regioni;
- le strutture di tipo comunitario (art. 7 e Allegato A): caratterizzate da bassa intensità assistenziale, da bassa e media complessità organizzativa e dall’essere destinate ad accogliere un’utenza con limitata autonomia personale, priva del necessario supporto familiare o per la quale la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o definitivamente contrastante con il piano individualizzato di assistenza e per avere, per quanto riguarda i minorenni, dal punto di vista strutturale, una capacità ricettiva di massimo 10 posti, più 2 per le emergenze.
• Legge 28 marzo 2001, n. 149 “Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante ‘Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori’, nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile”
All’articolo 2, commi 4 e 5, si prevede l’inserimento dei minorenni esclusivamente nelle comunità di tipo familiare precisando che devono essere “caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia” e che “le regioni, nell’ambito delle proprie competenze e sulla base di criteri stabiliti dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, definiscono gli standard minimi dei servizi e dell’assistenza che devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare (…) e verificano periodicamente il rispetto dei medesimi”.
• Atto n.1402 del 28.2.2002 della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano “Adozione da parte della Conferenza Stato – Regioni dei criteri relativi agli standard minimi delle comunità di tipo familiare per i minori privi di ambiente familiare idoneo”.
L’Atto della Conferenza crea un collegamento tra le previsioni del D.M.
n. 308/2001 e quelle di cui alla legge n. 149/2001. Al punto 2 dell’Atto si parla di:
a) comunità di tipo familiare, che accolgono bambini e/o adolescenti temporaneamente privi di famiglia o provenienti da famiglie in condizioni di disagio per i quali la permanenza nel nucleo familiare sia temporaneamente o permanentemente impossibile o contrastante con il progetto individuale, caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia e, qualora accolgano fino ad un massimo di sei minori, possiedono i requisiti strutturali previsti per gli alloggi destinati a civile abitazione;
b) gruppi appartamento (si rinvia alla tipologia prevista dal D.M. n. 308/2001).
Complessivamente emerge un orientamento sempre più chiaro su alcuni requisiti dei presidi minorili, ed in particolare:
- circa il numero ridotto degli ospiti nei presidi per minori: massimo 10 + 2 emergenze, ridotti a massimo 6 nel caso di comunità familiare/casa famiglia;
- circa l’applicabilità dei requisiti strutturali previsti per le civili abitazioni.
Meno certezza c’è sul piano classificatorio poiché, mentre la legge n.149/2001 prevede quale unica tipologia di presidio la “comunità di tipo familiare” (senza peraltro definirla compiutamente), l’Atto n. 1402 richiama anche la tipologia del “gruppo appartamento” (senza definirla affatto) e il DM 308/2001 oltre a queste due tipologie (previste dall’art. 3), parla anche di “strutture di tipo comunitario” (art. 7) senza precisare esplicitamente se, nel caso dei minorenni, esse coincidono con il “gruppo appartamento” o se trattasi di una terza tipologia.
Risultano inoltre assenti una normativa chiara e
minori è stato compiuto con l’emanazione del “Nomenclatore interregionale degli interventi e servizi sociali”, a cura del Coordinamento tecnico interregionale per le politiche sociali e del CISIS (“Centro inter-regionale per i sistemi informativi, geografici e statistici”, associazione tra le Regioni e le Province autonome costituita al fine di garantire un efficace coordinamento di strumenti informativi e geografici e di informazione statistica, nonché per assicurare il miglior raccordo tra le regioni, lo stato e gli enti locali).
Il Nomenclatore Interregionale è il frutto di un complesso e lungo lavoro di raccordo e confronto tra le classificazioni adottate da tutte le regioni d’Italia. La classificazione proposta è segno dell’orientamento generale che scaturisce da uno sguardo di insieme delle classificazioni adottate dalle regioni italiane.
Essa è in parte influenzata/determinata da una lettura delle tipologie più diffuse. D’altro canto la classificazione e le definizioni proposte intendono orientare il cammino futuro e, come tali, esprimono l’approccio politico-valoriale del gruppo tecnico che vi ha lavorato.
Nella sezione “M”, dedicata alle “Strutture residenziali per minori”, sono classificate:
- Comunità Familiari per minori
- Comunità socio educative
- Alloggio ad alta autonomia
- Servizi di accoglienza per bambino genitore
- Strutture di pronta accoglienza per minori
- Comunità multiutenza
- Comunità educativa e psicologica
Il quadro di quanto previsto dalle singole Regioni risulta essere molto variegato2.
dati statistici precisi, circa le Comunità sanitarie
dove sono inseriti minorenni.
Le regolamentazioni regionali
Un importante passo in avanti nel percorso di classificazione dei presidi residenziali per
2 Al fine di una maggiore conoscenza delle diverse normative regionali in materia, si rimanda all’analisi compiuta dal CNCA nel 2012 (relativa a 12 Regioni) “Parliamo ancora di comunità” e al documento anali- tico redatto dal xxxx. Xxxxx Xxxxxxxx - Fondazione Progetto Famiglia – segreteria Tavolo nazionale affido “Cos’è una comunità familiareẓ La classificazione delle co- munità familiari nella normativa nazionale e regionale” (2011).
Le Linee guida e le Raccomandazioni ONU - Uno sguardo transnazionale
Le linee guida ONU sull’accoglienza dei bambini fuori dalla famiglia d’origine indicano i seguenti principi fondamentali:
• principio della necessità: indica la necessità di adeguate risorse tali da assicurare servizi sociali di sostegno mirati ad evitare la separazione dei bambini dalle loro famiglie;
• principio di appropriatezza: indica la necessità di assicurare che – laddove l’accoglienza in comunità sia necessaria nel superiore interesse del minorenne – l’opzione dell’accoglienza scelta e il periodo definito di tale accoglienza siano appropriati ed in ogni caso promuovano la stabilità e la permanenza.
Intalecontestooccorredefinirequindiilprogetto “appropriato” per ogni bambino e ragazzo e contestualmente definire l’appropriatezza dei “luoghi” dell’accoglienza che devono garantire:
- l’attuazione di processi decisionali che includano la partecipazione informata dei ragazzi e delle loro famiglie,
- processi autorizzativi rigorosi, affidabili e monitorati,
- chiarezza nei processi di definizione e gestione dei progetti individualizzati che devono essere regolarmente verificati e che devono tenere conto del punto di vista del minorenne,
- idonee condizioni generali di accoglienza;
• promuovere l’accoglienza familiare e prevenire l’allontanamento dall’ambiente familiare garantendo sostegno alla rete parentale d’origine, garantendo altresì un chiaro e rigoroso processo partecipativo e decisionale;
• preparare e sostenere i processi successivi di avvio all’autonomia (il dopo).
Il Comitato ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza nelle sue Osservazioni Finali relative all’Italia (ottobre 2011):
40. Il Comitato raccomanda che lo Stato parte, nell’ambito delle sue competenze, garantisca un’applicazione efficace ed equa della legge n.
149/2001 in tutte le regioni e che:
a) adotti criteri e standard minimi concordati a livello nazionale per i servizi e l’assistenza relativi a tutte le istituzioni di assistenza alternative per i bambini privati di un ambiente familiare, incluse le “strutture residenziali” quali le comunità di tipo familiare.
Le Osservazioni e le Raccomandazioni
In riferimento alla tematica relativa alla cura della qualità dell’accoglienza residenziale ed alla definizione puntuale dei criteri e degli standard delle comunità di tipo familiare, accanto al quadro normativo sopra evidenziato, è utile riportare anche quanto contenuto e previsto nel III Piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva (PNI) – dicembre 2010 – pubblicato in G.U. 9/5/2011.
Pur essendo di fatto già scaduto, in assenza di un nuovo PNI, è utile ricordare quanto in tale contesto veniva assunto quale impegno formale.
AZIONEA 10 – INTERVENTISULLESTRUTTURE DI ACCOGLIENZA RESIDENZIALE PER MINORI
Tipologia azione: Atti delle Amministrazioni centrali coordinati con le Regioni e le Province autonome
Obiettivo: rafforzare la qualità delle strutture residenziali ai fini educativi, tutelari e riparativi per bambini ed adolescenti temporaneamente allontanati dalla famiglia, potenziando le capacità di ascolto e protezione degli educatori, le capacità di integrazione tra la comunità e la rete territoriale per l’inserimento, per il trattamento del minore e della famiglia, per i progetti di dimissione e stimolando un’integrazione specifica con i servizi territoriali rispetto al lavoro di valutazione e sostegno della famiglia d’origine.
Azioni/interventi: avvio di una riflessione approfondita a livello nazionale attraverso la costituzione di un tavolo/gruppo di lavoro che coinvolga Regioni, Enti locali, rappresentanti delle comunità e dei coordinamenti del terzo settore, ministeri interessati, esperti (università, ecc.):
- sui processi di allontanamento dei bambini e dei ragazzi dalla propria famiglia
- sugli standard strutturali, organizzativi e procedurali dei servizi di accoglienza dei minori
- sulle professionalità impegnate (qualifiche, formazione, standard quantitativi)
- sui processi di formazione permanente e di supervisione degli operatori
- sui contenuti e le metodologie del lavoro socio-educativo-relazionale per la presa in carico e la gestione dei singoli progetti individuali,
con lo scopo di definire un documento di linee di indirizzo nazionale per l’accoglienza dei bambini e dei ragazzi (da approvare in sede di Conferenza Stato-Regioni e Enti locali).
