Confische di sproporzione: allargata e di prevenzione di Fabio Di Vizio1
Confische di sproporzione: allargata e di prevenzione di Xxxxx Xx Xxxxx0
§1. PREMESSA
§ 2. LA CONFISCA ALLARGATA
2.1 PROFILI GENERALI
2.2 PRESUPPOSTI DI CARATTERE SOGGETTIVO: i reati che consentono il sequestro e la confisca
2.3 PRESUPPOSTI DI CARATTERE SOGGETTIVO: il fumus commissi delicti per il sequestro e la sentenza di condanna o di patteggiamento per la confisca.
2.4 PRESUPPOSTI DI CARATTERE SOGGETTIVO: il periculum (per il sequestro)
2.5 PRESUPPOSTI DI CARATTERE OGGETTIVO: la disponibilità dei beni. La norma.
La disponibilità diretta. La disponibilità indiretta.
L’onere probatorio: natura, presunzioni, rapporti che legano il proposto e i terzi. L’onere probatorio, l’allegazione del terzo, in generale.
L’allegazione del terzo fondata sulla generica disponibilità economica. Le vincite al gioco.
L’allegazione del terzo fondata su redditi di provenienza illecita, ivi compresi quelli derivanti da evasione fiscale.
2.6 PRESUPPOSTI DI CARATTERE OGGETTIVO: la sproporzione tra beni e redditi o attività economica svolta La norma
La sproporzione (e non la provenienza illecita) come presupposto del provvedimento penale L’ onere probatorio
I redditi illeciti per la giustificazione dell’acquisto dei beni. Il rilievo dei redditi da evasione fiscale
La necessità della sproporzione in relazione a ciascun bene suscettibile della misura patrimoniale e non all'intero patrimonio
L’utilizzo, parziale, di denaro di origine lecita
La connessione temporale tra data del commesso reato ed epoca di acquisto del bene
2.7 IL SEQUESTRO E LA CONFISCA PER EQUIVALENTE
§ 3. LA CONFISCA DI PREVENZIONE
3.1 PROFILI GENERALI
3.2 CONDIZIONI SOGGETTIVE DELLE MISURE DI PREVENZIONE PERSONALE
3.2 a) l’appartenenza del soggetto ad una delle categorie di cui all’art. 4 d.lgs. n. 159/2011
3.2 b) l’effettiva pericolosità sociale del soggetto
3.2 c) l’attualità della pericolosità
3.3 LA CONFISCA DI PREVENZIONE: conferme e peculiarità all’interno del sistema delle misure di prevenzione. I presupposti soggettivi ed oggettivi: anzitutto, la possibilità di prescindere dalla attuale pericolosità sociale del proposto e la disponibilità dei beni. Il contenuto della prova contraria da parte dei terzi
3.4 LA CONFISCA DI PREVENZIONE: altri presupposti oggettivi: la sproporzione o il frutto o il reimpiego La sproporzione
Il frutto o il reimpiego
Il rilievo dell'evasione fiscale L'impresa mafiosa
1 L’autore è Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pistoia
§1. PREMESSA.
Il contrasto ai patrimoni di origine illecita si realizza attraverso due fondamentali tipologie modelli, all’interno dei quali diversificati sono gli strumenti. Alcuni di essi sono connotati da una riconoscibile matrice penale e risultano qualificabili come sanzioni o misure di sicurezza, accessorie a sentenze di condanna emesse in relazione a verificate responsabilità penali di persone fisiche. Altri, invece, sono provvedimenti che tradiscono l’origine amministrativa, temperata dall’essere emessi nel contesto di un procedimento giudiziario, ma che hanno riguardo alla pericolosità sociale delle persone e dei beni, rivelata all’esito di una verifica indiziaria o probabilistica, senza necessario collegamento con l’accertamento della responsabilità penale del soggetto passivo dell’ablazione. Circostanza che, al di là di letture interpretative sovente mutevoli, non ne rende ben individuabile la natura secondo le classiche categorie definitorie, confusa tra quella di misure di sicurezza, quella di vere e proprie sanzioni o di terze vie.
Tra gli strumenti di ablazione reale di chiara matrice penale possono annoverarsi le confische previste dall’articolo 240 c.p. e dall’articolo 416 bis, co. 7 c.p. e quelle previste dalla legislazione speciale. Rispetto ad esse un ruolo importante è ascrivibile alla confisca allargata prevista dall’articolo 12 sexies legge n 356/1992, che, con la confisca di prevenzione, costituirà uno dei temi fondamentali di questa riflessione, nella quale, alle tematiche procedimentali, saranno privilegiate quelle sostanziali, nell’ambito di un’analisi, entro certi limiti, comparata tra i due istituti.
La proliferazione e l’espansione delle potenzialità dei diversi strumenti di contrasto dei patrimoni illeciti appaiono coerenti con l’acquisizione di una fondamentale consapevolezza: il crimine, in quanto suscettibile di originare ricchezze economiche, viene realizzato con la precisa e coeva coscienza della necessità di operare rapide dissimulazioni del provento, per elidere o comunque attenuare il pericolo di ablazione. Ovvero, quanto più resta riconoscibile il collegamento dei beni e dei patrimoni rispetto al reato, nelle forme classiche del corpo, provento e frutto di esso, tanto più l’autore del reato resta esposto ad una reazione statuale tutto sommato “comoda” e meno impegnativa, onde costituisce esperienza giudiziaria diffusa la subitanea dispersione delle tracce e della riferibilità soggettiva dei guadagni criminali, trasformati e dispersi con professionalità non inferiore a quella di consumazione dei reati fonte. Un’efficace azione di contrasto al crimine, in particolare di quello organizzato, non solo di tipo mafioso, è possibile solo se all’azione repressiva “classica” si affianca un intervento patrimoniale diretto a eliminare i profitti illecitamente accumulati, la causa prima di questo tipo di delitti. La tendenza legislativa, pur tra incertezze, è in questo senso. Dopo la legge Rognoni La Torre (646/82) sono seguiti nuovi istituti finalizzati proprio a un efficace contrasto patrimoniale: il sequestro e la confisca previsti dall’art. 12 sexies d.l. n. 356/92, conv. dalla l. n. 356/92 (c.d. confisca allargata), numerose ipotesi di confisca obbligatoria, la confisca per equivalente (ipotesi ampliatesi progressivamente a numerosi delitti) e la confisca ai danni dell’ente prevista dal d.lgs. n. 231/2001 (che permette la confisca per equivalente anche per le contravvenzioni).
Il potenziamento dei mezzi di aggressione dei patrimoni illecitamente accumulati, specie quelli consentiti dalle misure di prevenzione, sta registrando un netto e forse in parte sconosciuto ampliamento dei soggetti interessati: non più solo gli appartenenti a organizzazioni di tipo mafioso, che traggono profitti illeciti da un’ampia serie di crimini, ma, sotto la spinta di una innovativa giurisprudenza di merito, anche evasori fiscali abituali, autori di condotte almeno in parte di rilievo penale, o corruttori sistematici. Ai notevoli problemi applicativi posti all’interprete, con necessari adeguamenti diretti ad assicurare il rispetto dei principi costituzionali e della Cedu, corrispondono importanti opportunità per il contrasto effettivo del crimine economico.
Si delinea così una politica criminale costruita attraverso due binari paralleli di contrasto: uno penale in senso stretto, che attraverso la acquisizione di prove perviene alla pronuncia sulla responsabilità in ordine ad uno specifico reato, uno di prevenzione che attraverso la acquisizione di indizi (con alleggerimento del carico probatorio sulla accusa, sia in relazione al profilo della pericolosità, sia in relazione al rapporto di pertinenzialità al reato del bene) perviene all'accertamento della pericolosità sociale.
In questo quadro, qualche disorientamento paiono suscitare alcune imminenti pretese semplificazioni e depenalizzazione di fattispecie criminali economiche, coerenti con la ricorrente tendenza di riservare previsioni severe (quanto non applicabili) nelle fasi del danno manifesto, in concomitanza degli scandali giudiziari, facendole seguire da indulgenti comprensioni nei periodi nei quali il vero danno economico sembra costituito, più che dalle trasgressioni in sé, dal pericolo di severa punizione di comportamenti obiettivamente illeciti.
§ 2. LA CONFISCA ALLARGATA
2.1 PROFILI GENERALI. La confisca ex a. 12 sexies legge n. 356/1992 costituisce uno strumento ablatorio connotato, anzitutto, in negativo, dall’assenza di un nesso pertinenziale concreto (o di fatto), ovvero di derivazione economico-temporale del bene rispetto al fatto di reato commesso. In positivo, inoltre, è caratterizzato da una pertinenzialità, tipizzata a livello normativo, con il titolo astratto di reato per cui l’imputato, dominus di fatto del bene aggredito, viene condannato in via definitiva. In altri termini, la condanna per uno dei reati tipici (o presupposto) previsti dalla norma (in quanto stimati dal legislatore idonei a creare un'accumulazione economica che, di per sé, costituisce possibile strumento di ulteriori delitti) rende confiscabili tutti i beni sproporzionati ai redditi o ai proventi dell’attività economica del soggetto passivo che ne dispone, ove privi di giustificazione lecita. In tale previsione, il reato presupposto non costituisce, dunque, la scaturigine diretta e riconoscibile del patrimonio illecito, secondo il classico criterio d’immediata o comunque riconoscibile derivazione, già previsto e contrastabile con lo strumento della confisca ex a. 240 c.p., proprio del prezzo, del prodotto, del profitto e del mezzo del reato. Piuttosto, il reato presupposto rappresenta il sintomo normativo (presunzione iuris tantum) di un sistema di vita illecito, questo sì origine dell’accumulazione di un patrimonio sproporzionato. E’ in questo limitato senso che può essere ammessa una definizione dell’istituto quale sanzione senza reato, non essendo,
come detto, richiesto uno specifico accertamento della provenienza dei beni dall’attività illecita del condannato. In questo quadro, la presunzione è vincibile, ma certamente origina un onere di allegazione sulla legittima provenienza dell’acquisto e la veritiera appartenenza del bene medesimo (C.Cost. ord. 18/2006). A conforto di quanto appena notato, può ricordarsi che recentemente le Sezioni Unite hanno sottolineato come la confisca ex art. 12-sexies “richiede la commissione di un reato tipico, per giunta accertato da una sentenza di condanna, ordinariamente generatore - per la sua tipologia - di disponibilità illecite di natura delittuosa, ancorché l'adozione del provvedimento ablativo prescinda (anche in questo caso) da un nesso di pertinenzialità del bene con il reato per il quale è intervenuta la condannam (sent. n. 33451/14)”.
Dalla natura di misura di sicurezza, seppur atipica, dell’istituto derivano rilevanti conseguenze che, in parte, saranno ripercorse nel corso di questa riflessione. La più importante è la non operatività del principio di irretroattività proprio della pena, previsto dall’art. 25, comma 2 della Costituzione. Come riconosciuto dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione (CP 21357/98, 1539/09, 32932/09, 38179/09, 5452/10, 12406/10, 44534/12), l’istituto è retto, infatti, dal diverso principio dell’applicazione della legge vigente al momento della decisione, fissato dagli artt. 200
c.p. e 236 c.p.. In altre parole, la confisca prevista dall'art. 12 sexies cit. è applicabile anche nei confronti di chi sia stato condannato per reati commessi prima dell'entrata in vigore della norma che la disciplina, non integrando tale interpretazione una violazione dell'art. 7 CEDU. In termini più pragmatici, per vero, occorre distinguere. Nessun dubbio di compatibilità può sorgere nel caso di reato commesso dopo l’inserimento nel catalogo di quelli per i quali viene consentita la confisca per sproporzione, pur nei confronti di beni acquistati precedentemente, poiché secondo la CEDU il reo, nel momento in cui commette il reato, deve avere "gli occhi aperti in relazione alle possibili conseguenze" che possono derivarne, ivi compresa la confisca dei profitti di precedenti reati. Per contro, non possono nascondersi profili problematici qualora la confisca riguardi un reato commesso prima dell’inserimento nel catalogo di quelli che consentono la confisca per sproporzione.
La Corte costituzionale (C. Cost. ord. 18/96) ha escluso che la confisca allargata violi il principio di uguaglianza e il diritto di difesa ovvero che si delinei quale “frutto di una cultura del sospetto”. Secondo la Corte (v. anche SU 920/2004) la presunzione prevista “trova ben radicata base nella nota capacità dei delitti individuati dal legislatore, ad essere perpetrati in forma quasi professionale e a porsi quali fonti di illecita ricchezza”. Al giudice è precluso, ad ogni modo, espropriare un patrimonio d’ingente valore, senza accertarne la sproporzione rispetto ai redditi ed alle attività economiche del condannato e porre attenzione alle allegazioni difensive.
Non pare neppure dubbia la compatibilità della confisca allargata con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, trattandosi di misura che consegue ad una sentenza di condanna applicata all’esito di un giusto processo, nel rispetto delle norme della
Convenzione europea. La Corte europea ha più volte2 manifestato favore nei confronti di strumenti di c.d. confisca allargata, previsti da diversi ordinamenti, per contrastare il crimine organizzato, concentrando la valutazione sulle concrete garanzie offerte agli interessati e dunque sull’effettiva possibilità di difendersi, a principiare dall’intervento di una Corte che consideri le tesi difensive. Secondo la Corte europea, trattandosi di “perdita di proprietà”, la confisca in questione è disciplinata al secondo comma dell'articolo 1 del Protocollo n.13, al pari della confisca di prevenzione. Qualsiasi interferenza con il diritto di proprietà deve trovare un "giusto equilibrio" tra le esigenze dell'interesse generale della comunità e quelle della tutela dei diritti fondamentali della persona. Con riguardo alle interferenze, come per la confisca per sproporzione, il secondo comma, dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 prevede specificamente per il "diritto di uno Stato di far rispettare le leggi da essi ritenute necessarie per controllare l'uso dei beni in modo conforme all'interesse generale (...) " e la Corte ha precisato che deve essere ragionevole il rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito. Ma gli Stati hanno un ampio margine di apprezzamento a tale riguardo sia per la scelta l'attuazione e per verificare se le conseguenze sono giustificate nell'interesse pubblico, al fine di conseguire l'obiettivo della normativa in questione.
