Contratto bancario valido se siglato dal funzionario di banca
Contratto bancario valido se siglato dal funzionario di banca
Tribunale, Reggio Xxxxxx, sez. II civile, sentenza 28/04/2015 di Xxxx Xxxxxxxx
Pubblicato il 13/08/2015
Dall’entrata in vigore dell’art. 3 della L. 17.2.1992 n. 154 - poi recepito nell’art. 117 del T.U. D.lgs. 1.9.1993 n. 385 - un’ipotesi di contenzioso bancario divenuta frequente è quella del cliente che contesta la validità del contratto bancario sottoscritto, eccependo il difetto di forma scritta.
In base all’art. 117, infatti, tutti i contratti bancari devono essere necessariamente stipulati per iscritto a pena di nullità e tale requisito non potrebbe ritenersi rispettato nel caso di sottoscrizione della scheda negoziale unicamente dal cliente, da cui il proliferare di contenziosi, finalizzati alla declaratoria di nullità del contratto.
L'art. 127 c. 2 t.u.b., peraltro, qualifica la nullità per carenza di forma scritta come relativa, potendo essere fatta valere solo dal cliente relativa, in quanto la sanzione di nullità è prevista a protezione del correntista e non anche della banca.
L'introduzione di tali stringenti requisiti formali discende dell'esigenza di protezione del contraente debole nei confronti della Banca, ratio peraltro analoga a quella che, ad esempio, ha portato la giurisprudenza a sanzionare con la previsione di nullità quelle clausole standard, dal contenuto scarsamente determinato o determinabile, come le clausole di rinvio agli usi bancari.
Successivamente all'introduzione di tali vincoli, in dottrina e giurisprudenza era stata sostenuta la tesi secondo cui un contratto bancario, predisposto unilateralmente dalla banca, sottoscritto dal cliente, ma meramente siglato in calce dal funzionario di banca con la dicitura "dichiara valide e raccolte a cura di questa dipendenza le firme apposte", non potesse essere considerato valido, in quanto, in tale ipotesi, la sottoscrizione del funzionario avrebbe dovuto solamente essere considerata come autentica della firma del correntista e non come manifestazione di volontà dell'istituto bancario. Per il Tribunale di Siena (sentenza n. 261/12, depositata il 19 luglio) ad esempio, il visto apposto dal funzionario della Banca sul contratto di intermediazione finanziaria (c.d. “contratto quadro”) non poteva essere interpretato come manifestazione di volontà contrattuale riferibile all’istituto bancario e dava luogo a nullità relativa del contratto per mancanza della forma scritta.
Sulla scia di un simile orientamento, negli ultimi anni i correntisti hanno dunque spesso sostenuto che, qualora i contratti bancari sottoscritti presentino soltanto la loro firma e non anche quella dell’istituto di credito, i medesimi sarebbero nulli per mancata accettazione scritta da parte della banca.
La sentenza in oggetto affronta, ancora una volta, tale questione, ed in particolare la validità del contratto di conto corrente bancario meramente siglato in calce dal funzionario della banca e comunque eseguito dalle parti.
La vicenda
Con la presente controversia, gli opponenti, in qualità di debitore principale e fidejussori, proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ottenuto dalla Banca nei loro confronti per il pagamento di uno scoperto di conto corrente.
Gli opponenti deducevano, in particolare, la nullità del contratto stipulato con la banca dieci anni prima (e dunque delle fidejussioni ad esso accessorie) per supposta assenza del requisito della forma scritta ad substantiam; il contratto in questione, infatti, unilateralmente predisposto dalla banca e firmato dal correntista, era stato siglato in calce da un funzionario, sotto la dicitura “per autentica”. Per tale ragione, parte attrice argomentava che la firma del funzionario non fosse idonea ad integrare la richiesta forma scritta ad substantiam per la stipula contrattuale, atteso che essa avrebbe dovuto intendersi, sulla base del suo significato letterale, come mera autentica della firma del correntista e non come manifestazione di volontà dell’Istituto, ciò che avrebbe reso il contratto nullo.
