Prof. BERNARDO GIORGIO MATTARELLA
Dipartimento di Giurisprudenza Cattedra di Diritto Amministrativo
Il divieto di «gold plating» nel diritto dei contratti pubblici
Xxxx. XXXXXXXX XXXXXXX XXXXXXXXXX
Relatore
Xxxx. XXXXXXXX XXXXXXXXX
Correlatore
Xxxxxx Xxxxxxxxx
Candidato matricola 138873
Indice delle abbreviazioni
A&C Appalti & Contratti
ALR Administrative Law Review
AP Azienda Pubblica
CMLR Common Market Law Review
DA Diritto Amministrativo
DCSI Diritto comunitario e degli
scambi internazionali
DE Il diritto dell’economia
Dir. Prat. Amm. Diritto e pratica amministrativa
DP Diritto Pubblico
DPA Diritto e Processo
Amministrativo
ED Enciclopedia del diritto
EJLR European Journal of Law
Reform
EJRR European Journal of Risk
Regulation
ELJ European Law Journal
EPA European Policy Analysis
For. It. Foro italiano
FQCR Forum di Quaderni Costituzionali Rassegna
GDA Giornale di diritto
amministrativo
Giur. cost. Giurisprudenza costituzionale
Giur. it. Giurisprudenza italiana
GP Gruppo di Pisa
Ist. Fed. Istituzioni del federalismo
L&CP Law & Contemporary Problems
MCR Mercato Concorrenza Regole
OF Osservatorio sulle fonti
QG Quotidiano giuridico
Quad. Cost. Quaderni Costituzionali
R&G Regulation & Governance
RAS Rassegna Avvocatura dello
Stato
RDETA Rivista di diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente
RDI Rivista di Diritto Internazionale
RDP Rivista di diritto processuale
RGE Rivista giuridica dell’edilizia
RIDPC Rivista italiana di Diritto Pubblico Comunitario
RTA Rivista trimestrale degli appalti
RTDP Rivista Trimestrale di Diritto Pubblico
SIE Studi sull’integrazione europea
SLR Statute Law review
Urb. App. Urbanistica e appalti
YJR Yale Journal on Regulation
Indice
Capitolo I - La semplificazione normativa 8
1. La “scienza della legislazione” 8
1.2. La “qualità delle regole” 9
2. Le regole sulla qualità delle regole 12
Capitolo II - Il divieto di «gold plating» nei contratti pubblici 23
3. Il «gold plating»: origine e tassonomia del termine 23
4. La governance multilivello della semplificazione normativa 27
5. Il «gold plating» nella normativa italiana 32
5.1. La legge 28 novembre 2005, n. 246 33
5.1.1. I “livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive” 38
5.1.2. Le circostanze eccezionali che rendono necessario il «gold plating» 43
5.2. La legge 24 dicembre 2012, n. 234 45
5.2.1. Analisi quantitativa della normativa 51
5.3. La legge 28 gennaio 2016, n. 11… 57
5.3.1. … e le reazioni dei commentatori 61
5.3.2. Le possibili ipotesi di «gold plating» 66
5.4. Le direttive applicative del Presidente del Consiglio dei ministri .
6. La disciplina europea del «gold plating» 80
6.1. Comparsa e sviluppo del concetto di «gold plating» nell’Unione europea 81
6.2. L’agenda sulla “better regulation” del 2015 84
6.2.1. La cooperazione interistituzionale 85
6.2.2. Le Guidelines e la Toolbox della Commissione europea 87
7. Breve sintesi dei risultati 89
Capitolo III - L’effettività del divieto di «gold plating» 93
8. Il problema dell’effettività del diritto 93
9. L’effettività della disciplina sull’AIR: considerazioni di sintesi 95
10. Il «gold plating» nelle fonti di rango primario 100
10.1. Gli scarsi risultati del Governo 110
10.2. L’eccezione dei decreti legislativi correttivi e integrativi 110
11. Il «gold plating» nelle Linee guida dell’ANAC 112
11.1. La disciplina AIR dell’ANAC 113
11.2. I dati dell’ANAC 115
11.3. L’analisi dei risultati 124
12. La giustiziabilità del divieto di «gold plating» 126
12.1. Analisi del contenzioso sul «gold plating» 126
12.1.1. Le linee di tendenza 127
12.1.2. Rassegna giurisprudenziale 129
12.2. La giustizia costituzionale, tra momenti di diffusione e momenti di accentramento 135
12.2.1. La “rilevanza” 137
12.2.2. La “non manifesta infondatezza” 138
12.2.3. La sentenza 27 maggio 2020, n. 100 141
13. Le esperienze straniere 143
Conclusioni 147
Appendice 151
Bibliografia 162
L’oggetto di questa tesi – il divieto di «gold plating» – si colloca al crocevia di diverse questioni problematiche.
Prima di tutto, esso appartiene al novero di quegli strumenti che molti ordinamenti hanno ormai approntato per perseguire lo scopo di migliorare la qualità della legislazione. Ne deriva che i successi e gli insuccessi generali di questi strumenti, la loro applicazione a volte frammentaria, possono ripercuotersi sull’effettività del divieto di «gold plating».
In secondo luogo, il divieto di prevedere dei livelli di regolazione superiori a quelli minimi previsti dal diritto europeo è un precetto che richiama sia le fonti del diritto interno che quelle del diritto europeo, e dunque induce a riflettere sul rapporto tra l’ordinamento nazionale e quello dell’Unione. Una seria analisi del divieto di «gold plating» non può esimersi dal confrontarsi con alcune problematiche che riguardano il sistema delle fonti: basti pensare agli spazi di manovra lasciati agli Stati membri a fronte delle spinte all’armonizzazione portate avanti dall’Unione Europea.
In terzo luogo, proprio perché tale istituto insiste sul sistema delle fonti, esso si presta ad una costituzionalizzazione, come in effetti è avvenuto in Italia. Anche in questo caso, dunque, uno studio che abbia ad oggetto il divieto di «gold plating» non può glissare sui problemi di giustizia costituzionale che esso comporta.
Infine, è evidente che il «gold plating» è un prestito linguistico da un altro ordinamento, segnatamente quello inglese, e come tale esso può essere foriero di ambiguità semantiche. Quindi, necessita di un approfondimento non solo giuridico, ma anche storico e filologico sull’origine del termine e sulle sue possibili declinazioni.
Eppure, se queste sono le premesse, stupisce che in Italia fino ad ora sia mancata una riflessione completa e ben strutturata sull’origine, sul significato e sul concreto funzionamento del divieto di «gold plating». Ma se è vero che lo studioso si nutre di domande, allora questa è senz’altro un’occasione ghiotta per approfondire l’argomento.
A ciò è diretto, quindi, il presente lavoro. Che cos’è il divieto di «gold plating»? Qual è la sua origine? Quali sono i principali significati che gli vengono attribuiti, in Italia e all’estero, e come questi si ripercuotono sulla sua concreta operatività? Ma soprattutto, qual è la sua effettiva rilevanza all’interno del nostro ordinamento? A tutte queste domande si tenterà di rispondere nei capitoli che seguono.
E tali domande, di indubbio interesse scientifico, si rendono ancor più assillanti in questi giorni, in cui le sirene della semplificazione amministrativa
e normativa non mancano di adulare nuovamente la classe politica nostrana, chiamata a dirigere il Paese fuori da una crisi che, da sanitaria, rischia di diventare economica. E così riaffiora nel dibattito pubblico il richiamo alla semplificazione della disciplina dei contratti pubblici, allo snellimento delle procedure di gara e, neanche a farlo apposta, al divieto di «gold plating».
Ma se questo è l’oggetto della tesi, una premessa metodologica si rende necessaria. Parlando di istituti giuridici, si è deciso di seguire un impianto “classico”, che vede alternarsi momenti di analisi ad altri di sintesi. Nella prima metà del lavoro verrà inquadrato il concetto di «gold plating» da un punto di vista statico, scomponendolo nei suoi elementi strutturali per facilitarne la comprensione. Nella seconda metà verrà invece curata la parte dinamica del suddetto divieto, indagandone il concreto funzionamento nella prassi applicativa dei suoi destinatari.
Per questo motivo, il primo capitolo è dedicato ad una breve disamina introduttiva sui principali strumenti, diffusi in ambito internazionale e nazionale, volti a perseguire l’obiettivo della semplificazione normativa. In tale sezione verrà affrontata la questione dell’emersione dell’interesse pubblico alla “buona legislazione” e della connessa branca di studi che ricade sotto il nome di “scienza della legislazione”. Verranno quindi inquadrati i rudimenti concettuali più importanti per lo studio del divieto di «gold plating»: ci si riferisce ai procedimenti di analisi e valutazione dell’impatto della regolamentazione e alle consultazioni pubbliche.
Nel secondo capitolo si entrerà invece nel vivo della trattazione, affrontando il problema definitorio del divieto di «gold plating». Ne verrà indagata la genesi storico-normativa, sia all’estero che in Italia, per meglio comprenderne la ratio e quindi per avanzare un’ipotesi ermeneutica più circostanziata. In questa sezione si passeranno in rassegna le principali tappe legislative che hanno condotto al panorama normativo tutt’ora vigente. Come si avrà modo di vedere, emergerà un quadro che assegna al divieto di «gold plating» un’importanza sistemica di prim’ordine. Esso infatti è, ad oggi, un principio generale che vincola il Legislatore nazionale nel recepimento della quasi totalità degli atti di derivazione europea.
Infine, il terzo capitolo sarà incentrato sull’effettività del divieto di
«gold plating». In tale sede verrà analizzata l’attività dei soggetti muniti di poteri regolatori nell’ambito del diritto dei contratti pubblici. Per questo motivo verranno passate in rassegna le relazioni AIR del Governo e dell’ANAC, per valutare se e come questi soggetti abbiano dato seguito al divieto di introdurre livelli di regolazione superiori a quelli minimi previsti dal diritto europeo. Sempre nel terzo capitolo verranno infine forniti brevi spunti comparatistici sulle esperienze straniere.
Come emerge da questo rapido scorcio, l’idea che ispira il presente lavoro è quella di non limitarsi ad un’analisi normativa del problema, ma al contrario di arricchire lo studio con elementi di natura quantitativa, raccogliendo dati grezzi e rielaborandoli per trarne informazioni utili. D’altronde, questo è quello che richiede il divieto di «gold plating», che come anticipato poc’anzi appartiene al novero degli strumenti di semplificazione normativa. Uno strumentario che richiede al giurista di sviluppare sempre più un sapere di stampo multidisciplinare.
Capitolo I
LA SEMPLIFICAZIONE NORMATIVA
1. La “scienza della legislazione”
“La progettazione della legge è estranea all’essenza del diritto. In altre parole, la scienza giuridica coincide con la scienza del diritto posto dallo Stato. Di qui la distinzione tra le analisi de jure condito e quelle de lege ferenda. Le seconde, estranee alla riflessione giuridica, sono opera, per lo più, di pratici; arte, non scienza. Le prime, invece, attingono alla dignità di scienza”.
Con queste parole, nel 1992, Xxxxxx Xxxxxxx criticava la communis opinio sul ruolo dei giuristi nel panorama delle scienze, a seguito dell’affermarsi di una cultura dominante, quella del positivismo giuridico1. Il fine dell’Autore, chiaramente, era quello di scardinare tale visione, per aprire la strada ad una nuova concezione del ruolo del giurista: non più soltanto bouche de la loi, ma soggetto cosciente del proprio ruolo attivo nei processi di produzione normativa.
D’altronde, l’esigenza di fondare una “scienza della legislazione” aleggiava già da tempo tra i giuristi italiani, fin dagli esordi del secondo dopoguerra, come denotavano le dispute tra Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx e Xxxxxxxxxx Xxxxxxx, conservate sulle pagine della rivista “diritto dell’economia” degli anni ’60. Il primo rilevava che “I nostri giuristi vengono fuori agnostici, disposti a giurare che la legge ha sempre ragione, salvo poi, quando si trovano immersi nella vita pratica del diritto, a convertire l'agnosticismo nello scetticismo più desolato” 2.
Non si può dire oggi, a quasi trent’anni dalle denunce di Xxxxxxx, che tali speranze siano state completamente disattese. È stato correttamente affermato che “con l’inizio del nuovo secolo la qualità della regolazione è divenuta un obiettivo centrale delle politiche di tutti i paesi europei”3. E con l’emersione di tale obiettivo, strettamente legato a quello utopistico della
1 Vedi CASSESE S., Introduzione allo studio della normazione, in RTDP, 1992(2), 307.
2 Vedi CARNELUTTI F., Certezza, autonomia, libertà, diritto, in DE, 1956, 1185. In senso diametralmente opposto, vedi MORTATI C., Perplessità e riserve in merito alla fondazione di una “scienza della legislazione”, in DE, 1960, 826, il quale affermò lapidario che “sembra da escludere l’opportunità, a anzi la stessa possibilità di una scienza della legislazione che fosse configurata, come si propone, quale studio, sistematico di tutta la legislazione”.
3 Vedi DE XXXXXXXXX X et al., La qualità delle regole, Bologna, 2011.
certezza del diritto, si è andato sviluppando parallelamente un insieme di regole volte, per l’appunto, a garantire la buona qualità della regolamentazione.
Ma qual è l’oggetto della nuova “scienza della legislazione”, e cosa si intende per “qualità delle regole”?
Come ogni scienza che si rispetti, anche quella della legislazione ha dovuto circoscrivere il proprio campo d’indagine. La questione, posta ad un neofito del diritto, sembrerebbe di facile risoluzione: oggetto della scienza della legislazione è la legge. Ma questa risposta, agli occhi del giurista, pare senz’altro avventata. È noto che la legge è soltanto una tra le molte fonti del diritto che possono comporre un ordinamento.
Quel che una legge apporta di nuovo è, d’altronde, un enunciato dotato di efficacia giuridica. Dunque oggetto della scienza della legislazione potrebbero essere proprio questi enunciati. Anche se questa risposta può sembrare appagante, essa tuttavia cozza con la distinzione tra norma e disposizione, che poi altro non è se non la differenza tra significato e significante. A regolare la vita dei consociati non è una mera proposizione, ma il significato che ad essa viene attribuito dall’interprete.
In realtà, nella prassi ed in letteratura è andata affermandosi una concezione della scienza della legislazione il cui oggetto principale è la “regola”, per tale intendendosi quel particolare tipo di norma “caratterizzata da una portata applicativa immediata, che indica le conseguenze giuridiche che devono seguire necessariamente quando si diano le condizioni previste”4. Dunque, per esempio, i c.d. principi rimangono esclusi dall’ambito di interesse della scienza della legislazione, e questo è un elemento che distingue il campo d’indagine del giurista-legislatore da quello del giurista-interprete. D’altro canto, tale distinzione ha un’importanza non indifferente, perché circoscrive l’oggetto di studio soltanto a quelle norme i cui effetti, teoricamente, siano sempre quantificabili.
Una volta chiarito l’oggetto, è possibile comprendere meglio l’esatto significato dell’obiettivo da raggiungere, vale a dire “la qualità delle regole”.
1.2. La “qualità delle regole”
4 Ibid. 12, il quale riprende la definizione di “legal rule” presente in XXXXXXXX R., Taking rights seriously, Xxxxxxxxx, 0000.
Generalmente, si usa distinguere tra qualità in senso formale e qualità in senso sostanziale5. Per riprendere le parole del Consiglio di Stato, “una normazione “di qualità” implica sia coerenza e chiarezza da un punto di vista giuridico-formale (regole leggibili sia per gli operatori che per i cittadini) che essenzialità e minore onerosità da un punto di vista economico- sostanziale (una regola interviene solo quando è indispensabile e se i benefici da ottenere sono superiori ai costi)”6.
La c.d. qualità in senso formale, quindi, fa riferimento agli aspetti linguistici della regolamentazione, che sono oggetto di studio del c.d. drafting legislativo. In realtà, tale distinzione va adottata con parsimonia, poiché “Le regole della c.d. legistica formale hanno tutte, chi più chi meno, rilevanza sostanziale sul contenuto normativo. Basti pensare, ad esempio, agli effetti sostanziali derivanti da un uso inappropriato della punteggiatura o delle formule del rinvio. Si può anzi affermare che la legistica materiale è funzionale alla legistica formale in quanto è in larga misura approntamento di istituti e procedure volte a meglio consentire l’applicazione delle regole e raccomandazioni della legistica c.d. formale”7.
Dall’altro lato, la qualità in senso sostanziale è maggiormente legata al contenuto delle regole, ed ha quindi come punto focale l’analisi degli impatti e degli effetti sui destinatari delle stesse. Quest’esigenza si traduce, come si vedrà a breve, in uno studio approfondito dei costi derivanti da una determinata scelta normativa. Xxxx, la comparazione di diverse opzioni regolatorie, in ragione di parametri qualitativi e quantitativi predeterminati, diventa il metodo stesso per cercare di raggiungere una migliore qualità della regolamentazione (in senso sostanziale).
Il concetto di qualità sostanziale affianca spesso quello di “semplificazione”, di cui il divieto di «gold plating» è una perfetta estrinsecazione (infra §4). Anche la semplificazione, pur essendo un termine comunemente in uso nel dibattito politico e giuridico ormai da tempo8, presenta dei contorni semantici sfumati. Per alcuni, essa presenta come fine principale la “formazione di relazioni più semplici, più chiare e più certe fra
5 Ibid. 25. In realtà esistono distinzioni ancora più approfondite, qual è quella di MADER L., Evaluating the Effects: A Contribution to the Quality of Legislation, in SLR, 2001(2), 119, il quale per esempio fa riferimento alla “legislative communication” come la pratica di rendere accessibili i testi normativi, o la “sociology of legislation”, ossia lo studio degli aspetti sociologici relativi alla predisposizione ed implementazione delle regole.
6 Cfr. Cons. Stato, ad. gen., 25.10.2004, n. 10548.
7 Vedi PAGANO R., Introduzione alla legistica. L’arte di preparare le leggi, Milano, 2004, 8.
8 Vedi CASSESE S., La semplificazione amministrativa e l’orologio di Xxxxxx, in RTDP, 1998(3), 699, per una breve ricostruzione del concetto di semplificazione applicato all’amministrazione pubblica.
amministrazione e cittadino”9. D’altronde, è stato anche rilevato che, con riguardo ai destinatari delle regole, non si possa accettare una nozione unitaria di semplificazione: spesso, quando si realizza una semplificazione per i cittadini, all’amministrazione compete un maggiore onere burocratico10.
A livello internazionale, si è affermata una concezione della semplificazione maggiormente incentrata sugli aspetti concorrenziali. In questo senso, una burocrazia farraginosa costituisce un ostacolo alla piena estrinsecazione delle libertà economiche dei cittadini11. Quindi la semplificazione viene intesa come uno strumento volto a ridurre i costi amministrativi derivanti dalla regolamentazione12.
Ad ogni modo, un elemento che sembra accomunare le varie concezioni di semplificazione è rappresentato dal fatto che essa è “riconducibile a un’attività di riduzione di tutti i costi, tempi, adempimenti (e dunque riforma delle regole che li introducono) che non siano funzionali al perseguimento degli interessi sostanziali ritenuti meritevoli di tutela dal decisore pubblico …”13. In sostanza, dunque, la semplificazione non incide sulle istanze politiche, che rimangono intatte a monte del processo decisionale, ma semplicemente sulle loro modalità di estrinsecazione.
Tra l’altro, come si vedrà nei prossimi capitoli, è proprio questa la prospettiva in cui è calato il divieto di «gold plating». Prima il Consiglio di Stato, con il parere n. 855 del 2016, e poi la Corte costituzionale con la sentenza n. 100 del 2020, hanno chiarito che il divieto in questione non è pensato per intaccare gli interessi sottesi ad una determinata norma, ma piuttosto è diretto ad evitare oneri inutili. Ma quali sono questi oneri, oggetto di semplificazione?
9 Vedi TRAVI A., La liberalizzazione, in RTDP, 1998(3), 645.
10 Per esempio, sempre in DE BENEDETTO et al., op. cit., 43, si evidenzia come “alcune semplificazioni che hanno come destinatari i cittadini-imprese e le amministrazioni possono generare un aggravamento in termini di riduzione delle certezze o aumento degli adempimenti (si pensi agli strumenti della denuncia di inizio dell’attività e del silenzio)”.
11 Come affermato recentemente dalla Banca Mondiale “at its core, regulation is about freedom to do business. Regulation aims to prevent worker mistreatment by greedy employers (regulation of labor), to ensure that roads and bridges do not collapse (regulation of public procurement), and to protect one’s investments (minority shareholder protections). All too often, however, regulation misses its goal, and one inefficiency replaces another, especially in the form of government overreach in business activity”, vedi WORLD BANK GROUP, Doing Business 2020, Xxxxxxxxxx, 0000.
12 Vedi OECD, Cutting Red Tape. Why Is Administrative Simplification So Complicated? Looking beyond 2010, Parigi, 2010, secondo cui “The main goal of activities focusing on administrative simplification has been to remove unnecessary costs imposed on regulated subjects by government regulations that can hamper the economic competition and innovation”.
13 Xxxx XX XXXXXXXXX et al., op. cit., 44.
In linea generale, gli oneri sostenuti dai destinatari di una regola possono essere suddivisi in due macro-categorie: da una parte, i costi finanziari, che rappresentano il riflesso economico di un’obbligazione pecuniaria che trova la propria fonte nella regola, la quale costituisce un obbligo di dare (es: aumento dell’IVA); dall’altra, i costi di adeguamento, ossia quegli oneri che economicamente derivano dalla regola, ma che da un punto di vista giuridico derivano da obblighi di facere o non facere previsti dalla normativa (es: l’obbligo di dotarsi di un’assicurazione).
A sua volta, quest’ultima categoria può essere ulteriormente suddivisa in substantive compliance costs ed administrative burdens. Mentre i primi sono i costi derivanti dall’adeguamento materiale della propria attività alla nuova regola (es: il premio assicurativo), i secondi sono connessi all’obbligo di dimostrare il rispetto della regolazione stessa (es: l’obbligo di allegare il proprio numero di polizza assicurativa per poter partecipare ad un bando pubblico)14. Il divieto di «gold plating», come si vedrà meglio infra, è tendenzialmente volto a contenere questi ultimi oneri.
2. Le regole sulla qualità delle regole
Una volta chiarito quale sia l’oggetto della scienza della legislazione e quali obiettivi essa si prefigga, si può passare ad una breve sintesi di quali siano le “leggi” che si sono via via affastellate in questo nuovo filone di studi. L’attenzione sarà rivolta ai profili sostanziali della qualità delle regole, per la chiara attinenza di questi con il divieto di «gold plating».
Oggigiorno il fenomeno della produzione delle regole viene configurato come un procedimento ciclico. Tale approccio si è affermato non solo in Italia, ma anche all’estero, tanto da diventare una sorta di cifra distintiva delle politiche di better regulation. Da una parte, l’OCSE ha da tempo suggerito agli Stati membri di adottare “the concept of life-cycle management of regulations, in which principles of good regulations are applied in initial decisions on new regulations and in continuing reviews throughout the life of regulation”15. Dall’altra parte la stessa Unione Europea, nell’ultima tornata di comunicazioni incentrate sulla better regulation, ha espressamente richiamato il concetto, affermando che “Esaminare i vantaggi e i costi di una politica dovrebbe essere qualcosa di più di una semplice "istantanea" della politica alla sua nascita: l'esame e la valutazione
14 Ibid., 53.
15 Cfr. OECD, The OECD report on regulatory reform: synthesis, Parigi, 1997.
dovrebbero continuare durante tutto il suo ciclo di vita per controllare che non perda la sua adeguatezza”16.
Con questa nuova concezione del fenomeno regolatorio, tramutato da evento puntuale ad attività continuativa, assumono maggiore importanza gli effetti delle regole, i quali divengono vero e proprio parametro di valutazione delle stesse. Il ciclo della regolazione può essere riassunto come segue.
Prima di trasformare la volontà politica in regole, è bene fissare chiaramente gli obiettivi da raggiungere ed i connessi risultati attesi. Quest’attività, di natura analitica, è importante perché permette di sviluppare varie “ipotesi regolatorie”, le quali dovranno essere poi vagliate attraverso strumenti di analisi economica per individuare quella che, in base ad un giudizio ex ante, sembra essere la più idonea a raggiungere i risultati sperati a fronte dei minori oneri possibili. Questo tipo di valutazioni vengono svolte in quella che nel nostro ordinamento si chiama Analisi di Impatto della Regolamentazione (AIR).
In seguito, l’implementazione della regola dev’essere monitorata, per permettere di raccogliere i dati sufficienti a sviluppare delle valutazioni più approfondite in un momento successivo. A colmare tale asimmetria informativa, spesso corre in aiuto lo strumento delle consultazioni pubbliche, attraverso cui vengono raccolti i dati direttamente dai soggetti regolati.
Infine, in base alle informazioni raccolte, viene effettuata una valutazione dei risultati raggiunti, per capire se gli obiettivi prefissati sono stati centrati e a quale costo. Questa fase viene ricondotta nel nostro Paese alla Valutazione di Impatto della Regolamentazione (VIR).
Come è evidente anche a prima vista, le analisi che devono essere svolte nel ciclo della regolazione sono volte a far emergere gli effetti, positivi e negativi, diretti ed indiretti, che derivano dalle regole adottate. A tal proposito, si sono sviluppate con il tempo diverse tecniche di analisi, le quali tendono a valutare gli effetti della regolazione in termini monetari, quantitativi o qualitativi, a seconda delle informazioni a disposizione del decisore pubblico17.
Tra queste, senza pretese di esaustività, va certamente richiamata la cost-benefit analysis, ossia la tecnica attraverso cui vengono individuati tutti i possibili pro e contro di una regola, per poi confrontarli tra di loro e trarne
16 Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, Legiferare meglio per ottenere risultati migliori — Agenda dell'UE, Strasburgo, 19.5.2015 COM(2015) 215 final.
17 Vedi DE XXXXXXXXX et al., op. cit., 54, la quale evidenzia come non sempre sia possibile una quantificazione monetaria degli effetti. A tal proposito, l’A. richiama la break-even analysis, diffusa nel Regno Unito, grazie alla quale viene semplicemente “ipotizzata” la soglia di costi oltre la quale la regolazione diviene giustificata rispetto ai benefici.
il beneficio “netto”, alla luce dello status quo18. Tuttavia, non sempre questa tecnica può essere adottata. A volte, manca la base informativa sufficiente per sviluppare un tale tipo di analisi; altre volte, più semplicemente, le esigenze di celerità non permettono di dedicare il tempo necessario ad una valutazione così approfondita.
Per questi motivi, ben più diffuse sono le tecniche di analisi del tipo “costo-efficacia”, in base alle quali vengono semplicemente quantificati i costi derivanti da una determinata regola senza compararli con i benefici. Tra queste rientra la tecnica di analisi indirizzata alla riduzione dei costi amministrativi (administrative burdens), come definiti nel paragrafo precedente, vale a dire lo standard cost model.
Quest’ultimo tipo di analisi, nata nei Paesi Bassi e poi diffusasi a livello internazionale, è stata pienamente recepita anche in Italia. Prima con il decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (che ha previsto l’istituto del c.d. “taglia-oneri”), poi con una disciplina organica nella legge 11 novembre 2011, n. 180, è stato ideato il sistema del “regulatory budget”, attraverso il quale si pone il divieto di introdurre nuovi oneri in capo alle imprese senza eliminarne contestualmente altri già presenti. Lo standard cost model è oggi enucleato in quella che nel nostro Paese è conosciuta come Misurazione degli Oneri Amministrativi (MOA), la quale ha visto un andamento altalenante dalla sua istituzione sino ad oggi19.
Da queste brevi premesse sulle tecniche di analisi comunemente adottate, emerge chiaramente che i soggetti chiamati a svolgere l’istruttoria normativa devono essere dotati di conoscenze trasversali, che spazino dal diritto all’economia, passando anche per le scienze cognitive. In sostanza, perfino sul piano del metodo, la scienza della legislazione non può limitarsi ad utilizzare le armi dei giuristi “puri”, che spesso fanno leva sulla mera logica formale, ma deve aprirsi ad una nuova concezione del diritto. Xxxxxxx, in altri termini, tornare a concepire quest’ultimo come un “fatto”20, regolato cioè anche dalle leggi sviluppate da altre scienze, ed accogliere l’imperativo a “costruire ponti tra diritto e “humanities” e “social sciences”, perché il diritto è scienza sociale”, e consci del fatto che “Superamento non vuol dire
18 Per una trattazione approfondita, vedi XXXXXXXX G., XXXXXX W., Cost-Benefit Analysis: Concepts and Practice, Xxxxxx, 2014.
19 Per un bilancio dell’utilizzo della MOA a dieci anni dalla sua istituzione, vedi ANGELETTI S., La misurazione degli oneri amministrativi in dieci anni di politiche di semplificazione. Risultati e prospettive, in AP, 2018(3), 335.
20 Per riprendere le parole di XXXXXXXXX U., Il metodo giuridico, in RDP, 1971, 553, secondo il quale l’adozione del metodo giuridico comporta la concezione del diritto come “un reticolo di proposizioni determinanti un dover essere e come valore dei suoi momenti secondo i loro rapporti con le proposizioni del reticolo”. Al contrario, assumendo una prospettiva esterna ed abbandonando il metodo giuridico, il diritto diventerebbe un “fatto tra i fatti”.
abbandono del “metodo giuridico”, ma sua integrazione con ambiti disciplinari diversi, abbandonando l’ingenua idea ottocentesca dei saperi differenziati”21.
Di quanto detto sembra essere conscio anche il Governo italiano, dal momento che, nella “Guida all'analisi e alla verifica dell'impatto della regolamentazione”22, esso ha dedicato una scheda agli “Spunti e riflessioni derivanti dalle scienze cognitive”.
Fatte queste doverose premesse sulle tecniche di analisi maggiormente diffuse, è bene ora passare in rassegna i tratti essenziali dell’AIR, della VIR e delle consultazioni pubbliche.
L’analisi di impatto della regolamentazione (di seguito soltanto AIR) è uno strumento di istruttoria normativa ormai diffuso su scala planetaria23, tanto da essere stata definita come una sorta di “global norm”24. Inizialmente emersa negli Stati Uniti nel 1981, con l’executive order n. 12291, l’AIR si è poi diffusa sino ad attecchire anche in Italia. Quest’ultima ha lanciato la sperimentazione dell’AIR a partire dal 1999, per poi consolidarla ed allargarla alle autorità amministrative indipendenti nel 2003. Attualmente, l’AIR riceve una disciplina di rango primario nella legge n. 246 del 2005. In aggiunta, la disciplina attuativa dell’AIR è contenuta nel Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2017, n. 169, e nella già menzionata Guida del 2018.
Da un punto di vista generale, l’AIR è un procedimento che consta di una serie di passaggi logici volti ad analizzare gli impatti di una determinata regola e a giungere ad una relazione di sintesi. Essa, sotto il profilo funzionale, può essere considerata come l’incipit del ciclo della regolazione di cui si è detto: in questa sede vengono svolte le valutazioni ex ante sulle regole da adottare, valutazioni che verranno eventualmente confermate o smentite dal monitoraggio dell’implementazione. In questo senso, il “ciclo della regolazione” sembra ricalcare il metodo empirico, laddove la regola adottata a seguito dell’AIR costituisce un’ipotesi (la cui plausibilità è stata
21 Vedi CASSESE S., Il futuro del diritto pubblico, in GDA, 2017(2), 176.
22 Impartita con direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 16 febbraio 2018.
23 Per una trattazione generale dell’AIR in chiave comparata, vedi su tutti DUNLOP C., XXXXXXXX C., Handbook of Regulatory Impact Assessment, Cheltenham, 2016.
24 Cfr XXXXXX X., Current Trends in Regulatory Impact Analysis: The Challenges of Mainstreaming RIA into Policy-making, Jacobs and Associates, 2006, il quale descrive con abbondanza di dati la diffusione degli strumenti di analisi di impatto della regolamentazione dagli anni ‘80 in poi.
saggiata, per l’appunto, ex ante) che dev’essere confermata dall’”evidenza empirica”25.
L’AIR, a livello procedurale, può essere suddivisa (astrattamente) in cinque fasi: (i) in una prima fase devono essere fissati gli obiettivi dell’intervento regolatorio e i connessi effetti che si vogliono raggiungere, tentando di configurarli di modo da renderli quantificabili; (ii) in una seconda fase, devono essere prospettate le varie opzioni regolatorie astrattamente idonee a conseguire gli obiettivi sperati, ricomprendendo tra queste la c.d. “opzione zero”, ossia la conservazione dello status quo normativo; (iii) successivamente, vanno individuati per ciascuna opzione regolatoria i possibili vantaggi e svantaggi derivanti dalla stessa, utilizzando le tecniche di analisi prospettate brevemente supra; (iv) a questo punto, bisogna scegliere l’opzione regolatoria preferibile, in base ad una valutazione comparativa; (v) infine, è necessario prefissare gli indici e le fonti da monitorare in vista della valutazione ex post, che verrà svolta sull’opzione regolatoria prescelta.
Come è evidente, l’ultimo passaggio costituisce una sorta di trait d’union tra le diverse fasi del ciclo della regolazione, e per questo esso rappresenta un aspetto da non sottovalutare.
