DARIO VINCI
XXXXX XXXXX
MANUALE AMMINISTRAZIONE DEL PERSONALE
PAGHE E CONTRIBUTI 2016
Dal corretto inquadramento dei lavoratori subordinati, fino al costo del lavoro dipendente
Il rapporto di lavoro subordinato | pag 3 |
Il Lavoro Parasubordinato | pag 6 |
Il contratto di lavoro | pag 10 |
Esempio contratto di Lavoro | pag 13 |
Varie contrattuali | pag 16 |
Il Payroll o Il Cedolino Paga | pag 22 |
Il LUL | pag 25 |
Le Sezioni della sola Busta Paga | pag 28 |
La retribuzione | pag 32 |
Gli elementi della retribuzione | pag 34 |
Il calcolo della retribuzione lorda e gli eventi mensili | pag 38 |
Le Maggiorazioni Retributive | pag 41 |
I riposi e le sospensioni dell’attività lavorativa | pag 43 |
Le ferie e i permessi | pag 47 |
Gli assegni familiari | pag 53 |
Xx xxxxxxxx | xxx 00 |
XXXXX | xxx 87 |
Infortunio | pag 90 |
La maternità | pag 102 |
La paternità | pag 114 |
Il Congedo Parentale ad Ore | pag 117 |
La contribuzione previdenziale | pag 121 |
Le imposte sul reddito | pag 126 |
Le Detrazioni | pag 129 |
BONUS articolo 1 del D.L. N. 66/2014 | pag 151 |
Le addizionali Regionali e Comunali | pag 156 |
Il Conguaglio Fiscale | pag 159 |
Le mensilità aggiuntive | pag 163 |
Il Trattamento di Fine Rapporto | pag 167 |
Vademecum Schema Lettura Prospetto Paghe | pag 187 |
Il Costo del Lavoro dipendente | pag 188 |
Scheda sintetica CCNL Commercio | pag 192 |
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Il rapporto di lavoro subordinato
Premessa 2
Ai sensi dell'articolo 2094 del codice civile, “E' prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore“.
Gli elementi distintivi del rapporto di lavoro subordinato
Gli elementi che caratterizzano il lavoro subordinato e che lo contraddistinguono da quello autonomo, sono, dunque, rappresentati dalla c.d. “eterodirezione” e dalla “dipendenza” del prestatore dal datore di lavoro.
E' opportuno precisare che secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione e delle Corti di merito, qualsiasi attività lavorativa può essere svolta sia in regime di subordinazione che di autonomia.
In sostanza, l'attività concretamente richiesta al lavoratore (manuale ovvero intellettuale; semplice o complessa) non consente di definire a priori come autonomo ovvero subordinato il rapporto.
Per qualificare la natura del rapporto di lavoro, si rende, dunque, indispensabile chiarire il significato e la portata dei termini eterodirezione e dipendenza, che costituiscono gli elementi distintivi tra le due tipologie di lavoro (subordinato o autonomo, appunto).
Infatti, gli altri elementi declinati nella definizione di lavoratore subordinato, contenuta nel codice civile (ovverosia la retribuzione e la collaborazione), non risultano funzionali a questo fine, risultando comuni anche all'attività di lavoro autonomo.
L’eterodirezione
Secondo la definizione elaborata dalla Cassazione “ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, assume rilievo prioritario e decisivo l'indagine sulla sussistenza del requisito della subordinazione, inteso come vincolo di carattere personale che assoggetta il prestatore d'opera al potere direttivo del datore di lavoro” (Xxxx. S.U., 30 giugno 1999, n. 379).
Proprio in questo vincolo di assoggettamento si sintetizza l'elemento della eterodirezione, che va quindi inteso come sottoposizione del prestatore alle direttive del datore nell'esecuzione della prestazione concordata nel contratto di lavoro.
La facoltà del datore di lavoro del potere di impartire ordini ed istruzioni al lavoratore rappresenta, quindi, il tratto caratteristico della subordinazione.
E' opportuno precisare che le modalità con le quali si manifesta l'eterodirezione si presentano particolarmente elastiche in relazione alla concreta attività richiesta al lavoratore.
Accade così che con riferimento a particolari figure di lavoratori, la stessa si presenti più sfumata rispetto a quanto avviene normalmente.
E' il caso, ad esempio delle figure professionali apicali (coloro che rivestono incarichi dirigenziali) ovvero delle tipologie di lavoro meno qualificate, in cui il contenuto della prestazione lavorativa si presenta poco complesso (è il caso delle attività di pulizia) e non richiede, dunque, l'elaborazione di direttive stringenti da parte del datore di lavoro.
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Proprio la mutevole consistenza dell'eterodirezione nell'ambito delle diverse prestazioni lavorative, ha indotto una parte della giurisprudenza e della dottrina ad elaborare la nozione della c.d. “subordinazione attenuata”.
La dipendenza
L'elemento della dipendenza viene frequentemente considerato in giurisprudenza con minore attenzione rispetto all'eterodirezione, assumendo quasi la consistenza o di un sinonimo della stessa ovvero di un termine funzionale a rafforzarne la consistenza.
Al contrario, secondo una parte della dottrina, la quale a tal fine si riallaccia ad una pronuncia della Corte Costituzionale (5 febbraio 1996, n. 30), la dipendenza rappresenterebbe un elemento determinante nella qualificazione del rapporto di lavoro, traducendosi in una condizione di “doppia alienità” (sul punto ROCCELLA M., Manuale di diritto del lavoro, Torino, 2004, 39) del lavoratore che si sostanzia nello svolgimento della prestazione lavorativa in un contesto organizzativo/produttivo altrui (quello del datore di lavoro) ed “in vista di un risultato di cui il titolare dell'organizzazione (e dei mezzi di produzione) è immediatamente legittimato ad appropriarsi” (ROCCELLA M., cit.).