Sempre attraverso un’azione coordinata con le Regioni, prevedere il potenziamento delle strutture residenziali (dove carenti) con interventi specifici attraverso i Piani sociali regionali ed i piani locali di zona rispetto anche ai bisogni specifici prevalenti con attenzione agli adolescenti ed ai giovani infra21enni e la qualificazione delle strutture residenziali attraverso formazione specifica degli educatori in relazione alle diverse funzioni educative, tutelari e riparative da svolgere con particolare attenzione per l’accoglienza di minori vittime di violenza.
Rafforzamento in ogni territorio delle forme di collegamento tra tutti i soggetti deputati al monitoraggio, al controllo ed alla vigilanza dei progetti di accoglienza extrafamiliare e delle strutture di accoglienza in particolare Procuratore della Repubblica, Regione, Enti Locali, Garante regionale, Osservatorio regionale finalizzati a realizzare sistemi di vigilanza proattivi, capaci di sostenere lo sviluppo del sistema dell’accoglienza nella direzione del reale rispetto dei diritti dei bambini, con particolare attenzione all’esistenza di reali progettualità di accoglienza, alle lunghe accoglienze e ai fenomeni di migrazione dei bambini.
Soggetti coinvolti: Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento delle politiche per la famiglia, Regioni, Enti locali, in collaborazione con
associazioni professionali educatori, pedagogisti – Ordini professionali – Terzo settore – ASL.
Destinatari finali: minori che vivono una situazione di forte rischio di emarginazione sociale, disagio socio-economico e sanitario e/o vittime di maltrattamento, abuso, violenza anche assistita.
Anche i Rapporti periodici di verifica dello stato di attuazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia in Italia, redatti da un network di ONG, in proposito sollecitano ripetutamente:
• la Conferenza Stato Regioni, affinché definisca gli standard essenziali per le diverse tipologie di “comunità di tipo familiare” a cui le singole normative regionali devono far riferimento, in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale, garantendo un effettivo monitoraggio sull’esistenza e il mantenimento degli standard richiesti e prevedendo atti formali di chiusura delle strutture laddove ciò non si verifichi;
• il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed il Ministero della giustizia affinché garantiscano la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni in riferimento all’accoglienza residenziale sull’intero territorio nazionale (Costituzione Italiana, Art. 117 – lettera m) e definiscano risorse e strumenti affinché per ogni minorenne in situazione di pregiudizio possa essere avviato un processo di presa in carico efficace ed una conseguente corretta pianificazione dell’intervento, nessun bambino sia collocato in accoglienza eterofamiliare se non necessario, la realtà di accoglienza individuata sia la più appropriata ai bisogni del minorenne, garantendo contestualmente il diritto all’ascolto ed alla partecipazione dello stesso attraverso modalità adeguate ed appropriate;
• il Ministero della giustizia perché doti le Procure della Repubblica presso i Tribunali per i minorenni delle risorse necessarie al fine di rendere effettivo il monitoraggio costante circa la situazione dei minorenni in comunità in attuazione di quanto previsto dalla legge n.149/2001 art. 9 comma 2 e 3 e art. 25 CRC.
Quanto sopra riportato ripropone l’urgenza di un intervento in tale ambito.
SECONDA PARTE
LE DIMENSIONI TEMATICHE PER LA DEFINIZIONE DEI CRITERI PER LE COMUNITÀ RESIDENZIALI PER MINORENNI
Le dimensioni tematiche sotto indicate tengono conto di quanto contenuto nella legge n.149/2001 di superamento degli istituti (la cui chiusura era prevista entro il 31.12.2006) con particolare riferimento all’indicazione specifica secondo la quale “le comunità di accoglienza devono essere di tipo familiare e proporre modalità organizzative e relazionali analoghe a quelle delle famiglie”.
Tale mandato e indicazione normativa rappresenta dunque il punto di partenza, ma anche l’orizzonte a cui tendere per l’individuazione dei criteri e degli standard che definiscono l’identità delle comunità di accoglienza.
In questo senso andrà definito ciò che rappresenta il nucleo fondante a livello relazionale e riparativo di tutte le comunità che accolgono minorenni e ciò che invece le deve differenziare per garantire una pluralità di “risorse di accoglienza” atte a rispondere ai differenti bisogni dei bambini e adolescenti che saranno inseriti.
La scelta di approfondire questa tematica nello specifico vuole essere in linea con la necessità di confermare che ciascun minorenne ha diritto ad un progetto per sé e che la risposta appropriata fa riferimento sempre all’assunzione di processi sequenziali che prevedono quando possibile il sostegno e la cura della famiglia d’origine, l’inserimento temporaneo in famiglia affidataria o in comunità ( familiare, educativa), l’attivazione qualora necessario di una progettualità terapeutica residenziale, la sostituzione totale dei legami familiari tramite l’adozione.
A partire da questa premessa, possiamo indicare tre macro-tipologie di comunità di accoglienza residenziale:
- le Comunità familiari/Case famiglia
multiutenza;
- le Comunità educative/socio-educative3 caratterizzate da operatori/educatori che non abitano in comunità ma sono presenti con modalità “a rotazione”;
- le Comunità socio-sanitarie, siano esse Comunità familiari/Case famiglia o Comunità educative, caratterizzate dalla complementarietà delle funzioni socio-educative e terapeutiche assunte da operatori professionali e a titolarità compartecipata tra la competenza sociale e sanitaria.
Questa particolare tipologia di comunità richiede indubbiamente approfondimenti specifici perché si tratta di risorsa oggi particolarmente utile e richiesta stante il constatato aumento di minorenni che evidenziano forte disagio psichico. Potrebbe quindi essere utile, in una successiva elaborazione, la definizione puntuale di questa tipologia di comunità.
Pur nel rispetto delle specifiche identità - consapevoli delle differenze e delle specificità connaturate al modello organizzativo - l’individuazione delle dimensioni tematiche proposte e assunte quale traccia per l’individuazione dei criteri/standard essenziali validi su tutto il territorio nazionale, tende ad affermare che il mandato normativo relativo alle modalità organizzative e relazionali analoghe a quelle di una famiglia sono da intendersi anche per le comunità educative/socio-educative e socio- sanitarie.
Pur nella consapevolezza che l’obiettivo di questo lavoro è prioritariamente quello di proporre criteri identificativi per le tre macro- tipologie sopra indicate, è bene precisare da subito che occorrerà anche occuparsi - in un prossimo lavoro futuro - della definizione dell’identità delle:
- Comunità terapeutiche che non devono e non possono essere confinate esclusivamente nel “comparto sanitario”;
caratterizzate dalla presenza stabile
di adulti residenti (famiglia, coppie, educatori residenti...). Tra di esse rientrano anche le comunità
3 È bene anche giungere all’uso di definizioni univoche delle tipologie di comunità (es: educative/socio-educati- ve) e delle funzioni professionali (educatore/operato- re...).
- Comunità “genitore- bambino” 4
- Alloggi/appartamenti di avvio all’autonomia per neo-maggiorenni quale attenta e necessaria continuità dei progetti individuali dei ragazzi/e in uscita dai percorsi di tutela;
- Strutture di accoglienza per minorenni gravemente disabili;
- Strutture per minorenni con dipendenze.
A nostro avviso emerge sempre più chiaro il bisogno di uscire dalla semplicistica e riduttiva suddivisione tra comunità con famiglia o adulti residenti e comunità con operatori turnanti per offrire un quadro di risposte ampie e articolate. Tra i due estremi si colloca infatti una varietà di soluzioni intermedie.
Approfondendo ulteriormente il discorso, a nostro avviso la classificazione delle comunità potrebbe e dovrebbe essere definita in base alle “tipologie di bisogni ai quali si è in grado di dare risposta” (cioè alle funzioni che vengono svolte), piuttosto che - come oggi avviene - in base al solo modello organizzativo adottato, che in ogni caso incide sulla funzione esercitata. Occorre insomma pensare sempre più a risposte complementari ed integrate anche in sede di definizione e approfondimento delle “dimensioni” proposte.
Contestualmente, quanto previsto dal nomenclatore nazionale (nella sua recente ridefinizione - 2013) richiede a nostro parere importanti rivisitazioni e aggiornamenti. Per questa ragione e al fine di favorire processi evolutivi, l’individuazione delle dimensioni tematiche e la loro puntuale declinazione può costituire il riferimento di base per la costruzione inequivocabile dell’identità delle comunità di accoglienza.
IL CONTESTO AMBIENTALE – LA CASA
La casa è di civile abitazione, casa tra le altre, confusa e confondibile nel contesto abitato, non isolato, anche rurale, integrata nel territorio con agevole accesso ad una rete di servizi (scuole, realtà aggregative, altre famiglie, ecc.), tale da garantire per i bambini e i ragazzi accolti la piena partecipazione alla vita sociale del territorio.
La comunità deve essere accessibile e raggiungibile con i mezzi pubblici per favorire le visite dei parenti, laddove consentito.
Al fine di garantire contesti di normalità e di integrazione sociale ai bambini e ai ragazzi accolti e al fine di evitare rischi di “nuove forme istituzionalizzanti” si ritiene necessario non prevedere più comunità nello stesso stabile.5
La casa è “ambiente familiare”: con cucina, salotto, spazi propri, camere personalizzate... Non ci sono cucina/lavanderia/servizi... centralizzati e/o esternalizzati.
Le procedure di autorizzazione al funzionamento e/o accreditamento delle comunità devono prevedere standard strutturali rispondenti alle caratteristiche della civile abitazione. Devono quindi essere riviste le normative regionali che invece prevedono specifiche autorizzazioni “aggiuntive”, quali l’HACCP.