D’altra parte, l’AIR così configurata tende ad appesantire il procedimento di produzione normativa, con costi aggiuntivi per l’amministrazione e ritardo nella produzione normativa. In aggiunta, lo svolgimento indiscriminato dell’AIR rischia di condurre all’esito opposto rispetto a quello sperato, creando una sorta di “inflazione” di questo strumento e quindi riducendone la qualità. Per questo motivo, tutti i Paesi che hanno adottato l’AIR ne hanno altresì circoscritto l’ambito di applicazione, per renderla proporzionale agli obiettivi da raggiungere. A tal proposito, possono essere individuati due raggruppamenti.
Il primo è composto da quegli Stati che prevedono un funzionamento bifasico dell’AIR, costituito in prima battuta da uno screening, attraverso cui viene saggiata l’effettiva rilevanza di una determinata regola, ed in seconda battuta dall’analisi vera e propria. Tra questi Paesi rientrano sicuramente gli Stati Uniti, i primi ad introdurre un meccanismo di questo tipo, conosciuto nel gergo tecnico come la “major rule”26, la quale fissa delle soglie determinate al di sopra delle quali l’AIR è ipso iure necessaria.
25 Depone in tal senso anche l’art. 2, comma 3, del DPCM 169/2017, il quale afferma che l’obiettivo dell’AIR è quello di fornire un “supporto informativo” attraverso un percorso “basato sull’evidenza empirica”.
26 La regola di screening è disciplinata dall’executive order n. 12866 del 1993, il quale limita l’AIR alla ‘‘Significant regulatory action’’, rappresentata da “any regulatory action that is likely to result in a rule that may: (1) Have an annual effect on the economy of $100 million
Sull’altro fronte si pongono quei Paesi che invece non svolgono un vero e proprio screening, ma predeterminano a monte i casi di esenzione ed esclusione dall’applicazione dell’AIR. L’Italia, ad esempio, rientra nel novero di questi Paesi. Richiamando la disciplina attualmente in vigore prevista dagli artt. 6 e7 del DPCM 169/2017, emerge che i casi di esclusione sono tassativamente elencati e sono sostanzialmente ancorati alla qualità formale dell’atto-fonte attraverso il quale la regola dev’essere adottata. Quindi, per esempio, sono esclusi dall’ambito di applicazione dell’AIR i disegni di legge costituzionale (lett. a), oppure le leggi di approvazione di bilanci e rendiconti generali (lett. f).
D’altro canto, un atto può essere esentato dall’AIR qualora presenti “un ridotto impatto” (art. 7). Quest’ultimo ricorre quando: (i) i costi di adeguamento attesi sono di scarsa entità in relazione ai singoli destinatari, tenuto anche conto della loro estensione temporale; (ii) il numero dei destinatari dell'intervento è esiguo; (iii) le risorse pubbliche impiegate sono di importo ridotto; (iv) e l’incidenza sugli assetti concorrenziali del mercato è limitata.
Come è evidente, per quanto le finalità siano le stesse, i modi di garantire la proporzionalità dell’AIR sono assai differenti. Negli USA si privilegia una tipizzazione dei casi di applicazione dell’AIR maggiormente incentrata sul contenuto; in Italia, invece, la disciplina presenta ampi margini di discrezionalità e si focalizza maggiormente sull’atto-fonte dal quale la regola deriva.
La distinzione, come si vedrà più avanti (infra §9), è foriera di importanti inefficienze nel sistema italiano, nel quale l’AIR non sembra correttamente indirizzata verso i provvedimenti “ad impatto maggiore”. Tali inefficienze, poi, si ripercuotono sull’effettività del divieto di «gold plating».
La valutazione di impatto della regolamentazione è l’altro momento del ciclo della regolazione, nella quale vengono saggiati ex post gli effetti concreti di una determinata regola. Dal punto di vista normativo, anch’essa (come l’AIR) è oggi disciplinata dalla legge 246 del 2005, che all’articolo 14,
or more or adversely affect in a material way the economy, a sector of the economy, productivity, competition, jobs, the environment, public health or safety, or State, local, or tribal governments or communities; (2) Create a serious inconsistency or otherwise interfere with an action taken or planned by another agency; (3) Materially alter the budgetary impact of entitlements, grants, user fees, or loan programs or the rights and obligations of recipients thereof; or (4) Raise novel legal or policy issues arising out of legal mandates, the President’s priorities, or the principles set forth in this Executive order”.
comma 4, la inquadra nella “valutazione, anche periodica, del raggiungimento delle finalità e nella stima dei costi e degli effetti prodotti da atti normativi sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull'organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni”.
Da un punto di vista generale, la VIR nasce dall’esigenza di riallineare quell’asimmetria informativa insita nell’analisi ex ante, per sua natura incardinata su previsioni e stime parziali, basate su dati incompleti. Per questo motivo esiste un forte nesso funzionale tra l’AIR e la VIR (almeno teoricamente), e come si è già anticipato, la prima dovrebbe in qualche modo essere propedeutica alla seconda27.
Anche per questo procedimento valutativo, il panorama interno e nazionale offre spunti comparatistici interessanti. Il Regno Unito ha previsto, rispettivamente per la primary e secondary legislation., il post-legislative scrutiny e la post-implementation review28. Negli USA, anche se formalmente una vera e propria valutazione ex post è prevista solo per le leggi federali che riguardano le piccole imprese, essa viene spesso effettuata comunque dal regolatore29. Ma l’esperienza che sicuramente desta più interesse è quella tedesca: in Germania si è sviluppata una giurisprudenza della Bundesverfassungsgericht secondo cui, “di fronte ad incertezze sugli effetti che una legge può produrre sull’esercizio di diritti o libertà fondamentali è legittimo in questi casi legiferare a condizione che il legislatore proceda ad intervalli regolari ad una valutazione retrospettiva degli effetti della leggi in questione ed in relazione ai risultati proceda alle conseguenti correzioni. Altrimenti tali leggi possono essere dichiarate incostituzionali”30.
Per quanto riguarda l’Italia, la disciplina attuativa è ora contenuta nel già menzionato regolamento n. 169 del 2017. La VIR è soggetta ad una programmazione biennale (art. 12), nella quale devono essere individuati gli atti normativi da sottoporre a valutazione sulla base di una consultazione “aperta” (art. 18) e dei dati raccolti medio tempore. Un aspetto interessante è che la VIR, a partire dal 2017, può essere svolta non solo su singoli atti normativi, ma anche su un insieme di essi, purché questi siano funzionalmente collegati (art. 12, comma 5).
27 Xxxx XX XXXXXXXXX et al., op cit., 86.
28 Cfr. HOUSE OF LORDS, What happened next? A study of Post-Implementation Reviews of secondary legislation, Londra, 2009.
29 Vedi DE XXXXXXXXX et al., op cit., 89 per gli ampi riferimenti.
30 Vedi PAGANO R., Introduzione alla legistica, op. cit., 169, il quale richiama la sentenza dell’8 agosto1978 (BVerfGE49 89 Kalkar) concernente la legge relativa alla costruzione del supergeneratore di Kalkar; la sentenza del 1 marzo 1979 (BVerfGE 50 290 Mitbestimmung) relativa alla legge sulla compartecipazione dei lavoratori nell’impresa; e la sentenza (BVerfGE 84 239) relativa alla legge in materia di tassazione dei redditi da capitale che aveva sortito l’effetto non desiderato del trasferimento dei capitali all’estero.
Se questo è il quadro normativo interno, tutto sommato ben articolato, i risvolti applicativi si fanno ancora attendere invece. Dai dati più aggiornati forniti dall’Ufficio valutazione impatto del Senato, il numero di VIR svolte è nettamente inferiore a quello dell’AIR: spesso essa concerne interventi di impatto marginale ed è quindi scollegata dalle effettive esigenze di revisione della regolamentazione31. Quanto ai numeri, dal 2013 al 2016 sono state effettuate soltanto 59 valutazioni di impatto della regolamentazione.
Quel che comunque sembra caratterizzare la VIR rispetto all’AIR, come detto, è la presenza di una maggiore base informativa attraverso la quale valutare le scelte regolatorie optate in origine. Per questo motivo, nel plesso dei moduli procedimentali volti a garantire la “qualità delle regole”, non si può non ricomprendere anche le consultazioni, attraverso le quali il regolatore raccoglie appunto i dati dai quali estrarre informazioni essenziali.
Anche le consultazioni ricevono una disciplina all’interno del DPCM 169 del 2017. In generale, le consultazioni sono uno strumento a disposizione del regolatore per raccogliere dati di vario tipo, al fine di colmare l’asimmetria informativa che intercorre tra soggetto regolatore e soggetto regolato.
Normativamente, il regolamento n. 169 del 2017, all’art. 16, comma 2, chiarisce che “L'obiettivo della consultazione è acquisire elementi che, nel caso dell'AIR, possono afferire agli aspetti critici della situazione attuale, alle opzioni di intervento, alla valutazione degli effetti attesi, e, nel caso della VIR, riguardano la valutazione dell'efficacia dell'intervento, della sua attuazione e dei suoi principali impatti”. Le consultazioni possono quindi svolgere diverse funzioni, a seconda che siano ancillari ad un’analisi ex ante oppure che sorreggano una valutazione controfattuale ex post.
Da un punto di vista generale, sono stati individuati vari tipi di consultazione, i quali condizionano la qualità e l’utilizzabilità dei dati che vengono raccolti. È stato infatti correttamente osservato che i tre parametri per valutare le consultazioni sono: “l’onerosità di realizzazione; l’attendibilità e la validità dei risultati ottenibili; l’utilità e l’esaustività di questi ultimi ai fini dell’AIR”32.
31 Vedi MARCI S., Senato della Repubblica - La nuova disciplina dell'analisi e della verifica dell'impatto della regolamentazione, 2018. Per un commento complessivo sull’AIR e sulla VIR alla luce del citato report del Senato, vedi SBORDONI S., AIR e VIR: strumenti di implementazione della qualità della normazione, in RA, 2018(2), 93.
32 Vedi LA SPINA A., XXXXXXXXX S., La consultazione nell’analisi dell’impatto della regolazione, Soveria Mannelli, 2001.
Quanto al primo elemento, bisogna ricordare che le consultazioni non sono l’unico strumento a disposizione del regolatore per raccogliere informazioni. Esse costituiscono, propriamente, una “fonte diretta” di informazioni, ma la stessa funzione può essere svolta anche da “fonti indirette”33. Tra queste ultime rientrano in generale gli archivi compilati per altre finalità, dai quali è possibile estrapolare i dati grezzi da rielaborare per trarne le informazioni necessarie, chiaramente ad un costo inferiore.
Tuttavia, il problema principale delle informazioni tratte da fonti indirette è che di regola non è certa la loro attendibilità, salvo che le rilevazioni statistiche siano state fatte da soggetti istituzionali che godono delle giuste garanzie di autonomia e indipendenza. In questo senso, si coglie la grande rilevanza degli enti istituzionalmente preposti a questo lavoro, come l’Istat ad esempio, i quali curano la gestione del “bene pubblico” dell’informazione statistica34.
Al contrario, come detto, le consultazioni costituiscono una fonte diretta di informazione, la cui raccolta però è piuttosto costosa. Per questo motivo si sono sviluppate nella prassi varie forme di consultazione, più o meno costose ed approfondite. In breve, la summa divisio è tra consultazioni ristrette e consultazioni aperte.
Per quanto riguarda le prime, vanno certamente menzionate le inchieste campionarie, i panels ed i focus groups. Le inchieste si basano su interviste strutturate, rivolte a soggetti appartenenti a campioni rappresentativi della o delle popolazioni oggetto di analisi, tramite questionari a domande chiuse (in cui cioè il numero e il tipo delle risposte sono prestabiliti), inviati per posta ed auto-compilati. In alternativa, i questionari possono essere somministrati da intervistatori addestrati ad hoc, telefonicamente o vis à vis35. Questo tipo di consultazioni presenta come principale punto di forza la trattabilità dei dati, essendo raccolti tramite la formulazione di domande chiuse, le cui risposte sono quindi già utilizzabili ai fini dell’AIR. D’altro canto, però, trattandosi di inchieste svolte su base campionaria, è necessario stabilire dei criteri adeguati nella scelta degli intervistati, al fine di garantire la rappresentatività statistica e la generalizzabilità dei risultati. Questi aspetti fanno crescere considerevolmente i tempi e i costi di utilizzo di tale modalità di consultazione, rendendola poco adatta alla conformazione dell’AIR.
I panels e i focus groups si muovono invece su un piano differente. Da un punto di vista definitorio, i primi sono gruppi di soggetti competenti la
33 Vedi DE XXXXXXXXX et al, op. Cit., 97.
34 Vedi ZULIANI A., Autonomia e qualità della statistica pubblica, in RIDPC, 1999(2), 653.
35 LA SPINA A., XXXXXXXXX S., op. cit., 20.
cui disponibilità a rispondere sia stata previamente verificata. Il pregio principale di questo strumento è costituito dalla presenza in tali gruppi di soggetti altamente qualificati per le tematiche oggetto di indagine. D’altra parte, trattandosi di campioni più ristretti, i dati raccolti perdono di rappresentatività. Un altro aspetto rilevante è che, qualora si opti per panels di piccole dimensioni, sarà possibile sottoporre agli interrogati delle domande aperte, le quali hanno la capacità di arricchire la base informativa del regolatore, seppur a discapito della trattabilità dei dati.
Quando invece all’interno dei panels i soggetti vengono fatti discutere tra loro, in questo caso si formano dei veri e proprio focus groups, i quali prevedono alcuni vantaggi ed altri svantaggi. Sicuramente sono un metodo poco costoso di raccolta dei dati. Ma l’aspetto più rilevante è rappresentato dall’interazione tra i partecipanti al gruppo, attraverso la quale è possibile osservare l’andamento della discussione e comprendere le motivazioni e l’intensità delle opinioni dei soggetti. In aggiunta, i focus groups permettono di superare il “rapporto diadico intervistatore/intervistato”36. Difatti, generalmente, le modalità con cui vengono predisposte le domande agli intervistati (la loro struttura, il linguaggio tecnico ecc.) tendono a condizionare le risposte degli intervistati. Al contrario, nei focus groups, i soggetti sono portati ad esprimere le loro opinioni più liberamente, fornendo quindi dati più genuini. Questo, chiaramente, a patto che il moderatore riesca a calmierare l’emersione di eventuali leader nel gruppo e a non condizionare egli stesso i partecipanti.
Sull’altro versante si pongono le consultazioni aperte, nelle quali cioè non avviene alcuna forma di campionamento ex ante. La versione più diffusa di tali consultazioni è quella che si basa sul meccanismo del notice and comment: vale a dire la pubblicazione dei documenti istruttori e delle opzioni regolatorie sulle quali gli interessati possono far pervenire le loro osservazioni. Questa modalità di consultazione presenta costi veramente contenuti, e restituisce l’idea di un decisore pubblico attento alle istanze partecipative dei soggetti interessati. D’altro canto, però, essa non garantisce sufficienti standard di rappresentatività, visto che raccoglie solo i dati dei soggetti interessati. In aggiunta, tale modalità si presta alla c.d. “cattura del regolatore” da parte degli stakeholders più organizzati.
Se queste sono le consultazioni in generale, c’è da dire che l’Italia non ha adottato una soluzione netta, giacché l’art. 16 del regolamento n. 169 del 2017 prevede sia la possibilità di ricorrere alle consultazioni ristrette che a quelle aperte.
36 Ibidem, 65.
D’altra parte, la prassi applicativa mostra una netta prevalenza delle consultazioni aperte basate sul notice and comment, soprattutto nella materia dei contratti pubblici. È noto, infatti, che nel momento in cui si scrive è in corso l’approvazione del nuovo regolamento attuativo del Codice dei contratti pubblici, che dovrebbe andare a sostituire le attuali Linee guida dell’ANAC. A tal proposito sono state bandite nel 2019 le consultazioni pubbliche, proprio sullo stampo del notice and comment, per la stesura del testo normativo, che però non è ancora venuto alla luce37.
Ora che si è conclusa la disamina dei modelli procedimentali più importanti in materia di semplificazione normativa, è possibile passare ad affrontare il problema definitorio del divieto di «gold plating». Tale questione verrà affrontata nel prossimo capitolo. Nel terzo capitolo verrà invece trattata la concreta interazione del divieto di «gold plating» con i procedimenti finora descritti, per saggiarne l’effettività all’interno del nostro ordinamento.
37 I risultati ed i grafici delle consultazioni in questione sono disponibili al link xxxx://xxx.xxx.xxx.xx/xxxxxxxxxxxxx/xxxx/xxxxxx-xxxxxxx-xxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxx-xxxxxx- su-regolamento.
Capitolo II
IL DIVIETO DI «GOLD PLATING» NEI CONTRATTI PUBBLICI
3. Il «gold plating»: origine e tassonomia del termine
Il «gold plating» è un fenomeno che riguarda le fonti di diritto interno chiamate a dare attuazione al diritto dell’Unione Europea. L’espressione, di origine anglosassone, significa letteralmente “placcare d’oro”38, e costituisce una metafora per alludere a qualcosa che viene applicato, in modo superfluo, sulla superficie di un oggetto. Nel gergo giuridico, esso è latamente utilizzato per riferirsi al superamento dei livelli minimi di regolazione richiesti dalle direttive europee.
I primi riscontri dell’utilizzo di questo termine si hanno appunto nel Regno Unito, e c’è chi afferma che la tematica sia emersa fin dall’entrata di questo Paese all’interno della CEE, nel 197339. L’espressione da qui si è dapprima diffusa nei Paesi Bassi, tradotta come «nationale xxxxxx»40, e poi nel resto dell’Europa.
In Italia, tale locuzione non ha una precisa traduzione, e perciò nel diritto positivo compare attraverso una perifrasi (infra §5). Si può registrare tuttavia, in alcuni documenti ufficiali, il tentativo di tradurla con il termine “orpellatura”41.
In Francia il termine equivalente a «gold plating» è «sur- transposition», il quale viene utilizzato per riferirsi alle leggi di attuazione di una direttiva UE che vanno oltre gli obiettivi richiesti dalla stessa42.
Analoga al «gold plating» è l’espressione tedesca «überobligatorische Umsetzung», che rimanda ad un concetto di implementazione o trasposizione che va al di là di quanto è necessario/richiesto dalle direttive UE.
38 Il riferimento è al verbo “to plate”, che significa “to cover a metal object with a thin layer of another metal” (Cambridge English Dictionary)
39 Vedi XXXXXX T., XXXXXXXXXX F., XXXXXXXXX M., How Much Regulation Is Establishing Gold Plating? A Study of UK Elaboration of EU Directives, Londra, British Xxxxxxxx of Commerce, 2004.
40 Vedi SQUINTANI L., Beyond Minimum Harmonisation. Gold-Plating and Green-Plating of European Environmental Law, Cambridge, 2019.
41 Vedi PARLAMENTO EUROPEO, Risoluzione del Parlamento europeo del 4 settembre 2007 su «Legiferare meglio nell'Unione europea» (2007/2095(INI)), su xxxxx://xxx- xxx.xxxxxx.xx/xxxxx-xxxxxxx/xx/XXX/?xxxxXX:X:0000:000X:XXX, par. 30.
42 Vedi CONSEIL D’ÉTAT, Étude du Conseil d’État, Directives européennes: anticiper pour mieux transposer, La documentation française, 2015, 21.
Oltre ad una varietà di sfumature linguistiche, si assiste anche ad una molteplicità di categorie di «gold plating».
Esiste infatti un «gold plating» “attivo” e uno “passivo”43, uno “giustificato” e uno “non giustificato”44. Esiste infine un «gold plating» “volontario”, ossia quello che viene motivato nell’istruttoria normativa, ed un
«gold plating» “involontario”, ossia quello di cui non si dà conto nell’analisi di impatto della regolamentazione.
Il fenomeno del «gold plating» è dunque conosciuto in diversi Paesi. Tuttavia, nonostante i vocaboli utilizzati siano tutti riconducibili all’espressione inglese «gold plating», quest’ultima non sembra sufficientemente delineata nei suoi profili funzionali e strutturali. Sicuramente la declinazione del «gold plating» in varie lingue aiuta ad individuare alcuni tratti comuni, ma non è detto che passando da un ordinamento all’altro la portata del fenomeno resti la stessa. Se è vero che la lingua inglese – come una sorta di nuova «κοινὴ» - è un utile mezzo di scambio dei concetti giuridici tra uno Stato e l’altro, al fine di consolidare il
c.d. diritto globale45, è altresì innegabile che ogni concetto vada adattato alla realtà dove si innesta, e quindi gli elementi che lo caratterizzano possono declinarsi diversamente da un ordinamento all’altro46.
43 Vedi COMMISSIONE EUROPEA, L'Europa può fare meglio. Relazione sulle buone pratiche degli Stati membri per l'attuazione della normativa UE con il minor onere amministrativo, Varsavia 15 novembre 2011, disponibile su xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx.xx/xxxxxxx/xxxxxxxx/xxxx/000/xx_xxxxxx_xxxxxxxxx_xx.xxx
. Per «gold plating» attivo si intende quello che si verifica con l’adozione di nuovi atti di recepimento; quello passivo, al contrario, si verifica quando vengono mantenuti dei livelli di regolazione superiori a quelli richiesti dalle direttive.
44 Xxxx XXXXXXXX N., Xxxxxxxx Review: Implementation of EU Legislation, 2006.
45 Sul fenomeno della globalizzazione del diritto la letteratura è vasta. Senza pretesa di esaustività, si veda CASSESE S., Universalità del diritto, (Intervento tenuto in occasione dell’inaugurazione dell’Anno accademico 2004/2005 presso l’Università La Sapienza), 23 marzo 2005; CASSESE S., Il diritto amministrativo globale, in RTDP, 2005(2), 331; Vedi anche CASSESE S., Il futuro del diritto pubblico, in GDA, 2017(2), 176, secondo cui tra gli imperativi del nuovo diritto amministrativo rientra “la costruzione di una lingua e di una grammatica più comprensive. La lingua veicolare è ormai l’inglese, parlato da un miliardo e mezzo di abitanti della terra. La grammatica quella sviluppata dai vari rami della scienza del diritto un po’ dovunque nel mondo: si tratta ora di ricondurre a unità le loro linee portanti per dare nuove fondamenta allo studio del diritto pubblico”.
46 “It would, I hope, be generally accepted that at most times, in most places, borrowing from different jurisdictions has been the principal way in which law has developed”, p. 98 cit. XXXXXX, X., Society and Xxxxx Xxxxxx, Xxxxxxxxxxxx, 0xx ed., 2001. L’A. analizza il funzionamento del c.d. «legal transplant», ossia la tendenza degli ordinamenti giuridici a prendere in prestito da altrove concetti ed istituti, spesso per ragioni extra-giuridiche, quali la storia o il dominio culturale di un popolo su un altro. Con specifico riferimento al «gold plating», SQUINTANI L., Beyond Minimum Harmonisation. Gold-Plating and Green-Plating of European Environmental Law, op. cit., utilizza l’espressione di “cross-fertilisation”.
L’utilizzo di termini traslati da altre lingue è un agile espediente per incentivare la formazione di una coscienza giuridica globale, ma può comportare dei fraintendimenti sul significato effettivo dei vocaboli di cui si fa uso. Spesso, anzi, l’utilizzo di espressioni linguistiche provenienti da altri ordinamenti tradisce una certa opacità dei concetti ad esse sottesi. Ne sono una prova le dispute che non si placano in dottrina in merito alla portata di concetti particolarmente di “moda”47, quale ad esempio quello di «soft law»48. Con riguardo a quest’ultimo, per esempio, gli studi in Italia hanno ricevuto nuovo slancio dall’entrata in vigore del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50. Com’è noto, il Legislatore nazionale aveva inizialmente operato una scelta di campo, andando a ridisegnare il sistema delle fonti del diritto nella materia dei contratti pubblici rispetto alla disciplina previgente del 200649. Con la legge delega iniziale50, infatti, erano stati attribuiti ampi poteri regolatori all’ANAC, in forza dell’art. 1, comma 1, lett. t), che le attribuiva la potestà di adottare “atti di indirizzo, quali linee guida, bandi tipo, contratti tipo ed altri
strumenti di regolamentazione, anche dotati di efficacia vincolante”.
Il Consiglio di Stato, tuttavia, con il parere n. 855 del 201651, ha ricondotto gli strumenti in parola in parte alla categoria degli atti di regolazione delle Autorità amministrative indipendenti (con valore vincolante) e in parte alla categoria dei normali atti amministrativi (con valore non vincolante)52. Il Giudice Amministrativo ha dunque fin da subito sbarrato la strada all’ingresso nel nostro ordinamento della categoria dogmatica di
47 Vedi XXXXXXXX, U., Note per la costruzione di un nuovo sistema delle fonti, in DP, 2002(3), 767, il quale ha riassunto le maggiori problematiche relative all’assetto delle fonti successivo alla riforma del Titolo V del 2001, e che ha profetizzato che della «soft law» “tanto si parla e tanto si parlerà”.
48 Vedi MOSTACCI, E., La soft law nel sistema delle fonti: uno studio comparato, Xxxxxx, 0000; BIN, R., Soft law, no law, in SOMMA, A., (a cura di), Soft law e hard law nelle società postmoderne, Torino, 2009; ALGOSTINO, A., La soft law comunitaria e il diritto statale: conflitto fra ordinamenti o fine del conflitto democratico?, in Xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, 2016(3), 255; tra la letteratura straniera, si segnala per il particolare impatto sugli studi CONSEIL D’ÉTAT, Le droit souple, 2013.
49 Vedi a tal proposito la disamina di CHITI, M.P., Il sistema delle fonti nella nuova disciplina dei contratti pubblici, in Giorn. Dir. Amm., 2016(4), 436, in cui si analizza sia la variazione delle fonti a livello UE, sia quella avvenuta nel diritto interno con l’attribuzione delle nuove prerogative all’ANAC,
50 Legge 28 gennaio 2016, n. 11.
51 È rilevante citare il Consiglio di Stato, che commentando il riferimento dei primi studiosi al concetto di «soft regulation», lo ha definito come “improprio”, poiché tale concetto risulta essere “estraneo all’ordinamento nazionale e comunque troppo generico, in assenza di una definizione della sua disciplina sostanziale e procedimentale”.
52 Vale a dire la cui violazione non importa automaticamente l’illegittimità dell’atto assunto in contrasto, ma costituisce un mero “indice sintomatico” di un cattivo utilizzo del potere. Per le origini di tale ricostruzione dogmatica, vedi CAMMEO F., La violazione delle circolari come vizio di eccesso di potere, in Xxxx.xx., 1912(III).
«soft law», che quindi non sembrerebbe avere una propria autonomia concettuale53.
Evitando di entrare nel dettaglio delle questioni sopra accennate, le quali richiederebbero una trattazione apposita, ci si limita a rilevare che non è raro imbattersi, al giorno d’oggi, in concetti o espressioni linguistiche che sono dotate di grande forza evocativa, ma che ad un’analisi più attenta rivelano profili di opacità non indifferenti. Eppure di tali espressioni si fa largo sfoggio, nel gergo e non solo, arrivando - nelle migliori delle ipotesi - a codificarle in disposizioni legislative che rimangono poi lettera morta.
Anche per l’espressione «gold plating» sembra necessario uno studio volto a precisarne i connotati54. Dalla breve rassegna lessicale di cui sopra, emerge che in diversi Paesi dell’Unione Europea il «gold plating» è un fenomeno conosciuto, ma la sua portata e il suo effettivo funzionamento non sono perfettamente sovrapponibili. Sono enucleabili, però, alcuni elementi essenziali per cominciare.
Anzitutto, quest’espressione allude alla presenza di disposizioni normative che non sono richieste dalle direttive UE da attuare negli Stati membri, ma che cionondimeno possiedono un collegamento con queste. La natura, la struttura e il funzionamento di queste norme “superflue” sono di particolare interesse perché formano l’oggetto della presente ricerca. Si tratta, in sostanza, di studiare quali sono i caratteri essenziali di tali norme, come si può individuarle, quali sono gli strumenti che l’ordinamento ha predisposto per prevenirne la formazione ma soprattutto perché è importante evitare che queste vengano alla luce. Superfluo non vuol dire inutile: ogni norma comporta dei costi ed è concepita – in teoria - per curare determinati interessi, e non è sempre detto che tra norma da attuare e norma attuativa vi sia una piena corrispondenza di obiettivi.
In secondo luogo, il «gold plating» presuppone la compresenza di due elementi: un oggetto “necessario” e una placcatura “superflua”. Adattando la
53 Per un esame esaustivo della collocazione dogmatica della «soft law» nel sistema delle fonti, vedi MAZZAMUTO, M., L’atipicità delle fonti nel diritto amministrativo, in DA, 2015(4), 683. L’A. sostiene che per questo tipo di regolazione, nel diritto interno, “gli spazi siano estremamente ridotti”. Per una critica alla enucleazione delle Linee guida dell’ANAC nella categoria della «soft law», vedi BENETAZZO, C., I nuovi poteri “regolatori” e di precontenzioso dell’ANAC nel sistema europeo delle Autorità indipendenti, in xxxxxxxxxxx.xx, 2018(5); nello stesso senso, DEODATO, C., Le linee guida dell’ANAC: una nuova fonte del diritto?, in XxxxxXxx.xx, 2019(4);
54 Vedi CONTESSA C., Xxxxx legge delega al nuovo ‘Codice’: opportunità e profili di criticità, in Xxxxxxxx.xx, 2016(4), il quale afferma che “Il criterio in questione è di quelli che – almeno in xxx xx xxxxxxxxx - xxxxxxxxxx consensi pressoché unanimi fra gli addetti ai lavori, anche perché caratterizzati da un sufficiente grado di fumosità semantica ed accompagnati da una certa eco giornalistica, nei cui confronti le capacità di discernimento del giurista medio risultano via via più inefficaci”.
metafora alle fonti del diritto, esso postula la presenza di almeno una direttiva UE e di almeno una fonte del diritto nazionale chiamata a darvi attuazione. Il
«gold plating» sembrerebbe dunque inserirsi in questo rapporto dinamico e duale, che consta di due poli: le fonti dell’Unione Europea e quelle interne.
Non è un caso, dunque, che esso riceva una disciplina sia da parte dell’ordinamento italiano che da parte di quello europeo. Il primo ha interesse a limitare l’eccessivo flusso regolatorio, sia a livello centrale che per quanto riguarda il flusso regolatorio decentrato; il secondo punta invece a garantire quanto più possibile l’armonizzazione dei diritti nazionali, la quale potrebbe risultare minacciata dalla presenza di norme superflue tra Stato e Stato.
4. La governance multilivello della semplificazione normativa
Il divieto di «gold plating» è un dispositivo che pertiene l’ampio novero degli strumenti che gli ordinamenti giuridici hanno approntato per perseguire politiche di semplificazione normativa ed amministrativa. Nello specifico, il divieto in questione afferisce a quella branca della semplificazione che cerca di far fronte ai problemi derivanti dalla c.d. governance multilivello55. Specialmente nell’ambito dell’Unione Europea, dove è in corso un processo di integrazione giuridica (oltre che sociale ed economica), è ormai un dato acquisito che la moltiplicazione dei centri di produzione normativa provochi degli effetti di tipo “alluvionale” sul flusso delle norme prodotte56.
Si pensi, relativamente al caso italiano, che una direttiva approvata nelle sedi apicali deve essere poi attuata internamente, seguendo il riparto delle competenze imposto dagli artt. 117 e 118 Cost., il quale, a seguito della riforma del Titolo V del 2001, ha parificato per molti aspetti il ruolo dello Stato e delle Regioni da questo punto di vista, instaurando una sorta di “policentrismo normativo”57. Ciò comporta, in taluni casi, una moltiplicazione esponenziale degli interessi coinvolti e dunque dei centri decisionali, con la conseguenza che una fonte-atto prevista a livello europeo
55 Per una disamina del fenomeno, vedi BACHE I., XXXXXX I., XXXXXXXX M., Multi-level governance, in ANSELL C. (a cura di), Handbook on Theories of Governance, Cheltenham, 2016.
56 Vedi XXXXXX G., La qualità della regolamentazione in un sistema di governance multilivello tra Unione europea, Stati membri e Regioni, in NATALINI A. (a cura di), La tela di Xxxxxxxx, Bologna, 2010.
57 Policentrismo normativo che è frutto di un policentrismo istituzionale, vedi OLIVETTI M., Lo Stato policentrico delle autonomie, in OLIVETTI M. (a cura di), La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo Titolo V, Torino, 2003. Con maggiore attenzione alla prospettiva della semplificazione normativa, vedi IUVONE C., Il livello regionale e il raccordo multilivello, in NATALINI A. (a cura di), La tela di Xxxxxxxx, Bologna, 2010.
si riverbera su decine di provvedimenti normativi a livello statale e regionale prima di arrivare in contatto con i suoi destinatari. Questo richiede uno sforzo di coordinamento tra i diversi attori dell’”arena pubblica”58, per operare una razionalizzazione degli interventi in materia di semplificazione e garantire la buona riuscita degli atti normativi, sia per quanto concerne l’istruttoria che ne sta alla base, sia per ciò che riguarda poi la concreta redazione delle disposizioni normative. È necessario, in sostanza, che tutti i poli di produzione normativa si assumano le proprie responsabilità rispetto alle politiche di semplificazione59, e che si adoperino per utilizzare una sorta di “grammatica della semplificazione” comunemente accettata.