Gli indici
La difficoltà di individuare in concreto la natura subordinata del rapporto avvalendosi degli elementi definitori dell'articolo 2094 c.c., ha reso necessario elaborare degli indici pratici che agevolano l'operazione di qualificazione del rapporto.
E' bene precisare che questi indici costituiscono una serie di “indizi” che rendono più facile l'opera di qualificazione, ma che nessuno degli stessi può pretendere di avere una forza esaustiva nell'inquadramento della fattispecie concreta.
Gli indici più utilizzati sono:
la sottoposizione del lavoratore ai poteri direttivo (lo svolgimento della prestazione sulla base di istruzioni), di controllo (la verifica sull'attività lavorativa svolta e che deve essere svolta) e disciplinare (l'applicazione di sanzioni disciplinari in caso di inadempimento della prestazione lavorativa) esercitati dal datore di lavoro;
l'inserimento del dipendente nella organizzazione produttiva aziendale;
lo svolgimento della prestazione attraverso l'utilizzo di strumenti professionali messi a disposizione del datore di lavoro;
l'insussistenza di un rischio di impresa in capo al dipendente (in pratica, il diritto del dipendente ad essere retribuito a prescindere dal risultato economico ottenuto dal datore di lavoro in forza della sua prestazione);
la retribuzione periodica;
l'obbligo di comunicazione delle proprie presenze ed assenze dal posto di lavoro;
l'osservanza di un orario di lavoro;
la necessità di concordare con il datore di lavoro i periodi per il godimento delle ferie.
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E' opportuno precisare, inoltre, che tali indicatori non sono tassativi e non assumono una valenza esaustiva.
Ne consegue che, in relazione alla specifica attività svolta, è possibile e frequentemente avviene, che la giurisprudenza si avvalga di indicatori alternativi e differenti, idonei a rivelare la sussistenza degli elementi della eterodirezione e della dipendenza.
Peraltro, alcuni degli indici di subordinazione individuati dalla giurisprudenza sono stati di recente considerati e tipizzati dalla riforma del lavoro.
La legge 92/2012, infatti, ha introdotto una nuova norma (art. 69 bis D.Lgs. 276/2003) finalizzata a contrastare l’abuso della collaborazione prestata dai liberi professionisti titolari di partiva IVA da parte dei datori di lavoro, che spesso la utilizzano per evitare l’applicazione della disciplina relativa al lavoro subordinato o quella del contratto del progetto.
Il legislatore della Riforma 2012 prevede, pertanto, che le prestazioni fornite da persona titolare di partita IVA sono considerate rapporti di collaborazione coordinata e continuativa quando ricorrano almeno due dei seguenti presupposti:
1. che la collaborazione abbia durata complessivamente superiore ad otto mesi nell’arco dell’anno solare;
2. che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro di imputazione di interessi, costituisca più dell’80 per cento dei corrispettivi complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco dello stesso anno solare;
3. che il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.
In altri termini, è stata introdotta una presunzione a favore del titolare di partita IVA, che, al
ricorrere di almeno due delle condizioni elencate, può chiedere l’applicazione della normativa relativa alla collaborazione a progetto e, ove il contratto stipulato non corrisponda ai parametri richiesti da tale normativa, potrà chiedere l’accertamento in via presuntiva della natura subordinata del rapporto di lavoro.
La legge aggiunge, tuttavia, che la presunzione ora descritta non operi, quando:
la prestazione di lavoro sia connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi ovvero capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività;
la prestazione sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali di cui all’articolo1 comma 3, l. 233/1990. Per il 2012 il limite che si ricava dalla norma ammonta ad € 18.663 (cioè 14.930 x 1,25) ;
la prestazione sia svolta nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine professionale o appositi registri, albi, ruoli o elenchi.
La prevalenza rispetto la forma
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Il tema della prevalenza della consistenza sostanziale delle modalità con cui si svolge il rapporto di lavoro rispetto alla qualificazione formale data dalle parti (nella norma, dal datore di lavoro) al momento della stipulazione del contratto, non costituisce un elemento peculiare dei contratti di lavoro.
Vale, infatti, come principio generale nell'ambito della disciplina dei contratti, quello per cui a prescindere dalla denominazione (il c.d. nomen juris) adottata dalle parti al momento della stipulazione (contratto di locazione, di appalto, di comodato, di vendita, etc.), è il concreto atteggiarsi della relazione giuridiche tra le stesse che determina la qualificazione del rapporto.
In sostanza, così come se due individui concludono un accordo per lo scambio di un bene (es. un motociclo) a fronte del trasferimento di un diverso bene (es. un orologio), il rapporto giuridico andrà qualificato e “trattato” giuridicamente come permuta anche se per avventura le parti lo avessero definito come compravendita (richiedendo quest'ultimo contratto lo scambio di un bene a fronte del pagamento di un prezzo), nello stesso modo, nell'ambito delle relazioni di lavoro, è il concreto atteggiarsi della prestazione lavorativa che determina se si tratti di lavoro subordinato ovvero autonomo, a prescindere dalla qualificazione nominale riportata nel contratto.