Quanto ai presupposti di applicabilità del sequestro e della confisca, muovendo dai profili generali, appare conveniente segnalare i presupposti di carattere soggettivo e quelli di natura oggettiva.
Il presupposto soggettivo fondamentale consiste nella riconducibilità della condotta della persona ad una delle fattispecie di reato espressamente previste. Sul quantum dell’attribuzione della fattispecie di reato v’è differenza tra la fase cautelare e quella della confisca. Nella prima fase, infatti, in cui l’apprensione del bene mira ad evitarne la dispersone, è sufficiente il fumus commissi delicti per procedere a sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321, comma 2, c.p.p. trattandosi di cose di cui è consentita la confisca. Lo stesso art. 12 sexies al comma 4 fa espresso riferimento alla possibilità di adottare il sequestro ex art. 321 c.p.p. Nella fase cautelare, inoltre, è sufficiente il "periculum in mora" che consiste nella presenza di seri indizi di esistenza delle condizioni che legittimano il provvedimento ablativo; infine, l’accertamento dei presupposti, soggettivi e oggettivi, avviene sulla base degli elementi offerti dall'organo proponente (l’organo giudicante nel rigettare la richiesta può solo indicare temi o tracce per il pubblico ministero), senza contraddittorio preventivo. Nella fase della confisca, per converso, occorre la condanna e, dunque, l’accertamento della penale responsabilità al di là di ogni ragionevole dubbio; inoltre, le condizioni del provvedimento ablativo devono essere accertate in tutta la loro valenza, all’esito delle varie fasi del procedimento quando, attraverso il contraddittorio (a partire dalla eventuale fase del riesame) possono essere offerte tesi ed allegazioni difensive le quali, ove idonee, a giustificare la legittima
2 sent. 22.2.94 Xxxxxxxx x. Italia; dec. 4.9.01 Xxxxx c. Italia; dec. 5.7.01 Arcuri c. Italia; sent. 5.1.10 Xxxxxxxxx c. Italia; dec. 6.7.11 Xxxxx c. Italia; dec. 17.5.11 Capitani e Campanella c. Italia; sent. 12.1.01 Xxxxxxxx c. Regno Unito; sent. 12.10.4.12, Silickien c. Lituania; sent. 4.11.14 Xxxxxxxxx x. Xxxxxxx
3 Secondo l’art. 1 del protocollo addizionale n. 1: “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua
proprietà se non per causa di pubblica utilità ed alle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non ledono il diritto degli Stati di applicare quelle leggi che giudicano necessarie per disciplinare l’uso dei beni in relazione all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri tributi o ammende.”
provenienza del bene impongono la revoca del sequestro, fino alla sentenza di condanna o di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.
I presupposti di carattere oggettivo, invece, coincidono per sequestro e confisca, riguardando i requisiti del bene rispetto alla persona, ovvero: a) la disponibilità, diretta od indiretta, di esso da parte dell’indagato o del condannato; b) nonché la sproporzione tra il valore dei beni ed i redditi dichiarati o l’attività economica svolta.
2.2 PRESUPPOSTI DI CARATTERE SOGGETTIVO: i reati che consentono il sequestro e la confisca.
Nel tempo v’è stato un progressivo ampliamento dei delitti ricompresi nell’art. 12 sexies d.l. n. 306/1992, conv. dalla l. 356/92, in coerenza con la maggiore attenzione verso gli strumenti di aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati.
I numerosi reati previsti dall’art. 12 sexies citato, anche attraverso un confronto con quanto previsto dal d.lgs. n. 159/11 (confisca di prevenzione), possono essere così elencati:
a) delitti coincidenti, quasi completamente, con quelli previsti dall’art. 4, lett. a) e b), d.lgs. n. 159/11, riferibili alla criminalità organizzata (pur essendo, in quella sede, sufficiente l’indizio di commissione del delitto):
1. art. 416 bis c.p. (Associazioni di tipo mafiosa, anche straniere);
2. art. 416 c.p. (associazione per delinquere), sesto comma,c.p., realizzato allo scopo di commettere delitti previsti dagli articoli 473 (Contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell'ingegno o di prodotti industriali) e 474 c.p. (Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi);
3. art. 600 c.p. (Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù);
4. art. 601 c.p. (Tratta di persone);
5. art. 602 c.p. (Acquisto o alienazione di schiavi);
6. art. 630 c.p. (Sequestro di persona a scopo di estorsione);
7. xxxxxxx commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416- bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (vale a dire aggravati ai sensi dell’art. 7 d.l. n. 152/91, conv. dalla l. n. 203/91);
8. art. 74 d.P.R. n. 309/90 (Associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope);
9. art. 12 quinquies, comma 1, d.l. n. 306/92, conv. dalla l. n. 356/92, non contenuto nell’elenco dei delitti di cui all’art. 51, comma 3 bis, c.p.p. (per il quale è consentito il sequestro di prevenzione)4.
b) ovvero i seguenti delitti (per i quali il sequestro di prevenzione è consentito laddove ravvisabile le pericolosità di persone che vivono con traffici delittuosi o che vivono col provento di attività delittuose):
4 Non è consentito, dunque, il sequestro in esame solo per due delitti previsti dall’art. 51 comma 3 bis c.p.p. (per i quali è possibile il sequestro di prevenzione):
- art. 291 quater d.P.R. n. 43/73 (Associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di xxxxxxxx lavorati esteri), inserito nell’art. 51, comma 3 bis, c.p.p., ma non nell’art. 12 sexies, dalla l. n. 92/01. Per un evidente difetto di coordinamento l’art. 12 sexies continua a fare riferimento all’art. 295, comma 2, d.P.R.
n. 43/73 (ipotesi aggravate di contrabbando);
- art. 260 d.lgs. n. 152/06 (Traffico illecito di rifiuti), inserito nell’art. 51, comma 3 bis, c.p.p., ma non nell’art. 12 sexies, dalla l. n. 136/10;
10. art. 314 c.p. (Peculato);
11. art. 316 c.p. (Peculato mediante profitto dell’errore altrui);
12. art. 316 bis c.p. (Malversazione a danno dello Stato);
13. art. 316 ter c.p. (Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato);
14. art. 317 c.p. (Concussione);
15. art. 318 c.p. (Corruzione per un atto d’ufficio);
16. art. 319 c.p. (Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio)
17. art. 319 ter c.p. (Corruzione in atti giudiziari);
18. art. 320 c.p. (Corruzione di persona incaricata di pubblico servizio);
19. art. 322 c.p. (Istigazione alla corruzione);
20. art. 322 bis c.p. (Peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità europee e di funzionari delle Comunità europee e di Stati esteri);
21. art. 325 c.p. (Utilizzazione d'invenzioni o scoperte conosciute per ragione d'ufficio);
22. art. 416 c.p. (Associazione per delinquere), realizzato allo scopo di commettere gli artt. 517 ter (Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale) e 517 quater c.p. (Contraffazione di indicazioni geografiche denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari);
23. art. 629 c.p. (Estorsione);
24. art. 000 x.x. (Xxxxx);
00. xxx. 000 xxx x.x. (Xxxxx impropria);
26. art. 648 c.p. (Ricettazione), esclusa la fattispecie di cui al secondo comma (ipotesi lieve);
27. art. 648 bis c.p. (Riciclaggio);
28. art. 648 ter c.p. (Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita);
29. art. 73 del DPR 309/90 (Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope), esclusa la fattispecie di cui al comma 5 (ipotesi lieve);
30. commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale (cfr. i delitti previsti dall’art. 270 c.p. all’art. 280 c.p.);
31. in materia di contrabbando di cui all’art. 295, secondo comma, d.P.R. n. 43/73, vale a dire ipotesi aggravate di contrabbando:
- quando nel commettere il reato, o immediatamente dopo nella zona di vigilanza, il colpevole sia sorpreso a mano armata;
- quando nel commettere il reato, o immediatamente dopo nella zona di vigilanza, tre o più persone colpevoli di contrabbando siano sorprese insieme riunite e in condizioni tali da frapporre ostacolo agli organi di polizia;
- quando il fatto sia connesso con altro delitto contro la fede pubblica o contro la pubblica amministrazione;
- quando il colpevole sia un associato per commettere delitti di contrabbando e il delitto commesso sia tra quelli per cui l'associazione è stata costituita.
La giurisprudenza di legittimità appare attestata a favore della’applicabilità della confisca allargata solo nel caso di reato consumato, non menzionando la norma il delitto tentato, reato autonomo e ipotesi più lieve rispetto al delitto consumato. Si è aggiunto che gli effetti sfavorevoli, previsti con specifico richiamo a determinate norme incriminatrici, devono intendersi riferite alla sola ipotesi di reato consumato e non anche al tentativo, in quanto le norme sfavorevole devono ritenersi di stretta interpretazione, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità in tema di esclusioni oggettive dall'amnistia e dall'indulto e in tema di arresto in flagranza; allorché il legislatore ha voluto ricomprendere il tentativo lo ha espressamente previsto (per il divieto di estensione in malam partem al reato tentato: cfr. CP 2164/2014; 38988/2013; a favore dell’estensione: CP 27189/2013).
2.3 PRESUPPOSTI DI CARATTERE SOGGETTIVO: il fumus commissi delicti per il sequestro e la sentenza di condanna o di patteggiamento per la confisca.
Come si anticipava, il sequestro è adottato inaudita altera parte, previa verifica dei presupposti di carattere soggettivo offerti dal pubblico ministero, i quali rappresentano il fumus commissi delicti di una delle fattispecie criminose indicate. Il fumus consiste nell'astratta configurabilità di una delle ipotesi previste, senza che rilevino né la sussistenza degli indizi di colpevolezza, né la loro gravità, dovendo solo accertarsi l'astratta configurabilità del reato ipotizzato.
Rispetto alla profondità del controllo di legalità nell'ambito delle indicazioni offerte dal pubblico ministero e delle risultanze processuali vi sono significative diversità di vedute in giurisprudenza. Per taluni non sarebbe richiesta la valutazione, in punto di fatto, della coincidenza delle deduzioni accusatorie con le reali risultanze processuali, che andrebbero prese in considerazione così come esposte, al solo fine di verificare se l'ipotesi formulata è riconducibile a quella tipica (SU 920/2004, 46806/2014). Per altro orientamento non sarebbe sufficiente la mera prospettazione di un fatto costituente reato, attraverso la mera enunciazione e descrizione: “è invece necessario valutare le concrete risultanze istruttorie per ricostruire la vicenda anche al semplice livello di "fumus" al fine di ritenere che la fattispecie concreta vada ricondotta alla figura di reato configurata. tf' inoltre necessario che appaia possibile uno sviluppo del procedimento in senso favorevole all'accusa nonché valutare gli elementi di fatto e gli argomenti prospettati dalle parti (CP 39501/2013)”.
All’esito del procedimento al fumus deve seguire la sentenza di condanna (ovvero ex art. 444 c.p.p. ) dell’imputato per il reato addebitato per il quale si è proceduto a sequestro. Qualora il procedimento non si concluda con il proscioglimento viene meno il requisito soggettivo, sia nel caso di decisione di merito (sentenza di non luogo a procedere ex art. 425, comma 3, c.p.p., sentenza di assoluzione ai sensi dell’art. 530 c.p.p., etc.), sia qualora intervenga qualunque altra decisione di inammissibilità, non proseguibilità dell’azione penale, improcedibilità per estinzione del reato, mancanza di condizioni di punibilità, etc.
Intessi contrasti giurisprudenziali si registrano con riferimento alle conseguenze della pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato, per morte del reo o per prescrizione. Secondo l’orientamento ampiamente prevalente (SU 5/93 e 38834/08 in materia di confisca obbligatoria ex 322 ter, CP 12325/08, 12325/10, 8382/11, 39756/11) la confisca non è mai consentita nel caso di estinzione del reato, ad esempio per morte del reo ( CP 17717/10, CP 43776/13). In linea con questa impostazione, l'estinzione della pena per morte del condannato non impedisce al giudice dell’esecuzione di disporre la confisca ex art. 12 sexies, in presenza dei presupposti della sua applicazione (CP 9586/08): il riferimento però è alla confisca non disposta in sede di cognizione ma in fase esecutiva, quando la morte del soggetto è intervenuta dopo la condanna definitiva. Secondo un indirizzo minoritario, invece, in caso di estinzione del reato, il giudice dispone di poteri di accertamento sul fatto-reato al fine di ordinare la confisca non solo delle cose oggettivamente criminose per loro intrinseca natura (art. 240, comma 2, n. 2 c.p.), ma anche di quelle che sono considerate tali dal legislatore per il loro collegamento con uno specifico fatto-reato, come nei casi di cui agli artt. 240, comma 2, n. 1, c. p. e 12 sexies citato (CP 32273/10 in tema di estinzione del reato per prescrizione; CP 2453/09, 39756/11 e 31957/13 relative alla diversa ipotesi di confisca obbligatoria con reato estinto per prescrizione). In questi due casi il legislatore usa la medesima espressione "è sempre ordinata la confisca", delineando ipotesi di confisca obbligatoria, assistite da una presunzione di pericolosità "ex lege" del bene. Va segnalato un ulteriore indirizzo che, di fatto, impedisce in favore degli eredi la restituzione proventi delle attività illecite dell'associazione, dei quali sia stata disposta la confisca nel corso del giudizio di merito, pur nel caso di declaratoria di estinzione del reato per morte del reo, assumendo il difetto dello "jus possidendi" sia nel "de cuius", sia nei suoi successori (cfr. CP 24843/10 relativa a confisca obbligatoria ex art. 416 bis, comma 7, c.p.). E’ evidente la valorizzazione della finalità di evitare di rimettere in circolazione denaro di pertinenza della criminalità organizzata, trattandosi di beni in sé illeciti, principio ispiratore di tutta la legislazione di contrasto dei beni provenienti da attività mafiosa (misure di prevenzione, misure antiriciclaggio, misure di sicurezza patrimoniali). In altri termini, non si ritiene coerente con l’ispirazione di fondo della normativa permettere agli eredi di un condannato per mafia di usufruire dei proventi dell’attività illecita del de cuius.