Va preliminarmente indagato il tema della spettanza di questa funzione coordinatrice. In altri termini, la dottrina si è interrogata sul riparto delle competenze relativo alla materia “semplificazione normativa”, chiedendosi se la stessa debba essere appannaggio dello Stato, in toto o in parte, oppure se debba essere attribuita alle Regioni60.
Bisogna anzitutto intendersi sulla natura giuridica della locuzione “semplificazione normativa”; in altri termini, bisogna capire se essa rappresenti effettivamente una materia a sé stante, ai sensi dell’art. 117 Cost., o se piuttosto essa si configuri come una “competenza” (…finalistica, o come una non-materia che dir si voglia)61. È chiaro che dall’adesione all’una o
58 “Questa espressione è adoperata in un significato generico dalla scienza politica anglosassone, per la quale essa è lo spazio nel quale si svolge l’attività pubblica e l’interscambio Stato-società”. CASSESE S., L’arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in RTDP., 2001(3), 601.
59 Sull’importanza di ripartire il giusto carico di responsabilità tra gli attori della semplificazione, vedi OECD, Esame OCSE sulla Riforma della Regolazione Italia assicurare la qualità della regolazione a tutti i livelli di governo, 2007, disponibile su xxxxx://xxx.xxxx-xxxxxxxx.xxx/xxxxxxxxxx/xxxxx-xxxx-xxxxx-xxxxxxx-xxxxx-xxxxxxxxxxx- italia-2007_9789264040465-it. Come si vedrà infra §6.2., nella stessa direzione si è mossa la Commissione europea in materia di «gold plating».
60 Per una ricostruzione completa delle posizioni immediatamente successive alla riforma del Titolo V, vedi CARBONE L., CICI L., D’XXXXX X., La qualità delle regole nel processo normativo regionale e il ruolo dei dirigenti nella formazione delle norme tra necessità politiche ed esigenze tecniche, in PATRONI GRIFFI A. (a cura di), Il governo delle Regioni tra politica e amministrazione, Torino, 2007; cfr. anche Cons. Stato, sez. consultiva per gli Atti Normativi, Adunanza del 21 maggio 2007: “La complessità dell’ordinamento giuridico italiano, connotato non solo da fonti primarie e secondarie statali, ma anche da fonti primarie e secondarie regionali, nonché da fonti secondarie di altri enti locali, rende necessario che la semplificazione normativa e amministrativa e il fine ultimo della qualità della regolazione avvengano mediante un dialogo tra i diversi ‘livelli di governo’ che oggi sono responsabili dell’attività di impresa e dei rapporti con i cittadini” (par. 4.2.).
61 Sul punto, vedi D’ATENA A., Materie legislative e tipologia delle competenze, in Quad. Cost., 2003(1), 15 e ss., che definisce le materie “non-materie” come quelle che individuano “non l’oggetto della competenza, ma gli scopi che mediante essa vanno perseguiti”. La giurisprudenza sul punto è copiosa, cfr. Corte cost., sentenze n. 407/2002, n. 536/2002, n. 222/2003, e n. 14/2004.
all’altra soluzione esegetica discendono conseguenze importanti sul piano della ripartizione tra Stato e Regioni delle relative funzioni. Considerando infatti la “semplificazione normativa” (o “qualità della regolamentazione”) come una vera e propria materia si ricade in piena regola nel sistema di riparto offerto dall’art. 117 Cost., con la conseguenza che non essendo la stessa in alcun modo enumerata, sarebbe da ricondurre tendenzialmente alla clausola aperta del comma 4, e dunque dovrebbe appartenere alla competenza esclusiva delle Regioni. È stato però precisato che “il problema non sembra porsi … con riferimento alle materie di competenza concorrente, nelle quali spetta comunque allo Stato determinare i principi fondamentali della materia, e dunque anche principi in materia di qualità della regolazione e semplificazione procedimentale”62. Al contrario, ritagliandole uno spazio tra le “competenze finalistiche”, si potrebbe sostenere che lo Stato possa perseguirne le finalità invadendo le competenze attribuite alle Regioni.
Ebbene, si è tentato, per esempio, di ricondurre la “qualità della regolamentazione” nell’alveo dell’art. 117, comma 2, lett. m), sostenendo che la stessa sia consustanziale all’esigenza di garantire i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”63. Sebbene questa tesi abbia il pregio di cercare di garantire una certa uniformità nell’ordinamento per quanto riguarda le politiche di semplificazione, rischia tuttavia di portare ad un’eccessiva compressione delle prerogative attribuite alle Regioni, soprattutto rispetto ad un interesse “para-costituzionale”64 come quello della “qualità della regolamentazione”. È stato infatti correttamente evidenziato che le competenze finalistiche presentano connotati non dissimili dalla
«konkurrierende Gesetzgebung» del federalismo mitteleuropeo (o competenza concorrente alla tedesca)65, con la differenza però che in Germania l’esercizio di funzioni legislative a detrimento dei Länder può
62 Cfr. XXXXXXXXX X., XXXXXX S., XXXXXX G., Qualità della regolazione: una risorsa per competere. Metodologie, tecniche e strumenti per la semplificazione burocratica e la qualità della regolazione, su xxx.xxxxxxxxxxxx.xx, 2005, 90.
63 Sul punto, vedi sempre XXXXXXXXX F., XXXXXX S., XXXXXX G., Qualità della regolazione: una risorsa per competere, op. cit., 99; vedi anche NOCILLA D., Competenze legislative regionali e qualità della regolamentazione dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in Atti del convegno “La qualità della regolamentazione: casi italiani e confronti internazionali”, pubblicati su Iter legis, 2004. Per una chiara enucleazione dei LEP fra le competenze trasversali, vedi Corte cost. sentenza n. 10/2010.
64 Vedi AINIS M., Lo statuto come fonte sulla produzione normativa regionale, in Le Regioni, 2000(5), 813 e ss., il quale annovera le regole di semplificazione normativa fra quelle “sostanzialmente costituzionali”, e quindi naturalmente destinate ad essere inserite negli statuti regionali.
65 D’ATENA A., Materie legislative e tipologia delle competenze, op. cit..
avvenire – di regola66 – soltanto nel rispetto della «Erforderlichkeitsklausel» (la c.d. clausola di necessità)67. Va anche rilevato come per ora tale tesi non abbia ricevuto attenzione nella giurisprudenza della Corte costituzionale.
Un’altra ricostruzione68, che cerca di coniugare le due tesi, fa leva sull’art. 118 Cost. e sul noto meccanismo della c.d. chiamata in sussidiarietà, frutto di una scelta pretoria della Corte costituzionale69, secondo cui è “coerente con la matrice teorica e con il significato pratico della sussidiarietà che essa agisca come subsidium quando un livello di governo sia inadeguato alle finalità che si intenda raggiungere; ma se ne è comprovata un’attitudine ascensionale deve allora concludersi che, quando l’istanza di esercizio unitario trascende anche l’ambito regionale, la funzione amministrativa può essere esercitata dallo Stato. Ciò non può restare senza conseguenze sull’esercizio della funzione legislativa, giacché il principio di legalità, il quale impone che anche le funzioni assunte per sussidiarietà siano organizzate e regolate dalla legge, conduce logicamente ad escludere che le singole Regioni, con discipline differenziate, possano organizzare e regolare funzioni amministrative attratte a livello nazionale e ad affermare che solo la legge statale possa attendere a un compito siffatto”. Anche in questo caso, tuttavia, lo Stato dovrebbe procedere secondo i dettami della leale collaborazione, e dunque adottare il modello dell’intesa con le Regioni.
Sfortunatamente, la giurisprudenza costituzionale non offre risposte univoche per i quesiti appena esposti, ma soltanto delle possibili coordinate da seguire. Il problema, forse, andrebbe affrontato in maniera più radicale, considerato che come già detto le regole sulla “qualità della regolamentazione” hanno un valore sostanzialmente costituzionale, e dunque per un loro corretto ed efficiente funzionamento necessiterebbero di un’espressa allocazione da parte del Legislatore costituzionale. In assenza di questo, conviene aderire a quelle tesi più rispettose del principio di sussidiarietà.
Appurato ciò, era stato accolto con entusiasmo l’accordo siglato nella Conferenza unificata tra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali, il 29 marzo 2007 (pubblicato in G.U. n. 13 del 2007), con il quale erano stati fissati i principi
66 Dopo la riforma costituzionale del 2006 infatti l’applicazione della clausola di necessità è stata limitata soltanto ad una lista di materie enumerate all’art. 75 Grundgesetz.
67 D’altronde, non a torto, la Corte costituzionale ha cercato di mitigare gli effetti pregiudizievoli per le Regioni attraverso l’applicazione a questa voce del principio di leale collaborazione, che si estrinseca attraverso il meccanismo dell’intesa; cfr. Corte costituzionale 303/2003; 6/2004; 87/2018.
68 Vedi CARBONE L., XXXX L., D’XXXXX X., La qualità delle regole nel processo normativo regionale e il ruolo dei dirigenti nella formazione delle norme tra necessità politiche ed esigenze tecniche, op. cit., 195.
69 Ci si riferisce alla nota sentenza della Corte costituzionale n. 303/2003.
comuni volti rendere trasparenti ed omogenei i processi di produzione normativa a tutti i livelli di governo. Per esempio, in tale sede è stata riconosciuta la centralità dell’analisi ex ante sulla regolamentazione (AIR) e la valutazione dell’impatto delle norme ex post (VIR). Il Consiglio di Stato, con parere del 21 maggio 2007, ha affermato sulla stessa scia che “la semplificazione in un ordinamento multilivello non può, ovviamente, prescindere da una strategia unitaria che deve coordinare tutte le iniziative ai vari livelli”.
Tuttavia, a fronte di queste premesse pregevoli sulla carta, non sono seguite azioni concrete all’altezza delle aspettative da parte delle Regioni. A parte alcune eccezioni degne di nota70, è stato rilevato che in molte di queste non è nemmeno stato individuato un ufficio responsabile della semplificazione, il quale invece è un punto cardinale negli indirizzi forniti dall’OCSE. Parte di questa arretratezza è sicuramente da attribuire al deficit di competenze tecnico-professionali che affligge le Regioni in questa materia71.
La semplificazione normativa passa quindi per delle riforme amministrative che incidano sugli assetti istituzionali che riguardano la normazione, ossia i luoghi dove le norme vengono concretamente concepite72. Il nesso tra questi due aspetti, dunque, si estrinseca in interventi che possono essere generali oppure riguardare le discipline di settore. L’esempio più noto del primo approccio è costituito dalla legge del 15 marzo 1997, n. 59 (c.d. “legge Xxxxxxxxx 1”), la quale merita attenzione soprattutto per le disposizioni del Capo III.
Anzitutto, all’art. 20-ter, vengono previsti i già menzionati accordi tra lo Stato e le Regioni “per il perseguimento delle comuni finalità di miglioramento della qualità normativa nell'ambito dei rispettivi ordinamenti”, che però, come si è visto, rimangono uno strumento con scarse ricadute pratiche. In secondo luogo, all’art. 20, si impone al Governo di presentare ogni anno un disegno di legge “per la semplificazione e il riassetto normativo” (c.d. “legge di semplificazione”)73.
70 Vedi MATTARELLA B.G., La trappola delle leggi. Molte, oscure, complicate, Bologna, 2011, 103 per i riferimenti a Lombardia, Toscana ed Xxxxxx-Romagna.
71 Vedi NATALINI A., Nuove politiche di semplificazione: i fabbisogni delle Regioni, 2008, disponibile su xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxx.xx/xx00/xxxxxxxx-xxxxxxxxx.xxx?xxxxxx00000.
72 Vedi CASSESE S., Che cosa fanno gli uffici legislativi dei ministeri?, in GDA, 2013(2), 113; vedi anche MATTARELLA B.G., La trappola delle leggi. Molte, oscure, complicate, op. cit., 45.
73 Le leggi di semplificazione emanate ad oggi sono quattro: legge 8 marzo 1999, n. 50, cfr. LUPO N., La prima legge annuale di semplificazione. Commento alla legge n. 50 del 1999, Milano, 2000; legge 24 novembre 2000, n. 340; legge 29 luglio 2003, n. 229; infine legge 28
novembre 2005, n. 246.
Queste ultime hanno rappresentato, nel primo decennio a partire dal 2000, la principale fucina dove forgiare gli strumenti di semplificazione normativa di maggiore impatto sull’ordinamento. Basti pensare, a titolo solo esemplificativo, all’affermarsi della stagione dei nuovi codici e dei testi unici, oppure al meccanismo del “taglia-leggi”. Tuttavia le “leggi di semplificazione” hanno anche scontato il male atavico della nostra Repubblica74, ossia la conclamata instabilità dei Governi, i quali proprio in questa materia sono i principali attori per ragioni tecniche e per assestamenti istituzionali di lungo corso, sicché l’impossibilità di programmare con efficacia le politiche di semplificazione si è riverberata anche sull’istituto previsto dall’art. 20 della legge 59/1997.
È dunque un patrimonio acquisito, nella scienza della semplificazione, che i rapporti tra ordinamenti giuridici nell’epoca della “post-modernità”75 necessitino di istituti in grado di garantire una coesione e un coordinamento tra le fonti del diritto, le quali si atteggiano per l'appunto su molteplici livelli.
5. Il «gold plating» nella normativa italiana
Il divieto di «gold plating», come anticipato, è un istituto che pertiene i rapporti tra due ordinamenti, quello statale e quello dell’Unione Europea. In quanto tale, è uno strumento rivolto proprio a fronteggiare le dinamiche appena delineate, a contenere cioè l’afflusso di norme prodotte in un sistema di governance multilivello. Si anticipa fin da subito che quest’ultima non è la sua unica funzione, ma sicuramente è quella preponderante. Un’analisi più approfondita del tema verrà svolta più avanti (infra § 6.1.). Per ora è preliminare effettuare un inquadramento meramente normativo dell’istituto.
74 I danni che possono derivare da una scarsa razionalizzazione della forma di governo erano ben noti ai costituenti; per questo motivo fu approvato l’odg proposto dall’on. Xxxxxxx nella seduta della seconda sottocommissione del 4 settembre 1946, che recitava: “La Seconda Sottocommissione, udite le relazioni degli onorevoli Xxxxxxx e Xxxxx, ritenuto che né il tipo del governo presidenziale, né quello del governo direttoriale risponderebbero alle condizioni della società italiana, si pronuncia per l'adozione del sistema parlamentare da disciplinarsi, tuttavia, con dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità dell'azione di Governo e ad evitare le degenerazioni del parlamentarismo” (ASSEMBLEA COSTITUENTE, II sottocommissione, seduta del 4.9.1946). Il lodevole intento non sembra però sia andato a buon fine, visto che la Repubblica dal 1948 ad oggi ha visto avvicendarsi ben 63 Governi su un totale di XVIII legislature.
75 Caratterizzata appunto da una reviviscenza di un pluralismo degli ordinamenti giuridici, in contrasto con l’età moderna che aveva visto riunificarsi la molteplicità delle esperienze giuridiche sotto l’istituzione dello Stato di diritto; vedi sul GROSSI P., L’Europa del diritto, Bari, 2016.
5.1. La legge 28 novembre 2005, n. 246
Il divieto di «gold plating» è sancito in via generale dall’art. 14, comma 24-bis, della legge 28 novembre 2005, n. 246, ossia la quarta ed ultima legge di semplificazione. La disposizione recita: “gli atti di recepimento di direttive comunitarie non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse”.
In realtà, la disposizione è frutto di una novella successiva, inserita con la legge 12 novembre 2011, n. 183 (“Legge di stabilità 2012”), la quale ha modificato la legge di semplificazione del 2005 aggiungendo i commi 24- bis, 24-ter e 24-quater (di questi ultimi due si darà conto a breve). Un rapido riepilogo delle circostanze politiche ed economiche in cui questa disposizione è stata concepita aiuterà ad individuarne la genesi storico-normativa, con importanti implicazioni rispetto alle sue funzioni all’interno dell’ordinamento.
Com’è noto, negli ultimi mesi del 2011 il debito sovrano dell’Italia è stato colpito da repentine fluttuazioni sui mercati finanziari, che ne hanno provocato una degradazione tale da metterne in dubbio la solvibilità. Dalla crisi finanziaria si è passati poi ad una crisi propriamente economica e politica, con delle ripercussioni sulla stabilità del Governo. È un fatto noto che, con una lettera indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei ministri76, la BCE – allora presieduta da Xxxx-Xxxxxx Xxxxxxx – elencò una serie di punti programmatici che l’Italia avrebbe dovuto seguire nella predisposizione nella manovra finanziaria in gestazione. Tra i suggerimenti avanzati – in cui si legge anche l’invito ad inserire nel nostro ordinamento la c.d. “golden rule”77
– rientrava quello di adottare “misure significative per accrescere il potenziale di crescita”, individuando quali sfide principali “l'aumento della concorrenza, particolarmente nei servizi, il miglioramento della qualità dei servizi pubblici e il ridisegno di sistemi regolatori e fiscali che siano più adatti a sostenere la competitività delle imprese e l'efficienza del mercato del lavoro”. D’altronde, la menzionata lettera della BCE procedeva di pari passo
76 Il riferimento è alla lettera, firmata da Trichet e Draghi e datata 5 agosto 2011, inviata all’Italia, il cui testo integrale è reperibile su xxxxx://xx.xxxxxx00xxx.xxx/xxx/xxxxxxx/0000-00- 29/testo-lettera-governo-italiano-091227.shtml?uuid=Aad8ZT8D.
77 Poi recepita nel nostro ordinamento con la legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1. Per una disamina dei rapporti tra diritto interno e diritto europeo in materia economica e monetaria, su tutti vedi TOSATO G., La riforma costituzionale sull’equilibrio di bilancio alla luce della normativa dell’Unione: l’interazione tra i livelli europeo e interno, in RDI, 2014(1), 5.
con delle misure di politica monetaria (c.d. “non convenzionali”78) ben più incisive79, che rendevano palesi i rapporti di forza intercorrenti tra l’ordinamento UE e quello italiano80.
Non fu dunque accolta con sorpresa la lettera del 26 ottobre 2011 alle istituzioni europee, con cui Palazzo Xxxxx prometteva di adottare una serie di misure “per una finanza pubblica sostenibile e per creare condizioni strutturali favorevoli alla crescita”. Il Governo provava a difendersi, spiegando che “se problemi antichi, come quello del nostro debito pubblico, danno luogo oggi a ulteriori e gravi pericoli, ciò è soprattutto il segno che la causa va cercata non nella loro sola esistenza, ma nel nuovo contesto nel quale ci si è trovati a governarli” 81; e rilanciava su alcuni punti programmatici, quali la necessità di garantire una finanza pubblica sostenibile, principalmente attraverso un’opera di riallocazione della spesa pubblica e una sua generale contrazione («spending review»), nonché l’impegno a creare condizioni strutturali favorevoli alla crescita.
Tra queste condizioni rientrava l’inevitabile revisione delle politiche di semplificazione normativa e amministrativa, volte ad abbattere il carico burocratico sull’apparato amministrativo e sulle imprese. Per esempio, si prometteva che “i rapporti con la pubblica amministrazione diventeranno più snelli grazie alla completa sostituzione dei certificati con delle
78 Sulla distinzione tra misure convenzionali e non convenzionali all’interno del mandato della BCE, vedi TRICHET J.C., ECB Press Conference, 9 June 2011, disponibile su xxxxx://xxx.xxx.xxxxxx.xx/xxxxx/xxxxxxxxx/0000/xxxx/xx000000.xx.xxxx#xx: “As regards the standard and non-standard measures, as you can see, we are attached to their separation, to the principle of a separation between standard measures designed to deliver price stability over the medium term and non-standard measures that must, in our judgement, be commensurate with the abnormal functioning of some markets or market segments”
79 Il riferimento è al Security Market Programme (SMP), con cui la BCE ha acquistato, a partire dal 14 maggio 2010, ingenti quantità di titoli di Stato italiani (ma anche spagnoli, irlandesi ecc.), anche se soltanto sul mercato secondario, per evitare di incappare nel divieto imposto dall’art. 123 TFUE. L’SMP ha finanziato l’acquisto di bond italiani per un valore nominale di 102,8 miliardi di euro, pari al 47% del totale (218 miliardi); dati forniti da ECB press release of 21 Feb. 2013: Details on securities holdings acquired under the Securities Markets Programme e disponibili su xxxxx://xxx.xxx.xxxxxx.xx/xxxxx/xx/xxxx/0000/xxxx/xx000000_0.xx.xxxx.
80 Per una disamina dell’evoluzione dei rapporti della BCE con gli Stati membri durante la crisi finanziaria, vedi XXXXXXX T., The new ECB and its relationship with the eurozone Member States: between Central Bank independence and Central Bank intervention, in CMLR, 2013, 1579, spec. 1598;
81 La lettera inviata dal Governo italiano all’Unione europea, datata 26 ottobre 2011, è disponibile su xxxxx://xxx.xxxxxxx.xxx/xxxxxxxxx/xxxx/0000/00/00/xx-xxxxxxx-xxx-xxxxxxx- xxxxxx-xxxxxxxxxx-all-unione-europea.
autocertificazioni, mentre le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione resteranno valide solo nei rapporti tra privati”82.
Ma soprattutto, era previsto un rafforzamento del programma di misurazione e riduzione degli oneri amministrativi derivanti da obblighi di tipo informativo previsti da leggi statali (la c.d. “MOA”). Questo tipo di misurazioni, come si è già visto (supra §2), sono accessorie e strumentali al più ampio obiettivo di perseguire una politica di analisi ex ante ed ex post della regolamentazione.
È chiaro quindi che i rapporti di quei mesi tra l’Italia e l’Unione Europea hanno avuto un forte impatto sulla legge 183/2011, la quale è stata approvata a seguito delle dimissioni e della sostituzione del Governo “Xxxxxxxxxx IV”, a partire dal 16 novembre 2011.
Di tutti questi eventi istituzionali si dà conto anche nei lavori preparatori che ne hanno preceduto l’approvazione. Come emerge dalla lettura dei verbali della V Commissione permanente della Camera dei deputati, nella seduta del 11 novembre 2011, la legge di stabilità 2012 è stata un’occasione per inserire una serie di misure non strettamente legate alle finalità proprie di questa83. Tali misure ordinamentali, volte a creare le condizioni ideali per incentivare la crescita del Paese, “rappresentano ... l’attuazione delle misure che il Governo ha concordato con le Istituzioni europee nella lettera del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 ottobre 2011 indirizzata al Presidente del Consiglio europeo e al Presidente della Commissione europea”84.
Tra queste misure ordinamentali rientrano quelle previste dall’art. 15 della legge 183/2011, il quale da una parte inserisce il già menzionato obbligo delle pubbliche amministrazioni di trasmettersi internamente i certificati da loro posseduti, senza onerare il privato del compito di collazionarli; dall’altra prevede il c.d. divieto di «gold plating». Nei lavori sul d.d.l., riconoscendo una certa omogeneità tra le due misure, si definisce la seconda come “il
82 Vedi l’art. 43, comma 1, del d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445, con cui si prescrive che le amministrazioni si scambino fra loro le informazioni che sono soggette alla disciplina della “dichiarazione sostitutiva”. La disposizione è stata per l’appunto inserita nell’ordinamento con la legge di stabilità del 2012.
83 Vedi CAMERA DEI DEPUTATI, A.C. 4773, V Commissione, seduta del 11 novembre 2011, disponbile su
xxxxx://xxx00.xxxxxx.xx/000?xxxx0&xxxx00&xxXxxxxxxxxx0000&xxxxx&xxxxx#. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx: “i medesimi eventi eccezionali che hanno condotto alla definizione di un percorso parlamentare così accelerato soprattutto in questo ramo del Parlamento, hanno anche consentito l’approvazione, presso il Senato della Repubblica, di disposizioni che, a rigore, non sarebbero strettamente riconducibili al contenuto proprio del disegno di legge di stabilità”.
84 Ibidem.
divieto di prevedere, in sede di recepimento delle direttive europee, ulteriori adempimenti amministrativi”85.
In quel periodo, sulla spinta della crisi e delle indicazioni dell’UE, si è aperta dunque una stagione di riforme che perseguivano la semplificazione dell’apparato amministrativo attraverso un abbattimento degli oneri informativi in capo ai privati e un approccio “quantitativo” all’analisi della regolamentazione.
Un altro indizio per questa ricostruzione viene fornito dalla legge 11 novembre 2011, n. 180, conosciuta anche come “lo statuto delle imprese”. All’articolo 7, rubricato “Riduzione e trasparenza degli adempimenti amministrativi a carico di cittadini e imprese”, è infatti previsto che i regolamenti ministeriali e gli atti amministrativi generali delle amministrazioni statali debbano “recare in allegato l'elenco di tutti gli oneri informativi gravanti sui cittadini e sulle imprese introdotti o eliminati con gli atti medesimi”.
Ed è proprio in attuazione del citato articolo che con il d.p.c.m. 14 novembre 2012, n. 252, è stato emanato il “regolamento recante i criteri e le modalità per la pubblicazione degli atti e degli allegati elenchi degli oneri introdotti ed eliminati”.
Anzitutto, il regolamento, all’articolo 1, comma 2, chiarisce che per onere informativo “si intende qualunque adempimento previsto per determinate categorie di cittadini o imprese o per la generalità degli stessi, di raccogliere, elaborare, conservare, produrre e trasmettere dati, notizie, comunicazioni, relazioni, dichiarazioni, istanze e documenti alle pubbliche amministrazioni dello Stato, anche su richiesta di queste ultime, a determinate scadenze o con periodiche cadenze. Non rientrano tra gli oneri informativi gli obblighi di natura fiscale, né quelli che discendono dall'adeguamento di comportamenti, di processi produttivi o di prodotti”.
Ma soprattutto, nell’Appendice I all’Allegato I al decreto, è stilata una lista degli elementi da controllare (denominata “checklist”, nello schema originario del regolamento) per valutare l’aggravio degli oneri amministrativi causato dagli atti normativi. È interessante notare, in questa sede, che tra le domande a cui il regolatore deve rispondere rientra: “ci sono adempimenti ulteriori rispetto a quelli imposti dalla normativa comunitaria?”86.
Si noti che la tendenza a tagliare gli oneri amministrativi con misure ordinamentali non era prerogativa soltanto italiana, visto che lo stesso stava
85 Ibidem.
86 Si apprende poi da una lettura attenta del parere del Consiglio di Stato del 19.07.2012, n. 3326, che nello schema del regolamento originariamente compariva persino il riferimento lessicale al fenomeno del «gold plating». L’espressione è stata però ritenuta inadatta, perché trapiantata da un’altra lingua e dunque foriera di possibili ambiguità.
accadendo tra i Paesi OCSE. Da un rapporto dell’Organizzazione per il Coordinamento e lo Sviluppo Economico del 2010, emerge che al 2008 trenta dei trentuno Paesi avevano adottato dei sistemi di monitoraggio e riduzione dei costi amministrativi87. Anche l’Italia, con il d.l. 25 giugno 2008, n. 112, aveva già recepito nell’ordinamento il c.d. “taglia-oneri amministrativi”, con l’obiettivo di eliminare entro il 31 dicembre 2012 il 25% dei costi derivanti da obblighi informativi nelle materie affidate alla competenza dello Stato88.
Con precipua attenzione al fenomeno del «gold plating», inoltre, già da un rapporto della Commissione europea del 2007 emergeva una prima inchiesta su quali Stati avessero al tempo adottato misure per prevenirne la formazione89. Dalla tabella riassuntiva emergeva che tredici Stati membri su venticinque avevano già stabilito misure per evitare il «gold plating»90.
È acclarato, pertanto, che tale divieto è penetrato nel nostro ordinamento a cavallo tra il primo e il secondo decennio degli anni duemila, sulla scia delle politiche volte a monitorare e tagliare gli oneri amministrativi derivanti da obblighi informativi. La sua vigenza è stata definitivamente sancita con la legge 283/2011, in un momento di forti tensioni istituzionali tra l’ordinamento interno e quello eurounitario dettate dalla crisi economica. L’istituto è dunque ritagliato su un duplice obiettivo: da un lato, la riduzione dei costi amministrativi derivanti dalla governance multilivello; dall’altro, una spinta all’armonizzazione giuridica all’interno dell’Unione Europea, tentando di recepire le best practices sviluppate simultaneamente in altri Paesi (infra §6.1.).
87 OECD, Cutting Red Tape. Why Is Administrative Simplification So Complicated? Looking beyond 2010, Parigi, 2010, disponibile su xxxxx://xxx.xxx/00.0000/0000000000000- en.
88 Articolo 25, comma 1: “… è approvato un programma per la misurazione degli oneri amministrativi derivanti da obblighi informativi nelle materie affidate alla competenza dello Stato, con l'obiettivo di giungere, entro il 31 dicembre 2012, alla riduzione di tali oneri per una quota complessiva del 25%, come stabilito in sede europea”.
89 COMMISSIONE EUROPEA, Internal Market Scoreboard – n° 00-xxx, Xxxxxxxxxx, 0000, disponibile a xxxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxxxxxx_xxxxxx/xxxxx/xxxxx_xx.xxx . Lo stesso rapporto è stato poi ripreso e sviluppato dalla PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, Relazione annuale sulla partecipazione dell’Italia all’Unione Europea, 2007, 169, disponibile a xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxx.xxx.xx/xx/xxxxxxxx/xxxxxxxxxxxx-xx-xxxxxxxxxx/xxxxxxxxx- annuale-al-parlamento/archivio/
90 Da questi rimanevano esclusi Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Lituania, Ungheria, Portogallo, Slovenia, Slovacchia, Finlandia, Svezia e proprio l’Italia. Per uno studio comparato sul tema, vedi anche COMMISSIONE EUROPEA, L'Europa può fare meglio. Relazione sulle buone pratiche degli Stati membri per l'attuazione della normativa UE con il minor onere amministrativo, Varsavia 15 novembre 2011, disponibile su xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx.xx/xxxxxxx/xxxxxxxx/xxxx/000/xx_xxxxxx_xxxxxxxxx_xx.xxx
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5.1.1. I “livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive”
Grazie a queste premesse ben si comprende allora l’impianto normativo che sorregge il divieto di «gold plating» all’art. 14 della l. 246/2005. Il comma 24-ter specifica cosa si intende per “livelli di regolazione superiore a quelli minimi richiesti dalle direttive”.
Essenzialmente, la regolazione “superflua” si ottiene attraverso: l’introduzione o il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e oneri non strettamente necessari per l'attuazione delle direttive (lett. a); l'estensione dell'ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive, ove comporti maggiori oneri amministrativi per i destinatari (lett. b); l'introduzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l'attuazione delle direttive (lett. c).
La disposizione in esame vieta l’introduzione di norme superflue sotto un duplice profilo, uno oggettivo e l’altro soggettivo.
Sotto il profilo oggettivo, la norma vieta l’introduzione di requisiti, standard, obblighi ed oneri superflui. In questa categoria possono essere fatti rientrare sicuramente gli obblighi informativi di cui sopra. Ma appartiene al profilo oggettivo della norma anche la lett. c), laddove vieta l’aggravio procedimentale non strettamente necessario per l’attuazione della direttiva.
Per esempio, la disciplina italiana per le procedure di cui all’art. 36 del d.lgs. 50/2016 (i c.d. affidamenti sotto-soglia) prevede un carico di oneri in capo alle imprese non richiesto dalle direttive91; allo stesso modo, le procedure di affidamento ivi previste sono disciplinate in maniera specifica, appesantendo in generale l’azione delle stazioni appaltanti92.
Sotto il profilo soggettivo, è vietata l’estensione del novero dei destinatari della norma rispetto a quanto previsto dalle direttive.
La disposizione in esame, pertanto, obbliga il Legislatore a non prevedere dei livelli di regolazione in eccesso rispetto a quanto richiesto dalle direttive. Resta da indagare che cosa sia questo quid pluris.
91 Su tutti, vedi direttiva 2014/24/UE, art. 1, par. 1, che recita: “La presente direttiva stabilisce norme sulle procedure per gli appalti indetti da amministrazioni aggiudicatrici, per quanto riguarda appalti pubblici e concorsi pubblici di progettazione il cui valore è stimato come non inferiore alle soglie stabilite all’articolo 4”.
92 Non è un caso che l’attenzione del Legislatore, quando intenda semplificare la materia in questione, si concentri sempre prima di tutto sugli affidamenti sotto-soglia. Ciò è accaduto prima con il d.l. 32/2019 (sblocca-cantieri) e poi recentemente con la normativa per far fronte all’emergenza da COVID-19 (su tutti, vedi il decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 – c.d. “cura Italia”).