Ne consegue che in tutti i casi in cui nello svolgimento della prestazione lavorativa fossero individuabili gli elementi della eterodirezione e della dipendenza (anche attraverso il filtro degli indici della subordinazione), il contratto andrà considerato come lavoro subordinato anche se nella redazione dello stesso fosse stata utilizzata la diversa formula di lavoro autonomo.
Il lavoratore avrà, quindi, la possibilità nel corso del rapporto ovvero (osservati i termini prescrizionali) successivamente alla cessazione del medesimo di agire in giudizio per fare accertare la natura subordinata del rapporto, con tutte le conseguenze in termini di tutele, retribuzione e posizione previdenziale che ne conseguono
Il Lavoro Parasubordinato
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Il lavoro "parasubordinato", che intercorre tra due soggetti, il "collaboratore" (ossia chi presta l'attività lavorativa) e il "committente" (ossia chi beneficia dell'opera lavorativa), si definisce come tale perché presenta caratteristiche proprie, in parte, del lavoro autonomo e, in parte, del lavoro subordinato. Il collaboratore, infatti, analogamente ad un lavoratore autonomo, si impegna a compiere un'opera o un servizio a favore del committente, senza alcun vincolo di subordinazione ma, a differenza dei lavoratori autonomi, gli vengono estese delle prestazioni e delle tutele tipiche dei lavoratori subordinati (quali, ad esempio, gli assegni per il nucleo familiare, l'indennità di malattia, l'indennità di maternità, la tutela in caso di infortunio).
Gli elementi che contraddistinguono tale tipologia di rapporto sono:
la collaborazione (svolgimento di ogni attività finalizzata al raggiungimento di scopi determinati da altri. Il collaboratore è autonomo nella scelta delle modalità di adempimento della prestazione, ma deve svolgere la stessa in funzione delle finalità e delle necessità organizzative del committente);
il coordinamento (il committente ha la possibilità di fornire direttive al collaboratore nei limiti dell'autonomia professionale di quest'ultimo);
la continuità (si tratta di una prestazione che non è occasionale ma perdura nel tempo);
la natura prevalentemente personale della prestazione (vi è una prevalenza del carattere personale dell'apporto lavorativo del collaboratore rispetto all'impiego di mezzi e/o altri soggetti).
Nella prestazione d'opera occasionale il rapporto di lavoro termina con il raggiungimento del risultato concordato nel contratto e l'avvenuto pagamento, mentre nella collaborazione coordinata continuativa (Xx.Xx.Xx.), che la riforma del mercato del lavoro del 2003 ha modificato, introducendo il cosiddetto "lavoro a progetto", il rapporto con il committente viene svolto in modo continuativo e coordinato con le esigenze organizzative e produttive del committente; di solito quindi, ha una maggiore durata nel tempo.
La legge di riforma del mercato del lavoro del 2003 ha previsto che i rapporti di Xx.xx.xx., prevalentemente personali e senza vincolo di subordinazione, dovessero essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con
l'organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione dell'attività lavorativa.
Il motivo di questo intervento del legislatore risiede nel fatto che nel passato, in molti casi, i contratti di collaborazione coordinata e continuativa stabilivano un rapporto di lavoro autonomo solo in "apparenza", poiché di fatto l'attività lavorativa veniva prestata presso lo stabilimento o gli uffici del datore di lavoro e/o utilizzando i mezzi e gli strumenti dello stesso; inoltre il lavoratore percepiva una retribuzione fissa (mensilmente), osservava un orario di lavoro rigido e predeterminato, subiva provvedimenti disciplinari o richiami o rimproveri, riceveva sul lavoro ordini da eseguire. Pertanto, più che di lavoro autonomo si doveva parlare di rapporto di lavoro dipendente "mascherato" da contratto di lavoro autonomo.
In questa stessa direzione va la Legge n. 92/2012 (cosiddetta Riforma Fornero), che è intervenuta con specifiche disposizioni normative per scongiurare un utilizzo improprio del contratto a progetto, largamente utilizzato in sostituzione del contratto subordinato. Tenuto conto delle novità introdotte dalla recente riforma, attualmente i requisiti che caratterizzano una collaborazione a progetto sono:
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l'esistenza di un progetto specifico: a differenza di quanto accedeva in precedenza, il rapporto di collaborazione non deve più essere "riconducibile a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso", ma solo ad un progetto ben definito, la cui individuazione spetta al committente. Il progetto non può consistere in una mera riproposizione dell'oggetto sociale del committente e non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
l'indicazione del risultato finale che si intende conseguire mediante la realizzazione del progetto;
l'autonomia del collaboratore nella gestione del progetto (la definizione dei tempi di lavoro e le relative modalità sono rimesse al collaboratore);
l'attività del collaboratore, che non deve essere resa con modalità analoghe a quelle svolte dai dipendenti del committente;
la durata: determinata o determinabile, in funzione della durata e delle caratteristiche del progetto;
la necessità di coordinamento con il committente;
l'irrilevanza del tempo impiegato per l'esecuzione dell'attività lavorativa.
Il contratto di collaborazione a progetto, che deve essere stipulato in forma scritta, deve contenere, ai fini della prova, i seguenti elementi:
durata determinata (termine e "quando" sono certi) o determinabile (termine certo, ma non il "quando") della prestazione di lavoro;
descrizione del progetto, con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire;
corrispettivo e criteri per la sua determinazione, nonché tempi e modalità di pagamento e disciplina rimborsi spese;
forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l'autonomia nella esecuzione dell'obbligazione lavorativa;
eventuali misure di tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto.
