INTRODUZIONE
DOPO IL COVID, RINEGOZIAZIONE E STRUMENTI DI RIEQUILIBRIO
DEI CONTRATTI PRIVATI E PUBBLICI
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INTRODUZIONE
L’adempimento è atto dovuto a cui il debitore non può sottrarsi. Nell’adempiere l’obbligazione egli deve usare la diligenza del buon padre di famiglia; nell’esercizio dell’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata (art. 1176 c.c.).
Tuttavia l’obbligo solutorio del debitore incontra il limite del caso fortuito o della forza maggiore, derivante dalla sopravvenienza di un fatto naturale (terremoto) o dell’uomo, come il factum principis (ad esempio, la legge che impedisce la vendita di un bene).
Le “sopravvenienze” sono quelle circostanze sopravvenute, ossia non dipendenti dalle parti, rilevanti, straordinarie e imprevedibili, che rendono per una delle parti l’esecuzione della prestazione impossibile o più onerosa, comportando uno squilibrio nel sinallagma contrattuale, temporaneo o definitivo.
• In caso di sopravvenienze, quali effetti si hanno nei contrati di durata, a esecuzione
continuata, periodica o differita?
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LA DISCIPLINA DEL CODICE CIVILE
2.A) FORZA MAGGIORE
• L’espressione “forza maggiore” è sconosciuta nelle Sezioni del codice civile che si occupano dell’obbligazione
in generale e del contratto in generale.
• Le due espressioni “caso fortuito” e “forza maggiore” si ritrovano, certo, in altre norme del codice, ma si tratta di norme speciali riferite a determinate fattispecie (1) e si dubita che possano essere ritenute espressione di un principio generale. Principio generale che non è stato codificato e che, anzi, sembra superato dal Legislatore del Codice 1942 il quale ha ricondotto la disciplina del precedente Codice 1865 nella - sola ed unica - norma di cui all’art. 1467 cc. in tema di contratti, norma però differente (per struttura e per natura) dal concetto di “forza maggiore” pre-esistente al Codice 1942.
(1) Art. 1017 x.x. (xxxxxxxxx xxx xxxx xxxxxxx xx xxxxxxxxx); xxx. 0000 x.x. (xxxxxxx xxxxx xxxxxxxx nella compravendita); art. 1609 c.c. (riparazioni nella locazione); artt. 1635, 1637, 1648 (contratto di affitto); art. 1693
c.c. (responsabilità del vettore); art. 1785 c.c. (limiti di responsabilità dell’albergatore); art. 1787 x.x. (xxxxxxxxxxxxxx xxx xxxxxxxxx xxxxxxxx); xxx. 0000 x.x. (xxxxxxxx xx xxxxxxxxx); artt. 2051-2052 (danno cagionato da cose in custodia e da animali).
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LA DISCIPLINA DEL CODICE CIVILE
2.B) IMPOSSIBILITA’ TOTALE E PARZIALE
In caso di impossibilità totale della prestazione l’art. 1256 c.c. prevede l’estinzione della obbligazione:
“la obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diviene impossibile”.
Con riferimento all’art. 1256 c.c., l’intera dottrina italiana segna una netta distinzione fra: (1) impossibilità oggettiva, per come prevista dalla norma; (2) difficoltà nell’adempimento (che non rileva) o, addirittura, (3) impossibilità solamente soggettiva della prestazione, ad esempio, per carenza di liquidità finanziaria (che, ancora di più, non rileva).
La sopravvenuta impossibilità è disciplinata dall’art. 1463 c.c.:
“Nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell'indebito [2033 ss.]”.
In caso di impossibilità parziale, l’altra parte ha diritto ad una corrispondente riduzione della prestazione oppure può recedere dal
contratto:
“Quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile [1258], l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale [1181]” (art. 1464 c.c.).
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LA DISCIPLINA DEL CODICE CIVILE
2.C) IMPOSSIBILITA’ DI FRUIZIONE DELLA PRESTAZIONE DA PARTE DEL CREDITORE
Un interessante articolo di Xxxxxxx Xxxxxxx ha evidenziato che «la impossibilità non è indotta dal fatto- pandemia, ma dai provvedimenti normativi, via via emessi dal Governo e dal Presidente del Consiglio dei Ministri (…). E’ a seguito di questi provvedimenti, certamente fondati sulla pandemia, che molte obbligazioni sono divenute impossibili. Senza ricorrere alla casistica, è evidente che per effetto di quei provvedimenti, del factum principis, molte prestazioni siano divenute temporaneamente impossibili; il tema è che in diversi casi, interrompendosi filiere produttive, l’impossibilità non abbia riguardato solo la prestazione del debitore, ma anche l’impossibilità del creditore di ricevere la prestazione medesima. E non a caso la giurisprudenza, distinguendo tra impossibilità della prestazione del debitore e impossibilità di fruizione della prestazione da parte del creditore, ha affermato che il contratto si risolve per impossibilità sopravvenuta non solo quando il debitore non può tenere la condotta dovuta, ma anche quando la prestazione non può essere fruita dal creditore per causa a lui non imputabile (Cass. civ., 10 lugli 2018, n. 18047)» (Xxxxxxx Xxxxxxx, «Brevi riflessioni sulle sopravvenienze contrattuali alla luce della normativa sull’emergenza epidemiologica da Covid- 19», in Giustizia Xxxxxx.xx n. 4 del 2020).
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LA DISCIPLINA DEL CODICE CIVILE
2.D) PRESTAZIONE DIVENUTA ECCESSIVAMENTE ONEROSA
Nel caso la prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa, la parte che deve renderla può chiedere la risoluzione del contratto, qualora la “sopravvenuta onerosità” non rientri nell’alea normale del contratto. L’altra parte può evitare la risoluzione offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto:
“Nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall'articolo 1458 [168 trans.].
La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell'alea normale
del contratto.
La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare
equamente le condizioni del contratto [1623, 1664]” (art. 1467 c.c.).
Dalla struttura dell’art. 1467 c.c. emerge che la norma descrive un’azione giudiziale, più che un diritto sostanziale al debitore per effetto del fatto “sopravvenuto”, e che il risultato cui essa tende, ossia la risoluzione del contratto e non certo la sua conservazione, è finalizzato alla liberazione del debitore.
2.D) …CONTINUA
Il rimedio previsto dal terzo comma dell’art. 1467 c.c. risente di limitazioni applicative in quanto:
- l’offerta di riduzione a equità del contraente avvantaggiato dalla sopravvenienza è inscindibilmente collegata all’iniziativa dell’altra parte, ossia del contraente svantaggiato dalla sopravvenienza, di chiedere la risoluzione del contratto. L’offerta pertanto è preclusa laddove il contraente svantaggiato non chieda la risoluzione del contratto;
- nella fattispecie non rientrano tutte le situazioni in cui l’alterazione dell’equilibrio tra le prestazioni non possiede i requisiti richiesti dal comma 1, come ad esempio nel caso della prestazione non eccessivamente onerosa.
Autorevole dottrina afferma : “il diritto italiano codificato (il già ricordato art. 1467, comma 3, c.c.) prevede l’equa modificazione delle condizioni, ma il meccanismo è costruito dal legislatore – e sin troppo evidente – in modo non rispondente alle attuali propensioni della cultura giuridica (…), relegando l’adeguamento del contratto a soluzione residuale, comunque “secondaria”, quindi subordinata rispetto a quella primaria (da perseguire necessariamente, prima che possa schiudersi la porta dell’adeguamento) costituita dalla risoluzione del contratto” (Xxxxxxxxx Xxxxxxx, “Regole e Prassi della rinegoziazione al tempo della crisi” in Giustizia Civile, 3, 2014, pag. 839 - 840).
