COLLEGIO DI NAPOLI
COLLEGIO DI NAPOLI
composto dai signori:
(NA) MARINARI Presidente
(NA) XXXXXXXX Membro designato dalla Banca d'Italia (NA) XXXXXXXXX DE XXXXXX Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) XXXXXXXXXX Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(NA) XXXXXX Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXXXX XXXX
Nella seduta del 19/07/2016 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
La controversia sottoposta alla cognizione del Collegio concerne il tema del diritto alla restituzione del premio pagato in esecuzione di un contratto di garanzia stipulato con il Confidi in favore di un terzo, contestata per il mancato avveramento della condizione sospensiva dell’accettazione del beneficiario.
Con ricorso del 12 ottobre 2015 – preceduto da reclamo del 27 marzo 2015, riscontrato dall’intermediario il 14 aprile 2015 – la società ricorrente, con l’assistenza di un difensore, ha esposto che, in data 22 ottobre 2013, stipulava con l’intermediario resistente un contratto di garanzia in favore di una società terza; la beneficiaria tuttavia non accettava la garanzia impedendo l’avveramento della condizione sospensiva, prevista nell’art. 8 delle condizioni generali di garanzia. La ricorrente chiedeva pertanto all’intermediario la restituzione del premio pagato rimasto privo di giustificazione causale; l’intermediario riscontrava negativamente la richiesta richiamando l’art. 10 delle condizioni contrattuali, esplicitamente approvato ex art. 1341 cod. civ., che prevedeva la rinuncia a richiedere la restituzione del premio e, nella corrispondenza successiva alla presentazione del reclamo, che la condizione sospensiva operava esclusivamente in proprio favore. Insoddisfatta dell’esito del reclamo, la ricorrente si è rivolta all’Arbitro bancario finanziario precisando,
quanto alle contestazioni sollevate dall’intermediario, l’assenza di doppia sottoscrizione della clausola avente ad oggetto la rinuncia alla restituzione del premio in quanto l’art. 10 (limitazione della responsabilità e rinuncia a provvedimenti anticipatori) esplicitamente approvato non trovava riscontro nel corpo del contratto dove la clausola con corrispondente numerazione era rubricata “comunicazioni e varie”. Ha chiesto, quindi, di ordinare alla resistente di rifonderle la somma di Euro 9.250,00, oltre interessi dal pagamento (detratte eventuali spese amministrative sostenute dalla resistente) “ovvero adotti qualsiasi altra misura, anche in via equitativa, ritenuta idonea a tutelare la posizione di [essa ricorrente]”.
L’intermediario non ha presentato controdeduzioni.
Nel corso della riunione del 9 febbraio 2016, fissata per la trattazione del procedimento, il Collegio aveva rilevato che la questione della validità del contratto stipulato da un confidi in assenza di autorizzazione (su cui infra) era stato sottoposto al Collegio di Coordinamento e, quindi, si riteneva opportuno attenderne le determinazioni, rinviando la decisione alla data odierna.