Analogo progetto può essere oggetto di successivi contratti di lavoro con lo stesso collaboratore. Il collaboratore può essere impiegato successivamente anche per diversi progetti aventi contenuti del tutto diversi.
Recentemente, il D.L. n. 76/2013, convertito in Legge n. 99/2013, ha apportato alcune novità all'istituto:
il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti che siano meramente esecutivi e ripetitivi (queste due condizioni devono coesistere, a differenza di prima, quando potevano essere alternative tra loro);
nei casi in cui il contratto ha per oggetto un'attività di ricerca scientifica e questa viene ampliata per temi connessi o prorogata nel tempo, il progetto prosegue automaticamente;
è ammesso il ricorso al lavoro a progetto nei call center outbound, sia per la vendita diretta di beni, sia per le attività di servizi, a patto che siano rispettati i minimi retributivi e la forma scritta del contratto;
importanza della forma scritta, non solo ai fini della prova (in altre parole la forma scritta diventa elemento che determina la legittimità del contratto stesso).
Il corrispettivo deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito e non può essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria ovvero, su loro delega, ai livelli decentrati.
In assenza di contrattazione collettiva specifica, il compenso non può essere inferiore, a parità di 8 estensione temporale dell'attività oggetto della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati nel settore di riferimento alle figure professionali
il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto.
Xxxxx prova contraria a carico del committente, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, sono considerati rapporti di lavoro subordinato sin dalla data di costituzione del rapporto, nel caso in cui l'attività del collaboratore sia svolta con modalità analoghe a quella svolta dai lavoratori dipendenti dell'impresa committente.
A partire dal 1° gennaio 1998 le tutele assistenziali dei lavoratori parasubordinati sono state sempre più implementate, per cui, oltre alla tutela per l'infortunio e le malattie professionali, possono beneficiare, a determinate condizioni, di un'indennità giornaliera di malattia, un'indennità di malattia per periodi di degenza ospedaliera, un'indennità di maternità, il trattamento economico per congedo parentale, l'assegno per il nucleo familiare. Relativamente a gravidanza, malattie e infortunio, si precisa che questi non comportano l'estinzione del rapporto contrattuale, che resta sospeso, senza erogazione del corrispettivo.
In particolare, nel caso di malattia e infortunio, la sospensione del rapporto non comporta la proroga della durata del termine del contratto, che si estingue alla scadenza (previsione derogabile dalle parti, ad esempio stabilendo che il contratto venga prorogato per una durata pari alla sospensione dovuta alla malattia o all'infortunio); il committente può recedere (ci vuole un atto di recesso del committente, non è automatico) dal contratto se la sospensione si protrae per un periodo superiore a 1/6 della durata stabilita nel contratto, quando sia determinata (es. collaborazione fissata in 180 gg., il committente può recedere dopo un'assenza per malattia/infortunio di durata pari a 31 giorni) ovvero superiore a 30 gg. per i contratti di durata determinabile.
In caso di gravidanza, la durata del rapporto è prorogata per un periodo di 180 giorni, salvo disposizioni più favorevoli del contratto individuale.
Per i lavoratori parasubordinati è prevista una forma di previdenza obbligatoria (L. 335/95), poiché sono tenuti ad iscriversi alla Gestione Separata Inps, con un contributo in parte a carico dell'azienda (2/3), in parte a carico del lavoratore (1/3).
La legge 342 del 2000 ha assimilato, ai fini fiscali, il lavoro parasubordinato al lavoro dipendente.
Il X.Xxx. n. 81/2008 (T.U. della sicurezza sul lavoro) ha esteso l'applicazione della normativa in materia di prevenzione e protezione anche ai collaboratori coordinati e continuativi.
Infine, con il D.L. n. 185/2008 (cosiddetto decreto anticrisi), convertito in Legge n. 2/2009, è stata fornita al lavoratore a progetto, il cui contratto soddisfi una serie di condizioni, una forma di sostegno al reddito in caso di fine lavoro. Tale misura è stata messa a regime dall'art. 2, comma 51 della L. 92 del 2012.
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Il contratto di lavoro
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Il contratto individuale di lavoro è il contratto mediante il quale il lavoratore si obbliga a prestare la propria attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione e la vigilanza del _datore di lavoro, in cambio di una controprestazione ossia la retribuzione (art. 2099 cod.civ.).
La prestazione dell’opera del lavoratore può essere sia di carattere manuale, sia di carattere intellettuale.
Ai fini della validità del contratto è necessario che vi sia la compresenza dei seguenti elementi essenziali:
il consenso delle parti
la causa
l’oggetto
la forma.
Il contratto di lavoro deve contenere nell’oggetto l’attività della prestazione lavorativa che il lavoratore deve effettuare, purché ovviamente sia lecita, possibile e determinata ovvero determinabile, attraverso il riferimento alla categoria contrattuale di appartenenza.
La durata del contratto può essere a tempo indeterminato oppure a tempo determinato: in quest’ultimo caso, la durata dell’intero rapporto lavorativo non può essere superiore a tre anni dalla stipulazione del primo contratto di lavoro.
Il lavoratore, nello svolgimento del rapporto lavorativo è tenuto ad usare la diligenza richiesta dalla prestazione dovuta, osservare le disposizioni per l’esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dal datore di lavoro; è altresì tenuto all’obbligo di fedeltà, ossia non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi che siano in concorrenza con il datore di lavoro, ovvero divulgare notizie attinenti l’organizzazione dell’azienda al fine di recare ad essa pregiudizio. (artt. 2104 e 2105 c.c.).