In ogni caso, l’indagine del giudice per verificare l’idoneità dell'offerta ad eliminare lo squilibrio economico delle prestazioni deve essere condotta attenendosi a criteri estimativi oggettivi di carattere tecnico e non a meri criteri equitativi (Cassazione civile, sez. II, 08/09/1998, n. 8857).
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LA DISCIPLINA DEL CODICE CIVILE
2.E) RECESSO - PRESUPPOSIZIONE - MUTUO DISSENSO
La parte che deve rendere la prestazione (divenuta eccessivamente onerosa) può in alternativa recedere unilateralmente dal contratto, qualora sia
prevista la relativa facoltà negoziale e nel rispetto dei termini ivi previsti:
«Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto
un principio di esecuzione [1671, 2227, 2237].
Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, tale facoltà può essere esercitata anche successivamente, ma il recesso non ha
effetto per le prestazioni già eseguite o in xxxxx xx xxxxxxxxxx [0000, 2227].
Qualora sia stata stipulata la prestazione di un corrispettivo per il recesso, questo ha effetto quando la prestazione è eseguita
[1386].
È salvo in ogni caso il patto contrario” (art. 1373 c.c.).
• Presupposizione: in giurisprudenza si ritiene che la presupposizione non attiene ne all'oggetto ne alla causa del contratto, ma consiste in una determinata situazione di fatto esterna al contratto che, pur se non specificamente dedotta come condizione, ne costituisce specifico e oggettivo presupposto di efficacia in base al significato proprio del medesimo, assumendo - per entrambe le parti o anche per una sola di esse, ma con il riconoscimento dell'altra parte - valore determinante ai fini del mantenimento del vincolo contrattuale (Cass. Civ., sez. II, 19/10/2015, n. 21122).
• Mutuo dissenso (o risoluzione convenzionale): è un accordo con cui le parti sciolgono un contratto stipulato in precedenza, con conseguente
estinzione degli effetti (art. 1372 c.c.). Ritrattazione bilaterale.
3 (PARTE I)
L’ART. 91 DEL DL 18 DEL 17 MARZO 2020
L’art. 91 del DL 18 del 17 marzo 2020, modificato dalla L 24 aprile 2020 n. 27 in sede di conversione dispone che:
1. All’articolo 3 del decreto – legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, dopo il comma 6, è inserito il seguente: “6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.
L’art. 91 si limita a stabilire che il rispetto delle misure di contenimento dell’emergenza è sempre valutato ai sensi degli artt. 1218 e 1223 del codice civile, quale (possibile) ragione di esclusione della responsabilità del debitore, anche ai fini dell’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi pagamenti. In altre parole sembra prescrivere alle parti (e in prospettiva al giudice) di tenere conto dell’emergenza come possibile causa di impossibilità per il debitore di adempiere e di esclusione del risarcimento del danno, impossibilità che per essere liberatoria deve essere assoluta e oggettiva.
Dunque, non si tratta di una norma generale che definisca come forza maggiore questo evento o almeno indentifichi una autorità pubblica che possa con un suo provvedimento definire lo stato di forza maggiore con efficacia anche civilistica predeterminata nelle zone territoriali interessate, con effetto automatico sulla prestazione dovuta.
In sostanza :
3 (PARTE II)
L’ART. 91 DEL DL 18 DEL 17 MARZO 2020
- è lasciato alle parti o al Giudice il compito di valutare il rispetto della normativa emergenziale, da parte del debitore. Nulla di nuovo, pertanto, rispetto a quelli che sono i normali compiti del Giudicante, salvo (e non è poca cosa) la sottolineatura delle rilevanza a tal fine della emergenza sanitaria;
- la norma fa riferimento esclusivamente all’art. 1218 c.c. (responsabilità del debitore) e all’art. 1223 c.c. (risarcimento del danno). Il principio del necessario intervento del Xxxxxxx non è rimosso. Non si tratta, quindi, di un intervento legislativo che introduce una nuova e diversa disciplina normativa rispetto a quella codicistica, inquadrandosi piuttosto a nostro avviso nel contesto codicistico vigente;
- la norma non va a determinare neppure una netta distinzione fra impossibilità / inesigibilità della prestazione (qui, da intendersi in senso generale) che presenti i caratteri della assolutezza ovvero che, al contrario, presenti i caratteri della temporaneità;
- la norma non dispone un criterio qualitativo (al fine di disciplinare una possibile soluzione di politica del diritto, rispetto agli effetti giuridici dell’emergenza in corso), come non propone un criterio quantitativo (neppure quale semplice parametro di riferimento al quale le Parti e i Giudici potrebbero ancorarsi per la conservazione del contratto).
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SQUILIBRIO SINALLAGMATICO E MANTENIMENTO IN VITA DEL CONTRATTO
Da tempo, la dottrina si interroga sugli strumenti riequilibrativi (come revisione, adeguamento e rinegoziazione del contratto) e sul loro fondamento, portata e applicabilità, nonché azionabilità davanti al giudice. SCOPO di tali strumenti riequilibrativi
rimodulare le obbligazioni e le prestazioni sulla base delle nuove impreviste circostanze intervenute, favorendo dunque una flessibilità ma la contempo una stabilità nelle “relazioni negoziali” ed evitando rimedi che consistono essenzialmente nella estinzione dell’obbligazione o nella risoluzione del contratto (artt. 1256, 1463, 1372 e 1467 c.c.) o, comunque, nella recessione dalla relazione negoziale (art. 1373 c.c.). Ciò compatibilmente con il noto brocardo pacta sunt servanda di cui all’art. art. 1372 c.c..
4 … CONTINUA
All’interno degli strumenti riequilibrativi un tema essenziale è l’indagine circa la esistenza o meno nell’ordinamento, sulla base di dati normativi positivi (codicistici), di un obbligo alla rinegoziazione. Obbligo giuridico, contrattuale o legale. Coercibile in sede giudiziale. Non una semplice concessione dell’altro contraente, disponibile e compiacente, ma un vero e proprio dovere di sedersi nuovamente al tavolo delle trattative. Ancorato non solo a principi e valori generali e costituzionali, ma ad una norma di diritto privato, espressione pertanto di interessi, profili, rapporti giuridici ed economici di natura esclusivamente privata. Senza dovere ricorrere ad altre fonti normative, esterne al vincolo contrattuale e al Codice civile.
Il tema che ci occupa non è nuovo.
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CENNI STORICI
Rileva autorevole dottrina (GALLO) come la rinegoziazione - revisione contrattuale abbia effettivamente un’origine molto
antica.
Già XXXXXXX da Xxxxxxxxxxxx effettuava una distinzione tra contratti qui unico momento perficiuntur e contratti qui habent tractum successivum. Tali ultimi contratti, che non si concludevano istantaneamente, correvano il rischio di vivere uno squilibrio contrattuale nelle more della sua esecuzione. Tale ultima ipotesi avrebbe giustificato una reductio ad aequitatem, tramite l’applicazione della clausola rebus sic stantibus.
Questa impostazione è poi rimasta anche nell’età medievale.
La crisi della reductio ad aequitatem si è avuta nel periodo moderno, dominato dal dogma della volontà e dalla rigidità del principio: pacta sunt servanda. L’autonomia contrattuale, insomma, era diventata l’espressione della libertà mercantile e della intangibilità del contenuto contrattuale, da parte di qualunque autorità statale, compresa quella giudiziaria. Nel diciannovesimo secolo, si assiste dunque ad una crisi della teoria del mutamento delle circostanze.