In ragione di tale dedotta nullità formale, chiedeva dunque che fosse dichiarata la non debenza di tutte le somme versate alla banca per pagamenti contrattualmente dovuti, sulla base del contratto ritenuto nullo, con conseguente revoca del decreto opposto e la condanna di controparte ex art. 96 c.p.c.
Il Giudice, xxxx. Xxxxxxxxx Xxxxxxx, non ha, tuttavia, ritenuto di accogliere la prospettazione attorea.
Il significato della siglatura del funzionario di banca
In primo luogo, a parere del giudice, la firma del funzionario di banca non può in alcun modo avere potere certificativo della firma del cliente e deve invece essere intesa come “inequivoca esternazione della volontà negoziale del funzionario, in nome e per conto dell’istituto, ex art. 2210 c.c.”.
Nessuna norma, infatti, conferisce al funzionario di banca un potere certificativo dell'autenticità della sottoscrizione, pertanto l'unico significato che la sua sottoscrizione, in calce alla scheda contrattuale, può assumere è quello di estrinsecare la volontà negoziale dell'Ente che in quel momento rappresenta, ex art. 2210 c.c. (a norma del quale “I commessi dell'imprenditore, salve le limitazioni contenute nell'atto di conferimento della rappresentanza, possono compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie delle operazioni di cui sono incaricati”).
L'applicabilità al funzionario di Banca di tale disposizione è stata, peraltro, confermato da Cass. civ., sez. I, 28-05-2003, n. 8553, che ha precisato che “(…)quando l'imprenditore si avvale per la propria attività di un apparato organizzato di mezzi e di personale, anche gli ausiliari subordinati (commessi),
cui sono affidate mansioni esecutive che li pongono a contatto con i terzi, hanno un (limitato) potere di rappresentanza, pure in mancanza di specifico atto di conferimento e possono compiere, ai sensi dell'art. 2210, 1º comma, c.c., gli atti che ordinariamente comporta la specie delle operazioni di cui sono incaricati, salve le limitazioni contenute nell'atto di conferimento della rappresentanza.”.
Ancora, la Suprema Corte (Cass. civ. Sez. lavoro, 08-11-2003, n. 16804) ha riconosciuto che la figura del funzionario di banca è caratterizzata proprio dal conferimento, da parte dell'istituto di credito, della facoltà di firma sociale, consistente in un potere di rappresentanza da esercitarsi in via generale e continuativa nel nome e per conto della banca in relazione a mansioni che comportino il compimento di atti di contenuto gestionale, a rilevanza esterna, pertinenti all'esercizio dell'impresa.
Neppure, a parere del giudice, avrebbe potuto ritenersi che il funzionario bancario potesse avere agito quale falsus procurator, atteso che, in ogni caso, si sarebbe trattato di inefficacia relativa non rilevabile d’ufficio, ma solo su eccezione della parte (pseudo) rappresentata, vale a dire la banca (ex
multis, secondo Cass. n. 24643/2014 “Il contratto concluso dal "falsus procurator" non é nullo ma solo inefficace, la cui rilevazione è consentita solo su eccezione della parte falsamente rappresentata senza necessità di ricorrere a particolari formule ed anche in via implicita, essendo sufficiente, a tal fine, che la parte deduca la propria estraneità al rapporto dedotto in giudizio”).
La ratio dell’art 117 T.U.B.
Inoltre, secondo il giudice, sarebbe prospettabile anche un differente ragionamento, condotto sulla base di una diversa prospettiva, ma che conduce, in ogni caso, al non accoglimento della prospettazione attorea.
Tale seconda angolazione muove proprio dalla ratio dell’art. 117 T.u.b. che, come si è accennato supra, è quella di garantire il contraente debole.
Se, dunque, il fine della norma in oggetto è la protezione del correntista contraente debole e la valorizzazione di esigenze di chiarezza e trasparenza informativa, qualora risulti la predisposizione del contratto da parte della banca stessa, la firma del correntista e la consegna del contratto al cliente, allora la sottoscrizione della Banca non sarebbe nemmeno necessaria (principio per la prima volta enunciato dalla pronuncia di App. Torino n. 595/2012).
