DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO DELL’ARBITRATO INTERNO ED INTERNAZIONALE
DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO DELL’ARBITRATO INTERNO ED INTERNAZIONALE
XXV CICLO
LA DISCIPLINA ARBITRALE NEI CONTRATTI PUBBLICI
TUTOR
XXXXX.XX XXXX.XXX XXXXXXX XXXXXXX
DOTTORANDO
XXXX. XXXXXXXX XXXXXXXX XX XXXX
ANNO ACCADEMICO 2012/2013
INDICE
L’ARBITRATO NEI LAVORI PUBBLICI: DALLA LEGGE N. 2248/1865 AL D. LGS. N. 163/2006
2. Le origini dell’arbitrato in materia di opere pubbliche 6
3. La risoluzione delle controversie mediante arbitrato e il sistema della c.d.
declinatoria alla luce del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 e della legge n. 741/1981. 14
4. L’alternanza delle sorti dell’arbitrato: la legge quadro 109/1994 e la legge Merloni-
5. La Merloni ter (l. 18 novembre 1998 n. 415) e le disposizioni successive 27
6. L'assetto dell'arbitrato nel decreto legislativo n. 190 del 2002 (c.d. legge obiettivo) 32
7. La sentenza 17 ottobre 2003 n. 6335 del Consiglio di Stato e la crisi del sistema 40
8. La regolamentazione dell’arbitrato secondo la legge di competitività (legge n.80/2005) 46
9. La nuova disciplina dell’arbitrato negli appalti di opere pubbliche così come
delineato dal codice dei contratti pubblici (D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163) 52
LA DISCIPLINA ARBITRALE NEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI
CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI E SUE SUCCESSIVE MODIFICHE
2. Disciplina comunitaria. Il susseguirsi di direttive comunitarie in materia fino alla adozione della Direttiva ricorsi 2007/66/CE 58
3. Il divieto di arbitrato nella legge finanziaria 2008 64
4. La legge comunitaria del 2008 e la delega per la riforma dell’arbitrato in materia di contratti pubblici. 69
5. Attuazione della legge comunitaria 2008: il Decreto Legislativo n. 53 del 20 marzo 2010. 73
6. Segue. I profili di maggiore novità apportati in materia dal Decreto Legislativo n. 53 del 20 marzo 2010. 75
7. L’esclusione dell’arbitrato in materia di appalti pubblici dal D. Lgs. 104/2010 (cd. Codice del Processo Amministrativo) 87
SEZIONE SECONDA L’ACCESSO ALLA DISCIPLINA ARBITRALE
1. La volontarietà dell'arbitrato ed il problema della “effettiva” volontarietà 92
2. La ricusazione della clausola compromissoria 96
3. Segue. Le modalità di ricusazione della clausola compromissoria 99
4. La compromettibilità in arbitri delle controversie concernenti diritti soggettivi. 103
5. Le controversie derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici 107
SEZIONE TERZA
IL PROCEDIMENTO
1. Il principio di libertà delle forme 111
2. La designazione degli arbitri. 113
3. La composizione del collegio arbitrale e le modalità di nomina degli arbitri. 113
4. La nomina degli arbitri di parte e la fase introduttiva del procedimento. 117
5. Il “mancato accordo” delle parti per la nomina del terzo arbitro 124
6. La nomina del terzo arbitro da parte della Camera arbitrale: la valutazione di amministrabilità dell'arbitrato 129
7. Il provvedimento della Camera arbitrale di accoglimento o di rigetto della richiesta
di nomina del terzo arbitro 132
8. La sede dell'arbitrato (art. 243, terzo comma, c.c.p.) 137
9. Il regime istruttorio 140
10. La Camera arbitrale e l'albo degli arbitri (art. 242 c.c.p.) 145
CAPITOLO TERZO
IL LODO ARBITRALE E LA SUA IMPUGNAZIONE
1. Premessa 149
2. Gli effetti del lodo arbitrale 153
3. Il deposito del lodo arbitrale 162
4. La comunicazione del lodo arbitrale. 166
5. L’esecutività del lodo arbitrale 170
6. L’impugnabilità del lodo arbitrale 175
7. L’impugnazione per nullità lodo. 177
8. Segue . La sospensione dell’efficacia del lodo e decisione dell'impugnazione 181
9. Le impugnazioni per revocazione e per opposizione di terzo 184
CAPITOLO QUARTO
LE SPESE DEL PROCEDIMENTO ARBITRALE NEI CONTRATTI PUBBLICI
1. I costi del giudizio arbitrale di diritto comune 187
2. I costi del giudizio arbitrale amministrato 194
3. Le spese nel giudizio arbitrale in materia di opere pubbliche 199
GUIDA BIBLIOGRAFICA 206
CAPITOLO PRIMO
L’ARBITRATO NEI LAVORI PUBBLICI: DALLA LEGGE N. 2248/1865 AL D. LGS. N. 163/2006
SOMMARIO: 1. Premessa. 2. Le origini dell’arbitrato in materia di opere pubbliche. 3. La risoluzione delle controversie mediante arbitrato e il sistema della c.d. declinatoria alla luce del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 e della legge n. 741/1981. 4. L’alternanza delle sorti dell’arbitrato: la legge quadro 109/1994 e la legge Merloni-bis. 5. La Merloni-ter (l. 18 novembre 1998 n. 415) e le disposizioni successive. 6. L'assetto dell'arbitrato nel decreto legislativo n. 190 del 2002 (c.d. legge obiettivo). 7. La sentenza 17 ottobre 2003 n. 6335 del Consiglio di Stato e la crisi del sistema. 8. La regolamentazione dell’arbitrato secondo la legge di competitività (legge n.80/2005). 9. La nuova disciplina dell’arbitrato negli appalti di opere pubbliche così come delineato dal codice dei contratti pubblici (D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163).
Con la locuzione “arbitrato nel diritto amministrativo” si suole fare riferimento ad un ambito di applicazione di tale istituto piuttosto vasto che abbraccia tanto situazioni giuridiche soggettive di diritto pubblico, fino alle controversie in materia di contratti pubblici, quanto ai
diritti rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
In ogni caso, prima di poter cogliere la problematicità dell’inserimento dell’arbitrato quale mezzo alternativo alla soluzione giurisdizionale delle controversie nell’ambito del diritto amministrativo, occorre capire, previamente, cosa si intenda per controversie amministrative.
Non possono di certo essere definite tali quelle controversie scaturenti dall’essere oppure dall’agire della Pubblica Amministrazione come un soggetto privato, al di fuori delle sue incombenze istituzionali, rientrando tout court nel diritto privato, e perciò devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.
Parimenti, non rientrano strictu sensu tra le controversie amministrative quelle derivanti da un’attività della Pubblica Amministrazione diretta all’attuazione dei propri fini istituzionali per mezzo non già della sua posizione di supremazia, ma servendosi degli strumenti di diritto privato che danno luogo a rapporti contraddistinti da diritti soggettivi perfetti. Con tale assimilazione non si porrebbe alcun problema circa l’applicabilità o meno delle norme regolanti l’istituto dell’arbitrato, essendo dette controversie liberamente arbitrabili come lo sono le controversie che insorgono tra soggetti privati.
Di certo lo stesso non può dirsi per le controversie aventi ad oggetto contratti pubblici, ovvero di quelle in cui viene in gioco l’esercizio di un pubblico potere, che si estrinsechi o meno nell’adozione di un provvedimento amministrativo, o ancora di quelle che, riguardando diritti soggettivi fortemente connessi o comunque legati all’esercizio del potere amministrativo, ovvero a situazioni
giuridiche soggettive di diritto pubblico, siano devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Tali controversie, che andiamo a definire come controversie amministrative, generano particolari problemi relativi all’inquadramento sistematico dell’arbitrato tra gli strumenti di risoluzione delle stesse, non solo in riferimento alla questione dell’arbitrabilità stessa, ma anche al modo di essere dell’arbitrato, una volta che lo si sia ammesso come strumento di soluzione della questione insorta tra Pubblica Amministrazione e soggetti privati.
Nell’ambito di tali controversie, ad emergere per le loro caratteristiche peculiari risultano, senz’altro, quelle aventi ad oggetto contratti pubblici, che in materia di arbitrato sono state oggetto nel corso degli anni di ripetuti e contradditori interventi normativi, e che pertanto, necessitano di una particolare attenzione, formando cosi l’oggetto della prima parte del presente studio.
2. Le origini dell’arbitrato in materia di opere pubbliche.
L’arbitrato nei lavori pubblici è un istituto molto travagliato tanto che ad oggi è ancora viva la querelle relativa alla sua ammissibilità per la risoluzione delle controversie in materia di contratti pubblici e, in particolare, in materia di opere pubbliche.
Nel corso degli anni si sono susseguite numerose norme che lo hanno ampiamente ridefinito. Appare,
dunque, opportuna in prima battuta un’attenta analisi dell’evoluzione normativa in materia1.