Mentre la regolazione in difetto è semplice da individuare, dal momento che il rapporto tra norme in questo caso ricade nello schema dell’antinomia93, per la regolazione in eccesso il discorso è più complicato. Per la prima, infatti, la competenza in ultima istanza a valutare una insufficiente attuazione delle direttive UE spetta alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, dal momento che uno dei due elementi dell’antinomia è rappresentato dalla norma europea che si assume essere violata. Sul punto, si rimanda al noto funzionamento del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, secondo cui un vero e proprio obbligo di rinvio alla Corte pende soltanto in capo ad “un organo giurisdizionale nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno”. Un’altra via percorribile dalle istituzioni UE è quella della procedura d’infrazione ex art. 258 TFUE.
È inutile poi ricordare che fin dal 1964 vige il principio di supremazia del diritto dell’Unione Europea94, per cui in caso di antinomia prevale sempre il diritto europeo, salvo vengano attivati i c.d. controlimiti. L’attuazione insufficiente delle direttive è, in sintesi, un fenomeno che viene sanzionato dall’ordinamento in maniera efficace.
Per l’attuazione in eccesso la situazione appare più complessa, perché i termini della questione non si pongono necessariamente in una relazione di stretta antinomia. L’articolo 14, ai commi 24-bis e ter, si limita a ricondurre al fenomeno del «gold plating» qualsiasi disposizione non necessaria per l’attuazione delle direttive. La disposizione, in sostanza, è definita nel “minimo” (la direttiva da attuare) ma non nel “massimo” (che cos’è strettamente necessario?).
Inoltre, l’articolo 288, par. 3, TFUE, sancisce la regola secondo cui “la direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi”. È pacifico, pertanto, che la direttiva è un atto legislativo che impone degli obiettivi da raggiungere, lasciando liberi i destinatari sulle concrete modalità per adempiere a tale scopo. In realtà, nella prassi si sono affermate direttive sempre più dettagliate, tali da essere definite self-executing95. La tendenza a redigere direttive di questo tipo si riscontra anche nella materia dei contratti pubblici, laddove si è assistito,
93 Vale a dire, rispetto ad un obbligo positivo in capo allo Stato previsto dalla normativa europea, la normativa interna si pone in contrasto, disponendo in maniera insufficiente o in aperto contrasto.
94 CGUE Caso C-26/62 (Xxx Xxxx & Xxxx).
95 Vedi su tutte CGUE Causa X-00/00(Xxx Xxxx c./ Home Office).
nel passaggio tra le direttive del 2004 e quelle del 2014, ad un’estensione considerevole del numero delle disposizioni presenti96.
Quindi, il diritto UE lascia liberi gli Stati di attuare le direttive come meglio credono: non è necessaria l’adozione di una legge o di un atto equipollente97, ma è sufficiente un qualsiasi atto-fonte in grado di garantire l’effetto utile della direttiva; a volte non è persino necessaria l’adozione di alcun atto interno, qualora l’ordinamento sia già di per sé compatibile con la direttiva98.
Ma soprattutto, la CGUE ha specificato che le direttive non possono essere in alcun modo fonte diretta di obblighi per i privati, anche qualora siano direttamente efficaci99. Esse possono conferire solamente situazioni giuridiche soggettive ai privati nei confronti dello Stato; sono dotate, in altri termini, soltanto di un’efficacia diretta “verticale”, e non già anche “orizzontale”100.
Ma se la direttiva è fonte di obblighi soltanto per lo Stato, allora il termine di paragone per individuare i “livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive” non può che essere costituito dagli obiettivi che queste impongono agli Stati. In pratica, l’azione del Legislatore statale è libera nei mezzi ma non nello scopo, e tali mezzi devono essere strettamente funzionali al raggiungimento dello scopo. Questo accade perché ogni Stato deve, in ragione delle proprie peculiarità, adeguare il proprio ordinamento allo scopo prefissato nella direttiva. Avendo una funzione armonizzatrice, le direttive non possono prevedere a priori gli specifici strumenti per raggiungere un determinato risultato in ogni Paese, ma possono soltanto valutarne la conformità a posteriori, una volta che gli specifici strumenti di attuazione sono stati adottati. Questo è il motivo per cui ogni direttiva stabilisce un termine entro cui gli Stati membri debbono darvi attuazione101.
96 Vedi CHITI M.P., Il sistema delle fonti nella nuova disciplina dei contratti pubblici, in
Giorn. Dir. Amm., 2016(4), 436.
97 Ed è per questo che la legge 234/2012, art. 35, prevede l’attuazione delle direttive in via regolamentare, qualora la materia non sia coperta da riserva di legge.
98 Qualora, ad esempio, una direttiva abbia preso ad esempio la legislazione di un determinato Stato membro, cfr. CGUE Causa C-29/84 (Commissione c./ Germania).
99 Salvo che l’Unione intervenga laddove possiede competenza regolamentare, cfr. CGUE Causa C-91/92 (Xxxxx Xxxxxxx Xxxx c./ Recreb S.r.l.)
100 C–152/84 (Xxxxxxxx c./ Southampton and South-West Hampshire Area Health Authority): “… la direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e … una disposizione d'una direttiva non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei confronti dello stesso”. Più recentemente ribadito in C–176/12 (Association de médiation sociale c./ Union locale des syndicats CGT); vedi anche SAULLE M.R., Direttiva comunitaria, in ED, 1998.
101 La natura “poliedrica” delle direttive si coglie anche dal fatto che non sempre le stesse prevedono un termine ad quem uguale per tutti gli Stati. Questo avviene perché alcuni Stati possono incontrare difficoltà maggiori rispetto ad altri nell’attuazione delle direttive. Un
Quanto detto finora necessita però di alcune precisazioni. Il meccanismo di armonizzazione tra gli Stati membri, nell’ambito del mercato comune, presenta nella prassi legislativa il carattere della gradualità. Quindi se inizialmente le direttive tendono a rispettare la distinzione sopra delineata tra obiettivi (europei) ed obblighi (di origine nazionale), con il ravvicinamento delle legislazioni si assiste ad una tendenziale sostituzione del diritto europeo a quello nazionale102. In sostanza, la giurisprudenza della CGUE e gli studiosi hanno descritto la tassonomia dei fenomeni di armonizzazione, che vanno sinteticamente da un’armonizzazione minima ad una massima (o totale)103. Con il ravvicinamento delle legislazioni nazionali si riscontra l’adozione di direttive maggiormente dettagliate che, da una parte sono direttamente applicabili, e dall’altra proibiscono allo Stato membro di prevedere dei livelli di regolazione superiori.
Lo stesso è accaduto e accade, per quel che interessa ai fini della presente ricerca, nel diritto dei contratti pubblici. Le direttive in questa materia vanno da una prima fase di armonizzazione minima, con più spazio lasciato agli Stati membri104, verso un’armonizzazione sempre più forte e quindi con disposizioni sempre più dettagliate105. Lo stesso Consiglio di Stato, nel parere 855/2016, ha evidenziato questa caratteristica nelle odierne direttive, laddove ha affermato che esse constano di disposizioni di tre tipi:
(i) disposizioni a recepimento vincolato; (ii) disposizioni che lasciano margini di flessibilità agli Stati membri, consentendo un recepimento o più severo o
esempio è offerto dalla direttiva 93/7/CEE del 15 marzo 1993 relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro). In materia di contratti pubblici, la direttiva 2014/24/UE, all’articolo 90, stabiliva che la stessa dovesse essere attuata entro il 18 aprile 2016, eccettuate le disposizioni relative all’obbligo di utilizzo di comunicazioni elettroniche, posticipate al 18 ottobre 2018. Anche in questo caso, la direttiva si è fatta carico delle difficoltà di recepimento di alcuni Stati membri (i.e. l’Italia nel caso di specie). Sempre in materia di contratti pubblici, sull’inidoneità delle direttive del 2014 a produrre effetti diretti prima della scadenza del termine per la loro attuazione, vedi Cons. Stato, sez. VI, 26.5.2015, n. 2660.
102 Vedi CAPELLI F., Direttive di armonizzazione totale, direttive di armonizzazione parziale e direttive opzionali, in DCSI, 2000(4), 755, il quale riassume il fenomeno di armonizzazione totale così: “Per effetto dell'applicazione della direttiva, una volta trasposta negli ordinamenti interni, la materia o il settore considerati, risultano disciplinati solo ed esclusivamente dalle stesse regole di origine comunitaria, rimanendo preclusa agli Stati membri la possibilità di applicare, sul proprio territorio, norme nazionali divergenti”.
103 FOIS P., Xxxx’armonizzazione all’unificazione dei diritti interni nell’Unione europea. Valutazione critica di una tendenza in atto, in SIE, 2012, 37.
104 Ci si riferisce alle direttive di “prima generazione”, ossia la direttiva n. 71/305/CEE, la direttiva n. 77/62/CEE e la direttiva n. 80/767/CEE.
105 Questo per le direttive di seconda (direttiva n. 89/440/CEE, direttiva n. 92/50/CEE, direttiva n. 93/36/CEE, direttiva n. 93/37/CEE) e terza (direttiva n. 2004/17/CE, direttiva n. 2004/18/CE) generazione.
più liberale; (iii) disposizioni che impongono agli Stati membri di lasciare spazi di discrezionalità alle stazioni appaltanti.
Ma se le l’Unione Europea, nei casi di armonizzazione totale, priva gli Stati membri della facoltà di inserire dei livelli di regolazione superiori, allora il fenomeno del «gold plating» tende ad essere assorbito dal vizio di legittimità per contrasto con le disposizioni del diritto europeo. Ed è per questo che, come si vedrà nel prosieguo (vedi infra §5.3.2.), spesso i casi in cui si paventa il «gold plating» nella disciplina dei contratti pubblici si traducono in rinvii pregiudiziali ex art 267 TFUE o in procedure di infrazione aperte ai danni dell’Italia.
Al contrario, laddove le disposizioni non sono dettagliate e lasciano maggiore margine allo Stato membro, il giudizio di adeguatezza di una determinata misura rispetto ad un obiettivo fissato da una direttiva è un problema di diritto interno, che dev’essere risolto alla stregua di un’istruttoria legislativa accurata in sede di attuazione. Conseguentemente, anche il «gold plating» in questi casi resta un fatto nazionale, che dev’essere affrontato attraverso l’analisi di impatto della regolamentazione (come appunto prevede l’art. 14, comma 24-quater della l. 246/2005; vedi infra §5.1.2.).
È infatti possibile che un risultato richiesto dall’Unione Europea confligga in qualche modo con un interesse rilevante a livello nazionale. Per esempio, le direttive del 2014 sui contratti pubblici sono apertamente improntate all’idea di favorire quanto più possibile l’accesso delle PMI al mercato delle commesse pubbliche106; d’altra parte, in Italia, quest’esigenza si compenetra con quella di combattere la corruzione nel settore pubblico. È paradigmatica in questo senso la scelta dettata dall’art. 19 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, con cui è stata soppressa la vecchia Autorità di vigilanza sui contratti pubblici facendone confluire le funzioni nell’ANAC107. Queste due tendenze parzialmente confliggenti hanno, invero, comportato un aggravio normativo nel Codice dei contratti pubblici italiano.
Si capisce, dunque, che il Legislatore interno potrebbe averne ben donde di prevedere degli obblighi in capo ai privati non strettamente richiesti dalle direttive, qualora questi siano espressione dell’interesse nazionale a prevenire e combattere la corruzione. Questo implica però la necessità di un
106 Basti leggere, a titolo esemplificativo, il considerando n. 3 della direttiva 2014/24/UE: “la normativa sugli appalti adottata ai sensi della direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dovrebbe essere rivista e aggiornata in modo da accrescere l’efficienza della spesa pubblica, facilitando in particolare la partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI)…”.
107 Vedi LONGOBARDI N., L’Autorità nazionale anticorruzione e la nuova normativa sui contratti pubblici, in DPA, 2017(1), 15.
bilanciamento e, in ultima analisi, che tali obblighi risultino comunque proporzionati all’esigenza nazionale da tutelare.
5.1.2. Le circostanze eccezionali che rendono necessario il «gold plating»
Risulta perciò appropriata la disposizione di cui all’articolo 14, comma 24-quater, l. 246/2005, laddove prevede che: “l’amministrazione dà conto delle circostanze eccezionali, valutate nell'analisi d'impatto della regolamentazione, in relazione alle quali si rende necessario il superamento del livello minimo di regolazione comunitaria”.
Il divieto di «gold plating» non è dunque assoluto, ma si compenetra con altre esigenze parimenti rilevanti a livello nazionale. La ragione di questa scelta è una logica conseguenza di quanto detto sopra, poiché gli obiettivi fissati dalle direttive UE possono ingenerare una sorta di “attrito” con altri interessi tutelati dal diritto interno. È dunque ragionevole che al Legislatore nazionale venga lasciata la possibilità di derogare al suddetto divieto, qualora ciò sia giustificato da “circostanze eccezionali … in relazione alle quali si rende necessario”.
In realtà, questo genere di valutazioni è da sempre svolto dal Legislatore, qualora si trovi ad introdurre degli obblighi o degli standard ulteriori rispetto a quelli richiesti dal diritto europeo, per tutelare una serie di interessi di rilevanza apicale. Tale possibilità è riconosciuta anche dagli stessi Xxxxxxxx, poiché all’articolo 36 TFUE è stabilito che le restrizioni quantitative alle importazioni e alle esportazioni sono ammesse per motivi di “moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale”.
Ciò che però veramente caratterizza la disposizione di cui al comma 24-quater è che questa obbliga l’amministrazione (che redige la norma) a dar conto di questo tipo di valutazioni nell’analisi d’impatto della regolamentazione (AIR). Ora, esplicitare le considerazioni che precedono l’adozione di un atto normativo è una prassi quantomeno inusuale nel nostro ordinamento108. La disposizione in esame, in piena controtendenza, stabilisce invece che venga data notizia del bilanciamento effettuato durante la redazione del disposto normativo.
108 Come invece avviene in Francia con l’«exposé des motifs», “destiné à éclairer le Parlement sur le sens et la portée des dispositions qui lui sont soumises”, vedi CONSEIL D’ÉTAT, Guide de légistique, Pargi, 2017, 263.
Questo tipo di attività presenta forti analogie con quella di motivare i provvedimenti amministrativi109. Nell’ordinamento italiano, la ponderazione degli interessi in gioco viene esplicitata nei provvedimenti amministrativi, come sancito ormai in maniera irreversibile dall’art. 3 della l. 241/1990. Per gli atti normativi (e per quelli “a contenuto generale”), al contrario, vige il principio per cui le valutazioni effettuate a monte rimangono imperscrutabili110. Come però è stato fatto correttamente notare, da un punto di vista fenomenologico, l’apparato analitico dell’AIR non si discosta sul piano strutturale dalla motivazione111. L’unico elemento discretivo, invero, è la rilevanza funzionale che viene attribuita all’AIR, la quale è relegata a mero strumento istruttorio senza alcuna efficacia integrativa né della validità né dell’efficacia degli atti cui è preposta.
Ad ogni modo, la l. 246/2005 (come modificata dalla l. 183/2011) stabilisce una stretta correlazione tra il contrasto al «gold plating» ed il funzionamento dell’AIR. È noto che quest’ultima è utilizzata per diverse ragioni, tutte più o meno riconducibili al concetto di “istruttoria normativa” (vedi supra §2.1.). Tra queste rientra a pieno titolo l’analisi sui “livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive”, alla quale è dedicata un’apposita sezione all’interno delle relazioni AIR (art. 14, comma 5-ter, l. 246/2005).
Proprio al fine di rendere concretamente operativo tale strumento, l’art. 14 della legge 246/2005 prevede - al comma 5 - l’emanazione di un regolamento governativo e - al comma 6 – l’indicazione attraverso direttive del Presidente del Consiglio dei modelli e dei metodi di svolgimento dell’AIR. Rispetto a queste ultime, le più rilevanti per lo studio del «gold plating» sono la Direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 16 gennaio 2013 (GU n.86 del 12-4-2013) e la sua omonima del 16 febbraio 2018 che l’ha sostituita, le quali offrono un importante contributo per comprendere il concreto funzionamento dell’istituto in esame (infra §5.4.).
Prima, però, è necessario concludere il percorso storico-normativo che ha permesso al divieto di «gold plating» di penetrare nel nostro ordinamento,
109 Si rimanda alla nozione di motivazione in senso ampio, vale a dire come la parte dichiarativa del provvedimento amministrativo che non presenta carattere volitivo. Cfr. XXXXXXXX X.X., Motivazione dell’atto amministrativo, in ED, 1977(XXVII) secondo cui “sarebbe motivazione tutta la parte della dichiarazione che non sia dichiarazione di volontà”.
110 Art. 3, comma 2, legge 7 agosto 1990, n. 241. Per i problemi insiti in questa scelta, vedi RAMAJOLI M., TONOLETTI B., Qualificazione e regime giuridico degli atti amministrativi generali, in DA, 2013(1-2), 53.
111 MATTARELLA B.G., Analisi di impatto della regolazione e motivazione del provvedimento amministrativo, in Osservatorio AIR, 2010, disponibile a xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxxxxxxxxx/x-xxxxxx-xxxxxxxxxxxxxxxx/ .
fino a diventare (teoricamente) un principio generale in materia di attuazione delle direttive.
5.2. La legge 24 dicembre 2012, n. 234
Non si può infatti non parlare della legge 24 dicembre 2012, n. 234, ossia quella che più di tutte ha un impatto sui meccanismi di recepimento delle direttive europee. Xxx si capisce, infatti, perché tale legge sia stata scelta come la destinazione naturale dove far confluire gli sviluppi finora descritti.
La l. 234/2012 è l’ultimo di una serie di provvedimenti che hanno disciplinato nel corso del tempo i meccanismi di recepimento interno delle direttive europee. Com’è noto, la genealogia della stessa affonda le sue radici nella prassi del Parlamento di affidare una delega al Governo per l’attuazione delle direttive e degli atti dell’Unione in generale. Tale soluzione, adottata per far fronte ad una crisi sistemica del nostro ordinamento nel recepire gli atti europei, è stata da subito criticata perché distorsiva del funzionamento fisiologico della delega legislativa ex art. 76 Cost.112.
Così, difronte a problematiche di ordine sistematico si è deciso di dare risposte sistematiche, prima con la legge 9 marzo 1989, n. 86 (c.d. “legge La Pergola”); poi, a seguito della riforma del Titolo V e delle innovazioni sopravvenute a livello europeo, è stata adottata la legge 4 febbraio 2005, n.
11 (conosciuta come “legge Buttiglione”). Entrambe queste risposte nascevano dall’esigenza di garantire un recepimento fluido degli atti normativi dell’Unione Europea, nell’ottica di rispettare le scadenza impartite dalle direttive e prevenire quindi l’apertura delle procedure d’infrazione. Per questo motivo, si stabiliva che la “legge comunitaria” venisse adottata a cadenza annuale, obbligando il Governo a depositare il d.d.l. entro il 31 gennaio113.
Sfortunatamente, le leggi La Pergola e Buttiglione potevano vantare soltanto l’ambizione di essere leggi “sistemiche”, essendo idonee soltanto a fornire degli indirizzi di massima per orientare le singole leggi annuali le quali, ad ogni modo, erano perfettamente in grado di sostituire o abrogare singole disposizioni delle leggi generali, godendo di pari grado gerarchico nel sistema delle fonti. L’attuazione del diritto europeo, pertanto, doveva pur sempre soggiacere alle fluide regole della prassi legislativa, e quindi anche la legge 11/2005 ha finito per subire delle variazioni con lo stratificarsi delle
112 XXXX X., Quali «principi e criteri direttivi» nella delega al Governo per attuare direttive comunitarie?, in RDI, 1983(2-3), 424, il quale ha analizzato le criticità di una delega generale al Governo per l’attuazione delle direttive.
113 Art. 8, comma 4, l. 11/2005.
leggi annuali, fino a diventare per molti aspetti una sorta di “legge
omnibus”114.
Con questa nuova attitudine ad enucleare disposizioni tra le più disparate, la legge comunitaria aveva ereditato anche una forte carica divisiva tra le fazioni politiche. Da tutto ciò discendeva un tendenziale allungamento dei tempi di discussione ed approvazione della stessa, che portava spesso a sforare i termini e le scadenze rigide inizialmente prefigurate dalla Legge Buttiglione, fino ad arrivare a scavallare l’anno di riferimento e a creare “ingorghi” nei lavori parlamentari115.
Per porre un argine a questi problemi, il Legislatore ha cominciato a lavorare su diversi disegni di legge116, che poi sono sfociati, a seguito di un iter parlamentare largamente condiviso117, nell’adozione della legge 234/2012. Quest’ultima aveva prevalentemente due obiettivi.
Prima di tutto, doveva riformare la c.d. “fase ascendente” del processo di formazione del diritto europeo, coordinando il diritto interno con le nuove disposizioni e la ratio ispiratrice del Trattato di Lisbona (e dell’annesso Protocollo n. 2 sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità)118.
Secondariamente, doveva provare a correggere le storture emerse dalla prassi applicativa della Legge Buttiglione. Rispetto a questo secondo
114 L’evoluzione patologica assunta dalla legge comunitaria negli ultimi anni prima della riforma era sotto gli occhi di tutti, tanto che il SENATO DELLA REPUBBLICA, in Relazione della I Commissione permanente del Senato sul disegno di legge n. 2646 approvato in prima lettura dalla Camera, 5, rilevava che “il vigente quadro ordinamentale – che demanda l’adempimento degli obblighi derivanti dall’Unione europea principalmente allo strumento della legge comunitaria annuale – presenta aspetti problematici, che attengono, essenzialmente, all’abuso che di questo strumento viene fatto allorché si tende a utilizzarlo come «legge omnibus», per inserivi disposizioni che poco o nulla hanno di necessario ai fini dell’attuazione di obblighi derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea”.
115 L’evento, riferito ai d.d.l. di legge comunitaria per il biennio 2011-2012, è stato descritto con dovizia di particolari da XXXXX F., L’“ingorgo europeo” al Senato e la riforma della legge comunitaria, in FQCR, 10 aprile 2013.
116 Ci si riferisce alle seguenti proposte: A.C. 2854 (Xxxxxxxxxxx e altri), presentata il 23 ottobre 2009; A.C. 2862 (Stucchi e altri), presentata il 27 ottobre 2009; A.C. 2888 (Xxxx e altri), presentata il 5 novembre 2009 e A.C. 3055 (Pescante e altri), presentata il 16 dicembre 2009 e del d.d.l. A.C. 3866 presentato il 16 novembre 2010; per uno commento alle stesse, vedi XXXXXX C., Xxxxx proposte volte ad adeguare la legge n. 11 del 2005 e i regolamenti parlamentari al Trattato di Lisbona, in OF,2010(1).
117 Prova ne è che, differentemente dalle sue antenate, la legge 234/2012 non reca il nome del Ministro in carica al tempo, Xxxxxxx Xxxxxxxx. Per questa considerazione, vedi XXXXXXX P., La legge n. 234/2012 che disciplina la partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche
dell’Unione europea: un traguardo o ancora una tappa intermedia?, in Le Regioni, 2012(5- 6), 837.
118 Sulle novità apportate dalla l. 234/2012 rispetto a questo profilo, vedi FAVILLI C., Ancora una riforma delle norme sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione delle politiche dell’Unione Europea, in RDI, 2013(3), 701.
profilo, è fuor di dubbio che la l. 234/2012 abbia riconosciuto assoluta rilevanza alla ingente mole delle disposizioni interne emanate in attuazione del diritto europeo119. Conseguentemente, essendo questa la principale sede d’ingresso di tali norme, si è tentato di inserire delle disposizioni che fossero improntate alla semplificazione normativa120.
Quest’ultimo aspetto ha sicuramente lasciato un’impronta caratterizzante sulla l. 234/2012. Per esempio, per scongiurare il ricorso alla
c.d. “legge omnibus”, l’art. 30, comma 2, lett. a), stabilisce che la legge di delegazione europea rechi soltanto i principi e criteri direttivi indirizzati al Governo per l’attuazione delle direttive, “esclusa ogni altra disposizione di delegazione legislativa non direttamente riconducibile al recepimento degli atti legislativi europei”. Allo stesso modo, sono confermati gli strumenti alternativi a quelli aventi forza di legge, come ad esempio il regolamento di delegificazione o l’attuazione per via amministrativa121.
Ma la novità di maggior rilievo è senza ombra di dubbio rappresentata dallo “sdoppiamento” (decoupling) della vecchia legge comunitaria in due distinti atti: la legge europea e la legge di delegazione europea. Mentre la prima, nell’impianto normativo, è disegnata come una misura una tantum per far fronte alle esigenze contingenti e non programmabili nel medio periodo di
119 La considerazione è stata portata all’attenzione del Senato, nella Seduta n. 306 del 12 luglio 2011, da LUPO N., L’adeguamento del sistema istituzionale italiano al trattato di Lisbona. Osservazioni sui disegni di legge di riforma della legge n. 11 del 2005, disponibile a xxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxx/00/XXX/Xxxxxx/Xxxxxxx/xxxxxxxxx/00000_xxxxxxxxx.xxx, il quale riferiva che “secondo la relazione del Comitato per la legislazione del novembre 2010, la legislazione di attuazione delle norme UE è pari a circa 1/3 della produzione normativa primaria”.
120 Sul punto, passim, vedi XXXXXX M., L’attuazione del diritto dell’Unione Europea nel più recente periodo: legge di delegazione europea e legge europea alla luce della prassi applicativa, in OF, 2017(2).
121 In realtà, la l. 234/2012 ha stabilito una disciplina più articolata per questi strumenti “alternativi”, che comunque erano già presenti nella l. 11/2005, come correttamente rilevato da FAVILLI C., Ancora una riforma delle norme sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione delle politiche dell’Unione Europea, op. cit., 736.
attuazione del diritto europeo122, la seconda assurge a strumento cardine dell’iter di recepimento123.
La ragione di una tale scelta è ascrivibile a diversi fattori. In parte essa rispecchia la volontà di evitare che l’onere attuativo della maggior parte delle direttive ricada sullo strumento della legge ordinaria, provocando i già citati rallentamenti ed ingorghi dettati dalla necessaria trattazione parlamentare. Questo permette di “fluidificare” il processo di recepimento degli atti normativi dell’UE, garantendo (in teoria) una qualità normativa più
122 L’art. 30, comma 3, ne elenca i possibili contenuti: “a) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi indicati all’articolo 1;
b) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti oggetto di procedure d’infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana o di sentenze del-la Corte di giustizia dell’Unione europea; c) disposizioni necessarie per dare attuazione o per assicurare l’applicazione di atti dell’Unione europea; d) disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati inter-nazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell’Unione europea; e) disposizioni emanate nell’esercizio del potere sostitutivo di cui all’articolo 117, quinto comma, della Costituzione, in conformità ai principi e nel rispetto dei limiti di cui all’articolo 41, comma 1, della presente legge”. La natura di legge una tantum sembra potersi inferie, oltre che dall’oggetto evidentemente di carattere eventuale, anche dalla mancanza di un termine annuale per la sua adozione; in questo senso, vedi sempre XXXXXX M., L’attuazione del diritto dell’Unione Europea nel più recente periodo, op. cit., 10. 123 Sono infatti ricompresi, ai sensi dell’art. 30, comma 2 i seguenti oggetti: “a) disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa volta esclusivamente all’attuazione delle direttive europee e delle decisioni quadro da recepire nell’ordinamento nazionale, esclusa ogni altra disposizione di delegazione legislativa non direttamente riconducibile al recepimento degli atti legislativi europei; b) disposizioni per il conferimento al Governo di delega legislativa, diretta a modificare o abrogare disposizioni statali vigenti, limitatamente a quanto indispensabile per garantire la conformità dell’ordinamento nazionale ai pareri motivati indirizzati all’Italia dalla Commissione europea ai sensi dell’articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea o al dispositivo di sentenze di condanna per inadempimento emesse della Corte di giustizia dell’Unione europea; c) disposizioni che autorizzano il Governo a recepire in via regolamentare le direttive, sulla base di quanto previsto dall’articolo 35; d) delega legislativa al Governo per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell’Unione europea, secondo quanto disposto dall’articolo 33;
e) delega legislativa al Governo limitata a quanto necessario per dare attuazione a eventuali disposizioni non direttamente applicabili con-tenute in regolamenti europei; f) disposizioni che, nelle materie di competenza legislativa delle regioni e delle province autonome, conferiscono delega al Governo per l’emanazione di decreti legislativi recanti sanzioni penali per la violazione delle disposizioni dell’Unione europea recepite dalle regioni e dalle pro-vince autonome; g) disposizioni che individuano i principi fondamentali nel rispetto dei quali le regioni e le province autonome esercitano la propria competenza normativa per recepire o per assicurare l’applicazione di atti dell’Unione europea nelle materie di cui all’articolo 117, terzo comma, della Costituzione; h) disposizioni che, nell’ambito del conferimento della delega legislativa per il recepimento o l’attuazione degli atti di cui alle lettere a), b) ed e), autorizzano il Governo a emanare testi unici per il riordino e per l’armonizzazione di normative di settore, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province autonome; i) delega legislativa al Governo per l’adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi emanati ai sensi dell’articolo 31, commi 5 e 6”.
elevata124. Allo stesso modo, tuttavia, è stato correttamente evidenziato come anche portando avanti parallelamente sia la legge europea che quella di delegazione, entrambi i rami del Parlamento sono messi nelle condizioni di lavorare simultaneamente, attraverso un esame incrociato dei provvedimenti125.
Ma l’adozione del “doppio binario” è giustificabile anche in una diversa ottica: il Legislatore, in questo caso, ha deciso di codificare una prassi (quella delle leggi delega per il recepimento delle direttive) che fino ad allora non aveva ricevuto un esplicito riconoscimento né dalla legge La Pergola né dalla Buttiglione126. Il continuo ricorso a leggi annuali di delegazione aveva portato ad una stratificazione di “principi e criteri direttivi” (presupposto di legittimità ex art. 76 Cos.) spesso non coordinati tra loro127. Con una scelta lungimirante il Legislatore del 2012 ha deciso di riconoscere tale prassi ed assorbirla nella nuova legge “sistemica”, andando a ridisegnare l’apparato dei “principi e criteri direttivi” che informano le deleghe legislative.
È previsto, pertanto, un duplice piano di manovra: sul primo si pongono i “principi e criteri direttivi generali di delega per l'attuazione del diritto dell'Unione europea” (come indicato dalla rubrica dell’art. 32, l.
124 Vedi PARIS D., Le leggi europea e di delegazione europea 2013. Osservazioni sulla prima attuazione dello “sdoppiamento” della legge comunitaria, in OF, 2014(1), 5, il quale osserva però che la prassi si è discostata fin da subito da questa possibile lettura, proponendo annualmente sia la legge europea che quella di delegazione;
125 Interessante rilievo effettuato dal sen. Xxxxxxxx, allorquando chiese al Ministro per gli affari europei delucidazioni – nell’iter di approvazione della prima legge europea - sui motivi per i quali “si è deciso di inoltrare i due provvedimenti, in modo congiunto, ad un solo ramo del Parlamento, quando, la ratio della citata legge di sistema n. 234 del 2012 risiede, in realtà, nella possibilità di scindere l’attività di recepimento della normativa europea, facendo lavorare, al contempo, sia la Camera che il Senato” (cfr. Legislatura 17ª - 14ª Commissione permanente, Resoconto sommario n. 4 del 6 giugno 2013); in questo senso vedi XXXXXX M., L’attuazione del diritto dell’Unione Europea nel più recente periodo, op. cit., 10;
126 Sul punto, vedi i rilievi di TESAURO G., Procedura di adeguamento al diritto comunitario: problemi antichi e nuovi propositi, in RIDPC, 1992(2), 385, il quale evidenziava già al tempo che la legge La Pergola si poneva in modo “neutro” rispetto alla prassi di ricorrere in maniera generosa nella legge comunitaria all’utilizzo di deleghe legislative.
127 La delega legislativa infatti ha ad oggetto quelli che sono già dei principi di derivazione europea e sanciti nelle direttive. Il susseguirsi di leggi delega su questa materia è quindi foriera di possibili sovrapposizioni e disordini; cfr. DE XXXXX X., I rapporti tra Parlamento e Governo nell’attuazione delle norme comunitarie, in XXXXXXXX R., XXXXXXX X. (a cura di), Funzioni parlamentari non legislative e forma di governo. L’esperienza italiana, Milano, 2008, 574, “È noto che un doppio livello di vincoli, configurati per principi, genera incertezze nella ricostruzione dei limiti entro cui devono svolgersi le fasi successive del processo di integrazione politica in cui si sostanzia la delegazione”.