A parere del giudice, sulla scorta della più recente giurisprudenza, l’approvazione scritta da parte della banca rende infatti non necessaria l’ulteriore approvazione del proponente, “dal momento che la volontà negoziale è già espressa nel documento da lui predisposto” e che “la mera carenza formale di firma non potrebbe in ogni caso legittimare la banca né ad impugnare il contratto” “né a sottrarsi “alle regole in esso sancite” (espressamente, Trib. Milano sent. 14268/2013): in altri termini, la forma scritta può essere integrata dalla semplice sottoscrizione di un contraente per accettazione delle dichiarazioni provenienti dall’altro; in ogni caso, la dichiarazione di volontà di avvalersi della scrittura privata da parte del contraente che non l’abbia sottoscritta realizza un equivalente della sottoscrizione.
Questo principio, peraltro, era già stato enunciato anche dalla Cassazione; secondo Xxxx. 23966/2004, infatti “(…)Per la sussistenza di una scrittura privata contrattuale è necessario che dal documento emerga il reciproco consenso delle parti per costituire, regolare od estinguere tra loro un rapporto
giuridico patrimoniale, ma non che si adottino particolari formule per esprimere tale consenso, che può essere manifestato da uno dei contraenti con la semplice sottoscrizione "per accettazione" delle dichiarazioni fatte in prima persona dall'altro; nè occorre che l'incontro delle volontà sia contestuale, potendo esso risultare da documenti diversi, anche cronologicamente distinti, ed essendo al pari possibile che uno stesso documento, originariamente sottoscritto da una sola parte, venga sottoscritto in un secondo tempo dall'altra, oppure che questa, senza sottoscriverlo, lo produca in giudizio con il dichiarato intento di avvalersi del contenuto negoziale di esso nei confronti del suo autore.”.
Ancora, secondo Xxxx. 22223/06, è principio consolidato “che il contraente la cui sottoscrizione non figura nel documento rappresentativo di un contratto per il quale sia richiesta dalla legge, a pena di nullità, la forma scritta, può validamente perfezionarlo con la sua produzione in giudizio, al fine di farne valere gli effetti contro l'altro contraente sottoscrittore, o manifestando a questo con un proprio atto scritto la volontà di avvalersi del contratto; (…) in tal caso la domanda giudiziale o il successivo scritto assumono valore equipollente della firma mancante, semprechè, medio tempore, l'altra parte non abbia
revocato il proprio assenso o non sia decaduta, con la conseguente impossibilità della formazione del consenso nella forma richiesta dalla legge nei confronti dei suoi eredi”.
Nel caso di specie, dunque, anche a volere ritenere non ritualmente firmato il contratto da parte della banca, l’intento di quest’ultima di avvalersi del contratto stesso (così realizzando un equivalente della
sottoscrizione), sarebbe pacificamente integrato dalla incontroversa esecuzione del rapporto e dalla comunicazione degli estratti conto per molti anni.
Di conseguenza, secondo il giudice, anche se si volesse ritenere non ritualmente firmato il contratto da parte della banca, deve comunque ritenersi integrato il requisito della forma scritta; diversamente opinando, peraltro, si offrirebbe tutela al contraente che, maliziosamente abusando di una posizione di vantaggio conferita dalla legge e della buona fede contrattuale, censura come nullo un contratto bancario eseguito per anni senza contestazioni da entrambe le parti.
Tale interpretazione, peraltro, è stata anche recentemente accolta dalla Cassazione (Cass., sez. I, 22- 03-2012, n. 4564), per cui “premesso che, nei contratti per cui è richiesta la forma scritta "ad substantiam" non è necessaria la simultaneità delle sottoscrizioni dei contraenti (…) sia la produzione in
giudizio della scrittura da parte di chi non l'ha sottoscritta, sia qualsiasi manifestazione di volontà del contraente che non abbia firmato, risultante da uno scritto diretto alla controparte e dalla quale emerga l'intento di avvalersi del contratto, realizzano un valido equivalente della sottoscrizione mancante, purché la parte che ha sottoscritto non abbia in precedenza revocato il proprio consenso ovvero non sia deceduta (cfr., tra le tante, Cass. 16.10.1969 n. 3338; Cass. 22.5.1979 n. 2952; Cass.
