Introduzione
Introduzione
L’art. 1322 del nostro codice civile, annoverato tra le disposizioni preliminari sui contratti in generale e rubricato Autonomia contrattuale, da un lato consacra la libertà dei privati di determinare il contenuto del contratto tra loro stipulato, nei limiti imposti dalla legge, dall’altro subordina la possibilità per le parti di concludere contratti non appartenenti ai tipi aventi una particolare disciplina, e dunque atipici, alla circostanza che gli stessi siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
L’elaborato si propone di ripercorrere l’annoso dibattito dottrinale sull’intrinseco significato dell’articolo, e, in particolare, sul contenuto più idoneo da attribuire alla generale clausola della meritevolezza dell’interesse suggellata nel suo secondo comma, nel tentativo di fornire al lettore uno spunto di riflessione ed uno strumento di confronto utile per un’interpretazione ragionata dell’attuale orientamento giurisprudenziale in materia.
Il punto di partenza è costituito da un’analisi di tipo storico-comparatistico del fondamentale principio dell’autonomia negoziale, che, se nell’esperienza giuridica romana comincia, seppur alquanto timidamente, ad affacciarsi, nel diritto moderno e contemporaneo irrompe sulla scena, giungendo ad una decisa e completa affermazione.
Tale analisi consente di approdare alla poliedrica nozione di giustizia del contratto che, emersa nella veste di vincolo alla libertà contrattuale nell’ambito del nuovo diritto dei consumatori, pare ora potersi ergere a valore fondante dell’ordinamento e, secondo un’originale proposta, potersi concretizzare nel riconoscimento di un generale principio di proporzionalità delle prestazioni contrattuali, da espletarsi anche attraverso il vaglio di meritevolezza richiesto dall’art. 1322, comma 2, c.c.
Si descrive quindi lo scenario di origine della norma considerata, connotato dalle ambizioni solidaristico-corporative proprie del regime fascista, delineandone i valori ed i principi ispiratori, per procedere ad esplorarne l’evoluzione interpretativa, che, partendo dalla c.d. teoria dell’utilità sociale e passando per quella della c.d. funzione economico-individuale del contratto, manifesta la sua dinamicità attraverso l’avanzamento delle soluzioni più disparate.
Ci si sofferma poi sull’aumentata latitudine del concetto di ordinamento giuridico che, estesosi fino a ricomprendere, tra le sue fonti, i principi del commercio internazionale e delle nazioni di civiltà giuridica affine, assecondando le esigenze socio-economiche alla base del dilagante processo di uniformazione del diritto, ha ridisegnato i contorni anche del giudizio di meritevolezza sulla contrattazione atipica e, più in generale, del controllo causale sul contratto.
La riflessione si conclude in chiave pratica, incentrandosi sulle più recenti pronunzie giurisprudenziali in materia di assicurazione e di intermediazione finanziaria: si indaga, in particolare, sulla meritevolezza delle clausole c.d. claims made apposte al contratto di assicurazione della responsabilità civile, del complesso piano finanziario c.d. for you o my way e degli strumenti finanziari derivati più problematici, gli interest rate swap.
I Il principio della libertà contrattuale tra giustizia ed equilibrio dello scambio.
1. Fondamenti romanistici e successivi sviluppi nel quadro delle codificazioni occidentali. Originalità del sistema italiano. 2. La giustizia contrattuale come limite all’autonomia privata nel nuovo diritto dei contratti. 3. Sulla proposta del riconoscimento di un principio di proporzionalità delle prestazioni contrattuali.
1. Fondamenti romanistici e successivi sviluppi nel quadro delle codificazioni occidentali. Originalità del sistema italiano.
Tra i concetti-cardine dell’intero sistema giuridico, il più significativo in ambito civilistico è, con tutta probabilità, quello che comunemente si designa come «autonomia privata, autonomia contrattuale, autonomia negoziale»1.
La stessa definizione legislativa del termine contratto2 identifica nell’accordo delle parti, ossia nella loro concorde volontà, l’elemento basilare che costituisce, regola oppure estingue un rapporto giuridico patrimoniale3.
1 PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli, 2017, p. 443. L’autore attribuisce un significato autonomo e ben definito a ciascuno dei suddetti termini, ravvisandovi un rapporto da genus a species: «Per autonomia privata si è soliti indicare il potere riconosciuto o attribuito dall’ordinamento giuridico al «privato» di autoregolare (cioè di regolare «da sè», con proprie manifestazioni di volontà) i «propri» interessi. Autoregolamento che, se conforme alle prescrizioni del diritto, è giuridicamente vincolante per la parte o per le parti che lo hanno creato, sì da assumere per esse «forza di legge» (13721)». Sulla base dei mezzi attraverso cui si esplica l’autonomia privata, si distingue poi tra autonomia negoziale, che
«designa l’ipotesi nella quale l’autonomia si estrinseca con il compimento di un negozio (qualunque sia la sua conformazione strutturale ed il suo contenuto)», e autonomia contrattuale, che «indica l’ipotesi nella quale il suddetto potere si esprime con il compimento del negozio più diffuso che è il contratto, caratterizzato dalla pluralità delle parti e dalla patrimonialità del contenuto (1321)».
2 Art. 1321 c.c.: «Il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale».
3 XXXXXXX, Trattato di diritto civile, II, Padova, 2015, p. 182. «L’effetto giuridico, costitutivo o regolatore o estintivo del rapporto, è qui prodotto dalla volontà delle parti interessate: l’acquisto della proprietà, in altre parole, è l’effetto della concorde volontà dell’alienante e dell’acquirente (del venditore e del compratore, del donante e del donatario, e così via); ed il sorgere dell’obbligazione è l’effetto, anch’esso, della concorde volontà del
E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che la conclusione di un contratto comporta, naturalmente, l’assunzione del rischio connesso agli obblighi negoziali e al regolamento degli interessi contrattualmente stabilito; la constatazione per cui tale assunzione non può essere coattivamente imposta né, tantomeno, inconsapevolmente attuata, porta a ritenere con certezza che la stessa debba essere, al contrario, pienamente libera e volontaria4.
Il principio della libertà contrattuale, che idealmente si ricollega al riconoscimento della proprietà privata e al carattere libero dell’iniziativa economica privata5, è complesso e composito, articolandosi in svariati concetti6, ed è pertanto stato inteso, nel corso del tempo, secondo diverse accezioni.
In senso negativo, libertà o autonomia contrattuale significa «che nessuno può essere spogliato dei propri beni o essere costretto ad eseguire prestazioni a favore di altri contro o, comunque, indipendentemente dalla propria volontà»; in altre parole, ciascuno ubbidisce soltanto alla propria volontà e non può
creditore e del debitore (del locatore o del locatario, del mutante o del mutuatario, e così via)».
4 FRATINI, Il contratto, in FRATINI, Il sistema del diritto civile, III, Roma, 2017, p. 3.
5 FRATINI, Il contratto, cit., p. 2: «L’istituto giuridico del contratto è un riflesso di quello della proprietà privata, ossia della ricchezza privata; il contratto costituisce veicolo per la circolazione dei beni. L’ordinamento, tutelando la proprietà privata e insieme orientandola al perseguimento di una funzione sociale (art. 42, commi 2 e 3, Cost.), ne contempla i modi di acquisto e di godimento, tra cui il contratto (art. 922 c.c.)», inoltre, «la libertà contrattuale è il principale equivalente giuridico di quell’iniziativa economica privata che l’art. 41 comma 1 Cost. proclama libera».
Cfr. MENGONI, Autonomia privata e costituzione, in Banca borsa, 1997, I, p. 4. «Nel campo dei rapporti patrimoniali la libertà individuale di contratto fruisce soltanto di una tutela costituzionale indiretta, in quanto strumento di esercizio della libertà di iniziativa economica e del diritto di proprietà. La garanzia di queste libertà economiche (artt. 41 e 42 cost.» e l’obbligo che ne deriva al legislatore di riconoscerle e determinarne i limiti destinati ad armonizzarne l’esercizio con l’utilità sociale e col rispetto della sicurezza, della libertà, della dignità umana, si riflettono sull’autonomia negoziale».
6 FRATINI, Il contratto, cit., p. 2. Tradizionalmente, libertà contrattuale significa che:
«nessuna delle parti può imporre unilateralmente all’altra il contenuto, o singole clausole, del contratto e che questo deve essere il risultato del libero dibattito fra esse»; che le parti possono derogare alle norme di legge di carattere dispositivo o suppletivo e che, in talune materie, «è ammessa l’autodisciplina, ossia la disciplina stabilita dalle stesse parti interessate».
quindi essere assoggettato all’ altrui determinazione, a meno che la legge non lo xxxxxxxx0.
In questo suo significato negativo, l’autonomia contrattuale è già presente nella nozione generale di contratto: l’accordo delle parti, secondo l’art. 1321 c.c., costituisce «tra loro» un rapporto giuridico patrimoniale, dunque il contratto vincola solo ed esclusivamente chi ha preso parte all’accordo, chi ha prestato il proprio consenso alla costituzione, alla regolazione o all’estinzione di un rapporto patrimoniale.
Il principio è successivamente ribadito dall’art. 1372, secondo cui «il contratto non produce effetti rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge».8
In senso positivo, libertà o autonomia contrattuale significa che le parti sono libere di costituire, regolare o estinguere rapporti patrimoniali tramite un proprio atto di volontà: possono, cioè, «disporre dei propri beni e possono obbligarsi ad eseguire prestazioni a favore di altri»9.