Prima ancora della proclamazione del Regno d’Italia2, competenti a conoscere delle controversie tra Amministrazione ed appaltatore in materia di appalti di
1 Per una ricostruzione storica dell'arbitrato in materia di opere pubbliche, che va di pari passo con l'evoluzione normativa del diritto amministrativo sostanziale e processuale, si veda Capaccioli E., L'arbitrato nel diritto amministrativo, I, Le fonti, Padova, 1957; Benvenuti F. e Miglio G. (a cura di), L'unificazione amministrativa ed i suoi protagonisti, in Atti del congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione, Vicenza, 1969, pp. 65-216; Xxxxxxxxx A., L'appalto di opere pubbliche, 8ª ed., Milano, 1988, 1101, ss.; Xxxxxxxx X., voce Arbitrato: II) Arbitrato nelle controversie amministrative, in Enc. giur., vol. II, Roma, 1988; Xxxxxxxxx L. e Xxxxxxx C., voce Arbitrato nel diritto amministrativo, in Dig. disc. pubbl., IV, ed., vol. I, Torino, 1987, 367; Caia G., Arbitrati e modelli arbitrali nel diritto amministrativo, I presupposti e le tendenze, Milano, 1989; Picozza E., I lavori pubblici, in Trattato di diritto amministrativo, diretto da Xxxxxxxxxxx G., vol. X, Padova, 1990, 469 ss.; Xxxxxxxxx A., Arbitrato in materia di opere pubbliche, in Riv. trim. app., 1991, 177 ss.; Xxxx E., L'arbitrato nelle controversie degli appalti di opere pubbliche: obbligatorietà e facoltatività, Dir. proc. amm., 1991, 469 ss.; Xxxxxxx G., Arbitrati di diritto comune ed amministrazioni pubbliche, Dir. proc. amm., 1998, 7 ss. (anche in Scritti in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxx, vol. III, Padova, 1988, 317 ss.); Xxxxxxxxx E., Una vicenda singolare: l'arbitrato in materia di opere pubbliche, in Riv. arb., 1998, 813 ss.; Punzi C., L'arbitrato per la risoluzione delle controversie negli appalti di opere pubbliche, in AA.VV., L'appalto fra pubblico e privato, Milano 2001, 87 ss..
2 La legge del Reame di Napoli, 21 marzo 1817 attribuiva alla cognizione degli organi del contenzioso amministrativo le controversie relative alle opere e lavori pubblici, nonché le questioni fra l'amministrazione e gli appaltatori e quelle per danni arrecati ai privati dagli appaltatori nell'esecuzione del contratto. Analoga disposizione era prevista, per il Regno di Sardegna, nel decreto legislativo del 30 ottobre 1959, n. 3708, che attribuiva ai Tribunali del contenzioso amministrativo le controversie in materia di validità, interpretazione, esecuzione dei contratti di appalto o di fornitura. Sul punto, per tutti, Xxxxxxxxxx X., Le guarentigie della giustizia nella pubblica amministrazione, 4ª ed., Milano, 1934, spec. 280-374; Xxxxxxxxx G., La difesa giurisdizionale dei diritti dei cittadini verso l'autorità amministrativa, in V.E. Xxxxxxx (a cura di), Primo trattato completo di diritto amministrativo, vol. III, Milano, 1907, spec. 332 ss., ai tribunali del contenzioso amministrativo, i quali, come noto, vennero aboliti dall'All. E della legge 20 marzo 1865, n. 2248; conseguentemente, tali controversie avrebbero dovuto seguire la medesima sorte riservata a quelle già di competenza degli organi del contenzioso amministrativo rientrando nella «competenza» del Giudice ordinario.
opere pubbliche erano i Tribunali del contenzioso amministrativo. Tale competenza appariva una vera anomalia, trattandosi di controversie concernenti rapporti posti in essere dall'Amministrazione sotto il regime del diritto privato e quindi, in quanto tali, dovevano considerarsi devolute alla cognizione degli organi giurisdizionali ordinari.
L'anomalia si spiegava in dipendenza dell'interesse pubblico indirettamente connesso a tali rapporti che, al pari di quelli derivanti da pubbliche forniture e servizi, avevano carattere strumentale rispetto alla soddisfazione di bisogni collettivi. Fu probabilmente in virtù di tale considerazione che la competenza degli organi della giurisdizione ordinaria venne limitata ai rapporti inerenti alla gestione dei beni iure privatorum (ossia l’attività di diritto privato della Pubblica Amministrazione), escludendola invece per i rapporti sopradescritti (attività amministrativa di diritto privato della Pubblica Amministrazione).
Un cambiamento di prospettiva si ebbe con l’entrata in vigore della legge del 20 marzo 1865 n. 2248 con la quale il legislatore tentava di uniformare il nuovo Stato da un punto di vista amministrativo di fronte alla varietà dei sistemi vigenti negli Stati preunitari.
A tale fine l’art.1 della legge 20 marzo 1865, allegato E, abolì in via definitiva i Tribunali del contenzioso amministrativo devolvendo le controversie ad essi attribuite alla giurisdizione ordinaria oppure all’autorità amministrativa sulla base di criteri dettati dall’art. 2 della stessa legge. Ciò valse, ovviamente, anche per le controversie in materia di opere pubbliche, le quali,
quindi, seguirono tale sorte, spettando al giudice ordinario o alla Pubblica Amministrazione a seconda che in esse si facesse “questione di diritto civile o politico” (art.2) oppure che, invece, rientrassero “negli affari non compresi” (art. 3)3.
Tuttavia la stessa legge, che all’allegato E aveva abolito il contenzioso amministrativo, con l’allegato F, e precisamente all’art. 349, aveva permesso alle Amministrazioni pubbliche di sottrarre tali controversie alla cognizione dei giudici ordinari, prevedendo che “nei capitolati di appalto potrà prestabilirsi che le questioni tra l’amministrazione e gli appaltatori siano decise da arbitri”4.
3 X. Xxxxx C., L’arbitrato per la risoluzione delle controversie negli appalti di opere pubbliche ,op. cit., 87 ss.
4 Per una chiara ricostruzione dei dibattiti, tra gli anni che vanno dal 1865 al 1889, in tema di arbitrato, e sugli opposti orientamenti del Consiglio di Stato e dell'Avvocatura dello Stato, si veda X. Xxxxxxx, Arbitrati di diritto comune ed amministrazioni pubbliche, op. cit., 20- 21 il quale riteneva che “veniva in tal modo configurata una possibile alternativa alla competenza decisoria altrimenti attribuita ai Tribunali ordinari”.
5Sull'arbitrato previsto dall'art. 43 del Capitolato generale del Ministero dei Lavori Pubblici del 1962, si veda De Neapoli S. G., Considerazioni sul nuovo capitolato di appalto sulle opere pubbliche, in Riv. trím. dir. e proc. civ., 1962, 1464 ss.; Sambataro S., L’abolizione del contenzioso nel sistema di giustizia amministrativa, Milano, 1977, 91 ss.
Alquanto complesso risulta il rapporto tra le due disposizioni. In particolare ci si chiedeva se l’esplicita concessione all’Amministrazione, sia pure riservata ad una specifica categoria di controversie, della facoltà di avvalersi della clausola compromissoria fosse in armonia con le scelte generali del legislatore finalizzate ad un sistema di giurisdizione unica.
La previsione di un arbitrato per le opere pubbliche, assente nel primo Capitolato generale, approvato con decreto ministeriale 31 agosto 1870 (anche se della facoltà concessa dall’art. 349 si avvalsero quasi tutte le amministrazioni statali7) è invece presente nei successivi Capitolati generali del 1889 e del 1895.
In particolare, nel capitolato generale del 1889, venne sancito all’art. 40 il deferimento di tutte le controversie “in via di arbitramento” ai sette membri effettivi più anziani
6 Secondo autorevole dottrina, invece, l’art. 349 della legge sui lavori pubblici sarebbe stato previsto dal legislatore del 1865 per la poca dimestichezza dell’Amministrazione con il giudice ordinario, e quindi per superare l’incognita che derivava dalla sostituzione dei tribunali del contenzioso con il giudice ordinario (Scoca F.G., La capacità dell’amministrazione di compromettere in arbitri, in Arbitrato e pubblica amministrazione, a cura di Draetta U., Milano, 1991, 95 ss.). 7 Vedi Xxxxxxxxx-Xxxxxxxxxx, L’appalto di opere pubbliche, op. cit., p. 1066.
del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e si precisò, all’art. 43, che gli articoli del Capitolato relativi all’arbitrato “costituiscono per l’amministrazione, parti essenziali del contratto, senza i quali essa non sarebbe divenuta alla stipulazione dello stesso”.
Il successivo Capitolato generale del Ministero dei Lavori Pubblici del 18958, approvato con decreto ministeriale 28 maggio 1895, recava al Capo V (rubricato”Definizione delle controversie”) la disposizione trasfusa nell'art. 42, secondo la quale ”... tutte le controversie tra l'Amministrazione e l'appaltatore, ... sono deferite, giusto gli articoli 806 e seguenti del codice di procedura civile, e 348 della legge sui lavori pubblici 20 marzo 1865, n. 2248, All. F, al giudizio di cinque arbitri9”.
Sembrava così che le previsioni dei capitolati introdotte dopo l'art. 349 avessero stravolto la ratio e la lettera della norma: da un lato, la facoltatività indicata dall'art. 349 diveniva “obbligatorietà” nell'art. 50 del Capitolato del
8 Sul punto si veda X. Xxxx, Arbitrati e modelli arbitrali, op. cit., 66.
9 Si veda, sugli artt. 42-50 del decreto ministeriale 28 maggio 1895, La Torre M., L'arbitrato nel diritto amministrativo, in Riv. dir. pubbl. 1935, I, 334-335.
10 Per quanto concerne il collegio arbitrale, a norma dell’art. 43 del nuovo Capitolato, il collegio doveva essere presieduto dal consigliere di Stato più anziano o più elevato in grado. E nel caso in cui nel corso del giudizio fosse venuto a mancare uno degli arbitri, il presidente del collegio ne doveva dare notizia alle parti ed al presidente del corpo a cui apparteneva l’arbitro mancante affinché si potesse procedere alla sua sostituzione.
1895. Sotto altro aspetto, invece, i collegi arbitrali, per come composti in forza della disposizione del capitolato, si qualificavano come dei collegi istituzionali vicini agli interessi della Pubblica Amministrazione.
