COLLEGIO DI NAPOLI
COLLEGIO DI NAPOLI
composto dai signori:
(NA) MARINARI Presidente
(NA) XXXXXXXX Membro designato dalla Banca d'Italia (NA) XXXXXXXXX DE XXXXXX Membro designato dalla Banca d'Italia
(NA) SICA Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari
(NA) CAMPOBASSO Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti
Relatore XXXXX XXXXXXXXXX
Nella seduta del 13/09/2016 dopo aver esaminato:
- il ricorso e la documentazione allegata
- le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
- la relazione della Segreteria tecnica
FATTO
Il ricorrente, titolare di un contratto di leasing di autovettura, afferma in ricorso che l’autovettura (una berlina) oggetto di leasing risulta tra quelle la cui centralina è stata manomessa dalla casa costruttrice, al fine di falsificare ed alterare la classe di inquinamento attribuita al veicolo, con conseguente obbligo del finanziatore di agire nei confronti del fornitore per la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo e con diritto dell’utilizzatore di sospendere il pagamento dei canoni (cfr. art. 12 della convenzione di Ottawa del 1988 ). Il contratto di locazione finanziaria oggetto di ricorso sarebbe affetto da “insanabile nullità” per mancata indicazione nel testo contrattuale del TEAG e dell’ISC, in violazione di quanto stabilito dall’art. 117 comma 8 del TUB applicabile ratione temporis.
L’istante chiede pertanto all’Arbitro:
- l’immediata sospensione del pagamento dei canoni di leasing, unitamente alla restituzione dei canoni versati dal dicembre 2015 in poi;
- di disporre che l’intermediario proceda in danno del fornitore per ottenere la
risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo, oltre al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 2043 c.c.;
- accertare l’inadempimento dell’intermediario per non aver tutelato il ricorrente utilizzatore nei confronti del produttore;
- di accertare la nullità, annullabilità ed inefficacia del contratto di finanziamento, attesa l’assenza di qualsiasi riferimento relativo agli indici ISC e TAEG e, per l’effetto, condannare l’intermediario alla restituzione delle quote degli interessi versate dall’inizio del rapporto.
L’intermediario ha presentato controdeduzioni nelle quali eccepisce in via preliminare l’incompetenza per materia dell’Arbitro Bancario Finanziario, in quanto la contestazione “verte principalmente su presunti vizi e difetti del veicolo oggetto di locazione finanziaria”. Nel merito, l’intermediario rileva che le condizioni generali di contratto non contemplano la responsabilità a carico della banca per l’eventuale presenza di vizi e/o difetti del bene o comunque di sua inidoneità all’utilizzo; in ogni caso, come confermato dalla casa costruttrice, tutti i veicoli interessati dalla vicenda segnalata dal ricorrente “sono tecnicamente sicuri e adatti alla circolazione su strada”; la campagna di richiamo è stata - infatti - intrapresa per eseguire l’intervento di manutenzione “per la correzione delle caratteristiche delle emissioni di ossidi di azoto” senza alcun costo a carico della clientela, per cui non si ravvisa a carico del fornitore alcun inadempimento di grave entità; la legge impone l’indicazione in contratto del TAEG solo per i contratti stipulati con consumatori, mentre nel caso di specie il ricorrente è titolare di una ditta individuale.
Pertanto l’intermediario chiede all’Arbitro di respingere il ricorso.
DIRITTO
La questione sottoposta all’Arbitro concerne un contratto di leasing di autoveicoli, in relazione al quale il ricorrente ritiene di poter eccepire nei confronti del concedente i vizi del bene fornito.
Per il corretto inquadramento della vicenda, occorre in primo luogo osservare che il ricorrente asserisce di aver sottoscritto il leasing in qualità di consumatore, tuttavia risulta che egli abbia sottoscritto il contratto con l’indicazione della propria partita IVA e pertanto deve ritenersi che abbia piuttosto agito in qualità di professionista.
Da ciò consegue l’inapplicabilità nel caso in esame della disciplina del credito al consumo contenuta nel Testo unico bancario, con le conseguenza che saranno di seguito puntualizzate.
Per comodità espositiva, conviene esaminare per prima la domanda relativa all’accertamento di un vizio genetico del contratto del leasing determinato dalla mancata indicazione del TAEG e dell’ISC.
La domanda non risulta fondata. Infatti, l’obbligo di indicare il TAEG è stabilito dall’art. 125- bis TUB e non applicabile nel caso di specie in quanto il ricorrente, come premesso, non può considerarsi un consumatore. E comunque la mancata indicazione non determinerebbe la nullità dell’intero contratto, bensì l’applicazione del TAEG contingentato a norma del 7° comma della medesima norma.