IL MODELLO PSICOPEDAGOGICO DI RIFERIMENTO
Si individua l’approccio relazionale quale metodologia idonea e pertinente alla gestione del PEI (Progetto Educativo Individualizzato) al fine di non riproporre alcuna forma/modalità tipica di contesti istituzionalizzanti.
Un approccio relazionale adotta infatti modalità centrate sui bisogni dei minorenni accolti ed elimina tutto ciò che può configurarsi come soddisfacimento del bisogno dell’organizzazione o della persona che accoglie.
4 Va prevista la possibilità di accoglienza per gestan-
ti che non intendono riconoscere il proprio nato (o che non hanno ancora deciso in proposito) al fine di preservare per loro uno spazio dedicato, attento e distinto da coloro che hanno invece deciso di rico- noscere il proprio nato e che dunque possono convi- vere con madri e bambini.
5 Possono essere previsti servizi complementari (qua- li alloggi di avvio all’autonomia, centri diurni, spazi gioco...) quali ambiti propri di continuazione della relazione educativa laddove necessario e/o offerte in- tegrative a favore del minorenne accolto in comunità residenziale.
Tale approccio deve essere per il minorenne guida (contenimento – normatività) e rispecchiamento (empatia, mentalizzazione) e deve configurarsi come “esperienza riparativa” che aiuti progressivamente il minorenne nell’elaborazione della sua storia e delle gravi carenze e/o traumi subiti e conseguentemente all’apertura verso una rinnovata fiducia nella figura dell’adulto e successivamente ad un’apertura verso la costruzione di nuovi legami familiari e/o rinnovate relazioni con la famiglia d’origine/rete parentale.
In tale contesto, occorre promuovere metodi educativi positivi e un approccio orientato alla gestione positiva dei conflitti, escludendo l’utilizzo di metodi educativi di stampo istituzionale/istituzionalizzante, ad esempio:
- minacce e ricatti (anziché ascolto empatico e spiegazioni attente con confronto sui contenuti e sulle motivazioni delle richieste/regole);
- escalation del tono della voce come modalità frequente per ottenere il rispetto delle regole e delle richieste;
- imposizione rigida di regole non spiegate, non condivise e non costruite con anche la partecipazione dei bambini e dei ragazzi.
Tali metodi (tipici degli istituti, ma anche di molte famiglie disfunzionali) pongono al centro dell’azione “educativa” il “potere” dell’adulto di usare la “forza” derivante dal suo ruolo “istituzionale” quale metodo rapido e apparentemente efficace di ottenere il rispetto di una regola ma, in realtà, sul medio/lungo periodo, non fanno altro che confermare al bambino che degli adulti non ci si può fidare perché ostili, emotivamente “distanti” e psicologicamente violenti. Pertanto, è necessario che le scelte metodologiche rispondano all’interesse e ai bisogni preminenti dei bambini e degli adolescenti accolti anziché alle esigenze burocratico/organizzative e personali degli adulti accoglienti e/o degli educatori.
E’ bene però precisare che è necessario riconoscere e valorizzare le specifiche identità e differenze tra le diverse tipologie di Comunità.
Nello specifico, nelle Comunità familiari/Casa famiglia le figure responsabili, vivendo con i minorenni in difficoltà, esercitano le funzioni genitoriali materna e paterna.
La caratteristica peculiare della Comunità Familiare/Casa famiglia è data dal ricreare gli elementi fondanti la famiglia, così che ogni persona ritrovi quella situazione di accoglienza caratterizzata da sicurezza, calore umano, solidarietà, in grado di sostenere il processo di evoluzione positiva e di maturazione mediante un’organizzazione familiare caratterizzata da relazioni stabili, affettivamente significative, personalizzate.
Nella Comunità educativa/socio-educativa centrale è la dimensione professionale assunta dal gruppo di lavoro/équipe educativa che in essa opera.
Questa dimensione professionale espressa dagli educatori (gruppo di lavoro/équipe educativa) della comunità educativa/socio- educativa attraverso la presa in carico, la cura, l’accompagnamento alla crescita del minorenne e l’organizzazione della vita della comunità, si esprime necessariamente attraverso la pratica operativa ed intenzionale orientata all’esercizio di funzioni e azioni educative e di cura agite nella quotidianità. In questo senso, e per questo motivo, le Comunità educative/socio-educative e socio- sanitarie non sono un luogo neutro e asettico ma luogo centrato sull’ascolto empatico e sull’accompagnamento.
IL CONTESTO SOCIALE
La Comunità è soggetto della comunità locale, in rete e aperta agli altri soggetti (individui, associazioni, gruppi ecc.). Occorre quindi saper dire e misurare questa appartenenza alla comunità locale/territorio attraverso le relazioni di rete e la capacità di essere risorsa per il territorio: risorsa conosciuta, compresa, non subita quale soggetto avulso e indesiderato.
La comunità è dunque “parte di una rete” e non è “ultimo anello di una catena”. Ovvero comunità come parte di un più complesso sistema sociale e territoriale di convivenza dove, accanto alle famiglie, alle parrocchie, ai centri educativi, alle scuole, alle comunità diurne ecc., è inserita anch’essa come elemento valorizzante e non “stigmatizzante”.
In questa dimensione può essere ricollocato il rapporto con le “reti di famiglie” e i volontari (e cioè coloro che hanno un rapporto costante e stabile con la comunità) definendone il numero massimo, le caratteristiche, la formazione e il monitoraggio, il ruolo (mai sostitutivo degli operatori/educatori e/o degli adulti residenti, ma possibile risorsa complementare).
Allo stesso modo, molto importante è il ruolo della Rete comunitaria – associativa garantita, sostenuta e implementata quale valore relazionale condiviso dall’Organizzazione che gestisce l’esperienza della comunità e che offre su un territorio una pluralità di risposte
– spesso diverse e integrate tra loro – e che rappresentano una ricchezza di opportunità e di complementarietà nelle accoglienze.
E’ dunque da sostenere e valorizzare – oltre alla rete sociale del territorio – anche la rete interna della stessa Organizzazione.
PROGETTO QUADRO E PROGETTO
INDIVIDUALIZZATO: la rete di governo
La definizione puntuale e appropriata del Progetto Quadro è competenza e responsabilità dell’Ente Locale così come normativamente previsto, nel rispetto di quanto eventualmente disposto dall’Autorità Giudiziaria competente.
Il Progetto Quadro comprende ed esprime la progettazione complessiva e l’esito previsto a favorediquelminorenne, dellasuarete parentale
di riferimento. Indica altresì le azioni da intraprendere, i soggetti coinvolti nella gestione del progetto, le modalità di monitoraggio e verifica, nonché i tempi dell’intervento ritenuto appropriato e pertinente a fronte di una chiara diagnosi psico-sociale capace di individuare – anche – le risorse attivabili e/o implementabili nella rete parentale nell’interesse superiore del minorenne.
Lospecificodellacomunitàèinveceladefinizione puntuale del Progetto individualizzato a favore di “quel minorenne” che integri aspetti di tutela, fattori educativi e di riparazione delle fragilità esistenziali, dimensioni di socialità.
Il progetto della comunità è dunque costruito in relazione al Progetto Quadro, nel rispetto dell’interesse superiore del minorenne e di quanto eventualmente disposto dall’Autorità Giudiziaria competente.
La Comunità è dunque soggetto corresponsabile e in rete (con gli altri soggetti titolari della competenza: Ente locale/servizio sociale6 – Tribunale per i minorenni/Tribunale Ordinario
- scuola - ecc.). La Comunità non è soggetto autoreferenziale e in tal senso rifiuta deleghe totalizzanti, consapevole che è la costruzione del contesto di corresponsabilità che favorisce l’uscita dalla comunità.
Questa dimensione va quindi declinata attraverso le modalità di gestione del Progetto individualizzato: filtro – osservazione – presa in carico – monitoraggio – dimissione …post- dimissione (dal punto di vista metodologico e degli strumenti professionali)7.
6 Riteniamo utile, in tale contesto, affrontare il tema dell’individuazione dell’ente locale competente in quei casi nei quali gli stessi enti locali (per lo più per motivi economici) sollevano “dubbi”: ad esempio il caso di cambio di residenza del genitore durante il pe- riodo di accoglienza del figlio; il caso di decadimento dalla responsabilità genitoriale; il caso dei minorenni stranieri figli di genitori clandestini privi di residenza, ecc.
7 In tale contesto, e a titolo puramente esemplificati- vo e non esaustivo, occorre ricordare che per ogni singolo minorenne accolto è necessario che presso la realtà di accoglienza ci siano: presente e curata la “cartella individuale di ogni minorenne” contenente la relazione sociale di invio, il progetto individuale, gli aggiornamenti del progetto individuale, l’eviden- za delle relazioni di aggiornamento al TM (Procura c/o TM, Servizio sociale inviante...), i provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria, la regolazione dei rapporti con la famiglia/rete parentale d’origine.
La puntuale e chiara esplicitazione delle “motivazioni dell’allontanamento”, la definizione delle fasi dell’accoglienza e delle responsabilità/corresponsabilità (dal progetto quadro al progetto individuale) permettono e garantiscono di fare chiarezza:
- sui criteri di abbinamento minore/ comunità che guidano l’inserimento (perché quella comunità, perché quella comunità invece che l’affido familiare...);
- sul monitoraggio del progetto quadro e del progetto individuale in relazione agli obiettivi posti (per il bambino/ ragazzo e per la sua famiglia d’origine/ rete parentale allargata..);
- sui tempi dell’accoglienza nel superiore interesse del minorenne;
- sugli esiti e sul progetto “dopo comunità”8 (rientro in famiglia d’origine, adozione, affido, avvio all’autonomia a favore di neomaggiorenni, loro permanenza in comunità laddove la scelta risponde al superiore interesse della persona coinvolta).