In particolare, il nuovo capitolato, nonostante prevedesse una diversa composizione del collegio arbitrale rispetto a quanto previsto nel capitolato del 1889, non fece venir meno lo squilibrio esistente a favore dell’Amministrazione. Infatti il collegio era composto da due membri del Consiglio di Stato, due membri tecnici effettivi del Consiglio superiore dei lavori pubblici e da un consigliere della Corte d’appello di Roma e di conseguenza non consentiva all’appaltatore di partecipare alla nomina di nessun componente del collegio arbitrale.
Soluzione conforme all’orientamento giurisprudenziale, che ha sempre individuato il discrimine tra le giurisdizioni speciali e gli arbitri obbligatori nella circostanza che la formazione del collegio giudicante fosse o meno sottratta all’iniziativa delle parti. Circa il criterio in base al quale
11 In questo senso si veda Punzi C., L'arbitrato per la risoluzione delle controversie negli appalti di opere pubbliche, op. cit., 89 ss., secondo il quale con le previsioni dei capitolati del 1889 e del 1895 “si voleva tornare alla situazione quo antea, cioè precedente l’abolizione del contenzioso amministrativo, e quindi sottrarre ancora queste controversie, di cui è parte l’Amministrazione, alla cognizione del giudice ordinario per deferirla ad un giudice arbitro, che si vuole più tecnico e che si spera più amico” e anche Scoca F.G., La capacità dell’amministrazione di compromettere in arbitri, op. cit., 96.
effettuare tale distinzione non vi era, però, uniformità di opinioni.
12 Zanobini G., L’esercizio privato delle funzioni e dei servizi pubblici, in Primo trattato completo di diritto amministrativo, a cura di Orlando
X. X., XX, 0, Xxxxxx, 0000, 235 ss., 592 ss., 594; Id., L’esercizio delle pubbliche funzioni e l’organizzazione degli enti pubblici, in Scritti vari di diritto pubblico, Milano, 1955, 99. In giurisprudenza, si veda Cass. , sez. Un., 21 giugno 1945, n. 448, in Foro amm., 1945, II, 77 ss.
13 Xxxxxx M., Della potestà regolamentare di un ente pubblico in rapporto all’arbitrato e alle giurisdizioni speciali, in Riv. dir. proc., 1925, II, 302 ss.; Calamandrei P., Contributo alla dottrina dell’arbitraggio necessario nel diritto pubblico, in Giur. it. 1924, I, 759 ss.; Id., Il significato costituzionale delle giurisdizioni di equità, in Arch. Giur., 1921, 224 ss.; La Torre M., L'arbitrato nel diritto amministrativo, op. cit., 329.
14 Lipari F. G., Sui criteri distintivi tra arbitrati obbligatori e giurisdizioni speciali, in Giur. It., 1925, I, 1, 296 ss.
Tale quadro composito si era prolungato fino all'approvazione del nuovo capitolato generale per gli appalti delle opere di competenza del Ministero dei Lavori Pubblici, approvato in forma di regolamento con D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063.
3. La risoluzione delle controversie mediante arbitrato e il sistema della c.d. declinatoria alla luce del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 e della legge n. 741/1981.
Il decreto presidenziale del 16 luglio 1962 n. 1063 aveva approvato il nuovo capitolato generale d’appalto per le opere di competenza del Ministero dei Lavori Pubblici.
Il Capitolato tutelava il privato, non solo per la possibilità di nomina del proprio arbitro16, ma anche
15 Vedi sul punto, Basilico G., La risoluzione arbitrale di controversie in materia di pubblici appalti: dagli arbitrati obbligatori agli arbitrati amministrati, in Giust. civ. 2000, II, p. 35 ss.; Xxxxxxx Xxxxxxx E., Lodo arbitrale da capitolato generale d’appalto per le OO.PP. e giudizio d’ottemperanza, in Riv. arb., 1992, p. 209 ss., ed in particolare, p. 217; Xxxxxxxxxx E. L’arbitrato delle opere pubbliche, in Aa.Vv., L’arbitrato, a cura di Xxxxxxxxx C., Torino, 2005, pp. 446- 449.
16 L’art. 45 così prevedeva la composizione del collegio:“a) un magistrato del Consiglio di Stato, che lo presiede, nominato dal Presidente del Consiglio stesso; b) un magistrato giudicante della Corte d’Appello di Roma, nominato dal Primo Presidente della Corte stessa; c) un componente tecnico del Consiglio Superiore dei LL.PP. nominato dal Presidente del Consiglio stesso; d) un funzionario della carriera direttiva, amministrativa o tecnica del Ministero dei Lavori
perché aveva inserito la possibilità della c.d. declinatoria della competenza arbitrale.
L'art. 47 del D.P.R. n. 1063/1962, infatti, consentiva alla parte interessata all'instaurazione della controversia di proporre l'azione avanti il giudice ordinario entro un termine predeterminato17, così come consentiva alla parte convenuta nel giudizio arbitrale di escludere la competenza arbitrale entro trenta giorni dalla notifica della domanda di arbitrato notificando alla parte attrice la propria determinazione di escludere la competenza arbitrale.
Contro la decisione erano consentite le impugnazioni previste dal codice di rito; l’arbitrato non era, quindi, “obbligatorio”.
Il meccanismo della declinatoria assicurava, cosi, la volontarietà dell’arbitrato, sottraendosi cosi ai dubbi di legittimità costituzionale che erano stati sollevati in ordine alla disciplina dettata dal nuovo capitolato.
A tal proposito appare opportuno fare una precisazione. Con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana e con l’entrata in funzione della Corte Costituzionale si iniziava a porre il problema della legittimità dell’istituto arbitrale ed, in particolare, dell’arbitrato obbligatorio, imposto cioè da previsioni normative inderogabili per le parti. Il bene da tutelare era il diritto, sancito dall’art. 24, primo comma, della Costituzione, dell’accesso agli organi di giustizia ordinaria che poteva essere esclusa solo dalla
Pubblici o da un avvocato dello Stato, nominato dal Ministero dei Lavori Pubblici o da un suo delegato; e) un libero professionista, iscritto nel relativo albo professionale, nominato dall’appaltatore”.
17 Ovvero entro sessanta giorni dalla notifica del provvedimento dell’Amministrazione che aveva risolto la controversa in sede amministrativa.
espressa volontà dei soggetti interessati e non da previsione normativa.
Tuttavia, quand'anche la disciplina concernente l'arbitrato recata dal capitolato del 1962 fosse da ritenersi, per quanto affermato dalla Corte Costituzionale, conforme a Costituzione, essa è stata oggetto di ulteriori modifiche.
18 In Giur. cost., 1977, p. 1103, con nota di Xxxxxxxx X., L’arbitrato obbligatorio e la Costituzione.
19 In Giur. cost., 1977, I, 1103, con nota di Xxxxxxxx X., L'arbitrato obbligatorio e la costituzione, p. 1143 e ss. È da precisare che la questione di legittimità costituzionale decisa dalla Corte concerneva il Regio Decreto 29 giugno 1939, n. 1127 (Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali); la sentenza, nondimeno, reca un obiter dictum riferito specificamente all'art. 47, a tenore del quale ”... l'art. 47 del nuovo capitolato generale di appalto per le opere pubbliche di competenza del Ministero dei lavori pubblici (...) contiene una normativa che consente sia alla parte attrice che alla parte convenuta di escludere la competenza arbitrale. Si è così affermata, anche su questo piano, la necessità di tutelare l'autonomia delle parti”. Per ampi rilievi critici in ordine alla compatibilità costituzionale dell'arbitrato nel diritto amministrativo cfr. Caia G., Arbitrati e modelli arbitrali, cit., 80 ss. e ivi ulteriori richiami bibliografici; Xxxxxxx A., L'arbitrato nella legge quadro sulle opere pubbliche, in Riv. trim. app., 1996, 172., la Corte costituzionale ha invero ritenuto da un lato che, con la disposizione recata dall'art. 47, fosse garantita l'autonomia delle parti, dall'altro lato che fosse mantenuta “la concentrazione della funzione giurisdizionale sia nei confronti delle giurisdizioni speciali sia contro altri congegni di sostanziale svuotamento”.
L'art. 16 della l. 10 dicembre 1981, n. 741, ha modificato l'art. 47 del capitolato del 1962 generale concedendo la facoltà di declinatoria dall’arbitrato solo a favore della Pubblica Amministrazione “con apposita clausola inserita nel bando o invito di gara, oppure nel contratto in caso di trattativa privata20”.
La clausola era stata ritenuta “di tipo inverso” in quanto consentiva solo alla Pubblica Amministrazione, e non più anche alla parte privata come nella previgente normativa, la facoltà di deroga.
Dall’art. 47 conseguiva un consistente limite all’autonomia negoziale della parte privata del potere di modificare le intese contrattuali predisposte unilateralmente dalla Pubblica Amministrazione; al contrario, se l’Amministrazione non intendeva privilegiare
20 In tal senso si esprimono de Xxxx X., L'arbitrato nel diritto amministrativo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1990, 1195 ss., spec. 1206-1208; Mele E., L'arbitrato nelle controversie degli appalti di opere pubbliche, op. cit., 473; Giallongo N., L'arbitrato nelle controversie dei contratti pubblici (già lavori pubblici), in xxx.XxxxxXxx.xx, 7-2007, rilevando che nelle fasi di predisposizione del bando il potere della parte privata o è assente, o è recessivo, residuando il potere esclusivamente nella discrezionalità dell'amministrazione. L'arbitrato ritornava così ad essere obbligatorio almeno per la parte privata.