Le componenti dell’autonomia contrattuale, considerata nella sua accezione positiva, si manifestano nelle tradizionali libertà contrattuali: la libertà di contrarre, di scegliere il proprio contraente, di determinare il contenuto nonché la forma del contratto e, infine, «la libertà più vistosa, subordinata all’esito favorevole del controllo di meritevolezza degli interessi attuato alla luce dei valori dell’ordinamento» di creare nuovi schemi contrattuali non appartenenti a quelli legislativamente disciplinati10.
Nell’esperienza giuridica romana, se, sotto il profilo contenutistico, può, per taluni, dirsi ampia la libertà per i contraenti di fissare il regolamento
7 XXXXXXX, Trattato di diritto civile, II, cit., p. 183.
8 XXXXXXX, Trattato di diritto civile, II, cit., p. 183. Si considerano terzi, rispetto al contratto, coloro che non vi hanno partecipato.
9 XXXXXXX, Trattato di diritto civile, II, cit., p. 183. Si noti che, «sotto il primo aspetto, l’autonomia contrattuale coincide con la facoltà di disposizione delle cose, che rientra nel contenuto del diritto di proprietà».
10 PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, cit., p. 443.
contrattuale11, sotto il profilo “formalistico” è rigidamente circoscritta la possibilità, per le parti, di avvalersi di schemi negoziali non tradizionali: il sistema civilistico dei contratti era infatti prepotentemente dominato dal principio della tipicità12.
Originariamente sconosciuta era la generale categoria del contractus: la dottrina contrattuale romana ammetteva soltanto singoli tipi di contractus, specificatamente delineati nella forma o nella causa.
Ma al di là dell’esistenza di questi contratti, nominati o innominati, si afferma, nelle fonti, un principio “universale” secondo cui, «se due persone si accordano su una prestazione ed una controprestazione ed una compie la sua prestazione, sorge per l’altra parte l’obbligo della controprestazione»13.
E, dunque, l’accordo che contrapponeva prestazione e controprestazione, quando fosse intervenuta la prestazione di una parte, era, in ogni caso, ritenuto vincolante:
«sed et si in alium contractum res non transeat, subsit tamen causa, eleganter Xxxxxx Xxxxx respondit esse obligationem. Ut puta dedi tibi rem ut mihi aliam dares, dedi ut aliquid facias: hoc συναλλαγμα esse et hinc nasci civilem obligationem (…). Sed cum nulla subest causa, propter conventionem hic constat non posse costitui obligationem: igitur nuda pactio obligationem non parit, sed parit exceptionem»14.
11 Cfr. XXXXXXXX, La proporzione fra le prestazioni contrattuali, Padova, 2003, p. 5, ove si nota anche come il diritto romano classico fosse influenzato da un modello economico libero, ma non liberale.
12 TALAMANCA, voce Contratto e patto nel diritto romano, in Digesto, Banca dati Leggi d’Italia legale, 1989, par. 6. Ai contratti, tipici o innominati, erano frequentemente contrapposti i c.d. xxxx xxxxx, incapaci di generare obbligazioni e tutelabili in giudizio soltanto mediante eccezione (exceptio pacti conventi).
13 GROSSO, Il sistema romano dei contratti, Torino, 1963, p. 164. Il riferimento è ai frammenti
D. 2, 14, 7, 2 e D.19, 5, 5 pr. «La contrapposizione ai contratti che hanno un proprio nome, alle convenzioni che transeunt in proprium nomen contractus, ha determinato già nei commentatori bizantini la qualifica di contratti innominati (ανϖνυμον συναλλαγμα). I casi che vi rientrano vengono classificati in quattro categorie: do ut des, do ut facias, facio ut des, facio ut facias (D. 19, 5, 5)».
14 D. 2, 14, 7, 2-3 (Ulp. 4 ad ed.): «Ma anche se la convenzione non transiti in un altro contratto, ma sussista una causa, Xxxxxxxx elegantemente ha risposto a Celso che vi è un’obbligazione. Come ad esempio, ti ho dato in proprietà una cosa, perchè tu me ne dessi in proprietà un’altra, ti ho dato in proprietà una cosa, perchè tu faccia qualcosa; questo è il
La convenzione non rientrante in alcun tipo determinato di contractus era definita pactum o pactio, proprio in contrapposizione a quest’ultimo termine;
«di fronte all’individualità concreta dei singoli tipi di contratti, il pactum, come accordo non formale, resta appunto ad indicare la varia esplicazione del semplice accordo all’infuori di quei tipi determinati e individuati a sé come contractus», potendo così dirsi delimitato per esclusione15.
Tale concetto viene sottolineato con l’aggiunta dell'aggettivo nudum,
«sebbene questo non importi di per sé una designazione tecnica, ma soltanto una concreta accentuazione dell’assenza di altri elementi che accompagnino quello di cui si dice che è nudo»16.
Secondo il principio generale, nuda pactio obligationem non parit, sed parit exceptionem: ex nudo pacto actio non nascitur.
L’efficacia giuridica del pactum era, dunque, soltanto «quella negativa sancita dal pretore, per cui il pactum paralizzava un’azione».
Tale «enunciazione della incapacità del nudum pactum a produrre azione viene in antitesi concreta» con la stipulatio, contratto formale di antichissime xxxxxxx00.
Il nudum pactum «si contrappone così ai casi in cui nella conventio si individua un tipico negotium produttivo di azione; in particolare, per la diretta visuale del campo obbligatiorio, il pactum si contrappone al contractus»18.
sinallagma e da qui nasce un’obbligazione civile (...). Ma quando non sussiste alcuna causa, è certo che qui non può costituirsi un’obbligazione a seguito della convenzione; pertanto una nuda pattuizione non fa nascere un’obbligazione, ma fa nascere un’eccezione». XXXXXXXX, XXXXXXXX (a cura di), Fondamenti di diritto contrattuale europeo. Dalle radici romane al Draft Common Frame of Reference, II, Bologna, 2009, p. 89.
15 GROSSO, Il sistema romano dei contratti, cit., p. 163.
16 GROSSO, Il sistema romano dei contratti, cit., p. 188. «Il che permette di parlare di nudus consensus per il modo in cui si conchiudono i contratti consensuali e di dire che l’ipoteca si costituisce nuda conventione (Iul. D. 41, 3, 33, 4 e 5; Ulp. D. 13, 7, 1 pr.) mentre d’altra parte Ulpiano la porrebbe tra le convenzioni che in aliud nomen transeunt (D. 2, 14, 1, 4)».
17 La sponsio, già contemplata nelle XII Tavole, era un contratto formale basato su un rituale richiedente la contestuale formulazione di una precisa domanda, da parte del futuro creditore, e di un’altrettanto precisa risposta, da parte del futuro debitore.
18 GROSSO, Il sistema romano dei contratti, cit., p. 173.
Gli strumenti di apertura più efficaci verso la libertà contrattuale furono rappresentati dalla flessibilità della stipulatio, idonea ad «abbracciare qualunque contenuto»19 e pertanto concedente alle parti un’ampia libertà di determinazione dell’oggetto20, e dall’uso della buona fede oggettiva come parametro per l’introduzione di nuove convenzioni21.
Il diritto intermedio, in un primo momento, accoglie senza riserve il sistema romano, elaborando la c.d. teoria dei vestimenta22, sulla base della consueta
19 GROSSO, Il sistema romano dei contratti, cit., p. 172.
20 GROSSO, Il sistema romano dei contratti, cit., p. 163. Cfr. XXXXXXXX, XXXXXXXX (a cura di), Fondamenti di diritto contrattuale europeo. Dalle radici romane al Draft Common Frame of Reference, II, cit., p. 96, secondo cui, sul piano della prassi «già nei primi decenni del III secolo d.C. appare attenuato il rigido formalismo di tale contratto, se dobbiamo prestar fede alla testimonianza di Xxxxxxx in D. 45, 1, 1, 2, che riconosce la validità di stipulationes concluse pur in assenza della congruità della risposta del debitore» («si quis ita interroget ‘dabis?’ responderit ‘quind ni’, et is in ea causa est, ut obligetur»).
21 XXXXXXXX, XXXXXXXX (a cura di), Fondamenti di diritto contrattuale europeo. Dalle radici romane al Draft Common Frame of Reference, II, cit., p. 96 ss, che cita il testo D. 2, 14, 58 (Ner. 3 membr.) come testimonianza dell’operare della buona fede come parametro per l’ammissibilità di una nuova convenzione: «Dopo aver riportato nella frase iniziale il principio pacifico, per cui nei contratti consensuali era consentito ai contraenti il recesso per mutuo consenso prima dell’esecuzione delle reciproche prestazioni (ab emptione venditione, locatione conductione ceterisque similibus obligationibus quin integris omnibus consensu eorum, qui inter se obligati sint, recedi possit, dubium non est) si introduce una più complessa fattispecie trattata, anche questa volta, da Xxxxxxxx. Il giurista infatti prende in considerazione una compravendita in cui il venditore, che aveva già adempiuto alle sue obbligazioni, e l’acquirente, che non aveva invece ancora pagato il prezzo, convengono che, se quest’ultimo ripristini la situazione del primo, cessi anche il dovere del prezzo (si ea, quae me ex empto praestare tibi oporteret, praestitissem et, cum tu mihi pretium deberes, convenisset mihi tecum, ut rursus praestitis mihi a te in re vendita omnibus, quae ego tibi praestitissiem, pretium mihi non dares...). In tal caso l’effettivo ripristino compiuto dall’acquirente fa venir meno la sua obbligazione (si... tu... mihi ea praestitisses: pretium te debere desinere...). A questo risultato, di rendere possibile un recesso concordato tra le parti anche quando una di esse avesse già eseguito la propria prestazione, Xxxxxxxx perviene fondandosi appunto sull’interpretazione della buona fede, che ammetteva una siffatta convenzione (quia bonae fidei, ad quam omnia haec rediguntur, interpretatio hanc quoque conventionem admittit...)». 22 XXXXXXXX, XXXXXXXX (a cura di), Fondamenti di diritto contrattuale europeo. Dalle radici romane al Draft Common Frame of Reference, II, cit., p. 75: la teoria di Azzone, in paricolare, «parla di sei categorie di vestimenta che conferiscono ai patti la forza giuridica di contratto: una res (la consegna di una cosa), i verba (l’uso di certe parole), il consensus (il consenso), le litterae (l’uso di certe forme verbali), la cohaerentia contractui, alla quale si riportano i patti aggiunti ad un contratto produttivi di obbligazioni, e l’interventus rei, in cui si comprendono i contratti innominati. A queste sei categorie se ne aggiunge una settima, comprensiva di alcune singolari figure di xxxxx che, benché ‘nudi’, hanno effetti obbligatori, come il prestito marittimo (fenus nauticum), la donazione o la promessa di pagare un debito entro un termine perentorio (pecunia constituta). La settima categoria di vestimenta viene
distinzione tra contratti e c.d. xxxx xxxxx ma, successivamente, sotto l’impetuosa spinta dello ius canonicum e dello ius mercatorum, finisce per cancellare tale linea di demarcazione, aprendo definitivamente la strada alla libertà delle parti di porre in essere nuove figure contrattuali con cui regolare i propri assetti di interessi.