234/2012); sul secondo invece, i principi e criteri direttivi aventi carattere specifico e riferiti alle singole deleghe legislative approvate annualmente128. Proprio al fine sancire definitivamente il principio di semplificazione normativa nella fase di recepimento delle direttive europee, le prime tre lettere dell’art. 32 stabiliscono che: le amministrazioni direttamente interessate provvedono all'attuazione dei decreti legislativi con le ordinarie strutture amministrative, secondo il principio della massima semplificazione dei procedimenti e delle modalità di organizzazione e di esercizio delle funzioni e dei servizi (lett. a); ai fini di un migliore coordinamento con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, sono introdotte le occorrenti modificazioni alle discipline stesse, anche attraverso il riassetto e la semplificazione normativi con l'indicazione esplicita delle norme abrogate, fatti salvi i procedimenti oggetto di semplificazione amministrativa ovvero le materie oggetto di delegificazione (lett. b); gli atti di recepimento di direttive dell'Unione europea non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse, ai sensi dell'articolo 14, commi 24-bis,
24-ter e 24-quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246 (lett. c);
In realtà il divieto di «gold plating» è stato ereditato dalla legge comunitaria per il 2012, che però non è mai venuta alla luce, essendosi arenata al Senato. Nonostante ciò, nel corso dell’esame alla Camera, era stato proposto ed approvato un emendamento all’art. 2 del disegno di legge, per inserire appunto il divieto di stabilire “livelli di regolazione più restrittivi rispetto a quelli minimi richiesti dalle direttive medesime”129. Questo contenuto è stato poi trasfuso nella legge 234/2012, assurgendo quindi a criterio direttivo generale per l’esercizio della delega sul recepimento del diritto europeo.
Restano pertanto da indagare due aspetti: anzitutto quale sia il rapporto tra criteri direttivi generali e quelli speciali previsti nelle singole leggi di delegazione europea; secondariamente, a quali atti normativi attualmente in vigore si applichi il divieto di «gold plating».
128 La l. 234/2012 ha il pregio di provare a cristallizzare una volta per tutte i principi e criteri aventi carattere generale, i quali prima venivano di volta in volta indicati nelle leggi annuali. In pratica, la legge del 2012 è importante perché trova una soluzione pratica al problema della corretta collocazione di tali principi generali; cfr. XXXXXX M., L’attuazione del diritto dell’Unione Europea nel più recente periodo, op. cit., 21.
129 Proposta emendativa 2.1., pubblicata nel Bollettino delle Giunte e Commissioni del 06/06/2012 ed approvata nella XIV Commissione permanente in sede referente, disponibile a xxxx://xxxxxxxxx.xxxxxx.xx/xxxx/xxxxxxxxxxx/xxxXxxxxxxxXxxxxxxxxx.xxxx?xxxxxxxxxxxXxxx ante=leg.16.eme.ac.4925&tipoSeduta=1&sedeEsame=referente&urnTestoRiferimento=urn: leg:16:4925:null:null:com:14:referente&tipoListaEmendamenti=1 .
Relativamente alla prima questione, il dato letterale dell’art. 32, comma 1, l. 234/2012 non lascia spazio ad equivoci, laddove stabilisce che i criteri direttivi ivi elencati si applicano “salvi gli specifici principi e criteri direttivi stabiliti dalla legge di delegazione europea e in aggiunta a quelli contenuti nelle direttive da attuare”. Da una parte, quindi, è rinnovato il costante insegnamento della Corte costituzionale, secondo cui le disposizioni contenute nelle direttive sono integrative delle deleghe conferite al Governo per la loro attuazione130. Dall’altra, l’art. 32 “fa salvi” i criteri e principi specificamente previsti dalle singole deleghe annuali. Disposizione, quest’ultima, che appare pleonastica, dal momento che si limita ad esplicitare il principio immanente al sistema delle fonti normative per il quale lex posterior derogat priori. Dunque il rapporto tra criteri direttivi e principi stabiliti dalla l. 234/2012 e quelli singolarmente previsti dalle leggi annuali è un rapporto di reciproca integrazione131.
Passando alla seconda questione si rende necessaria una cernita degli atti normativi emanati a seguito della l. 234/2012.
5.2.1. Analisi quantitativa della normativa
Nel presente paragrafo si è tentato di rispondere alla seguente domanda: a quali atti dell’ordinamento si applica il divieto di «gold plating» previsto dall’art. 32, comma 1, lett. c), della l. 234/2012132?
Seguendo il ragionamento di cui sopra, si è reso necessario effettuare un controllo a tappetto sugli atti emanati a partire dall’entrata in vigore della legge del 2012 sino ad oggi, per indagare principalmente due aspetti: anzitutto, per individuare in quali casi il Parlamento ha specificato dei criteri direttivi ad integrazione di quelli generali e per l’esercizio di quali deleghe; in secondo luogo, per enumerare uno per uno i singoli decreti legislativi per i quali è stata temperata o persino esclusa l’applicabilità del divieto di «gold
130 Corte cost., sentenza 16 giugno 1993, n. 285, secondo la quale non soltanto le disposizioni normative dell’ordinamento eurounitario sono integrative delle deleghe legislative nazionali, ma lo stesso vale per le sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea; per un commento critico a questo approdo, vedi CARTABIA M., Principi della delega determinati con rinvio alle norme comunitarie e parametro doppiamente interposto, in Giur. cost., 1993, 2051.
131 Sul punto, cfr. XXXXXX M., L’attuazione del diritto dell’Unione Europea nel più recente periodo, op. cit., 24.
132 Il campo d’indagine è limitato ai soli atti emanati nell’ambito framework normativo di attuazione delle direttive, previsto dalla legge 234/2012. Non rientrano, perciò, tutti i decreti legislativi emanati dal Governo nell’esercizio di deleghe conferite al di fuori del sistema previsto dalla legge del 2012, come ad esempio è accaduto proprio per la legge 28 gennaio 2016, n. 11, che ha conferito al Governo il mandato di attuare le tre direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sui contratti pubblici.
plating». Per raggiungere tali scopi è stato necessario organizzare il lavoro in tre fasi133.
In una prima fase sono state raccolte le singole leggi di delegazione europea approvate annualmente. È emerso che dal 2013 ad inizio 2020 ne sono state adottate sei (legge 6 agosto 2013, n. 96; legge 7 ottobre 2014, n.
154; legge 9 luglio 2015, n. 114; legge 12 agosto 2016, n. 170; legge 25
ottobre 2017, n. 163; legge 4 ottobre 2019, n. 117)134. Per ognuna di queste sono stati poi individuati ed elencati i singoli atti dell’Unione Europea per i quali è stata conferita una delega135. Dal 2013 al 2020, attraverso il sistema della legge di delegazione europea, sono state conferite deleghe al Governo per il recepimento e l’attuazione di 227 atti dell’Unione Europea136.
Nella seconda fase sono state passate in rassegna una per una le deleghe, per distinguere in quali casi il Parlamento ha stabilito dei criteri direttivi e dei principi e in quali invece vale il generico richiamo a “i principi e i criteri direttivi di cui agli articoli 31 e 32 della legge 24 dicembre 2012,
n. 234”. Da questa seconda ricerca è emerso che soltanto in 93 casi su 227 (40,97%) il Parlamento ha fissato dei criteri direttivi integrativi (o alternativi, in taluni casi) di quelli generali previsti dalla legge del 2012137.
Infine, a ciascuna delega è stato associato il correlato decreto legislativo adottato dal Governo (ove presente)138. Da questa terza fase è emerso che l’Esecutivo, dal 2013 al 2020, ha adottato 165 decreti legislativi in forza delle leggi di delegazione europea annuali139. È interessante notare che durante la XVII e parte della XVIII legislatura (tutt’ora in corso), il Governo ha adottato rispettivamente 260 e 63 decreti legislativi, per un totale di 323 atti delegati140. Appare dunque confermato, da un punto di vista quantitativo, l’assunto secondo cui il diritto europeo ha ormai un forte impatto sul sistema delle fonti interne, e come tale dev’essere costantemente
133 Per un prospetto riepilogativo dei dati raccolti, si rinvia all’Appendice, Tabella I.
134 Ibidem, prima colonna.
135 Ibidem, seconda colonna.
136 Da questo conteggio sono state escluse le deleghe “per la disciplina sanzionatoria di violazioni di atti normativi dell'Unione europea”, disciplinate in via generale dall’art. 33 della legge 234/2012. A questo tipo di deleghe, per espressa previsione normativa, non si applica il divieto di «gold plating», e conseguentemente risultano irrilevanti ai fini della presente ricerca.
137 Tabella I, terza colonna, nell’Appendice.
138 Ibidem, quarta colonna.
139 Si noti che rispetto all’ultima legge, la 117/2019, non risultano ancora emanati decreti attuativi.
140 I dati sono stati estrapolati, per la XVII legislatura dal documento della CAMERA DEI DEPUTATI, Il Rapporto sulla legislazione 2017 – 2018; per la XVII legislatura, i dati ancora parziali ed aggiornati al 12 marzo 2020 sono stati estrapolati dal documento della CAMERA DEI DEPUTATI, La produzione normativa: cifre e caratteristiche. Entrambi i dossier sono disponibili su xxxxx://xxxx.xxxxxx.xx/xxx00/xxxxxXxxx/xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxx/x.xxxx.
monitorato per garantire l’effettività delle politiche di semplificazione normativa. I decreti legislativi di recepimento del diritto europeo rappresentano infatti il 51% del totale141.
Dai dati così raccolti si possono sviluppare le seguenti considerazioni. Anzitutto sembra tendenzialmente confermata - da un punto di vista prettamente normativo – la natura “sistemica” della l. 234/2012. I criteri direttivi e principi generali elencati all’art. 32, infatti, sono spesso gli unici vincoli all’attività normativa del Governo ex art. 76 Cost.. Come evidenziato sopra, soltanto nel 40,97% dei casi sono stati previsti dei criteri specifici, e anche quando questo è accaduto, ciò non ha escluso a priori l’applicabilità dei principi generali, in quanto compatibili. Facendo un passo ulteriore, ed osservando l’andamento delle leggi di delega nel corso del tempo, emerge che il grado di innovazione apportato dalle singole leggi annuali rimane pressoché costante, con un picco in coincidenza della legge 170/2016, come osservabile
Indice di innovazione delle leggi annuali
1
0,9
0,8
0,7
0,6
0,5
0,4
0,3
0,2
0,1
0
2012
2013
2014
2015
2016
Anni
2017
2018
2019
2020
Criteri specifici / Deleghe
dal grafico 1.
(grafico 1)142
141 I dati così aggregati sono in linea con quelli raccolti da CAMERA DEI DEPUTATI, Appunti del comitato Appunti del comitato per la legislazione – I numeri delle leggi, 11.02.2019, su xxxxx://xxxx.xxxxxx.xx/xxx00/xxxxxxx/XXX00-00000/xxxxxxx-xxx-xxxxxxxx-xxxxxxxxxxxx-x- numeri-leggi-11-02-2019.html e da CAMERA DEI DEPUTATI, Appunti del comitato Appunti del comitato per la legislazione – I numeri delle leggi, 6.12.2019, su xxxxx://xxxx.xxxxxx.xx/xxxxxxx/XXX00-00000/xxxxxxx-xxx-xxxxxxxx-xxxxxxxxxxxx-x-xxxxxx- leggi-6-12-2019.html .
142 Nota: sull’ascissa sono inserite le sei leggi annuali emanate al 22 marzo 2020; sull’ordinata, invece, sono collocati i valori derivanti dal rapporto tra il numero di volte in cui sono stati stabiliti dei criteri specifici e il numero di deleghe conferite: questo rapporto fornisce il grado di incidenza delle leggi annuali sull’assetto generale, un “indice di
Laddove la curva sale sono previsti più criteri direttivi specifici nelle leggi annuali, e quindi le stesse tendono a sostituire la l. 234/2012, o perlomeno ad attenuarne la portata precettiva. Al contrario, dove i valori scendono la l. 234/2012 conserva il proprio ruolo di legge “sistemica”.
Capacità del Governo di esercitare le deleghe in
1
0,9
0,8
0,7
0,6
0,5
0,4
0,3
0,2
0,1
0
2012
materia UE
2013
2014
2015
2016
2017
2018
2019
Anni
Deleghe esercitate / Deleghe conferite
In realtà, il dato in coincidenza della legge del 2016 tende ad alzare di molto la media, sicché il fatto che nel 40,97% dei casi siano stati previsti criteri specifici potrebbe essere un dato destinato a calare nel medio-lungo periodo. Il campione è ancora ristretto, quindi sarebbe errato compiere delle indebite generalizzazioni e provare a delineare un trend. Tuttavia, nell’attesa delle prossime leggi annuali di delegazione si può affermare che finora la legge del 2012 conserva una forte carica regolatoria dei rapporti tra Parlamento e Governo.
(grafico 2)143
Un'altra informazione interessante che emerge dall’analisi dei dati è rappresentata dal numero di deleghe che vengono effettivamente esercitate
innovazione” delle leggi annuali. Il valore così ottenuto è compreso nell’intervallo tra 0 e 1, laddove in coincidenza dello “0” non vengono previsti nuovi criteri specifici ed in coincidenza dell’”1” viene previsto almeno un criterio specifico per ogni delega. Per esempio, la legge 114/2015 ha conferito al Governo 70 deleghe, e in 22 di queste ha specificato dei criteri direttivi specifici. Il rapporto (22 / 70) dà come risultato 0,31. I dati relativi al grafico sono raccolti ed ordinati nella Tabella II, nell’Appendice.
143 Nota: in questo caso l’ordinata rappresenta un indice compreso tra 0 ed 1, laddove però in coincidenza dello “0” il Governo non ha emanato alcun decreto attuativo, mentre per “1” ha evaso tutte le deleghe conferite. I dati raccolti sono disponibili alla Tabella III, Appendice.
dal Governo. Ad eccezione della legge 117/2019, per la quale ancora non sono state esercitate le deleghe, risulta che l’Esecutivo abbia emanato 165 decreti legislativi a fronte di 190 deleghe conferitegli dal Parlamento, esercitando quindi l’86,84% delle stesse. Il dato è positivo perché attesta un funzionamento “fluido” della legge di delegazione europea, la quale conduce al recepimento degli atti UE senza incontrare grandi intoppi. Come denota il grafico 2, nel corso del tempo la capacità di recepimento del Governo è rimasta costante, salvo un calo (anche in questo caso) relativo alla l. 170/2016.
A seguito del nuovo sistema di recepimento degli atti dell’Unione Europea, pertanto, sembrerebbe che l’Italia abbia trovato un modo per attuare ordinatamente e con tempistiche serrate il diritto europeo. Il dato, tra l’altro, è in linea con quello relativo al rispetto degli obblighi europei da parte dell’Italia, come denota l’andamento delle procedure d’infrazione aperte da parte della Commissione europea:
*Fonte: Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Unione Europea, “Procedure d’infrazione”, xxxxx://xxxxxxxx.xxxxxx.xx/xxxx_xx/xx/xxxxxxxxxx/xxxx_xxxxxxxx/xxxxxxxxx.xxxx
Dai dati emersi è dunque possibile estrarre le informazioni essenziali per rispondere alla domanda iniziale, ossia per capire a quali atti effettivamente si applichi il divieto di «gold plating». Mettendo a confronto le tre categorie di dati (atti UE delegati - criteri direttivi specifici – decreti legislativi attuativi) è possibile individuare a loro volta tre tipi di decreti legislativi: quelli a cui si applica il divieto di «gold plating»; quelli a cui esso si applica soltanto in quanto compatibile con altri vincoli specifici determinati
nella legge delega annuale; quelli per cui l’applicabilità di tale divieto è esclusa. I dati sono così riassunti nel grafico 3.
Si applica il divieto di «gold plating»?
51
101
13
Sì No
Sì, ma va coordinato con criteri specifici
(grafico 3)
È chiaro quindi che il divieto di «gold plating» si applica all’ampia maggioranza dei decreti legislativi di attuazione del diritto UE (101 su 165). Ma la quantità aumenta ancora se si considera che in 51 casi su 165 l’applicabilità del divieto non è esclusa, ma va saggiata caso per caso per capire in concreto come bilanciarla con i criteri di volta in volta specificati. Tuttavia un tale discernimento non può essere svolto in base ad un’analisi prettamente quantitativa, perché implica delle considerazioni di natura esegetica che, in sostanza, competono ai giudici e per quanto di sua competenza alla Corte costituzionale. Sfortunatamente, però, come si vedrà meglio in seguito (infra §12), si assiste finora ad una scarsa elaborazione giurisprudenziale sul tema.
Proprio al fine di chiarire la portata applicativa del divieto di «gold plating» nell’ordinamento, è stata stilata una lista dei decreti legislativi per i quali esso rappresenta parametro interposto di legittimità ex art. 76 Cost.. Essa è consultabile nell’Appendice (Tabella IV). Come si può agevolmente osservare, tra essi sono ricompresi anche provvedimenti concernenti interessi di primaria rilevanza nazionale. Per esempio, il decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 65 recante misure per un livello comune elevato di sicurezza delle reti e dei sistemi informativi nell'Unione, soggiace al divieto di «gold plating». L’importanza strategica di questo settore è attestata dalle recenti modifiche introdotte dal decreto-legge 21 settembre 2019, n. 105, in materia di sicurezza nazionale cibernetica. Sotto altro profilo, tale criterio direttivo
ispira anche il decreto legislativo 11 maggio 2018, n. 71, relativo alle condizioni di ingresso e soggiorno dei cittadini di Paesi terzi per motivi di ricerca, studio, tirocinio, volontariato, programmi di scambio di alunni o progetti educativi e collocamento alla pari. Una misura, quest’ultima, di forte interesse per il processo di integrazione europea e globale.
In sintesi, il divieto di «gold plating» funge da parametro interposto di legittimità per la maggior parte dei decreti legislativi emanati dal Governo nell’ambito del framework costruito dalla l. 234/2012. D’altra parte, è interessante notare che l’applicazione dello stesso è stata esplicitamente esclusa dal Parlamento soltanto in rari casi (tredici tra quelli sopra enumerati), e tutti questi sono accomunati dal fatto di essere stati emanati in attuazione di decisioni-quadro adottate dal Consiglio dell’Unione europea in composizione “Giustizia e Affari Interni”.
5.3. La legge 28 gennaio 2016, n. 11…
Si avrà sicuramente avuto modo di notare che nell’elenco così compilato non compare il riferimento al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, il quale oltre ad essere la fonte primaria della disciplina dei contratti pubblici, è l’atto di recepimento delle tre direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE. Sarebbe stato dunque ragionevole osservarne la collocazione all’interno del quadro generale delineato dalla l. 234/2012, ma così non è stato144. Il decreto in questione è stato adottato dal Governo sulla base della legge 28 gennaio 2016, n. 11, la quale formalmente non si inserisce nel solco delle leggi annuali di delegazione europea145.
Le tre direttive che il Codice dei contratti pubblici del 2016 ha attuato sono nate al termine di un lungo periodo di gestazione a livello europeo cominciato nel 2011146, nel quale si è tentato di apportare le necessarie modifiche alla vecchia normativa in materia di appalti e di integrarla con gli
144 Cfr. CAMERA DEI DEPUTATI, La produzione normativa nella XVII legislatura. Aggiornamento al 31 gennaio 2016, su xxxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxx00/000: “La scelta si giustifica per la complessità e la delicatezza della materia, che impone una organica revisione del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture (decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163), anche nella prospettiva, più volte richiamata, della semplificazione”.
145 Anche se un collegamento potrebbe essere stabilito con l’art. 34 della l. 234/2012, laddove stabilisce la possibilità di conferire “deleghe per il recepimento di atti dell'Unione europea contenute in leggi diverse dalla legge di delegazione europea annuale”.
146 Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, Libro Verde sulla modernizzazione della politica dell’UE in materia di appalti pubblici. Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti, Bruxelles, 27.1.2011, COM(2011) 15 definitivo.
ultimi indirizzi di politica comunitaria147. Le nuove esigenze, che poi hanno trovato sbocco nei testi normativi, sono riassumibili in tre istanze: migliorare il contesto generale per l’innovazione nelle imprese, utilizzando integralmente le politiche incentrate sulla domanda; favorire la transizione verso un’economia efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio, ad esempio promuovendo un più ampio ricorso agli appalti pubblici “verdi”; migliorare il clima imprenditoriale, specialmente per le PMI innovative148. Si è visto come quest’ultimo punto fosse in realtà il leitmotiv di quegli anni149, con noti riflessi anche sul diritto nazionale (supra §5.1.).
L’idea che ispira le direttive del 2014 è quella di consolidare la nuova concezione della materia dei contratti pubblici, andando oltre al mero obiettivo di armonizzare il mercato interno nell’ambito delle commesse pubbliche sulla base dell’art. 114 TFUE e cercando quindi di perseguire ulteriori interessi considerati strategici e di rilevanza apicale nel contesto dell’Unione Europea150: in sostanza, perseguire un “uso strategico degli appalti pubblici in risposta alle nuove sfide”151. In realtà la ratio ispiratrice dell’intervento normativo consta di una limitata portata innovativa, considerato che l’utilizzo strategico degli appalti pubblici per perseguire finalità sociali o ambientali era una possibilità già riconosciuta dalla giurisprudenza della CGUE152.
Le direttrici appena delineate hanno lasciato una chiara impronta nei testi redatti a livello europeo, i quali hanno apportato novità importanti
147 Cfr. COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione della Commissione. Europa 2020. Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, Bruxelles, 3.3.2010 COM(2010) 2020 definitivo.
148 Quest’ultimo elemento appare forse preponderante, come attesta la sua presenza già al considerando n. 2 della direttiva 2014/24/UE: “la normativa sugli appalti adottata ai sensi della direttiva 2004/17/CE … e della direttiva 2004/18/CE … dovrebbe essere rivista e aggiornata in modo da accrescere l’efficienza della spesa pubblica, facilitando in particolare la partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici…”.
149 Le politiche a sostegno delle PMI vengono da lontano, come attestato dalla Carta
europea per le piccole imprese (2000), La comunicazione per attuare il programma comunitario di Lisbona una politica moderna a favore delle PMI per la crescita e l’occupazione (2005) e lo Small Business Act per l’Europa (2008).
150 Vedi art. 9 TFUE: “Nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, l’Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un’adeguata protezione sociale …”; art. 11 TFUE: “Le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e dell’azione dell’Unione …”.
151 Commissione europea, Libro Verde sulla modernizzazione della politica dell’UE in materia di appalti pubblici, op. cit., 36.
152 Per una disamina della tematica in questa prospettiva, vedi HETTNE J, Strategic Use of Public Procurement – Limits and Opportunities, in EPA, 2013(7).
rispetto alla disciplina normativa previgente153. Per quanto riguarda la spinta verso l’innovazione, è stato osservato che la nuova disciplina delinea una specie di “mercato delle conoscenze”154, come attestato dall’art. 31 della direttiva 2014/24/UE che prevede il partenariato per l’innovazione, ossia quella procedura attraverso cui si “punta a sviluppare prodotti, servizi o lavori innovativi e al successivo acquisto delle forniture, servizi o lavori che ne risultano, a condizione che essi corrispondano ai livelli di prestazioni e ai costi massimi concordati tra le amministrazioni aggiudicatrici e i partecipanti”155.
Ma l’elemento che forse ha avuto maggiore impatto, de iure condito, è l’obiettivo di rimuovere quanto più possibile le barriere all’ingresso nel mercato delle commesse pubbliche per le PMI. Di questo aspetto si riscontrano varie attestazioni156: basti pensare alla decisione di dividere in lotti l’oggetto dell’appalto, che diventa la regola157; oppure ai vari istituti atti a permettere la cooperazione delle imprese di piccole dimensioni attraverso la comunione dei requisiti di idoneità professionale, di capacità tecnica ed economica, quali i consorzi o l’avvalimento; o ancora alla scelta di prevedere il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa come criterio ordinario158, il quale tiene conto anche dei “costi del ciclo di vita” dell’oggetto della prestazione contrattuale159.
Sicuramente, però, il maggiore limite all’ingresso delle PMI nel mercato delle commesse pubbliche è rappresentato dall’enorme mole di adempimenti e documentazione amministrativa necessari per partecipare alle gare160, ed è su questo aspetto che le direttive del 2014 cercano di intervenire
153 Vedi CHITI M.P., Le direttive 2014 dell’Unione europea sui contratti pubblici e i problemi della loro attuazione in Italia, in DELLA TORRE G. (a cura di), La nuova disciplina dei contratti pubblici tra esigenze di semplificazione, rilancio dell'economia e contrasto alla corruzione, Milano, 2016, 89.
154 Vedi CHIARIELLO C., Il partenariato per l’innovazione, in Xxxxxxxx.xx, 2016(2).
155 Per un commento della disciplina del partenariato per l’innovazione nell’esperienza italiana, vedi BIGAZZI S., Le “innovazioni” del partenariato per l’innovazione, in XXXXXXXX
A. (a cura di), Nuove forme e nuove discipline del partenariato pubblico privato, Torino, 2017.
156 Vedi XXXXXXXXXXXX X., Xxrategic EU public procurement and small and medium size enterprises, in BOVIS C. (a cura di), Research Handbook on EU Public Procurement Law, Cheltenham, 2016, 268.
157 Art.46 direttiva 2014/24/UE.
158 Art. 67 direttiva 2014/24/UE; l’approccio è ancor più innovativo rispetto al nostro Paese, se si considera che dal punto di vista nazionale l’approccio più risalente era di segno completamente opposto: la legge 11 febbraio 1994, n. 109 (c.d. legge Merlxxx), xella sua versione originaria, attribuiva chiara supremazia al criterio di aggiu.
159 Art. 68 direttiva 2014/24/UE.
160 Considerando n. 84 della direttiva 2014/24/UE: “Molti operatori economici, non da ultimo le PMI, ritengono che un ostacolo principale alla loro partecipazione agli appalti pubblici
con forza. Di regola, infatti, le PMI non hanno un apparato amministrativo e delle capacità tecniche sufficienti a reggere il peso di una burocrazia asfissiante. La raccolta di documentazione relativa alla gara pesa quindi in termini di tempo e conseguentemente di costi, con ripercussioni sulla capacità delle PMI di competere in questo mercato. La problematica era già stata affrontata nel 2008 dalla Commissione europea, con uno strumento di soft law, indicando agli Stati membri alcune possibili soluzioni al problema: prima tra tutte, la preferenza per l’auto-dichiarazione; oppure, la limitazione delle richieste di documentazione qualora la stazione appaltante fosse già per altra xxx xx xxxxxxxx xxxxx xxxxxx000.
La direttiva 2014/24/UE si è limitata a recepire e vincolare gli Stati membri su questi punti, prevedendo l’obbligo per le stazioni appaltanti di accettare il nuovo Documento di Gara Unico Europeo (DGUE)162, oppure stabilendo che “agli operatori economici non è richiesto di presentare documenti complementari o altre prove documentali qualora e sempre che l’amministrazione aggiudicatrice abbia la possibilità di ottenere i certificati e le informazioni pertinenti direttamente accedendo a una banca dati nazionale che sia disponibile gratuitamente in un qualunque Stato membro”163.
Emerge dunque chiaramente da quanto detto che una delle principali ragioni dell’intervento normativo del 2014 fosse proprio quella di ridurre il carico di oneri amministrativi in capo alle imprese, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni. Ma se così è, ben si spiega allora l’inserimento del divieto di «gold plating» all’articolo 1, comma 1, lett. a), della legge 28 gennaio 2016, n. 11. Come si è visto, infatti, una delle finalità ispiratrici dell’istituto è proprio quella di ridurre gli oneri amministrativi in capo alle imprese, con particolare attenzione alle PMI (supra §5.1.).
Il divieto di «gold plating», in questo caso, lungi dall’essere un mero richiamo alla disciplina generale imposta dalla l. 234/2012, è invece un vero e proprio criterio direttivo specifico per la materia dei contratti pubblici così
consista negli oneri amministrativi derivanti dalla necessità di produrre un considerevole numero di certificati o altri documenti relativi ai criteri di esclusione e di selezione”.
161 COMMISSIONE EUROPEA, Commission staff working document european code of best practices facilitating access by smes to public procurement contracts, Brussels, 25.6.2008, SEC(2008) 2193.
162 Art. 59 direttiva 2014/24/UE. Sul legame tra divieto di «gold plating», DGUE ed oneri amministrativi, vedi CALABRÒ M., Appalti pubblici e semplificazione della procedura di presentazione delle offerte. Alla ricerca di un bilanciamento tra fiducia e controllo, in DE, 2017(2), 219.
163 Art. 59, par. 5, direttiva 2014/24/UE.
come delineata dalle direttive del 2014164. D’altronde, lo stesso Legislatore, all’art. 1, prima richiama genericamente l’art. 32 della l. 234/2012, poi nell’elencazione dei criteri “specifici” pone al primo posto proprio il divieto in questione.
Si comprende dunque perché tale criterio direttivo della legge delega abbia ricevuto una consistente attenzione da parte dei primi commentatori, nonostante in realtà dal punto di vista strettamente normativo esso non aggiunga nulla a quanto già disposto dalla l. 234/2012.
5.3.1. … e le reazioni dei commentatori
Una delle primarie esigenze a cui ha fatto fronte la riforma del 2016 è stata quindi quella di semplificare il contesto normativo e amministrativo a beneficio delle piccole e medie imprese165. Il nuovo intento è riscontrabile anche da un punto di vista prettamente quantitativo, dal momento che si è passati da un sistema normativo multilivello, composto da un decreto legislativo e da un regolamento d’attuazione, ad un modello auto-applicativo che prevedeva soltanto la presenza delle Linee guida dell’ANAC e dei decreti ministeriali ad integrare la disciplina codicistica (impostazione comunque abbandonata a seguito del d.l. 32/2019 – c.d. “sblocca-cantieri”). Si è passati da 660 articoli e oltre 1500 commi ad un sistema più snello composto da un articolato di soli 220 elementi, operando quindi una “riforma corposa”166 dell’impianto generale. Nonostante questo intento pregevole, tuttavia, la stesura della legge delega ha preso la maggior parte del tempo disponibile per il recepimento delle direttive, lasciando infine all’attività istruttoria del Governo uno spazio veramente risibile167. Da questo sono originate inesattezze materiali nella prima versione del Codice e la necessità di prevedere un intervento correttivo un anno dopo. Sono state, in sostanza, riesumate le cattive pratiche che venivano criticate alla precedente gestione normativa del Codice del 2006, e finora il d.lgs. 50/2016 ha subito
164 Sul rapporto tra divieto di «gold plating» e partecipazione delle PMI, vedi MARCHIANÒ G., La regolamentazione nella domanda pubblica alla luce della legge delega di recepimento delle nuove direttive: il ruolo dell’amministrazione, in RIDPC, 2016(1), 1.
165 Vedi il comunicato stampa della seduta del Consiglio dei ministri n. 107 del 3.3.2016: “Il nuovo “Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione” contiene criteri di semplificazione, snellimento, riduzione delle norme in materia, rispetto del divieto di gold plating”.
166 Così definita dallo stesso Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, nella conferenza stampa del 3 marzo 2016, che ha annunciato l’approvazione del decreto legislativo.
167 CONTESSA C., Dalla legge delega al nuovo ‘Codice’: opportunità e profili di criticità, op. cit., 3. L’A. sottolinea che l’Italia ha avuto a disposizione ventiquattro mesi per recepire le direttive. Di questi, ventuno sono stati utilizzati per la legge delega e soltanto tre sono stati lasciati al Governo per la concreta redazione del testo.
l’intervento di diciotto atti normativi168, con una media quindi di circa uno ogni tre mesi.
Ma ciò che colpisce è che quasi nella metà dei casi (8 su 18) si è trattato di decreti-legge, ai quali sono chiaramente seguite altrettante leggi di conversione che hanno emendato quanto poc’anzi previsto. Resta da chiedersi in quali casi effettivamente il Governo versasse nei “casi straordinari di necessità e d’urgenza” prescritti dall’art. 77 Cost. per l’esercizio di tale prerogativa: nel frattempo ci si limita a rilevare che tale esperienza è paradigmatica di come le distorsioni dei rapporti istituzionali si ripercuotano sull’assetto delle fonti in un ordinamento, in certi casi vanificando le regole preposte alla semplificazione del contesto normativo169.
Queste brevi considerazioni rendono palese la discrasia tra gli scopi professati dal Legislatore e i risultati raggiunti. In questo binomio, dovrebbe giocare un ruolo fondamentale il divieto di «gold plating», come norma non soltanto attuativa del disegno delle direttive, ma anche volta ad evitare il c.d. “circolo vizioso della normazione”, ossia quel meccanismo per cui l’eccesso e il disordine delle fonti legislative irrigidisce il sistema e richiede interventi di pari rango, innescando per l’appunto un meccanismo circolare attraverso cui il numero di leggi regolatorie di una materia aumenta esponenzialmente170. Il fenomeno descritto, d’altronde, è stato proprio uno dei punti più critici della disciplina sui contratti pubblici del 2006, la quale ha subito una quantità di interventi correttivi, integrativi ed abrogativi tale da essere soltanto stimabile171.
168 A questi interventi, dotati di carattere innovativo dell’ordinamento, va aggiunta la cospicua mole di rettifiche apportate a seguito dell’emanazione nel 2016 (G.U. 15.07.2016, n.164), la quale ha corretto errori materiali presenti in oltre cento disposizioni del Codice.
169 Vedi sul punto DAL CANTO F., Governo vs. Parlamento? Evoluzioni del potere di normazione al tempo della crisi economica. Atti normativi del governo e qualità della normazione, in OF, 2016(3). L’A. rileva come “una produzione normativa che si realizza, in numerosi casi, forzando le regole che ne definiscono i caratteri tipici distintivi, finisce per rischiare di depotenziare, o addirittura “vanificare”, l’efficacia degli istituti posti a presidio della qualità della normazione in senso stretto”.