Le modifiche contrattuali possono essere stabilite solo dalla legge, dai contratti collettivi o dalla volontà di entrambe le Parti.
L’ accordo tra le parti
Il contratto di lavoro si costituisce attraverso il consenso delle parti: è pertanto essenziale che entrambi i contraenti abbiano la capacità di concludere un contratto di lavoro.
Con la modifica introdotta dalla Legge 27 dicembre 2006 n. 296 la capacità di stipulare validamente un contratto di lavoro da parte del lavoratore si acquista al raggiungimento al compimento del 16° anno di età.
Affinché l’accordo sia valido si richiede espressamente che la volontà di concludere il contratto sia espressa, e non viziata da errore (ossia una falsa rappresentazione della realtà), da violenza (ossia minaccia di un male futuro) e da dolo (raggiri in assenza dei quali il prestatore non avrebbe concluso il contratto).
Le condizioni contrattuali non possono altresì essere inferiori o peggiorative per il lavoratore, rispetto a quanto previsto dai contratti collettivi nazionali.
In genere il datore di lavoro, prima di stipulare il contratto, sottoscrive una c.d. “lettera di impegno” che consegna al lavoratore, mediante la quale lo stesso si impegna ad assumere quest’ultimo. Nel caso in cui tale impegno non venisse rispettato, il lavoratore può ricorrere in giudizio, al fine di ottenere una sentenza che produca tutti gli effetti di un contratto, oltre che il risarcimento del danno.
All’atto di assunzione, il datore di lavoro deve, a pena di sanzione amministrativa, consegnare al lavoratore la c.d. “Lettera di assunzione” contenente:
la dichiarazione sottoscritta dell’avvenuta registrazione nel libro matricola 11
documento contenente le informazioni delle condizioni applicabili al rapporto di lavoro,
quali:
o la data di inizio del rapporto
o l’orario di lavoro
o l’inquadramento contrattuale
o la durata del periodo di prova ove previsto
o i termini di preavviso in caso di recesso
o l’importo della retribuzione base
o il luogo di lavoro
o la identità delle parti.
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Il periodo di Prova
Con la stipulazione del contratto di lavoro, le parti possono pattuire un periodo di prova: tale periodo deve risultare da atto scritto, con il quale si stabilisce la durata di tale prova.
La forma scritta ( e la relativa approvazione sottoscritta ) di tale patto di prova, ancorché contenuta contestualmente nel contratto di lavoro, è richiesta a pena di nullità: pertanto, è illegittimo il licenziamento effettuato dal datore di lavoro per mancato superamento del periodo di prova nel caso in cui tale clausola non risulti da atto scritto.
Altresì a pena di nullità, il patto di prova deve contenere specificamente l’indicazione delle mansioni alle quali il lavoratore è adibito: a tal fine, è ben possibile che il contratto contenga anche un rinvio alla normativa contrattuale collettiva.
Il termine massimo di durata del periodo di prova previsto dalla legge è di 3 mesi ( per gli impiegati che non svolgono funzioni direttive ) e di 6 mesi per tutti gli altri lavoratori, salva diversa disposizione prevista nei contratti collettivi di categoria.
Durante tale periodo, le parti possono recedere liberamente dal contratto di lavoro, oralmente, senza necessità alcuna di fornire preavviso, né motivazione: tuttavia, il licenziamento è illegittimo allorquando la prova sia stata superata dal lavoratore ed abbia quindi avuto esito positivo, ovvero qualora al lavoratore non sia stato consentito concretamente di effettuare tale prova.
Causa del Contratto
La causa del contratto, altro elemento essenziale di questo, deve essere lecita ossia conforme alla legge, all’ordine pubblico ed al buon costume.
Solitamente, si è in presenza di una causa illecita allorquando il rapporto lavorativo risulti essere irregolare (c.d. “lavoro nero”): in tali casi infatti, si violano norme inderogabili previste dall’ordinamento a tutela del lavoratore.
Gli orientamenti dottrinali più diffusi sono soliti far ricollegare alla causa del contratto anche la obbligazione contrattuale gravante sul datore di lavoro, a fornire un ambiente di lavoro salubre e sicuro (art. 2087 c.c.)
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Oggetto del contratto
Il contratto di lavoro deve contenere specificamente l’attività che il prestatore di lavoro è tenuto ad effettuare, e dev’essere:
lecita e conforme alla Legge;
possibile: ossia tale da poter essere effettivamente svolta dal lavoratore (si pensi al caso in cui per l’esercizio di un’attività si richiedano specifici requisiti o idoneità psico – fisiche);
determinata o determinabile: specifiche o comunque identificabili attraverso il richiamo della normativa contrattuale collettiva.
Forma del contratto
Per la stipulazione del contratto di lavoro non è prevista una specifica forma, potendo dunque lo stesso essere anche concluso oralmente, purché sussistano gli specifici requisiti sovra elencati.
Vi sono tuttavia, casi per i quali è espressamente prevista la forma scritta, a pena di nullità:
contratto di lavoro sportivo
contratto di lavoro a tempo determinato (l’assenza del termine apposto in forma scritta, determina nullità dello stesso, e conseguente trasformazione del rapporto lavorativo a tempo indeterminato)
arruolamento personale marittimo
contratti che contengono patto di prova o di non concorrenza
Esempio contratto di Lavoro
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Varie contrattuali
Certificazione del contratto
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La certificazione è una procedura volontaria mediante la quale le parti possono chiedere e ottenere
da determinati soggetti, denominati Commissioni di certificazione, un accertamento sulla qualificazione del contratto, volto a dare alle parti una maggiore certezza sulla natura e sulle caratteristiche del modello contrattuale da loro adottato.