DIRITTO
Preliminarmente, il Collegio è chiamato a valutare la validità e l’efficacia del contratto oggetto della controversia. Infatti, il Confidi resistente, attualmente iscritto nella sezione riservata ai confidi ex art. 155, comma 4, del TUB per l’attività di concessione di garanzie “collettive” a favore di banche e altri intermediari autorizzati, non è abilitato al rilascio di garanzie nei confronti del pubblico (quali le fideiussioni a favore di enti e amministrazioni pubbliche o a imprese terze e privati in genere, anche se prestate nell’interesse di imprese socie del confidi (così si evince dal comunicato della Banca d’Italia del relativo elenco, aggiornato al 29 dicembre 2015). La questione non è nuova per l’Arbitro bancario finanziario: appare, quindi, utile riportare le argomentazioni svolte in un rilevante precedente proprio di questo Collegio secondo cui “chiarito, dunque, che l’intermediario non era autorizzato al rilascio di fideiussioni in favore del pubblico, e che la sua condotta si presenta suscettibile di integrare gli estremi anche della fattispecie delittuosa di abusivo esercizio di attività finanziaria ai sensi dell’art. 132 TUB vecchio testo, la questione che però a questo punto si tratta di affrontare – ed è quella realmente decisiva – è se la violazione delle norme pubblicistiche che stabiliscono i presupposti per il legittimo esercizio dell’attività finanziaria sia destinata anche ad avere incidenza ex se sui contratti in cui tale attività si scandisce e a determinarne l’invalidità. Si tratta, per vero, di un problema che involge questioni di vertice della teoria non solo del contratto ma anche dell’impresa, e che si riassume nell’interrogativo se alla qualificazione dell’impresa come “illecita” debba conseguire anche una qualificazione in chiave di nullità dei contratti che essa pone in essere. Il problema è delicato, e lo è in misura ancora più accentuata nel caso che ci occupa, dove ci si confronta con un contratto che si riconduce al paradigma di un contratto tipico, quale appunto la fideiussione, e dove allora è sicuramente più difficile seguire la traiettoria interpretativa consueta, che vorrebbe, in casi del genere, concludere nel senso della nullità virtuale del contratto ai sensi dell’art. 1418, primo comma, cod. civ. Se, infatti, si accede a quell’indirizzo ermeneutico che sottolinea come la nullità virtuale non discenda da ogni violazione di norma imperativa che abbia una qualche connessione con l’attività contrattuale dei privati, ma solo allorché si stabilisca una incompatibilità tra i valori protetti dalla norma e la regola negoziale, si può anche ragionevolmente dubitare che in casi come quello di specie una simile incompatibilità davvero sussista, così come si potrebbe anche dubitare che la qualificazione in chiave di nullità del contratto sia la
soluzione più appropriata per la tutela degli interessi individuali coinvolti (e basti pensare, in un contesto come quello che ci occupa, al fatto che affermare la nullità del contratto se, per un verso, significa – ed è quanto rileva nel caso in esame – permettere al debitore garantito di ottenere la restituzione del corrispettivo pagato per il rilascio della fideiussione, per altro verso significa anche accordare un beneficio allo stesso intermediario, il quale potrà evidentemente sottrarsi, evocando la nullità, all’adempimento dei suoi obblighi nei confronti di quanti, tra i beneficiari di garanzie abusivamente rilasciate, al verificarsi dei relativi presupposti, intendessero procedere egualmente alla loro escussione). E tuttavia, pur non potendosi disconoscere che la conclusione della nullità del contratto presenta alcuni profili di criticità, sembra al Collegio che essa sia quella in casi del genere da privilegiare, ancorché sulla base di una considerazione diversa da quella consueta, che invoca genericamente il contrasto con le norme imperative disciplinanti l’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria e, dunque, predica la nullità virtuale del contratto ex art. 1418 c.c. Ritiene, infatti, il Collegio che se, in casi del genere, di nullità dell’atto di autonomia negoziale si può (e si deve) parlare, ciò avviene perché il contratto attraverso cui si scandice l’attività di impresa è caratterizzato – com’è stato detto con espressiva formula in quello che è ancora oggi il fondamentale studio in argomento – da una “inerenza teleologica e strutturale” alla stessa, con la conseguenza che in tali casi è la sua funzione che finisce per risultare illecita, giacché se al contratto non si comunicasse il disvalore espresso dalla illiceità dell’attività esso fungerebbe da strumento per conseguire proprio le utilità complessive di un’attività che risulta essere vietata. Insomma, quel che si intende sottolineare è che l’inerenza dell’atto all’attività fa sì che sia la concreta causa negoziale del contratto a risultare illecita, il che è allora quanto consente – in un caso come quello che ci occupa con cui ci si confronta con uno schema contrattuale tipico, quale appunto la fideiussione – di concludere per la nullità” (ABF Napoli decisione n. 6343 del 2014). Successivamente, il tema si è arricchito per la recente decisione del Collegio di Coordinamento, che ha confermato la nullità per violazione di norma imperativa del contratto stipulato dall’intermediario privo delle necessarie autorizzazioni o, comunque, dell’iscrizione di uno dei contraenti in albi o registri tenuti dalla legge (decisione n. 4619/2016). Va sottolineato, peraltro, che il Collegio di Coordinamento ha precisato che la nullità in questione presenta consonanza con la categoria della nullità relativa, poiché non vi è estranea l’esigenza di non pregiudicare il contraente che con il suo comportamento non ha dato causa alla nullità; in particolare, si è ritenuto di individuare una ratio comune all’art. 167 del Codice delle assicurazioni private (d.lgs. 209/2005), a tenore del quale la nullità può essere fatta valere solo dal contraente dell’impresa di assicurazione non autorizzata. E, in effetti, è evidente l’effetto negativo per il cliente che, nel caso di nullità del contratto di fideiussione stipulato dal confidi non autorizzato come in quello del contratto di assicurazione di cui al citato art. 167, si troverebbe privato della copertura della garanzia nella quale aveva confidato.