L’equiparazione tra le succitate nozioni, basata sulla necessità di tutelare la buona fede dei contraenti e l’aequitas mercatoria, implica che qualunque conventio possa generare obbligazioni azionabili in giudizio, a prescindere dalla sovrapponibilità con i modelli che l’ordinamento contempla e regola23. Il diritto moderno successivo risulta quindi pervaso da un prorompente riconoscimento della libertà contrattuale, in particolar modo nell’ambito delle dottrine giusnaturaliste che, nel XIX secolo, hanno proposto una concezione soggettiva del contratto, i cui effetti giuridici scaturiscono solo e soltanto in forza del potere creatrice della volontà umana.
Si è parlato di dogma della volontà proprio per individuare questa teoria totalizzante della volontà nel contratto, che trova il suo significato ideologico nell’esaltazione della libertà individuale24.
Il principio dell’autonomia contrattuale, così inteso, si basa su una percezione del contratto unicamente come il risultato dell’incontro delle volontà delle parti, che possono liberamente scegliere «non soltanto di concluderlo, ma anche di determinarne il contenuto, in funzione dei propri interessi, senza che possa avere rilevanza giuridica alcun controllo esterno dello scambio»25.
Il dogma della volontà ha però conosciuto una molteplicità di critiche, che, attaccandolo sotto vari livelli di profondità, ne hanno comportato un
qualificata dalla Glossa accursiana come ‘convenzioni o pattuizioni vestite per l’ausilio della legge o del pretore’ (conventiones o pactiones legis vel praetoris ausilio vaestitae)».
Cfr. XXXXXXXX, La causa del contratto tra meritevolezza degli interessi ed equilibrio dello scambio, in Riv. dir. civ., VI, 2012, p. 580, ove si propone una rivisitazione e applicazione della teoria dei vestimenta in chiave moderna (v. infra, Cap. II, par. 2).
23 XXXXXXXX, XXXXXXXX (a cura di), Fondamenti di diritto contrattuale europeo. Dalle radici romane al Draft Common Frame of Reference, II, cit., p. 98 ss.
24 FRATINI, Il contratto, cit., p. 6.
25 VOLPE, La giustizia contrattuale fra autonomia e mercato, Napoli, 2004, p. 22.
progressivo cedimento, ponendo in luce tutte le insolvibili problematiche che una siffatta concezione pone in essere, prima fra tutte l’incompatibilità con l’essenziale principio di certezza del diritto26.
Sono proprio il tentativo e la necessità di arginare il più possibile la dimensione dell’incertezza a spiegare l’avvenuta transizione dalla teoria soggettiva alla concezione oggettiva del contratto e, in particolare, alla c.d. teoria della dichiarazione, per cui rileva non soltanto l’effettiva volontà individuale, ma anche la proiezione esterna della volontà stessa nonché il modo in cui quest’ultima è percepita dalla controparte negoziale27.
L’attenzione comincia quindi ad incentrarsi non più soltanto sul contenuto ma anche, e soprattutto, sui confini dell’autonomia privata.
I limiti che le contemporanee codificazioni continentali hanno posto al principio della libertà contrattuale si differenziano a seconda del contesto di riferimento: il Codice civile spagnolo, ad esempio, prevede che «i contraenti possono stabilire i patti, le clausole e le condizioni che considerino convenienti, sempre che non siano contrari alle leggi, alla morale o all’ordine pubblico»28.
Diversamente, nel Codice svizzero delle Obbligazioni, la libertà delle parti di determinare in modo libero il contenuto del contratto incontra il solo limite
26 XXXXXXX, Il contratto, cit., p. 6. Il dogma della volontà è «nemico della certezza delle relazioni giuridiche soggettive. Qualunque fattore che incide sulla volontà del contraente è infatti in grado di mettere in discussione il contratto e i suoi effetti: il contratto può essere caducato per cause che appartengono alla sfera psichica delle parti; in ogni contratto, ciascuna parte soggiace al rischio che i sui diritti vengano cancellati per fattori inconoscibili e incontrollabili».
27 FRATINI, Il contratto, cit., pp. 6-7. A garanzia della certezza dei rapporti giuridici è posto anche il principio dell’affidamento, secondo cui «la parte che riceve l’altrui dichiarazione contrattuale la percepisce nel suo significato socialmente tipico, riponendovi legittimo affidamento, poiché l’autore della dichiarazione stessa non appare né incapace di intendere e di volere, né caduto in errore», così come il corrispondente principio di autoresponsabilità:
«la parte che emette una dichiarazione contrattuale si assume il rischio dell’affidamento che la stessa dichiarazione crea; e nonostante la dichiarazione rifletta una volontà viziata, egli deve sopportane le conseguenze».
28 Art. 1255, Código civil: «Los contratantes pueden establecer los pactos, cláusolas y condiciones que tengan por conveniente, siempre que no xxxx contrarios a las leyes, a la moral, ni al orden público».
della legge e «le stipulazioni che derogano alle disposizioni legali sono permesse solo quando la legge non stabilisca una norma coattiva o quando una deroga al suo testo sarebbe contraria all’ordine pubblico o ai buoni costumi o ai diritti inerenti alla personalità»29.
Ancora, il Codice civile portoghese, all’art. 405, individua l’autonomia contrattuale «nella facoltà delle parti, da esercitare nei limiti imposti dalla legge, di fissare liberamente il contenuto dei contratti, di includere contratti differenti da quelli tipici, di inserire in questi ulteriori clausole e di racchiudervi regole di due o più negozi, in tutto o in parte legalmente regolati»30.
Il BGB e l’ABGB potrebbero, prima facie, apparire imprecisi in questo senso, essendo privi di un’esplicita disposizione in tema di libertà contrattuale; in realtà, ad un’attenta lettura, una siffatta libertà risulta senz’altro inferibile dal complesso dei paragrafi sul negozio31.
Sulla medesima scia si colloca il giovane Codice civile olandese che, sottintendendo in più articoli il riconoscimento dell’autonomia contrattuale, in aggiunta, conferisce un inedito valore al regolamento-tipo di settore.
29 XXXXXXXX, XXXXXXXX (a cura di), Fondamenti di diritto contrattuale europeo. Dalle radici romane al Draft Common Frame of Reference, II, cit., p. 101. In commento all’art. 19 del Codice svizzero delle obbligazioni, si richiama la dottrina che ne ha fornito un’interpretazione ampia, includendovi la libertà stessa di contrarre nonché quella di scegliere la propria controparte.
30 XXXXXXXX, XXXXXXXX (a cura di), Fondamenti di diritto contrattuale europeo. Dalle radici romane al Draft Common Frame of Reference, II, cit., pp. 101-102.
31 Cfr. ZWEIGERT e KOTZ, Istituti, in DI MAJO e GAMBARO (a cura di), Introduzione al diritto comparato, II, Milano, 2011, p. 2. «Invano si cercherebbero nel codice civile disposizioni riguardanti enunciazioni di carattere generale sulla funzione del contratto, sul suo contenuto e sui suoi effetti. Gli autori del BGB non hanno ritenuto necessario di dedicare al diritto contrattuale un autonomo capitolo. Nella parte generale il contratto figura come una specie della categoria “negozio giuridico” e, nel secondo libro del BGB, il contratto viene considerato soltanto come una specie particolare di rapporto obbligatorio»; ciò non significa che i padri del BGB non avessero ben chiara la centralità del ruolo del contratto e della libertà contrattuale. La legge tedesca è infatti «ben ferma sul terreno di una società liberale» ispirandosi «all’idea fondamentale che qualsiasi soggetto, che agisce secondo ragione, può decidere del proprio destino in modo autonomo, dunque indipendentemente da legami tradizionali di ordine feudale, politico e religioso nonché dall’influenza di altre autorità».
Per regolamento-tipo si intende quella particolare normazione di tipo settoriale che specificamente disciplina «il contratto concluso da una delle parti nell’esercizio della sua impresa o della sua attività professionale»32.
In questa prospettiva risulta innegabile l’originalità del codice italiano, che, espressamente riferendosi all’autonomia contrattuale, all’art. 1322, autorizza le parti a determinare liberamente il contenuto del contratto, nel rispetto dei limiti imposti dalla legge ed attribuisce loro la facoltà di concludere contratti non appartenenti ai tipi aventi una disciplina particolare, «purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico»33. Il riferimento alla meritevolezza degli interessi è del tutto peculiare e caratteristico del nostro diritto contrattuale, e, anche a causa di questo suo connotato di singolarità, ha sollevato nutrite e spinose problematiche di non facile risoluzione, che saranno affrontate nel prosieguo della trattazione.