18.1.983 n. 469; Cass. 5868/94; Cass. 2826/00; Cass. 9543/02; Cass. 22223/06).”, ribadendo dunque il
principio per cui nei contratti per cui è richiesta la forma scritta ad substantiam non è necessaria la simultaneità delle sottoscrizioni dei contraenti in quanto, anche nel caso in cui non si ritenesse esistente una copia firmata del contratto da parte della banca, l'intento di questa di avvalersene risulterebbe comunque dalle manifestazioni di volontà da questa esternate ai ricorrenti nel corso del rapporto di conto corrente, da cui appunto si evidenziava la volontà di avvalersi del contratto (bastano a tal fine le comunicazioni degli estratti conto) con conseguenze perfezionamento dello stesso.
In conclusione, non appare accettabile (in quanto, tra l'altro, non conforme al principio della buona fede contrattuale nell'esecuzione del contratto) il comportamento del contraente (banca o cliente che sia) che approfitta, abusandone, di una posizione contrattuale di vantaggio conferita dalla legge, e invoca la nullità di un contratto che per anni ha avuto regolare esecuzione.
Il giudice, così argomentando, ha dunque rigettato l’eccezione di nullità del contratto, così travolgendo l’intera domanda attorea, e ha già dichiarato esecutivo
nei confronti dell’attore il decreto ingiuntivo della Banca. (Altalex, 21 luglio 2015. Nota di Xxxx Xxxxxxxx)
Tribunale di Reggio Xxxxxx Sezione II Civile
Sentenza 28 aprile 2015
TRIBUNALE ORDINARIO di REGGIO XXXXXX SEZIONE SECONDA CIVILE
N. R.G. 2674/2014
Il Tribunale, nella persona del Giudice xxxx. Xxxxxxxxx Xxxxxxx ha pronunciato ex art. 190 c.p.c. la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 2674/2014 promossa da:
OMISSIS
ATTORE
contro
UNICREDIT SPA (C.F. 00348170101), con il patrocinio dell’avv. XXXXXXX XXXXXXX, elettivamente domiciliato in XXX XXXXXXX, 00 00000 XXXXXX XXXXXX presso il difensore avv. XXXXXXX XXXXXXX
CONVENUTO
CONCLUSIONI
L’attore precisa le conclusioni come da memoria ex art. 183 comma 6 n. 1 c.p.c., il convenuto come da comparsa di risposta.
FATTO
Con la presente controversia, gli opponenti propongono opposizione avverso il decreto ingiuntivo meglio indicato in dispositivo, ottenuto in forma provvisoriamente esecutiva da Unicredit nei loro confronti, quali debitore principale e fidejussori, per il pagamento di uno scoperto di conto corrente.
In particolare, gli opponenti deducono la nullità del contratto di conto corrente stipulato con la banca dieci anni prima, e conseguentemente delle fidejussioni ad esso accessorie, per supposta assenza del requisito della forma scritta ad substantiam previsto dall’art. 117 TUB.
Pertanto, in ragione di tale dedotta nullità formale, chiedono dichiararsi la non debenza di tutte le somme versate alla banca per pagamenti contrattualmente dovuti, sulla base del contratto ritenuto nullo, con conseguente revoca del decreto opposto e condanna di controparte ex art. 96 c.p.c.
Resiste Unicredit.
Sospesa la provvisoria esecuzione nei confronti di X.xxx XXXXXXX (non anche di OMISSIS), la controversia è trattenuta in decisione previa concessione dei termini di legge ex art. 190 c.p.c., senza svolgere istruttoria, stante la natura eminentemente documentale della causa.
DIRITTO
Risulta per tabulas che il contratto per cui è processo è stato unilateralmente predisposto dalla banca, firmato dal correntista, siglato in calce da un funzionario sotto la dicitura ‘per autentica’.
