COMPETENZA DI PROVENTI DERIVANTI DA UN CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE
COMPETENZA DI PROVENTI DERIVANTI DA UN CONTRATTO DI SOMMINISTRAZIONE
Quesito
Ci è stato chiesto di esprimerci in merito alla fondatezza di un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate nei confronti di una società X in merito alla competenza fiscale dei proventi derivanti da un contratto di somministrazione stipulato con la società Y, il quale prevede, per il somministrato, ovvero X, un premio commisurato al volume degli acquisti effettuati presso Y nel corso dell’anno.
Più precisamente la clausola contrattuale recita quanto di seguito:
“Annualmente ed in concomitanza con la stesura dei rispettivi budget e dei consuntivi dei volumi di vendita e di acquisto, verrà determinata, di comune accordo, l’entità degli addebiti e degli accrediti relativi a quanto di seguito specificato: …
Premi: il somministrato avrà diritto, a fine anno, ad un premio commisurato al volume degli acquisti effettuati nel corso dell’anno. Detto premio, il quale costituisce per il somministrante un ristorno parziale dei premi ad esso corrisposti dai propri fornitori al raggiungimento di determinate performances commerciali, sarà concordato come in premessa e tenendo conto anche delle strategie commerciali del somministrante”.
Pertanto, il premio, come indicato nel contratto, costituisce un ristorno parziale dei premi corrisposti dai propri fornitori alla società Y, legato al raggiungimento di determinati obiettivi commerciali e sarà concordato, come in premessa del contratto, tenendo conto anche delle strategie commerciali della stessa Y.
Nello specifico, relativamente al premio erogato da Y ad X nel 1998, dell’importo di lire 450.000.000 come risulta da regolare documento contabile del 25/03/1999 e da una lettera – priva purtroppo di data certa - datata 12/02/1997, i verificatori sostengono l’impossibilità di considerare tale provento di competenza dell’esercizio 1997, come invece imputato da X nella propria dichiarazione dei redditi, in quanto a dir loro, per quanto indicato nel contratto l’entità del premio non è determinabile in via così anticipata come sostenuto dalla società X mediante esibizione della lettera, poichè “legata al raggiungimento di determinati volumi d’affari e dall’ulteriore riconoscimento in capo alla somministrante di premi da parte dei propri fornitori”.
Per questi motivi secondo l’Agenzia il premio deve essere configurato quale sopravvenienza attiva nell’esercizio in cui il provento diventa certo e quantificato. Tale momento, come ribadito nell’avviso, può per l’Amministrazione verificarsi solo dopo la chiusura dell’esercizio.
LE CONSIDERAZIONI
La soluzione della controversia in oggetto è rappresentata sostanzialmente dalla corretta interpretazione del criterio della competenza così come disciplinato dall’art. 2423-bis comma 3
c.c. da un punto di vista civilistico, e dall’art. 75 del TUIR, ora art. 109 per quanto concerne, invece, il profilo fiscale.
Per quanto alla normativa fiscale, sebbene nella sostanza disposizione sia rimasta, per quanto al principio della competenza, invariata, ovviamente il riferimento normativo è rappresentato in questo caso dall’art. 75 in quanto norma in vigore nel periodo accertato.
Per il comma 1 dell’art. 75 “i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi, per i quali le precedenti norme del presente capo non dispongono diversamente, concorrono a formare il reddito nell'esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell'esercizio di competenza non sia ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare concorrono a formarlo nell'esercizio in cui si verificano tali condizioni”.
In sostanza, quindi, per i soggetti esercenti attività d’impresa i componenti reddituali concorrono alla formazione del reddito nel periodo d’imposta in cui essi sono certi nella loro esistenza e determinabili oggettivamente nel loro ammontare, a prescindere pertanto dalla data dell’incasso o pagamento.