Qualche segnale di avvicinamento al nostro sistema pare potersi scorgere nel diritto delle obbligazioni francese che, come noto, è stato oggetto di recente riforma.
L’ ordonnance n° 2016-131 du 10 février 2016 portant réforme du droit des contrats, du régime général et de la preuve des obligations, ispirandosi ai progetti di armonizzazione del diritto contrattuale europeo e transnazionale34, ha modificato ed arricchito il code civil, da un lato concedendo maggiore spazio alla libertà contrattuale35 e dall’altro prevedendo un controllo generalizzato sull’accordo.
32 Art. 6.214, Nederlands Burgerlijk Wetboek.
33 Art. 1322 c.c.: Autonomia contrattuale. «Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge. Le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico».
34 Il riferimento è, nello specifico, al DCFR (Draft Common Frame of Reference) e ai Principi Unidroit.
35 Antecedentemente alla riforma del 2016, il principio della libertà contrattuale veniva fatto discendere, tra le altre, dalle norme di cui all’art. 1101 («Il contratto è una convenzione mediante la quale una o più persone si obbligano, nei confronti di una o più altre persone, a dare, fare o non fare qualcosa») e all’art. 1107 («I contratti, sia che abbiano una propria denominazione sia che non l’abbiano, sono sottomessi a regole generali, che sono l’oggetto
Sotto il primo profilo, il testo riformato dell’art. 1102 stabilisce che «chacun est libre de contracter ou de ne pas contracter, de choisir son cocontractant
et de déterminer le contenu et la forme du contrat dans les limites fixées par la loi. La liberté contractuelle ne permet pas de déroger aux règles qui intéressent l'ordre public»36.
Sotto il profilo del controllo pubblico, prima incentrato sull’elemento causale ed oggi, data la scomparsa del requisito della causa, attuato tramite diverse disposizioni37, esso è volto «a preservare un equilibrio minimo tra le obbligazioni dei contraenti, al fine di salvaguardare il nucleo dello scambio»38.
Lo stesso rapporto al Presidente della Repubblica39 evidenzia che «la riforma propone soluzioni efficaci, adatte ad un’economia di mercato, ed al tempo stesso attente all’equilibrio tra i doveri e le obbligazioni delle parti»40.
del presente titolo. Le regole particolari a certi contratti sono stabilite sotto i titoli relative a ciascuno di essi; e le regole particolari delle transazioni commerciali sono stabilite dalle leggi relative al commercio»). Cfr. XXXXXXXX, XXXXXXXX (a cura di), Fondamenti di diritto contrattuale europeo. Dalle radici romane al Draft Common Frame of Reference, II, cit., pp. 84-85.
36 Il testo riformato dell’art. 1102 code civil così potrebbe tradursi: «ciascuno è libero di contrarre o di non contrarre, di scegliere la sua controparte contrattuale e di determinare il contenuto e la forma del contratto dentro i limiti fissati dalla legge. La libertà contrattuale non permette di derogare alle regole che riguardano l’ordine pubblico».
37 Non vi è chi, tuttavia, non legga, nelle nuove disposizioni, una riproduzione del giudizio causale sul contratto. Cfr. FORNASARI, La meritevolezza della clausola claims made, in Resp. civ. prev., 2017, IV, pp. 1384-1385.
38 FORNASARI, La meritevolezza della clausola claims made, cit., p. 1384, ove ci si riferisce, in particolare, agli artt. 1170 e 1171 del code civil, nell’ottica di un raffronto con il vaglio di meritevolezza previsto dall’art. 1322 del codice civile italiano per i contratti atipici e recentemente esteso, ad opera della giurisprudenza, anche alle singole clausole del negozio (cfr. infra Cap. III, par. 2).
39 Rapport au Président de la République relatif à l’ordonnance n°2016-131 du 10 février 2016 portant réforme du droit des contrats, du régime général et de la preuve des obligations.
40 FORNASARI, La meritevolezza della clausola claims made, cit., p. 1386. In ragione dell’attenzione rivolta «al mercato concorrenziale e dell’introduzione di disposizioni derivanti dal diritto del consumo e della concorrenza vi è chi ha asserito che la riforma propone una visione economicistica del contratto, volta a promuovere la rispondenza dell’accordo ai parametri di mercato ed alla repressione delle clausole che fuoriescano da detto schema. In questo senso, anche le disposizioni che prevedono un intervento giudiziale sul contratto, volte ad assicurare l’equilibrio tra diritti e obbligazioni, sono finalizzate alla tutela della concorrenza».
Un breve cenno al common law inglese permette di riscontrare un passaggio, simile a quello compiutosi nel civil law, da un sistema contrattuale basato sulla tipicità al principio della freedom of contract, attuato a partire dal XIV secolo, attraverso le decisioni secondo equity della Chancellors Court e successivamente attraverso la Law Merchant41.
Anche in questo caso la più piena e completa affermazione del principio della libertà contrattuale si riscontra nell’XIX secolo, in stretta correlazione con il fenomeno del liberismo economico, riscuotendo i contratti a forma libera (simple o parol contracts) ampia diffusione nella prassi e largo riconoscimento in dottrina.
Il limite più significativo alla libertà contrattuale è qui rappresentato dalla consideration, «che costituisce il fondamento del carattere vincolante di ogni promessa, collegandola all’esistenza di una contropromessa onerosa o ad un legittimo affidamento del promissario circa la validità della promessa stessa»42.
Va tuttavia segnalato che la freedom of contract si considera ormai entrata in crisi, sotto la spinta di vari fattori.
Tra questi, i più rilevanti e deleteri sono, certamente, «il declino della libera scelta del destinatario (di fronte ai contratti standards), il diminuito ruolo del contratto nella società moderna, l’intervento legislativo ed il fondamento della responsabilità non più sulla promessa effettuata, ma sull’affidamento»43.
41 XXXXXXXX, XXXXXXXX (a cura di), Fondamenti di diritto contrattuale europeo. Dalle radici romane al Draft Common Frame of Reference, II, cit., p. 100.
42 XXXXXXXX, XXXXXXXX (a cura di), Fondamenti di diritto contrattuale europeo. Dalle radici romane al Draft Common Frame of Reference, II, cit., p. 102.
43 XXXXXXXX, XXXXXXXX (a cura di), Fondamenti di diritto contrattuale europeo. Dalle radici romane al Draft Common Frame of Reference, II, cit., p. 102, ove si rimanda ad ALPA, voce Contratto nei sistemi di common law, in Digesto delle discipline privatistiche, sez. civile, IV, Torino, 1989, p. 155 ss.
2. La giustizia contrattuale come limite all’autonomia privata nel nuovo diritto dei contratti.
Il c.d. contratto del consumatore, «inteso come contratto fra un consumatore e un operatore economico professionale, relativo all’acquisto di beni o servizi forniti da quest’ultimo», si erge, non soltanto nell’ambito nazionale ma anche, e soprattutto, in quello europeo, a categoria autonoma e di rilievo del diritto contrattuale, basata sulla “qualità soggettiva dei contraenti” 44.
Si tratta di un «nuovo paradigma contrattuale», significativamente dissimile da quello del tradizionale contratto di diritto comune, che assoggetta la libertà contrattuale a nuovi limiti, sia di forma che di contenuto45.
Tra i vincoli contenutistici, ossia quelli attinenti alla libertà di determinare il contenuto del contratto, evocati dall’art. 1322 c.c., il più robusto «e, per certi versi, il più «inaudito», il più eversivo del tradizionale ordine del contratto è il vincolo dell’equilibrio contrattuale»46.
Il portato della tradizione giuridica colloca, infatti, l’equilibrio contrattuale (originario) al di fuori del controllo, legislativo e giudiziale, esercitato dal potere pubblico sull’autonomia privata, ritenendolo insindacabile ed incapace
44 ROPPO, Il contratto del duemila, Torino, 2011, pp. 65-66; Cfr. XXXXXXX, Il contratto, cit.,
p. 275: «L’evoluzione del quadro normativo europeo e nazionale ha determinato, nell’ultimo decennio, l’elaborazione di un nuovo paradigma contrattuale; un modello di contratto governato da un insieme di regole che diverge in modo significativo dalla disciplina generale del contratto dettata dal codice civile».
45 XXXXX, Il contratto del duemila, cit. p. 85. Riassumendo, si tratta del «paradigma di un contratto la cui «forza di legge» risulta notevolmente attenuata (per l’ampia somministrazione di recessi di pentimento, e per il dilagare delle invalidità discendenti dal moltiplicarsi dei vincoli di forma, di contenuto, di trasparenza/completezza); un contratto in cui la più diffusa impugnabilità è bilanciata da un contenimento forzoso delle conseguenze distruttive dell’impugnazione (nullità relative, nullità solo parziali); un contratto sempre più largamente assoggettato a controlli sull’equilibrio delle prestazioni, in senso non solo normativo ma anche schiettamente economico, ben al di là dei casi limitati in cui la tradizione lo ammetteva; un contratto il cui regime subisce la crescente commistione fra ordini di regole tradizionalmente separati, come le regole di validità e le regole di comportamento/responsabilità)».
46 XXXXX, Il contratto del duemila, cit. p. 74.
di generare rimedi, in quanto mero «affare dei privati contraenti», se non in rari e particolari casi47.
Si considerano, ad esempio, eccezionali le disposizioni civilistiche sulle condizioni generali di contratto (art. 1341), sulla rescissione del contratto (artt. 1447, 1448) e sulle ipotesi di sopravvenuta mancanza della causa (artt. 1463, 1467)48.