A fronte di ciò, tuttavia, si è poi assistito ad un ritorno all’interesse circa le sopravvenienze contrattuali fra fine Ottocento e inizio Novecento, con un importantissimo studio della clausola rebus sic stantibus condotto da OSTI. Partendo da ciò, altro Autore si espresse nel 1938 a favore dell’esistenza di un generale obbligo di rinegoziazione presente nell’allora ordinamento civile (XXXXXXXX).
Tale impostazione (obbligo di rinegoziazione = principio generale) però non è stata recepita nel Codice 1942 quale principio
generale.
5 ... CONTINUA
Il Legislatore del 1942 ha previsto singole e specifiche norme speciali che impongono un obbligo di revisione delle clausole contrattuali (al riguardo vedere infra), come ad esempio: la disciplina dell'appalto (art. 1664 c.c.); il contratto con obbligazioni di una sola parte (art. 1468 c.c.); l’affitto (art. 1623 c.c.); l’assicurazione (artt. 1897, 1898 c.c.); l’enfìteusi (art. 962 c.c., ora abrogato); la clausola penale (art. 1384 c.c.).
L’interesse per la configurabilità di uno specifico dovere di rinegoziazione generalizzato è riemerso con la pubblicazione di un’importante opera dottrinale, a metà degli anni Novanta: XXXXXXX, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, 1996.
Si arriva, poi, alla fondamentale monografia di XXXXXXX, La rinegoziazione del contratto –
Strumenti legali e convenzionali a tutela dell’equilibrio negoziale, Xxxxxx, 0000.
Oggi, l’opera più recente che si vuole segnalare è PISU, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, Xxxxxx, 0000.
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STRUMENTI RIEQUILIBRATIVI: CLASSIFICAZIONE
Gli strumenti revisionali / riequilibrativi possono essere classificati in quattro gruppi:
6.1) revisione avviata per libera iniziativa delle parti senza un precedente accordo;
6.2) revisione disciplinata originariamente dalle parti con inserimento nello schema contrattuale di apposite clausole con cui le stesse si impegnano a revisionare / rinegoziare le condizioni del contratto al verificarsi di determinati eventi (e ciò anche indipendentemente dal disallineamento delle prestazioni);
6.3) revisione prevista dalla legge;
6.4) revisione come conseguenza del c.d. obbligo di rinegoziare: tipologia dibattuta e non ancora accettata dalla giurisprudenza. Parte della dottrina (inclusi i citati XXXXXXX, XXXXXXX, PISU, ecc.) ritiene che la rinegoziazione sia espressione di un principio generale ricavabile dalla clausola di buona fede. In caso di sopravvenienze che comportano un grave squilibrio contrattuale la rinegoziazione costituisce una soluzione diversa e innovativa rispetto a quelle previste dal codice (cfr. supra), superando l’alternativa tra la difficoltà
/ insoddisfazione scaturente dal dover rispettare i patti intercorsi (pacta sunt servanda) e la soluzione traumatica dello scioglimento del rapporto contrattuale.
Prendiamo in esame i quattro gruppi
6.1
REVISIONE AVVIATA PER LIBERA INIZIATIVA DELLE PARTI SENZA PRECEDENTE ACCORDO
Quando si verificano circostanze sopravvenute non previste e non imputabili alle parti, queste ultime decidono liberamente di intraprendere fra loro ad una revisione / rinegoziazione di una o più clausole del contratto in essere.
Il nuovo patto si fonda unicamente sulla libera volontà delle parti e si sostituisce in tutto o in
parte al precedente.
A seguito della pandemia e della normativa emergenziale, a titolo di esempio, si è molto discusso, anche da parte dei mass media, circa l’opportunità di affrontare e superare le criticità insorte nei contratti locativi procedendo ad accordi inter partes.
6.2
REVISIONE PREVISTA E DISCIPLINATA NEL CONTRATTO
Le parti inseriscono nel contratto clausole di adeguamento che stabiliscono i criteri di modifica delle condizioni contrattuali in caso di sopravvenienze. Si distinguono clausole di adeguamento (quando operano automaticamente) da quelle di rinegoziazione (quando operano su iniziativa di parte).
Le clausole di adeguamento prevedono un adeguamento automatico del contratto: esse prescrivono i parametri per riconfigurare la prestazione, stabilendo in modo dettagliato e tassativo oggetto, modalità e corrispettivo (schema contrattuale “chiuso”). Non richiedono un’attività decisionale ulteriore e non impongono alle parti l’obbligo di intraprendere nuove trattative e possono stabilire che l’entità della prestazione è modulata in funzione dei bisogni di una delle parti o all’effettiva attività prestata. Vi rientrano ad esempio: le clausole che rinviano la precisa determinazione dell’oggetto a un momento successivo alla sua conclusione nella fideiussione per debiti futuri; le clausole di adeguamento automatico (clausole di indicizzazione, clausole monetarie) con cui si adattano le prestazioni di natura pecuniaria al mutato potere di acquisto della moneta; l’indicizzazione convenzionale dei canoni delle locazioni non abitative.
Le clausole di rinegoziazione invece stabiliscono che le parti diano avvio a nuove trattative per modificare il regolamento originario: si tratta di prevedere nel contratto uno ius variandi con cui in futuro le parti potranno introdurre clausole e modifiche. Si pensi ad esempio alle clausole tratte dal commercio internazionale, come le clausole di hardship, destinate a preservare l’equilibrio contrattuale senza aspetti di automatismo e caratterizzate da un meccanismo procedimentale più articolato che può prevedere la sospensione dell’esecuzione con l’obbligo per le parti di concordare l’adeguamento delle condizioni.
6.3
REVISIONE PREVISTA DALLA LEGGE
Si prendono in esame alcuni rimedi revisionali previsti dal codice civile:
a) Anzitutto l’art. 1664 c.c. in materia di appalto, secondo cui:
[I]. Qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d'opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l'appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo. La revisione può essere accordata solo per quella differenza che eccede il decimo [1467].
[II]. Se nel corso dell'opera si manifestano difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste dalle parti, che rendano notevolmente più onerosa la prestazione dell'appaltatore, questi ha diritto a un equo compenso [1467].
L’articolo attribuisce sia al committente che all’appaltatore il diritto a una revisione del prezzo dell’appalto nell’evenienza che si verifichino, per effetto di circostanze imprevedibili, aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d'opera tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto.
Il principio ispiratore è nel senso di favorire la scelta di rimedi revisionali.
6.3 …CONTINUA
Alcune norme sulla vendita sono destinate alla funzione di conservare il contratto e garantire la corrispondenza tra le
prestazioni.
- Art. 1480 - Vendita di cosa parzialmente di altri
Se la cosa che il compratore riteneva di proprietà del venditore era solo in parte di proprietà altrui, il compratore può chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno a norma dell'articolo precedente, quando deve ritenersi, secondo le circostanze, che non avrebbe acquistato la cosa senza quella parte di cui non è divenuto proprietario [14191]; altrimenti può solo ottenere una riduzione del prezzo, oltre al risarcimento del danno [1484, 1489, 171 trans.].
- Art. 1492 - Effetti della garanzia
Nei casi indicati dall’articolo 1490 il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto [1453 ss.] ovvero la riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione.
La scelta è irrevocabile quando è fatta con la domanda giudiziale.
Se la cosa consegnata è perita in conseguenza dei vizi, il compratore ha diritto alla risoluzione del contratto; se invece è perita per caso fortuito o per colpa del compratore, o se questi l’ha alienata o trasformata, egli non può domandare che la riduzione del prezzo.
6.3 …CONTINUA
- Art. 1537 - Vendita a misura.
Quando un determinato immobile [812] è venduto con l’indicazione della sua misura e per un prezzo stabilito in ragione di un tanto per ogni unità di misura, il compratore ha diritto a una riduzione, se la misura effettiva dell'immobile è inferiore a quella indicata nel contratto [166 trans.].