Più in concreto un ricavo potrà essere considerato di competenza dell’esercizio X se entro il 31/12 dell’esercizio X si sono verificati i presupposti necessari alla sua oggettiva determinazione, ovvero è possibile affermare che il ricavo c’è perché la vendita o la prestazione è stata effettuata – in relazione al comma 2 dell’art. 75 – ed è quantificabile in € ad esempio 100.000.
Se, invece, non è possibile sostenere anche solo una di tali condizioni, allora, in tal caso, l’imputazione del ricavo deve essere rimandata all’esercizio in cui tali condizioni si verificano simultaneamente.1
1 G. e X. Xxxxxxxxx afferamano: “Il principio della competenza deve comunque essere derogato quando, nell’esercizio di competenza, i ricavi e le spese e gli altri componenti positivi o negativi di reddito siano incerti quanto all’esistenza e non siano determinabili in modo obiettivo nell’ammontare. In tale evenienza gli stessi concorrono a formare il reddito dell’esercizio in cui si verificano tali condizioni”. Da “Dal bilancio d’esercizio al reddito d’impresa” , pag. 291.
Nello specifico, per quanto al requisito dell’esistenza certa del componente di reddito, stando a quanto affermato a suo tempo nella relazione alla norma, il requisito della certezza dell’esistenza dei componenti di reddito deve essere verificato sulla base di criteri essenzialmente economici, ovvero si deve ritenere che la ragionevole certezza si realizzi nel momento in cui le tecniche aziendali considerano definitivamente formato il componente di reddito, affidando al meccanismo delle sopravvenienze le successive e possibili correzioni d’importo.
La RM 9/2940 del 1981 con riferimento al requisito della certezza, afferma che essa assume consistenza giuridica relativamente agli impegni contrattualmente assunti che conferiscono concretezza ai costi, e perciò anche ai ricavi, a prescindere dalla loro manifestazione numeraria. Dello stesso avviso le più recenti risoluzioni 14/E e 52/E del 1998.
Per quanto, invece, al requisito della oggettiva determinabilità, ovvero del quantum, presupposto indispensabile è l’esistenza di obiettivi parametri idonei a consentirne la determinazione. In sostanza, si presuppone l’esistenza di atti e documenti probatori dai quali sia possibile trarre gli opportuni elementi alla esatta quantificazione. Le risoluzioni in precedenza citate hanno valore anche per quanto concerne tale aspetto.
Nel caso, ad esempio, di una cessione di beni eseguita da un’impresa la quale contrattualmente si riserva di quantificare l’importo della cessione stessa al termine di calcoli estremamente complessi, ai fini dell’individuazione dell’esercizio di competenza per l’imputazione dei componenti di reddito occorre fare riferimento a quello in cui sarà determinato il prezzo di cessione. Infatti, solo in tale esercizio saranno rispettati i requisiti della certezza e della oggettiva determinabilità.2
La giurisprudenza, dal canto suo, ha espresso la propria opinione con la sentenza 3401/1997 della Corte di Cassazione, Sez. I, per la quale “certo è il costo la cui esistenza si sia effettivamente verificata nell’esercizio di competenza”, mentre determinabile è il costo “di cui si conoscano esattamente l’importo (o le modalità di determinazione) in quanto obiettivamente accertato e desumibile da documenti formali”.3
Ciò detto, qualora un componente di reddito sia civilisticamente di competenza dell’esercizio chiuso ma privo, da un punto di vista fiscale, del requisito dell’obiettiva determinabilità, dovrà essere eseguita in sede di dichiarazione dei redditi un’apposita variazione in diminuzione od in aumento del reddito complessivo.
2 In “Il testo unico delle imposte su redditi 2003”, pag. 1187 – Autori vari – ed. Iposa
3 La sentenza precisa inoltre come non siano paragonabili i concetti di certezza e determinabilità con quelli di prevedibilità ma anzi siano da considerare ben differenti. In tal caso si tratterebbe più ragionevolmente di accantonamento ai fondi rischi e oneri.