Ciò detto, parte attrice argomenta che la firma del funzionario non è idonea ad integrare la richiesta forma scritta ad substantiam per la stipula contrattuale, atteso che essa deve intendersi, sulla base del suo significato letterale, come mera autentica della firma del correntista e non già come
manifestazione di volontà dell’Istituto, ciò che rende il contratto nullo con le conseguenze restitutorie sopra indicate.
Tanto premesso, ritiene questo Giudice che la prospettazione attorea non possa essere accolta.
Infatti, non si ignora che parte della giurisprudenza di merito ha convalidato la - indubbiamente lucida e lineare - tesi propugnata dalla difesa attorea, e che a tali conclusioni sono giunte anche alcune pronunce di questo Tribunale.
Tuttavia, ad avviso di questo Giudice è preferibile un’altra ricostruzione, peraltro già proposta da altra giurisprudenza di merito, di questo e di molti altri Tribunali, nell’ambito del vivace dibattito che ha negli ultimi tempi caratterizzato la trattazione della materia qui oggetto di decisione.
In particolare, due sono le argomentazioni che portano, ciascuna autonomamente, a ritenere valido il contratto per cuoi è causa.
Da una prima angolazione, infatti, si osserva che la firma del funzionario di banca, non potendo in alcun modo avere potere certificativo della firma del cliente, per l’assorbente rilievo che detto potere non spetta a tale funzionario, deve invece più ragionevolmente essere intesa come inequivoca esternazione della volontà negoziale del funzionario, in nome e per conto dell’istituto, ex art. 2210 c.c., tanto più che il regolamento contrattuale era già stato predisposto dalla banca stessa; che nel corpo del testo si fa ripetutamente riferimento al ‘contratto’ così stipulato; che l’efficacia di tale contratto non risulta subordinata all’approvazione di altro organo della banca; e che il contratto è poi stato effettivamente eseguito da tutte le parti (così, tra le tante, cfr. App. Brescia sent. n. 600/2012 est. Orlandini, Trib.
Mantova sent. n. 1089/2011 est. Xxxxxxxx, Trib. Mantova sent. n. 626/2011 est. Xx Xxxxxx, Trib. Mantova sent. n. 553/2011 est. Aliprandi).
Né può opinarsi che il funzionario bancario possa avere agito quale falsus procurator, atteso che, pur se così fosse, si tratterebbe di inefficacia relativa non rilevabile d’ufficio, ma solo su eccezione della parte pseudorappresentata, id est la banca (per la pacifica giurisprudenza, cfr. ex pluribus Cass. n.
24643/2014, Cass. n. 14618/2010, Cass. n. 2860/2008, Cass. n. 3872/2004).
Da una seconda angolazione ed in modo ancora più radicale, altra parte della più recente giurisprudenza, muovendo dalla ratio della norma evidentemente finalizzata alla protezione del correntista contraente debole ed alla valorizzazione di esigenze di chiarezza e trasparenza informativa, non ritiene nemmeno necessaria la firma della banca, laddove, come nel caso che qui occupa, risulti la predisposizione del contratto da parte della banca stessa, la firma del correntista e la consegna del contratto al cliente (principio per la prima volta enunciato dalla nota pronuncia di App. Torino n. 595/2012 est. Xxxxx; conformi, ex aliis, le successive Trib. Novara n. 569/2012 pres. Quatraro est. Tosi, Trib. Milano 21/2/2012 est. Guidi, Trib. Monza 13/5/2012 est. Giani, Trib. Milano n. 14268/2013 est. Cosentini, Trib. Mantova 16/2/2015 est. Xxxxxxxx).
L’approvazione scritta da parte della banca, infatti, rende non necessaria l’ulteriore approvazione del proponente, “dal momento che la volontà negoziale è già espressa nel documento da lui predisposto” e che “la mera carenza formale di firma non potrebbe in ogni caso legittimare la banca né ad impugnare il contratto” né a sottrarsi “alle regole in esso sancite” (espressamente Trib. Milano sent. 14268/2013): infatti, la forma scritta può essere integrata dalla semplice sottoscrizione di un contraente per accettazioni delle dichiarazioni provenienti dall’altro (Cass. n. 23966/2004), e comunque la
dichiarazione di volontà di avvalersi della scrittura privata da parte del contraente che non l’abbia sottoscritta, realizza un equivalente della sottoscrizione anche quando non avvenga in sede giudiziale (Cass. n. 22223/2006, Cass. n. 23966/2004 e Cass. n. 8983/2003).