2.4 PRESUPPOSTI DI CARATTERE SOGGETTIVO: il periculum (per il sequestro)
Ai fini del sequestro preventivo di beni confiscabili ex art. 12 cit. è necessario accertare la presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per ciò che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto, sia per ciò che attiene alla mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi (CP 27710/08, 20918/2009, 19510/2010). Xxxxxxx, infatti, una concreta possibilità di condanna e, quindi, di confisca (cfr. CP 6859/13, 39501/14).
2.5 PRESUPPOSTI DI CARATTERE OGGETTIVO: la disponibilità dei beni La norma
In base all’art. 12 sexies l. n. 306/92, conv dalla l. n. 356/92, in presenza dei rammentati si delitti, in caso di condanna o di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., è sempre disposta “ la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona, fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica”.
Come si vedrà, la disponibilità, diretta o indiretta, è assimilabile a quella rilevante in materia di confisca di prevenzione (artt. 20 e 24, comma 1, d.lgs. n 159/11) e sovrapponibili risultano i principi elaborati in materia dalla giurisprudenza
La disponibilità del bene, in generale.
La “disponibilità” del bene, per espresso dettato normativo, può essere “diretta” o “indiretta” e anche “per interposta persona fisica o giuridica”. Già la norma esprime la volontà di espandere le possibilità di intervento della misura patrimoniale, neutralizzando i tentativi di elusione. Non è rilevante, dunque, tanto la titolarità formale dei beni, quanto la disponibilità sostanziale ed effettiva degli stessi, quand’anche mascherata attraverso l’intestazione fittizia ad altri soggetti, qualunque sia la modalità giuridica o di carattere formale ideata e realizzata. Una disponibilità, dunque, non limitata alla mera relazione naturalistica o di fatto con il bene, ma estesa, al pari della nozione civilistica del possesso, a tutte quelle situazioni nelle quali il bene medesimo ricada nella sfera degli interessi economici del soggetto, anche se costui eserciti il proprio potere su esso per il tramite di altri che pure ne godano direttamente (CP 6977/2011)
La disponibilità diretta.
La disponibilità diretta ricorre quando la persona ha la disponibilità giuridica del bene secondo le ordinarie situazioni giuridico-formali previste dal diritto civile: titolarità del diritto di proprietà, del diritto reale, del diritto di credito, etc. . Secondo l’ispirazione antielusiva della materia della prevenzione, volta a neutralizzare comportamenti diretti a celare la titolarità effettiva del patrimonio, le vicende traslative intervenute, così come regolate dalle norme del diritto civile, devono essere considerate in base all’effettivo svolgimento del rapporto. Per i beni mobili registrati, la proprietà può essere legittimamente trasferita col mero incontro delle volontà dei soggetti e la consegna della cosa, mentre la trascrizione nel pubblico registro automobilistico assolve funzione meramente dichiarativa, diretta a dirimere eventuali futuri conflitti fra più aventi causa da un medesimo venditore che vantino diritti sullo stesso bene. E’ sufficiente, pertanto, la forma verbale consensuale, dimostrabile con ogni mezzo di prova e quindi anche mediante la produzione, da parte dell'interessato, di un mandato a vendere di data anteriore a quella del sequestro, comprovante il sostanziale trasferimento di proprietà secondo la prassi commerciale dei concessionari che accettano dagli acquirenti di automobili nuove, auto usate in permuta, con l'intesa di trascriverne il trasferimento al
P.R.A. all'atto della vendita di queste ultime al terzo (CP 220/1990). La cessione del bene prima del sequestro deve, comunque, risultare da elementi certi, la cui verifica, al fine di evitare possibili forme di elusione, può avvenire con ogni mezzo consentito dal procedimento di prevenzione (Cass. n. 23948/2004).
La disponibilità indiretta.
La c.d. disponibilità indiretta ricorre nell’ipotesi in cui, al di là della formale intestazione del bene ad un terzo diverso dalla persona del proposto, quest’ultimo ne sia l’effettivo dominus, potendo determinarne la destinazione o l’impiego. L’uso dell’avverbio “indirettamente” (previsto anche dall’art. 20 ,comma 2, d.lgs. n. 159/11) si inquadra nell’intendimento antielusivo, riferendosi a beni che, se pur intestati a terzi, facciano di fatto parte del patrimonio del proposto. Questo non significa che sia richiesta la dimostrazione che il soggetto sia titolare del bene ovvero la prova dell’accordo simulatorio, del mandato irrevocabile o del patto fiduciario. Xxxxx accertare l’effettiva possibilità del proposto di determinarne, in qualsiasi forma, la destinazione o l’impiego uti dominus. Il concetto di disponibilità, infatti, è esteso e comprende ipotesi diversificate: dal diritto di proprietà, vero e proprio, a situazioni di intestazione fittizia ad un terzo soggetto, fino a situazioni di mero fatto basate su una posizione di mera soggezione del terzo titolare del bene nei confronti del sottoposto alla misura di sicurezza personale. Invero, come già anticipato, la disponibilità sopravanza anche la mera relazione naturalistica o di fatto col bene, estendendosi, al pari della nozione civilistica del possesso, a tutte quelle situazioni nelle quali il bene ricade nella sfera degli interessi economici del prevenuto, ancorché il medesimo eserciti il proprio potere su di esso per il tramite di terzi. Dunque, la disponibilità non deve necessariamente concretarsi in situazioni giuridiche formali, essendo sufficiente che il prevenuto possa, di fatto, utilizzare i beni anche se formalmente appartenenti a terzi, come se ne fosse il vero proprietario (CP, 5263/2000, 3091/2001, 11732/2005). Naturalmente, in tal caso la prova è più ardua, atteso che nei confronti del terzo la prova non può essere agevolata dalla presunzione relativa fondata sulla sproporzione dei valori, richiedendo uno sforzo dimostrativo analogo a quello preteso per l'accertamento giudiziale di qualsiasi fatto di giuridica rilevanza (CP 27556/10, 42717/10, 44534/12).
L’onere probatorio: natura, presunzioni, rapporti che legano il proposto e i terzi.
Per la confisca allargata, come si vedrà per la confisca di prevenzione, occorre la prova della disponibilità indiretta del bene in capo all’indagato/imputato/condannato. Nel caso in cui il bene che si assume illecitamente acquistato risulti intestato a terzo occorre dimostrare l'esistenza di situazioni che avallino concretamente l'ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, in modo che possa affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell'acquisizione del bene in capo al condannato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca. In tal caso, il giudice ha l'obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, adducendo non solo circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma elementi fattuali caratterizzate dalla gravità, precisione e concordanza, sì da
costituire prova indiretta del superamento della coincidenza fra titolarità apparente e disponibilità effettiva del bene (CP 3990/08, 27756/10, 44534/12, 15289/14) .
Sebbene manchi una norma corrispondente all’art.19, comma 3 d.lgs. n. 159/11 (in tema di indagini patrimoniali) e 26/2 d.lgs. n. 159/11 nell’ambito delle misure di prevenzione, la giurisprudenza (CP 11049/01, 3990/08, 27556/10) opera una distinzione analoga:
a) per il terzo familiare o convivente, in particolare figli, coniuge e conviventi nell’ultimo quinquennio, il pericolo della fittizia intestazione è più accentuato ed è più probabile l'effettiva disponibilità dei beni da parte del medesimo. Si ritiene, richiamando “quale univoco criterio interpretativo, a tali fini, l'art. 2-bis, comma 3, l. n. 575/65” (antecedente storico dell’articolo 19 citato), che è sufficiente dimostrare che il titolare apparente, sulla base del reddito dichiarato, non svolgesse un'attività in grado di procurargli il bene per comportare una sorta di inversione dell'onere della prova, spettando a lui dimostrare una titolarità del reddito non dichiarato adeguato ad assicurargli la titolarità del bene, la cui intestazione, dunque, non è reale ma fittizia (CP 3889/00, 1178/09 26041/11, 39259/13); alcune pronunce ritengono inapplicabile presunzione prevista in materia di prevenzione, ma precisano di ritenere prova presuntiva della simulazione sia il rapporto di parentela, sia la gratuità dell'atto; tuttavia, mentre nel processo penale questi indizi rimangono tali non determinando alcuna inversione dell'onere probatorio (salva, ovviamente, la facoltà del terzo di difendersi allegando e provando il contrario), nel processo di prevenzione fanno automaticamente presumere la fittizietà del trasferimento” (CP 15829/14);
b) nel caso di terzo estraneo la confisca può investire beni che, in tutto o in parte, possono essere di un soggetto che non è neppure imputato; in tale condizione sarebbe improprio gravare una persona immune da censure sotto il profilo penale, della misura di sicurezza patrimoniale, imputandogliela in proprio.
c) manca un rinvio alla presunzione iuris tantum prevista dall’art. 26, comma 2, d.lgs. n. 159/11 relativa, in primo luogo, ai trasferimenti e alle intestazioni, anche a titolo oneroso “effettuate nei due anni antecedenti la proposta nei confronti dell'ascendente, del discendente, del coniuge o della persona stabilmente convivente, nonché dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado”. Ma venendo in rilievo rapporti tali da evidenziare un maggior pericolo di fittizia intestazione, si ritiene che spetti agli aventi causa dimostrare una titolarità del reddito non dichiarato adeguato ad assicurare la titolarità del bene ovvero il carattere non simulato del trasferimento a titolo gratuito. Parimenti deve ritenersi per i trasferimenti e le intestazioni, gratuite o fiduciarie, compiute nei due anni antecedenti, rispetto ai quali appare intrinseca una possibile fittizia intestazione, anche in considerazione del periodo temporale in cui sono stati posti in essere. Secondo la Cassazione, le presunzioni ora indicate non operano direttamente ma solo come “prova presuntiva” (CP15829/14). Per la decorrenza dei riferimenti temporali (cinque
anni per i conviventi, due anni per le c.d. presunzioni da ultimo esaminate), sembra corretto richiamare la data di commissione del reato, più che l’iscrizione del procedimento penale.
L’onere probatorio, l’allegazione del terzo, in generale
Xxxxxx all'accusa l'onere di dimostrare, ai fini dell'operatività del sequestro e della successiva confisca nei confronti del terzo, l'esistenza in capo all’autore del reato presupposto della disponibilità effettiva del bene. Parimenti, il giudice deve spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia con rigore probatorio spiegato (C. sent. nn. 11049/01, 3990/08, 27556/10, 17287/11, 44534/1233). Se all’atto del sequestro, provvedimento emesso inaudita altera parte, gli elementi di prova sono offerti senza che l’interessato abbia avuto la possibilità di contrastarli, nella fase della confisca, col pieno esplicarsi del contraddittorio, possono essere contestati gli elementi risultanti dal sequestro, così come il pubblico ministero può offrire ulteriori elementi di prova.
Il terzo, pur non essendo gravato da alcun onere probatorio, ha tuttavia, ove lo ritenga opportuno, la possibilità di confutare la tesi accusatoria ed indicare elementi fattuali che dimostrino che il bene è di sua esclusiva proprietà (CP 17287/11). Le indicazioni relative al denaro di provenienza illecita, per essere idonee, devono essere serie, fondate e credibili, dovendosi pur sempre considerare che tale onere di allegazione è certo differente per terzo rispetto all’indagato/imputato, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità5.
L’allegazione del terzo fondata sulla generica disponibilità economica. Le vincite al gioco.
Qualora il terzo alleghi una generica disponibilità economica, a sostegno dell’acquisto del bene, soccorrono regole di comune esperienza. È notorio, ad esempio, che il denaro, specie ove di importo consistente e in relazione a persone che utilizzino gli ordinari strumenti bancari, lascia tracce, anzitutto documentali, che permettono di ricostruirne la movimentazione. Tracce del patrimonio possono, dunque, essere sempre prospettate da parte di chi abbia accumulato un capitale e l’abbia eventualmente reinvestito. Non dovrebbe risultare persuasiva, pertanto, la mera allegazione di generiche disponibilità di carattere finanziario, specie se cospicue, in assenza di riferimenti che consentano di
5 Cass. Pen, Sez. VI, 28 novembre 2012 (dep. 21 dicembre 2012), n. 49876, Scognamiglio cit.: «Giova tuttavia chiarire che il binomio tra disponibilità finanziarie riscontrate redditualmente o comunque riferibili all'attività dell'interessato nel raffronto proporzionale con le accumulazioni patrimoniali da confiscare, così come dettato dall'art 12 sexies citato, costituisce ragione di riferimento avuto riguardo alla sola posizione dell'indagato o imputato (la situazione non cambia per le misure di prevenzione patrimoniale quanto al proposto) cui si ascrive formalmente o sostanzialmente , la titolarità delle utilità oggetto di ablazione. Per contro, il richiamo a tali parametri tipizzati normativamente finisce per apparire fuorviante laddove, come nella specie, la valutazione della proporzione tra redditi e patrimonio venga effettuata avendo ad oggetto la posizione del terzo che si riveli essere solo il formale intestatario dei cespiti da confiscare. In siffatta evenienza, la sperequazione tra accumulazioni patrimoniali e disponibilità finanziarie, lungi dal sancire presunzioni di legge quanto alla liceità della accumulazione stessa, costituisce uno dei possibili momenti logici da porre a conforto dell'asserto accusatorio che mira a contestare la natura fittizia di tale imputazione patrimoniale a fronte della disponibilità sostanziale del bene siccome riferibile all'indagato o imputato (id est l'autore di una delle ipotesi di reato elencate nel comma I dell'art 12 sexies o anche l'effettivo titolare dell'utilità nella ipotesi del trasferimento fraudolento di cui al precedente art 12 quinquies); o , in alternativa , ed in contrapposizione a siffatta ipotesi , costituisce spunto difensivo di segno opposto per superare l'asserto accusatorio in presenza di collegamenti tra gli interessati, primariamente legati a parentele, affinità o ragioni di convivenza, che possano favorire a monte la dimostrazione della prospettazione legata alla natura fittizia della intestazione del cespite»
riscontrare le movimentazioni e di pervenire alla coerente conclusione della loro utilizzazione per l’acquisto del bene.