170 L’espressione è mutuata da MATTARELLA B.G., La trappola delle leggi. Molte, oscure, complicate, Bologna, 2011, 28; nel caso del Codice del 2006, la dialettica tra giurisprudenza e attività normativa è stata serrata: tra il 2006 e il 2016 sono stati sollevati oltre cento rinvii pregiudiziali alla CGUE ex art. 267 TFUE, e di questi venti provenivano dall’Italia; la stessa Adunanza plenaria del Consiglio di Stato è intervenuta con 42 sentenze. Il circolo così instauratosi ha provocato una sorta di “nomorrea” nel contesto degli appalti pubblici. Sul punto, vedi CHITI M. P., Il sistema delle fonti nella nuova disciplina dei contratti pubblici, in GDA, 2016(4), 436.
171 Vedi ancora CHITI M.P., Le direttive 2014 dell’Unione europea sui contratti pubblici e i problemi della loro attuazione in Italia, op. cit., 92, secondo cui “il nostro Codice contratti pubblici del 2006, che aveva attuato le direttive ora citate, è stato successivamente modificato più di duecento volte (tanto che il numero esatto non è definibile precisamente)”. Il Cons. Stato, nell’Adunanza della commissione speciale del 21.3.2016, ha calcolato che in dieci anni sono intervenuti 52 atti normativi a modificare il d.lgs. 163/2006.
I commentatori hanno quindi fin da subito rilevato la portata dirompente del principio ed hanno sviluppato varie considerazioni. Tuttavia, come a breve si dirà, la discussione sul tema ha forse scontato il fatto che i contorni del fenomeno in discussione sono poco nitidi. Come si è già evidenziato (supra §3), il «gold plating» è una locuzione mutuata da un’altra lingua, con tutte le implicazioni che una pratica di questo genere comporta sul piano dello sviluppo dogmatico di un istituto172.
Anzitutto ci si è interrogati sull’estensione del divieto, chiedendosi se lo stesso si applichi soltanto al decreto legislativo emanato originariamente o anche ai successivi atti sopravvenuti, che come visto sono molteplici. La legge delega 11/2016 fornisce una prima risposta per quanto concerne il d.lgs. 19 aprile 2017, n. 56, laddove stabilisce, all’art. 1, comma 8, che “entro un anno dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi di cui al comma 1 il Governo può adottare disposizioni integrative e correttive nel rispetto dei principi e criteri direttivi e della procedura di cui al presente articolo”173.
Per i restanti atti normativi valgono considerazioni più complesse. È stato correttamente rilevato che il «gold plating» è costituito non solo dall’inserimento, ma anche dal mero mantenimento di livelli di regolamentazione superiori rispetto a quelli richiesti dalle direttive (c.d. «gold plating» passivo). Da ciò discende che l’analisi comparativa dei costi connessi ad un intervento normativo non può essere soltanto proiettata in avanti ma deve implicare anche valutazioni di tipo retrospettivo, riferite alla legislazione vigente174. Quindi ogni intervento di riorxxxx x xggiornamento del d.lgs. 50/2016 dovrebbe, a rigor di logica, prevenire la formazione del
«gold plating». Bisogna però ricordare che la legge 11/2016 non è altro che una legge ordinaria, sicché eventuali leggi successive possono legittimamente inserire dei livelli di regolamentazione superiori a quelli previsti dalle direttive: il divieto di «gold plating» funge da criterio di legittimità per l’attività normativa del Governo, non del Parlamento. Ne deriva quindi che tale criterio direttivo originario dev’essere di volta in volta temperato e bilanciato con le disposizioni previste dagli atti normativi di rango primario.
172 CONTESSA C., Dalla legge delega al nuovo ‘Codice’: opportunità e profili di criticità, op. cit., 4.
173 Ed infatti il Governo, con la Relazione AIR sullo schema del d.lgs. 56/2017, ha specificato che “il correttivo contribuisce a risolvere in termini positivi taluni punti che erano suscettibili di introdurre gold-plating sul recepimento”.
174 In questo senso, vedi XXXXXXX L., Il nuovo Codice dei contratti pubblici: regole, procedimento, processo, in GDA, 2016(5), 605; GNES M., Il divieto di "gold plating" nella legge delega sugli appalti pubblici, in QG, 23.3.2016.
Da più parti si sono poi levate delle critiche alle scelte operate nella legge delega, evidenziandone una certa contraddittorietà175, dal momento che prima ha vietato il «gold plating» e poi successivamente ha elencato essa stessa dei criteri direttivi che innalzano i livelli di regolazione rispetto a quelli richiesti dalle direttive176. Anche in questo caso, il problema va risolto alla stregua dei normali rapporti tra le fonti del diritto, sicché nulla vieta – di regola e salvo eccezioni - che il Parlamento si discosti da quanto poc’anzi esso stesso ha stabilito177. Anzi, xxm’è stato già evidenziato (supra §5.1.2.), il divieto di «gold plating» può subire delle deroghe giustificate dall’emergere di interessi considerati parimenti meritevoli di tutela178. Ed è proprio in questo modo che il Consiglio di Stato ha letto i criteri direttivi della legge delega, statuendo che non “potrebbe sostenersi una contraddittorietà intrinseca nella delega, con un primato di una parte di essa sull'altra, dovendosi invece dare delle varie disposizioni una interpretazione armonica e sistematica”179.
Infine, non tutte le disposizioni che regolano la materia dei contratti pubblici sono contenute nel d.lgs. 50/2016. Una parte importante del fabbisogno normativo richiesto da questo settore è stato finora soddisfatto dall’ANAC, che come detto è abilitata a adottare Linee guida aventi varia
000 XX XXXXXXXX X., Xx nuovo codice dei contratti pubblici, in Urb. App., 2016(5),503; CONTESSA C., Dalla legge delega al nuovo ‘Codice’: opportunità e profili di criticità, op. cit.; CAIAXXXXX X., Il fenomeno del lobbying entro la disciplina nazionale sul dibattito pubblico, in Ist. Fed., 2018(3-4), 371; GNES M., Il divieto di "gold plating" nella legge delega sugli appalti pubblici, op. cit..
176 CONTESSA C., Xxllx xxxge delega al nuovo ‘Codice’: opportunità e profili di criticità, op. cit., 5, che fornisce un elenco non esaustivo dei criteri direttivi in eccesso. Questi sono: la previsione di un sistema di penalità e premialità per la denuncia obbligatoria delle richieste estorsive e corruttive (criterio di delega q5); ora: articolo 83, comma 10 del nuovo Codice); l’istituzione di un nuovo albo nazionale obbligatorio dei componenti delle commissioni giudicatrici (criterio di delega hh); ora: articolo 78 del nuovo Codice); l’istituzione presso l’ANAC di un elenco di enti aggiudicatori di affidamenti in regime di c.d. ‘in house providing’ (criterio di delega eee); ora: articolo 192 del nuovo Codice); la previsione di una particolare disciplina transitoria per l’affidamento delle concessioni autostradali scadute o prossime alla scadenza (criterio di delega mmm) – ora: articolo 178 del Codice); l’introduzione di una prima disciplina nazionale in tema di lobbismo accreditato’ e di débat public (criteri di delega ppp e qqq); ora: articolo 22 del nuovo Codice). Invero, anche CAMERA DEI DEPUTATI, Dossier n° 92 - Elementi di valutazione sulla qualità del testo 30 luglio 2015, disponibile su xxxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxx00/000?xxxx0000, relativamente al
A.C. 3194, ammoniva sulla opportunità “di valutare come si coordinino con tale divieto talune previsioni (per esempio quelle contenute nelle lettere n), ff), gg) e oo) ), che sembrano introdurre ulteriori adempimenti rispetto a quelli previsti dalle direttive ovvero che sembrano limitare la portata di talune disposizioni delle direttive medesime”.
177 Tale regola è riassunta dall’espressione di Dicex “the Parliament cannot bind its successors”, la quale subisce certamente dei temperamenti negli ordinamenti contemporanei, ma che nel caso di specie conserva la propria pregnanza.
178 Art. 14, comma 24-quater, l. 246/2005.
179 Cons. Stato, adunanza della commissione speciale del 21.3.2016, n. 855, reso sullo schema del d.lgs. 50/2016.
natura giuridica (supra §3). Anche da questi strumenti possono derivare adempimenti burocratici ed oneri amministrativi ingiustificati, in eccesso rispetto a quanto richiesto dalle direttive. Per questo motivo il Codice ha fin da subito fugato ogni ambiguità, stabilendo all’art. 213, comma 2, che l’Autorità si doti di strumenti di “analisi e di verifica dell'impatto della regolazione […] in modo che siano rispettati la qualità della regolazione e il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalla legge n. 11 del 2016 e dal presente codice”180. La previsione è quantomai opportuna dal momento che, come si vedrà a breve, in alcuni casi il «gold plating» si genera proprio in questa sede ed anzi, l’Autorità è stata accusata di avere un approccio “indirizzato verso una forte tendenza espansiva dei regimi vincolistici”181.
Un altro aspetto che ha diviso i commentatori è la natura dell’istituto in questione. Sono due le possibili letture: da una parte c’è chi ha annoverato il divieto di «gold plating» tra gli strumenti di deregulation182; dall’altra, invece, si trova chi ha individuato in esso uno strumento volto a contenere gli oneri amministrativi183. Tra le due, parrebbe preferibile la seconda impostazione, sia per le ragioni sistematiche finora esposte (supra §1.2.), sia perché lo stesso Consiglio di Stato pare aderire a questa tesi, laddove afferma che il “divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive va rettamente interpretato in una prospettiva di riduzione della "oneri non necessari", e non anche in una prospettiva di abbassamento del livello di quelle garanzie che salvaguardano altri valori costituzionali, in relazione ai quali le esigenze di massima semplificazione e efficienza non possono che risultare recessive”184.
Da ultimo, è interessante registrare le riflessioni della dottrina in merito alle possibili ipotesi di «gold plating» presenti nel d.lgs. 50/2016 e nelle Linee guida dell’ANAC.
180 Sul punto vedi anche D’ALTERIO E., Regolare, vigilare, punire, giudicare: l’ANAC nella nuova disciplina dei contratti pubblici, in GDA, 2016(4), 499; LONGOBARDI N., L’Autorità nazionale anticorruzione e la nuova normativa sui contratti pubblici, op. cit..
181 Vedi COLAVITTI G., L’affidamento dei servizi legali tra Codice dei contratti pubblici e Linee guida ANAC: una probabile violazione del divieto di gold plating, in RTA, 2019(1), 47.
182 MANTINI P., Nuovo codice degli appalti tra Europa, Italia e Autonomie Speciali, in Xxxxxxxx.xx, 2016(2); CAROLI CASAVOLA H., Le procedure di aggiudicazione, in GDA, 2016(4), 451.
000 XX XXXXXXXX X., Xx nuovo codice dei contratti pubblici, op. cit., 506.
184 Cons. Stato, parere n. 855/2016. In questo senso, vedi anche Corte cost., 100/2020, infra
§12.2.3.
5.3.2. Le possibili ipotesi di «gold plating»
Una scelta che ha destato particolare scalpore fin dagli esordi è stata quella di limitare il ricorso al subappalto nel limite del 30% dell’importo complessivo dei contratti di lavori, servizi o forniture185. Tale limite non compare infatti in alcuna disposizione delle direttive, ed oltre ad essere una restrizione in eccesso, limita l’ingresso delle PMI nel mercato delle commesse pubbliche186. Invero, nella bozza originaria del Codice il limite del 30% era limitato alle opere c.d. “super-specialistiche”, poiché lo stesso Governo aveva rilevato che “la direttiva lascia sostanzialmente libera tale facoltà” e che “il nostro ordinamento e la legge delega prevedono il divieto di gold plating”187. D’altra parte, il Consiglio di Stato, nel parere n. 855/2016 sulla medesima bozza, aveva invitato il Governo a vagliare la possibilità di estendere il limite del 30% a tutti i contratti, con l’avvertimento però che “l'AIR dovrebbe indicare con pregnante motivazione le ragioni di ancor più generale interesse pubblico (tutela della trasparenza e del lavoro), poste a base della scelta – ovviamente politica - di estensione dei limiti al subappalto”. Sulla scorta di queste indicazioni il Governo ha quindi deciso di apporre tale “miglioria” allo schema originario.
Gli sviluppi della vicenda sono poi cosa nota. Dapprima, la Commissione europea ha aperto una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia, adducendo proprio un contrasto tra la disposizione dell’art. 105, comma 2, del d.lgs. 50/2016 e l’articolo 63, paragrafi 1 e 2, nonché l’articolo
71 della direttiva 2014/24/UE188. Poi, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha definitivamente acclarato l’illegittimità dell’art. 105, comma 2, rispetto al diritto UE189.
185 Vedi art. 105, comma 2, versione originale del d.lgs. 50/2016.
186 Si vedano, sul punto, le riflessioni di MANTINI P., Nuovo codice degli appalti tra Europa, Italia e Autonomie Speciali, op. cit.; PAJNO A., La nuova disciplina dei contratti pubblici: le regole, i controlli, il processo, su xxx.xxxxxxxxxxxx.xx, 2015, 18; GIANXXXXX X., Il nuovo codice dei contratti pubblici: cronaca di una rivoluzione (solo) annunciata, in Nuove Autonomie, 2016(3), 391; XXXXXXX G.A., Il subappalto dei contratti pubblici tra autonomia imprenditoriale e limiti di interesse pubblico, in RIDPC, 2018(1), 85.
187 Vedi la Relazione illustrativa allo “Schema di decreto legislativo recante disposizioni per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”, trasmesso alla Presidenza del Senato il 5 marzo 2016, disponibile su xxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxx/00/XXX/Xxxxxx/xxxxxxxxx/00000.xxx.
188 Vedi COMMISSIONE EUROPEA, Costituzione in mora – Infrazione n. 2018/2273, Bruxelles, 24.1.2019, 452 final.
189 Causa C-63/18 (Vitaxx X.x.A. contro Autostrade per l’Italia S.p.A.)
Altra scelta criticata è quella relativa al soccorso istruttorio190. Com’è noto, attraverso tale istituto “le carenze di qualsiasi elemento formale della domanda possono essere sanate”191. Orbene, nella versione originale del Codice era ammessa una regolarizzazione a patto che il concorrente procedesse al “pagamento, in favore della stazione appaltante, della sanzione pecuniaria stabilita dal bando di gara, in misura non inferiore all'uno per mille e non superiore all'uno per cento del valore della gara e comunque non superiore a 5.000 euro”. È stato a tal proposito correttamente rilevato che la disposizione in esame, oltre a suscitare qualche dubbio rispetto al divieto di
«gold plating», rappresentava certamente un eccesso di delega del Governo192, poiché la legge 11/2016 attribuiva esplicitamente la “piena possibilità di integrazione documentale non onerosa di qualsiasi elemento di natura formale della domanda”193. A tacer di quest’aspetto, il soccorso istruttorio oneroso si ripercuoteva in modo discriminatorio sulla partecipazione delle PMI alle gare, sia perché queste ultime risultano maggiormente penalizzate dal coacervo di oneri dichiarativi e documentali, sia perché la previsione di una sanzione pecuniaria di ammontare “fisso” produce ex se una forma di discriminazione indiretta194. Diverso sarebbe stato, a parer dello scrivente, se la sanzione fosse stata commisurata per esempio al fatturato annuo dell’impresa, attribuendo così valore alla diversa capacità degli operatori di far fronte agli oneri amministrativi.
Non a caso, il soccorso istruttorio oneroso è stato fin dall’inizio oggetto degli attacchi della giurisprudenza, che ne ha rilevato i possibili elementi di attrito con l’ordinamento UE, sollevando una questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE195. La Corte, in risposta, ha affermato che le norme dell’Unione europea “non ostano, in linea di principio, a una normativa nazionale che istituisce un meccanismo di soccorso istruttorio in forza del quale l’amministrazione aggiudicatrice può, nel contesto di una
190 Vedi GIANNELLI A., Il nuovo codice dei contratti pubblici: cronaca di una rivoluzione (solo) annunciata, op. cit.; DI NITTO T., Gli oneri dichiarativi e il soccorso istruttorio, in GDA, 2016(4), 464
191 Art. 83, comma 9, d.lgs. 50/2016. L’istituto rappresenta un adattamento alla materia degli appalti della più generale disciplina prevista dall’art. 6, comma 1, lett. b), l. 241/1990.
192 Sul punto vedi DI NITTO T., Gli oneri dichiarativi e il soccorso istruttorio, op. cit., 467.
193 Art. 1, comma 1, lett. z).
194 Vale a dire un trattamento apparentemente neutro ed uguale per tutti ma che in realtà tradisce una condizione di fatto fortemente differenziata.
195 Vedi Tar Lazio – Roma, sez. III, 3.10.2016, ord. n. 10012; 13.10.2016, ord. n. 10222. Il Giudice ha rilevato che “il rischio della “sproporzione” è dunque insito e strutturale nello stesso meccanismo normativo, giacché concepito in modo tale da non evitare (in generale) l’applicazione di sanzioni di misura uguale in relazione a fattispecie notevolmente diverse, sintomatiche di diversa gravità della condotta rispettivamente ascrivibile alle diverse imprese concorrenti”.
procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, invitare l’offerente la cui offerta sia viziata da irregolarità essenziali ai sensi di detta normativa a regolarizzare la propria offerta previo pagamento di una sanzione pecuniaria, purché l’importo di tale sanzione rimanga conforme al principio di proporzionalità, circostanza questa che spetta al giudice del rinvio verificare”196.
L’intervento della Corte è risultato comunque superfluo dal momento che il Governo, con il d.lgs. 56/2017, aveva già “corretto” tale disposizione ed eliminato il riferimento alla sanzione amministrativa.
Un altro elemento che può destare qualche perplessità è rappresentato dall’istituto dell’avvalimento, ossia lo strumento attraverso cui “l’operatore economico […] può soddisfare la richiesta relativa al possesso dei requisiti di carattere economico, finanziario, tecnico e professionale di cui all’art. 83”197. Come tale, esso punta ad ampliare la capacità delle PMI di partecipare alle gare, e quindi la sua maggiore o minore estensione rappresenta una precisa scelta di politica economica.
Ora, la scelta delle direttive europee e conseguentemente del Codice del 2016 è stata quella di permettere il ricorso all’avvalimento come regola generale. Tuttavia, l’art. 146 del Codice prevede un’importante deroga, laddove stabilisce che per i contratti relativi al settore dei beni culturali, “considerata la specificità del settore ai sensi dell’art. 36 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, non trova applicazione l’istituto dell’avvalimento”. La disposizione è stata fin da subito accostata al concetto di «gold plating», non soltanto dai primi commentatori198, ma anche dal Consiglio di Stato199.
Quest’ultimo ha evidenziato come una restrizione dell’ambito d’applicazione dell’avvalimento costituisca certamente «gold plating», ma ha anche riconosciuto che tale scelta possa ritenersi giustificata proprio in ragione della specificità della materia e degli interessi coinvolti, come si evince dal richiamo all’art. 36 del TFUE. D’altronde, i Giudici di Palazzo Spada hanno fin da subito esplicitato la ratio del divieto di «gold plating», riconoscendo che il superamento dei livelli minimi di regolazione possa ritenersi giustificato “(quando non imposto) dalla salvaguardia di interessi e
196 CGUE, Cause riunite C‑523/16 e C‑536/16.
197 Art. 89, comma 1, d.lgs. 50/2016. Vedi anche XXXXXXXX C., I requisiti degli operatori economici, in GDA, 2016(4), 495.
198 Vedi ALBISINNI F., I contratti pubblici concernenti i beni culturali, in GDA, 2016(4), 510; GIANXXXXX X., Il nuovo codice dei contratti pubblici: cronaca di una rivoluzione (solo) annunciata, op. cit..
199 Vedi sempre Cons. Stato, parere n. 855/2016.
valori costituzionali, ovvero enunciati nell'art. 36 del TFUE”200. D’altronde, la stessa Corte di Giustizia dell’Unione europea ha chiarito che anche per la materia dei contratti pubblici vale l’assunto per cui “va riconosciuto agli Stati membri un certo potere discrezionale nell’adozione delle misure destinate a garantire il rispetto del principio della parità di trattamento e dell’obbligo di trasparenza. […] Infatti, il singolo Stato membro è nella posizione migliore per individuare, alla luce di considerazioni di ordine storico, giuridico, economico o sociale che gli sono proprie, le situazioni favorevoli alla comparsa di comportamenti in grado di provocare violazioni del rispetto del principio e dell’obbligo summenzionati”201.
Ad ogni modo, anche nel caso degli appalti nel settore dei beni culturali, il Consiglio di Stato ha ricordato che il «gold plating», per essere giustificato, dev’essere accompagnato da un’adeguata motivazione nella relazione AIR.
Più in generale, il divieto di introdurre livelli di regolazione superiori rispetto a quelli richiesti dalle direttive, specialmente nella materia dei contratti pubblici, contrasta con un eccessivo “formalismo” nelle gare, che si sostanzia nell’espansione a dismisura degli oneri dichiarativi202 e nell’irrigidimento dei requisiti generali di partecipazione203.
Riguardo a questi ultimi, per esempio, è stata criticata la scelta del Legislatore di limitare l’operatività del c.d. «self-cleaning»204 in materia di regolarità fiscale205. Com’è noto, l’art. 80, comma 4, d.lgs. 50/2016 prevede l’esclusione del partecipante alla gara che non sia in regola con il pagamento
200 Per il rapporto tra l’art. 36 TFUE e la materia dei contratti pubblici, vedi HETTNE J,
Strategic Use of Public Procurement – Limits and Opportunities, op. cit., passim.
201 CGUE, C-425/14 (Impresa Edilux Srl contro Assessorato ai Beni Culturali e dell’Identità Siciliana)
202 Un esempio di tale tendenza è offerto dalla giurisprudenza di questi anni in materia di “gravi illeciti professionali” ed obblighi dichiarativi connessi. I più recenti indirizzi affermano infatti il principio di “onnicomprensività delle dichiarazioni”, sicché gli operatori economici sono tenuti a riferire alla stazione appaltante qualsiasi fatto astrattamente idoneo a porre in dubbio la loro affidabilità morale e professionale. Sul punto, ex plurimis, vedi Cons. Stato, sez. III, 5.3.2020, n. 1633; Cons. St. sez. III, 20.12.2018, n. 7173; Cons. St. sez. III, 13.6.2018, n. 3628. Per un commento sugli ultimi arresti in materia, sia concesso un rimando a RIVELLINI G., Gli obblighi dichiarativi nel codice dei contratti pubblici: tra omesse e false dichiarazioni, in Urb. App., 2020(2), 163.
203 Vedi GNES M., Il divieto di "gold plating" nella legge delega sugli appalti pubblici, op. cit..
204 L’istituto è disciplinato in via generale dall’art. 80, commi 7 e 8, d.lgs. 50/2016, e costituisce una sorta di “ravvedimento operoso” in materia di cause di esclusione. Vedi FEZZA A., XXXXXXXX G., XXXXXX I. A., Le misure di "self cleaning" tra codice dei contratti pubblici, le linee guida ANAC e modelli organizzativi ex d.lgs. n. 231 del 2001, in RTA, 2019(1), 247.
205 Vedi GIOVANNELLI M., Partecipazione a gare di appalto e requisiti di regolarità fiscale, in Urb. App., 2018(2), 237.
delle imposte, delle tasse o dei contributi previdenziali. Tuttavia, a tale regola fa eccezione il caso in cui “l’operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, […] purché il pagamento o l’impegno siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande”. Ebbene, quest’ultimo inciso è frutto di una scelta del Governo, e non trova alcun fondamento nell’art. 57 della direttiva 2014/24/UE, che anzi specifica soltanto che tale motivo di esclusione “non è più applicabile quando l’operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe”. La disposizione in esame, quindi, costituisce de plano un’ipotesi di «gold plating», non soltanto per l’aggravio normativo che comporta, ma soprattutto perché rappresenta una barriera all’ingresso nelle gare per gli operatori economici. Non si esclude però che questa possa trovare una giustificazione in altri interessi considerati meritevoli di tutela, quali la certezza del diritto e la par condicio dei partecipanti alla gara. È stato infatti rilevato che tale opzione “consente a tutti i concorrenti di conoscere esattamente i termini entro cui lo strumento può essere utilizzato, evitando di rimettere all’interprete il compito di individuare le modalità e le condizioni di utilizzo e dunque scongiurando sin da subito il rischio di interpretazioni diversificate dell’enunciato normativo”206; ed è proprio questa la posizione assunta dalla giurisprudenza, la quale è stata chiamata a delibare la necessità di sollevare una q.l.c. sulla disposizione di cui all’art. 80, comma 4207.
Sempre riguardo agli oneri dichiarativi, un'altra disposizione di dubbia compatibilità con il divieto di «gold plating» è l’art. 95, comma 10, del Codice, laddove prevede che “nell’offerta economica l’operatore deve indicare i propri costi della manodopera e gli oneri aziendali concernenti l’adempimento delle disposizioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro”208. La norma, inutile a dirlo, è di origine nazionale e non trova alcun fondamento nelle direttive. Xxxx, è frutto del correttivo del 2017, per il
206 Ibidem, 243.
207 Vedi Tar Lazio – Roma, sez. II, 9.11.2017, n. 11173, con cui si afferma che “il giusto punto di equilibrio rinvenibile nella norma de qua è frutto di scelta coerente e consapevole, tesa ad armonizzare nel modo ottimale il principio del favor partecipationis con quello della par condicio nonché con l’altro principio superiore costituito dall’interesse pubblico al corretto e funzionale svolgimento delle gare pubbliche”; in senso analogo Tar Lazio – Roma, sez. I-quater, 17.11.2017, n. 11384;
208 Sulla rilettura di tale norma alla luce del divieto di «gold plating», vedi CAMPONESCHI G., Indicazione dei costi per la manodopera, completezza sostanziale dell'offerta e cause di esclusione. Note a margine di Cons. Stato, ad. plen. (ord.), 24 gennaio 2019 n. 3, in Xxxxxxxx.xx, 2019(5).
quale il Governo ha avuto ampio margine per svolgere un’istruttoria adeguata.
Sul punto si è aperta una querelle giurisprudenziale, che ha visto fronteggiarsi la fazione di chi ritiene che la violazione di tale obbligo comporti l’esclusione dalla gara209, contro chi invece sostiene che questa mancanza sia sanabile tramite il soccorso istruttorio210. La prima tesi sembra privilegiare un approccio maggiormente formalistico e incentrato sulla par condicio dei partecipanti alla gara - pur tutelando in seconda battuta anche altri interessi di primaria importanza come la tutela dei lavoratori – la seconda invece propugna chiaramente il favor partecipationis.
A dirimere la diatriba è intervenuta, anche stavolta, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale ha affermato che le direttive UE “non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempreché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione”. Tale assunto, però, subisce un’eccezione - specifica la Corte - perché “se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice” 211.
Il “nodo gordiano” dell’indicazione dei costi della manodopera sembrava sciolto, ma la giurisprudenza interna ha cominciato ad interrogarsi sulla portata dell’eccezione delineata dalla Corte, la quale ha stabilito una relazione tra l’impossibilità materiale di indicare i costi nell’offerta e la
209 Cons. Stato, sez. V, 7.2.2017, n. 815; Cons. Stato, sez. V, 28.2.2018, n. 1228; Cons. Stato, sez. V, 12.3.2018, n. 1228; Cons. Stato, sez. V, 25.9.2018, n. 653.
210 Cons. Stato, sez. III, 27.4.2018, n. 2554. Tra l’altro, è interessante notare come in questa sentenza i giudici di Palazzo Spada richiamino esplicitamente il divieto di «gold plating» a sostegno della propria tesi.
211 CGUE, Causa C-309/18 (Xxxxxxxx S.r.l. contro Comune di Montelanico et al.).
pretesa di utilizzare il soccorso istruttorio212. Il punto ha sollevato ulteriori problemi ermeneutici, fino ad infrangersi su un nuovo arresto dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la quale ha fatto autorevolmente applicazione del principio di diritto enunciato dalla CGUE: la materiale impossibilità di indicazione dei costi della manodopera deve ritenersi insussistente se anche soltanto uno dei partecipanti alla procedura ha ottemperato all’obbligo previsto dall’art. 95, comma 10213.
L’approdo, seppur ineccepibile sul piano argomentativo, rischia di condurre a risultati estremi. Ad esempio, è possibile che la concorrenza in una gara venga “falcidiata” in ragione del fatto, del tutto estrinseco e formale, che tutti i concorrenti tranne uno non hanno formalmente esplicitato i costi relativi della manodopera. Questo anche a prescindere dall’eventuale congruità dell’offerta, che non viene neanche presa in considerazione.
L’interpretazione della disposizione sembrerebbe costituire «gold plating». Ciò che resta da indagare è (se e) come esso venga giustificato. Tale informazione però non è fornita dalla relazione AIR allegata allo schema del d.lgs. 56/2017.
Infine, come anticipato, anche l’ANAC nella sua funzione regolatoria può introdurre «gold plating». Per questo motivo è previsto che essa si doti di strumenti di analisi adeguati a prevenirne la formazione e che pubblichi sul proprio sito istituzionale le risultanze della propria istruttoria.
Secondo alcuni commentatori, però, questo non ha evitato che venissero introdotti surrettiziamente dei livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive. Le materie maggiormente colpite sono l’in house providing214 e l’affidamento dei servizi xxxxxx000.
212 Sul punto, vedi Cons. Stato, sez. V, 24.1.2020, n. 604; Cons. Stato, sez. V, 10.2.2020, n. 1008; Tar Lazio – Roma, sez. XX-xxx, 00.0.0000, n. 1994.
213 Vedi Cons. Stato, Ad. Plen, 2.4.2020, n. 7.
214 Vedi PAJNO A., La nuova disciplina dei contratti pubblici: le regole, i controlli, il processo, op. cit.; MANTINI P., Nuovo codice degli appalti tra Europa, Italia e Autonomie Speciali, op. cit.; FRACCHIA F., Senato della repubblica – Commissione VIII Lavori pubblici. Audizione 15 gennaio 2015, disponibile su xxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxx/00/XXX/Xxxxxx/Xxxxxxx/xxxxxxxxx/00000_xxxxxxxxx.xxx; soprattutto per Linee guida ANAC n. 7, vedi SPAGNA V., L’elenco ANAC delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti delle proprie società in house. Luci ed ombre della nuova disciplina, in RGE, 2019(1), 67; XXXXXXX M., Amministrazioni statali e affidamenti in house, in GDA, 2018(3). 286.
215 COLAVITTI G., L’affidamento dei servizi legali tra Codice dei contratti pubblici e Linee guida ANAC: una probabile violazione del divieto di gold plating, op. cit..
Rispetto al primo, com’è noto, le direttive del 2014 ampliano la possibilità di ricorrere all’affidamento interno216, il quale a partire dalla giurisprudenza Teckal permette di derogare alla normale disciplina ad evidenza pubblica217. Il Legislatore italiano ha recepito le nuove disposizioni, senza alterarne la sostanza, parte nel d.lgs. 50/2016218 e parte nel d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175 (“Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica”)219. Per quel che interessa in questa sede, l’art. 192 del Codice, rubricato “Regime speciale degli affidamenti in house”, dispone che “È istituito presso l’ANAC, anche al fine di garantire adeguati livelli di pubblicità e trasparenza nei contratti pubblici, l’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti delle proprie società in house”.
Da una prima lettura della disposizione, parrebbe che l’iscrizione nell’elenco curato dall’ANAC possa avere effetti ulteriori rispetto alla garanzia di “adeguati livelli di pubblicità e trasparenza”. Questa interpretazione però è stata categoricamente smentita dal Consiglio di Stato, il quale ha chiarito che il ricorso all’in house providing è subordinato alla mera domanda di iscrizione al suddetto elenco, non già all’effettiva iscrizione220. È escluso quindi che la stessa sia dotata di efficacia costitutiva.
I problemi sono sorti quando l’ANAC ha emanato le proprie Linee guida n. 7, recanti “Linee Guida per l’iscrizione nell’Elenco delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti di proprie società in house previsto dall’art. 192 del d.lgs. 50/2016”. In queste sono fissati i criteri che l’Autorità segue per iscrivere le amministrazioni aggiudicatrici nell’elenco.
216 SPAGNA V., L’elenco ANAC delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti nei confronti delle proprie società in house. Luci ed ombre della nuova disciplina, op. cit., 71. L’art. 12 della direttiva 2014/24/UE stabilisce che l’affidamento diretto ad una società controllata è concesso quando: a) l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica di cui trattasi un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi; b) oltre l’80 % delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dall’amministrazione aggiudicatrice di cui trattasi; e c) nella persona giuridica controllata non vi è alcuna partecipazione diretta di capitali privati, ad eccezione di forme di partecipazione di capitali privati che non comportano controllo o potere di veto, prescritte dalle disposizioni legislative nazionali, in conformità dei trattati, che non esercitano un’influenza determinante sulla persona giuridica controllata.