Ciò è quanto accaduto nel caso che qui occupa, poiché, anche a volere in ipotesi ritenere non ritualmente firmato il contratto da parte della banca, l’intento di quest’ultima di avvalersi del contratto stesso, così realizzando un equivalente della sottoscrizione, è pacificamente integrato dalla incontroversa esecuzione del rapporto e dalla comunicazione degli estratti conto per sei anni.
Discende, in conclusione, che anche a volere ritenere non ritualmente firmato il contratto da parte della banca, deve comunque ritenersi integrato il requisito della forma scritta, ciò che consente di ritenere assorbita l’ulteriore argomentazione difensiva della convenuta in ordine al fatto che, diversamente opinando, si offrirebbe tutela al contraente che, maliziosamente abusando di una posizione di vantaggio conferita dalla legge e della buona fede contrattuale, censura come nullo un contratto bancario eseguito per anni senza contestazioni da entrambe le parti (sul punto, cfr. Trib. Torino sent. n. 2150672011 est. Zappasodi).
Le conclusioni di cui sopra in ordine alla validità del contratto stipulato tra banca e correntista, già raggiunte da una cospicua parte della più recente giurisprudenza di merito solo in parte sopra citata, sono ora convalidate anche da una pronuncia della Suprema Corte.
In un caso esattamente speculare a quello per cui è processo, la Cassazione ha infatti spiegato che “anche quindi a voler ritenere che non risulti una copia firmata del contratto da parte della banca, l’intento di questa di avvalersi del contratto risulterebbe comunque, oltre che dal deposito del documento in giudizio, dalle manifestazioni di volontà da questa esternate ai ricorrenti nel corso del rapporto di conto corrente da cui si evidenziava la volontà di avvalersi del contratto (bastano a tal fine le comunicazioni degli estratti conto) con conseguenze perfezionamento dello stesso” (Xxxx. Sez. I n.
4564/2012).
A tali conclusioni, in ragione della loro ragionevole persuasività e dell’autorevole avallo della sopra citata giurisprudenza di legittimità, questo Giudice intende conformarsi, dando continuità a quanto già sostenuto con la precedente sentenza di Xxxx. Reggio Xxxxxx n. 841/2013.
Pertanto, rigettata l’eccezione di nullità del contratto, viene travolta l’intera domanda attorea, che trae linfa da tale dedotta nullità per ritenere non dovuti i pagamenti effettuati sulla base delle prescrizioni contrattuali ed infondata la domanda di pagamento azionata in sede monitoria.
Inammissibili in quanto del tutto tardive poiché sollevate ben oltre lo spirare delle preclusioni assertive, sono infatti le ulteriori doglianze di merito proposte per la prima volta in sede di comparsa conclusionale e di replica, relative alla pretesa usurarietà dei tassi applicati, all’anatocismo ed alla illegittimità di specifici addebiti.
L’oggettivo contrasto tra il principio di diritto qui enunciato ed alcune pregresse pronunce dell’intestato Tribunale, integrano i motivi che, ex art. 92 comma 2 c.p.c. ratione temporis vigente, giustificano l’integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
il Tribunale di Reggio Xxxxxx in composizione monocratica
definitivamente pronunciando, nel contraddittorio tra le parti, ogni diversa istanza disattesa
- rigetta l’opposizione, e per l’effetto conferma il decreto ingiuntivo n. 764/2014 emesso dal Tribunale di Reggio Xxxxxx il 11/3/2014, già dichiarato esecutivo nei confronti di XXXXXXX, e qui dichiarato esecutivo anche nei confronti dei rimanenti ingiunti X.xxx XXXXXXX;
- compensa integralmente tra le parti le spese di lite.
Reggio Xxxxxx, 28/4/2015
Il Giudice xxxx. Xxxxxxxxx XXXXXXX