È sempre importante che sia prevista e declinata la partecipazione del bambino/ ragazzo alla definizione e periodica revisione del Progetto individualizzato.
Vanno quindi previste e definite (sulla carta dei servizi), da parte di ogni comunità di accoglienza, la procedura e le azioni utilizzate per garantire gli essenziali processi partecipativi tesi a favorire l’ascolto attivo del minorenne durante la fase di costruzione del progetto individualizzato e durante tutto il processo di accoglienza.
IL BUON ABBINAMENTO: l’appropriatezza della scelta della Comunità
Un “buon abbinamento” è possibile solo se si è disposti ad abbandonare stereotipi e pregiudizi (anche attraverso percorsi formativi integrati tra servizi territoriali socio-sanitari e comunità) per costruire pazientemente “la risposta” per quel bambino/ragazzo, nel suo superiore interesse e rinunciando a decisioni dettate meramente dal contenimento dei costi derivante dai tagli alla spesa sociale.
Questo non significa però rinunciare in assoluto all’individuazione di parametri oggettivi sui quali basare le varie valutazioni. Troppe volte le valutazioni degli operatori sono influenzate dalle loro esperienze personali e professionali, come pure occorre prendere atto delle differenze (e, a volte, delle divergenze) esistenti tra i linguaggi, i codici e le rappresentazioni cui i diversi operatori - e le diverse categorie professionali - fanno riferimento.
Il superamento di questi gravi limiti di analisi- valutazione-progettazione, chiede uno sforzo di esplicitazione e di categorizzazione dei criteri su cui si basa il processo di valutazione, al fine di renderlo comunicabile, e quindi confrontabile e migliorabile.
Ai fini di un corretto abbinamento minorenne/ comunità è necessario che i servizi sociali territoriali possano disporre non tanto di un semplice elenco delle comunità, bensì di un’anagrafe ragionata delle comunità, cioè di un banca dati corredata di informazioni dettagliate e aggiornate, sia sulla tipologia della struttura e del servizio svolto, che sulle caratteristiche e gli assetti specifici di ciascuna comunità.
In tal senso è quindi utile avviare una riflessione per arrivare a definire il profilo funzionale delle comunità9 e la natura dell’area di competenza delle relazioni affettivo-educative offerte dalle diverse comunità.
8 Sul “dopo comunità” è necessario preparare i bam-
bini/ragazzi già nella fase precedente all’uscita, at- traverso percorsi gradualmente orientati a favorire il processo di dimissione con attenzioni specifiche nell’ordine: ai processi di ricongiungimento se c’è rientro in famiglia, alla preparazione all’adozione e all’affido nei casi di adozione e affido, alle compe- tenze e consapevolezze sull’autonomia se ci sarà un percorso di accompagnamento all’indipendenza.
9 Per far questo dovremmo fare lo sforzo di “elenca- re e definire” le varie funzioni svolte dalle comunità, superando le inevitabili idiosincrasie linguistiche, per addivenire a descrizioni condivise e quindi general- mente proponibili.
Il profilo delle comunità sarebbe così determinato dalla tipologia delle funzioni svolte, dall’intensità/ preminenza di talune rispetto a tal altre.
Nelle more di quanto previsto dalle “Linee guida ONU sull’accoglienza dei bambini fuori dalla famiglia d’origine”10, è necessario che ogni bambino in situazione di pregiudizio possa contare su un rigoroso processo di valutazione (gatekeeping11) che, oltre ad assicurare la rigorosa determinazione della necessità di allontanamento, determini l’individuazione delle modalità di accoglienza più appropriata per i suoi bisogni, garantendo anche che nel processo sia prevista la consultazione dello stesso minorenne.
Perché il processo di valutazione possa essere attuato serve che il soggetto responsabile del Processo (il Servizio Sociale) possa contare su un’équipe multidisciplinare e che ci sia da parte del territorio un’ampia offerta di servizi.
CHI ACCOGLIE (chi abita la Comunità): le famiglie/adulti residenti. Gli educatori
Questa dimensione ha l’obiettivo di definire le caratteristiche e le competenze (cognitiva e emotiva) di chi accoglie: famiglia/adulti residenti e educatori/operatori professionali al fine di definire standard omogenei sull’intero territorio nazionale superando le attuali differenze regionali.
Qui di seguito vengono indicati sinteticamente gli ambiti principali in base ai quali strutturare una compiuta definizione degli standard gestionali, nella consapevolezza che occorrerà successivamente approfondirne i contenuti, definire e affinare i processi nel rispetto delle diverse tipologie di comunità qui trattate.
In questo ambito devono quindi essere definiti:
- i criteri di selezione/valutazione/ assessment al fine di verificare l’idoneità alla professione dell’educatore in
10 Risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazio- ni Unite A/RES/64/142 del 24/2/2010, paragrafo 15
comunità per minorenni e l’idoneità della famiglia/adulti residenti;
- la formazione accademica e il curriculum vitae;
- la formazione permanente;
- la supervisione;
- il rapporto numerico educatori / adulti residenti e minorenni accolti12 (orientativamente 1/3);
- la costruzione-organizzazione dell’équipe educativa (coordinatore e educatori). Questo aspetto è bene declinarlo anche per le comunità familiari/case famiglia, seppur nella consapevolezza delle dovute e opportune differenze e tipicità della risposta;
- la presenza di ambo i sessi nell’equipe educativa/adulti residenti;
- l’organizzazione delle funzioni dell’équipe al fine di evitare eccessive frammentazione e settorializzazione delle figure/funzioni educative;
- la definizione del rapporto di lavoro stabile al fine di evitare turn over.
E’ necessario che la Comunità:
- garantisca nel suo modello di intervento il diritto all’ascolto e alla partecipazione dei bambini/ragazzi;
- lavori sempre per il progetto post dimissione in modo da essere “ponte”, e non parentesi nella vita del bambino;
- ove possibile sia attiva verso le famiglie d’origine dei bambini accolti, collaborando (ovviamente in rete con i Servizi Sociali invianti) per il rafforzamento delle loro competenze genitoriali.
In tale contesto è bene precisare che il rafforzamento delle competenze genitoriali delle famiglie d’origine/rete parentale si configura quale attenzione
(xxxx://xxx-xxx.xxx/0000/xxxxxx/xxxxx/xxxxxxxxxx/XXX/
UN-Guidelines-italian.pdf).
11 Il gatekeeping è il meccanismo capace di assicurare che i bambini siano allontanati solo se sono state messe in atto tutte le misure per verificarne l’assoluta neces- sità, e in tal caso si siano attivate procedure che garan- tiscono che la realtà di accoglienza prescelta sia la più appropriata e che il ragazzo sia stato coinvolto in tut- te le fasi del processo per la determinazione del suo superiore interesse. X. Xxxxxx, “Moving Forward”, cap. II, p. 23 e cap. VI, pp. 68 -72 (xxxx://xxx.xxxxxxxxxxx- xxxxxxxxxxxxxx.xxx/Xxxx/xxxxx/0000/xxxxxxxx/xx-XX/ Default.aspx).
12 Si ritiene assolutamente negativo e da ripudiare ogni tentativo di definire parametri organizzativi e di rap- porti personale-accolti in termini di minuti di as- sistenza al giorno da garantire ad ogni minorenne. Tale modalità, peraltro non del tutto condivisibile neppure nel sistema sanitario, è inammissibile per le comunità di accoglienza educative dove non è pos- sibile – e non può neppure essere concettualmente sostenibile - ridurre l’intervento a “prestazioni settoria- lizzate” disattendendo in modo grave alla presa in ca- rico complessiva di ogni storia e di ogni progetto per ogni minorenne accolto.
della comunità nella costruzione/ facilitazione di opportunità, per i genitori/parenti (laddove possibile e in accordo con il servizio sociale inviante, tenuto conto di quanto disposto dalle Autorità Giudiziarie), di sperimentare buone e più adeguate relazioni con i propri figli in un contesto protetto e accompagnato attraverso pratiche quotidiane di normalità in cui i genitori/parenti coinvolti possano apprendere e agire modalità e dinamiche relazionali- educative più adeguate e consone alla situazione del figlio così da verificare e sostenere le loro competenze genitoriali.
Tale modalità di coinvolgimento delle famiglie d’origine/rete parentale è sempre importante per trovare un equilibrio relazionale tra il minorenne e i propri genitori/parenti ed è fondamentale laddove si prevede il rientro del minorenne nella propria famiglia d’origine. Laddove possibile e sempre in accordo con il servizio sociale inviante, sono di questo segno opportunità quali: la facilitazione di incontri e visite in comunità da parte dei genitori/parenti; la partecipazione ad alcuni momenti di vita in comunità (i compiti, i momenti di festa, ..), ecc.;
- collabori con i Servizi Sociali competenti
– sia per l’affidamento familiare sia per l’affidamento a “rischio giuridico” o pre- adottivo del minorenne accolto - per la preparazione del bambino/ragazzo sul significato e la portata dell’intervento disposto dall’Autorità Giudiziaria, la raccolta della documentazione sulla sua vita in comunità, l’accompagnamento nella famiglia che lo accoglierà.