Quanto alle vincite al gioco, costituisce dato di comune esperienza giudiziaria la produzione di ricevute di riscossione di vincite, anche consistenti, da giochi curati dallo Stato, al fine di giustificare acquisti di beni di rilevante valore. Gli attestati di riscossione di somme, essendo rilasciati sulla base della mera presentazione della ricevuta, non nominativa, della combinazione vincente, certificano inequivocabilmente la percezione della somma ma non il giocatore vincente, ben potendo la ricevuta essere acquisita (anche previa corresponsione della somma vinta) da chi ha giocato e vinto, proprio al fine di procurarsi lo strumento per accreditare l’apparente liceità di una provvista. Alcuni giudici di merito, a fronte di allegazioni di questa natura, ne hanno segnalato il carattere non dirimente, tenuto conto dell'assenza di idonea e probante documentazione e della concentrazione temporale delle asserite vincite, caratterizzate, ad esempio, da cadenza quasi mensile, dal numero e dalla frequenza delle stesse nel medesimo contesto spazio-temporale (S.C. sent. n. 12721/09 in tema di confisca di prevenzione).
L’allegazione del terzo fondata su redditi di provenienza illecita, ivi compresi quelli derivanti da evasione fiscale.
Il terzo può dedurre la disponibilità effettiva del bene “allegando” l’acquisto anche attraverso somme di denaro di provenienza illecita, ivi compresi redditi fiscalmente non dichiarati. Oggetto della prova, infatti, non è l’illiceità della provenienza del bene, elemento che riguarda il proposto, ma la disponibilità di questo. A fronte degli elementi offerti dall’organo proponente sulla disponibilità fittizia del terzo, questo può addurre elementi di qualunque natura idonei a neutralizzare la prova contraria, con specifico riferimento all’effettiva titolarità del bene. La serietà dell’allegazione deve però riguardare anche i redditi da evasione fiscale, da supportare necessariamente con elementi idonei, prima di tutto documentali. L'origine eventualmente illecita del denaro indicato dal terzo, inoltre, non è indifferente all'ordinamento, essendo doveroso l'avvio dei procedimenti previsti per sanzionare l'effettivo titolare. Il Tribunale, deliberata sommariamente la natura degli illeciti, disporrà la segnalazione al pubblico ministero, se individui estremi di reato (che possono, tra l’altro, consentire di adottare misure reali nei confronti del medesimo bene), ovvero alle autorità competenti, in presenza di illeciti di altra natura (amministrativi, fiscali, etc.).
2.6 PRESUPPOSTI DI CARATTERE OGGETTIVO: LA SPROPORZIONE TRA BENI E REDDITI O ATTIVITÀ ECONOMICA SVOLTA
La norma
La confisca riguarda il denaro, i beni o le altre utilità “di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui…… risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica”. Si tratta di disposizione solo in parte coincidente col testo
degli artt. 20, comma 2, e 24, comma 1, d.lgs. n. 159/11 (ricognitivi dell’art. 2 ter l. n. 575/65), sebbene la giurisprudenza richiami alcuni principi elaborati in tema di misure di prevenzione.
Come sopra ricordato, le Sezioni Unite (n. 33451/2014) hanno posto in rilievo una distinzione terminologica tra i presupposti dei due istituti. In particolare la confisca ex art. 12-sexies è legata alla commissione di alcuni reati, mentre l'accertata commissione di reati non è presupposto necessario per il giudizio di pericolosità; la confisca c.d. allargata è legata alla non giustificabilità della provenienza delle utilità ed alla sproporzione rispetto ai rediti dichiarati o alla propria attività economica, quella di prevenzione (cfr. a. 20, co.1 e
24. Co.1 d.lgs. n. 159/2011) aggiunge (profilo estraneo alla confisca ex art. 12-sexies) in alternativa («ovvero quando») la riconducibilità dei beni, sulla base di sufficienti indizi, al frutto di attività illecite ed al reimpiego delle stesse («beni [...] che siano il frutto di attività illecite e ne costituiscano il reimpiego»).
La sproporzione (e non la provenienza illecita) come presupposto del provvedimento penale
Il testo dell’art. 12 sexies è univoco nel richiedere quale requisito del sequestro e della confisca esclusivamente la sproporzione tra redditi o attività economica e beni. Come si è già spiegato, la ragione della scelta deriva dall’individuazione di delitti particolarmente allarmanti, ritenuti idonei a creare un’accumulazione economica che, a sua volta, costituisce possibile strumento per commettere ulteriori delitti. Si tratta di una presunzione, iuris tantum, di origine ed accumulazione illecita del patrimonio "sproporzionato" a disposizione del condannato per tali delitti (SU 920/2004): Non occorre dimostrare, dunque, la specifica provenienza illecita del bene sproporzionato quanto che il condannato non svolge un'attività tale da consentirgli di acquistare un bene di quel valore. Al ricorrere della detta sproporzione, è l’indagato/condannato gravato dell’onere di allegazione rispetto alla legittimità dell’accumulazione patrimoniale e dunque della provenienza di essa (CP 42717/2010).
Una volta individuata la sproporzione tra il valore dei beni posseduti dall'interessato e il reddito ufficiale dichiarato al fisco o l’attività economica dell'imputato, non spetta al giudice ricercare una situazione di fatto che possa spiegare in via alternativa lo squilibrio emerso dal dato documentale, dovendo piuttosto tenere adeguatamente conto, secondo il principio del libero convincimento, della dimostrazione offerta dall’imputato circa l’esistenza di un’attività economica che di fatto supera le prime evidenze dell’indagine patrimoniale. Nel caso di individuata interposizione fittizia, naturalmente la sproporzione riguarda il reddito dichiarato ai fini delle imposte sui redditi o all'attività economica del sostituito, effettivo titolare, e non del sostituto (CP 24804/2010).
Il distinto riferimento all’attività economica (ulteriore rispetto a quello delle dichiarazioni dei redditi), deriva dal fatto che in alcuni casi la legislazione non prevede l’obbligo di ricondurre tutti i redditi nella dichiarazione da presentare a fini fiscali ovvero consente dichiarazione forfettizzate. Onde, per valutare la sproporzione dovrà tenersi conto anche di essi (CP 4458/98 e 44534/12 in tema di redditi agrari).
L’ onere probatorio
Sul riparto dell’onere probatorio, in un primo tempo (con una evoluzione analoga a quello in tema di misure di prevenzione), la giurisprudenza di legittimità riteneva che la disposizione configurasse una sostanziale inversione dell'onere della prova, spettando all'imputato dimostrare l'origine lecita dei suoi beni. Si affermava che al fine di giustificare la provenienza dei beni, confiscabili occorresse "fornire un'esauriente spiegazione della lecita provenienza dei beni di valore non proporzionato al proprio reddito o alla propria attività economica, dimostrando la loro derivazione da legittime disponibilità finanziarie" (CP 3904/07, 25728/08). Ma questo solo dopo la dimostrazione della sproporzione anzidetta con un riferimento temporale determinato, che imporrebbe al soggetto di indicare le proprie specifiche e puntuali giustificazioni. Senza arrivare all'imposizione di un onere della prova, tale indicazione si risolve nell'esposizione di fatti e circostanze, serie e riscontrate, ad integrazione delle risultanze dell’indagine patrimoniale, di cui il giudice, nel suo libero apprezzamento, valuterà sussistenza, specificità e rilevanza. Si va anche consolidando un'interpretazione che, respingendo con nettezza la prospettazione di un’inversione dell’onere probatorio, richiede una giustificazione qualificata (attendibile e circostanziata) della legittima provenienza dei beni, affidata alla valutazione del giudice in concreto, secondo il principio della libertà di prova, in base ad un parimenti libero convincimento. In altri termini, è stimata sufficiente l'allegazione di elementi che, senza la valenza probatoria civilistica in tema di diritti reali, possessori e obbligazionari, siano idonei a vincere tale presunzione (CP 11049/01, 5452/10). E deve tenersi conto (CP 5202/96, 4458/97, 3904/07) di redditi comunque percepiti e non soggetti a dichiarazione, di origine lecita (ad esempio ricavato da vendita di immobile di sicura provenienza lecita).
I redditi illeciti per la giustificazione dell’acquisto dei beni. Il rilievo dei redditi da evasione
fiscale
Non dovrebbe dubitarsi della possibilità per l’imputato di giustificare la legittima provenienza del bene solo allegando redditi di origine lecita, per non creare la possibilità che il lecito sia provato con l’illecito. A differenza del terzo formale intestatario, infatti, per il quale il tema di prova attiene alla effettiva disponibilità, in questo caso si verte sulla “giustificazione” della provenienza, che non può che derivare da redditi lecitamente acquisiti. Questa conclusione, come si vedrà niente affatto pacifica ed anzi recessiva per la confisca allargata, discende da plurime considerazioni: - il dato testuale, secondo cui è richiesta all’interessato una giustificazione della provenienza dei redditi che, in quanto diretta a contrastare la rilevata sproporzione, non può che derivare da attività legittimamente svolte; - dalla ratio della norma che, individuando delitti particolarmente allarmanti, idonei a creare un’accumulazione economica, mira a colpire, con la ricordata presunzione, l’origine illecita del patrimonio "sproporzionato" a disposizione del condannato (CP 42717/10).
Ma il tema è divenuto attuale e dibattuto da quando la giurisprudenza di legittimità ha iniziato a rivalutare la giustificabilità della provenienza del bene con i proventi di evasione fiscale. Per lungo tempo la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che l’onere dell’indagato/imputato di giustificare la provenienza (legittima) dei beni non potesse essere assolto con l’allegazione di redditi derivanti da evasione fiscale (CP 2860/1994, 5202/1996). Recentemente si è registrato una diversa posizione espressa in un caso in cui la Corte, esaminando le giustificazioni offerta da un terzo intestatario (CP 29926/2011), ha affermato alcuni principi relativi all’onere gravante sull’imputato/indagato. In particolare per evitare il provvedimento ablativo l’indagato o il condannato potrebbe giustificare la provenienza delle risorse economiche utilizzate per acquisire il bene dimostrando «anche che il valore di queste non sia sproporzionato rispetto, alternativamente, al reddito dichiarato a fini fiscali o all'attività economica esercitata» con l’ulteriore conseguenza che in presenza di fonti di produzione del patrimonio proporzionate ad esso sarebbe irrilevante che esse siano identificabili nei redditi dichiarati a fini fiscali piuttosto che nel valore delle attività economiche che tali entità patrimoniali producano, pur in assenza o incompletezza di una dichiarazione dei redditi. A ritenere diversamente, il patrimonio potrebbe essere espropriato «non per una presunzione di illiceità, in tutto o in parte, della sua provenienza ma per il solo fatto della evasione fiscale», in contrasto con «la ratio dell'istituto in questione, che mira a colpire i proventi di attività criminose e non a sanzionare la infedele dichiarazione dei redditi, che si colloca in un momento successivo rispetto a quello della produzione del reddito, e per la quale soccorrono specifiche norme in materia tributaria, non necessariamente implicanti responsabilità penali».
Successivamente la giurisprudenza di legittimità ha assunto posizioni non uniformi, non essendo mancate pronunce ispirate a quest’ultimo orientamento (CP 44512/12, 6336/13, 27189/13, 21265/11, 13425/13) ovvero decisamente contrastanti (CP, 32563/11, 11473/12), anche in caso di condono fiscale (CP 6061/2012) inidoneo ad eliminare l’originaria e genetica provenienza delittuosa delle risorse e volte a segnalare «l'irrilevanza del requisito della "pertinenzialità" del bene rispetto al reato per cui si è proceduto, di guisa che la confisca dei singoli beni non è esclusa per il fatto che essi siano stati acquisiti in epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta condanna o che il loro valore superi il provento del medesimo reato …. sul rilievo che la funzione della norma di riferimento è quella di stabilire una presunzione relativa di illecita accumulazione in presenza di patrimoni nella disponibilità di imputati di reati particolarmente significati nella prospettiva dell'arricchimento criminale» (CP 13425/13). In realtà, anche quando prevale la tesi della rilevanza del provento da evasione fiscale (in motivazione SU 33451/14) si richiede una allegazione seria e riscontrabile : “Spetta all’indagato/imputato allegare e/o dimostrare, che i beni sequestrati furono acquistati con il provento di attività economiche non denunciati al fisco con la conseguenza che, in assenza di alcun riscontro alle mere affermazioni dell'istante, prevale la presunzione di illegittima provenienza” (CP 49498/14, 39501/14).
La necessità della sproporzione in relazione a ciascun bene suscettibile della misura patrimoniale e non all'intero patrimonio
Come per la confisca di prevenzione, anche per l’istituto in esame occorre che la verifica della sproporzione sia riferita non alla "somma dei singoli beni" (patrimonio come complesso unitario), ma al momento dei singoli acquisti, ovvero rispetto al valore dei beni volta a volta acquisiti, senza considerare il reddito dichiarato o le attività esistenti al momento del sequestro rispetto a tutti i beni presenti. Il raffronto deve essere "oggetto di rigoroso accertamento nella stima dei valori economici in gioco", attraverso una ricostruzione storica della situazione riferita all'epoca dei singoli acquisti, che ne valuti la sproporzione rispetto ai redditi storici del condannato (SU 920/04.; CP 721/06, 5453/10)
L’utilizzo, parziale, di denaro di origine lecita
È assoggettabile a sequestro e successiva confisca il bene legittimamente acquistato e migliorato con denaro di provenienza non giustificata, ma soltanto per la quota ideale che corrisponde a tale incremento di valore (CP 21079/10, 26848/10).