In tale cornice, va iscritta la fattispecie concreta all’esame del Collegio, nella quale la peculiarità è che l’eccezione di nullità non è stata sollevata dal ricorrente che ha chiesto, invece, la restituzione del premio pagato invocando l’esecuzione del contratto, nella parte in cui era sospensivamente condizionato all’accettazione del beneficiario della garanzia. Tuttavia, il Collegio ritiene di poter addivenire parimenti alla declaratoria della nullità del contratto: innanzitutto, occorre oggi tenere conto dell’orientamento sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in materia di rilevabilità di ufficio e, più in generale, delle cause di invalidità e di inefficacia del contratto (Cass. Sez. Unite, 12 dicembre 2014, n. 26242), nella quale ha trovato sede anche una ricostruzione del valore della categoria dell’invalidità a carattere relativo quale strumento di tutela di interessi generali, che ha condotto all’affermazione della sua rilevabilità di ufficio (sia pure non necessariamente
seguita dalla sua dichiarazione, se la parte chiede che la causa sia comunque decisa nel merito o il giudice privilegi una ragione più liquida ai fini della decisione, come ha sottolineato autorevole dottrina). In questo contesto, in assenza di un’articolazione del procedimento che consenta di interpellare le parti, il Collegio è chiamato a svolgere una interpretazione complessiva, alla luce del principio, pacifico in giurisprudenza, a tenore del quale, in tema d’interpretazione della domanda, il giudice di merito è tenuto a valutare il contenuto sostanziale della pretesa, alla luce dei fatti dedotti in giudizio e a prescindere dalle formule adottate; conseguendone “che è necessario, a questo fine, tener conto anche delle domande che risultino implicitamente proposte o necessariamente presupposte, in modo da ricostruire il contenuto e l’ampiezza della domanda giudiziale secondo criteri logicamente corretti e tali da evidenziare la volontà della parte in relazione alle finalità concretamente perseguite dalla stessa” (Xxxx. 26 settembre 2011, n. 19630, e, più recentemente, Xxxx. 18 marzo 2014, n. 6226). Nel caso di specie, appare evidente che il ricorrente non ha alcun interesse alla conservazione del contratto, del quale anzi vuole liberarsi essendo venuta meno la sua funzione concreta, e chiedendo di ottenere la restituzione del premio versato: pertanto, il petitum sostanziale è lo stesso al quale la ricorrente avrebbe diritto con la dichiarazione di nullità del contratto, ovvero la restituzione delle prestazioni già eseguite, in ragione della normativa in materia di indebito oggettivo.
Il Collegio, pertanto, ritiene che la domanda sia fondata quanto al diritto della
società ricorrente di ottenere la restituzione delle somme versate pari a € 9.250,00, oltre interessi dalla data del reclamo e nonché il ristoro delle spese per assistenza difensiva nella misura equitativamente determinata di € 200,00.
P.Q.M.
In parziale accoglimento del ricorso il Collegio dichiara l’intermediario tenuto alla restituzione dell’importo di € 9.250,00, oltre interessi legali dalla data del reclamo; dispone altresì il rimborso delle spese per assistenza difensiva nella misura equitativamente determinata di € 200,00.
Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di € 200,00 quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente la somma di € 20,00 quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1