CHI E’ ACCOLTO
Questa dimensione ha l’obiettivo di identificare:
- la tipologia del bisogno specifico di quel minorenne e conseguentemente la comunità più appropriata per l’accoglienza: per chi è la comunità;
- il numero massimo delle accoglienze contemporanee (si propone un numero complessivo non superiore a 8+2 mentre per le comunità familiari/casa famiglia si propone un numero massimo di 6
minorenni)13;
- le tipologie dell’accoglienza;
- la fascia di età e (eventualmente) il sesso.
Sono da favorire – in linea di massima e fatte salve situazioni specifiche - le comunità che accolgono sia maschi che femmine, italiani e stranieri (evitando comunità “di genere” e/o di “etnia/cultura” o solo per MSNA) verificata ovviamente la compatibilità in riferimento ai minorenni già accolti e da accogliere.
Contestualmente occorre prestare attenzione:
- alla tipologia di accoglienza possibile verso minorenni disabili. Tale precisazione è necessaria al fine di evitare che per i minorenni disabili sia pensata, prevista e utilizzata esclusivamente una struttura sanitaria.
Si ritiene invece che, fatta salva la verifica dei bisogni specifici di quel minorenne e la necessità di contesti sanitari nel suo superiore interesse, vada privilegiata la scelta dell’accoglienza in comunità familiare o educativa adeguatamente supportata. Anche in questo caso dovrà essere verificata la compatibilità in riferimento ai minorenni già accolti e alle competenze che in questi casi la comunità deve saper assumere e esprimere;
- alla garanzia di accoglienza congiunta di gruppi di fratelli anche numerosi a prescindere dall’età per salvaguardare il legame fraterno quando è nell’interesse del singolo minorenne.
13 Occorre evitare, nel modo più sicuro possibile, che le accoglienze diventino, nella realtà, stabilmente 10 evitando derive come, per esempio, per l’accoglien- za dei MSNA. La Raccomandazione Rec (2005) 5 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa stabili- sce che, per rispettare i diritti dei bambini, le realtà di accoglienza dovrebbero garantire un piccolo gruppo con uno stile di vita familiare. Anche le “Linee Gui- da ONU sull’accoglienza fuori famiglia d’origine” all’art. 123 sanciscono: “Le strutture che forniscono accoglienza dovrebbero essere di piccole dimensioni e organizzate intor- no ai diritti e ai bisogni dei bambini”.
VIGILANZA E CONTROLLO
Riteniamo sia compito obbligatorio dello Stato
– attraverso le funzioni preposte – garantire un adeguato e un rigoroso controllo circa l’operato delle realtà di accoglienza e il mantenimento degli standard e dei criteri di qualità resi cogenti sull’intero territorio nazionale.
La richiesta di controlli rigorosi e certi è la strada per rispondere seriamente alle richieste oggi avanzate sia dalle istituzioni che dalla società civile e per rifiutare definitivamente qualunque forma di strumentalizzazione ideologica, superficialità, disinformazione che oggi invece caratterizza questa realtà (vedi servizi sulla stampa, in TV, ecc.).
In diversi documenti prodotti anche dai componenti di questo gruppo di lavoro – promosso dalla Consulta delle Associazioni presso l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza – si chiede vengano resi operativi i luoghi e gli strumenti di controllo già previsti e vengano chiuse le comunità che non rispondono ai requisiti e al superiore interesse dei minorenni.
Per questa ragione ci sembra utile rendere operativi ed efficienti, sull’intero territorio nazionale, le responsabilità istituzionali già previste per:
- le Procure della Repubblica presso i Tribunali per i Minorenni
- le Aziende Sanitarie Locali
- gli Enti Locali (comuni singoli e/o Associati) titolari della competenza sui singoli casi.
A tal fine occorre che le responsabilità istituzionali sopra ricordate possano contare su adeguate risorse professionali ed economiche e che siano previste sanzioni laddove il controllo dovuto non sia regolarmente eseguito (almeno ogni 6 mesi). Si richiama al riguardo quanto previsto dall’art. 9 della legge n. 184/1983 (commi 2 e 3) e successive modificazioni.14
14 2. “Gli istituti di assistenza pubblici o privati e le comu- nità di tipo familiare devono trasmettere semestralmente al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo ove hanno sede l’elenco di tutti i mi- norenni collocati presso di loro con l’indicazione specifica, per ciascuno di essi, della località di residenza dei genitori, dei rapporti con la famiglia e delle condizioni psicofisiche del minore stesso. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, assunte le necessarie informa- zioni, chiede al Tribunale, con ricorso, di dichiarare l’adot-
Per questa ragione, dunque, riteniamo non sia utile istituire altri e nuovi luoghi istituzionali deputati alla funzione di controllo delle comunità e ribadiamo ancora la necessità di “far funzionare” luoghi e responsabilità istituzionali già previsti al fine di dare concretezza all’importante funzione di controllo delle comunità residenziali così come di tutte le realtà di accoglienza eterofamiliare come le famiglie affidatarie.
IL GIUSTO PREZZO
L’entità della retta (i costi della comunità) deve essere calcolata in riferimento ai parametri/ criteri/standard individuati e richiesti: se definiti con chiarezza, i costi sono desumibili in relazione al numero dei minorenni accolti e dagli oneri derivanti per il rispetto dei criteri di qualità individuati, approvati, resi cogenti.
Sono quindi controllabili, identificabili, certi e legittimati in relazione al livello di qualità che si intende garantire per l’accoglienza dei minorenni temporaneamente allontanati dalla loro famiglia d’origine.
Si tratta dunque di assumere la scelta di definire criteri e standard omogenei obbligatori sull’intero territorio nazionale da cui far discendere il “giusto prezzo” delle comunità e rendere obbligatoria per tutti gli Enti gestori la rendicontazione economico-sociale annuale complessiva in riferimento all’attività di accoglienza residenziale valorizzando ed estendendo quanto è già previsto.
tabilità di quelli tra i minori segnalati o collocati presso le comunità di tipo familiare o gli istituti di assistenza pub- blici o privati o presso una famiglia affidataria, che risul- tano in situazioni di abbandono, specificandone i motivi.
3. Il procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, che trasmette gli atti al medesimo tribunale con relazione informativa, ogni sei mesi, effettua o dispone ispezioni “negli istituti di assistenza pubblici o privati” ai fini di cui al comma 2. Può procedere a ispezioni straordi- narie in ogni tempo”.
LE PROPOSTE
1° - Costituzione di un “tavolo tecnico”, finalizzato alla definizione della proposta degli “standard essenziali” per le diverse tipologie di comunità a cui le diverse normative regionali devono fare riferimento, dando così attuazione a quanto previsto dal PNI e dalle raccomandazioni dei report CRC.
Il “tavolo tecnico” sarà altresì luogo competente per la definizione di una proposta circostanziata e articolata di definizione dei protocolli operativi e dei codici di comportamento a cui le realtà di accoglienza devono attenersi al fine di rendere il loro operato coerente agli standard e ai criteri di qualità nonché trasparente sotto il profilo economico.
La modalità di costituzione del suddetto “tavolo tecnico” potrà essere delegata all’Osservatorio nazionale Infanzia e Adolescenza (quale Organismo normativamente previsto per la costruzione della proposta del “Piano Nazionale Infanzia”).
Il “tavolo tecnico” sarà condotto dal Garante nazionale in collaborazione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e definirà chiare proceduredicollaborazioneecomplementarietà con la “Conferenza nazionale per la garanzia dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”.
2° - Definizione dell’indice delle Linee di indirizzo sull’accoglienza nelle strutture, sull’esempio di quelle per l’affidamento familiare.
In tale contesto, è utile rendere obbligatoria per ogni struttura di accoglienza la Carta dei servizi (comprendente anche qual è il modello di intervento utilizzato e quali le azioni che vengono svolte per formare, educatori e adulti accoglienti, alla conoscenza del modello relazionale/familiare e al superamento di modalità istituzionali/istituzionalizzanti del tipo punizioni, ricatti, minacce, ecc.), al fine di rendere evidente quali possano essere le azioni, le procedure, gli strumenti utili per evitare la presenza di metodi educativi non opportuni e che possono condurre a possibili “abusi” psicologici e/o maltrattamenti psicologici da parte di adulti accoglienti ed educatori.
3°- Completare rapidamente le nomine dei Garanti regionali al fine di colmare una grave lacuna e per rendere operativa questa funzione di controllo, di garanzia e di authority “vicina ai territori” e dunque in grado di verificare, dialogare, constatare, intervenire con la sufficiente celerità nel superiore interesse dei minorenni.
Ai Garanti regionali, in stretta correlazione con il Garante nazionale, è consegnato il compito di:
- costituire/implementare coordinamenti regionali tra i diversi soggetti coinvolti (Tribunale per i minorenni / Tribunale Ordinario - Enti locali - Regione - Terzo settore con attività prevalente in ambito dell’accoglienza di minorenni) al fine anche di approfondire, sostenere e implementare le diverse forme di accoglienza residenziale per garantire flessibilità nelle risposte nel rispetto del superiore interesse del minorenne;
- garantire la regolare esecuzione dei controlli sulle comunità verificandone l’efficacia, l’efficienza e il rispetto delle scadenze, esercitando il potere di intervento laddove ciò non si verifichi regolarmente;
- mantenere attivo il monitoraggio circa l’applicazione concreta delle linee di indirizzo sull’accoglienza nelle strutture residenziali;
- redigere un report annuale circa la situazione riscontrata al fine di trasmetterla al Garante Nazionale e – se necessario – alle Autorità competenti affinché intervengano laddove si riscontrassero inadempienze rispetto ai criteri e agli standard di qualità riscontrati in sede di verifica.