La connessione temporale tra data del commesso reato ed epoca di acquisto del bene
Possono essere oggetto di sequestro beni acquistati in epoca precedente o successiva al commesso reato e non rileva che il loro valore superi il provento del delitto per cui è intervenuta condanna (S.U. 920/04.; CP 11269/09). A fronte di tali approdi, alcune tendenze mitigatrici si registrano in giurisprudenza (CP 5452/10), attraverso una cauta distribuzione dell'onere probatorio, ristabilendo un sia pur minimo legame tra il reato ed il bene, evocato (in astratto) dalla giurisprudenza costituzionale. Ne offre l’occasione proprio la necessità di valutare con rigore la dimostrazione storico- evolutiva dei periodi in cui si evidenzia la sproporzione tra redditi/attività economiche e acquisti in essi realizzati. In tal senso, se il pubblico ministero può operare un accertamento in cui il confronto tra reddito dichiarato e patrimonio posseduto viene riferito ad un contesto temporale precedente la commissione del reato contestato, questo deve costituire anche il limite del thema decidendum. Ciò vuol dire che ove la sproporzione si riferisca ad un determinato periodo di tempo, per gli acquisti realizzati al di fuori di tale fase il provvedimento non troverebbe giustificazione, D'altra parte, l'indagato può dimostrare la legittima provenienza dei beni limitando le sue allegazioni al periodo preso in considerazione dal pubblico ministero, senza dover assolvere alla probatio diabolica di dimostrare la legittimità dell'intero suo patrimonio.
2.7 IL SEQUESTRO E LA CONFISCA PER EQUIVALENTE.
L’art. 12 sexies, comma 2 ter prevede che quando non è possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui al comma 2, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e altre utilità per un valore equivalente, delle quali il reo ha la disponibilità, anche per interposta persona. Il comma 2 si riferisce ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (vale a dire
aggravati ai sensi dell’art. 7 d.l. n. 152/91, conv. dalla l. n. 203/91) nonché di cui all'art. 295, secondo comma, DPR n. 43/73. Si tratta di norma (introdotta dal d.l. n. 92/08, conv. dalla l. n. 125/08) diretta ad assicurare gli effetti della confisca pur nel caso in cui non sia possibile rinvenire i beni da confiscare obbligatoriamente ( così come previsto da numerose norme, quali gli artt. 322 ter c.p., 640 quater c.p., etc.). La disposizione non trova applicazione per le condotte poste in essere prima dell’entrata in vigore della l. n. 125/08, sempre che si attribuisca all’istituto natura sanzionatoria, così come ritenuto per l’analogo istituto penale
§ 3. LA CONFISCA DI PREVENZIONE
3.1 PROFILI GENERALI.
Le caratteristiche essenziali delle misure di prevenzione di identificano nella funzione preventiva e nel mancato previo accertamento della commissione di un reato. Anche in assenza e prima di esso, le esigenze di prevenzione dello Stato giustificano misure limitative delle libertà personali attraverso l’imposizione di prescrizioni dirette ad agevolare il controllo e la vigilanza degli organi preposti alla tutela della sicurezza pubblica. Sotto il profilo storico, senza ripercorrere le tappe del lungo sviluppo della normativa in materia, merita segnalare due snodi fondamentali. Il primo è rappresentato dalla legge n. 575/1965, con cui è stata prevista l’applicabilità alle persone indiziate di appartenere ad associazioni mafiose della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con specifici inasprimenti. Proprio da quel momento le finalità preventive sono state estese dalle tradizionali categorie di c.d. pericolosità comune a soggetti che si ritengono attinti da un grado di pericolosità qualificata sulla base del grado di attribuibilità della partecipazione a un’associazione criminale per la prima volta legislativamente denominata “mafia”, seppur all’epoca non ancora tipizzata. La seconda tappa fondamentale è rappresentata dal d.l. n. 92/08, conv. dalla l. n. 125/08 che ha previsto, tra l’altro, oltre all’applicabilità delle misure personali anche a indiziati di gravi reati in materia di mafia (delitti elencati nell’art. 51, comma 3 bis, c.p.p.) anche l’estensione (SU 13426/10) del sequestro e della confisca nei confronti delle persone c.d. pericolose semplici (o comuni) .
Le misure di prevenzione rappresentano una particolarità dell’ordinamento italiano, nel quale l’aggressione ai patrimoni illecitamente accumulati può essere realizzata sia con la confisca “allargata”, nel xxxxx xxx xxxxxxxx xxxxxx, sia con la confisca di prevenzione nell’ambito di un procedimento “semplificato” che prescinde dalla condanna. In quest’ultimo caso l’obiettivo non è quello di sanzionare la persona ma di acquisire in favore dello Stato beni entrati illecitamente nella disponibilità di persone pericolose, anche perché indiziate di gravi reati; beni da sottrarre per prevenire l’ulteriore manifestazione della pericolosità della persona, accentuata dall’utilizzo di quei beni
Il sistema italiano delle misure di prevenzione patrimoniale, tradotto nell’espressione “confisca senza condanna”, ha superato indenne diversi vagli della CEDU. Tenuto presente l’art. 1 del protocollo addizionale n. 1, la Corte europea ha riconosciuto che la “confisca
antimafia” non è sanzione penale ma costituisce misura di prevenzione6. Per la Corte, la confisca antimafia rientra tra quelle misure (non inevitabilmente a carattere penale) necessarie e adeguate alla protezione dell'interesse pubblico. L’ingerenza nel godimento del diritto ed al rispetto dei beni, garantito dal primo comma del citato art. 1, è consentita dal secondo comma che lascia agli Stati il diritto di adottare “quelle leggi che giudicano necessarie per disciplinare l’uso dei beni in relazione all’interesse generale”, coincidente nell’obiettivo di “impedire un uso illecito e pericoloso per la società di beni la cui provenienza lecita non è stata dimostrata”7. L’ingerenza degli Stati è ritenuta dalla Corte proporzionata al legittimo scopo perseguito, consistente in una politica di prevenzione della criminalità per la cui attuazione il legislatore deve avere un ampio margine di manovra sia sull’esistenza di un problema di interesse pubblico, che richiede una normativa, sia sulla scelta delle modalità applicative di quest’ultima. In particolare, la Corte, ha ritenuto che tale ingerenza va valutata tenendo conto che "il fenomeno della criminalità organizzata ha raggiunto, in Italia, dimensioni davvero preoccupanti. I guadagni smisurati che le associazioni di stampo mafioso ricavano dalle loro attività illecite danno loro un potere la cui esistenza mette in discussione la supremazia del diritto nello Stato. Quindi, i mezzi adottati per combattere questo potere economico, e in particolare la confisca controversa, possono essere indispensabili per poter efficacemente combattere tali associazioni” (cfr. in particolare la decisione Arcuri e la sentenza Xxxxxxxxx, cit.). E la Convenzione non si oppone alle “presunzioni di fatto o di diritto” sulle quali sono fondate le misure patrimoniali, nella misura in cui sia assicurata una garanzia giurisdizionale effettiva.
La principale conseguenza della natura preventiva della misura consiste nell’inapplicabilità del principio di irretroattività della legge, relativo sia alle misure personale, sia a quelle patrimoniali. In tema di misure di prevenzione si ritiene non invocabile il principio di irretroattività della legge penale previsto dagli artt. 25 della Costituzione e 2 c.p., giacché le norme in materia si uniformano non già ai principi che riguardano le pene, bensì a quelli concernenti le misure di sicurezza. Pertanto, in base al disposto dell'art. 200 c.p., esse devono intendersi "regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione". I principi ricordati trovano fondamento nella natura e funzione delle misure di prevenzione che sono applicate non quale diretta conseguenza di un determinato fatto (come accade per i reati), bensì per l'intera condotta di vita del soggetto sviluppatasi nel tempo, tale da fare desumere una pericolosità sociale attuale. Poiché proprio a questa pericolosità in atto anche la legge eventualmente sopravveniente intende porre rimedio, ne consegue l'applicabilità della disciplina prevista dalla norma in vigore nel momento in cui la misura viene concretamente irrogata (CP 40703/02, CP 7116/07, CP 33597/09, CP 18848/14, CP 44327/13, CP 39204/13, CP 24272/13; contra
CP 14044/13). Pertanto, per le categorie di pericolosità oggi previste dall’art. 4, lett. b), d.lgs. 159/11, vanno valutate anche le condotte realizzate prima del 2008 e del 2009, epoca in cui sono entrate in vigore le norme che consentono nei confronti di questi l’applicazione della misura di prevenzione (d.l. n. 92/08, conv. dalla l. n. 125/08, per gli indiziati della commissione dei delitti previsti dall’art. 51, comma 3 bis c.p.p.; l. n. 94/09 per gli indiziati
6 Essa, come detto, non presuppone un reato e tende a prevenirne la commissione da parte di soggetti ritenuti pericolosi (sent. 22.2.94 sul caso Xxxxxxxx, dec. 15.6.99 sul caso Xxxxxx).
7 sent. 22.2.94 sul caso Xxxxxxxx, dec. 4.9.01 sul caso Xxxxx e del 5.7.01 sul caso Arcuri, sent. 5.1.10 sul caso Xxxxxxxxx, dec. 6.7.11 sul caso Pozzi, dec.
17.5.11 casi Capitani e Xxxxxxxxxx
del delitto ex art. 2 quinquies d.l. n. 306/92, conv. dalla l. n.356/92). Xxx non sia posta una norma transitoria, dovendo essere espresso un giudizio di pericolosità sociale nei confronti del proposto, si fa riferimento al momento della decisione, anche se le occasioni e le ragioni su cui poggia tale pericolosità sono desunte da comportamenti e circostanze pregresse, le quali, nella logica del sistema creato dalle norme di prevenzione, riverberano sul tempo futuro le conseguenze del loro valore sintomatico.
3.2 CONDIZIONI SOGGETTIVE DELLE MISURE DI PREVENZIONE PERSONALE
L’applicazione di una misura di prevenzione personale richiede condizioni di tipo soggettivo, che conviene passare rapidamente in rassegna.
3.2 a) In primis, l’appartenenza del soggetto ad una delle categorie di cui all’art. 4 d.lgs. n. 159/2011, desunta esclusivamente da “elementi di fatto”, vale a dire da circostanze certe, obiettivamente identificabili e dunque controllabili, con esclusione di elementi privi di riscontri concreti, quali meri sospetti, illazioni e congetture (CP 27665/2007, SU 13426/10). Le categorie dei destinatari delle misure di prevenzione sono raggruppabili in quella della pericolosità qualificata, comune, dei sovversivi (a. 4, lettere da d a h)8 e degli “antisportivi violenti” (a. 4, lett. i)9.
In particolare, rientrano nella categoria della pericolosità qualificata: a) gli indiziati di appartenere alle associazioni di cui all'articolo 416-bis c.p.10; b) i soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale ovvero del delitto di cui all'articolo 12-quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356.
Rientrano nella categoria della pericolosità comune (lettera c) art. 4 cit.) coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi; coloro che per la condotta ed il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; a coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono
8 Si tratta di coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori obiettivamente rilevanti diretti a sovvertire l'ordinamento dello Stato con la commissione di uno dei reati previsti dal capo I, titolo VI del libro II del codice penale o dagli artt. 284, 285, 286, 306, 438, 439, 605 e 630 dello stesso codice nonché alla commissione di reati con finalità di terrorismo (lett. d); di coloro che abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della legge
n. 645/1992, nei confronti dei quali debba ritenersi per il comportamento successivo che continuino a svolgere un'attività analoga a quella precedente (lett. e); di coloro che compiano atti preparatori obiettivamente rilevanti diretti alla ricostituzione del partito fascista ai sensi del-l'art. 1 della legge n. 645/1952 in particolare con l'esaltazione o la pratica della violenza (lett. f); di coloro che siano stati condannati per uno dei delitti previsti dalle leggi sulle armi n. 895/1967 e n. 497/1974 quando xxxxx ritenersi per il loro comportamento successivo che siano proclivi a commettere un reato della stessa specie col fine indicato alla lett. ti) (lett. g); e degli istigatori, mandanti e finanziatori dei reati indicati nelle lettere precedenti (lett. h)
9 "sportivi", quelli indicati all'art. 4, lett. i), (ed in precedenza all'art. 7 -ter della legge n. 401/1989, anch'esso abrogato) si tratta delle persone indiziate di aver
agevolato gruppi o persone che abbiano preso parte attiva in più occasioni alle manifestazioni di violenza di cui all'art. 6 della citata legge n. 401
10 Importanti sono le conseguenze dell'affermazione dell’autonomia tra procedimento di prevenzione e procedimento penale: il concetto di "appartenenza" ad una associazione mafiosa di cui agli artt. 1 e ss., legge n. 575/1965 (ora art. 4, lett. a), d.lgs. n. 159/2011) va tenuto distinto, sul piano tecnico, da quello di "partecipazione" risolvendosi, il primo, in una situazione di contiguità all'associazione stessa, che, pur senza integrare il fatto-reato tipico del soggetto che organicamente è partecipe del sodalizio mafioso, risulti funzionale agli interessi della struttura criminale e nel contempo denoti la pericolosità sociale specifica che sottende al trattamento prevenzionale: la diversa terminologia adottata dal legislatore consente di ribadire come la misura dí prevenzione, proprio in relazione al suo scopo, presupponga la semplice "partecipazione" ad associazione per delinquere, nozione nel cui ambito vanno ricomp resi sia gli aspetti della vera e propria "partecipazione" estesa anche alla fattispecie di concorso esterno, sia le condotte più sfumate, non idonee ad integrare gli estremi della partecipazione ex art. 416 c.p., per le quali l'indiziato, anche senza commettere specifici reati, pone comunque in essere atti specifici significativi dí "appartenenza", da intendersi anche come semplice "contiguità" di rapporti personali e di interessi economici tra l'indiziato e l'associazione mafiosa latamente intesa o soggetti posti in posizione di vertice della stessa'.
dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l'integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. Secondo alcuni primi orientamenti emersi nella giurisprudenza di merito (Tribunale di Chieti 12.7.2012, Tribunale di Cremona 23.1.2013), in questa categoria della pericolosità sociale rientra anche il sistematico evasore fiscale. Si tratta di un soggetto che vive di traffici delittuosi ovvero vive col provento di attività delittuosa consistente in redditi da evasione fiscale, pur se connessi ad una attività economica astrattamente lecita. Occorre, naturalmente, una condotta abitudinaria, non occasionale né sporadica, tale da fare ritenere che il soggetto sia pericoloso e, perciò, debba essere assoggettato a forme di controllo dirette a prevenire la commissione di delitti e che gli debbano venir sottratti i beni illecitamente acquisiti nella manifestazione della pericolosità. Per il rigoroso accertamento dell’esistenza dei presupposti di applicabilità della misura potranno risultare persuasive le condotte prolungate e reiterate tali da evidenziare uno stile di vita “delittuoso”; è tale anche l’evasione fiscale strutturalmente illecita, sotto il profilo amministrativo-tributario e, soprattutto, perché costituente reato secondo le soglie previste dal d.lgs. n. 74/00. Un ulteriore indice convincente è rappresentato da condotte illecite e delittuose che evidenzino lo “stile di vita illecito” dell’evasore fiscale abituale, quali, ad esempio, false fatturazioni, bancarotte fraudolente (semmai ricoprendo la qualità di socio o amministratore di fatto), reati contro il patrimonio (truffa, appropriazione indebita, insolvenza fraudolenta, associazioni per delinquere finalizzate alla commissione dei citati reati), etc. Spesso si tratta di persone aduse a vivere di espedienti elusivi della legge, di non agevole scoperta da parte degli organi dello Stato, che non di rado intervengono in modo occasionale e burocratico. Le misure di prevenzione, proprio perché dirette a ricostruire l’intera condotta di vita del soggetto, consentono di individuare le attività poste in essere nel tempo e, dunque, quelle elusive e delittuose. La figura dell’evasore fiscale socialmente pericoloso pare distinta dal mero evasore fiscale occasionale (da collocare nell’area dell’illecito amministrativo o, in taluni casi, dell’illecito penale), manifestando una personalità dedita all’evasione fiscale, continua e ripetuta, che rappresenta uno stile di vita, perciò dedito a traffici delittuosi ovvero che vive col provento di questa specifica attività delittuosa e di quelle connesse. A conforto di questa lettura, una recente pronuncia della Corte di Cassazione11 ha ritenuto applicabile la misura di prevenzione personale nei confronti di un soggetto dedito – in modo massiccio e continuativo – a condotte elusive degli obblighi contributivi, dalle quali ricavava una provvista finanziaria utile, almeno in parte, al suo sostentamento, «da considerarsi quale “provento” di delitto, inteso quale sostanziale vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato».
3.2 b) In secondo luogo, è necessario l’accertamento della effettiva pericolosità sociale del soggetto, ragione intrinseca ed irrinunciabile della misura di prevenzione, intesa come pericolosità “in senso lato”, comprendente l’accertata predisposizione al delitto, anche nei confronti di persona nei cui confronti non si sia raggiunta la prova di reità. Occorre una valutazione globale dell’intera personalità del soggetto, risultante
11 Secondo la Corte (CP 32032/13), «lì dove la quota indebitamente trattenuta venga successivamente reinvestita in attività di tipo commerciale – come nel caso qui in esame – è al contempo evidente che i profitti di tale attività risultano inquinati dalla metodologia di reinvestimento della frazione imputabile alle pregresse attività elusive. Lì dove il soggetto proposto tragga mezzi di sostentamento – anche in via di fatto, non essendo il titolare formale delle compagini societarie – da tali attività, può senza dubbio affermarsi che costui “viva abitualmente, anche in parte” con i proventi di attività delittuose, in ciò risultando integrato il presupposto di legge»
da tutte le manifestazioni sociali della sua vita e dall’accertamento di un comportamento illecito e antisociale persistente nel tempo, tale da rendere necessaria una particolare vigilanza da parte degli organi di pubblica sicurezza. A tal fine il giudizio di pericolosità “può basarsi anche su elementi che giustifichino sospetti o presunzioni”, riferendosi a fatti, come i precedenti penali, l'esistenza di recenti denunzie per gravi reati, il tenore di vita, l'abituale compagnia di pregiudicati e di soggetti sottoposti a misure di prevenzione, ed altre manifestazioni oggettivamente contrastanti con la sicurezza pubblica (CP 6794/98)12.
3.2 c) Terzo requisito soggettivo, infine, è l’attualità della pericolosità, concreta e specifica, dunque non potenziale. Si tratta di condotte in atto nel momento in cui la misura di prevenzione deve essere applicata, obiettivamente identificabili, in circostanze oggettive, fattuali, che consentono di pronunciare una prognosi di ragionevole probabilità di commissione di attività delittuose, dovendosi perciò escludere sospetti, illazioni, congetture non oggettivamente estrinsecabili. In tal modo, da un accertamento compiuto sulla base di elementi di fatto, pregressi rispetto al momento valutativo, sintomatici (ma non congetturali) e rivelatori di tale pericolosità, si perviene ad un giudizio prognostico per definire la ragionevole probabilità della commissione di reati, tali da giustificare un controllo per prevenire possibili condotte antisociali. Anche l’attualità della pericolosità sociale deve essere accertata con rigore, tenendo presenti non solo di eventuali procedimenti penali in corso a carico del proposto, ma altresì procedendo ad una valutazione complessiva della personalità e delle abitudini di vita del proposto. È cioè richiesto che i dati meramente formali vengano adeguatamente elaborati ed approfonditi per accertarne la consistenza indiziaria: è altresì richiesta la sussistenza di altri significativi indizi, quali la frequentazione di persone pregiudicate, la mancanza di attività lavorativa stabile, l'essere il proposto dedito stabilmente alla commissione di reati, da cui egli, tragga le risorse per sopperire alle esigenze di vita; e detti indizi, valutati nel loro complesso ed assieme ad eventuali procedimenti penali in corso, possono far fondatamente ritenere la sussistenza di una attuale pericolosità sociale in capo al proposto. Per altro, per il noto principio di autonomia funzionale e strutturale tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, attesa la diversità dell'oggetto dei due giudizi, anche da una sentenza di assoluzione (preferibilmente ex art. 530, comma 2, c.p.p.) possono trarsi elementi avvalorativi della pericolosità sociale del proposto.
3.3 LA CONFISCA DI PREVENZIONE: conferme e peculiarità all’interno del sistema delle misure di prevenzione. I presupposti soggettivi ed oggettivi: anzitutto, la possibilità di prescindere dalla attuale pericolosità sociale del proposto e la disponibilità dei beni
12 «Secondo il costante orientamento di questa Corte ... in materia di applicazione di misure di prevenzione, il giudizio di pericolosità sociale presuppone un'oggettiva valutazione dl fatti sintomatici della condotta abituale e del tenore di vita del proposto, il cui giudizio può basarsi anche su elementi che giustifichino sospetti e presunzioni, purché obiettivamente accertati, come i precedenti penali, l'esistenza di recenti denunzie per gravi reati, il tenore di vita, l'abituale compagnia di pregiudicati e dì soggetti sottoposti a misure di prevenzione ed altre manifestazioni oggettivamente contrastanti con la sicurezza pubblica, in modo che risulti esaminata globalmente l'intera personalità del soggetto come risultante da tutte le manifestazioni sociali della sua vita ... in tal senso il giudice della prevenzione è tenuto ad utilizzare gli elementi costituiti dai precedenti o dalle pendenze giudiziarie del proposto, con il preciso onere di sottoporre i relativi fatti, ivi compresi quelli che hanno dato luogo a pronunce assolutorie, a nuova ed autonoma valutazione, dando atto delle ragioni in virtù delle quali da tali tatti si ritiene dovere desumere elementi sintomatici per un giudizio di pericolosità sociale» (CP 42412/12).
In linea con il più ampio sistema della prevenzione, anche le misure patrimoniali non richiedono né la previa commissione del reato né dunque la condanna del responsabile. Naturalmente, la persona può anche essere stata già condannata irrevocabilmente, ma ciò non è richiesto come presupposto di applicabilità della misura. Le misure patrimoniali di prevenzione, infatti, sono prive di natura sanzionatoria, penale o amministrativa, essendo adottate nei confronti di soggetti pericolosi dei quali si vuole prevenire condotte che costituiscono reato. In definitiva, la funzione preventiva delle misure di prevenzione patrimoniali, che le differenzia dalle misure di sicurezza tipiche o atipiche previste nel sistema penale, consiste nell’impedire anticipatamente l’ulteriore attività pericolosa della persona, sottraendo al prevenuto i beni illecitamente accumulati il cui possesso consentirebbe o agevolerebbe ulteriore espressioni di comportamenti socialmente rischiosi (sequestro e confisca), ovvero sottraendo provvisoriamente beni che potrebbero agevolarne la condotta pericolosa (sospensione dell’amministrazione dei beni, personali o connesse ad attività economiche).
In realtà, nel caso di misure patrimoniali, alla finalità preventiva si affianca altresì un’esigenza anche ripristinatoria, quella di sottrarre dal circuito economico i patrimoni illecitamente acquisiti, esigenza che non può snaturare tali misure, trasformandole in sanzionatorie. E’ innegabile che le esigenze preventive siano attenuate in alcuni casi di applicazione disgiunta della misura patrimoniale da quella personale (resa possibile dalla riforma del 2008) o quando è consentita la confisca di beni pervenuti ai successori dopo la morte della persona pericolosa. Attualmente, l’articolo 18 d.lgs. n. 159/2011 prevede: “1. le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste e applicate disgiuntamente e, per le misure di prevenzione patrimoniali, indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta della misura di prevenzione. 2. Le misure di prevenzione patrimoniali possono essere disposte anche in caso di morte del soggetto proposto per la loro applicazione. In tal caso il procedimento prosegue nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa. 3. Il procedimento di prevenzione patrimoniale può essere iniziato anche in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta la confisca; in tal caso la richiesta di applicazione della misura di prevenzione può essere proposta nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare entro il termine di cinque anni dal decesso”. Sulla scia della giurisprudenza della Cassazione, in effetti, v’è una tendenza normativa a rendere concettualmente autonoma la misura patrimoniale da quella personale, con la ricorrente affermazione di una pericolosità in sé dei beni che, per ciò solo, devono essere eliminati dal circuito legale attraverso il sequestro e la confisca di prevenzione. Le misure di prevenzione patrimoniali si profilano come istituti diretti a contrastare l’accumulazione di beni d’illecita provenienza che trovano il loro fondamento giustificativo nel rapporto intercorrente tra gli stessi e determinati soggetti socialmente pericolosi in grado di disporne, con la precisazione che la pericolosità dei soggetti può anche non essere attuale (o meglio la misura personale può non essere in atto o applicabile), perché il soggetto che era pericoloso (ovvero in certi limiti il suo successore a titolo particolare o universale) continuerebbe a trarre dai beni un vantaggio illecito. In tal senso, si mantiene sempre imprescindibile il collegamento con la pericolosità della persona, quand’anche non più attuale, ma da accertare almeno incidentalmente,
essendosi rivelata con l’attività illecita che ha prodotto quei beni. L’acquisto operato da una persona pericolosa non perde il carattere genetico illecito, pur quando il proposto perde la sua pericolosità, divenuta immanente connotato del bene. Il decorso del tempo, o comunque la cessazione della pericolosità del soggetto, o qualunque ragione che non consenta di applicare la misura di prevenzione, non può avere l’effetto positivo di autorizzare il possesso del bene da parte di colui che lo ha illecitamente acquisito (quando era pericoloso) e ne trae la conseguente utilità.
In applicazione di quanto sopra spiegato, qualora la misura personale non sia stata applicata, la misura di prevenzione patrimoniale implica l’accertamento incidentale dei presupposti soggettivi della prima (l’appartenenza alla peculiare categoria di pericolosità delineata dal dettato normativo e la pericolosità sociale), ad eccezione dell’attualità della pericolosità sociale, che non costituisce un requisito di irrogabilità né del sequestro né della confisca di prevenzione. Il bene è confiscabile anche se è stato acquistato da persona che era all’epoca pericolosa. Si è delineata una sorta di actio in rem, volta a perseguire la cosa pericolosa ancor più che la persona. Essa può operare anche in carenza di un attuale collegamento con la pericolosità sociale della persona che ne abbia la disponibilità e pur in assenza di un nesso pertinenziale diretto del bene con un eventuale delitto e dunque prescindendo anche dall'accertamento della provenienza, essendo oggi ammessa la confisca anche laddove l'interessato giustifichi la provenienza del bene, ma il valore di esso sia sproporzionato al reddito dichiarato o all'attività economica svolta.