Se la misura risulta superiore a quella indicata nel contratto, il compratore deve corrispondere il supplemento del prezzo, ma ha facoltà di recedere dal contratto [1539] qualora l'eccedenza oltrepassi la ventesima parte della misura dichiarata.
- Art. 1538 - Vendita a corpo.
Nei casi in cui il prezzo è determinato in relazione al corpo dell’immobile e non alla sua misura, sebbene questa sia stata indicata, non si fa luogo a diminuzione o a supplemento di prezzo, salvo che la misura reale sia inferiore o superiore di un ventesimo rispetto a quella indicata nel contratto.
Nel caso in cui dovrebbe pagarsi un supplemento di prezzo, il compratore ha la scelta di recedere dal contratto [1539] o di corrispondere il supplemento.
6.3 …CONTINUA
In materia di affitto:
- Art. 1623 - Modificazioni sopravvenute del rapporto contrattuale.
Se, in conseguenza di una disposizione di legge, [di una norma corporativa] o di un provvedimento dell’autorità riguardanti la gestione produttiva, il rapporto contrattuale risulta notevolmente modificato in modo che le parti ne risentano rispettivamente una perdita e un vantaggio, può essere richiesto un aumento o una diminuzione del fitto [1467] ovvero, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto.
Sono salve le diverse disposizioni della legge [della norma corporativa], o del provvedimento dell'autorità.
- Gli artt.1897 (Diminuzione del rischio) -1898 (Aggravamento del rischio) c.c. nel contratto di assicurazione.
6.3 …CONTINUA
- La revisione del contratto è una figura presente nell’impianto del codice anche in situazioni in cui il contratto presenta
uno squilibrio già nella sua formazione, come nella disciplina del dolo incidente (art. 1440) e nella rescissione (art.
1450):
- Art. 1440 - Dolo incidente.
Se i raggiri non sono stati tali da determinare il consenso, il contratto è valido, benché senza di essi sarebbe
stato concluso a condizioni diverse [640 c. p.]; ma il contraente in mala fede risponde dei danni [1337].
- Art. 1450 - Offerta di modificazione del contratto.
Il contraente contro il quale è domandata la rescissione può evitarla offrendo una modificazione del
contratto sufficiente per ricondurlo ad equità [14673].
- La preferenza del legislatore per mantenimento in vita del contratto si ritrova in tema di somministrazione nell’art. 1560 c.c., la cui l’entità può essere stabilita nel corso dell’esecuzione, e nell’art. 1561 c.c. che individua i criteri sulla base dei quali può essere stabilito il corrispettivo, e in tema di fideiussione omnibus, in cui l’art. 1938 ammette la determinazione dell’oggetto per relationem.
6.3 …CONTINUA
Legislazione speciale, i contratti pubblici
Alcune disposizioni attribuiscono valore alla sopravvenienza nella determinazione del
corrispettivo o ad altri fini, come ad esempio:
- gli artt. 63, 106, 107, 165, 175 del d.lgs. 18.4.2016, n. 50 in materia di appalti pubblici.
Anzitutto, il Codice dei Contratti pubblici (d.lgs 50/2016) e le relative disposizioni attuative recano una disciplina specifica delle vicende che possono alterare il rapporto contrattuale in sede di esecuzione, prevedendo una cooperazione tra le parti: è stato infatti affermato in giurisprudenza che per i contratti di appalto in genere, e in particolare per i contratti pubblici, vige il principio della continuità nell’esecuzione dei lavori (Cass. Civ., sez. I, 29/04/2006, n. 10052). Perciò da un lato l’esecutore dei lavori non può di sua iniziativa e in via autonoma né disporre la sospensione dell’esecuzione dei lavori né eseguire addizioni e variazioni che ritenga indispensabili. Dall’altro, la Stazione Appaltante è chiamata a cooperare all’adempimento dell’appaltatore, in virtù del principio generale sancito dall’art. 1206 c.c.
6.3 …CONTINUA
- art. 107: la sospensione può essere disposta dal Direttore dei Lavori nei casi in cui ricorrano circostanze speciali che impediscono in via temporanea la regolare esecuzione dei lavori, imprevedibili al momento della stipulazione del contratto (comma 1) oppure dal RUP per ragioni di necessità o di pubblico interesse, tra cui l'interruzione di finanziamenti per esigenze sopravvenute di finanza pubblica (comma 2). La sospensione può essere anche parziale, con riferimento a quella parte dei lavori che sia temporaneamente impedita dal verificarsi di cause imprevedibili o di forza maggiore (comma 4). La sospensione deve protrarsi solo per il tempo strettamente necessario pertanto non appena cessi la situazione di necessità il RUP deve disporre la ripresa dei lavori e i termini di conclusione dei lavori dovranno essere revisionati alla luce dell’intervenuta sospensione (art. 10 del DM 49/2018).
Si tratta di uno strumento volto a fronteggiare temporanee situazioni di impossibilità nell’esecuzione della prestazione (chiusura dei cantieri, divieto di esercizio di determinate attività….), ma insufficiente a fronteggiare gli squilibri economici e le eventuali gravi alterazioni o impossibilità definitive della prestazione derivanti dagli effetti dell’emergenza sanitaria e dai provvedimenti di c.d. “lockdown” adottati dal Governo.
6.3 …CONTINUA
- Art. 106 - (Modifica di contratti durante il periodo di efficacia)
1. Le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di validità devono essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall'ordinamento della stazione appaltante cui il RUP dipende. I contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento nei casi seguenti:
…omissis …
1) la necessità di modifica è determinata da circostanze impreviste e imprevedibili per l'amministrazione aggiudicatrice o per l'ente aggiudicatore. In tali casi le modifiche all'oggetto del contratto assumono la denominazione di varianti in corso d'opera. Tra le predette circostanze può rientrare anche la sopravvenienza di nuove disposizioni legislative o regolamentari o provvedimenti di autorità od enti preposti alla tutela di interessi rilevanti;
6.3 …CONTINUA
Per quanto attiene le concessioni, sappiamo che esse sono caratterizzate dal trasferimento del rischio di gestione in capo al concessionario e il presupposto è costituito proprio dall’equilibrio economico finanziario: quest’ultimo è definito dall’art. 3, lett. fff) del d.lgs 50/16 come la «contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria.»
- Art. 165 - (Rischio ed equilibrio economico-finanziario nelle concessioni)
6. Il verificarsi di fatti non riconducibili al concessionario che incidono sull'equilibrio del piano economico finanziario può comportare la sua revisione da attuare mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio. La revisione deve consentire la permanenza dei rischi trasferiti in capo all'operatore economico e delle condizioni di equilibrio economico finanziario relative al contratto.
- Art. 175 - (Modifica dei contratti durante il periodo di efficacia)
1. Le concessioni possono essere modificate senza una nuova procedura di aggiudicazione nei seguenti casi:
1) la necessità di modifica derivi da circostanze che una stazione appaltante non ha potuto prevedere utilizzando
l'ordinaria diligenza;
I primi commentatori hanno riscontrato una certa limitatezza degli strumenti previsti dal codice dei contratti per far fronte
alla molteplicità di situazioni causate dall’emergenza sanitaria in corso.