Il Garante Nazionale ha il compito di coordinare il “tavolo dei garanti regionali” al fine di costruire report periodici di restituzione circa l’attività di controllo, gli esiti, le questioni aperte da affrontare, le strategie di contrasto alle lacune e i processi di miglioramento.
Ha altresì la funzione di garantire opportuna connessione con la Commissione
parlamentare infanzia e adolescenza al fine di favorirne ambiti di confronto e collaborazione, così da evitare difformità di valutazione e distanze culturali a sostegno dell’esigibilità dei diritti dei minorenni, ivi compreso il diritto all’accoglienza residenziale laddove sia risposta appropriata e pertinente per quel minorenne e la sua famiglia.
IL PUNTO DI VISTA EUROPEO ED ITALIANO DEI RAGAZZI IN ACCOGLIENZA ETEROFAMILIARE15
1) Il bambino e la sua famiglia d’origine ricevono supporto durante il processo decisionale;
2) il bambino è autorizzato a partecipare al processo decisionale che lo riguarda;
3) un processo decisionale professionale assicura la migliore presa in carico al bambino;
4) fratelli e sorelle hanno diritto all’accoglienza congiunta;
5) l’inserimento nella nuova struttura è predisposto e pianificato in modo adeguato;
6) il processo di accoglienza è guidato da un progetto educativo individualizzato;
7) il luogo in cui il bambino è inserito risponde ai suoi bisogni;
8) il bambino mantiene contatti con la sua famiglia d’origine;
9) gli operatori sono qualificati e operano in condizioni lavorative adeguate;
10) il rapporto dell’operatore/affidatario con il bambino si basa sulla comprensione e sul rispetto;
11) il bambino ha la possibilità di partecipare attivamente al processo decisionale che interessa direttamente la sua vita;
12) il bambino viene accolto in condizioni di vita adeguate;
13) i bambini con bisogni speciali ricevono cure appropriate;
14) il giovane è preparato all’autonomia;
15) il processo di dimissione è pianificato e realizzato in tutte le sue fasi;
16) la comunicazione nel processo di dimissione è efficace e adeguata;
17) il bambino / ragazzo ha diritto di partecipare al processo di dimissione;
18) occorre garantire azioni supplementari, continuo supporto e opportunità di contatto nel post dimissione.
15 Tratto da una ricerca-azione su “Quality4Children”: standard di qualità nell’accoglienza etero familiare dei bambini e dei ragazzi, presentati nel 2007 al Parlamento Europeo, a conclusione di un lungo e articolato percorso partecipa- tivo.
AUTORITÀ GARANTE PER L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA
VERSIONE ETR (EASY TO READ)
DEL DOCUMENTO FINALE
AUTORITÀ GARANTE PER L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA
In Italia c’è una legge che dice che tutti i bambini
e i ragazzi più piccoli di 18 anni devono crescere nella loro famiglia.
Se questi bambini e ragazzi non hanno una loro famiglia,
devono essere aiutati da altre persone o da altre famiglie.
Per questo motivo, ci sono dei posti chiamati Comunità di accoglienza. In questi posti i bambini e i ragazzi che non hanno una famiglia
possono essere aiutati ad andare a scuola, possono trovare degli amici
e fare tante altre cose.
A volte però andare in queste Comunità può essere difficile.
Questo perché in Italia ci sono diversi tipi di Comunità
e tante leggi che dicono cose diverse.
Oggi si sta cercando di fare una sola legge su questo argomento.
In questo modo si cerca di aiutare i bambini
e i ragazzi ad entrare in una Comunità e a viverci bene.
Si cerca soprattutto di aiutare i bambini e i ragazzi che sono stati trattati male.
Molte persone stanno lavorando a questa legge.
Ad esempio ci stanno lavorando il Ministero del Lavoro,
il Ministero della Giustizia, le Regioni e il Governo.
Secondo alcune persone, le Comunità di accoglienza dovrebbero essere di tre tipi:
• le Comunità dove ci sono degli adulti che vivono con i bambini
• le Comunità dove ci sono degli operatori che non vivono con i
bambini ma che stanno con loro a turni
• le Comunità dove ci sono degli operatori che sono anche medici.
Si sta pensando anche ad altri tipi di Comunità.
Ad esempio, si sta pensando a delle Comunità dove
i ragazzi che stanno per fare 18 anni possono imparare a vivere da soli,
o a delle Comunità dove si possono aiutare i bambini e i ragazzi che hanno una disabilità.
Per essere delle buone Comunità questi posti non devono essere isolati
ma devono essere raggiunti dai mezzi pubblici e devono avere
tante stanze per i bambini e i ragazzi. Xxxxxx anche avere una cucina, un salotto
e tutte le stanze che ci sono nelle case normali.
Queste Comunità devono essere come delle case vere per i bambini e i ragazzi e non devono sembrare degli ospedali o dei posti dove non c’è libertà
di fare le cose.
I bambini e i ragazzi che vanno a stare in questi posti
devono sentirsi bene
e devono capire le regole che vengono date.
Non devono essere minacciati e se hanno bisogno di qualcosa devono essere aiutati.
I bambini e i ragazzi che vanno a vivere in queste Comunità
non devono essere isolati.
Devono essere vicini ad altre persone, ad esempio devono essere vicini
alle scuole, alle parrocchie, eccetera.
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In questo modo non saranno lasciati da soli e potranno conoscere meglio il posto dove vivono.
Per scegliere la Comunità migliore per ogni bambino
o ragazzo che ne ha bisogno
è importante capire bene che problemi hanno i bambini o i ragazzi.
È importante anche capire bene di cosa hanno bisogno
e cosa faranno quando non saranno più nella Comunità.
È anche importante chiedere al bambino
o al ragazzo
cosa pensa della Comunità e quali sono i suoi desideri.
Per capire quale Comunità scegliere per un minorenne
è importante avere una lista di tutte le Comunità
che ci sono in Italia e sapere che cosa fanno.
Per fare stare bene i bambini e i ragazzi che vanno nelle Comunità
le persone adulte che vivono e lavorano nelle Comunità
devono sapere bene cosa fare e devono seguire delle regole.
Ad esempio, devono avere studiato molto
e non devono fare molte assenze dalla Comunità.
Per essere una buona Comunità
i bambini e i ragazzi devono essere ascoltati
e devono essere aiutati a capire perché sono lì
e cosa potranno fare dopo essere stati lì.
In una sola Comunità non devono esserci troppi bambini o ragazzi.
Al massimo ci possono essere 10 ragazzi e devono essere maschi e femmine.
Le Comunità devono ospitare anche i bambini e i ragazzi stranieri
e non devono dividere fratelli e sorelle.
È anche molto importante ospitare bambini o ragazzi
con una disabilità.
I bambini e i ragazzi con una disabilità infatti
non devono andare in ospedale se non sono malati
ma devono avere gli stessi diritti degli altri bambini.
È importante controllare le Comunità per vedere
se funzionano bene e se i ragazzi stanno bene.
Lo Stato e altre persone come il Garante per l’infanzia
controlleranno le Comunità.
Il Garante per l’infanzia è una persona che lavora per far rispettare
i diritti dei bambini e dei ragazzi che non hanno ancora 18 anni.
Si ringrazia l’Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale (Anffas) per l’elaborazione di questa versione del documento.
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AUTORITÀ GARANTE PER L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA
COSA NE PENSANO I RAGAZZI E LE RAGAZZE
Il documento finale del Gruppo di lavoro è stato presentato a quattro gruppi di ragazzi accolti in tre Comunità gestite da organizzazioni del CNCA e in un Villaggio SOS, per raccogliere la loro opinione. Si è trattato di un esperimento con la finalità di includere il loro punto di vista in questo lavoro di riflessione degli adulti.
Il lavoro è stato condotto da educatori che hanno spiegato loro il senso della richiesta, hanno aiutato a comprendere il contenuto del documento e hanno usato il seguente schema per raccogliere le risposte dei ragazzi:
1) Qual è per te la “questione” più importante tra quelle scritte nel documento?
2) Quello che è scritto relativamente alla “questione” per te importante si capisce? Sei d’accordo con le cose scritte? Come le diresti tu e cosa diresti di diverso?
3) Secondo te, nella tua esperienza, cosa ti pare funzioni bene nel rapporto con gli educatori/adulti residenti? Perché? Cosa butteresti e cosa invece tieni? Cosa manca?
4) Racconta una cosa che cambieresti o non cambieresti nella tua comunità. Perché?
5) Lascia un pensiero sulla tua esperienza in comunità… lo riportiamo al Garante!
Le risposte sono state eterogenee e presentate con modalità diverse. Sono state trascritte e vengono qui di seguito riportate così come sono pervenute, per consentire a chi legge di poter cogliere direttamente il pensiero dei ragazzi.
Comunità LA MERIDIANA di Perugia (CNCA)
I ragazzi e le ragazze, tra i 13 e i 16 anni, hanno lavorato in gruppo.
1) Qual è per te la “questione” più importante tra quelle scritte nel documento?
I ragazzi hanno scelto come “questione” più importante su cui lavorare l’intero paragrafo del documento “IL CONTESTO AMBIENTALE – LA CASA”
2) Quello che è scritto relativamente alla “questione” per te importante si capisce? Sei d’accordo con le cose scritte? Come le diresti tu e cosa diresti di diverso?
Rispetto agli altri punti risulta il più comprensibile. Si capisce abbastanza semplicemente anche se, dicono i ragazzi, un po’ lungo e le parole “civile abitazione” e “specifiche autorizzazioni aggiuntive” le sostituirebbero con “casa normale” e “regole come nei ristoranti”.