21 Così, Xxxxxxx Xxxxxxx E., Lodo arbitrale da capitolato generale d’appalto per le OO.PP. e giudizio d’ottemperanza, op. cit., p. 218; Xxxxxxxxx E., Contro l’arbitrato obbligatorio, op. cit., p. 211 ss.; Xxxxxxxx E., La risoluzione delle controversie negli appalti di opere pubbliche: dall’arbitrato obbligatorio al divieto di arbitrato. Brevi note alla sentenza n. 152/96 della Corte Costituzionale, in Riv. Amm. App., 1996, p. 355 ss ed, in particolare, p. 365 (ed in La disciplina del contenzioso nel contratto di appalto di opere pubbliche, Roma, 1997, p. 93 ss.).
La ratio della disposizione era stata individuata nell’esigenza di agevolare le imprese alla partecipazione alla gara stante il regime accelerato per la definizione di un eventuale contenzioso; infatti i tempi del giudizio davanti al giudice ordinario avrebbero, altrimenti, sconsigliato l’assunzione dei lavori. L’istituto della declinatoria era ritenuto finalizzato ad intenti (per lo più, invero, perseguiti dall’Avvocatura dello Stato) meramente dilatori.
La disposizione era rimasta in vigore per oltre quindici anni, con la previsione di un arbitrato che trovava origine non dalla sottoscrizione (più o meno volontaria) di un capitolato ma dalla legge; almeno per la parte privata era, quindi, in concreto, obbligatorio.
Il ruolo preminente attribuito all’Amministrazione pubblica nella predisposizione della clausola arbitrale dava poi vita a forti dubbi in ordine alla stessa legittimità costituzionale di una simile strutturazione; la questione di costituzionalità dell’art. 16 della legge n. 741 del 1981,
22 Xxxxxxx Xxxxxxx E., Lodo arbitrale, op. cit., p. 219 aveva proposto una lettura, prima della sentenza della Corte Costituzionale 127/77, secondo cui la parte privata avrebbe avuto la facoltà, come la Pubblica Amministrazione, di declinare la competenza arbitrale “in quanto rispettosa del criterio generale di riparto della giurisdizione e per la necessità di una comune volontà per l’esistenza di una valida clausola arbitrale”. Opinione diversa era stata espressa da Clarizia A. (Legge 10 dicembre 1981, n. 747, in Nuove leggi civili commentate, Milano, 1983, p. 1019 ss.) secondo cui “da arbitrato volontario si è passato ad una forma di arbitrato obbligatorio. Infatti comunque si voglia intendere, una delle parti (l’appaltatore) si trova in una posizione di soggezione, perché costretto ad accettare la competenza arbitrale”.
sollevata dalla Corte di Cassazione, venne decisa dalla Corte Costituzionale, con l’importante sentenza 9 maggio 1996 n. 152, nel senso dell’illegittimità costituzionale “dell'art. 16 della l. 10 dicembre 1981 n. 741 …. che ha
sostituito l'art. 47 del d.p.r. 16 luglio 1962 n. 1063, nella parte in cui non stabilisce che la competenza arbitrale può essere derogata anche con atto unilaterale di ciascuno dei contraenti”.
La decisione dei giudici della Consulta partiva dalla rilevazione della sostanziale differenziazione tra la previsione dell’art. 16 della l. 741 del 1981 e l’originaria formulazione dell’art. 47 del d.p.r. 1063 del 1962; la predetta previsione indubbiamente prevedeva una forma di arbitrato volontario ed era già stata favorevolmente valutata dalla Corte Costituzionale nella precedente sentenza n. 127 del 1977. L’intervento della Consulta aveva suscitato numerosi interrogativi in ordine alla sua effettiva portata.
Innanzitutto si è posto il problema se la sentenza in esame poteva essere invocata per quei rapporti ai quali le disposizioni del capitolato si applicavano in quanto volontariamente richiamate dalle stesse parti in virtù di un accordo anteriore all’intervento della Corte Costituzionale. Al riguardo l’orientamento giurisprudenziale non era univoco.
Da un lato è stato affermato che, anche laddove il capitolato generale delle opere pubbliche del 1962 operi in forza di un rinvio pattizio effettuato dalle parti, la sentenza in esame avrebbe ripristinato il contenuto precettivo originario dell’art. 47 del capitolato, così consentendo ad entrambe le parti di agire davanti al giudice ordinario
anziché davanti agli arbitri, senza che la controparte potesse opporsi23.
Tuttavia la sentenza additiva della Corte Costituzionale andò ad incidere su un sistema che apparteneva ormai al passato. Infatti, il legislatore, prima di tale pronuncia, nell’ambito di una più ampia regolamentazione dell’intera materia dei lavori pubblici, era già intervenuto per dettare una nuova disciplina delle modalità di risoluzione delle controversie in materia che sostituisse quella risultante dal capitolato del 1962 e della legge del 1981. Si trattava della legge 11 febbraio 1994 n. 109 ovvero della meglio conosciuta legge Xxxxxxx.
4. L’alternanza delle sorti dell’arbitrato: la legge quadro 109/1994 e la legge Merloni-bis.
Con la legge Xxxxxxx del 11 febbraio 1994, n. 109 recante “legge quadro in materia di lavori pubblici”, si è operata una netta inversione di tendenza rispetto al favor per l'arbitrato che aveva invece caratterizzato la normativa precedente.
23 Cass. sez. un., 25 maggio 1998, n. 5200, in Corr. giur., 1999, 354
ss.; Cass. 21 aprile 2000, n. 5240, in Foro it., 2001, I, 218 ss..
24 Cass., 21 aprile 1999, n. 3929, in Giust. Civ.., 1999, I, 2987 ss.;
Cass. 16 aprile 1999, n. 3802; Cass. 28 agosto 2000 n. 11218; Cass. 8
agosto 0000, x. 00000.
La disposizione ribadiva che “nei capitolati generali o speciali non può essere previsto che la soluzione delle controversie sia deferita ad un collegio arbitrale ai sensi dell’art. 806 e seguenti c.p.c.27”.
25 Vedi Cannada-Bartoli E., L'arbitrato nella legge quadro sui lavori pubblici, in Riv. Arb. 1994, 426; Punzi C., L'arbitrato per la risoluzione delle controversie negli appalti di opere pubbliche, op. cit., spec. 94; X. Xxxxx, Arbitrato e pubblica amministrazione, in Riv. Arb. 2001, 215.
26 Vaccarella R., Commento dell’art. 32 l. 11 febbraio 1994, n. 109, in A.A.V.V., La legge quadro in materia dei lavori pubblici, (a cura di)
X. Xxxxxxx e X. Xxxxxxxx, Padova, 1994, p. 627 ss.; Xxxxxxxxxxx M., Xxxxxxx E., La legge quadro in materia di lavori pubblici, Milano, 1994, p. 124 ss., specialmente p. 142 al quale si rinvia anche per la disamina dei lavori preparatori della legge.
27 Secondo Verde, Arbitrato e pubblica amministrazione, in Dir proc. amm., 1996, p. 216, con tale disposizione il legislatore è sembrato manifestare “una sfiducia totale verso l’istituto dell’arbitrato, quantomeno nel settore dei lavori pubblici, quale conseguenza di una diffusa diffidenza nei confronti dell’istituto da parte dell’opinione pubblica molto sensibile alla denuncia di abusi e distorsioni nell’applicazione pratica dell’istituto”; v. anche Steccanella M., Xxxxxxx E., op. cit., p. 131. In senso critico alla soppressione dell’istituto dell’arbitrato dal settore delle opere pubbliche si sono espressi Di Cagno M., Commento all’art. 32 della legge Xxxxxxx, in A.A.V.V., La legge quadro in materia di lavori pubblici, (a cura di) Xxxxxxx-Clarizia, II, Padova, 2000, p. 1022. Il divieto di arbitrato è ritenuto “una scelta emotiva” da Xxxxxxxxxx S., L’arbitrato nel settore delle opere pubbliche, in Riv. amm. app., 1997, p. 332.
Secondo la maggioranza della dottrina, dal testo dell’art. 32 risultava chiaramente la volontà del legislatore di vietare l’arbitrato nelle controversie in materia di lavori pubblici28. Per quanto riguarda gli arbitrati pendenti, invece, in considerazione di quanto previsto dall’art. 38 comma 129, si riteneva che il divieto non riguardasse anche gli arbitrati nei quali una parte avesse notificato all’altra la nomina del proprio arbitro ovvero la domanda di arbitrato30.
Il divieto di arbitrato di cui all’art. 32 non ha mancato di suscitare, inoltre, aspre polemiche relative alla sua legittimità costituzionale.
In particolare vi è stato chi ha sostenuto l'illegittimità costituzionale con riferimento in primo luogo agli artt. 24 e 103 Cost., sulla base della considerazione per cui, dato che le controversie sui lavori pubblici potevano concernere sia di diritti soggettivi, sia interessi legittimi, la norma de qua rischiava di determinare una sorta di
Sull’argomento v. anche Xxxxxxxxxx E., L’arbitrato nelle opere pubbliche, op. cit., pp. 450-452.
28 Xxxxxxxxx A., Dell’arbitrato, in Codice di procedura civile commentato a cura di Xxxxxxxxxx R. e Verde G., Torino, 1997, 793; Carbone B.G., La nuova disciplina dell’arbitrato per gli appalti di lavori pubblici, in Arch.giur. opere pubbliche, 2001, 795 ss.; Xxxxxxx A., L'arbitrato nella legge quadro sulle opere pubbliche, op. cit., 1996, 172; Id. Commento all’art. 32, I, in Aa. Vv., La legge quadro in materia di lavori pubblici (11 febbraio 1994, n. 109), op. cit., 334; Xxxxxxxxxxxx V., Le prospettive dell’arbitrato nei rapporti amministrativi (tra marginalità, obbligatorietà e consensualità), in Dir. proc. amm. 1998, 241 ss.; La Torre A., L'arbitrato in materia di lavori pubblici, Milano, 2007, 6; Xxxxxxxxxx S., L’arbitrato nel settore delle opere pubbliche, in Riv. amm. app., 1997, p. 331 ss.
