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IL TRASPORTO DI MERCI SU STRADA PER CONTO TERZI E LA CERTIFICAZIONE DEI CONTRATTI: LE ESIGENZE DI UN SETTORE SEMPRE PIÙ ALLA RICERCA DI SPAZI DI CONCORRENZA LEALE
Il settore del trasporto di merci su strada è certamente una importante risorsa per il Paese. Eppure le imprese che lo compongono sembrano essere ormai da molti anni in una situazione di crisi nella gestione delle risorse umane e nel mantenimento dei livelli di occupazione la cui problematicità non è spiegabile soltanto facendo riferimento alla crisi economica in atto.
Da molti anni ormai il mondo dei trasporti è infatti un esempio tipico del fenomeno tutto italiano della frammentazione delle imprese e del ricorso degli operatori del mercato a strategie di outsourcing per l’esecuzione dei servizi di trasporto. Da molto tempo le imprese più strutturate stanno ricorrendo a strategie più o meno corrette di delocalizzazione e di riduzione occupazionale. Tradotto sul piano giuridico-contrattuale, il mercato del trasporto su strada si caratterizza per un deciso e generalizzato ricorso alla subcontrattazione, e per sempre più spinte politiche di abbattimento del costo del lavoro attraverso l’utilizzo di manodopera straniera a basso costo. Sempre più, proprio con riferimento al settore dei trasporti, si vede il ricorso a agenzie di somministrazione di lavoro stabilite fuori dai confini nazionali, in Paesi membri dell’Unione Europea caratterizzati da basso costo del lavoro.
Insomma, quello dei trasporti, che pure è uno tra i settori produttivi tra i più regolati a livello Europeo, sta oggi subendo un generale abbassamento delle tutele, spesso attraverso il ricorso a strategie d’impresa scorrette che minano la concorrenza, con presenza sul mercato di un numero sempre maggiore di soggetti dal lato dell’offerta che fanno largo uso di lavoro irregolare, realizzano fenomeni di subcontrattazione a basso costo del lavoro senza rispettare le regole nazionali ed europee in materia salariale e realizzano strategie di dumping sociale che negli ultimi anni hanno visto mettere in pericolo l’occupazione proprio nelle imprese più virtuose e rispettose delle regole.
Due fenomeni, tra quelli richiamati, sono particolarmente interessanti da trattare rispetto al tema che si è scelto, vale a dire con riferimento alla possibilità che le imprese del settore del trasporto su strada che intendono comunque operare correttamente sul mercato, pur dovendo fare ricorso alla subcontrattazione, abbiano un concreto interesse alla certificazione dei contratti ai sensi degli artt. 75 e ss. D.Lgs. 276/2003. In primo luogo, occorre fare cenno al problema della corretta qualificazione dei contratti ai fini della operatività del regime di responsabilità solidale ai sensi dell’art. 29, comma 2, D.Lgs. 276/2003, ed in secondo luogo al fenomeno della subcontrattazione attraverso il ricorso a contratti transnazionali di trasporto.
Quanto al primo fenomeno, si osserva che attualmente il mercato dei trasporti su strada fa sempre più spesso ricorso a contratti commerciali atipici, noti come contratti di logistica, o di global service, che, per integrare l’offerta dei servizi da parte delle imprese del settore, tendono ad unire nell’oggetto contrattuale tanto attività tipicamente riconducibili al contratto di trasporto, quanto altre rientranti nello schema del contratto di appalto. Spesso, poi, questi contratti sono soggetti ad uno o più livelli di subcontrattazione. Rispetto a questi fenomeni, la giurisprudenza di merito, assumendo sempre più un orientamento che considera questi contratti atipici come esempi di contratto misto, e applicando il criterio cd. della prevalenza, tende a ricondurli nell’alveo del contratto di appalto, e non necessariamente in quello del contratto di trasporto (si veda sul punto ad esempio, recentemente, Tribunale di Bolzano 13 maggio 2011 e Tribunale di Bolzano 10 giugno 2011). La questione naturalmente assume un certo rilievo se si considera che, in conseguenza dell’inquadramento del contratto nell’alveo del contratto di appalto, i soggetti della filiera contrattuale sono sottoposti al regime della responsabilità solidale ai sensi dell’art. 29, comma 2, D.Lgs. 276/2003.
Un secondo problema che spesso comporta il ricorso a pratiche di dumping sociale è il servirsi di imprese stabilite in Paesi neo-comunitari caratterizzati da bassi livelli salariali, al fine di sfruttare il differenziale salariale per fare concorrenza, spesso sleale, nei riguardi delle imprese italiane. La questione in realtà è piuttosto complessa, soprattutto nella valutazione della legittimità di questo tipo di prassi quando applicata ai contratti
transnazionali di trasporto. La questione è stata di recente oggetto di un approfondito studio nell’ambito di un progetto Europeo a cui ha partecipato anche il Ministero del Lavoro Italiano (sono state pubblicate le Linee Guida del progetto, denominato Transpo, disponibili sul web alla pagina xxx.xxxxxxxxxxx.xx/X00X0X00000/Xxxx-XXXXXxxxx-xxxxxx-xxx-Xxxxxxx-xx-xxxxxxx.xxx).