6.3 …CONTINUA
Si è pertanto volto lo sguardo alle disposizioni generali del codice civile, in quanto applicabili ai contratti pubblici
Tra di esse, il riferimento principale è l’art. 1664 c.c. che prevede la possibilità per l’appaltatore o il committente di chiedere una revisione del prezzo qualora per circostanze imprevedibili si verifichino variazioni in aumento o diminuzione nel costo dei materiali o della mano d’opera che determinano un aumento o diminuzione superiori a un decimo del prezzo convenuto. Il secondo comma prevede invece che l’appaltatore ha diritto a un equo compenso qualora nel corso dell’esecuzione si manifestino difficoltò derivanti da impreviste «cause geologiche, idriche e simili» che rendano notevolmente pià onerosa la prestazione dell’appaltatore.
L’art. 1664 c.c. è applicabile anche ai contratti pubblici (Cass. civ., I, n. 5277/2006 cit; Cass. Civ. I, 6.3.18 n. 5267).
Tuttavia la disposizione è liberamente derogabile dalle parti (ed è ciò che spesso accade nei contratti pubblici e di opere pubbliche) e la deroga può essere desunta dal giudice di merito anche a prescindere da espresse clausole contrattuali di deroga, accertando cioè la volontà delle parti (Cass. civ., I, n. 5267/2018 cit.). La deroga o esclusione dell’applicazione dell’art. 1664 c.c. non comporta alcuna alterazione della struttura dell’appalto, nel senso di renderlo un contratto aleatorio, ma solo un ulteriore allargamento del rischio senza che ciò esorbiti dalla normale alea contrattuale (Cass. civ., I, 17/03/2015, n. 5262; Cass. civ., I, 03/06/2016, n.11478).
E’ stato peraltro osservato che normalmente la deroga all’art. 1664 c.c. nei contratti pubblici si riferisce al comma 1 (revisione dei prezzi) e non al comma 2 (equo compenso) che quindi potrebbe fondatamente invocarsi nell’ottica di una rinegoziazione o riequilibrio delle prestazioni. (F. Di Salvo, Emergenza Coronavirus. Criticità giuridiche e soluzioni per i lavori pubblici in corso, in xxx.xxxxxxxxx.xx) .
6.3 …CONTINUA
- art. 63: una specifica menzione merita anche l’art. 63 del d.lgs 50/2016: pur non costituendo uno strumento di modifica dei contratti in corso di esecuzione, esso prevede la possibilità di affidare lavori, servizi e forniture senza previa pubblicazione di un bando di gara in ipotesi speciali e di stretta interpretazione, che potrebbero essere utili in una fase emergenziale come la presente, producendo tra l’altro l’effetto di riequilibrare eventuali squilibri economici di contratti in corso (si pensi alla ipotesi del comma 2, lett. c, attivabile per ragioni di estrema urgenza, o al comma 5 per l’affidamento di servizi analoghi).
6.4.A (PARTE I)
REVISIONE COME CONSEGUENZA DEL C.D. OBBLIGO DI RINEGOZIARE
Sebbene ne escluda l’esistenza, parte della dottrina rappresenta il ricorso alla rinegoziazione obbligatoria come strumento di protezione e solidarietà della dinamica contrattuale in un’ottica di contemperamento tra obbligo di trattare e autonomia privata.
L’importante studio di XXXXXXX ha avviato un ragionamento di ampio respiro, basato sulle clausole generali dei contratti e, in particolare, sul concetto di buona fede contrattuale, ex art. 1375 c.c, alla luce di un’interpretazione non solo costituzionalmente orientata, ai sensi dell’art. 2 Cost., ma anche della necessaria e necessitata interpretazione delle clausole pattizie e contrattuali secondo principi di solidarietà sociale che non restano solo lontani principi astratti.
“L’evoluzione dottrinale maturata nell’ultimo quindicennio ha condotto a ritenere praticabile la via, in assenza di specifiche pattuizioni sulla gestione del rischio delle sopravvenienze, dell’obbligo di rinegoziazione fondato sull’equità integrativa ex art. 1374 c.c. o sulla clausola generale di buona fede ex artt. 1366 e 1375 c.c., la quale sarebbe fonte (non già di un nuovo obbligo contrattuale, ma) dell’obbligo di rinegoziare finalizzato a conferire effettività alla tutela relativa all’esecuzione del contratto. Una soluzione che si pone, evidentemente, sulla scia di posizioni dottrinali volte a valorizzare la clausola generale di buona fede a garanzia di un comportamento corretto nella fase di esecuzione del contratto, facendo eco all’esigenza, peraltro, progressivamente - e, si direbbe, finalmente - emersa anche in recenti e ormai celebri pronunce della Suprema Corte” (Xxxxxxxxx Xxxxxxx, ibidem, pag. 849).
6.4.A (PARTE II)
REVISIONE COME CONSEGUENZA DEL C.D. OBBLIGO DI RINEGOZIARE
Il comportamento delle parti, basato sul parametro della buona fede, permette di regolare l’assetto contrattuale similmente a quello che sarebbe stato raggiunto se le parti avessero conosciuto le circostanze successivamente intervenute: si tratta in sostanza di una rimodulazione compiuta sulla base di un generale obbligo di cooperazione delle parti, previsto dall’art. 42 cost., nell’esecuzione delle rispettive prestazioni.
Due corollari
- “(…) l’adeguamento (eventualmente) conseguente all’obbligo di rinegoziare non contraddice l’autonomia privata, poiché, al contrario e proprio nel segno della valorizzazione di quest’ultima, ha la funzione di agevolare il compimento del risultato contrattuale, allineando il regolamento d’interessi alle mutate circostanze” (X. Xxxxxxx, ibidem, pag. 851);
- “Si comprende perché la dottrina più autorevole ha collegato l’obbligo di rinegoziare di fonte legale alle c.d. “sopravvenienze atipiche” (che, per definizione, sfuggono pertanto all’ambito di applicazione della disciplina sulla eccessiva onerosità sopravvenuta). Secondo tale ricostruzione, facendo leva sull’art. 1366 c.c., in un contratto a lungo termine sarebbe possibile ipotizzare la comune intenzione delle parti di rivedere, adeguare o modificare l’assetto contrattuale al variare della situazione di fatto, ove le condizioni pattuite non rispondano più alla logica economica sottesa alla conclusione del contratto
60. In altri termini, ai sensi dell’art. 1366 c.c. deve ritenersi che le parti, se ne fossero state a conoscenza, avrebbero comunque trattato sulla base delle condizioni sopravvenute, dal momento che sarebbe stata irragionevole una negoziazione impostata su una situazione di mercato non rispondente alla realtà” (X. Xxxxxxx, ibidem 852).
6.4.A (PARTE III)
REVISIONE COME CONSEGUENZA DEL C.D. OBBLIGO DI RINEGOZIARE
Numerosi contratti possono essere definiti «relazionali» (nei Paesi di common law sono ben conosciuti e godono di specifica disciplina) sulla base del fatto che essi implicano non solo una durata prolungata del rapporto contrattuale, ma anche un continuo intervento attivo - appunto relazionale - tra le parti: è di tutta evidenza che, per tali contratti, il rimedio ablatorio sarebbe inadeguato, eccessivo e certamente non corrispondente alla volontà delle parti. Per tali contratti, il rapporto è stretto ed intenso. Risulta essere del tutto irragionevole prevedere come unico rimedio la mera dicotomia: mantenimento sic et simpliciter ovvero risoluzione.
A riprova di ciò, si ricorda (DE XXXXX) la richiesta, da parte dell’ordinamento, di requisiti ancor più stringenti per la risoluzione dei suddetti contratti, come ad esempio la “notevole” importanza per la somministrazione, o ancora, per l’appalto, il fatto che i vizi dell’opera non debbano solamente rendere la cosa inidonea a ciò a cui era destinata (come per la vendita), bensì devono rendere l’opera stessa “del tutto inadatta alla sua destinazione”.