29 A norma del quale le disposizioni di legge “ad eccezione di quelle di cui all’articolo 8, nonché di quelle che fanno rinvio al regolamento” si applicavano “ai contratti di appalto di lavori pubblici, alle concessioni di lavori pubblici e agli incarichi di progettazione stipulati o affidati a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge stessa”.
30 Vaccarella R., Commento dell’art. 32 l. 11 febbraio 1994, n. 109, op. cit., 636; Cannada-Xxxxxxx E., L'arbitrato nella legge quadro sui lavori pubblici, op. cit., 430 ss.
In secondo luogo, il suddetto divieto di arbitrato avrebbe integrato, altresì, una violazione degli articoli 3 e 97 della Costituzione, con riferimento ai tempi lunghissimi della giurisdizione ordinaria. La tesi in questione, tuttavia, è stata in breve tempo soppiantata da una immediatamente successiva che negava che l'art. 32 possa incorrere in possibili sanzioni di incostituzionalità.
La devoluzione delle controversie al giudice ordinario, poteva essere considerata una scelta più o meno opportuna e ragionevole, ma di certo non idonea a configurare una violazione di norme costituzionali.
Indipendentemente dai dubbi suscitati dall’art. 32, era l’intera legge quadro ad essere oggetto di numerose divergenze interpretative che ne rendevano estremamente difficoltosa l’applicazione. Queste incertezze, portarono il Governo dapprima a differirne l’entrata in vigore mediante l’emanazione di due decreti legge, mai convertiti32; successivamente, a sostituirla in toto con il decreto legge del 3 aprile 1995, n. 101, convertito nella legge 2 giugno
1995, n. 216 (c.d. Merloni-bis).
31 De Xxxx X., Sub. art. 32, Definizione delle controversie, in Commento alla legge quadro sui lavori pubblici sino alla Merloni-ter a cura di Xxxxxxxxxxx X., Xxxxxxxx M. A., Xxxxxxxxxxx G., Milano, 1999, p. 540.
32 Trattasi del decreto legge 31 maggio 1994 che sospese fino al 31 dicembre 1994 l’intera legge quadro; tale decreto non venne convertito nei termini previsti costituzionalmente, ma venne reiterato con quattro decreti legge che prorogarono il periodo di sospensione fino al 30 giugno 1995. In sede di conversione dell’ultimo dei quattro decreti legge (31 gennaio 1995, n. 26), venne soppressa la disposizione che prevedeva la sospensione degli effetti della legge quadro.
Con la seconda versione (legge 266/95), il legislatore decise di intervenire su entrambi le fasi relative alla risoluzione delle controversie disciplinate dalla legge Xxxxxxx, e quindi sia su quella precontenziosa, sia su quella contenziosa.
Le due fasi, mentre in precedenza erano disciplinate in un unico articolo (l’art. 32), con la legge Merloni-bis il legislatore affidò la loro regolamentazione a due diverse disposizioni: l’art. 31-bis, comma 1, relativo alla fase precontenziosa e l’art. 32 che si occupava, invece, di quella contenziosa.
Per quanto concerne la fase contenziosa, invece, l'art. 32, nella sua riformulazione introdotta con la legge n. 216 del 1995, stabiliva che “ove non si proceda all'accordo bonario ai sensi del comma 1° dell'articolo 31-bis e l'affidatario confermi le riserve, la definizione delle controversie è attribuita ad un arbitrato ai sensi delle norme del titolo VIII del libro quarto del codice di procedura civile34”.
33 Tra l’atro, l’art. 31-bis, comma 1, a differenza di quanti previsto dall’art. 32, comma 1, individuò più precisamente il termine per la proposta di accordo xxxxxxx, fissandolo in novanta giorni dalla iscrizione dell’ultima riserva.
34 Carbone B.G., La disciplina delle controversie nella l. 109/94, op. cit., 154. Sulle disposizioni in materia di procedimento arbitrale nei pubblici appalti introdotte dalla I n 216 del 1995, Xx Xxxxxx X., La risoluzione delle riserve con particolare riguardo all'accordo bonario, in Riv. amm. R.1, 1996, 217, spec. 224 ss.
Si assisteva dunque, nel breve volgere di nemmeno un anno, ad un netto capovolgimento di disciplina, che sembrava rispondere alla necessità di offrire all'Amministrazione tempi brevi e certi per definire il quadro economico-finanziario dell'opera pubblica.
Con la legge n. 216 del 1995, il legislatore tornava ad esprimere quel favor per l'arbitrato che era stato del tutto accantonato nel dettato dell'art. 32 di cui alla legge n. 109 del 1994. Tuttavia, la non precisa formulazione della disposizione aveva dato vita ad una serie di dubbi interpretativi.
Parte della dottrina35 aveva infatti ritenuto di poter rintracciare nella fattispecie una nuova ipotesi di arbitrato obbligatorio, soffermandosi su quella parte della disposizione in cui il legislatore prevedeva che “la definizione della controversia è attribuita ad un arbitrato”.
Al contrario, altra parte della dottrina, consapevole del fatto che questa interpretazione dell’art. 32 lo avrebbe condannato ad una dichiarazione di incostituzionalità, ben conoscendo l’orientamento della Corte Costituzionale in ordine alla legittimità dell’arbitrato obbligatorio, individuava nel rinvio al codice di procedura civile contenuto nella disposizione un significativo indizio del
35 Basilico G., La risoluzione arbitrale di controversie in materia di pubblici appalti, op. cit., p.42; Berlinguer A., A proposito della compromettibilità delle controversie in materia di lavori pubblici, della nomina di arbitri per relationem, dei requisiti di forma ex art. 1341 c.c., ed altro ancora, in Riv. Arb., 1997, p. 759 ss.; D’Angeli F., L’arbitrato convenzionale ed imposto, facoltativo ed inverso, Torino, 1996; Xxxxxxxxx E., L’arbitrato nei lavori pubblici: il giudice togato come arbitro ed altri problemi, in Riv.arb., 1996, p.314; La Torre A., L'arbitrato in materia di lavori pubblici, Milano, 2007, 6;Xxxxx F.P., E' obbligatorio l'arbitrato previsto dalla legge quadro in materia di lavori pubblici, in Riv. arb., 1998, 324; Punzi C., Disegno sistematico dell’arbitrato, 2a ed., Padova 2012, 25.
carattere volontario; infatti il rinvio alle disposizioni del codice di procedura civile consente di ritenere che l’indicativo “è” significava “può essere”, subordinando cosi l’arbitrato pur sempre alla volontà delle parti36. Questa dottrina, tuttavia, era divisa al suo interno in ordine alle modalità con le quali avrebbero dovuto formarsi il consenso delle parti.
Secondo altri autori, invece, ciascuna parte avrebbe potuto proporre domanda sia al giudice ordinario che
36 Sul punto si veda Xxxxxxxxx A., Gli arbitrati obbligatori e gli arbitrati da legge, in Riv. trim. dir. e proc. civ. 2003, 86; Cannada- Xxxxxxx E., L'arbitrato nella legge quadro sui lavori pubblici, op. cit., 466; Caravita di Toritto B., in L’arbitrato e i lavori pubblici, in Italia Oggi, 28 ottobre 1996, 17; Carra S., Legittimi gli incarichi arbitrali ai magistrati per gli appalti anteriori alla legge n. 109/94, in Corr. Giur. 1997, 92 ss.; Xxxxxxx A., L'arbitrato nella legge quadro sulle opere pubbliche, op. cit., 173; Consolo C., L’oscillante ruolo dell’arbitrato al crescere della giurisdizione esclusiva e nelle controversie sulle opere pubbliche (fra semi obbligatorietà ed esigenze di più salde garanzie) in Aa.Vv., Arbitrato e pubblica amministrazione, Milano 1999, 133 ss.; Xxxxxxxxxx A., Note critiche sulle modalità di svolgimento degli arbitrati in materia di opere pubbliche, in Diritto del commercio internazionale, Milano, Xxxxxxx, 1998, 88; Xxxxxxxxxxxx V., Le prospettive dell’arbitrato nei rapporti amministrativi (tra marginalità, obbligatorietà e consensualità), in op. cit. 1998, 241 ss; Xxxxxxxxxx S., L'arbitrato nel settore delle opere pubbliche, op. cit., 333; Xxxxxxxx E., La risoluzione delle controversie negli appalti di opere pubbliche: dall'arbitrato obbligatorio al divieto di arbitrato. Brevi note alla sentenza n. 152/96 della Corte Costituzionale, in Riv. trim. app., 1996, 365; Xxxxxxx G., Arbitrato di diritto comune e amministrazioni pubbliche, op. cit., 29; Xxxxxx M., Arbitrato e lavori pubblici tra normativa statale e regionale: profili problematici, in Riv. trim. app., 1998, 74; Sanino M., La nuova disciplina del contenzioso tra amministrazione committente e appaltatore in materia di opere pubbliche, in Riv. Amm. Appalti, 1996, n. 2, 138; Steccanella M., Xxxxxxx E., La legge quadro in materia di lavori pubblici, op. cit., 152; Viola L., L’arbitrato nei confronti della Pubblica Amministrazione, Piacenza, 2003, 23 ss.