47 Cfr. XXXXXXX, Il contratto, cit., p. 289: «Le parti sono i migliori giudici dei loro interessi: l’esercizio dell’autonomia negoziale realizza di per sé l’equilibrio dello scambio. L’ordinamento giuridico non interferisce sulle scelte dei privati e il giudice non può sindacare l’assetto degli interessi divisato dalle parti»; ROPPO, Il contratto del duemila, cit. p. 74, che offre una rassegna delle occasioni in cui l’equilibrio contrattuale è oggetto di sindacato pubblico: « Il contratto è attaccabile sotto il profilo del suo equilibrio – della sua «ragione di scambio» –, e più precisamente è impugnabile in relazione allo «squilibrio» che lo affligga, solo quando il lamentato squilibrio: a) sia uno squilibrio sopravvenuto e non originario, e sia anzi uno squilibrio misurato sull’equilibrio originario del contratto, da assumere come parametro non sindacabile (disciplina dei rimedi per le sopravvenienze); b) oppure sia uno squilibrio originario, presente in contratti la cui conclusione maturi in un contesto di circostanze fortemente anomalo e penalizzante per il contraente che lo subisce, sotto il profilo di una ridotta (o azzerata) libertà e consapevolezza delle sue scelte contrattuali (disciplina della rescissione, e dell’incapacità naturale); c) oppure sia uno squilibrio originario, consistente nello scarto fra il corrispettivo contrattuale e il livello di corrispettivo fissato imperativamente ex lege, secondo una puntuale quantificazione, per specifiche finalità di politica economico-sociale relative a determinati settori di mercato (disciplina dei prezzi imposti, o dell’equo canone)».
48 Cfr. XXXXXXX, Trattato di diritto civile, II, cit., pp. 613 ss. «La corrispettività che caratterizza i contratti di scambio rende le prestazioni contrattuali giuridicamente interdipendenti fra loro; non comporta, almeno in linea di principio, che esse siano economicamente equivalenti. È, di regola, irrilevante lo squilibrio economico tra le prestazioni: domina, in sede di formazione del contratto, il principio dell’autonomia contrattuale, e ciascuno è libero di contrattare a condizioni a sè svantaggiose e vantaggiose per la controparte. Nessuna norma di legge impone di uniformare le ragioni contrattuali dello scambio a oggettivi criteri di equivalenza fra le prestazioni. Sempre in linea di principio, al giudice non è consentito di sindacare l’equivalenza delle prestazioni, ogni determinazione circa la congruità dello scambio contrattuale essendo rimessa all’autonomia dei contraenti, in forza del generale principio dell’art. 1322, comma 1°, cod. civ. o, se si preferisce, secondo l’altro generale principio dell’art. 1372, comma 1°, per il quale il contratto ha forza di legge fra le parti, e vincola il giudice allo stesso modo in cui egli è vincolato dalla legge. In economia di mercato il giusto prezzo è il prezzo di mercato, quale si determina nelle libere contrattazioni. Può trattarsi, però, di una libertà solo formale, come nel caso in cui il contraente economicamente più devole subisca, di fatto, le condizioni contrattuali imposte dal contraente più forte; e in tal caso lo squilibrio fra le prestazioni non è, da parte del contraente debole, il frutto di una libera scelta, da difendere in nome della libertà contrattuale. Possono, allora, intervenire specifiche fonti di integrazione del contratto, limitatrici dell’autonomia contrattuale».
Xxxxxx, il predetto assunto dell’insindacabilità dell’equilibrio negoziale è stato messo in discussione dalla nuova disciplina, di derivazione prettamente europea49 e, in parte, anche internazionale, del diritto privato dei consumi, che ne ha minato le fondamenta incrementando notevolmente le situazioni in cui il legislatore interviene a garantire, attraverso norme imperative, la “giustizia” del contratto50, predisponendo rimedi per quei regolamenti negoziali che appaiano effettivamente iniqui, ingiusti e disequilibrati51.
Negli ultimi anni, infatti, sono emerse, sia sul piano legislativo che su quello giurisprudenziale, tendenze significative nel senso della rilevanza della congruità dello scambio contrattuale52.
L’esigenza di giustizia avrebbe spinto il processo di oggettivazione dello scambio ben oltre i limitati confini previsti dal legislatore del 1942, come
49 Cfr. VOLPE, La giustizia contrattuale fra autonomia e mercato, cit., p. 45, ove si riconosce che «la vivacità che sembra caratterizzare più del passato la tematica della giustizia contrattuale, è il prodotto anche di una notevole spinta comunitaria che ha caratterizzato in particolare il diritto privato dei consumi, tanto che non si ha più timore a dire che il diritto comune dei contratti è stato profondamente cambiato dal diritto comunitario».
50 Identifica la nozione di “ingiustizia” con il concetto di “abuso della libertà contrattuale” XXXXXXX, Il contratto, cit., p. 296, ricollegando entrambe le fattispecie alla violazione di
«principi costituzionali direttamente applicabili al diritto dei contratti» (solidarietà, eguaglianza sostanziale, libertà di iniziativa economica privata) che «trovano la loro sintesi nel più ampio principio di libertà e consapevolezza della scelta negoziale, che garantisce la giustizia sostanziale del contratto».
51 VOLPE, La giustizia contrattuale fra autonomia e mercato, cit., p. 9: osserva che «se si prescinde dallo scarno programma codicistico di giustizia contrattuale, che ruota intorno all’istituto della rescissione per lesione, la trattazione della nostra materia è del tutto recente, sollecitata soprattutto da numerosi interventi legislativi che a vario titolo hanno non soltanto contribuito a darne un nuovo volto, ma hanno decisamente mutato il corso del diritto dei contratti».
52 VOLPE, La giustizia contrattuale fra autonomia e mercato, cit., p. 14 ss. L’ormai non più recentissima storia «dei portati giurisprudenziali della S.C. in tema di giustizia contrattuale, sulla spinta anche della tendenza del legislatore a considerare e disciplinare il tema in questione nei più disparati settori, dimostra una inversione di tendenza e una volontà di considerare non più insindacabile il contratto sotto il profilo della congruità dello scambio, abbandonando il principio della totale irrilevanza dello squilibrio contrattuale». In questo senso sembra muoversi la giurisprudenza che «ha consentito la riduzione d’ufficio della penale eccessiva, considerando la norma contenuta nell’art. 1384 c.c. espressione di un principio di proporzionalità di rilevanza costituzionale». Cfr. XXXXXXX, Il contratto, cit., p. 295, ove si nota come gli «interventi normativi euro-unitari» abbiano spinto il legislatore nazionale a preoccuparsi di regolare i rapporti caratterizzati da disuguaglianze di potere nella contrattazione, ponendo rimedio alle «disparità di forza economica, di competenza e di informazione tra i contraenti, in nome della tutela della libertà contrattuale».
testimoniano le sempre più frequenti ipotesi di abuso di potere contrattuale e la corrispondente tendenza dell’ordinamento a favorire la creazione di strumenti, «quali le tecniche di contrattazione di massa», e a «mortificare altri, quali i tradizionali scambi individuali, che comportano il declino della libertà di iniziativa economica e dell’accordo, tradizionalmente inteso come spazio infinito di confronto e costruzione dei contenuti contrattuali, per lasciare campo libero a contrattazioni senza accordo, dove è più facile rintracciare ipotesi di iniquità contrattuale»53.
Assecondano tale bisogno di giustizia, ad esempio, la disciplina delle clausole vessatorie nei contratti dei consumatori, la regola sull’abuso di dipendenza economica e quella sui diritti di privativa industriale ed intellettuale nelle relazioni tra imprese54.
L’art. 33 del D.lgs. n. 206/2005 qualifica come vessatorie, e dunque nulle, «le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto», introducendo una meticolosa serie di presunzioni relative:
«Si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di: a) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista; b) escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o
53 VOLPE, La giustizia contrattuale fra autonomia e mercato, cit., pp. 10-11.
54 Cfr. VOLPE, La giustizia contrattuale fra autonomia e mercato, cit., p. 9, che, prima dell’emanazione del Codice del consumo, ripercorreva «le tappe del progressivo affermarsi della nozione di giustizia contrattuale», individuandole nei concetti di: «a) abuso di posizione dominante richiamato dalla legge antitrust del 10 ottobre 1990, n. 287; b) significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi, al quale fa riferimento l’art. 1469-bis, comma 0, x.x., xx xxxxxxx di contratti del consumatore; c) sproporzione tra le prestazioni, al quale rinvia l’art. 1, l. 7 marzo 1996, n. 108; d) abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova un’altra impresa con eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi, in tema di subfornitura industriale ereditato dall’art. 9 della l. 18 giugno 1998, n. 192; e) infine, grave iniquità in danno del creditore degli accordi sulla data del pagamento o sulle conseguenze del ritardato pagamento, di cui all’art. 7 del d.lg. 9 ottobre 2002, n. 231».
parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista; c) escludere o limitare l’opportunità da parte del consumatore della compensazione di un debito nei confronti del professionista con un credito vantato nei confronti di quest’ultimo; d) prevedere un impegno definitivo del consumatore mentre l’esecuzione della prestazione del professionista è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà; e) consentire al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest’ultimo non conclude il contratto o recede da esso, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest’ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere; f) imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, xxxxxxxx penale o altro titolo equivalente d’importo manifestamente eccessivo; g) riconoscere al solo professionista e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal contratto, nonché consentire al professionista di trattenere anche solo in parte la somma versata dal consumatore a titolo di corrispettivo per prestazioni non ancora adempiute, quando sia il professionista a recedere dal contratto; h) consentire al professionista di recedere da contratti a tempo indeterminato senza un ragionevole preavviso, tranne nel caso di giusta causa; i) stabilire un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto per comunicare la disdetta al fine di evitare la tacita proroga o rinnovazione; l) prevedere l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto; m) consentire al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato nel contratto stesso; n) stabilire che il prezzo dei beni o dei servizi sia determinato al momento della consegna o della prestazione; o) consentire al professionista di aumentare il prezzo del bene o del servizio senza che il consumatore possa recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quello originariamente convenuto; p) riservare al professionista il potere di accertare la conformità del bene venduto o del servizio prestato a quello previsto nel contratto o conferirgli il diritto esclusivo d’interpretare una clausola qualsiasi del contratto; q) limitare la responsabilità del professionista rispetto alle obbligazioni derivanti dai contratti stipulati in suo nome dai mandatari
o subordinare l’adempimento delle suddette obbligazioni al rispetto di particolari formalità; r) limitare o escludere l’opponibilità dell’eccezione d’inadempimento da parte del consumatore; s) consentire al professionista di sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti dal contratto, anche nel caso di preventivo consenso del consumatore, qualora risulti diminuita la tutela dei diritti di quest’ultimo; t) sancire a carico del consumatore decadenze, limitazioni della facoltà di opporre eccezioni, deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, limitazioni all’adduzione di prove, inversioni o modificazioni dell’onere della prova, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi; u) stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore; v) prevedere l’alienazione di un diritto o l’assunzione di un obbligo come subordinati ad una condizione sospensiva dipendente dalla mera volontà del professionista a fronte di un’obbligazione immediatamente efficace del consumatore. È fatto salvo il disposto dell’articolo 1355 del codice civile. v-bis) imporre al consumatore che voglia accedere ad una procedura di risoluzione extragiudiziale delle controversie prevista dal titolo II-bis della parte V, di rivolgersi esclusivamente ad un’unica tipologia di organismi ADR o ad un unico organismo ADR; v-ter) rendere eccessivamente difficile per il consumatore l’esperimento della procedura di risoluzione extragiudiziale delle controversie prevista dal titolo II-bis della parte V.
In tema di abuso di dipendenza economica, l’art. 9, comma 1, L. n. 192/1998 sancisce che:
«È vietato l'abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui un'impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un'altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l'abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti».
Ancora, la nullità della clausola «con cui il subfornitore disponga, a favore del committente e senza congruo corrispettivo, di diritti di privativa industriale o intellettuale» è sancita dal terzo comma dell’art. 6, L. n. 192/1998.
In conclusione, «non potrebbe essere più netto, anche sul piano delle formule linguistiche, lo scarto dal vecchio principio del diritto dei contratti che nella sua enunciazione più diffusa proclama l’irrilevanza, appunto, della congruità del corrispettivo»55.
Prendendo spunto da questa considerazione, autorevole dottrina ha proposto di rinvenire, nella ratio delle succitate norme, obiettivi di tutela dell’equilibrio non soltanto normativo ma anche economico del contratto, che il riferimento ai diritti e agli obblighi contrattuali non varrebbe ad escludere, dal momento che anche tali diritti ed obblighi hanno un costo ed, eventualmente, un prezzo56.
Il confine tra equilibrio normativo ed equilibrio economico del negozio si fa così sempre più fumoso ed indefinito, potendo il primo facilmente sottintendere il secondo57.
Netta appariva invece, quantomeno allo stadio originario, la distinzione tra le nuove disposizioni e quelle tradizionali quanto al contesto applicativo: mentre queste ultime forniscono rimedi contro contratti squilibrati conclusi in condizioni di patologia sociale, le norme sui contratti Business-to-consumer
55 XXXXX, Il contratto del duemila, cit. pp. 77-78. L’articolo in questione potrebbe, a ragione, accostarsi ad un’ancora più recente disposizione «che appare essa pure ispirata alla volontà di garantire imperativamente un certo equilibrio economico dello scambio contrattuale, in funzione della tutela di uno dei contraenti: il secondo comma dell’art. 1751-bis cod. civ., aggiunto dall’art. 23, 1°comma, legge n. 422/2000, dispone che l’eventuale assunzione di un impegno di non concorrenza a carico dell’agente per il tempo successivo alla fine del rapporto di agenzia deve essere necessariamente remunerata con un corrispettivo monetario («indennità»), da determinarsi (su accordo delle parti, o, in mancanza, ad opera del giudice) secondo parametri di legge. Non è difficile identificare il progenitore di questa disposizione: è l’art. 2125 cod. civ., che impone – a pena di nullità – il vincolo di un corrispettivo a favore del lavoratore subordinato, come necessaria contropartita dell’obbligo di non concorrenza che egli abbia assunto per il tempo successivo alla fine del rapporto di lavoro)».
56 XXXXX, Il contratto del duemila, cit. p. 76.
57 XXXXX, Il contratto del duemila, cit. p. 76.
e Business-to-business conferiscono protezione dai contratti squilibrati conclusi in condizioni di fisiologia sociale, «perché è socialmente fisiologico
– in una società basata sul mercato e sulle sue inevitabili stratificazioni – che consumatori contrattino con professionisti, subfornitori con committenti, agenti con preponenti»58.
L’ambito di estensione del nuovo paradigma, assorbendo la generalità dei rapporti giuridici, non può certo dirsi circoscritto e marginale, ma risulta anzi assai ampio ed interessato da un processo di inarrestabile espansione, fino al punto di potersi “contendere”, con il paradigma tradizionale, «il dominio sull’universo dei contratti»59.
Ciò è confermato dalla constatazione che tale innovativo diritto si alimenta, in larga misura, anche delle discipline di contratti che prescindono dalle qualità socio-economiche delle parti, o, addirittura, richiedono loro differenti caratteristiche60.
«Non è più possibile, quindi, riferire di una teoria generale del contratto: la parte generale del contratto, infatti, va integrata non soltanto con la disciplina dei contratti tipici (…), ma anche con la disciplina delle obbligazioni (…), e, specialmente, con tutta la vastissima legislazione e giurisprudenza comunitarie»61.
In altri termini, il nuovo paradigma contrattuale, seppur nato nel campo dei contratti del consumatore, «manifesta una forza espansiva che lo proietta al di là di quel campo», e che rende inutile, nonché irragionevole, il tentativo di
58 XXXXX, Il contratto del duemila, cit. p. 78. È invece «socialmente patologica la contrattazione in cui una parte entri quando si trovi in stato di pericolo o di bisogno, ovvero sia incapace d’intendere e di volere», che le norme su rescissione e incapacità naturale mirano a correggere.
59 XXXXX, Il contratto del duemila, cit. pp. 85-86
60 XXXXX, Il contratto del duemila, cit. pp. 85-86.
61 PERLINGIERI, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, in Rass. dir. civ., 2001, II, pp. 355-356. «Ciò impone di ricostruire la teoria dei contratti alla luce di questo sistema articolato e complesso di gerarchia delle fonti, nel quale assume un ruolo determinante il principio di proporzionalità»
circoscriverlo in base ad una caratterizzazione socio-economica delle parti62. L’elemento unificante va pertanto ricercato nel più generale concetto di asimmetria del potere contrattuale63, intesa, tecnicamente, come «debolezza del ruolo negoziale per ragioni di disinformazione, distanza, sorpresa, uso di tecnologie, pratiche sleali delle imprese, dipendenza economica, e simili»64. L’asimmetria tra le parti negoziali è senz’altro in grado di viziare l’autodeterminazione del contraente debole e di ripercuotersi sfavorevolmente sull’equilibrio del contratto: il contraente forte, abusando della propria posizione, può facilmente approfittare dell’altrui stato di debolezza «per imporre condizioni ingiustificatamente gravose»65.
Non soltanto il rapporto tra consumatori e professionisti è però contrassegnato da una tale condizione di asimmetria: anche altre relazioni, come quelle tra banche e clienti, subfornitori e committenti, intermediari finanziari e investitori, includono, generalmente, una parte dotata di un potere contrattuale superiore a quello dell’altra66.
Proprio in considerazione di tale asimmetria, ovunque essa si manifesti, il legislatore immette nell’ordinamento, a protezione della parte che la subisce, quelle regole che compongono il nuovo paradigma contrattuale67.
L’ingegno dell’interprete è quindi stimolato, per non dire costretto, a rapportarsi con un incremento della complessità giuridica, che àncora all’idea di giustizia contrattuale una varietà di nozioni: dal concetto di squilibrio significativo, eccessivo o sproporzionato a quello di asimmetria del potere
62 XXXXX, Il contratto del duemila, cit. p. 86.
63 XXXXX, Il contratto del duemila, cit. pp. 86-87. Il concetto di asimmetria si pone in evidente continuità quello di debolezza di una parte rispetto all’altra.
64 FRATINI, Il contratto, cit., p. 275. La locuzione contratti asimmetrici racchiude «tutti quei negozi in cui si fronteggiano due soggetti di mercato caratterizzati da una significativa asimmetria di forza negoziale; asimmetria informativa, economica, relazionale che, per il fatto di derivare precisamente dalle rispettive “fisiologiche” posizioni di mercato, si presenta come asimmetria di tipo, per l’appunto, “fisiologico” e non patologico».
65 FRATINI, Il contratto, cit., p. 296.
66 XXXXX, Il contratto del duemila, cit. pp. 87.
67 XXXXX, Il contratto del duemila, cit. pp. 87.
contrattuale, da quello di abuso di posizione dominante a quello di abuso di dipendenza economica68.
3. Sulla proposta del riconoscimento di un principio di proporzionalità delle prestazioni contrattuali.
Si è detto che «alla garanzia del consumatore in quanto contraente debole» è diretta una serie di principi di matrice prevalentemente comunitaria, tendente a modificare, in termini profondamente innovativi, «lo spazio attribuito dal diritto privato all’autonomia contrattuale delle parti»69, con l’effetto di allontanare sempre più la concezione del contratto dal tradizionale canone pacta sunt servanda70.