Gli organi abilitati alla certificazione sono gli Enti Bilaterali, le DPL e le province, nonché, in casi particolari, il Ministero del Lavoro, le Università iscritte in un apposito Albo e i Consigli Provinciali dei consulenti del lavoro.
Il provvedimento di certificazione, che ha natura di atto amministrativo, può essere impugnato sia avanti il Giudice del Lavoro, in caso di erronea qualificazione del contratto o di difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione, sia avanti il TAR, in caso di violazione della procedura o eccesso di potere.
Patto di stabilità
Nel caso di contratto stipulato a tempo indeterminato, le parti possono inserire la clausola c.d. “di stabilità” con la quale si impegnano, per un termine minimo stabilito, a non recedere dal contratto. Tale clausola, sia ai fini della validità, sia ai fini della prova, non richiede necessariamente la forma scritta.
Nel caso in cui le parti contravvenendo alla clausola stipulata, recedano ingiustificatamente prima della scadenza del termine convenuto si determina:
risarcimento del danno in favore del datore di lavoro qualora il recesso sia stato effettuato dal lavoratore: importo in genere già quantificato in apposita clausola penale contenuta nel patto;
risarcimento del danno in favore del lavoratore, qualora il recesso sia stato effettuato dal datore di lavoro, che si commisura con la corresponsione delle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito qualora il recesso non fosse avvenuto.
Vi sono tuttavia due casi nei quali è prevista la possibilità di recedere legittimamente prima della scadenza del termine pattuito:
per giusta causa (licenziamento o dimissioni): ossia, una causa che non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto lavorativo
impossibilità sopravvenuta della prestazione, anche parziale.
Patto di non concorrenza
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Il patto di non concorrenza risulta essere disciplinato dall’art. 2125 del codice civile. Tale norma prevede la possibilità per il lavoratore ed il datore di lavoro di concordare che, una volta intervenuta la cessazione del rapporto di lavoro, il lavoratore sia obbligato a non svolgere attività in concorrenza sia in proprio, sia per conto di terzi, con l’attività svolta dal datore di lavoro.
Coma già sovra precisato, tale patto è nullo se non approvato specificatamente per iscritto: inoltre, ai fini della validità di tale accordo si richiede che lo stesso preveda anche una retribuzione per il lavoratore, corrispettivo che deve essere in ogni caso proporzionato all’obbligo imposto al lavoratore.
La legge prevede espressamente che la durata del vincolo non possa essere superiore a 5 anni nel caso in cui si tratti di dirigenti, ovvero di tre anni in tutti gli altri casi.
Ad ogni buon conto, tale patto, essendo a tutti gli effetti un contratto, può essere sciolto con il consenso di entrambe le parti, salva diversa pattuizione, e la relativa violazione comporta la legittimazione a richiedere risarcimento del danno.
I contratti collettivi
Il diritto italiano individua nel Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) la fonte normativa attraverso cui Organizzazioni sindacali dei lavoratori e le Associazioni dei datori di lavoro definiscono concordemente le regole che disciplinano il rapporto di lavoro.
Normalmente i CCNL regolano sia gli aspetti normativi del rapporto, sia quelli di carattere economico. E’ inoltre quasi sempre prevista una parte destinata a normare alcuni aspetti del rapporto sindacale esistente tra Organizzazioni firmatarie e Associazioni datoriali, nonché di quelli aziendali tra datore di lavoro e Rappresentanze sindacali aziendali.
Le finalità essenziali del contratto collettivo sono:
determinare il contenuto che regola i rapporti di lavoro nel settore di appartenenza (ad es. trasporti, pubblico impiego, metalmeccanico, commercio, chimico, etc.)
disciplinare le relazioni tra i soggetti firmatari dell’accordo stesso
La contrattazione collettiva si può svolgere a diversi livelli:
interconfederale, il cui compito è la definizione di regole generali che interessano l’insieme dei lavoratori indipendentemente dal settore produttivo di appartenenza
nazionale di categoria (il già richiamato XXXX)
x xxxxxxxxxxxx xxxxxxxxxxxxxxxx x xx xxxxxxxxx
x aziendale di categoria
I livelli “gerarchicamente superiori” definiscono spesso le forme ed i limiti entro cui si svolge la contrattazione di livello “inferiore”.
In Italia, fatta eccezione che per il settore pubblico, non esiste una norma avente forza di legge sulla base della quale sia possibile definire il livello di rappresentanza e rappresentatività delle Organizzazioni firmatarie dei Contratti.
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Né esiste, se non per scelta delle Organizzazioni sindacali, un meccanismo di validazione del contratto da parte dei lavoratori, cioè di coloro sui quali si producono gli effetti del contratto (ad esempio il referendum).
Come detto, esiste tuttavia un’ apprezzabile eccezione a questo quadro non adeguatamente regolato, rappresentato dal settore del pubblico impiego.
Oltre ad un Accordo Quadro tra le Parti che regola le modalità di elezione e funzionamento delle Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU), il D.Lgs. 165/2001 definisce con forza di legge sia le questioni legate alla modalità di svolgimento della contrattazione collettiva, sia gli aspetti legati ai temi della rappresentatività delle Organizzazioni firmatarie e alla conseguente validità dei contratti sottoscritti.