37 Cannada-Xxxxxxx E., L'arbitrato nella legge quadro sui lavori pubblici, op. cit., 466; Carra S., Legittimi gli incarichi arbitrali ai magistrati per gli appalti anteriori alla legge n. 109/94, op. cit., 93; Xxxxxx M., La nuova disciplina del contenzioso tra amministrazione committente e appaltatore in materia di opere pubbliche, op. cit., 138.
Tuttavia le perplessità espresse in ordine al fatto che tale normativa sembrava imporre il ricorso all’istituto de quo ogni qualvolta le parti non fossero riuscite ad addivenire alla conclusione di un accordo bonario, rendendone, conseguentemente incerto il carattere bonario, hanno indotto il legislatore ad intervenire nuovamente e modificarla.
Infatti, la disciplina dei lavori pubblici risultante dalla legge Merloni-bis venne nuovamente revisionata ed integrata nel 1998 e negli anni seguenti ad opera della legge 18 novembre 1998, n. 415 (cd. Merloni-ter), e dalla normativa di attuazione.
5. La Merloni ter (l. 18 novembre 1998 n. 415) e le disposizioni successive.
Nel percorso normativo in materia di lavori pubblici la terza tappa è costituita dalla legge 18 novembre 1998, n. 415 (c.d. Xxxxxxx-xxx) la quale esprimeva la volontà del legislatore di ampliare quanto più possibile il ricorso all'arbitrato rendendolo esperibile per tutte le controversie derivanti dall'esecuzione del contratto di appalto,
38 Xxxxxxx A.M., Opere pubbliche e composizione delle controversie: quale spazio per l'arbitrato? Qualche riflessione, in Riv. trim. app., 1998, 96; Xxxxxxx A., L'arbitrato nella legge quadro sulle opere pubbliche, op. cit., 174; Id. Commento all’art. 32, I, in Aa. Vv., La legge quadro in materia di lavori pubblici (11 febbraio 1994, n. 109), op. cit., 974.
comprese quelle derivanti dal mancato raggiungimento dell'accordo xxxxxxx.
In particolare l'art. 10 della sopra citata legge modificava il testo dell'art. 32 della 1egge n. 109/1994, stabilendo che "tutte le controversie39 derivanti dall'esecuzione del contratto, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell'accordo bonario previsto dal comma primo dell'art. 31-bis, possono essere deferite ad arbitri".
Emergeva chiaramente la volontà del legislatore di evidenziare la facoltatività dell'arbitrato, eliminando i dubbi di legittimità che avevano riguardato la legge Merloni-bis, adeguandosi al costante insegnamento della Corte Costituzionale (sentenza n. 152 del 1996) in ordine alla legittimità costituzionale del solo arbitrato volontario40.
Il legislatore, inoltre, non si limitò ad adottare una formula che ribadiva il principio generale della volontarietà dell’arbitrato di cui agli artt. 806 ed 808 del codice di rito, ma, nel secondo comma dell’art. 32, stabiliva anche che, nel caso in cui le parti avessero optato per l’arbitrato, la gestione del giudizio fosse demandata alla Camera Arbitrale istituita presso l’Autorità Garante per i lavori pubblici ed affidava ad un decreto ministeriale la disciplina del procedimento “nel rispetto dei principi
39 Il riferimento a tutte le controversie, e quindi non solo a quelle per le quali non si era perfezionato l’accordo xxxxxxx, consentì il superamento del problema sorto in precedenza e che aveva portato in dottrina a configurare una duplice parallela disciplina della risoluzione delle controversie.
40 Anche i giudici del Supremo Consesso Amministrativo (Cons. Stato, sez. IV, 17 ottobre 2003, n. 6335) evidenziarono che uno dei tratti salienti della Merloni-ter era costituito dalla natura facoltativa, volontaria o consensuale dell’arbitrato.
del codice di procedura civile” (nonché la determinazione degli onorari per gli arbitri).
Al regolamento di esecuzione era stata demandata anche la “disciplina per la costituzione, cognizione e modalità di funzionamento della Camera, i criteri di ammissione all’albo, della nomina di arbitri secondo i principi di trasparenza, imparzialità e correttezza”.
In dottrina si faceva notare che in tal modo il legislatore aveva dato vita ad un arbitrato “obbligatoriamente amministrato”, intendendo alludere con questa espressione non solo al fatto che si trattava di un arbitrato libero nell’ “an” ma obbligato nel “quomodo”, ma anche, e soprattutto, al fatto che l’unica forma di arbitrato consentita alle parti era quella di un arbitrato amministrato41.
41 Cfr. Xxxxxx X., Art. 32. Definizione della controversia,in Xxxxxxxx A., Xxxxx A., Xxxxxx X., Commentario della nuova normativa dell’appalto di opere pubbliche, Padova, 201, 194; Borghesi D., La camera arbitrale per i lavori pubblici: dall'arbitrato obbligatorio all'arbitrato obbligatoriamente amministrato, in Riv. arb. 2000, p. 682; Buonfrate A., Appalti pubblici: l’arbitrato amministrato dalla Camera arbitrale per i lavori pubblici e il nuovo sistema di risoluzione alternativa delle controversie, in Giur. It., 2001, 877; Buonfrate - X. Xxxxxxxxx, L'arbitrato nei lavori pubblici: dubbi di legittimità e altre questioni aperte, in Riv. trim. app., 2002, 85 ss; Carpi F., Zucconi Xxxxx Xxxxxxx E., Art. 806. Del compromesso, in Aa. Vv., Arbitrato, a cura di Xxxxx X., Bologna 2007, 98; Xxxxxxx A., Commento all’art. 32, I, in Aa. Vv., La legge quadro in materia di lavori pubblici (11 febbraio 1994, n. 109), a cura di Xxxxxxx A. e Clarizia X., Padova, 1994, 1002; Domenichelli V., La risoluzione in via giudiziaria o arbitrale delle controversie in materia di opere pubbliche, in L’appalto di opere pubbliche, a cura di Villata R., Padova, 2001, 879; Luiso F. P., La Camera arbitrale per i lavori pubblici, in Riv. arb., 2000, 419; Matassa N., L’arbitrato nei lavori pubblici dopo la <<Merloni-ter>> e aspettando il regolamento, in Urbanistica e Appalti, 1999, 243 ss.; Punzi C., L'arbitrato per la risoluzione delle controversie negli appalti di opere pubbliche, in Aa. Vv., L'appalto tra pubblico e privato, Milano 2001, 97 ss.; Xxxxxxx G., Profili costituzionali della nuova disciplina degli appalti dell’arbitrato negli appalti pubblici, in L’appalto fra pubblico e privato, Milano, 2001, 161 ss.; Scoca F.G., Osservazioni sulla disciplina dell’arbitrato di lavori pubblici, in Riv. trim. app., 2002, 609; Spagnolo A., In tema di rifiuto di nomina presidenziale
Si trattava di un arbitrato chiaramente di diritto speciale, con un proprio regolamento di procedura, con proprie tariffe stabilite per la prestazione dell'attività di arbitro, che si proponeva di evitare i condizionamenti che avrebbero potuto, anche sulla scorta dell'esperienza passata, incidere sull'imparzialità degli arbitri.
Il meccanismo delineato dalla legge "Merloni-ter" e dalle norme regolamentari di attuazione contenute nel
D.P.R. n. 554 del 1999 era così articolato.
Le parti che avessero deciso di deferire agli arbitri le proprie controversie avrebbero dovuto nominare ciascuna l'arbitro di propria pertinenza e avrebbero dovuto chiedere alla Camera arbitrale per i lavori pubblici la nomina del terzo arbitro con funzioni di presidente del collegio.
In ogni caso, sia per gli arbitri di parte, sia per il presidente, la scelta doveva cadere “tra soggetti di particolare esperienza nella materia oggetto del contratto cui l'arbitrato si riferisce42”.
Questa complessiva qualificazione dei membri del collegio arbitrale non trovava riscontro nelle norme del
dell’arbitro [nota a Cons. Stato, (ord.) 23 giugno 1999, n. 1412], in Corr. Giur. 2000, 817; Verde G., L’arbitrato e la giurisdizione ordinaria, in Aa. Vv., Diritto dell’arbitrato rituale, a cura di X. Xxxxx, 2° ed., Torino, 2000, p. 11.
42 La Camera arbitrale avrebbe dovuto designare il terzo arbitro, traendone il nominativo da un albo da essa tenuto, al quale potevano essere iscritti magistrati ordinari amministrativi e contabili, nonché avvocati dello Stato, in servizio e a riposo, avvocati libero professionisti abilitati al patrocinio avanti alle magistrature superiori, e tecnici laureati in ingegneria e architettura con dieci anni di iscrizione all'albo, professori universitari di ruolo nelle materie giuridiche e tecniche esperti nella materia. Era fissato un regime di incompatibilità per gli arbitri iscritti nell'albo nonché una durata triennale della iscrizione stessa; la fissazione della misura del compenso dovuto dalle parti per la decisione della controversia sarebbe spettata alla Camera arbitrale, alla quale il compenso era peraltro destinato, secondo una particolare tabella tariffaria. La stessa Camera arbitrale avrebbe poi provveduto a liquidare il compenso agli arbitri.
codice di procedura civile e mostrava la preoccupazione del legislatore di assicurare che la funzione giustiziale dell'istituto venisse esercitata da soggetti pienamente idonei sul piano della professionalità e della indipendenza, tenuto conto anche dei suoi riflessi, in termini di costi, sulle pubbliche finanze.
Lo svolgimento del giudizio avrebbe dovuto seguire un suo regolamento, fissato con decreto del Ministro dei Lavori Pubblici di concerto con il Ministro di Grazia e Giustizia (poi emanato con decreto ministeriale 2 dicembre 2000, n. 398), che avrebbe dovuto muoversi nel rispetto del codice di rito, e che in concreto dettò una disciplina molto più puntuale e rigorosa rispetto ai principi di libertà delle forme e di disponibilità che vigevano nel normale giudizio arbitrale.