Voci autorevoli hanno suggerito di individuare, tra i succitati principi e, precisamente, tra le clausole generali di rango costituzionale, al pari della solidarietà e dell’utilità sociale, un principio di proporzionalità, postulante
«un rapporto di congruità tra gli interessi dedotti nel contratto e le sanzioni
68 VOLPE, La giustizia contrattuale fra autonomia e mercato, cit., p. 9.
69 VOLPE, La giustizia contrattuale fra autonomia e mercato, cit., p. 88. Cfr. XXXXXXXX, La proporzione fra le prestazioni contrattuali, cit., pp. 38-39: «La riduzione dei poteri decisionali della maggior parte dei soggetti economici, per effetto dell’organizzazione oligarchica dei mercati, implica la rinuncia ad uno dei più suggestivi ideali del liberalismo classico: quello per cui, attraverso le libere scelte circa entità e natura di investimenti, risparmi e consumi, si possa imprimere all’economia ed alla vita associata l’assetto corrispondente ai desideri ed ai giusti della maggioranza dei cittadini, attuando così principi di democrazia e garantendo, soprattutto, la signoria dell’individuo sul sistema economico, e non la sua soggezione ad esso». Si parla di oligarchia perché «l’incremento dei processi di concentrazione, il rafforzamento delle posizioni dominanti e il ridursi del numero di coloro che si trovano a goderne comporta l’ulteriore riduzione degli spazi di autonomia degli operatori minori ed agevola l’autodeterminazione dei prezzi, in modo da consentire ai pochi che detengano un tal potere di rastrellare dal mercato, tramite il livello dei prezzi, il massimo profitto che esso è in grado di rendere».
70 PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, cit., p. 457.
poste a loro tutela»71 nonché un «rapporto di equivalenza intangibile» tra i diritti e gli obblighi delle parti che caratterizzano l’accordo negoziale.72
A tale principio, affermatosi nel nostro ordinamento sotto la spinta della citata normativa di stampo europeo e dell’elaborazione compiuta dalla Corte di giustizia73, si riferirebbe in più sedi non soltanto la nostra Carta costituzionale (artt. 36, 38, 42, 53, 97)74 ma anche il nostro Codice civile (artt. 763, 1371,
1384, 1447 ss., 1463, 1467, 2872 ss.).
In particolare, nel sistema codicistico, si riconoscono ipotesi espressione di proporzionalità che consentirebbero di estendere, in via analogica, il corrispondente principio a numerose clausole75.
Agevolmente confutabile sarebbe l’obiezione per la quale l’analogia non può avere ad oggetto disposizioni di carattere eccezionale, poichè «non tiene nel
71 XXXXXXX, Il contratto, cit., p. 302, riferendosi, in particolare, alla giurisprudenza che ha inteso riconoscere nell’art. 1384 c.c., in materia di riduzione della penale manifestamente eccessiva, un principio di proporzionalità di carattere generale e di rilevanza costituzionale. 72 PERLINGIERI, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, cit., p. 337. 73 Cfr. CGCE 4.10.07 c-375/05; 5.6.07 c-170/04; 27.9.07 c-409/04; 17.1.08 c-37/06 e 58/06;
31.1.08 c-380/05; 29.1.08 c-275/06. PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, cit., p. 457.
74 Il principio di proporzionalità, espresso in chiave quantitativa, sarebbe non soltanto compatibile, ma altresì presente nel sistema costituzionale italiano: «l’art. 53 cost., in base al quale tutti sono tenuti a concorrere alla spesa pubblica in ragione della loro capacità contributiva, funge da presupposto e parametro per l’imposizione tributaria e costituisce, quindi, un limite al potere legislativo non soltanto in termini di ragionevolezza ma anche di proporzionalità; altresì l’art. 36 cost., che esprime il principio della retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, non sembra ispirato soltanto al principio di proporzionalità, in chiave quantitativa, ma anche, quale correttivo, all’adeguatezza ed alla ragionevolezza, sì da assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. È importante sottolineare che, nell’evoluzione della giurisprudenza costituzionale, si è passati da una concezione della proporzionalità quale criterio perequativo, ad una sua rilettura e ridefinizione in termini autonomi rispetto al principio di eguaglianza. Si è sostenuto, infatti, che la proporzionalità ex art. 36 cost., prima ancora che ad un confronto tra diversi lavoratori, si riferisce all’equilibrio tra le prestazioni, implicando un giudizio interno al singolo contratto di lavoro subordinato, in relazione altresì all’adeguatezza. Anche l’art. 38 cost., in tema di previdenza, potrebbe giustificare un principio di proporzionalità, cioè quantitativo, se nel nostro sistema fosse realizzato in pieno il principio contributivo per il quale la pensione o quanto altro al quale il lavoratore abbia diritto, dovrebbe essere proporzionato al contributo versato durante il periodo di lavoro. Secondo la dottrina amministrativistica, anche l’art. 97 cost. fa riferimento al principio della proporzionalità». PERLINGIERI, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, cit., p. 337.
75 PERLINGIERI, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, cit., p. 342 ss.
dovuto conto che la norma eccezionale, in quanto singolare relazione tra regola e princìpi, è applicabile anche analogicamente all’interno del proprio contesto giustificativo»76.
Il principio di proporzionalità si modella, in larga misura, sulla nozione di autonomia negoziale, che «non è un dogma, né un preconcetto o un valore in sé» bensì uno specchio delle scelte di fondo che caratterizzano il sistema:
«essa si configura secondo i dati normativi desumibili dall’ordinamento, nella sua unitarietà e nella sua completezza, secondo i principi e le regole», collocandosi tra libertà e giustizia contrattuale77.
Se, da un lato, eguaglianza, solidarietà e ragionevolezza «costituiscono il terreno culturale e normativo costituzionale dal quale trae origine il principio di proporzionalità», dall’altro, i medesimi valori non possono che ripudiare situazioni di approfittamento dello stato di necessità, di bisogno e di difficoltà, dunque configurazioni eccessivamente squilibrate dell’assetto contrattuale78.
76 PERLINGIERI, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, cit., p. 342 ss. Sembrerebbe, quindi, «maturo il tempo per poter riconoscere, nell’art. 1384 c.c., un principio di carattere generale: la clausola penale può essere diminuita equamente dal giudice se il suo ammontare è manifestamente eccessivo, con riguardo all’interesse che il creditore aveva all’adempimento. In questa direzione sembrano muoversi diverse sentenze, e non soltanto la più famosa, della Cassazione, 24 settembre ’99, n. 10511, che ha consentito addirittura, e giustamente, la riduzione d’ufficio della penale eccessiva, considerando la norma imperativa ed espressione di un principio di proporzionalità di rilevanza costituzionale (...) La conseguenza, sul piano sistematico ed applicativo, è l’estensibilità, in via di interpretazione analogica, della riduzione della penale ad altre clausole o meglio, più correttamente, l’estensione del principio che ispira la riduzione (consentendo, in questo modo, di superare l’eventuale obiezione, per la quale l’analogia non potrebbe avere ad oggetto una disposizione eccezionale). Si pensi all’estensibilità della riduzione della penale ad altre clausole, sia tipiche, come la caparra confirmatoria o quella penitenziaria, sia atipiche, come le clausole di liquidazione del danni o quelle contenenti pene private negli statuti delle associazioni non riconosciute, qualora prevedano una prestazione obbligatioria, o una misura affilittiva, eccessivamente sproporzionata rispetto all’interesse leso».
77 PERLINGIERI, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, cit., pp. 334-335.
78 PERLINGIERI, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, in Rass. dir. civ., cit., p. 339. Cfr. PROSPERI, Subfornitura industriale, abuso di dipendenza economica e tutela del contraente debole: i nuovi orizzonti della buona fede contrattuale, in Rass. dir. civ., 1999, III, p. 642: non è più eludibile, ormai, «il compito di procedere ad una profonda revisione del ruolo e della funzione tradizionalmente assegnati alla nozione di autonomia privata, che, anche alla luce dei valori costituzionali, appare sempre meno concepibile come
Pertanto il riferito principio, connotato da un’efficacia di tipo verticale, dunque tra istituzioni e privati, dovrebbe necessariamente assumere rilevanza anche sul piano orizzontale, all’interno dei rapporti di diritto privato,
«contribuendo a correggere gli squilibri che si verificano nella concreta attuazione dei valori e delle norme fondamentali, con lo scopo di sorreggere le posizioni giuridiche caratterizzate da un elevato grado di debolezza»79.
Andrebbe infatti respinta quella dottrina amministrativistica che di fatto esclude un’applicazione diffusa del principio di proporzionalità, relegandolo all’agire delle Autorità Indipendenti, alle forme consensuali miste e ai contratti che la Pubblica Amministrazione conclude iure privatorum80.
E, in effetti, «verificata l’operatività del principio di proporzionalità nel mercato, nel sistema del libero mercato», è del tutto inverosimile che lo stesso non possa esercitare influenza e ripercuotersi sul principale strumento del mercato, cioè il contratto, «a cominciare da quelle manifestazioni contrattuali le quali sono costitutive dello statuto normativo del mercato stesso», ovvero i contratti di diritto privato81.
«In questa prospettiva, la proporzionalità assume una duplice valenza, in grado di dimensionare non soltanto il rapporto tra autonomia privata e ordinamento, in termini di congruità, funzionalizzando l’intervento che l’ordinamento attua nei confronti dell’autonomia privata alla tutela degli interessi che, con quell’intervento si intendono tutelare, ma anche l’autoregolamento d’interessi voluto dalle parti e che ha trovato espressione
un valore in sé, dovendo il suo esercizio, come ogni altro comportamento socialmente rilevante, conformarsi in concreto alle scelte di fondo che caratterizzano l’ordinamento».