Ciò chiarito, le disposizioni di “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti” della Banca d’Italia del 29 luglio 2009, nella versione precedente le recenti modifiche del 15 luglio 2015, alla sez. II par. 8, stabiliscono: «Il foglio informativo e il documento di sintesi riportano un "Indicatore Sintetico di Costo" (ISC) quando riguardano le seguenti categorie di operazioni indicate nell'allegato alla delibera del CICR del 4 marzo 2003: 1) conti correnti destinati ai consumatori; 2) mutui; 3) anticipazioni bancarie; 4) altri finanziamenti; 5) aperture di credito in conto corrente offerte a clienti al dettaglio», aggiungendo che «Per i mutui, le
anticipazioni bancarie, i contratti riconducibili alla categoria “altri finanziamenti” e le aperture di credito in conto corrente offerte a clienti al dettaglio, l’ISC è denominato “Tasso Annuo Effettivo Globale” (TAEG) ed è calcolato come il TAEG previsto dalla disciplina in materia di credito per i consumatori (sezione VII, paragrafo 4.2.4), secondo quanto previsto dagli Allegati 5B (per le aperture di credito in conto corrente) e 5C (per i finanziamenti diversi dalle aperture di credito in conto corrente)».
In sostanza, tale disposizione chiarisce che il TAEG viene indicato anche in alcuni contratti conclusi con il “non consumatore”, sia pur diversamente denominato sotto l’acronimo ISC (Indicatore Sintetico di Costo): le norme di trasparenza estendono il metodo di calcolo del TAEG, previsto per i rapporti di credito consumeristico, anche a taluni rapporti di credito instaurati con soggetti non consumatori (Così Collegio di Milano, decisione n. 4974/2015). Alla luce di tale considerazione, al fine di valutare la fondatezza della pretesa del ricorrente, è necessario verificare se il leasing finanziario rientri nella definizione di “altri finanziamenti” per i quali l’intermediario è tenuto ad indicare l’ISC ai sensi del citato par. 8 nell’ambito del foglio informativo e del documento di sintesi.
Soccorre, al riguardo, il par. 1, sez. II, delle Disposizioni di Trasparenza che nel definire l’ambito applicativo della disciplina in materia di pubblicità e informazione precontrattuale stabilisce che esse trovano applicazione, tra gli altri servizi, ai finanziamenti (mutui; aperture di credito; anticipazioni bancarie; crediti di firma; sconti di portafoglio; leasing finanziario; factoring; altri finanziamenti) che non configurano operazioni di credito ai consumatori ai sensi della sezione VII.
Viene, quindi, terminologicamente distinto il leasing finanziario dagli altri finanziamenti, distinzione che non ne consente la confusione allorquando il predetto par. 8 indica gli “altri finanziamenti”, oltre al mutuo e all’anticipazione, tra le tipologie contrattuali che richiedono l’uso dell’ISC.
La considerazione che precede vale ad escludere che per il leasing finanziario sia necessaria l’indicazione dell’indicatore in questione nella documentazione consegnata al cliente. Peraltro, il par. 3, sez. II, precisa espressamente che i fogli informativi contengono l’ISC solo se richiesto, quale elemento informativo ulteriore da inserire per volontà del cliente (cfr. Collegio di Roma – decisione n. 1946/16).
Nella redazione del contratto di leasing finanziario sottoscritto dalla società ricorrente, pertanto, l’intermediario non ha violato la normativa in materia di trasparenza.
Passando alle domande che il ricorrente rivolge nei confronti dell’intermediario sulla base dei vizi del bene fornito (sospensione delle rate di canone, risoluzione o riduzione del prezzo di vendita, risarcimento del danno), diversamente da quanto sostiene l’intermediario resistente, il relativo esame non esula dalla giurisdizione dell’ABF per il solo fatto di vertere principalmente su presunti vizi e difetti del veicolo oggetto di leasing. Ed invero è orientamento consolidato dell’Arbitro che l’inadempimento del fornitore possa costituire oggetto di un accertamento incidentale rimesso alla competenza dell’ABF in sede di accertamento, in via principale, del diritto del ricorrente ad ottenere la risoluzione del connesso contratto di leasing o di finanziamento (fra molti Collegio di Napoli – decisione n. 2575/16; Collegio di Roma – decisione n. 468/16).
Ciò posto ed entrando nel merito, una volta esclusa la qualifica di consumatore del ricorrente non può trovare applicazione l’art. 125-quinquies, 3° comma, Tub a mente del quale: « in caso di locazione finanziaria (leasing) il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore dei beni o dei servizi, può chiedere al finanziatore di agire per la risoluzione del contratto. La richiesta al fornitore determina la sospensione del pagamento dei canoni».
Per contro, le condizioni generali del contratto di leasing, specificamente approvate dal ricorrente ai sensi dell’art. 1341 c.c., prevedevano all’art. 2: «l’Utilizzatore stesso manleva
il Concedente da ogni e qualsiasi responsabilità in ordine alla mancata o ritardata consegna, qualità, rendimento, funzionamento, idoneità, presenza di vizi del veicolo ed inadempimento del Fornitore […] L’Utilizzatore potrà peraltro esercitare nei confronti del Fornitore, a proprio rischio e spese, tutte le azioni spettanti al Concedente-acquirente, esclusa solo l’azione di risoluzione». Inoltre all’art. 3:«Il pagamento dei canoni … non potrà essere sospeso o ritardato per ragione alcuna; ogni eventuale diritto o pretesa dell’Utilizzatore dovrà essere fatto valere in separata sede ».