In primo luogo occorre chiarire quali siano gli ambiti di operatività della direttiva distacchi (Dir. n. 96/71/CE), per quanto riguarda i trasporti su strada. Infatti, per i trasporti transnazionali in cui opera la direttiva, è necessario che le imprese comunitarie, le quali operano temporaneamente in Italia in regime di distacco, applichino il requisito del minimo retributivo previsto dalla contrattazione collettiva nazionale italiana per il settore dei trasporti (la previsione è all’art. 3.1, lett. c), Dir. 96/71/CE).
Al riguardo, facendo riferimento alle norme europee del settore, si rileva che il considerando n. 17 del Reg. n. 1072/2009 in tema di trasporto internazionale di merci annovera il cabotaggio nell’ambito della applicazione della Dir. n. 96/71/CE (la medesima disposizione è prevista dal considerando n. 13 del Regolamento n. 1073/2009 per il trasporto di persone). Pertanto, si può certamente sostenere che un sicuro ambito di operatività della Dir. n. 96/71/CE nel settore dei trasporti su strada sia proprio il cabotaggio, che in effetti contempla un susseguirsi di trasporti nazionali, seppure preceduti da un trasporto internazionale e seguiti dall’uscita del mezzo dal Paese interessato.
Un altro ambito di sicura operatività della direttiva distacchi riguarda l’ipotesi della fornitura di lavoro temporaneo (nel caso particolare, di autisti) da parte di agenzie di lavoro temporaneo (somministrazione di lavoro) non stabilite nel Paese di esecuzione delle prestazioni, cioè in Italia. Infatti, questo caso è espressamente disciplinato dalla stessa Direttiva n. 96/71/CE, all’art. 1.3, lett. c), come rientrante nel regime di applicazione della stessa.
Un problema certamente più complesso, invece, è quello dell’individuazione dell’ambito di operatività della direttiva, coi relativi obblighi retributivi minimi, nell’ambito dei trasporti transnazionali intesi in senso stretto (al di fuori del cabotaggio), vale a dire di quei trasporti che partono da un Paese Membro A per provvedere alla consegna delle merci in un Paese Membro B. In questi casi, infatti, l’applicazione della direttiva appare più problematica, anche se, soprattutto con riferimento alle ipotesi, tutt’altro che rare nella pratica commerciale, in cui un lavoratore/autista effettui con regolarità per la propria impresa ripetuti trasporti transnazionali a partire dal Paese di stabilimento dell’impresa verso l’Italia (andata e ritorno), non sembra potersi escludere a priori l’operatività della direttiva distacchi, quanto meno per le tratte effettuate sul territorio italiano (per una trattazione analitica delle diverse ipotesi di trasporto transnazionale rispetto all’applicazione della direttiva si rimanda alle Linee Guida dello studio già citato).
Rispetto a tutti i fenomeni sopra brevemente descritti, così come ad altri che possono di fatto caratterizzare in maniera problematica la esternalizzazione della organizzazione e gestione del fattore produttivo lavoro nell’ambito degli scambi commerciali tra imprese di trasporto, le imprese che intendono percorrere strategie virtuose, in quanto rispettose degli standard richiesti dalla legge, possono avere un concreto interesse a fare ricorso alla certificazione dei contratti ai sensi dell’art. 75 e ss. D.Lgs. 276/2003, per una corretta verifica sulla legalità dei propri contratti commerciali e di lavoro.
Su questo punto, infatti, si ricorda che il cd. Collegato Xxxxxx 2010, la legge n. 183, all’art. 30 ha disposto una modifica radicale della norma che definisce le finalità dell’istituto della certificazione dei contratti, stabilendo che “Al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro, le parti possono ottenere la certificazione dei contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro secondo la procedura volontaria stabilita nel presente titolo”. La legge dunque non prevede oggi che la certificazione dei contratti sia limitata ai soli contratti di lavoro, ma piuttosto si deve intendere, dall’attuale lettera della norma, che essa sia possibile rispetto a contratti commerciali tra imprese anche diversi dal contratto di appalto, già esplicitamente previsto dall’art. 84 D.Lgs. 276/2003, qualora tali contratti prevedano una esecuzione in cui siano dedotte prestazioni di lavoro. Si può quindi ritenere che la legge oggi consenta, ad esempio, di certificare contratti commerciali come quelli di trasporto, e relativi subcontratti, qualora per l’esecuzione di questi contratti sia previsto l’utilizzo, da
parte dell’impresa esecutrice, di lavoratori subordinati. L’interesse delle imprese in questo senso potrebbe essere quello di sottoporre ad un organo terzo, la Commissione di certificazione appunto, il proprio regolamento contrattuale al fine di vederne certificata la corretta qualificazione e la legittimità. Allo stesso modo, le imprese del settore potrebbero essere interessate a certificare specifiche clausole inserite nel contratto di trasporto, la cui legittimità sarebbe certificata dal provvedimento di accoglimento. Allo stesso modo, potrebbe essere interessante per le imprese di trasporto e per quelle di logistica sottoporre a certificazione anche i contratti atipici normalmente in uso nel settore, in modo da differenziarsi da chi, grazie a pratiche fraudolente ed a più o meno velati tentativi di aggiramento delle norme vigenti, attua una vera e propria concorrenza sleale.
Xxxxxx Xxxxxxx Ricercatore Adapt,
membro della Commissione di Certificazione CSMB Università di Modena e Reggio Xxxxxx