Tale situazione si verifica quando, ad esempio, entro la chiusura dell’esercizio si è certi dell’esistenza del componente reddituale, ma la sua oggettiva determinabilità potrà avvenire solo nell’esercizio successivo.4
Al di là di queste preziose osservazioni normative, appare essenziale ribadire una cosa. Il principio della competenza rappresenta uno dei punti cardine ma assai complicati del Testo Unico delle Imposte sui Redditi.
La possibilità di oggettiva determinazione del componente di reddito, passaggio fondamentale per la risoluzione del caso in oggetto, sembra dover essere considerata con riferimento all’esercizio nel quale ciò è possibile.
In questo caso, data la clausola contrattuale, appare difficile non comprendere i dubbi dell’Amministrazione, per di più non essendovi indicata una data certa. Il contratto, per come formulato poi, non facilita le cose in quanto lascia davvero spazio a differenti interpretazioni. Non a caso alcuni colleghi, interpellati sulla questione, hanno raggiunto conclusioni differenti.
A nostro avviso, come del resto affermato dalla stessa dottrina, di fondamentale importanza, oltre ai precedenti riferimenti giurisprudenziali citati, è la sentenza della Corte di Cassazione 2892/02. Con tale sentenza, la Cassazione ha precisato: l’imputazione a conto economico dei costi e dei ricavi può essere eseguita fino al momento della redazione e della presentazione della dichiarazione dei redditi.5
Pertanto, in considerazione della formulazione del contratto e in particolare di quanto affermato dalla Cassazione con tale sentenza, sembrerebbe di poter propendere per la corretta imputazione del componete di reddito da parte della società.
A conclusione aggiungiamo le seguenti osservazioni. Il fine dell’art. 75 è evidentemente quello di evitare un arbitrario spostamento da parte dei soggetti IRPEG, ora nuovi soggetti IRES, di componenti di reddito da un esercizio all’altro e probabilmente con particolare attenzione ai costi, tant’è la maggior parte dei riferimenti di prassi e giurisprudenza indicati hanno ad oggetto la corretta imputazione dei costi di esercizio.
La volontà, assolutamente condivisibile, è quella di non consentire delle libere riduzioni o aumenti della base imponibile, con il conseguente spostamento del carico fiscale, a seconda delle proprie
4 G. e X. Xxxxxxxxx in “Dal bilancio d’esercizio al reddito d’impresa” , pag. 293
5 Il passaggio a nostro avviso fondamentale della sentenza recita: “Mirando contemporaneamente a salvaguardare sia la necessità di computare tutte le componenti nell'esercizio di competenza che l'esigenza di non addossare ai contribuenti un onere troppo difficile da rispettare, la predetta norma – ovvero l’art. 75 del TUIR - deve essere interpretata nel senso che il dovere di conteggiarli nell'anno di riferimento, si arrestava soltanto di fronte a quei ricavi ed a quei costi che non fossero ancora noti all'atto della determinazione del reddito e, cioè, al momento della redazione e presentazione della dichiarazione”.
esigenze. Rinviare, ad esempio, la deducibilità di un costo significa incrementare per quell’esercizio la base imponibile e pertanto il carico fiscale.
Nel caso in oggetto, il contribuente non si è reso artefice di un’evasione ma se del caso, trattandosi di un ricavo, di un favore nei confronti del fisco.
Nell’imputare il ricavo nel 1997 invece del 1998 ha evidentemente anticipato il pagamento delle imposte all’erario.
Inoltre un principio per così dire di equità fiscale, per l’art. 67 del DPR 600/1973 “la stessa imposta non può essere applicata più volte, in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi”, mentre per l’art. 53 della Costituzione “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita` contributiva”.
In altri termini non appare essere possibile una duplicazione dell’imposta e pertanto si tratterebbe, se in caso di ricorso fosse confermata la tesi della Amministrazione, di pagare le imposte relative al 1998 e di chiedere a rimborso quelle del 1997.
Il carico fiscale complessivo resterebbe pertanto invariato creando però probabili difficoltà finanziarie al contribuente, il quale dovrebbe pagare imposte già assolte.