Quanto ai presupposti oggettivi, il primo è costituito dalla disponibilità, diretta o indiretta, dei beni oggetto di ablazione. Si tratta di concetto già esaminato in sede di analisi di confisca allargata, circostanza che rende opportuno in questa sede limitarsi a ricordare che esso comprende:
- la titolarità di uno qualsiasi dei diritti reali su beni immobili e mobili registrati;
- la signoria sulla cosa da un punto di vista effettivo e non formale, vale a dire la possibilità per il soggetto di determinare la destinazione o l'impiego del bene, una gamma variegata di situazioni di fatto che si estendono sino alla mera soggezione del bene rispetto al potere del proposto, anche mediante forme di intestazione fittizia a terzi attraverso contratto simulato o fiduciario (CP 25228/12);
- non può ritenersi limitato alla mera relazione naturalistica o di fatto col bene, ma va esteso, al pari della nozione civilistica del possesso a tutte quelle situazioni nelle quali il bene stesso ricada nella sfera degli interessi economici del prevenuto, ancorché il medesimo eserciti il proprio potere su di esso per il tramite di altri (CP 398/96);
- la disponibilità indiretta di un bene, in ipotesi di beni nella titolarità formale di terzi o detenuti in virtù di operazioni negoziali particolari, come nel caso di un contratto di leasing;
- il prestanome del prevenuto; occorre, a tal proposito, distinguere, sul piano dell'operatività dei meccanismi presuntivi, le figure del coniuge, dei figli e dei conviventi con il proposto nell'ultimo quinquennio da tutte le altre persone
fisiche “indifferenti”, per le quali non può operare alcuna semplificazione probatoria. Per i terzi “indifferenti” l'organo della pubblica accusa deve dimostrare rigorosamente, ai fini del sequestro e della confisca di beni intestati a terzi, gli elementi concreti del carattere puramente formale dell’intestazione, funzionale all’esclusiva finalità di favorirne il permanerenella effettiva ed autonoma disponibilità di fatto del proposto; il comportamento uti dominus del proposto, in contrasto con l'apparente titolarità del terzo, deve essere accertato con indagine rigorosa, intensa ed approfondita, avendo il giudice l'obbligo di spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia sulla base non di sole circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma di elementi fattuali connotati dai requisiti della gravità, precisione e concordanza ed idonei, pertanto, a costituire prova indiretta dell'assunto che si tende a dimostrare (CP 40254/12). Se la giurisprudenza ha esteso l'ambito dei presunti prestanome, comprendendovi, fino a prova contraria, tutti i soggetti legati da vincoli parentali o di affinità con il proposto, in concreto ogni legame di parentela non stretto o di affinità diviene elemento suscettibile di approfondimento investigativo ed, in sede di giudizio, tale da essere delibato congiuntamente alle altre emergenze processuali al fine di affermare o meno la disponibilità indiretta dei beni. Pertanto, l'eventuale accertamento di sproporzione tra la capacità economico-reddituale del terzo ed il valore del bene formalmente intestato o appartenente allo stesso può essere considerato come indice dell'assenza di disponibilità effettiva sul bene soltanto unitamente ad altri elementi indiziari (esiti di intercettazioni telefoniche acquisite agli atti, dichiarazioni di eventuali collaboratori di giustizia, ecc.) senza poter assurgere, in difetto di altro elemento indiziante, al rango di elemento determinante, come invece avviene per il proposto; il terzo, infatti, a differenza del proposto, non ha mai aderito ad alcuna consorteria mafiosa o criminale e, comunque, appare sganciato dal presupposto normativa tipizzante l'ablazione, il che non permette l'apprensione del bene sulla scorta di un giudizio fondato sulla mera semplificazione probatoria;
- quanto agli eredi, come accennato sin dal "Pacchetto Sicurezza" del 2008 sussiste la possibilità di aggressione dei patrimoni anche nel caso di morte del titolare, purché entro cinque anni dalla morte (cfr. art. 18, commi 2 e 3 d.lgs. n. 159/2011: «Le misure di prevenzione patrimoniali possono essere disposte an- che in caso di morte del soggetto proposto per la loro applicazione. In tal caso il procedimento prosegue nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa. Il procedimento di prevenzione patrimoniale può essere iniziato anche in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta la confisca; in tal caso la richiesta di applicazione della misura di prevenzione può essere proposta nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare entro il termine di cinque anni dal decesso»); l’erede mutua la posizione del prevenuto, nel senso che la sua partecipazione al giudizio appare necessaria (contrariamente a quella del terzo "prestanome"), giacché il suo diritto di difesa deve essere riconosciuto negli stessi ampi termini nei quali è riconosciuto al prevenuto;
- in dettaglio, il coniuge, i figli, i conviventi del proposto: nei loro confronti opera una presunzione iuris tantum di disponibilità indiretta dei beni,
superabile solo dalla prova contraria fornita dagli interessati. L'art. 19, comma 3, d.lgs. n. 159/2011, nel fissare i limiti oggettivi e soggettivi delle indagini patrimoniali, indica espressamente il coniuge, i figli e coloro che nell'ultimo quinquennio hanno convissuto con i soggetti nei cui confronti possa essere disposta la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S., con o senza divieto od obbligo di soggiorno, nonché le persone fisiche o giuridiche, società, consorzi od associazioni del cui patrimonio i soggetti medesimi risultano poter disporre in tutto o in parte, direttamente o indirettamente. Inoltre, l’art. 26 del d.lgs. n. 159/2011 contempla un'ulteriore presunzione iuris tantum, sia pure temporalmente delimitata. Quella di simulazione dei trasferimenti e delle intestazioni, anche a titolo oneroso, intervenute nei due anni antecedenti la proposta prevenzionale nei confronti dell'ascendente, del discendente, del coniuge o della persona stabilmente convivente, nonché dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado ovvero dei trasferimenti e delle intestazioni, a titolo gratuito o fiduciario — evidentemente avvenuti in favore di qualunque soggetto — che siano stati effettuati nei due anni antecedenti la stessa proposta. Opera dunque un'autentica tipizzazione legislativa (introdotta con il "Pacchetto Sicurezza" del 2008) di atti il cui trasferimento è presunto iuris tantum come fittizio attraverso una sorta di innovativa azione di nullità tout court dell'atto dispositivo.
Il contenuto della prova contraria da parte dei terzi
La verifica della ricorrenza del presupposto della disponibilità in capo al prevenuto va ripetuta nel momento della statuizione di confisca, quando devono essere rivisitati tutti gli elementi originariamente valutati in sede di provvedimento di sequestro, alla luce del ma- teriale acquisito nel contraddittorio delle parti. Infatti, nel corso del procedimento il pubblico ministero ben può arricchire la prospettazione originaria con elementi emersi o raccolti successivamente alla formulazione della proposta. E ciò travasando nel procedimento di prevenzione i risultati di attività investigativa, spesso parallela, svolta in sede penale, o l'esito della istruzione dibattimentale svolta in sede penale, in epoca successiva alla proposta. Allo stesso modo la difesa sottoporrà elementi favorevoli emersi in sede penale o attraverso lo strumento delle indagini difensive, comunemente ammesse dai tribunali di merito.
Quanto alle emergenze probatorie nel corso del procedimento di prevenzione, in particolare verranno in considerazione elementi circa la "disponibilità" dei beni in capo al prevenuto: il terzo indicato come prestanome può superare la presunzione — desunta dalla previsione sul perimetro delle indagini patrimoniali nel caso di parente o convivente nel quinquennio — confutando adeguatamente gli eventuali elementi probatori acquisiti circa la indiretta disponibilità in capo al proposto del bene, attraverso la dimostrazione della fonte dei capitali impiegati nell'investimento. Se poi si tratta di terzo nei cui confronti opera la presunzione di fittizia intestazione, il riferimento legislativo alla "prova contra- ria" richiama l'esigenza di uno standard forse ancora più elevato, seppure individuabile nella "prova anche indiziaria": non sembra peraltro ragionevole un’interpretazione che
addossi sul terzo attinto da tale presunzione un onere probatorio più pesante rispetto al terzo raggiunto dalla presunzione de facto: potendo il primo occupare una posizione più defilata (parente entro il sesto grado o affine entro il quarto) rispetto al secondo (ascendente, discendente, coniuge e convivente nel quinquennio).
Del resto, «al fine di disporre la misura di prevenzione della confisca, nel caso di beni formalmente intestati ad un terzo che si assumono nella disponibilità della persona sottoposta a misura di prevenzione personale quale indiziata di appartenenza ad associazione maliosa, il giudice ha l'obbligo di addurre non più soltanto circostanze sintomatiche, di spessore indiziario, ma fatti che si connotino della gravità, della precisione, della concordanza, si da costituire prova indiziarla dell'assunto che si tende a dimostrare: il superamento della coincidenza tra titolarità apparente e disponibilità effettiva dei beni. In caso contrario, la misura patrimoniale sarebbe imputata al terzo "in proprio", con metodologia in punto di prova tipica del giudizio di pericolosità e, cioè, sulla base delle presunzioni indiziarle connesse a tale giudizio (CP 4017/95, CP 6279/97; CP 23041/02, CP 35528/04)>>.
3.4 LA CONFISCA DI PREVENZIONE: altri presupposti oggettivi: la sproporzione o il frutto o il reimpiego
Ulteriori presupposti oggettivi delle misure patrimoniali di prevenzione, vicendevolmente autonomi, sono rappresentati da caratteristiche del bene nella disponibilità del proposto, in quanto (i) di valore sproporzionato al reddito dichiarato o all'attività economica svolta dal medesimo ovvero (ii) frutto di attività illecita ovvero reimpiego di essa, come positivamente accertato, sulla base di sufficienti indizi. Non è necessaria, dunque, né la coesistenza del parametro della sproporzione con la rilevata provenienza illecita degli stessi beni né il nesso di pertinenzialità della confisca di prevenzione con una determinata tipologia di illecito. Il limite di operatività della misura, che la rende compatibile con i principi costituzionali e con la normativa comunitaria, è costituito piuttosto dalla riconosciuta facoltà per il proposto di fornire la prova della legittima provenienza dei suoi beni (cfr. a. 20/2 d.lgs. n. 159/2011).
La sproporzione
Il vaglio richiesto al giudice consiste nel raffronto tra due elementi: il valore del singolo bene, da un lato, ed il reddito dichiarato o l'attività economica svolta, sull'altro versante, da rapportare, come comune denominatore, al periodo temporale di acquisizione del bene, in modo da accertare la legittimità di ogni singolo acquisto operato dal proposto (CP 26134/12). Il requisito della sproporzione, infatti riguarda il solo momento del singolo acquisto e non deve essere confuso con il reimpiego od il frutto dell'attività illecita, pure citati dalla medesima fonte normativa, che, attenendo a fenomeni
di riciclaggio, di solito, seguono temporalmente l'acquisto delle risorse da essa prodotte e si realizzano nell'ambito di un più ampio periodo13.
Nella valutazione sulla sproporzione s’impongono alcune regole, di seguito sintetizzate:
1) il reddito non potrà essere preso in considerazione nell’ammontare lordo, rappresentato dall'imponibile dichiarato, ma al netto dell’'imposizione fiscale;
2) dall'ammontare netto dovranno scomputarsi le spese sostenute per il mantenimento del nucleo familiare del proposto, secondo quanto accertato nel corso delle indagini, attingendo anche agli indici ISTAT;
3) il valore del bene immobile non potrà mai essere semplicisticamente quello dichiarato in atti, solitamente inferiore rispetto all'effettivo valore di mercato, ma andrà stimato mediante accertamenti tecnici effettuati secondo il criterio del valore medio di mercato per metro quadrato, corretto coni opportuni coefficienti;
4) detta analisi dovrà essere effettuata su ciascun singolo bene, tenendo anche in considerazione tutti gli eventuali esborsi o gli altri acquisti a titolo oneroso effettuati nell'arco temporale monitorato.
Il frutto o il reimpiego
L'indicazione dei beni frutto o reimpiego di attività illecite, tra quelli suscettibili di sequestro cautelare e poi di confisca prevenzionale, allude chiaramente a fenomeni di riciclaggio o di c.d. autoriciclaggio, successivi all'acquisizione del bene. Si tratta di beni collegati ad un reato da un rapporto di derivazione diretta ovvero indiretta. Rientrano tra i "frutti" suscettibili di confisca sia i risultati empirici delle azioni criminose — vale a dire le cose che vengono create, trasformate o acquisite attraverso il reato — sia le utilità economiche conseguite per effetto della consumazione della condotta tipica. Sono riconducibili, invece, alla nozione di "reimpiego" i beni correlati indirettamente alla condotta criminosa, consistendo nell'impiego in attività imprenditoriali dei vantaggi economici che ne derivano, riferendosi ad ogni forma di utilizzazione ovvero di investimento in attività economiche o finanziarie dei beni di provenienza illecita. La prevenzione ha rappresentato uno dei primi strumenti giuridici idonei a colpire il fenomeno dell'auto-riciclaggio.
In relazione al parametro dimostrativo della derivazione illecita o del reimpiego dei relativi proventi, i sintagmi normativi “sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere” (art. 20 del Codice, in merito al sequestro), ovvero “risultino” (art. 24 del Codice, in ordine
13 Per l’autonomia normativa intercorrente (cfr. art. 24, d.lgs. n. 159/2011) tra il requisito della sproporzione ed il riferimento al frutto o reimpiego del bene derivante da attività illecita è ragionevole sostenere che, ai fini della confisca, non sia necessario che alla sproporzione si accompagni anche l'acquisizione del bene in un periodo contestuale o successivo al manifestarsi dell'appartenenza del proposto nelle maglie endoassociative, pur rimanendo necessaria la verifica di essa, trattandosi di elemento certamente sintomatico dell'origine illecita del bene, in coerenza con la commissione dei delitti maggiormente idonei alla produzione di frutti illeciti da reimpiegare nell'acquisto di beni (come il traffico di droga e le estorsioni).
alla confisca), sono sintomatici di un progressivo affinamento della conoscenza in capo al giudice, derivante dall'esito del contraddittorio. Sicché il “risultino” non è già significativo di un parametro dimostrativo parificabile ad una prova penale, ma è, piuttosto, espressione di un giudizio di probabilità qualificata. E infatti, l'originario giudizio probabilistico (espresso dalla citata formula “sulla base di sufficienti indizi”; “si ha motivo di ritenere”), fondato solo sulla qualità dimostrativa degli indizi proposti dall'accusa, è reso più pregnante e convincente dall'incapacità delle allegazioni difensive di abbassare significativamente il grado di probabilità che fonda la spiegazione dell'accumulazione patrimoniale fornita dall'accusa. In sostanza, è l'esito del contraddittorio a qualificare in termini più probanti l'originario giudizio probabilistico, poiché quei sufficienti indizi sui cui si fondava non sono adeguatamente smentiti all'esito delle allegazioni difensive, sicché può affermarsi, in sede di giudizio di confisca, che i beni risultino di provenienza illecita o del reimpiego di attività illecite".