217 CGUE, Causa C-107/98 (Teckal S.r.l. contro Comune di Viano). Per l’evoluzione dell’istituto, vedi XXXXXX X., Public Procurement and Contracting Authorities, in BOVIS C. (a cura di), Research Handbook on EU Public Procurement Law, Cheltenham, 2016, 60, spec. 83.
218 Vedi art. 5, comma 1, del d.lgs. 50/2016.
219 Artt. 4 e 16 del d.lgs. 175/2016.
220 Cons. Stato, parere 855/2016.
Formalmente, non sono previsti ulteriori requisiti rispetto a quelli richiesti dall’art. 5 del Codice (che a sua volta, come visto, segue pedissequamente le direttive), ed anzi l’ANAC si è preoccupata di non introdurre ulteriori oneri in capo alle amministrazioni proprio per prevenire il «gold plating»221; tuttavia il procedimento di iscrizione costituisce comunque un aggravio amministrativo, obbligando talvolta l’amministrazione istante a fornire delle controdeduzioni222.
Sul punto il Consiglio di Stato, nel parere reso proprio sulla prima versione delle Linee guida223, ha aderito alla tesi secondo cui l’iscrizione non è dotata di efficacia costitutiva e anzi l’affidamento diretto è subordinato alla mera domanda dell’amministrazione aggiudicatrice224, tuttavia ha anche precisato che la fattispecie descritta dall’art. 192 del Codice rispecchia quella delineata dall’art. 19 della l. 241/1990 (S.C.I.A.), sicché l’istanza dell’amministrazione è un atto di impulso che innesca il controllo dell’ANAC. Da ciò discenderebbe, secondo alcuni commentatori, che siccome l’Autorità ha previsto dei controlli molto stringenti sul requisito del “controllo analogo”, sono stati inseriti surrettiziamente dei livelli di regolazione superiori a quelli richiesti dalle direttive225.
Infine hanno ricevuto delle critiche anche le Linee guida ANAC n. 12, volte a fornire le indicazioni operative per procedere agli affidamenti di servizi legali sotto la vigenza del d.lgs. 50/2016226. Quest’ultimo, all’art. 17, disciplina i settori esclusi dalla disciplina ad evidenza pubblica, ricomprendendo tra questi i sevizi legali riconducibili a tre categorie: anzitutto quelli relativi alla difesa in giudizio; in secondo luogo, quelli che sono espressione di attività stragiudiziale comunque connessa all’attività giurisdizionale (c.d. di precontenzioso); infine quelli riconnessi, anche occasionalmente, all’esercizio di pubblici poteri. La disposizione italiana anche in questo caso ricopia quella di derivazione europea227.
A sua volta, l’ANAC ha fornito un’interpretazione dell’art. 17 del Codice, stabilendo che cosa si intende per servizi legali connessi all’esercizio
221 Vedi ANAC, Relazione AIR sulle Linee guida n. 7, disponibile su xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxx/xxxxxx/xxxxxxx/Xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx/XxxxxxxxxXxxxxx ci/LineeGuida/_lineeGuida7.
222 Vedi Linee Guida n. 7, punto 5.
223 Cons. Stato, Adunanza della Commissione speciale del 9 gennaio 2017, n. 282.
224 È interessante notare che i giudici di Palazzo Spada hanno fatto ricorso ad un’interpretazione costituzionalmente orientata, dal momento che hanno richiamato espressamente il divieto di «gold plating» come uno degli elementi che fanno propendere per l’efficacia meramente dichiarativa dell’iscrizione all’elenco.
225 Vedi MACCHIA M., Amministrazioni statali e affidamenti in house, op. cit..
226 Vedi COLAVITTI G., L’affidamento dei servizi legali tra Codice dei contratti pubblici e Linee guida ANAC: una probabile violazione del divieto di gold plating, op. cit..
227 Vedi art. 10, par. 1, lett. d), direttiva 2014/24/UE.
di pubblici poteri, come tali intendendosi soltanto quelli che “rappresentano un presupposto logico dell’esercizio del potere, ponendosi alla stregua di una fase del procedimento in cui il potere pubblico è esercitato”228. È chiaro che da una lettura più o meno estesa di tale nozione discendono importanti conseguenze sul piano della disciplina applicabile ai contratti concernenti i servizi legali. È stato per esempio evidenziato come le direttive in realtà facciano propendere per un’interpretazione più ampia dell’esclusione229.
Il problema, in sintesi, deriva dal fatto che ai c.d. contratti esclusi si applicano i principi previsti dall’art. 4 del Codice: economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica. Chiaramente principi ampi che conducono a delle procedure più flessibili e snelle rispetto a quelle previste ordinariamente dal Codice. Oltretutto, tali principi sono spesso enucleati in concetti giuridici indeterminati, e quindi necessitano di un’attività definitoria e di un consolidamento della prassi applicativa. Per questo motivo l’ANAC è intervenuta anche per cercare di specificarne i tratti essenziali.
Per ciò che concerne il principio di pubblicità, per esempio, l’Autorità ha evidenziato l’opportunità di pubblicare degli avvisi sui proprio siti istituzionali, dando adeguato preavviso per la presentazione delle offerte. Con riguardo all’economicità, le amministrazioni aggiudicatrici sono tenute a vagliare la congruità ed equità del compenso pattuito (i.e. motivando adeguatamente sul punto), magari ricorrendo alla comparazione con precedenti affidamenti. Ma soprattutto, è previsto che i soggetti comunque coinvolti in tali procedure siano in possesso dei requisiti ricavabili dall’art. 80 del Codice230.
Insomma, la disciplina stabilita nel complesso dall’ANAC sembra ignorare la natura dei rapporti negoziali aventi ad oggetto i servizi legali, caratterizzati da una spiccata rilevanza dell’intuitus personae. Ne deriva un apparato regolatorio tendenzialmente in eccesso rispetto a quanto richiesto dalle direttive, anche se in questo caso, proprio in ragione del carattere “indeterminato” dei concetti di derivazione europea, lo spazio discrezionale per il regolatore nazionale è maggiore.
Ed è proprio su questo aspetto che ha fatto leva l’ANAC, chiamata a fornire una motivazione sul superamento dei livelli minimi di regolazione previsti dalle direttive. Secondo l’ANAC, “l’atto regolatorio in esame, in
228 Linee guida ANAC n. 12, punto 1.4.1. A titolo esemplificativo, rientra in questa categoria la “collaborazione per la redazione di proposte di elaborati normativi, di natura legislativa e regolamentare”.
229 Vedi COLAVITTI G., L’affidamento dei servizi legali tra Codice dei contratti pubblici e Linee guida ANAC: una probabile violazione del divieto di gold plating, op. cit., 51.
230 Linee guida ANAC n. 12, punto 3.1.5.
conformità al principio del divieto di gold plating, non ha prescritto alcuna specifica, tassativa procedura che le stazioni appaltanti sono tenute a seguire nell’affidamento dei servili legali esclusi dal Codice dei contratti pubblici, né ha previsto come obbligatorio il confronto di più preventivi, ma ha declinato i principi di cui al citato art. 4, seguendo, tra l’altro, anche le indicazioni contenute nella Comunicazione interpretativa 2006/C 179/02 della Commissione europea”231.
5.4. Le direttive applicative del Presidente del Consiglio dei ministri
Avendo passato in rassegna il quadro normativo interno di rango primario, resta da chiedersi quali siano i concreti margini di operatività del divieto di «gold plating». Se, come si è dimostrato, l’istituto in esame presenta il carattere della “generalità”, non solo per la collocazione normativa, ma anche per la concreta diffusione nel panorama delle fonti, d’altra parte si coglie il rischio che questo possa essere anche “generico”. Come coniugare, infatti, l’ampio spettro applicativo della norma con l’eterogeneo panorama degli atti cui essa fa riferimento?
Invero, nell’impianto previsto dalla legge 246/2005, la quale ha aperto le porte del nostro ordinamento a tale istituto, il divieto di «gold plating» è un principio destinato per sua natura ad attagliarsi agli atti normativi che dovrebbe conformare. È, come detto, un concetto relazionale, nel senso che presuppone la compresenza di due elementi: una direttiva ed un atto interno da emanare. Ma non solo. È anche un concetto relativo o prettamente formale, nel senso che varia il proprio contenuto sostanziale in funzione della direttiva cui fa riferimento (id est, i “livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti”)232. In sintesi, essendo una regola sulla formazione delle regole, appare piuttosto come una “meta-regola” o, come già si è ricordato, una regola “sostanzialmente costituzionale”233.
Da ciò derivano essenzialmente due corollari necessari per un suo corretto funzionamento: in primis, l’adozione di moduli procedimentali, atti a conformarne il contenuto alle concrete esigenze di volta in volta emergenti dall’attuazione delle direttive; in secundis, l’elevazione della norma al rango
231 Vedi ANAC, Relazione AIR sulle Linee guida n. 12, disponibile su xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx.xx/xxxxxx/xxxxxx/xxxxxxx/XxxxxxxxXxxxxxxx/XxxxXxxxXxxxxxxx/_Xxxx?x d=e80a88540a7780427719e7f416d3123d.
232 “Per ciascun atto, il livello minimo di regolazione da rispettare è determinato dalla direttiva europea da recepire”, cfr. direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 16 febbraio 2018.
233 Vedi AINIS M., Lo statuto come fonte sulla produzione normativa regionale, op. cit., 814.
di Costituzione formale. Quest’ultimo elemento pare raggiunto attraverso il meccanismo del parametro interposto di legittimità ex art. 76 Cost..
Per risolvere la prima questione, invece, la l. 246/2005 individua come soluzione l’analisi d’impatto della regolamentazione che, come si è detto, deve svolgere una comparazione tra i livelli di regolazione (rectius, i costi che ne derivano) e dar conto, ove necessario, dell’eventuale superamento dei livelli minimi fissati dalle direttive. Sempre l’art. 14, al comma 6, stabilisce poi che “i metodi di analisi e i modelli di AIR […] sono adottati con direttive del Presidente del Consiglio dei ministri e sono sottoposti a revisione, con cadenza non superiore al triennio”. Sulla scorta di quest’ultima disposizione è stata dapprima adottata la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 16 gennaio 2013, recante la “disciplina sul rispetto dei livelli minimi di regolazione previsti dalle direttive europee”234, e poi la stessa è stata sostituita dalla “Guida all’analisi e alla verifica dell’impatto della regolamentazione”, approvata con direttiva del 16 febbraio 2018 (d’ora in poi solo “Guida”).
La prima direttiva apporta un importante contributo alla disciplina interna del «gold plating», perché da una parte aiuta a connotare gli elementi strutturali finora descritti, e dall’altra fornisce il nuovo modello di AIR che le amministrazioni centrali devono utilizzare durante l’istruttoria legislativa.
Il provvedimento si divide in tre parti: la prima specifica le finalità e l’ambito di applicazione della direttiva; la seconda circoscrive il concetto di “livello minimo di regolazione”, fornendo degli esempi a riguardo; la terza, infine, stabilisce delle indicazioni operative su come valutare il “superamento del livello minimo di regolazione”.
Partendo dal primo elemento della triade, rileva subito il fatto che la direttiva si applichi anche agli atti che non sono soggetti all’AIR235. Le determinazioni che discendono da tale estensione applicativa vengono incorporate nella relazione illustrativa, e “qualora si renda necessario superare il livello minimo di regolazione l'amministrazione dà, comunque, conto della sussistenza di circostanze eccezionali che rendono necessaria la propria scelta secondo i criteri previsti dalla presente direttiva”.
234 Per un commento alla direttiva, vedi LUPO N., XXXXXXXXXX G., Verso una better regulation nella attuazione delle direttive UE?, in GDA, 2013(8-9), 828 ss.
235 Oggi, i provvedimenti soggetti ad AIR sono individuati dagli artt. 5, 6 e 7 del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2017, n. 169 (“Regolamento recante disciplina sull’analisi dell’impatto della regolamentazione, la verifica dell’impatto della regolamentazione e la consultazione”). In generale, l’ambito di applicazione è improntato all’idea della “selettività”; sul punto, vedi CACCIATORE F., Che cosa cambia nella normativa statale sulla better regulation, in GDA, 2018(5), 581
Ma le indicazioni più importanti sono fornite per quanto riguarda l’individuazione dei “livelli minimi di regolazione” stabiliti a livello europeo. Al riguardo, la direttiva indica tre ipotesi.
La prima, quando la direttiva europea specifica uno o più elementi di quelli elencati all’art. 14, comma 24-ter, l. 246/2005. In altri termini, in questo caso la direttiva europea specifica i requisiti, gli standard, gli obblighi e gli oneri per il raggiungimento dei propri obiettivi (quindi presenta delle disposizioni dettagliate). Oppure, essa delinea in maniera precisa il proprio ambito soggettivo e oggettivo di applicazione, senza margini di indeterminatezza. O infine, essa prevede sanzioni, procedure o meccanismi operativi in maniera specifica. In questo caso, i livelli minimi di regolazione sono chiaramente ben individuati.
La seconda ipotesi, quando la direttiva europea non specifica alcuno dei suddetti elementi e d’altra parte non lascia agli Stati membri lo spazio regolatorio per prevederne.
Infine, v’è l’ipotesi in cui la direttiva non chiarisce gli elementi di cui al comma 24-ter e rimette agli Stati membri la loro definizione.
Questa tripartizione in realtà rispecchia la duplice natura che possono avere le direttive: possono essere generiche, e quindi necessitare dell’intervento di intermediazione regolatoria degli Stati; oppure dettagliate, sostituendosi allo Stato membro ed arrivando a possedere persino degli effetti diretti in capo ai privati (supra §5.1.1.). Chiaramente questa distinzione non è netta, ma graduale: è possibile che le direttive possiedano diversi tipi di disposizioni, alcune più specifiche di altre.
Ed infatti i precetti previsti dalle direttive del 2014 possono essere suddivisi in tre categorie: (i) disposizioni a recepimento vincolato; (ii) disposizioni che lasciano margini di flessibilità agli Stati membri, consentendo un recepimento o più severo o più liberale; (iii) disposizioni che impongono agli Stati membri di lasciare spazi di discrezionalità alle stazioni appaltanti236.
Per esempio, l’art. 59 della direttiva 2014/24/UE dispone che “al momento della presentazione delle domande di partecipazione o delle offerte, le amministrazioni aggiudicatrici accettano il documento di gara unico europeo (DGUE)”. Questa disposizione non lascia chiaramente spazio ad interpretazione, e dunque rientra tra quelle a recepimento vincolato. Ne discende che in sede di analisi di impatto di regolamentazione, il livello minimo di regolazione della direttiva è facilmente individuabile, e quindi, ad esempio, la normativa nazionale non può richiedere la presentazione di una
236 Vedi Cons. Stato, parere 855/2016.
certificazione al posto del DGUE. D’altra parte, all’art. 57, par. 4 (“Motivi di esclusione”), sono invece previste delle disposizioni che lasciano un margine di discrezionalità agli Stati membri e alle amministrazioni aggiudicatrici237.
Il passaggio logico-giuridico successivo è quello di evitare il superamento dei suddetti livelli minimi. Anche in questo caso, la direttiva del 2013 è utile, laddove fornisce importanti esempi applicativi. Costituisce
«gold plating» l’imposizione di una certificazione laddove le direttive UE si limitano a prevedere l’autocertificazione. D’altra parte, nel caso in cui un’attività dei privati sia libera, qualsiasi funzione di controllo o di certazione sulla stessa costituisce «gold plating». Infine, quando la direttiva europea prevede dei requisiti per accedere ad un’attività, lasciando però lo Stato membro libero di definirne la procedura d’avvio della stessa, esso non potrà chiaramente prevedere dei requisiti ulteriori senza incappare nel «gold plating».
Da ultimo, la direttiva applicativa di Palazzo Chigi delinea le valutazioni che devono essere svolte qualora il regolatore intenda superare i livelli mini previsti a livello europeo. Il procedimento di analisi ricalca il c.d.
«standard cost model», che consiste in uno strumento di calcolo degli oneri amministrativi, così come emergenti dalle consultazioni con gli stakeholders interessati238.
Dunque l’amministrazione dovrà prima di tutto individuare i fattori di aumento degli oneri, sia sotto un profilo oggettivo (la loro stima), sia soggettivo (i loro destinatari). Parallelamente, l’amministrazione deve stimare l’estensione dell’ambito d’applicazione soggettivo della regolazione rispetto a quanto previsto dalle direttive. Infine dovrà essere svolta una valutazione sui benefici previsti dall’intervento normativo e dal superamento dei livelli minimi di regolazione. Tale valutazione, nel complesso preferibilmente di tipo quantitativo, deve tener conto del numero e della tipologia dei soggetti coinvolti. In sostanza, la relazione finale dell’analisi svolta deve mettere in luce gli elementi che rendono necessario il superamento dei livelli minimi richiesti dalle direttive.
Alla direttiva del 16 gennaio 2013 è seguita la Guida del 2018, la quale non ha apportato modifiche sostanziali alla disciplina dell’AIR, ma ha
237 L’art. 57, par 4, così recita: “Le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere, oppure gli Stati membri possono chiedere alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere…”. Nelle indicazioni della Commissione (vedi infra §6.2.2.), in questi casi, l’aggravio degli oneri amministrativi, se concretamente previsti in sede di recepimento, ricade interamente sullo Stato membro.
238 Per una trattazione aggiornata sul metodo in parola, vedi COMMISSIONE EUROPEA, Better regulation "Toolbox", disponibile su xxxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxx/xxx/xxx-xxxxxx- process/planning-and-proposing-law/better-regulation-why-and-how/better-regulation- guidelines-and-toolbox/better-regulation-toolbox_it, 488.
piuttosto esteso le considerazioni sul «gold plating» anche alla VIR. Come correttamente evidenziato nella Guida, la VIR rappresenta “un’opportunità ancora più significativa per individuare in modo sistematico i casi in cui la normativa nazionale impone oneri, standard, requisiti e obblighi inutilmente più gravosi rispetto a quanto previsto dalla corrispondente disciplina europea”. Questo aspetto rispecchia il c.d. “approccio ciclico” alla semplificazione normativa, che ha ispirato la riforma della disciplina dell’AIR e della VIR fra il 2017 e 2018239, sulla scia di quanto suggerito dalla Commissione europea240.
Dunque, l’amministrazione valuta con il supporto degli stakeholders gli effetti specificamente prodotti dal «gold plating», in termini di benefici ottenuti a fronte dei maggiori costi imposti ai destinatari. La valutazione deve tendere a dimostrare il valore aggiunto, anche in chiave comparata, delle disposizioni non strettamente necessarie per il recepimento della legislazione dell’UE.
La disciplina operativa, nel complesso, sembrerebbe fornire alle pubbliche amministrazioni centrali degli strumenti applicativi utili per la prevenzione del «gold plating». Tuttavia, come ogni disciplina operativa, anche questa necessita di essere raffinata attraverso la prassi. Questo aspetto verrà affrontato nel prossimo capitolo. Quel che è certo, però, è che la ratio ispiratrice della disciplina è quella di adeguare gli strumenti di semplificazione ai più recenti sviluppi in ambito europeo, come dichiarato nella stessa sezione introduttiva della Guida.
6. La disciplina europea del «gold plating»
Il fenomeno del «gold plating» ha ricevuto attenzione anche da parte delle istituzioni europee. Questo fatto non stupisce, poiché come si è detto il concetto di «gold plating» presuppone una relazione tra le fonti nazionali e quelle europee. Per questo motivo l’Unione Europea, nel perseguimento degli obiettivi di semplificazione normativa e amministrativa, ha preso in considerazione anche quest’aspetto.
Nei prossimi paragrafi si descriverà dapprima l’ingresso della nozione di «gold plating» a livello europeo, per poi descrivere gli strumenti concretamente adottati dall’Unione per cercare di limitare il ricorso, da parte
239 Vedi anche il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2017, n. 169, sull’AIR, sulla VIR e sulle consultazioni.
240 Per un commento, vedi CACCIATORE F., Che cosa cambia nella normativa statale sulla better regulation, op. cit..
degli Stati membri, a livelli di regolazione superiori a quelli richiesti dalle direttive.
6.1. Comparsa e sviluppo del concetto di «gold plating» nell’Unione europea
Il più vecchio documento ufficiale nel quale si è riusciti a rintracciare, nel contesto comunitario, un riferimento al fenomeno del «gold plating», è il
c.d. “Rapporto Mandelkern” sulla qualità della regolazione, risalente al 2001241.
Il rapporto rappresenta una tappa fondamentale nel percorso intrapreso dall’Unione europea per sviluppare le politiche che ricadono sotto l’etichetta di “better regulation”. Tuttavia, al tempo in cui fu assunta tale iniziativa, gli sforzi da parte dell’Unione Europea erano ancora minimi e i passi avanti venivano fatti soprattutto sulla spinta degli Stati membri, e dunque su modelli intergovernativi242. La scelta di raccogliere un gruppo di esperti provenienti dagli Stati membri fu dunque frutto dell’iniziativa dei Ministri nazionali, in attuazione degli indirizzi stabiliti nella seduta del Consiglio europeo di Lisbona del 2000243.
Si legge, nel Rapporto Mandelkern, che “Member States still face problems during their transposition process. This section focuses on problems relating to correct transposition, timely transposition and gold plating (that is going beyond the European requirements)”244. Il fenomeno del «gold plating» veniva quindi considerato in quella sede come collegato con i meccanismi di recepimento delle direttive, ma estraneo al discorso della loro corretta e tempestiva trasposizione. Proseguendo, si legge che “Quite frequently Member States in transposing a Directive decide to adopt rules which are stricter than those provided for by the Directive. This phenomenon,
241 Vedi MANDELKERN GROUP ON BETTER REGULATION, Final Report - 13 November 2001,
disponibile su xxxxx://xxx.xxxxxxxxxxx.xx/xx00/xxxxxxxx-xxxxxxxxx.xxx?xxxxxx0000. Il fatto che questo sia il primo documento dove compare un riferimento esplicito al «gold plating» può ritenersi plausibile, considerando quanto accennato nel §3, ossia che nel Regno Unito e Paesi Bassi ci si stava focalizzando sul fenomeno proprio in quegli anni.
242 Vedi CARBONE L., Qualità della regolazione e competitività: ricette diverse ma ingredienti comuni, su xxxx://xxx.xxxxxx-xxxxxx.xx/xxxxxx/xxxxxx/xxxxxxxxx/x-xx/x-xxxxxxxxxx- al-seminario-su-better-regulation-26-gen-07--3-.pdf.
243 Si legge nelle conclusioni del summmit (par. 17) che il Consiglio chiedeva alla Commissione, al Consiglio e agli Stati membri di “fissare entro il 2001 una strategia per altre azioni coordinate intese a semplificare il quadro regolamentare, inclusa l'efficienza dell'amministrazione pubblica, a livello sia nazionale che comunitario”. Vedi CONSIGLIO EUROPEO, Consiglio europeo Lisbona - 23 e 24 marzo 2000 -conclusioni della Presidenza, disponibile su xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xxxxxx.xx/xxxxxxx/xxx0_xx.xxx.
244 Mandelkern Group on Better Regulation, Final Report - 13 November 2001, op. it., 66.
which is sometimes known as "gold plating", usually occurs where a Directive provides for minimum harmonisation or where the Treaties contain an explicit legal base for stricter national measures”245. Si stabilisce quindi un legame tra il fenomeno in questione e il grado di armonizzazione delle direttive: minore è la convergenza impartita dalle direttive, più spazio hanno gli Stati per prevedere “regole più severe” (vedi supra §5.1.1.).
A seguito dell’Accordo interistituzionale tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione del 2003, denominato “Legiferare meglio”246, l’Unione ha iniziato a adottare misure più incisive sia sul piano della semplificazione normativa, con maggiore attenzione anche agli aspetti di drafting legislativo, sia su quello della semplificazione amministrativa, per ridurre quanto più possibile gli oneri amministrativi. Xx è con riguardo a questo secondo punto che è stato sollevato un problema: come operare se i costi amministrativi non dipendono direttamente dall’UE? Questo è proprio ciò che si verifica con il «gold plating».
Su questo punto la Commissione, come si vedrà meglio a breve, ha perseguito due obiettivi: da una parte, cercare di migliorare la qualità dei testi normativi da recepire nei singoli Stati membri, per renderne più agevole la trasposizione e l’implementazione; dall’altra, tentare di aumentare la trasparenza tra gli Stati membri, invitandoli a scambiarsi informazioni sulle politiche di recepimento e di contenimento del «gold plating». Questo secondo punto è molto importante per la Commissione, perché permette di ripartire il giusto carico di responsabilità tra gli attori politici per l’imposizione di oneri amministrativi su cittadini ed imprese.
Di conseguenza già nel 2006 la Commissione, chiamata a stabilire i metodi di analisi d’impatto della regolamentazione per quanto riguarda gli oneri amministrativi, evidenziava l’importanza di individuare la corretta distribuzione delle responsabilità all’interno dell’Unione Europea. Da un’analisi sperimentale condotta in Danimarca e Regno Unito emergeva che la maggior parte dei costi amministrativi nei due Paesi era di origine nazionale: 57% per la prima e 44% per il secondo247.
In seguito, stime più accurate nel 2009 hanno formato la base per una comunicazione inviata al Parlamento europeo e al Consiglio, nella quale
245 Mandelkern Group on Better Regulation, Final Report - 13 November 2001, op. it., 68.
246 Testo in italiano disponibile su xxxxx://xxx-xxx.xxxxxx.xx/xxxxx- content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32003Q1231(01)&from=EN.
247 Vedi COMMISSIONE EUROPEA, Misurazione dei costi amministrativi e riduzione degli oneri amministrativi nell'Unione europea, Bruxelles, 14.11.2006 COM(2006) 691 definitivo, disponibile su xxxxx://xxx-xxx.xxxxxx.xx/xxxxx- content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52006DC0691&from=LT.
appunto si stimava al 32% l’incidenza dei costi amministrativi di origine nazionale248. A tal proposito la Commissione chiosava che “Significant differences in the burdens imposed by national measures implementing EU legislation indicate that the exchange of best practices would greatly reduce the level of administrative burdens in many Member States”.
La xxx xxxxxxxxxx x dunque quella più mite, che fa leva sullo scambio di buone pratiche tra gli Stati membri. E non potrebbe essere altrimenti, visto che in definitiva il compito di attuare gli atti normativi dell’Unione spetta soltanto agli Stati249. La Commissione, quindi, non dispone di alcuna base legale per intervenire direttamente sul fenomeno del «gold plating», salvo che questo causi surrettiziamente una violazione del diritto europeo: in questo caso la via da intraprendere è quella della procedura di infrazione.
In realtà non sono mancate proposte più radicali, come quella del Parlamento europeo nel 2007, che in una risoluzione aveva suggerito di riconoscere in capo ai cittadini degli Stati membri un vero e proprio diritto d’azione per rispondere alle violazioni del divieto di «gold plating»250.
Le considerazioni finora esposte sono infine confluite nella Comunicazione del 2010 sulla “Smart regulation”, che definisce il «gold plating» come “the practice of national bodies going beyond what is required in EU legislation when transposing or implementing it at Member State level”251. Conseguentemente, la Commissione ha incaricato il “Gruppo ad alto livello di parti interessate indipendenti sugli oneri amministrativi” (il c.d. gruppo Xxxxxxx) di presentare entro il 2011 una relazione sulle pratiche di recepimento degli Stati membri, focalizzandosi sugli oneri amministrativi.
Il rapporto che ne è derivato, giunto a compimento il 15 novembre 2011, rappresenta un importante strumento di lettura delle politiche sul «gold plating» che si sono sviluppate negli anni successivi252.
248 Vedi COMMISSIONE EUROPEA, Action Programme for Reducing Administrative Burdens in the EU Sectoral Reduction Plans and 2009 Actions, Brussels, 22.10.2009 COM(2009) 544 final, disponibile su xxxxx://xxx- xxx.xxxxxx.xx/XxxXxxXxxx/XxxXxxXxxx.xx?xxxxXXX:0000:0000:XXX:XX:XXX.
249 Art. 291 TFUE: “Gli Stati membri adottano tutte le misure di diritto interno necessarie per l’attuazione degli atti giuridicamente vincolanti dell’Unione”.
250 Parlamento europeo, Risoluzione del Parlamento europeo del 4 settembre 2007 su
«Legiferare meglio nell'Unione europea» (2007/2095(INI)), op. cit.
251 COMMISSIONE EUROPEA, Smart Regulation in the European Union, Brussels, 8.10.2010 COM(2010) 543 final, disponibile su xxxxx://xxx- xxx.xxxxxx.xx/XxxXxxXxxx/XxxXxxXxxx.xx?xxxxXXX:0000:0000:XXX:XX:XXX.
252 COMMISSION EUROPEA, L'Europa può fare meglio. Relazione sulle buone pratiche degli Stati membri per l'attuazione della normativa UE con il minor onere amministrativo, Varsavia 15 novembre 2011, disponibile su xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxx.xxx.xx/xxxxxxx/xxxxxxxx/xxxx/000/xx_xxxxxx_xxxxxxxxx_xx.xxx
.
Anzitutto, il gruppo Xxxxxxx evidenzia e circoscrive la portata del fenomeno del «gold plating»: se è vero che il 32% degli oneri amministrativi nasce a livello nazionale, soltanto il 4% è direttamente correlato al «gold plating»; il restante 28 % scaturisce invece dalle “inefficienze delle procedure amministrative nazionali, cioè al fatto che in molti casi le disposizioni della normativa UE vengono recepite nella legislazione nazionale imponendo oneri di gran lunga superiori rispetto a quanto accade in quegli Stati membri che hanno adottato requisiti "intelligenti" e meno onerosi”253.
Un altro aspetto fondamentale evidenziato dal gruppo Xxxxxxx è che per prevenire il «gold plating» è necessario un continuo scambio di informazioni e buone pratiche tra gli Stati membri, per favorire un approccio trasversale all’implementazione delle politiche dell’Unione254.
Infine, nel rapporto si suggerisce un approccio alla questione del tipo “comply or explain”: gli Stati membri, qualora intendano inserire dei livelli di regolazione che comportino oneri in eccesso rispetto a quanto previsto dagli atti dell’Unione, devono fornire una motivazione sul punto. Come si è visto, è proprio questa la strada che ha intrapreso l’Italia con la l. 183/2011. Ma il rapporto fornisce ulteriori spunti comparatistici con altri Paesi, come Germania e Xxxxx Xxxxx000.
Su queste premesse, la Commissione europea e le altre istituzioni hanno tentato di sviluppare i propri strumenti giuridici per limitare al minimo il ricorso al «gold plating».
6.2. L’agenda sulla “better regulation” del 2015
Da ultimo, la Commissione europea ha adottato una comunicazione nel 2015 per aggiornare gli obiettivi e gli strumenti a disposizione per il perseguimento delle politiche di semplificazione256. La nuova agenda si caratterizza per alcuni aspetti fondamentali257.
Anzitutto, il c.d. approccio ciclico alla normazione. Per esso si intende il procedimento di creazione normativa costituito dei seguenti passaggi: programmazione, analisi ex ante, implementazione, analisi ex post, consultazione, revisione (supra §2). Per ottenere tale risultato, la
253 Ibidem, 12.
254 Ibidem, 34.
255 Ibidem, 35 e 36.
256 COMMISSIONE EUROPEA, Legiferare meglio per ottenere risultati migliori — Agenda dell'UE, Strasburgo, 19.5.2015 COM(2015) 215 final, disponibile su xxxxx://xxx- xxx.xxxxxx.xx/xxxxx-xxxxxxx/XX/XXX/?xxxx0000000000000&xxxxXXXXX:00000XX0000.
257 Vedi, per un primo commento di sintesi, ELIANTONIO, M., XXXXXXXXXXXX, A., The European Union's New Better Regulation Agenda: Between Procedures and Politics: Introduction to the Special Issue, in XXXX, 00000(0-0), 3.
Commissione ha tentato di dare centralità all’istituto delle consultazioni pubbliche, come strumento utile per controbilanciare le asimmetrie informative tra soggetto regolatore e soggetto regolato. L’obiettivo ultimo è quello di favorire maggiore trasparenza nell’attività regolatoria della Commissione: “spiegare meglio cosa stiamo facendo e perché lo facciamo”258.
Ma proprio perché il ciclo della regolamentazione del diritto europeo passa anche attraverso l’implementazione, che spesso è appannaggio degli Stati membri, la Commissione rinnova il proprio auspicio a migliorare la cooperazione tra le istituzioni a vario titolo coinvolte nella produzione normativa: prevalentemente Parlamento europeo e Stati membri, dunque259.
Infine, per garantire un continuo scambio di buone pratiche, la Commissione punta a rafforzare il “Programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione” (meglio conosciuto come “Regulatory Fitness and Performance Programme – REFIT”) 260.
6.2.1. La cooperazione interistituzionale
Nel 2016 è stato siglato l’accordo interistituzionale tra Parlamento europeo, Consiglio dell’Unione europea, e Commissione, per dare attuazione ai nuovi indirizzi dell’agenda del 2015261. L’accordo ha sostituito il suo omonimo del 2013 ed è stato adottato in base all’art. 295 TFUE, che permette alle tre istituzioni coinvolte nella procedura legislativa di stipulare accordi – anche a carattere vincolante – volti a definire le modalità della loro cooperazione.