79 VOLPE, La giustizia contrattuale fra autonomia e mercato, cit., pp. 89-90. «Così il principio, che pone in astratto un limite all’esercizio delle diverse attività di regolamentazione di interessi, nel senso di imporre un rapporto di adeguatezza tra gli strumenti adottati e i fini concreti che una norma vuole perseguire, può rivestire, nell’ambito dell’ordinamento, un’ulteriore funzione propulsiva come parametro di valutazione delle norme nei rapporti orizzontali di diritto privato, imponendo la proporzionalità tra le sanzioni e gli interessi tutelati».
80 PERLINGIERI, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, cit., p. 338.
81 PERLINGIERI, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, cit., pp. 338-339. Cfr. ID, Nuovi profili del contratto, in Rass. dir. civ., 2000, III, p. 560 ss.
nella norma privata, orientando la regola contrattuale rispetto agli interessi concretamente emergenti»82.
Ma affermare una efficacia anche di tipo orizzontale del principio non «deve certo significare aumentare oltre modo i già gravosi limiti imposti dall’ordinamento all’autonomia negoziale in relazione all’equilibrio tra le prestazioni nei contratti sinallagmatici e consacrare una tendenziale equivalenza tra le prestazioni, che è invece esclusa nel nostro ordinamento»83. Lo Stato deve, anzi, consentire che, tra le parti, si realizzi pienamente «un potenziale confronto nel rapporto di forza contrattuale», limitando il suo intervento alle ipotesi in cui il rapporto venga sensibilmente alterato da elementi anomali, quali l’abuso di uno stato di bisogno, l’eccessiva onerosità sopravvenuta oppure un significativo squilibrio economico o normativo, tali da legittimare ed esigere un controllo da parte dell’ordinamento84.
L’auspicata tensione verso la proporzionalità delle prestazioni contrattuali non mira, quindi, alla realizzazione di un astratto ideale di perfetta equivalenza del rapporto, che implicherebbe «una grave espropriazione delle prerogative delle parti» ma, piuttosto, al raggiungimento di una situazione di congruità «tra la norma privata e il complesso d’interessi che quel regolamento negoziale mira a tutelare, al fine di garantire un’appropriata
82 VOLPE, La giustizia contrattuale fra autonomia e mercato, cit., pp. 91-92. «Sembra allora di poter riconoscere una rilevanza del principio in esame nei rapporti di diritto privato, non in maniera assoluta, ma nei limiti dell’esigenza di assicurare la proporzionalità tra gli interessi dedotti in contratto e le sanzioni poste a tutela di quegli interessi».
83 VOLPE, La giustizia contrattuale fra autonomia e mercato, cit., p. 93. La dottrina maggioritaria nega con fermezza la possibilità di ammettere un controllo del contratto basato sul criterio di equivalenza tra le prestazioni. L’autore richiama, ex multis, XXXXXXXXXX, Onerosità, corrispettività e qualificazione dei contratti. Il problema della donazione mista, Napoli, 1984, p. 47; XXXXXXX, Squilibrio contrattuale e mala fede del contraente forte, in Contr. impr., 1997, I, p. 417; BARBA, Libertà e giustizia contrattuale, in Studi in onore di X. Xxxxxxxx, XX, Xxxxxx, 0000, p. 11; XXXXXXXXXXX, L’autonomia privata e i suoi limiti, in Giur. it., 1999, I, p. 229; VETTORI, Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., 2000, I, p. 20.
84 VOLPE, La giustizia contrattuale fra autonomia e mercato, cit., p. 93.
considerazione degli interessi in gioco, coniugando questi ultimi con i valori dell’ordinamento»85.
Sotto tale aspetto, secondo i sostenitori più convinti del principio, la proporzionalità potrebbe candidarsi a rivestire un importante ruolo nel giudizio di meritevolezza del regolamento di interessi, agendo come parametro in grado di selezionarli in termini di congruità ed espungendo le clausole inique dal contratto86.
Conciò si attesterebbe l’attitudine dei principi generali a trovare concretizzazione in un «sindacato di selezione degli interessi che si conclude con l’elezione dell’interesse prevalente» e a porsi in una posizione ancillare rispetto al giudizio di meritevolezza, «come momento essenziale di maturazione dell’autonomia negoziale»87.
Naturalmente, dietro ad una siffatta soluzione interpretativa, si cela il convincimento che l’art. 1322, comma 2, c.c., dato il suo carattere generale, possa, e debba, essere applicato non soltanto nell’ambito della contrattazione atipica, bensì anche ai contratti tipici.
Seguendo tale impostazione, infatti, la riconducibilità del giudizio di meritevolezza ex art. 1322 c.c. all’elemento causale del contratto consentirebbe «di affermare la necessità dello svolgimento di tale controllo
85 VOLPE, La giustizia contrattuale fra autonomia e mercato, cit., p. 94. Cfr. PERLINGIERI, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, cit., p. 347, secondo cui il principio di proporzionalità non persegue l’equivalenza delle prestazioni ma tutela l’esigenza di evitare «una sproporzione macroscopica e ingiustificata tra queste» In tal modo, «il principio finisce con il valere al fine di evitare eventuali sproporzioni eccessive».
86 VOLPE, La giustizia contrattuale fra autonomia e mercato, cit., pp. 92-93. «Il tema della giustizia contrattuale risulta essere sempre più legato alla individuazione ed esaltazione degli interessi delle parti, secondo un criterio di prevalenza ispirato, nella sua applicazione, ai principi generali dell’ordinamento. In questa prospettiva, primo fra tutti il principio di proporzionalità assume una duplice valenza, in grado non soltanto di modulare il controllo di meritevolezza degli interessi (e, dunque, lo stesso rapporto tra autonomia negoziale e ordinamento), ma anche di orientare il regolamento d’interessi in termine di congruità. L’uso razionale dei principi consente, quindi di procedere ad una sezione degli interessi meritevoli di considerazione e tutela, secondo criteri appunto di proporzionalità e ragionevolezza (...). A ciò può accompagnarsi l’estinzione di parte del rapporto giuridico, mediante l’espunzione di clausole inique, conseguente alla constatata definitiva impossibilità di realizzare quegli interessi che non hanno superato positivamente il sindacato di meritevolezza».
87 VOLPE, La giustizia contrattuale fra autonomia e mercato, cit., p. 187.
con riferimento a qualsiasi contratto, escludendo la diffusa e arbitraria limitazione ai contratti atipici»88.
La violazione del principio di proporzionalità comporterebbe, alternativamente, a seconda dei casi e delle circostanze, la riduzione ad equità (rectius, a proporzione) o la nullità della clausola squilibrante in ossequio all’esigenza di conservazione del contratto89.
L’orientamento, avanzato in dottrina e recepito da talune pronunce giurisprudenziali, che giudica immeritevole il contratto atipico realizzante uno squilibrio eccessivo ed ingiustificato a carico di una parte, accoglierebbe la proposta di colmare l’indefinitezza contenutistica del giudizio di meritevolezza con il procedimento di verifica dell’equilibrio contrattuale,
«con conseguente possibilità di considerare immeritevole e quindi nullo il contratto atipico fonte di irragionevole squilibrio in danno di un contraente»90.
La clausola della meritevolezza consentirebbe al giudice di effettuare un vero e proprio controllo generalizzato sulla congruità dello scambio contrattuale, manifestando così la sua capacità di assecondare il valore della giustizia contrattuale91.
Numerose e significative sono le incertezze interpretative intorno al potenziale riconoscimento del principio di proporzionalità in questo ambito:
«a quanti non esitano a negarne l’esistenza come criterio generale in tema di contratti e a riconoscerne al più l’operatività soltanto per i contratti di impresa e dei consumatori-contraenti xxxxxx, si contrappongono coloro che, invece, ne
88 PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, cit., p. 574. «L’utilizzo di uno schema tipico, infatti, non esclude che, in concreto, le parti intendano, con esso, perseguire uno scopo contrario ai principi giuridici ed etici fondamentali per l’ordinamento».
89 PERLINGIERI, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, cit., pp. 355-356.
90 FRATINI, Il contratto, cit., p. 304.
91 XXXXXXX, Il contratto, cit., p. 304, che giunge alla conclusione che l’interrogativo da porsi oggi non sia se sindacare o meno lo squilibrio contrattuale, «ma piuttosto quali siano i limiti e l’estensione di tale sindacato in considerazione anche di altri valori dell’ordinamento da salvaguardare, degli strumenti con il quale affrontarlo e delle relative conseguenze».
affermano l’applicazione generalizzata, ma in attuazione ora della buona fede (correttezza) contrattuale (1375), ora dell’equità (1374), ora infine del giudizio di liceità o di carenza della causa, intesa come giustificazione economica dello scambio»92.
Al di là della riconoscibilità o meno di un siffatto principio, l’art. 1322 non sembra poter costituire, in ogni caso, il giusto mezzo attraverso cui concretizzare l’asserita proporzionalità delle prestazioni contrattuali, qualora, seguendo la lettera del testo, lo si ritenesse applicabile alla sola contrattazione atipica.
E parrebbe invero irragionevole anche solo prendere in considerazione l’ipotesi che il legislatore abbia voluto accordare soltanto alle parti del contratto atipico il privilegio di un’ulteriore tutela, offerta attraverso il principio di proporzionalità, negandola invece alle più classiche ipotesi di contrattazione tipica.
92 PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, cit., p. 458.
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xxxxx://xxx.xxxxxxxx.xx/xxxx-xx-xxxxxx/xxxxxxxxx-xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxx-xxxx- interesse/149.html