6.4.B (PARTE I)
REVISIONE COME CONSEGUENZA DEL C.D. OBBLIGO DI RINEGOZIARE
Alcuni esempi in giurisprudenza
- Tribunale di Bari, 14 /06/2011. Si tratta di ordinanza pronunciata in sede cautelare ex art. 700 c.p.c. (commentata da PATTI). Il soggetto ricorrente in sede cautelare, una società, aveva stipulato un mutuo fondiario sulla base di una sovvenzione finanziata dalla Regione Puglia (che prevedeva fra l’altro) un periodo di preammortamento di 24 mesi). Tuttavia, dopo la stipulazione, la Giunta regionale aveva poi disposto determinato un allungamento del termine di 24 mesi per l’utilizzazione del quantum oggetto di mutuo. La banca, tuttavia, non aveva accettato di prorogare tale termine. Il Tribunale ha concesso la misura cautelare, affermando l’esistenza di un dovere di rinegoziazione, in caso di mutamento straordinario ed imprevedibile del tessuto normativo, sulla base del principio codicistico della buona fede contrattuale. In particolare, il giudice, seppur ripercorrendo la tesi secondo cui la fonte normativa fondante il suddetto obbligo, sia riconducibile all’istituto dell’equità, ex art. 1374 c.c. (SACCO), ha ritenuto tale obbligo scaturente dal combinato disposto di cui agli artt. 1366 c.c. e 1375 c.c: “la buona fede rappresenta così la fonte legale, non già di un nuovo obbligo contrattuale, ma dell’obbligo di rinegoziazione finalizzato a conferire effettività alla tutela relativa all’esecuzione del contratto, in favore del contraente che non sia inadempiente ai propri obblighi”.
6.4.B (PARTE II)
REVISIONE COME CONSEGUENZA DEL C.D. OBBLIGO DI RINEGOZIARE
- Tribunale di Bari, 31/07/2012. Ordinanza cautelare. La fattispecie oggetto di pronuncia prevedeva la presenza di un sistema di contratti collegati. Vi erano una società le cui quote societarie erano oggetto di compravendita, l’acquirente ed un istituto di credito, intervenuto nell’affare con funzione di garanzia. Dopo la consegna di assegni a quest’ultimo da parte dell’acquirente, con finalità di acconto, emergevano sopravvenienze passive, non precedentemente valutate, a carico della società compravenduta. L’istituto di credito, dunque, rifiutava di consegnare gli assegni all’acquirente e si rifiutava di farsi mandataria per la gestione delle sopravvenienze passive emerse. L’acquirente agiva in via cautelare, ex art. 700 c.p.c., per la riconsegna degli assegni. Il Giudice ha riconosciuto la sussistenza dell’obbligo di rinegoziare il contratto, in base alla clausola generale di buona fede, nel caso di contratti collegati in cui la sopravvenienza, che si sostanzia nel mancato perfezionamento di un contratto previsto in funzione di garanzia, incida sul complessivo equilibrio dell'operazione negoziale.
- Tribunale di Ravenna, 11/05/2011. Poiché l'obbligo di eseguire il contratto secondo xxxxxxxxx ha natura contrattuale, tale natura deve riconoscersi alla violazione di tale obbligo costituita dal rifiuto di rinegoziazione del contratto (nella specie di noleggio) in corso tra le parti ed è quindi applicabile la clausola del contratto che attribuisce competenza esclusiva alle corti inglesi.
6.4.B (PARTE III)
REVISIONE COME CONSEGUENZA DEL C.D. OBBLIGO DI RINEGOZIARE
- Lodo arbitrale 19/07/2004. Aveva quale Presidente di collegio il Prof. ALPA ed era relativo ad una compravendita di azioni con differimento del saldo del prezzo. Il principio stabilito dal Collegio parte dalla considerazione della buona fede «secondo la ricostruzione che se è venuta elaborando in dottrina e in giurisprudenza … intesa proprio nel senso di ritenere che sulla buona fede contrattuale integrativa si possa incardinare il fondamento dell’obbligo di rinegoziazione del contratto in caso di alterazione dell’equilibrio delle posizioni delle parti». Inoltre: «per modo che l’ossequio alla legalità formale non si traduca in sacrificio della giustizia sostanziale e non risulta disatteso il dovere inderogabile di solidarietà affermato dalla costituzione (art. art. 2): dovere che, applicato ai contratti, ne determina integrativamente il contenuto e gli effetti (art. 1374 c.c.) e deve, a un tempo, orientarne l’interpretazione (art. 1366 c.c.) e l’esecuzione (art. 1375 c.c.)»; pertanto, «una corretta soluzione della situazione di fatto è decisiva, quando si tratta di risolvere problemi quali quello della esecuzione del contratto, giacché, se pure il contratto permette un tipo di comportamento, questo può poi rivelarsi non consentito in ragione delle sue concrete modalità, se ne risulta attuata una esecuzione del rapporto contraria al dovere di correttezza (art . 1175 c.c.) e di esecuzione secondo buona fede (art. 1375 c.c.)».
- Cassazione civile, sez. I, 20/04/1994, n. 3775. Il dovere di correttezza si pone nel sistema come limite interno di ogni situazione giuridica soggettiva, attiva o passiva, contrattualmente attribuita, “concorrendo, quindi, alla relativa conformazione in senso ampliativo o restrittivo rispetto alla fisionomia apparente, per modo che l’ossequio alla legalità formale non si traduca in sacrificio della giustizia sostanziale e non risulti, quindi, disatteso quel dovere (inderogabile) di solidarietà, ormai costituzionalizzato (art. 2 Cost.), che, applicato ai contratti, ne determina integrativamente il contenuto agli effetti (art. 1374 c.c.) e deve, ad un tempo, orientare l'interpretazione (art. 1366 c.c.) e l'esecuzione (art. 1375), nel rispetto del noto principio secondo cui ciascuno dei contraenti è tenuto a salvaguardare l'interesse dell'altro, se ciò non comporti un apprezzabile sacrificio dell'interesse proprio”.
6.4.B (PARTE IV)
REVISIONE COME CONSEGUENZA DEL C.D. OBBLIGO DI RINEGOZIARE
• Tribunale Bologna, 12 maggio 2020 – Xxxxxxx Xxxx. Xxxxxxx
Vertenza fra società ALFA (proprietaria dei locali) e società BETA (conduttrice dei locali). L’attività imprenditoriale esercitata è “centro fitness ed estetica”.
Società conduttrice aveva rilasciato alcuni “assegni bancari a garanzia del pagamento dei canoni locatizi relativi al periodo aprile-luglio
2020”.
Società conduttrice è ricorrente ex art. 669 bis c.p.c.
Domanda cautelare: richiesta di non portare all’incasso gli assegni consegnati alla società proprietaria dei locali.
Si tratta di decreto. In parte motiva, si legge un interessante riferimento: “OSSERVATO che la ricorrente ha pure allegato la pendenza di concrete trattative con la trasmissione da parte della conduttrice di una proposta transattiva consistente nella pattuizione di una temporanea riduzione del canone locatizio nel periodo da aprile 2020 a 2020”.
Il Tribunale ha ordinato alla società resistente (proprietaria dei locali) di: “non mettere all’incasso gli assegni bancari” e ha ordinato alla stessa di “prendere posizione anche in ordine alle prospettive transattive”.
Appare evidente la grande rilevanza dell’attivazione di un percorso di trattative per la rinegoziazione-revisione contrattuale, che viene valorizzato ed apprezzato dal Giudice.
6.4.C (PARTE I)
REVISIONE COME CONSEGUENZA DEL C.D. OBBLIGO DI RINEGOZIARE
Parte della dottrina ha mosso molte obiezioni e critiche al c.d. obbligo di rinegoziazione.