Si trattava di un arbitrato (obbligatoriamente ex lege) amministrato ma non volontaristico per le regole procedimentali; l’istituzione non aveva, comunque, alcuna facoltà di sindacare il lodo né la validità della clausola compromissoria43.
In più veniva definitivamente sancita la fine della disciplina dell'arbitrato contenuta nel vecchio capitolato e la sua sostituzione con la nuova a far data dall'entrata in vigore del regolamento di attuazione, con automatica sostituzione delle clausole contenute nei contratti già stipulati.
43 TAR Lazio, 14 aprile 2003, n. 3383 (massima redazionale 2003) aveva ritenuto illegittima la sindacabilità di una clausola compromissoria sul presupposto che “è compito della Camera arbitrale verificare l’esistenza delle condizioni formali richieste per la nomina del terzo arbitro e non svolgere un sindacato, sostanziale ed a contenuto giurisdizionale – quindi non riconoscibile ad un organismo amministrativo, stante il divieto costituzionale di istituzione di giudici speciali - sulla sufficienza o meno dei contenuti contrattuali a costituire idonea clausola arbitrale”.
Tuttavia, anche in ordine a questa nuova formulazione dell'articolo 32 si era posta però, sotto un altro profilo una questione intertemporale, controvertendosi sul punto se, una volta entrato in vigore il regolamento di esecuzione richiamato, la nuova disciplina si rendesse applicabile pur in presenza di una domanda di arbitrato già proposta in vigenza della preesistente normativa ma non ancora seguita dalla costituzione del collegio arbitrale.
La risposta è stata, prevalentemente, in senso affermativo, argomentandosi dalla testuale previsione del comma 4, seconda parte, dell'articolo citato, secondo cui dalla data di entrata in vigore del regolamento predetto “... il richiamo ai collegi arbitrali da costituire ai sensi della normativa abrogata, contenuto nelle clausole dei contratti di appalto già stipulati, deve intendersi riferito ai collegi da nominare con la procedura camerale secondo le modalità previste dai commi precedenti ed i relativi giudizi si svolgono secondo la disciplina da essi fissata44”.
6. L'assetto dell'arbitrato nel decreto legislativo
n. 190 del 2002 (c.d. legge obiettivo).
44 Vedi Matassa N., op. cit., 737. Nello stesso senso si è anche pronunciata la Camera arbitrale con determinazione 15 novembre 2000, n. 52. Nel senso, invece, che va applicata la vecchia normativa qualora, antecedentemente all'entrata in vigore del regolamento di esecuzione, vi sia stata la mera proposizione della domanda di arbitrato, vedi la circ. Min. ll.pp.7 settembre 2000, n. 1329/400/19. Ancora più radicalmente lodo arbitrale (Matera) 24 febbraio 2001, in Arch. giur. oo.pp., 2001, 1078, che ha affermato che in caso di controversia arbitrale risultante non ancora pendente alla data del 28 luglio 2000, la composizione del collegio può avvenire conformemente a quanto previsto nella clausola compromissoria (nella specie risalente al 1992).
Tra le fonti che regolavano la definizione delle controversie in materia di opere pubbliche, un ruolo importante era assunto dal capitolato generale d'appalto dei lavori pubblici, nella nuova versione contenuta nel decreto ministeriale del 19 aprile 2000, n. 145.
In particolare l'art. 33 del capitolato, norma rubricata “Tempo del giudizio”, non soltanto stabiliva che la domanda (sia innanzi agli arbitri, sia davanti al giudice ordinario) andava proposta dall'appaltatore entro un termine di decadenza esplicitamente previsto in sessanta giorni45, ma prescriveva, altresì, che la controversia non poteva svolgersi, almeno in sede arbitrale, prima che fossero decorsi i termini accordati alla stazione appaltante dall'art. 32 del citato decreto ministeriale n. 145 del 2000, per vagliare le pretese e le riserve dell'appaltatore, sempre che non avessero ad oggetto questioni la cui definizione non fosse differibile nel tempo e non vi fosse un diverso accordo delle parti (art. 33, comma 2, decreto ministeriale n. 145 del 2000).
Infine, il comma 3 dell'art. 33 prescriveva che le domande di arbitrato formulate nell'ambito dello stesso appalto in relazione a diverse procedure di accordo bonario andavano decise in un unico giudizio “ai sensi del comma 2”.
Quanto al regolamento n. 398 del 2000, era possibile rilevare come, ex art. 32, comma 2, della legge n. 109 del
45In argomento vedi Sciumè A., Xxxxxx Xxxxxxxx D., Il nuovo capitolato generale di appalto dei lavori pubblici. Commento al d.m. 19 aprile 2000, n. 145, in Le nuove leggi amministrative, commenti coordinati da X. Xxxxxx, Xxxxxx, 0000; vedi anche Borghesi D., La camera arbitrale per i lavori pubblici: dall'arbitrato obbligatorio all'arbitrato obbligatoriamente amministrato, op. cit., p. 688; Id., Il regolamento di procedura della camera arbitrale per i lavori pubblici, in Corr. giur., 2001, p. 944 ss., spec. p. 946.
1994, le norme di procedura del giudizio arbitrale erano determinate con decreto ministeriale “nel rispetto dei principi del codice di procedura civile”.
Ciò significava che il suindicato «Regolamento recante le norme di procedura del giudizio arbitrale» (decreto ministeriale n. 398 del 2000) assolveva la funzione di disciplinare il procedimento arbitrale che l'art. 816 c.p.c. (attualmente art. 816-bis c.p.c., introdotto dal decreto legislativo n. 40 del 2006) lasciava invece alla libera volontà delle parti, o, in subordine, a quella degli arbitri, ma si doveva comunque ispirare ai principi posti alla base del codice di rito, anche se non alle particolari norme ivi stabilite.
Per tale ragione si è sostenuto che si trattava di una procedura arbitrale speciale, da intendersi non nel senso che essa si contrapponeva a quella ordinaria regolata nel codice di rito, quanto piuttosto nel senso che “non può essere liberamente plasmata dalle parti”, come di solito succedeva, dato che “lo spazio lasciato a queste dall'art. 816 c.p.c.” veniva ampiamente occupato dalle disposizioni previste in maniera vincolante dal regolamento della camera arbitrale e soprattutto da quello di procedura (decreto ministeriale n. 398 del 2000).
Il lungo, e travagliato, iter formativo dell’art. 32 si concludeva con la legge 166/2002 (c.d. Xxxxxxx-xxxxxx) che aveva novellato, senza modifiche rilevanti, l’istituto con l’abrogazione di tutte “le disposizioni che, in contrasto con i precedenti commi, prevedono limitazioni ai mezzi di risoluzione delle controversie nella materia dei lavori pubblici” (comma 4 bis). Si trattava di una legge in cui la scelta fra il perseguimento degli obiettivi
Particolarmente interessante risultava l’art. 7 della legge in questione che aveva sostituito il comma 1 del suddetto art. 31-bis della 1egge n. 109/1994 (e successive modificazioni), con i commi da 1 a 1-quater.
In forza della nuova normativa veniva stabilito che in materia di appalti e di concessioni, quando a seguito di iscrizioni di riserve il valore economico dell'opera potesse variare in misura sostanziale e in ogni caso in misura non inferiore al 10% dell'importo contrattuale, o comunque in
46 Clarich M., La legge Merloni quater tra instabilità e flessibilità, in Corr. giur., 2002, p. 1401 ss.; vedi anche Breganze M., Pianificazione urbanistica degli enti locali e programmazione triennale dei lavori pubblici dopo la legge Merloni quater, in Riv. giur. urbanistica, 2003,
p. 67. È da notare che l'esigenza di semplificazione, espressa dalla legge Merloni-quater, viene condivisa anche da un recente decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 22 giugno 2004 (pubblicato sulla G.U. n. 151 del 30.6.2004) che prevede la pubblicazione sui siti internet predisposti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dalle regioni e dalle province autonome del programma triennale e dell'elenco annuale dei lavori pubblici, nonché dei relativi aggiornamenti.
47 Luiso F. P., La Camera arbitrale per i lavori pubblici, op. cit. 411 ss.; Id., Il regolamento del processo arbitrale per i lavori pubblici, op. cit.; G. Verde, Le funzioni «paragiurisdizionali» della Camera arbitrale per i lavori pubblici, ivi, 2001, 155 ss.; Pelillo S., Il nuovo arbitrato in materia di opere pubbliche, in Riv. arb. 2001, 789 ss.; Xxxxxxx P., Gli arbitrati nei lavori pubblici: la procedura, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 31 ss.; Xxxxxxxxx A. – Xxxxxxxxx A., L'arbitrato nei lavori pubblici: dubbi di legittimità e altre questioni aperte, op. cit., 2002, 85 ss.
misura indipendente dall'importo, in presenza del certificato di collaudo o di regolare esecuzione, il responsabile del procedimento doveva promuovere la costituzione di una commissione affinché formulasse proposta motivata di accordo bonario entro novanta giorni dall’apposizione dell’ultima delle riserve.
Il giudizio arbitrale amministrato, prima previsto per quasi tutti i soggetti destinatari della legge quadro, venne infatti limitato alle sole amministrazioni dello Stato, agli enti pubblici anche economici, alle amministrazioni e agli enti locali, e agli organismi di diritto pubblico.
Nel medesimo periodo di tempo venne emanata la legge 20 agosto 2002, n. 190 (c.d. legge obiettivo)49 recante la disciplina della concessione di costruzione e di gestione, nonché per l’affidamento al contraente generale di opere pubbliche ritenute di particolare rilevanza strategica50.