Risultanocomplicateancheleparole“integrazione sociale” e “forme di istituzionalizzazione” che sostituirebbero con “vivere insieme agli altri” e “tipi di prigione”.
Inizialmente i ragazzi dicono di preferire una casa in mezzo al bosco e non una “casa tra le altre”, poi raccontano dei loro amici che li vengono a trovare e che loro vanno a trovare e sono contenti di non essere sperduti nel bosco.
3) Secondo te, nella tua esperienza, cosa ti pare funzioni bene nel rapporto con gli educatori/adulti residenti? Perché? Cosa butteresti e cosa invece tieni? Cosa manca?
La domanda inizialmente non risulta chiara perché per i ragazzi non vi è distinzione tra casa, educatori e progetti individuali.
Poi partono con i difetti degli educatori: mi svegliano la mattina, mi fanno fare i compiti, non cucinano quello che voglio, non posso giocare sempre ai “giochini” o vedere tutto il giorno la TV… mi fanno fare calcio, cavallo, pugilato anche quando non voglio, urlano, sgridano,
fanno discorsi, fanno domande, vogliono che noi si parli delle cose…
L’elenco dei meriti è praticamente identico.
L’educatore provando a ‘tradurre’ ai ragazzi quanto ha capito: “Quello che funziona è che gli educatori sono sempre presenti e non in balia dei vostri ‘voleri’ ma attenti ad ascoltare i vostri bisogni”.
Quando legge la sua sintesi ai ragazzi, ridono e dicono di condividere la definizione.
4) Racconta una cosa che cambieresti o non cambieresti nella tua comunità. Perché?
Cambierebbero tante cose: telefonare più spesso alla mamma, uscire più spesso, avere paghetta più alta, maggiore libertà…
Poi, praticamente: costruire un campo da calcetto, avere un cavallo, poter decidere con chi dividere la cameretta…
L’unico ragazzo grande (diciottenne) non ha partecipato al gruppo ma è passato e ha lasciato un suo contributo: “voglio un lavoro vero con un vero stipendio e sapere dove andare quando non sarò qui”.
Quello che salverebbero della comunità è la propria cameretta, questo o quell’operatore, i volontari e le gite, la piazzetta qui fuori, il cibo ma non sempre…
5) Lascia un pensiero sulla tua esperienza in comunità… lo riportiamo al Garante!
Sig. Garante la invitiamo a vedere il nostro murales . Poi se ci aiuti a fare il campo da calcetto ti ringraziamo.
I ragazzi hanno voluto far arrivare al Garante anche l’esito di un confronto interno fatto precedentemente dai giovani della semiautonomia “Passo Xxxxxx” in cui i loro amici avevano raccontato la propria esperienza dell’ingresso e permanenza nella comunità:
5bis) Quando sono entrato per la prima volta in comunità non ci volevo entrare. Avevo paura ed ero arrabbiato. Quando ho visitato la comunità per la prima volta era estate, era il compleanno di mia sorella e lei viveva già in comunità.
Ci vuole tempo per abituarsi e capire che ci si può stare bene. Capisci che può essere utile solo dopo, quando le cose della tua vita iniziano ad essere meglio. Sono passati 5 anni ed oggi sono maggiorenne ma non voglio tornare a vivere a casa dei miei genitori anche se oggi ci sto anche bene.
Quando mi hanno detto che sarei entrato in comunità sono scappato. Mi hanno ripreso i carabinieri e gli educatori della comunità mi ci sono venuti a prendere. Mi sentivo come un eroe braccato.
Ci sono stato bene da subito in comunità ma non mi ci sono mai abituato. Sono scappato tante volte e mi sono sempre venuti a cercare, non i carabinieri però; ti senti meglio se ti cerca qualcuno con cui vivi. Comunque ho imparato quello che dovevo imparare e me ne sono andato. Ci penso spesso perché lì ero tranquillo.
Quando sono arrivato in comunità mica lo avevo capito che ci sarei rimasto tanto tempo. Era tutto strano c’erano le regole, si mangiava tutti insieme c’era sempre chi cucinava e i bagni erano sempre puliti anche se noi li conciavamo una m*. Gli operatori parlavano strano e mi chiedevano come stavo e come mi sentivo e quelle cose lì. Era strano perché qualche ragazzo non mangiava io invece c’avevo sempre una gran fame, c*. Poi ho imparato tante cose ma ancora è difficile vivere. Sono maggiorenne decido le mie cose ma ho ancora bisogno dei tutor per decidere del mio futuro. Però anche mio fratello avrebbe tanto bisogno che qualcuno si occupi di lui.
Ero cinina quando sono arrivata in comunità e non andavo a scuola. Ero cicciottella e timida e a volte non tornavo a casa a dormire. Per questo mi ci hanno messa. Il primo giorno mi sono chiusa in camera. Mica ti puoi fidare subito delle persone, è anche sbagliato. A casa mia è sempre stato un casino ci si vuole bene a modo nostro. Xxxxxx fa quello che vuole e mio padre è un
po’ co*. Per fortuna adesso è in comunità anche mia sorella anche se un po’ è tardi; c’avevano da pensarci prima! Io credo che mi sono salvata, i miei fratelli grandi hanno fatto una fine di m*.
Non lo so non mi ricordo. Non è bello finire in comunità perché vuol dire che non hai una famiglia per bene come quegl’altri. Sei diversa e questo te lo porti sempre. Che futuro hai. Poi ci si prova a starci ma è difficile. Oggi quando vedo i miei genitori non ho più paura ma nessuno può chiedermi di perdonarli. Se sarò grande e avrò un figlio non sarò come loro. Per mio fratello è diverso, lui non capisce.
Quando sono entrato in comunità non parlavo con nessuno. Ti tolgono il telefono e te lo danno solo quando vai a scuola. E quando torni te lo riprendono. A me lo ha detto Xxxxxxx e non mi stava bene questa cosa. Poi ti conoscono e le cose cambiano.
La prima volta che sono entrato in comunità non capivo una sola parola di italiano. Io sorridevo e capivo che c’erano persone buone.
Quando sono entrato in comunità non era la prima volta. Ne avevo attraversate tante e non era stato piacevole. Anche la famiglia affidataria mi aveva rifiutato e questa volta non sarei rimasto a guardare. Dopo due anni sono diventato finalmente maggiorenne e ho preso la mia strada.
Comunità educativa LE TRE FONTANE di Milano (CNCA)
Per lavorare sul documento gli educatori hanno usato l’Assemblea settimanale con i ragazzi (un dopo cena di poco più di un’ora in cui gli ordini del giorno sono proposti dai ragazzi o dagli educatori. Conduce chi ha proposto il tema).
L’odg relativo al lavoro sul documento è stato proposto dall’èquipe educativa e motivato ai ragazzi come “la vostra voce è importante e se si parla di comunità... gli esperti siete voi”. I ragazzi quindi sapevano che quanto emerso nell’Assemblea sarebbe stato riportato al Garante e hanno chiesto di sapere dopo cosa si fa…
Al lavoro hanno partecipato quattro ragazzi e tre ragazze tra i 15 e i 19 anni.
1) Qual è per te la “questione” più importante tra quelle scritte nel documento?
GLI EDUCATORI. C’è scritto “Chi accoglie (chi abita la comunità)...”, ma la comunità è abitata dagli educatori e dai ragazzi. Dire “chi accoglie” si capisce... Ma va bene anche così (alla fine decidono che il titoletto può restare anche così, perché tanto si capisce).
2) Quello che è scritto relativamente alla “questione” per te importante si capisce? Sei d’accordo con le cose scritte? Come le diresti tu e cosa diresti di diverso?
Si dicono tante cose: le regole, cosa devono fare per essere bravi educatori... Secondo noi bisogna essere più precisi e non menarla tanto… ”IL LAVORO DELL’EDUCATORE NON E’ COME FARE L’OPERAIO. L’EDUCATORE DEVE TENERCI AL SUO LAVORO, DEVE “TENERCI” AI RAGAZZI, AL RAPPORTO
CON LORO”. L’educatore deve anche dirti che sei un co*, ma poi ti aiuta! Non ti tradisce mai nonostante le c* che fai, nonostante lo mandi a vaffa… ECCO SCRIVEREMMO QUESTO PER DIRE COME DEVE ESSERE UN BUON EDUCATORE!
3) Secondo te, nella tua esperienza, cosa ti pare funzioni bene nel rapporto con gli educatori/adulti residenti? Perché? Cosa butteresti e cosa invece tieni? Cosa manca?
Qui noi abbiamo ł educatori e almeno 1 simpatico lo trovi!!! Gli educatori fanno inc* quando si intromettono sempre e vogliono sapere, sentire quando parli con un amico… non si fanno i c* loro! Però gli educatori non sono dei dittatori qui perché si vede che ci vogliono bene, ti ascoltano e ti danno consigli come fratelli maggiori... Qui gli educatori non lavorano e basta, qui l’educatore anche se non è in turno c’è, ti pensa e fa delle cose per me anche se è il suo giorno libero, se lo chiami viene (per esempio mi porta alla partita, a comprare delle scarpe particolari che non trovo, a una festa lontano..). Qui gli educatori vanno d’accordo, a volte scazzano... ma è normale! Non è mica un mortorio: è come una famiglia numerosa dove ogni tanto qualcuno va fuori di testa. Ma ci fanno sempre capire le cose e non la smettono fino a quando sono sicuri che sei più tranquillo... per questo a volte rompono, ma me li tengo!
4) Racconta una cosa che cambieresti o non cambieresti nella tua comunità. Perché?