1) Per una corrente di pensiero tradizionale l’unico rimedio generale configurabile in presenza di sopravvenienze è rappresentato dalla risoluzione per eccessiva onerosità, a condizione che le sopravvenienze siano tipiche, ossia quelle disciplinate all’art. 1467 c.c., “mentre quelle atipiche rientrano nell’alea normale del contratto e vanno sopportate dalla parte svantaggiata, la quale non può sottrarsi all'esecuzione del contratto nei suoi termini originari” (Xxxxxxxxx Xxxxxxx, “Osservazioni intorno a sopravvenienze e rimedi nei contratti di durata”, in Europa e Diritto Privato, fasc. 2, 1 giugno 2019, pag. 585).
Le circostanze sopravvenute che non comportano un’onerosità “eccessiva” della prestazione sono considerate, al pari delle circostanze prevedibili, giuridicamente irrilevanti dal legislatore, il quale “ha ritenuto di non tutelare in questi casi la parte onerata dalla sopravvenienza, vincolando piuttosto entrambi i contraenti all'esecuzione del contratto originario: l’assenza di una disciplina rimediale nelle ipotesi di sopravvenienze atipiche sembra riflettere pertanto una chiara scelta legislativa che non permette di riscontrare una lacuna “reale” del nostro ordinamento” (Tuccari, Sopravvenienze e contratti).
6.4.C (PARTE II)
REVISIONE COME CONSEGUENZA DEL C.D. OBBLIGO DI RINEGOZIARE
2) Ogni volta che si compie una scelta economica si calcola la misura del proprio investimento rivolto a quella che è una speranza. “Sicché l’idea che le sopravvenienze impongano la rinegoziazione assume a ben vedere la consistenza di una riallocazione del rischio al di fuori delle strategie e delle scelte imponderabili volute dalle parti, ritenendo in definitiva che sia corretto ridistribuire le conseguenze delle decisioni come se fosse al contrario censurabile l’esito positivo della valutazione del contraente previdente” (Xxxxxxxxx).
3) Il Giudice non ha il potere il potere di stabilire unilateralmente nuove clausole contrattuali, sostituendosi all’autonomia negoziale dei contraenti.
4) Che il contraente sia disposto a modificare il contenuto dell'accordo a favore della controparte tutte le volte che mutino le circostanze è una pretesa, un’affermazione astratta non corrispondente all’id quod plerumque accidit.
6.4.D (PARTE I)
REVISIONE COME CONSEGUENZA DEL C.D. OBBLIGO DI RINEGOZIARE
Una lettura interessante emersa in dottrina.
1) Occorre distinguere fra attività di rinegoziazione e l’esito stesso di tale attività: “nel primo caso, le parti sarebbero tenute esclusivamente a instaurare serie trattative tese alla modifica del regolamento originario; mentre, nella seconda ipotesi, esse sarebbero tenute a pervenire al risultato finale della modificazione” (Xxxxxxxx Xxxxxxx, ibidem) .
2) Secondo tale tesi quando la rinegoziazione diviene dovuta, senza dubbio su base convenzionale mentre è controverso che lo sia su base legale, “la forma giuridica più congrua sembra proprio quella del mero obbligo di condotta, in quanto essa consente di conciliare due valori apparentemente incompatibili: la libertà di modificare o meno il regolamento contrattuale, riflesso dell'inclusione della rinegoziazione nell'area dell'autonomia privata, e la necessità di esercitare tale autonomia” (Xxxxxxxx Xxxxxxx, ibidem).
3) Pertanto, “la rinegoziazione può, infatti, assumere una forma diversa da quella dell'obbligo legale, scaturito e governato dagli artt. 1366 e 1375 c.c. o dall’equità , atteggiandosi come conseguenza suscitata da un limite legale alle pretese fondate sul regolamento originario del contratto, quando l'assetto di interessi in esso delineato abbia perduto di utilità per una delle due parti a seguito di un mutamento del quadro fattuale esterno, verificatosi nel corso del tempo. In questo diverso scenario dogmatico, la rinegoziazione non si presenta come oggetto di un obbligo, ma diviene lo strumento per superare la situazione di impasse che si potrebbe generare qualora la pretesa di una delle parti di un contratto a lungo termine di ottenerne l’esecuzione nei termini originariamente concordati, nonostante il significativo mutamento del contesto, si riveli eccessiva e, dunque, iniqua alla luce del precetto di buona fede. Qui la buona fede opererebbe in funzione valutativa, come limite di pretese o di condotte lecite, perché fondate su una situazione giuridica soggettiva, ma illegittime, perché in concreto — ossia alla luce della situazione di fatto venutasi a creare — contrarie al precetto di agere ex fide bona . In questo modo, è possibile conferire rilievo a quelle sopravvenienze che sporgono rispetto all’alea normale del contratto ma che non esibiscono gli attributi prescritti dall’art. 1467 c.c., incluse anche le sopravvenienze qualitative, e di farlo mediante un meccanismo meno invasivo dell'obbligo legale” (Xxxxxxxx Xxxxxxx, ibidem).
6.4.D (PARTE II)
REVISIONE COME CONSEGUENZA DEL C.D. OBBLIGO DI RINEGOZIARE
4) In definitiva, “conferendo rilevanza alle sopravvenienze atipiche tramite la buona fede valutativa, nei limiti della loro idoneità a rendere la pretesa di esecuzione del contratto nei termini originari illegittima per iniquità, si ovvia a comportamenti opportunistici di entrambe le parti, specie della parte avvantaggiata, senza essere costretti ad armare la mano del giudice riconoscendogli il potere di adeguamento del contratto in caso di fallimento della rinegoziazione. Ipotesi, quest'ultima, che non può ovviamente escludersi neppure nella costruzione dogmatica qui proposta, ma che va affidata allo strumento del risarcimento del danno provocato dal comportamento scorretto della parte che, opportunisticamente, si è sottratta all'accordo modificativo. Un risarcimento che, sottratto alle secche dell'alternativa schematica tra c.d. interesse positivo e c.d. interesse negativo , potrebbe spingersi sino al trasferimento del costo di tutto o di parte dell'aggravio provocato dalla sopravvenienza che la condotta predatoria, contraria a buona fede, della parte avvantaggiata tramuta in danno oppure del costo del danno da ritardo nell'esecuzione del contratto e degli eventuali danni ulteriori connessi, qualora la violazione della buona fede sia consumata dalla condotta proditoriamente dilatoria della parte svantaggiata. In caso di insuccesso della rinegoziazione provocato dal contegno contrario a buona fede di uno dei due contraenti, il risarcimento del danno può fungere da rimedio adeguato al perseguimento di un riequilibrio per via pecuniaria del contratto gravemente alterato dalla sopravvenienza. In caso, invece, di mancato raggiungimento dell'accordo modificativo ma in assenza di scorrettezze, non si può fare altro che eseguire il contratto nei termini originari oppure risolverlo, sempreché siano integrati i requisiti dettati dall’art. 1467 c.c.” (Xxxxxxxxx Xxxxxxx, ibidem).
Sulla configurabilità di un obbligo di condotta «di rinegoziazione» si sono espressi anche altri autori (XXXXXXX, XXXXXXX, XXXXX, XXXXX, CESÀRO).
Anche disconoscendo l’eseguibilità dell’obbligo in forma specifica, non viene negata la risarcibilità dell’inadempimento all’obbligo di rinegoziazione, sia che esso rappresenti l’intero interesse positivo alla stipulazione, sia che, invece, esso sia limitato al cosiddetto interesse negativo, circoscritto alle spese ed altri oneri sostenuti a causa della mancata o maliziosa rinegoziazione (SICCHIERO).