Orbene, una parte dell’accordo in questione è dedicata interamente all’attuazione ed applicazione della legislazione dell’Unione. In esso si riafferma l’importanza della cooperazione tra le tre istituzioni per una corretta valutazione della legislazione da emanare e vigente262. Altre due statuizioni sono poi dedicate agli Stati membri: da una parte si ribadisce l’importanza di
258 Commissione europea, Legiferare meglio per ottenere risultati migliori — Agenda dell'UE, Strasburgo, 19.5.2015 COM(2015) 215 final, op. cit., 5.
259 Ibidem, 7.
260 Il cui lavoro è liberamente consultabile su xxxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxx/xxx/xxx-xxxxxx- process/evaluating-and-improving-existing-laws/refit-making-eu-law-simpler-and-less- costly_en.
261 Vedi Accordo interistituzionale «legiferare meglio» tra il Parlamento europeo, il Consiglio dell'Unione europea e la Commissione europea, disponibile su xxxxx://xxx- xxx.xxxxxx.xx/xxxxx-xxxxxxx/xx/XXX/?xxxxXXXXX%0X00000X0000%0000%00.
262 Ibidem, par. 41: “Le tre istituzioni concordano sull'importanza di cooperare in modo più strutturato per valutare l'applicazione e l'efficacia del diritto dell'Unione in vista del suo miglioramento mediante la futura legislazione”.
una corretta e sollecita attuazione del diritto dell’Unione da parte degli Stati membri263; dall’altra viene evidenziata l’importanza della trasparenza nei meccanismi di recepimento.
Il paragrafo 43 recita infatti: “Le tre istituzioni invitano gli Stati membri a comunicare chiaramente ai loro cittadini le misure che essi adottano per recepire o attuare la legislazione dell'Unione o per garantire l'esecuzione del bilancio dell'Unione”. Ma soprattutto, con specifico interesse per il «gold plating», si fa presente che: “Quando, in fase di recepimento delle direttive nel diritto nazionale, gli Stati membri scelgono di aggiungere elementi che non sono collegati in alcun modo alla legislazione dell'Unione in questione, tali aggiunte dovrebbero essere rese identificabili tramite l'atto o gli atti di recepimento, oppure tramite i documenti connessi”.
Purtroppo il tenore letterale e il valore legale dell’atto in cui questa disposizione è incorporata non permettono di imporre in capo agli Stati membri un’obbligazione giuridicamente vincolante. Questo per due motivi.
Il primo è che la base legale di tale accordo è l’art. 295 TFUE, dunque le istituzioni coinvolte sono soltanto il Parlamento europeo, la Commissione e il Consiglio dell’Unione Europea. In altri termini, i firmatari dell’accordo non sono gli Stati membri. Queste considerazioni vanno ad aggiungersi ad un principio cardine degli accordi interistituzionali: essi non possono prevedere delle prescrizioni in contrasto con quanto previsto dalle fonti primarie e/o secondarie dell’Unione (i.e. non possono validamente modificarle)264. Visto quindi che i Xxxxxxxx attribuiscono una precisa prerogativa agli Stati membri, che è quella di attuare il diritto dell’Unione liberamente, se ne deduce che la prescrizione prevista dall’Accordo del 2016 (“tali aggiunte dovrebbero essere rese identificabili tramite l'atto o gli atti di recepimento, oppure tramite i documenti connessi”) non rappresenta nulla di più che una statuizione con valore politico.
In secondo luogo, depone nello stesso senso il tenore letterale della disposizione in esame. Da una parte, infatti, non si fornisce una chiara definizione delle “aggiunte” che andrebbero comunicate o comunque evidenziate in sede di recepimento. Inoltre, la prescrizione è predicata in
263 Ibidem, par. 42: “Le tre istituzioni sottolineano la necessità di un'applicazione tempestiva e corretta della legislazione dell'Unione negli Stati membri. Il termine di recepimento delle direttive è quanto più breve possibile e non supera, di regola, i due anni”
264 Sul punto, vedi EISELT I., XXXXXXXXX P., Sub-Constitutional Engineering: Negotiation, Content, and Legal Value of Interinstitutional Agreements in the EU, in ELJ, 2006(2), 209. Gli autori fanno riferimento anche al Caso C-204/86 nel quale l’Avvocato generale ha ricordato che “it remains nevertheless undeniable that joint declarations and similar measures merely constitute "droit de complément" which may not derogate from primary law on pain of invalidity”.
modo ottativo (“le tre istituzioni invitano…”; “tali aggiunte dovrebbero…”), e quindi non è in grado di vincolare effettivamente i destinatari della xxxxxx000. L’invito agli Stati membri è stato poi ripetuto in una risoluzione del Parlamento europeo del 2018, nella quale esso ha sottolineato “l'importanza del principio di cui al punto 43 del nuovo AII, nel quale si afferma che, se in fase di recepimento delle direttive nel diritto nazionale gli Stati membri decidono di aggiungere elementi che non sono collegati in alcun modo alla legislazione dell'Unione in questione, tali aggiunte dovrebbero essere rese identificabili tramite l'atto o gli atti di recepimento, oppure tramite i documenti connessi”; il Parlamento ha inoltre osservato che “tale informazione è spesso ancora assente”; e dunque ha invitato “la Commissione e gli Stati membri ad agire in modo congiunto e coerente per far fronte alla mancanza di trasparenza e ad altri problemi legati alla sovra-
regolamentazione ("gold plating")”266.
Tuttavia, per quanto detto sopra, non stupisce che tale monito sia rimasto inascoltato. I dati più aggiornati riportano che soltanto due Paesi abbiano seguito tale indicazione: il Regno Unito e il Belgio267.
6.2.2. Le Guidelines e la Toolbox della Commissione europea
Sempre per proseguire negli obiettivi assunti con l’Agenda del 2015, la Commissione europea ha pubblicato delle Linee guida e una “Toolbox” per procedimentalizzare il proprio operato nella produzione normativa e conformarlo alle migliori pratiche diffuse in ambito nazionale e internazionale268. I due documenti sono ricchi di informazioni particolareggiate, e per questo motivo ci si limiterà a mettere in luce gli aspetti più rilevanti per la disciplina del «gold plating».
265 Sulla correlazione tra tenore letterale e capacità vincolante degli accordi interistituzionali, vedi Ibidem, 212.
266 Vedi PARLAMENTO EUROPEO, Risoluzione del Parlamento europeo del 30 maggio 2018 sull'interpretazione e l'applicazione dell'accordo interistituzionale "Legiferare meglio", disponibile su xxxxx://xxx-xxx.xxxxxx.xx/xxxxx-xxxxxxx/XX/XXX/?xxxxXXXXX:00000XX0000. 267 Vedi COMMISSIONE EUROPEA, Monitoring the Application of Union Law - 2018 Annual Report - Part I: general statistical overview, disponibile su xxxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxx/xxxxxxxxxxxx/0000-xxxxxxxxxx-xxxxxx-xxxxxxxxxx-xxxxxxxxxxx-xx- law_en. Per il Regno Unito, il riferimento è alle direttive 2016/680/EU e 2016/681/EU; per il Belgio, alla direttiva 2010/63/EU.
268 Vedi COMMISSIONE EUROPEA, Better Regulation Guidelines, Brussels, 7 July 2017 SWD (2017) 350, disponibile su xxxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxx/xxx/xxx-xxxxxx-xxxxxxx/xxxxxxxx-xxx- proposing-law/better-regulation-why-and-how/better-regulation-guidelines-and-toolbox_it; vedi COMMISSIONE EUROPEA, Better regulation "Toolbox", disponibile su xxxxx://xx.xxxxxx.xx/xxxx/xxx/xxx-xxxxxx-xxxxxxx/xxxxxxxx-xxx-xxxxxxxxx-xxx/xxxxxx- regulation-why-and-how/better-regulation-guidelines-and-toolbox/better-regulation- toolbox_it;
Anzitutto, per chiarire subito la differenza tra i due strumenti, nelle Guidlines è stabilito che “The main Guidelines set out the mandatory requirements and obligations for each step in the policy cycle while the Toolbox provides additional guidance and advice which is not binding unless expressly stated to be so”. I due documenti sono dunque dotati di un’efficacia differente. Le Linee guida sono vincolanti per i soggetti cui sono rivolte, cioè i funzionari coinvolti nel ciclo della normazione. La Toolbox invece prevede dei suggerimenti, salvo che sia disposto altrimenti.
Con riguardo al «gold plating», le Linee guida precisano che è importante monitorare la legislazione in tutti i suoi aspetti, con un occhio di riguardo per la fase di implementazione a livello nazionale. È proprio qui che rischiano di essere aggiunti degli ulteriori oneri amministrativi. Pertanto, la Commissione si impegna ad assistere gli Stati membri nell’attuazione attraverso la redazione di Staff Working Documents (SWD), che prendono il nome in questo caso di Implementing Plans (IP)269.
Inoltre, sono esplicitati i tre obiettivi che ispirano l’attività di supporto della Commissione in quest’ambito: anticipare i problemi di implementazione e facilitare la trasposizione a livello nazionale; redigere al meglio gli atti da recepire da un punto di vista formale; favorire la trasparenza tra gli Stati membri e l’Unione Europea nell’attuazione del diritto europeo. Di questi, il primo ed il terzo possono avere risvolti interessanti per il contenimento del «gold plating» a livello nazionale.
Per quanto riguarda i problemi di recepimento, la Commissione intende coadiuvare gli Stati membri attraverso gli Implementing Plans. Questi vengono redatti secondo un criterio di selettività, che privilegia le “framework directives, directives with a large scope containing a large number of legal obligations, directives aimed at the full harmonisation of a policy area, and directives having a significant impact on or amending various branches of the national legal order”270. In sostanza, tali documenti sono limitati gli atti più complessi. La Toolbox poi scandisce il contenuto degli IP, specificando che una parte di essi debba essere dedicata alle possibili azioni che possono intraprendere gli Stati per recepire le fonti europee271. Questo aspetto potrebbe essere molto utile ad evitare il «gold plating» c.d. “passivo”272.
269 Vedi COMMISSION EUROPEA, Better Regulation Guidelines, Brussels, 7 July 2017 SWD (2017) 350, op. cit., 9.
270 Ibidem, 35.
271 Commissione europea, Better regulation "Toolbox", op. cit., 282.
272 Per «gold plating» passivo, si intende il mantenimento di livelli di regolazione superiori rispetto a quelli previsti dalle direttive e previgenti rispetto all’intervento di queste. Per tale definizione, vedi COMMISSION EUROPEA, L'Europa può fare meglio. Relazione sulle buone pratiche degli Stati membri per l'attuazione della normativa UE con il minor onere amministrativo, Varsavia 15 novembre 2011, op. cit., 35.
Sull’altro versante, che concerne la trasparenza tra gli Stati membri e la Commissione, quest’ultima ha evidenziato l’importanza degli Explanatory Documents, ossia documenti esplicativi redatti dagli Stati membri ed allegati agli atti di recepimento delle direttive e degli atti dell’Unione (quindi, sul modello comply or explain). In sostanza, questi documenti possono essere richiesti dalla Commissione negli stessi casi in cui questa è tenuta a redigere degli Implementing Plans273.
Infine, la Toolbox adegua i metodi di analisi dei costi amministrativi (Standard Cost Model) e dedica una parte di tale valutazione al fenomeno del
«gold plating». In pratica, nell’istruttoria normativa a livello europeo, la Commissione deve optare per un metodo di valutazione delle proposte274 e quantificare gli oneri amministrativi che derivano da queste275. Quest’attività è importante perché permette di ripartire le percentuali di costi che derivano dall’attività dell’Unione e quelli invece che sono da attribuire agli Stati membri. È importante evidenziare che qualora nelle direttive siano previste “clausole discrezionali”, vale a dire delle clausole che lasciano allo Stato membro la decisione ultima se imporre o meno una determinata obbligazione in capo ai cittadini, il costo derivante da quest’ultima dev’essere imputato alla regolazione dello Stato, non già a quella europea276.
7. Breve sintesi dei risultati
Dalle ricerche svolte finora è emerso quanto segue.
Anzitutto il divieto di «gold plating» è un istituto di derivazione inglese, sviluppatosi dapprima nel Regno Unito e poi esportato in altri Paesi, fino a coprire l’intera Unione Europea. L’istituto va annoverato tra gli strumenti di semplificazione amministrativa in un contesto di governance multilivello, anche se la sua definizione può variare per certi aspetti da Stato
273 Vedi COMMISSIONE EUROPEA, Better Regulation Guidelines, Brussels, 7 July 2017 SWD (2017) 350, op. cit., 41.
274 Esistono infatti diversi tipi di metodi valutativi, e dalla scelta di ognuno possono discendere valutazioni divergenti. I metodi elencati nella Tollbox (p. 451 e ss) sono: Cost- benefit analysis, Multi-criteria Analysis, Least Cost analysis, Cost-effectiveness analysis, Counter-factual analysis e SWOT analysis.
275 Gli oneri amministrativi propriamente detti sono quelli che esulano dai costi di “ordinaria amministrazione” (business-as-usual costs). Questi ultimi sono i costi che le imprese avrebbero comunque sostenuto per la raccolta e conservazione di informazioni, anche in assenza della nuova legislazione.
276 COMMISSIONE EUROPEA, Better regulation "Toolbox", op. cit., 493. Un esempio di disposizione di questo tipo, in materia di contratti pubblici, è offerto dalla direttiva 2014/24/UE all’articolo 57, laddove afferma al par. 4 che “Le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere, oppure gli Stati membri possono chiedere alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni …”.
a Stato. Questo accade in parte perché le modalità di recepimento degli atti dell’Unione Europea differiscono tra gli Stati membri, e poi perché il “prestito” linguistico tra diversi ordinamenti è di per sé foriero di possibili ambiguità. Ne è la riprova il caso italiano, che dal punto di vista del diritto positivo rende il divieto di «gold plating» con una perifrasi, anche se non è mancato il tentativo, ad esempio, di tradurlo con “orpellatura”.
Per quanto riguarda la genesi normativa dell’istituto nel nostro ordinamento, è interessante notare che esso rappresenta la sintesi di diversi aspetti contingenti e di lungo corso. Da una parte, esso rappresenta l’evoluzione ormai consolidata degli strumenti elaborati per perseguire la semplificazione normativa ed amministrativa. Come tale, anzi, esso allinea l’ordinamento italiano alle migliori pratiche affermatesi a livello europeo. Da un altro punto di vista, però, esso è anche il frutto delle forti tensioni istituzionali che ne hanno preceduto l’inserimento. In breve tempo il divieto di «gold plating» è passato dall’essere sconosciuto in Italia all’essere enucleato tra i principi generali che regolano il recepimento dell’intero comparto degli atti normativi dell’Unione Europea. Come emerge dall’analisi quantitativa effettuata sulle leggi di delegazione annuali emanate dal 2013 ad oggi, il divieto di «gold plating» vincola il Governo per la maggior parte della sua attività normativa di derivazione europea. Il dispositivo utilizzato per raggiungere tale scopo è quello dell’art. 76 Cost., che come si è detto apre la strada ad un possibile sindacato di legittimità da parte della Corte costituzionale.
Parallelamente, è stata dedicata particolare attenzione alla definizione dell’istituto in questione nella materia dei contratti pubblici, in parte perché questa rappresenta una parte importante del PIL degli Stati membri dell’Unione, in parte perché la ratio del divieto di «gold plating» è proprio quella di consolidare il mercato comune e tutelare le PMI.
A voler portare alle estreme conseguenze il ragionamento, si potrebbe affermare che il divieto di «gold plating» in materia di contratti pubblici rappresenta un possibile punto di incontro tra due contrapposte esigenze che hanno caratterizzato l’attività normativa a cavallo tra XX e XXI secolo: da un lato, la tendenza a diversificare la legislazione, tipica tendenza invalsa a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana nel 1948, che ha condotto alla formazione di microsistemi che hanno complicato e scatenato l’ipertrofia legislativa a detrimento della certezza del diritto277; dall’altro lato, in tutta risposta, le tendenze alla deregulation e alla semplificazione normativa e burocratica che hanno caratterizzato gli ultimi anni.
277 Vedi IRTI N., L’età della decodificazione, IV ed., Milano, 1999.
Al crocevia tra le due si trovano gli strumenti volti a contenere e ridurre gli oneri amministrativi in capo alle PMI, tra cui appunto il divieto di
«gold plating». Un principio che, come non ha mancato di ricordare il Consiglio di Stato278, non va letto in “una prospettiva di abbassamento del livello di quelle garanzie che salvaguardano altri valori costituzionali”, ma rettamente inteso come espressione di quel diritto costituzionale all’iniziativa economica per le PMI, spesso frustrato da un eccessivo carico burocratico.
Per questo motivo, l’eventuale contrasto tra divieto di «gold plating» e altri interessi costituzionalmente rilevanti va risolto alla stregua dei criteri di proporzionalità e ragionevolezza, attraverso una ponderazione effettuata dal Legislatore nell’analisi di impatto della regolamentazione.
D’altronde, anche l’Unione Europea sembra collocarsi su questa posizione, come attestano i nuovi indirizzi enucleati nell’Agenda “Legiferare meglio” del 2015. Il «gold plating» è un fenomeno nazionale, e quindi va risolto in tale sede. Tuttavia la Commissione europea sta tentando di limitare al minimo il ricorso a livelli di regolazione superiori rispetto a quelli richiesti dagli atti europei, proprio perché questo vanifica il lavoro sulla qualità della normazione effettuato a monte. Per questo motivo sono stati adottati degli strumenti indirizzati a favorire un monitoraggio continuo ed un dialogo proficuo tra tutti i soggetti istituzionali coinvolti nel ciclo della regolamentazione.
Se queste però sono le premesse normative, da un punto di vista statico, non è chiaro come funzioni in pratica il divieto di «gold plating». Le amministrazioni chiamate a redigere le norme compiono un’adeguata istruttoria in sede di AIR, per prevenire e, ove necessario, giustificare il «gold plating»?
Sotto altra prospettiva, il divieto di «gold plating» è assurto a parametro interposto di legittimità ex art. 76 Cost.. Dunque, come si comporta la giurisprudenza amministrativa sul punto? Il sindacato di legittimità sulle norme si verifica spesso in via incidentale, dunque i Tribunali rappresentano il canale d’accesso alla giustizia costituzionale. Quali sono i fattori che limitano il sindacato della Corte costituzionale sul divieto di «gold plating»? Come si è visto, soprattutto nella materia dei contratti pubblici, il problema è attuale, perché il superamento dei livelli minimi di regolazione spesso si traduce nelle censure della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e nelle procedure d’infrazione aperte dalla Commissione europea.
A tutte queste domande si risponderà nel prossimo capitolo, focalizzando la ricerca sulle relazioni AIR del Governo e dell’ANAC in
278 Cons. Stato, parere n. 855/2016.
materia di contratti pubblici e sulla giurisprudenza amministrativa che è stata chiamata ad esprimersi sul rispetto del divieto di «gold plating».
Capitolo III
L’EFFETTIVITÀ DEL DIVIETO DI «GOLD PLATING»
8. Il problema dell’effettività del diritto
Nel presente capitolo si intende studiare l’istituto del divieto di «gold plating» nella sua dinamicità, ossia andando oltre la mera descrizione del quadro normativo di riferimento. In altri termini, si tratta di comprendere come si comportano i pubblici poteri chiamati a dare concretamente attuazione alla normativa descritta nel Capitolo II.
L’oggetto rimane dunque immutato: cambia l’approccio metodologico, o meglio, la prospettiva adottata. Nei paragrafi che seguiranno si affronterà la tematica dell’effettività del divieto di «gold plating». Tuttavia, una premessa è doverosa.
Quando si parla di “effettività” si fa riferimento ad un concetto apparentemente ben rodato nel lessico dei giuristi. Non bisogna però lasciarsi trarre in inganno dalle apparenze, perché la nozione di effettività è tutt’altro che chiara o “sedimentata”, e cambia piuttosto a seconda della prospettiva che si assume. È stato rilevato che per alcuni il concetto in questione si riconduce alla capacità di una norma di mutare il contesto normativo di riferimento; per altri, la concezione della norma come strumento di ingegneria sociale postula come obiettivo ultimo un mutamento del contesto sociale su cui essa interviene (di conseguenza, tanto più quest’ultimo muterà in ragione della norma, tanto più questa sarà effettiva); infine c’è chi privilegia una concezione della norma come sintesi della dialettica politica, e perciò, nella valutazione che se ne dà, bisogna prendere in considerazione gli scopi emersi dal dibattito politico279.
Per far capire la portata della distinzione, se si aderisce all’ultima prospettiva, bisogna ricomprendere nella metodologia di analisi delle norme anche i lavori preparatori che ne hanno portato alla stesura280. Quindi, per esempio, come emerso dall’analisi svolta nel Capitolo II, il divieto di «gold plating» è penetrato nel nostro ordinamento sulla spinta di vari interessi: la tutela della PMI, la generale necessità di ridurre gli oneri amministrativi, ma
279 ZAMBONI M., Legislative Policy and Effectiveness: A (Xxxxx) Contribution from Legal Theory, in EJRR, 2018(9), 416.
280 Xxxx XXXXXXXXXX, Legislative Intent: The Use of Positive Political Theory In Statutory Interpretation, in L&CP, 1994(1), 3, dove si fornisce, invero, principalmente un contributo alla c.d. “statutory interpretation”.
anche l’impellenza di smentire una visione impietosa del sistema economico italiano, asfissiato dalla burocrazia e dunque inadatto a superare la crisi economica del 2008 (supra §5.1.). Volendo aderire a questa narrazione, dunque, sarebbe interessante valutare quanto l’adozione della normativa sul
«gold plating» abbia influito sulla percezione dell’Italia all’estero, per esempio utilizzando come strumenti di analisi i report dell’OECD o della Banca Mondiale prima e dopo le riforme del 2011-2012.
D’altra parte, se si privilegia invece l’impatto che una normativa ha sulla società, nel nostro caso bisognerebbe indagare se effettivamente la quantità degli oneri amministrativi è diminuita a seguito dell’entrata in vigore del divieto di «gold plating». A titolo esemplificativo, nella materia dei contratti pubblici, bisognerebbe prendere in considerazione un campione di operatori economici (“popolazione”) e valutarne le spese relative agli oneri amministrativi prima e dopo la riforma del 2016281.
Per aiutare a chiarire meglio le opzioni in campo, è utile far riferimento alla distinzione tra i concetti di effettività e di efficacia282. Mentre quest’ultima è la capacità di una norma di raggiungere gli obiettivi per i quali è stata concepita, l’effettività ha più a che fare con la concreta implementazione delle regole previste. In altri termini, interrogarsi sull’effettività di una norma, da un punto di vista strettamente giuridico, significa interrogarsi sul grado di compliance che essa riceve.
Nel nostro caso, il divieto di «gold plating» nella materia dei contratti pubblici è diretto al Legislatore delegato e, a cascata, all’ANAC. Un primo aspetto da considerare quindi, è il grado di compliance che questi due soggetti dimostrano nei confronti del principio menzionato. L’oggetto del divieto, per loro, si traduce prima di tutto nel rispetto di obblighi strumentali, genericamente riconnessi allo svolgimento dell’AIR durante la redazione delle norme.
Dall’altra parte, il divieto di «gold plating» gode, in quanto tale, di un apparato sanzionatorio. Essendo infatti un criterio di delega nella l. 11/2016, esso funge da parametro interposto di legittimità per il Legislatore delegato. Simultaneamente, esso rappresenta un parametro di legittimità dell’attività regolatoria dell’ANAC, ex art. 213 del Codice. Ne consegue che per comprendere effettivamente il grado di effettività della disciplina, è utile chiarire il comportamento della giurisprudenza (sia amministrativa che costituzionale) rispetto al divieto in questione.
281 Per considerazioni di ordine generale, vedi MADER L., Evaluating the Effects: A Contribution to the Quality of Legislation, in SLR, 2001(2), 119.
282 Ibidem.
A tanto si procede nei seguenti paragrafi, offrendo prima di tutto una ricognizione dell’attività normativa del Governo e dell’ANAC in materia, osservando quanto effettivamente essi abbiano dato corso finora al criterio di delega del 2016. Successivamente, verrà data una sintesi dei principali orientamenti emersi in giurisprudenza e si cercherà di evidenziare i maggiori punti che ostano ad un’effettiva implementazione della disciplina.
9. L’effettività della disciplina sull’AIR: considerazioni di sintesi
È utile, per quanto esposto sopra, offrire prima di tutto delle considerazioni di sintesi sull’attività normativa delle pubbliche amministrazioni centrali, osservando come viene applicata la disciplina AIR in generale. La premessa è d’obbligo, perché permette di capire se eventuali disfunzioni relative al «gold plating» sono peculiari di quest’ultimo o sono semplicemente dei riflessi di problemi di carattere “sistematico”.
Come noto, la l. 246/2005, all’art. 14, comma 10, prevede che “entro il 31 marzo di ogni anno, le amministrazioni comunicano al DAGL i dati e gli elementi informativi necessari per la presentazione al Parlamento, entro il 30 aprile, della relazione annuale del Presidente del Consiglio dei ministri sullo stato di applicazione dell'AIR”. È ragionevole quindi fare riferimento a tali compendi per uno sguardo di sintesi sull’applicazione della disciplina in commento, utilizzando i dati più aggiornati forniti dalla “Relazione sullo stato di applicazione dell'analisi di impatto della regolamentazione (Anno 2018)”, comunicata alla Presidenza del Senato il 1° agosto 2019 (di seguito soltanto “Relazione”)283.
Anzitutto, è interessante notare come, da un punto di vista redazionale, la Relazione ricalchi le indicazioni previste dall’art. 19 del DPCM 169/2017. Tale disposizione attuativa fornisce delle specifiche importanti su come dev’essere strutturata la Relazione annuale prevista dalla l. 246/2005, proprio per garantire uno studio diacronico dell’applicazione dell’AIR e della VIR nel nostro ordinamento284.
283 Le relazioni annuali più recenti, ivi inclusa quella in commento, sono consultabili all’indirizzo link
xxxx://xxxxxxxxxx.xxxxxxx.xx/XXXX/xxx_xxxxx/xxxxxxxx_xxxxxxx_xxxxxxxx.xxxx.
284 Le relazioni annuali devono riportare i seguenti elementi: a) numero di AIR e di VIR concluse nell'anno; b) numero e casi di esclusione e di esenzione dall'AIR; c) numero di relazioni AIR integrate su richiesta del DAGL, del Parlamento, o su sollecitazione del Consiglio di Stato in sede consultiva; d) metodologie applicate, scelte organizzative adottate dalle amministrazioni; e) numero di consultazioni realizzate nel corso dell'AIR e della VIR e relative metodologie; f) piani biennali per la valutazione e la revisione della
La Relazione del 2018 si apre con una ricognizione delle maggiori novità introdotte nel 2018: ci si riferisce al completamento delle riforme concernenti la disciplina dell’AIR, della VIR e delle consultazioni pubbliche (supra §2). Tra queste è centrale il ruolo assunto dal principio di concentrazione di cui all’art. 2, comma 3, del DPCM 169/2017, secondo cui “l’AIR è riservata ad iniziative normative di impatto significativo su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni”. La disposizione, quantomai opportuna, è frutto del contemperamento di vari interessi.
Prima di tutto, rileva il tentativo di allineare l’utilizzo degli strumenti di analisi della regolamentazione alle prassi consolidate (e funzionanti) riscontrabili negli Stati Uniti d’America: qui, già da tempo l’analisi e la valutazione d’impatto della regolamentazione sono svolte prevalentemente sulle misure più significative. Questo permette di garantire (in concomitanza con altri fattori) degli standard di qualità elevati per quanto riguarda l’analisi svolta285.
Numero di AIR svolte dal 2007 al 2018
Grafico 4 (dati raccolti dal DAGL)
regolazione redatti ai sensi dell'articolo 12 e loro aggiornamenti; g) riferimenti alle esperienze di AIR e di VIR presso le istituzioni dell'Unione europea, le autorità indipendenti, le regioni, gli enti locali, evidenziando le migliori pratiche anche a livello internazionale; h) eventuali criticità riscontrate a livello di Amministrazioni nello svolgimento delle AIR e delle VIR; i) iniziative per la formazione e il miglioramento delle capacità istituzionali nello svolgimento dell'AIR, della VIR e delle consultazioni.
285 XXXXX C. et al., An evaluation of the quality of impact assessment in the European Union with lessons for the US and the EU, in R&G, 2008(2), 405.
Un altro aspetto importante è poi costituito dal rischio (invero soltanto paventato) della c.d. paralysis by analysis286, ossia che un utilizzo troppo generoso dell’analisi d’impatto della regolamentazione comporti un irrigidimento eccessivo dell’attività dei decisori pubblici, con conseguenti ritardi spesso incompatibili con l’esigenza di garantire una normazione al passo con le esigenze della società287.
La Relazione, dunque, riporta che il numero complessivo delle AIR rispetto al 2017 è calato del 30% (grafico 4) e sono aumentati i casi di esclusione288. Questi ultimi hanno riguardato in tutto 34 provvedimenti.
Ma il dato veramente interessante, soprattutto se rapportato all’attività normativa nei contratti pubblici, è quello relativo alla tipologia di provvedimenti sottoposti ad AIR: nel 2018, su un totale di 74 AIR svolte su atti sottoposti all’esame del Consiglio dei ministri, 42 riguardavano decreti legislativi, 10 disegni di legge, 15 decreti del Presidente della Repubblica e soltanto 7 decreti-legge (grafico 5).
286 Xxxx XXXXXXX C. R., Is cost-benefit analysis for everyone, in ALR, 2001(1), 299.
287 Vedi XXXXXXXXXX C., The Rhetoric and Reality of Regulatory Reform, in YJR, 2008(1), 85, il quale denuncia (negli USA) la discrasia che c’è tra la retorica che definisce l’AIR come un rallentamento per le pubbliche amministrazioni e la realtà, nella quale non si riscontrano evidenze empiriche di un effettivo appesantimento dell’attività regolatoria.
288 Gli atti normativi esclusi dall’applicazione dell’AIR sono disciplinati dall’art. 6 del DPCM 169/2017, e sono: (a) disegni di legge costituzionale; (b) norme di attuazione degli statuti delle Regioni a statuto speciale; (c) disposizioni direttamente incidenti su interessi fondamentali in materia di sicurezza interna ed esterna dello Stato; (d) disegni di legge di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali; (e) norme di mero recepimento di disposizioni recate da accordi internazionali ratificati; (f) norme di approvazione di bilanci e rendiconti generali; (g) testi unici meramente compilativi; (h) provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 17, commi 4-bis e 4-ter, della legge 23 agosto 1988, n. 400 e s.m.i.
AIR per tipo di provvedimento (2018)
D.P.R.
20%
D.d.l.
14%
D.lgs.
57%
D.l.
9%
D.lgs. D.l. D.d.l. D.P.R.
Grafico 5 (dati forniti dal DAGL)
Il numero esiguo di AIR svolte su decreti-legge stride con le novità introdotte dal DPCM 169/2017, il quale prevede, all’art. 10, una formula semplificata di analisi per queste fonti, proprio per tentare di appianare la contraddizione irriducibile tra lo strumento emergenziale del decreto-legge e l’attività di istruttoria normativa289.
Tali dati, se confrontati con l’attività normativa del Governo in generale e soprattutto con quella relativa ai contratti pubblici, restituiscono un ritratto d’insieme dalle tinte fosche. Sotto il primo profilo va infatti considerato che, dall'inizio della XVIII Legislatura fino a marzo 2020, sono state approvate 107 leggi (37 sono leggi di conversione di decreti-legge) e sono stati emanati 46 decreti-legge, 63 decreti legislativi e 9 regolamenti di delegificazione290. Lo strumento previsto dall’art. 77 Cost., dunque, rappresenta una porzione tutt’altro che marginale nell’attività normativa del Governo e del Parlamento. Ancor di più, quindi, si appalesa l’inefficacia degli strumenti sulla qualità della regolamentazione concepiti sulla base di un funzionamento fisiologico del sistema delle fonti del diritto, a fronte di una
289 L’AIR in questi casi dovrebbe infatti articolarsi almeno nelle seguenti fasi: a) individuazione dei problemi da affrontare, con riferimento all'area o settore di regolamentazione in cui si inserisce l'iniziativa normativa, con illustrazione delle esigenze e delle criticità di tipo normativo, amministrativo, economico e sociale constatate nella situazione attuale, che motivano l'intervento; b) definizione degli obiettivi dell'intervento normativo, coerenti con l'analisi dei problemi di cui alla lettera a); c) individuazione dei potenziali destinatari, pubblici e privati, dell'intervento e definizione della loro consistenza numerica; d) valutazione dell'intervento, con descrizione e, ove possibile, quantificazione dei principali impatti (benefici e costi attesi) per categoria di destinatari e per la collettività nel suo complesso; e) individuazione delle condizioni specifiche per l'attuazione dell'intervento e delle relative modalità di effettuazione del monitoraggio e della successiva valutazione. 290 CAMERA DEI DEPUTATI, La produzione normativa: cifre e caratteristiche, cit..