Per ciò che riguarda il settore dell’impiego privato, va peraltro segnalato che, perdurando il silenzio del legislatore in materia, il 28 giugno 2011 Confindustria e le confederazioni sindacali CGIL, CISL e UIL hanno siglato un Accordo Interconfederale che, in linea con quanto avviene nel settore dell’impiego pubblico, fissa criteri oggettivi per la misurazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali, utile al fine di individuare le organizzazioni legittimate a negoziare e stipulare contratti collettivi nazionali di categoria.
In particolare, l’Accordo del 2011 prevede che siano ammesse ai tavoli negoziali le sole organizzazioni sindacali che rappresentino almeno il 5% del totale dei lavoratori della categoria cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro (punto 1 dell’Accordo).
Al fine di stabilire la “quota” di rappresentatività espressa dalla singola organizzazione, utile per l’ammissione alla contrattazione collettiva nazionale (allorché sia superata, o quanto meno raggiunta, la suddetta soglia del 5%), occorrerà determinare la media semplice fra la percentuale
degli iscritti (sulla totalità degli iscritti) e la percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle RSU (sul totale dei votanti) – punto 5 del Protocollo d’Intesa in tema di misurazione della rappresentatività.
L’inquadramento professionale
L'inquadramento attiene direttamente a quella che è la prestazione di lavoro, quindi l'oggetto della principale obbligazione del lavoratore nell'ambito del contratto di lavoro ex art. 2094 c.c.
La prestazione di lavoro è dedotta nel contratto facendo riferimento a dei nomina, che, come detto, si richiamano a principi di tipicità sociale più che giuridica. Trovano cioè direttamente nella società e, più specificatamente nel mercato del lavoro, il loro significato e la loro derivazione.
In estrema sintesi, i compiti concreti del lavoratore, fissati in termini di mansioni regolate legislativamente dall'art. 2103 c.c., vengono di solito riportati ad espressioni riassuntive, rappresentate dalle qualifiche (ad es. operaio specializzato, elettricista, capo contabile, etc.), dopo di che si procede alla vera e propria operazione di inquadramento, che si sviluppa su due livelli: legge e contratto collettivo.
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Le categorie costituiscono, invece, l'apice dell'inquadramento, quindi il criterio più ampio di classificazione, tale da inglobare al proprio interno i due “sotto-insiemi” delle mansioni e delle qualifiche.
La necessità di effettuare dette distinzioni e dette classificazioni tra il personale dipendente presente all'interno dell'organizzazione d'impresa, deriva fondamentalmente dalla necessità di commisurare il trattamento spettante a ciascun lavoratore all'apporto del medesimo in termini qualitativi, secondo le linee segnate dal principio di corrispettività di cui all'art. 36 Costituzione. In sostanza, dunque, l'inquadramento esprime il diverso “valore” di ciascuna prestazione di lavoro.
Inquadramento legale
Il primo livello di inquadramento è dunque quello di tipo legale, effettuato cioè direttamente dalla legge.
La disposizione in questione è rappresentata dall'art. 2095 c.c., il quale si occupa direttamente di categorie, individuandone quattro:
dirigenti,
quadri,
impiegati,
operai.
L'art. 2095 c.c. non definisce però tali categorie, rinviando direttamente ad una legge speciale e ai contratti collettivi il compito di determinare i requisiti di esse, in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura dell'impresa.
E' dunque in leggi speciali e nella contrattazione collettiva che bisogna trovare il significato delle espressioni: dirigenti, quadri, impiegati, operai.
In realtà tali distinzioni si stanno con il tempo sempre più assottigliando nel mercato del lavoro, soprattutto per ciò che concerne la distinzione operai/impiegati.
Il dirigente è definito dalla contrattazione collettiva, è quindi necessario andare a vedere ciascun contratto collettivo cosa dice a riguardo.
In estrema sintesi, possiamo dire che esso si caratterizzi per essere investito di competenze e responsabilità decisionali nei confronti dell'azienda o di un ramo autonomo di essa. Proprio in ragione di tale particolare posizione nell'organizzazione d'impresa, che lo porta a godere di una certa autonomia, pur rimanendo un dipendente, esso è soggetto a particolari trattamenti normativi ed economici, ampiamente derogatori rispetto a quelli che valgono per le altre categorie di lavoratori dipendenti.
Il quadro è, invece, una categoria che riceve una disciplina direttamente dalla legge, in particolare, dalla L. n. 190/1985, la quale ha modificato l'art. 2095 c.c., aggiungendo tale categoria. L'art. 2, comma 1, definisce poi tale categoria come “i prestatori di lavoro subordinato che, pur non essendo dirigenti, svolgono funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell'attuazione degli obbiettivi dell'impresa”.
Si evince da tale definizione come il quadro in sostanza si ponga a metà strada tra il dirigente e la categoria immediatamente inferiore nell'organizzazione d'impresa, che è l'impiegato.
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Anche questa disposizione, peraltro, come già l'art. 2095 c.c., 2° comma, rinvia alla contrattazione collettiva l'individuazione dei requisiti per poter esser considerati quadri, “in relazione a ciascun ramo di produzione e alla particolare struttura organizzativa dell'impresa”.
Mentre nel settore privato la figura del quadro è dunque presente, nel Pubblico Impiego essa è invece assente.
Per far fonte a tale carenza e per rispondere comunque all'esigenza di creare all'interno dell'organico della Pubblica Amministrazione figure inferiori a quelle della dirigenza (soprattutto per arginare tentazioni di massicci passaggi a posizioni dirigenziali), ma con incarichi a termine e specificamente retribuiti, per lo svolgimento di posizioni di particolare valore e contenuto gerarchico, professionale, di staff, è stata data l'opportunità a tutti i CCNL di Comparto di individuare la cosiddetta Posizione Organizzativa (PO).