Sul piano pratico, tuttavia, non sfugge che - ferma restando la preclusione al giudice del potere di riformulare le clausole negoziali - la limitazione del risarcimento al solo interesse negativo (di fatto equiparandola alla responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.) costituirebbe una sanzione inadeguata e lascerebbe aperto un solco troppo grande rispetto alle circoscritte ipotesi di rilevanza della sopravvenienza positivamente tipizzate dal legislatore.
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I 3 PRINCIPI DELLA DECRETAZIONE EMERGENZIALE: SOSPENSIONE DEI TERMINI - BUONA FEDE - CONSERVAZIONE DEL CONTRATTO
… E L’ART. 1358 C.C.
UNA PROPOSTA DI LETTURA
• Il confronto fra i principi della decretazione emergenziale e l’art. 1358 c.c. (comportamento delle parti nello stato di pendenza della condizione) coniuga perfettamente i principi di: sospensione dei termini, buona fede, obbligo di conservare integre le ragioni dell’altra parte.
• Si può arrivare a pensare ad una sospensione emergenziale del rapporto contrattuale?
• Riconduciamo il quesito nella cornice del Codice civile e verifichiamo la compatibilità della tesi della sospensione emergenziale con una norma di diritto positivo: l’art. 1358 c.c.: “colui che si è obbligato o che ha alienato un diritto sotto condizione sospensiva, ovvero lo ha acquistato sotto condizione risolutiva, deve, in pendenza della condizione, comportarsi secondo buona fede per conservare integre le ragioni dell’altra parte”.
8
IL CONFRONTO FRA NORMATIVA EMERGENZIALE E CODICE CIVILE CI CONSENTE DI FARE ALCUNE OSSERVAZIONI
• a. il Legislatore del 2020 reagisce alla diffusione della pandemia sul territorio italiano, adottando, anche sul piano della normativa, una tecnica di contenimento del contagio che potremmo definire di blocco delle lancette dell’orologio. Impone il lockdown. Statuisce la sospensione della decorrenza di svariati termini, sostanziali ed anche processuali. Nasce così il tempo sospeso.
• Nel diritto privato, tale sospensione dell’efficacia di un contratto esiste già: si tratta della condizione sospensiva. Infatti, sub condicione, il contratto (valido ma inefficace) vive un periodo di quiescenza attiva.
• Periodo nel quale il Codice impone alla parte uno specifico comportamento: un obbligo giuridico, al pari di quello cui si deve uniformare la parte richiesta, in caso di rinegoziazione–revisione
• b. l’art. 1358 c.c. contiene espresso e testuale riferimento alla buona fede contrattuale che, come si è visto, rappresenta un principio cardine dell’obbligo di rinegoziazione–revisione contrattuale.
• Anche sotto questo profilo, il legame fra decretazione emergenziale (tempo sospeso) e art. 1358 c.c. (condizione sospensiva) appare evidente
• c. in ultimo, è molto interessante l’analogia fra (1) il concetto giuridico di tempo sospeso di cui alla decretazione del Governo italiano (di cui, vari esempi testuali); (2) l’obbligo alla rinegoziazione–revisione contrattuale quale concreta e reale soluzione rispetto agli effetti giuridici sui rapporti negoziali in essere e (3) il principio contenuto sempre nella citata norma e finalizzato a conservare integre le ragioni dell’altra parte.
• La connotazione specifica dell’art. 1358 rappresenta il superamento della «semplice» buona fede: diventa obbligo giuridico l’interesse a conservare integre le ragioni dell’altra parte.
9
OBBLIGO DI RINEGOZIAZIONE QUALE
CRITERIO INTERNO DEL DIRITTO PRIVATO E DEL CONTRATTO
• Si arriva, dunque, ad una riconduzione ad equità del contratto che può essere spiegata non solo da una fonte esterna (sia rispetto al contratto, sia rispetto al diritto privato) e cioè attraverso l’applicazione di principi di rango costituzionale, ma che può essere spiegata con un criterio interno al diritto privato, interno al contratto stesso.
• La norma di cui all’art. 1358 c.c. diventa un preciso punto di riferimento presente nel diritto positivo e caratterizzato in via esclusiva, totale, da un rapporto di tipo privatistico, nel quale i soggetti sono solo le parti contrattuali e gli interessi sono solo individuali.
• Senza neppure che vi sia la necessità di ricorrere, quindi, a principi giuridici extra-codicistici e sovra-ordinati, quali sono quelli di rango costituzionale (…comunque esistenti e chiaramente espressi da importanti Sentenze della Consulta e della Xxxxx xx Xxxxxxxxxx).
00 (XXXXX X)
SPUNTI E PROFILI DI INDAGINE
In ambito emergenziale, che ha determinato un fattore sovversivo nella fase esecutiva dei contratti, la rinegoziazione configura anzitutto un
metodo con cui le parti possono relazionarsi in funzione dell’interesse a mantenere il contratto.
Se tale interesse è condiviso, non occorrono particolari norme giuridiche o contrattuali ma si rientra nell’ampio potere dispositivo del rapporto che appartiene per definizione alla libertà negoziale delle parti.
In questo senso e in tale contesto si tratta di un approccio assolutamente consigliabile e opportuno.
Tale criterio e principio per dir così metodologico o strumentale trova comunque un chiaro riscontro nell’ordinamento, il che ha condotto la prevalente dottrina e parte della giurisprudenza a ritenerlo come espressione del principio di correttezza contrattuale e quindi a configurarlo come limite interno di ogni situazione giuridica soggettiva, attiva o passiva, contrattualmente attribuita (Cassazione n. 3775 del 1994).
Va detto però che la giurisprudenza finora nel suo insieme è stata piuttosto reticente, nell’intento in se stesso corretto di salvaguardare il vincolo che le parti hanno inizialmente stabilito e per il timore di facilitare condotte elusive e opportunistiche, ovvero di ampliare la ingerenza del giudice nel ridefinire i contenuti e le conseguenza rispetto alla volontà originaria e congiunta delle parti.
Riteniamo che la situazione emergenziale potrà costituire un banco di prova, per la sue eccezionalità e allo stesso tempo per le generalità trasversale degli effetti su una vastissima platea di rapporti giuridici, di una auspicabile sviluppo della prassi e della giurisprudenza stessa, alla ricerca di un equilibrio dinamico e flessibile dei rapporti stessi.
E non possiamo non confidare che la giurisprudenza si orienterà per una sanzione risarcitoria adeguata, non limitata al solo interesse negativo, a carico della parte inadempiente, come qui di seguito intendiamo sostenere ai sensi fra l’altro degli artt. 1460 e 1223 c.c. e anche nell’ottica di una rivalutazione dell’obbligo del creditore di collaborare all’adempimento (artt. 1206 segg c.c.).
10 (PARTE II)
SPUNTI E PROFILI DI INDAGINE
Altri profili di indagine:
è invocabile il ricorso all’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. nell’ipotesi in cui il contraente avvantaggiato non voglia condurre quella nuova-e-seria negoziazione che gli viene richiesta dal contraente sopravvenuto?
quali potrebbero essere le concrete fattispecie di abuso di diritto che prevedibilmente potrà essere
fatto dell’istituto della rinegoziazione?
quale dovrebbe essere la corretta quantificazione e la giusta misura della riconduzione ad equità del contratto? Cioè: riconduzione ad equità in senso soggettivo e storico, facendo riferimento all’equilibrio contrattuale di quelle parti al tempo della sottoscrizione del contratto originario (ricercando e mantenendo, quindi, l’originario gap commerciale e giuridico), oppure in senso oggettivo e attuale e quindi facendo riferimento al nuovo contesto economico e sociale nel quale le parti, oggi, si ritrovano?