Siffatte clausole di inversione del rischio di fornitura, tipiche del contratto di leasing, non sono in contrasto con la convenzione di Ottawa (art. 5) e sono in linea di principio reputate lecite dalla giurisprudenza. In particolare, in una recente pronuncia (Cass., Sez. Unite , 5- 10-2015, n. 19785), le Sezioni Unite della Cassazione hanno da un lato escluso che al leasing finanziario stipulato da un utilizzatore-professionista possa applicarsi analogicamente l’art. 125-quinquies, 3° comma, Tub, in quanto disciplina speciale consumeristica; dall’altro lato, la richiamata pronuncia ha però offerto un ampio ed organico quadro dei rimedi a tutela dell’utilizzatore nel caso di vizi del bene fornito.
In questa prospettiva, la Cassazione ha constatato come il problema trovi spesso soluzione nelle clausole contrattuali che autorizzano l’utilizzatore ad agire direttamente verso il fornitore del bene viziato, manlevando il concedente: «E' proprio la presenza di siffatte clausole normalmente in uso nei moduli contrattuali che consente di configurare il contratto di fornitura alla stregua di un contratto produttivo di alcuni effetti obbligatori a favore del terzo utilizzatore, senza necessità di ipotizzare la presenza di un mandato implicito al contratto di leasing volto ad assicurare all'utilizzatore i diritti di azione riconosciuti dalla legge al mandante nel mandato senza rappresentanza (art. 1705 c.c., comma 2). In questo senso, la pratica commerciale ha elaborato soluzioni idonee a conciliare le istanze di separazione funzionale e dei rischi, così da consentire la realizzazione dell'operazione economica attraverso il coordinamento che l'unitarietà di tale operazione e l'interdipendenza tra le prestazioni naturalmente generano».
Nel contempo però la Cassazione ha anche preso in considerazione lo scenario in cui
xxxxxxxx xxxxxxxx contrattuali volte a trasferire all’utilizzatore i diritti spettanti al concedente verso il fornitore. In questo caso, osserva la Corte, vi sono alcune azioni che l’utilizzatore può comunque esercitare direttamente nei confronti del fornitore in forza del collegamento negoziale esistente fra contratto di leasing e contratto di fornitura, ed altri rimedi che invece gli risultano preclusi. In particolare, l'utilizzatore è sempre legittimato a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto. L’utilizzatore non può invece esercitare l'azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo) del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente (cui esso è estraneo), in mancanza di una specifica clausola contrattuale con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria posizione sostanziale. Tuttavia, prosegue la Cassazione, là dove all’utilizzatore sia preclusa l’azione diretta nei confronti del fornitore, il concedente ha il dovere in forza del principio di buona fede di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, di agire verso quest'ultimo per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo.
Riportando i principi di diritto delineati dalla Cassazione al caso di specie, è agevole
rilevare come le istanze del ricorrente nei confronti dell’intermediario (sospensione del pagamento dei canoni di leasing, disporre che l’intermediario proceda in danno del fornitore) potrebbero tutt’al più essere fondate in presenza dei presupposti della risoluzione del contratto, poiché la risoluzione del contratto è l’unico rimedio che, in base al citato art. 2 delle condizioni generali di leasing, l’utilizzatore non può esercitare direttamente nei confronti del fornitore. Per quanto riguarda gli altri rimedi contrattuali richiesti (risarcimento del danno, riduzione del prezzo) il ricorrente può e deve rivolgere le
proprie azioni direttamente nei confronti del fornitore, essendosi impegnato a manlevare il concedente per i vizi della cosa senza sospendere le rate di canone.
Il Collegio ritiene tuttavia che, sul piano probatorio, il ricorrente non abbia assolto l’onere di dimostrare che i vizi del veicolo lo rendano inidoneo all’uso cui è destinato e di gravità tale da giustificare la risoluzione del contratto. Ed invero, nel ricorso egli si limita ad denunciare il vizio relativo alla centralina dell’autovettura ed afferma in modo apodittico di essersi rivolto all’intermediario «ricorrendo i presupposti di risoluzione del contratto». Tuttavia, anche a fronte delle contestazioni del resistente, non allega che le denunciate irregolarità abbiano impedito, limitato o reso meno sicura la circolazione del veicolo, né rappresenta i motivi per cui intende rifiutare l’intervento gratuito offerto dal produttore per la correzione del difetto. In sintesi, pur essendo incontestato che il vizio esiste, il ricorrente non ha provato la sussistenza dei presupposti della risoluzione per inadempimento, unica circostanza che nel caso di specie imporrebbe al concedente, in forza del principio di buona fede, di agire contro il fornitore in vece dell’utilizzatore.
P.Q.M.
Il Collegio non accoglie il ricorso.
IL PRESIDENTE
firma 1