L'impiegato rappresenta la categoria più antica, fra quelle riconosciute dalla legge. E' dunque, come il quadro, definito in parte dalla legge.
In particolare, il R.D.L. n. 1825/1924 definisce il contratto di impiego privato come il contratto “per il quale una società o un privato, gestori di un'azienda, assumono al servizio dell'azienda stessa, normalmente a tempo indeterminato, l'attività professionale dell'altro contraente, con funzioni di collaborazione tanto di concetto che di ordine, eccettuata pertanto, ogni prestazione che sia semplicemente di mano d'opera”.
Emerge da tale definizione come le tre caratteristiche principali dell'impiegato siano la collaborazione, la professionalità e, soprattutto, la non manualità.
Ai fini della sua vera identificazione e differenziazione, soprattutto rispetto all'operaio, il vero requisito dell'impiegato è comunque la “non manualità”, visto che la “collaborazione” è tipica di tutti i lavoratori subordinati e la “professionalità” un attributo estendibile oggi anche agli operai.
L'operaio è, come il dirigente e diversamente dal quadro e dall'impiegato, completamente definito dai contratti collettivi.
Il principale requisito dell'operaio rimane la “manualità”, essa è infatti rinvenibile solo in tale categoria.
Inquadramento contrattuale
Il contratto collettivo assolve la funzione di classificazione del personale attraverso un sistema di inquadramento finalizzato a classificare i lavoratori, a seconda dei ruoli professionali, in sette o otto livelli.
Gli unici contratti che prevedono meno livelli sono il CCNL per il settore bancario o il CCNL dei comparti pubblici, in tre o quattro aree professionali.
Di ciascun livello viene offerta una declaratoria generale, nel cui ambito si colloca, in primo luogo, l'indicazione esemplificativa di qualifiche professionali, che costituiscono un'espressione sintetica dell'insieme di mansioni riconducibili ad un ruolo (ad es. elettricista).; in secondo luogo, l'elencazione in dettaglio delle attività lavorative riconducibili a quella qualifica e, a monte, a quella declaratoria.
Attraverso questo sistema si è in grado di attribuire al lavoratore un certo livello di inquadramento e 21
quindi un corrispondente trattamento retributivo.
La giurisprudenza, a proposito dell'inquadramento contrattuale, ha affermato un principio oramai unanime (Cass. n. 12632/2003) in base al quale il criterio di individuazione delle qualifiche e di collegamento ad esse dei compiti espletati dai lavoratori è “insindacabile” da parte del giudice, il quale, dunque, non potrà mai valutare l'opportunità e l'adeguatezza di una certa declaratoria. Il giudice deve prendere come opportuna e adeguata tale declaratoria e utilizzare essa solo come un parametro oggettivo per valutare se vi è stata una violazione dell'art. 2103 c.c. .
La giurisprudenza ha poi affermato che il procedimento di valutazione delle mansioni ai fini del corretto inquadramento del lavoratore è di carattere “sussuntivo”.
Tale procedimento ha ad oggetto la ricognizione delle mansioni effettivamente svolte, dovendosi escludere che possa rilevare, ai fini dell'acquisizione della qualifica superiore, la circostanza che ad altri lavoratori, nelle medesime condizioni sia riconosciuto l'inquadramento superiore (Cass. 8064/2004).
Xxx può il datore di lavoro riconoscere a un certo dipendente un inquadramento superiore rispetto alla mansioni svolte, a titolo “convenzionale”, al solo scopo di assicurargli un trattamento economico-normativo più favorevole.
Il Payroll o Il Cedolino Paga
La busta paga (chiamata anche prospetto paga o cedolino paga o "statino") è un documento che il datore di lavoro fornisce al lavoratore, relativo all'importo della retribuzione da questi percepita, per un determinato periodo di lavoro.
La busta paga solitamente contiene, oltre all'ammontare della retribuzione: 22
Dati anagrafici del datore di lavoro;
Dati identificativi del dipendente (nome, cognome, qualifica);
Periodo di riferimento;
Elementi fissi della retribuzione;
La parte variabile;
Trattenute fiscali;
Trattenute previdenziali.
La retribuzione è indicata sia al lordo (includente la somma numerica corrisposta senza le trattenute) che al netto (cioè la somma percepita scremata delle eventuali trattenute). Può essere inoltre diretta (riferita alla prestazione fornita), indiretta (se si riferisce ad elementi contrattuali come le ferie o a mensilità aggiuntive), differita (somma accantonata e poi restituita durante o al termine del rapporto contrattuale, si pensi al trattamento di fine rapporto che può essere in parte anche anticipato).
Il nome preciso del cedolino paga, previsto dalla legge del 1953, è "prospetto paga", sebbene la legislazione recente lo identifichi indirettamente poiché si riferisce genericamente agli "estratti" del libro unico del lavoro[2] (vedi sotto).
Il datore di lavoro deve obbligatoriamente fornirla al lavoratore, l'imposizione è sancita dalla legge 5 gennaio 1953, n. 4:[3]
« È fatto obbligo ai datori di lavoro di consegnare, all'atto della corresponsione della retribuzione, ai lavoratori dipendenti, con esclusione dei dirigenti, un prospetto di paga in cui devono essere indicati il nome, cognome e qualifica professionale del lavoratore, il periodo cui la retribuzione si riferisce,