Mah, non ci viene in mente niente... la nostra comunità ha la cucina, la sala da pranzo, la bibliotechina, le camere (siamo in due per camera…ah, ecco …gli educatori rompono quando ci fanno mettere a posto il casino che abbiamo negli armadi!), due terrazzi dove in estate mangiamo, c’è la camera degli educatori dove dorme chi fa notte, sopra c’è una mansarda per i ragazzi più grandi che vanno verso l’autonomia… Insomma una casa normale!
...Ah! abbiamo anche una sala “polivalente” (così la chiamano gli educatori... per noi è la sala sotto e basta). Qui ci sono dei giochi, d’inverno si stende, facciamo le assemblee anche con chi viene a spiegarci delle cose (cosa è il contratto di lavoro, come si fa un curriculum, cosa succede nel mondo, ecc.). Quando facciamo le cene con gli amici spostiamo tutto e mangiamo qui perché siamo anche in 30/40 e nella nostra sala da pranzo non ci stiamo.
5) Lascia un pensiero sulla tua esperienza in comunità… lo riportiamo al Garante!
Che ci fa piacere che si interessi delle comunità e che se vuole noi lo invitiamo a cena così chiacchieriamo e gli spieghiamo ancora tante cose perché se ci si vede ci si conosce e è meglio.
Comunità educativa PAVONI di Milano (CNCA)
La comunità accoglie sei adolescenti maschi dai 15 ai 18 anni. Gli educatori hanno proposto di lavorare in gruppo e hanno spiegato il senso e le motivazioni del lavoro. L’adesione alla proposta è stata buona, tutti hanno contribuito seppur con modalità diverse (solo un ragazzo a metà incontro si è allontanato e ha continuato a seguire ‘da lontano’). Quanto qui riportato è l’esito del lavoro ed è stato scritto ‘a più mani’ dai ragazzi.
1) Qual è per te la “questione” più importante tra quelle scritte nel documento?
Tutte sono importanti …la casa per esempio, perché la comunità è una casa normale non una prigione. All’inizio un po’ ci si vergogna di dire che siamo in comunità perché la gente ti guarda come un marziano e pensa “poverino”… o quasi ha paura. Poi quando vengono in comunità dicono “ma è una casa… hai la tua stanza,. non ci sono le sbarre… la porta è aperta… e poi dicono “è meglio di casa mia!”.
E’ importante anche che ci deve essere l’assistente sociale che io posso chiamare perché mi conosce e che viene in comunità.
Questo è un casino però: la mia AS ogni anno è nuova e io non la conosco e non mi fido più. Io ho una bravissima assistente sociale da ł anni.
Questa cosa non va bene e magari il Garante ci può fare qualcosa…
2) Quello che è scritto relativamente alla “questione” per te importante si capisce? Sei d’accordo con le cose scritte? Come le diresti tu e cosa diresti di diverso?
Così come è scritto è per quelli che devono decidere. Si capisce quasi tutto ma è lungo, per esempio abbiamo capito che “appropriatezza” vuol dire che bisogna capire bene se la comunità va bene per me... (ce l’ha spiegato l’educatore, se no non capivamo). Quello che è scritto sulla casa invece si capisce bene. Si capisce che la comunità sta in una casa normale come le altre e così va bene.
3) Secondo te, nella tua esperienza, cosa ti pare funzioni bene nel rapporto con gli educatori/adulti residenti? Perché? Cosa butteresti e cosa invece tieni? Cosa manca?
In comunità ci sono 5 educatori e sono un po’ la tua seconda famiglia (anzi, per qualcuno sono la prima famiglia). Xxxx xxxxx che alla fine la comunità è un aiuto temporaneo per un po’ di tempo (anche anni però) e quello che gli educatori fanno è farti crescere, farti capire tante cose, darti una mano quando esci dalla comunità. Loro ci sono, possiamo contare su di loro. Anche se sei fuori puoi tornare in comunità quando vuoi a chiedere un consiglio, anche a mangiare e a fare la lavatrice se non sei capace… La comunità è un rifugio che sai che c’è. Poi gli educatori ogni tanto rompono il c*. Perché non ti lasciano in pace quando hai i c* tuoi e girano girano intorno fino a quando non ti fanno parlare anche se magari non volevi.
4) Racconta una cosa che cambieresti o non cambieresti nella tua comunità. Perché?
Mah, così a bruciapelo non ci viene in niente di particolare, anche perché è in un bel palazzo e in un bel quartiere di Milano!
5) Lascia un pensiero sulla tua esperienza in comunità… lo riportiamo al Garante!
Abbiamo scritto sui post-it quello che è per noi comunità per dirlo al Garante (che si chiama Xxxxxxxx, ce l’ha detto il nostro educatore che si chiama così): fratellanza – rabbia – fiducia – vita sociale – collettività – la comunità è gruppo
– libertà – saper dare un giudizio sulle cose…
Villaggio SOS di Vicenza
I contributi, ricevuti su fogli autografi e anonimi, sono qui di seguito riportati. Il numero romano attribuito alle singole risposte corrisponde a ciascuna delle quattro ragazze tra i 16 e i 19 anni che ha partecipato all’esercizio.
1) Qual è per te la “questione” più importante tra quelle scritte nel documento?
I) La questione più importante per me è “il contesto ambientale la casa”
II) Per me la “questione” più importante è il Buon abbinamento
III) La questione che per me è importante è quella sul buon abbinamento…
IV) La parte dell’Accoglienza.
2) Quello che è scritto relativamente alla “questione” per te importante si capisce? Sei d’accordo con le cose scritte? Come le diresti tu e cosa diresti di diverso?
I) A mio parere si capisce e sono d’accordo sulle cose scritte. In più direi che è importante che anche i ragazzi siano partecipi dell’abbellimento della casa o ai cambiamenti della casa. Penso anche sia molto importante avere un punto di riflessione per stare tranquilli ad esempio la camera da letto che non sia troppo affollata non più di 2 in camera perché si crea troppa confusione
II) Io ritengo che le cose scritte relative alla questione che ho scelto si capiscono. Tuttavia devo dire che sono espresse attraverso un linguaggio molto difficile e ciò impedirebbe la comprensione a molti. Sono inoltre d’accordo con ciò che viene qui espresso e non ho ulteriori concetti da aggiungere
III) … e mi trovo d’accordo su quanto scritto, cambierei solo la spiegazione del tutto semplificando il discorso.
IV) Secondo me è scritto abbastanza. Sono d’accordo sulla famiglia d’origine ma non sono d’accordo sulla parte degli operatori perché dipende più le
caratteristiche di una persona che il titolo che ha.
3) Secondo te, nella tua esperienza, cosa ti pare funzioni bene nel rapporto con gli educatori/adulti residenti? Perché? Cosa butteresti e cosa invece tieni? Cosa manca?
I) Il mio rapporto con i miei operatori è molto buono perché per loro non sono in utente ma una ragazza a cui vogliono bene che hanno imparato a volergli bene nei momenti belli e nei momenti difficili
II) Nella mia esperienza con gli educatori e il rapporto con essi penso che il dialogo sia stato il punto di partenza per far sì che il mio percorso abbia potuto svolgersi. Ciò funziona bene perché entrambe le parti hanno capito qual è la comunicazione più efficace da attivare per capirsi.
III) Nel rapporto con gli educatori funziona la fiducia reciproca che si è creata, è importante perché posso contare su di loro. La cosa che cambierei è il fatto che a volte questa fiducia viene a mancare e in quei momenti si spezza l’equilibrio.
IV) Le cose funzionano bene con i miei educatori perché ci sono comprensioni (riusciamo a capirci e si mettono ogni tanto nei miei panni) quindi c’è un aiuto reciproco ma cambierei l’organizzazione.
4) Racconta una cosa che cambieresti o non cambieresti nella tua comunità. Perché?
I) Mi trovo bene nella mia comunità e per quanto mi riguarda non cambierei nulla solo più spazi più grandi per i ragazzi,
II) Cambierei l’organizzazione dei servizi all’interno della mia comunità
III) La cosa brutta della mia comunità è il fatto che col passare degli anni a causa del cambiamento delle leggi il clima è diventato più burocratico che famigliare.
IV) Cambierei nella mia comunità l’organizzazione perché si decide le
cose in fretta e di conseguenza le cose non vengono bene come noi ragazzi le vorremmo o come le aspettavamo.
5) Lascia un pensiero sulla tua esperienza in comunità… lo riportiamo al Garante!
I) La mia esperienza in comunità è molto bella perché è una mia scelta essere entrata in comunità la mia vita è cambiata in meglio sto facendo un sacco di bellissime esperienze che mi stanno facendo crescere come persona.
II) Mettendo il broncio e alzando delle “mura” nei confronti dei servizi sociali e degli operatori ho ottenuto poco ed ho avuto molti scontri, mentre nel momento in cui mi sono aperta, ho accettato la situazione in cui ero e mi sono fatta aiutare ho notato che sebbene la strada era sempre in salita percorrerla era più semplice. Questo perché ero più serena e non si lavorava più ognuno x conto proprio ma ASSIEME
III) Il pensiero che voglio lasciare sulla mia esperienza in comunità è quello legato alla difficoltà che si prova riguardo ai vari cambiamenti all’interno di essa, i cambiamenti di cui parlo sono riferiti agli educatori, essendo per loro un lavoro possono venire spostati di struttura e questo non aiuta nella relazione affettiva e di fiducia con gli utenti.
IV) Il pensiero sulla mia esperienza in comunità è abbastanza positivo perché hanno un modo tutto loro per far sentire le persone al loro agio in modo che si sentono sicuri e a casa