Il rilievo dell'evasione fiscale
Tuttavia la formula adottata dal legislatore pone il problema definitorio del concetto di illiceità. La giurisprudenza tradizionale ha affermato l'inidoneità delle allegazioni difensive fondate sulla provenienza del denaro investito dal proposto da forme di evasione fiscale, costituendo anche questa un reato, sia pure nei limiti di cui al d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, e rimanendo indeterminato ed indeterminabile il relativo importo. La Cassazione ha ribadito il carattere illecito dell'evasione fiscale e dunque la sua inidoneità a giustificare la provenienza di patrimoni altrimenti ingiustificati ed ingiustificabili affermando che: «La misura di prevenzione patrimoniale della confisca persegue la finalità di sottrarre alla disponibilità del soggetto indiziato di appartenere ad un'associazione mafiosa tutti quel beni che siano, comunque, frutto di attività illecite o ne costituiscano Il reimpiego, a nulla rilevando Il fatto che essi siano o meno connessi all'attività di tipo mafioso o siano comunque provento di altre attività illecite come anche di evasione fiscale (CP 42412/12).
Di recente impegnate su questo tema, le Sezioni Unite della Cassazione (SU 33451/14) hanno precisato che la confisca di prevenzione e la confisca "allargata", di cui all'art. 12 sexies presentano presupposti applicativi solo in parte coincidenti. Per entrambe è previsto che i beni da acquisire si trovino nella disponibilità diretta o indiretta dell'interessato e che presentino un valore sproporzionato rispetto al reddito da quest'ultimo dichiarato ovvero all'attività economica dal medesimo esercitata, ma solo per la confisca di prevenzione è prevista la possibilità di sottrarre al proposto i beni che siano frutto di attività illecita ovvero ne costituiscano il reimpiego. Questa peculiarità giustificherebbe il tradizione orientamento di contrarietà alla deducibilità dei redditi non dichiarati al fisco al fine di sfuggire alle misure di prevenzione (CP 3561/93, CP 2181/99), anche in caso di condono fiscale (CP 5248/12). L’illiceità originaria del comportamento di evasione continua a dispiegare i suoi effetti ai fini della confisca di prevenzione, cadendo nel fuoco del suo l’interesse tutti i beni frutto di attività illecita e che ne costituiscano il reimpiego, quale che ne sia la specifica provenienza illecita. Dunque, la
confisca di prevenzione persegue un più ampio fine di interesse pubblico, volto all’eliminazione dal circuito economico di beni di sospetta provenienza illegittima - siccome appartenenti a soggetti abitualmente dediti a traffici illeciti dai quali ricavano i proprio mezzi di vita - che sussiste per il solo fatto che quei beni siano andati ad incrementare il patrimonio di quel soggetto. “In altri termini la finalità preventiva perseguita con lo strumento ablativo risiede nell'impedire che il sistema economico legale sia funzionalmente alterato da anomali accumuli di ricchezza di cui il soggetto possa disporre per il reimpiego nel circuito economico-finanziario, ragione per la quale devono considerarsi di provenienza illecita anche i redditi acquisiti per effetto dell'evasione fiscale. A ciò si aggiunga (così la sentenza n. 8441/14) che «Nell'articolo 12-sexies, infatti, a differenza di quanto è previsto nel citato articolo 2-ter della legge n. 505 del 1965, la presunzione di illecita provenienza dei beni del condannato viene ancorata letteralmente ed esplicitamente al combinato disposto della sproporzione rispetto all'attività economica svolta e dell'assenza di giustificazione, ma non anche, in alternativa, alla esistenza di sufficienti indizi della loro provenienza da qualsiasi attività illecita». Le Sezione unite individuano profili comuni ma anche ambiti operativi diversi delle due confische. Comuni la necessità che i beni da confiscare si trovino nella disponibilità diretta o indiretta del soggetto e che siano di valore sproporzionato rispetto al reddito dichiarato o all'attività economica esercitata. Peculiare (ed esclusivo) della misura di prevenzione il requisito alternativo della provenienza illecita del bene (qualificabile come frutto o reimpiego di proventi illeciti). Ciò posto, la differente struttura normativa delle due confische è di tutto rilievo. “In particolare quella ex art. 12-sexies è legata alla commissione di alcuni reati, mentre l'accertata commissione di reati non è presupposto necessario per il giudizio di pericolosità; la confisca c.d allargata è legata alla non giustificabilità della provenienza delle utilità ed alla sproporzione rispetto ai redditi dichiarati o alla propria attività economica, quella di prevenzione aggiunge (profilo estraneo alla confisca ex art. 12-sexies) in alternativa («ovvero quando») la riconducibilità dei beni, sulla base di sufficienti indizi, al frutto di attività illecite ed al reimpiego delle stesse («beni [...] che siano il frutto di attività illecite e ne costituiscano il reimpiego»). Ciò persuade la Cassazione che in coerenza con l'evidenziata diversa struttura normativa che per la confisca ex art. 12-sexies - che prevede che il requisito della sproporzione debba essere confrontato con il «reddito dichiarato» o con la «propria attività economica» - si possa tener conto dei redditi, derivanti da attività lecita, sottratti al fisco (perché comunque rientranti nella propria "attività economica") secondo i più recenti e prevalenti approdi giurisprudenziali in tale ambito (da ultimo Sez. 1, n. 13425 del 21/02/2013, Xxxxxxxxxx, Xx. 000000; Sez. 1, n. 6336 del 22/01/2013, Xxxx, Rv. 254532; Sez. 1, n. 9678 del 05/11/2013, dep. 2014, Creati). Coerente peraltro è, sempre con riferimento alla diversa struttura normativa della specifica previsione, che tale approdo non possa essere applicabile alla confisca di prevenzione per la quale rileva - e dunque non è deducibile a discarico - anche il fatto che i beni siano «il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego». “Sicuramente l'evasione fiscale integra ex se attività illecita (contra legem) anche qualora non integri reato; né si può ignorare che la sottrazione di attività, pur intrinsecamente lecite (e cioè da impresa palese, non da mafia), agli obblighi fiscali (in tutto o in parte), inevitabilmente porta con sé altre connesse illiceità, non essendo neppure immaginabile che l'evasione fiscale non comporti anche altre correlate violazioni che parimenti locupletano il soggetto o sono strumentali all'illecito arricchimento (condotte di falso, in ambito contributivo, sulla disciplina del lavoro, ecc.) posto che - allo stato attuale della normativa, per
l'interconnessione tra i vari rami dell'ordinamento - sommergere i profitti significa anche inevitabilmente eludere tutte le connesse discipline (ancorché di rango amministrativo o privatistico), altrimenti l'evasione fiscale si autodenuncerebbe, esito che ovviamente nessun evasore vorrebbe conseguire e che, soprattutto, non consentirebbe il perseguito arricchimento”.
L'impresa mafiosa
Il sequestro e la successiva confisca colpiscono sia i beni nella disponibilità del prevenuto (anche tramite soggetto interposto) che si abbia motivo di ritenere — per ingiustificata provenienza o in forza di elementi positivamente dimostrativi — frutto di attività illecita, sia quelli che ne costituiscano il reimpiego. Quest'ultimo termine, di ampio significato, vale ad indicare qualsiasi forma di investimento dei capitali sospetti. Nella nozione di reimpiego va fatta rientrare anche qualsiasi forma di investimento dei capitali sospetti, non esclusa una partecipazione anche minoritaria in comunioni o società di persone o capitali; in tal caso è la quota spettante, con i diritti che ne discendono a formare oggetto del provvedimento ablativo. Inoltre, può verificarsi l'ipotesi dell'immissione dei proventi di attività illecite in altre attività economiche, già nella disponibilità del soggetto o di terzi, in forza di anteriore e legittimo titolo giustificativo, che vengono in tal modo accresciute o migliorate. Nella detta situazione, il provvedimento ablativo non può coinvolgere il bene "inquinato" nel suo complesso, ma nell'indispensabile contemperamento delle esigenze di prevenzione e difesa sociale con quelle private di garanzia della proprietà tutelabile (art. 42 Cost.), deve limitarsi alla quota ideale corrispondente all'incremento di valore dovuto all'immissione di capitale di non chiarita provenienza'.
Le nozioni di frutto e reimpiego dell'attività illecita richiamano direttamente il fenomeno, cui appaiono connessi, dell'impresa mafiosa. Si definisce tale quella costituita (o acquisita) per iniziativa di un'organizzazione criminale, la quale ne ha la gestione, ovvero quella gestita, in modo diretto o indiretto, da un singolo criminale mafioso nel proprio esclusivo interesse. In una terza accezione, si può parlare d’impresa mafiosa per indicare la
c.d. "società ad infiltrazione mafiosa", nella quale l'imprenditore, pur estraneo all'organizzazione criminale, instaura con questa rapporti stabili di convivenza, accettandone i servizi offerti e ricambiandoli con servizi complementari. Nell'ultima accezione l'impresa mafiosa è quella che entra in rapporti più o meno stabili con le organizzazioni criminali, pur senza essere inserita o "contigua", al solo fine di concludere affari vantaggiosi. Indici sintomatici di un'impresa mafiosa sono ricavabili in base alla definizione resa dalla Cassazione nell'affermare che: «L'impresa è da definirsi mafiosa quando, nonostante l'oggetto di per sé lecito, da un lato si connoti come tale per le condotte di gestione (ad esempio per le intimidazioni alla concorrenza), dall'altro si riveli direttamente strumentale alla consumazione di condotte delittuose (come il riciclaggio dì denaro di provenienza illecita). In casi di tal genere, quando l'impresa abbia potuto espandersi e produrre reddito grazie anche all'uso distorto dei beni aziendali, è inevitabile che sia sottoposta a confisca la totalità di questi unitamente alle eventuali quote sociali. tf ciò vale, allo stesso modo, per le entrate successivamente reimpiegate per
l'ulteriore sviluppo aziendale. A fronte di una comprovata situazione di contiguità mafiosa, il sintomo principale dell'illecita provenienza dei beni, e cioè la sproporzione tra patrimonio e reddito d'impresa, cede necessariamente all'evidenza del fattore inquinante di origine e cioè la contiguità mafiosa stessa» (CP 14280/12).
L'impresa mafiosa, in quanto riconducibile all'imprenditore colluso, dunque, si caratterizza perché: 1) ha ad oggetto attività economiche lecite; 2) è costituita, di regola, con capitali leciti; 3) ciononostante, funge da mezzo per il perseguimento del complessivo fine delittuoso mafioso (si pensi al riciclaggio del denaro sporco proveniente dal pagamento del "pizzo" o dal narcotraffico) ed utilizza i metodi tipici dell’agire mafioso. Detta impresa, quindi, persegue il proprio fine di lucro utilizzando il prezzo, il prodotto o il profitto di altri delitti o realizzando profitti e vantaggi ingiusti per sé o per altri, da individuarsi nei guadagni conseguiti mediante la commissione di altri reati ovvero con il mancato rispetto dei diritti dei lavoratori, con l'inadempimento preordinato delle obbligazioni assunte, con il condizionamento della volontà contrattuale di terzi e sistematica violazione delle regole della libera concorrenza.
Significativi elementi per individuare l'impresa mafiosa ed isolare la figura dell'imprenditore colluso possono derivare dall'esame del comportamento complessivo tenuto dall'imprenditore entrato in contatto con il sodalizio mafioso, e quindi rilevano: natura ed intensità dei rapporti dell'imprenditore con uno o più appartenenti del sodalizio mafioso; genesi di detti rapporti; eventuali vantaggi personali e patrimoniali derivanti all'imprenditore dalla copertura dell'associazione mafiosa o, comunque, perseguiti, tramite il sodalizio, dall'imprenditore. Mentre l'imprenditore "vittima" della mafia assume un contegno passivo, cercando esclusivamente di arginare unicamente le pretese dell'associazione mafiosa al fine di poter svolgere in maniera indisturbata la propria attività economica, esercitata in condizioni rispettose della libera concorrenza, l'imprenditore "col- luso" non si limita a versare le somme richiestegli a titolo di pizzo, ma, nel perseguimento del proprio scopo lucrativo, tende ad imporsi sul mercato ed a vincere la concorrenza utilizzando quale ordinario strumento d'azione la forza d'intimidazione dell'organizzazione mafiosa che, dal canto suo, riceve significativi vantaggi (dalle assunzioni di favore di aderenti fino alla presentazione delle buste di appoggio nei pubblici incanti da far aggiudicare ad altre imprese sulla base di un preventivo accordo spartitorio). L'esperienza giudiziaria insegna che la veste formale abitualmente assunta dall'impresa mafiosa è quella della società di capitali, in modo da apparire autonoma rispetto alle persone fisiche che la manovrano. Indici sintomatici di detta forma d’impresa sono stati individuati, tra l’altro: - nella creazione di società inattive in concreto e sprovviste di patrimonio, ovvero operanti e dotate di patrimonio consistente, benché composte da soci privi di mezzi economici adeguati; - nella deliberazione di aumenti di capitale a pagamento o nell'erogazione di finanziamenti non giustificati dall’andamento economico dell’'impresa o da iniziative imprenditoriali; - nelle continue variazioni della compagine sociale e degli organi sociali, in specie di quello amministrativo; - nella tenuta di bilanci d'esercizio redatti in violazione dei principi di chiarezza, verità e correttezza ed alla disciplina dettata dagli artt. 24232429 c.c.;
- nella commissione dei reati di bancarotta fallimentare; - nel prolungato mantenimento in vita di società già automaticamente scioltesi per la ricorrenza di una delle cause previste dall'art. 2448 c.c. ma non sottoposte all’obbligatoria procedura di liquidazione.