L’art. 12, rubricato “risoluzione delle controversie” si occupava della disciplina dell’arbitrato.
Per quanto riguarda l’ambito applicativo della disposizione, il primo comma dell’art. 12 individuava
00 Xx Xxxxxxxx X., Xx nuova riforma dei lavori pubblici, in Urbanistica e appalti, 2002, 1290 ss.
49 Sul punto Di Pace R., Gli appalti di opere pubbliche. Dal collegato infrastrutture alla legge obiettivo, in Montedoro G. -. Di Pace R (a cura di), Milano, 2003, 175 ss.; Volpe C., Risoluzione delle controversie e norme processuali nella legge obiettivo. Alcune considerazioni sugli artt. 12 e 14 del d.lgs. 20 agosto 0000, x. 000, xx xxx.xxxxxxxxx-xxxxxxxxxxxxxx.xx , x. 00-0000.
50 Vedi Volpe C., op. cit.; De Nictolis X., Il nuovo contenzioso in materia di appalti pubblici, op. cit., pp. 480-482; Xxxxxxxxx X. - Di Pace R., Gli appalti di opere, op. cit, p. 343.
Era quindi evidente come l’ambito applicativo della disposizione fosse quello stesso dell’art. 32 della legge
109 del 1994 e come, quindi, non sussistevano differenziazioni degne di nota rispetto alla disciplina in materia di lavori pubblici.
Sempre il primo comma dell’art. 12 del decreto legislativo n. 190 del 2002 limitava poi al solo arbitrato rituale di diritto52 le clausole compromissorie che le parti potevano scegliere di stipulare relativamente agli interventi rientranti nella disciplina della cd. legge obiettivo.
51 Per quanto concerne l’ambito di applicazione della disciplina di cui all’art. 12 si veda Xxxxxxx A., Commento all’art. 32, II, in Aa. Vv., La legge quadro in materia di lavori pubblici (11 febbraio 1994, n. 109), a cura di Xxxxxxx A. e Clarizia A., Padova, 1994, 1575; Di Pace R., Gli appalti di opere pubbliche, op. cit., 343; Domenichelli V., La risoluzione in via giudiziaria o arbitrale delle controversie in materia di opere pubbliche, op. cit., 1051; Volpe C., Risoluzione delle controversie e norme processuali nella legge obiettivo. Alcune considerazioni sugli artt. 12 e 14 del d.lgs. 20 agosto 2002, n. 190, op.
cit., 729 ss.
52 Al riguardo si può notare come, mentre l’art. 32 della legge quadro ed anche la normativa di attuazione non vincolavano le parti ad un giudizio di diritto, l’articolo in commento, derogando all’art. 822
c.p.c. imponeva la decisione secondo diritto.
53 Per quello che riguarda lo svolgimento del giudizio, l’art. 12 del d.lgs. 190 del 2002 prevedeva: 1) l’applicazione delle disposizioni del codice di procedura civile e non del d.m. 398 del 2000 (art. 12,1° comma d.lgs. 190 del 2002); 2) l’obbligo, per ciascuna delle parti, di nominare l'arbitro di propria competenza, scelto fra professionisti
Dall’esame dell’art. 12 in commento, emergevano alcune significative differenze rispetto alla strutturazione “ordinaria” dell’arbitrato in materia di opere pubbliche dell’epoca costituite: (i) dal ritorno alla disciplina del codice di procedura civile, così superando “le perplessità relative alla sede dell’arbitrato, al rigido sistema di preclusioni, all’improcedibilità della domanda di arbitrato in caso di mancato deposito dell’acconto54” ingenerate da alcune previsioni del decreto ministeriale n. 398 del 2000; (ii) dalla restituzione alle parti del potere di scelta anche del terzo arbitro, limitando l’intervento della Camera arbitrale alla sola ipotesi del disaccordo delle parti in ordine alla scelta (così riproducendo soluzioni proprie delle Camere arbitrali operanti nel settore privatistico);
(iii) dal ritorno al meccanismo previsto dall’art. 814 c.p.c. per quello che riguardava la liquidazione dei compensi
aventi particolare esperienza nella materia dei lavori pubblici, nella domanda di arbitrato o nell'atto di resistenza (art. 12, 2° comma d.lgs.
190 del 2002); 3) la devoluzione dell’arbitrato ad un collegio composto da tre membri, di cui due nominati dalle parti ed il terzo, con funzioni di presidente del collegio arbitrale, nominato, d'accordo, dagli arbitri di parte o dalle parti stesse, tra i magistrati amministrativi e contabili, nonché tra gli avvocati dello Stato nel caso in cui non ne sia stato nominato uno quale arbitro di parte e l'Avvocatura dello Stato non sia difensore di una delle parti in giudizio (art. 12, 3° e 4° comma d.lgs. 190 del 2002);
4) la devoluzione della nomina del terzo arbitro, ove le parti non si siano accordate al proposito, alla Camera arbitrale per i lavori pubblici, tra i soggetti iscritti all’albo degli arbitri previsto dal d.p.r. 554 del 1999 (art. 12, 4° comma d.lgs. 190 del 2002); 5) l’attribuzione del potere di nomina del Segretario al Collegio (e non al Presidente dello stesso), tra persone “di propria fiducia”;6) l’eventuale nomina del consulente d’ufficio, all’interno dell'apposito elenco tenuto dalla Camera arbitrale (art. 12, 4° comma d.lgs. 190 del 2002); 7) la liquidazione dei compensi spettanti agli arbitri nella misura prevista in apposito regolamento emanato ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. 190 del 2002 e non secondo la tariffa allegata al d.m. 398 del 2000 (art. 12, 6° comma d.lgs. 190 del 2002).
00 Xx Xxxxxxxx X., L’arbitrato delle pubbliche amministrazioni, dalla legge Merloni alla legge 166/2002 op. cit., 1021 e L’arbitrato in materia di opere pubbliche op. cit., 1697; Xxxxxxxx E., Le modifiche apportate all’arbitrato negli appalti dei lavori pubblici dalla legge 80/2005 op. cit., 259.
spettanti agli arbitri (sia pure sulla base di apposito regolamento da emanarsi ai sensi dell’art. 15 d.lgs. 190 del 200255) e (iv) da una maggiore libertà del Collegio nella scelta del segretario.
In sostanza, quindi, come ha affermato la migliore dottrina, l’intera operazione poteva essere sintetizzata in un quadro ricostruttivo fondato su “due diverse discipline dell’arbitrato, a seconda delle opere pubbliche che si eseguono, e se quello previsto dalla l. 109/94 è un arbitrato rituale di diritto, volontario ed amministrato, l’altro presenta le medesime caratteristiche solo che è amministrato in maniera meno estesa ed incisiva e lo si può definire mini-amministrato56”.
Rimaneva, comunque, il dubbio di fondo costituito dall’opportunità di dettare una simile disciplina derogatoria relativamente ad interventi che comunque potevano essere riportati, senza alcuna difficoltà, al più ampio genus dei lavori pubblici; e sarebbe forse stato preferibile evitare il rischio di dettare una disciplina derogatoria di problematica giustificazione, attraverso un mero rinvio all’arbitrato previsto dall’art. 32 della legge n. 109 del 1994.
55 In questo senso già De Nictolis R., L’arbitrato in materia di opere pubbliche op. cit., 1697; Xxxxxxxx E., Le modifiche apportate all’arbitrato negli appalti dei lavori pubblici dalla legge 80/2005 op. cit., 259.
56 De Nictolis R., L’arbitrato delle pubbliche amministrazioni, dalla legge Merloni alla legge 166/2002 op. cit., 1021 e L’arbitrato in materia di opere pubbliche op. cit., 1696.
7. La sentenza 17 ottobre 2003 n. 6335 del Consiglio di Stato e la crisi del sistema.
Il quadro normativo sino ad ora descritto relativo all’arbitrato in materia di appalti pubblici, venne parzialmente stravolto dalla nota sentenza del Consiglio di Stato n. 6335 del 17 ottobre 2003.
Già l’intervento dell’art. 12 del decreto legislativo 20 agosto 2002 n. 190 era indicativo, soprattutto, per gli aspetti relativi alla nomina del terzo arbitro, di una crisi ormai incombente del sistema di arbitrato amministrato previsto dall’art. 32 della legge n. 109 del 1994 (e dagli atti normativi attuativi) e della necessità di incamminarsi verso nuove strade.
Il colpo definitivo all’intero sistema venne dato dalla decisione della IV Sezione del Consiglio di Stato n. 6335 del 17 ottobre 2003, con cui i giudici di Palazzo Spada hanno inciso nell’arbitrato regolamentato dalla legge n. 109/1994 annullando alcune norme secondarie dettate dal
d.P.R. n. 554/1999 in quanto ritenute illegittime.
In particolare il Consiglio di Stato venne chiamato a pronunciarsi in ordine alla legittimità di diverse norme regolamentari e precisamente (i) quelle riguardanti la nomina del terzo arbitro (art. 150, comma 3)57, (ii) la formazione dell’albo degli arbitri della Camera arbitrale
57 I giudici amministrativi ritennero illegittimo, e perciò annullarono l’art. 150, comma 3, del regolamento nella parte in cui “sottrae alla libera determinazione delle parti la scelta del terzo arbitro con funzioni di presidente, attribuendola alla Camera arbitrale”. Parte della dottrina (La Torre A., L’arbitrato in materia di lavori pubblici, op. cit., 86) ha affermato che, a differenza di quanto precisato dal Consiglio di Stato, la disposizione in questione non costitutiva una novità nell’ordinamento, in quanto in materia di appalti pubblici, da sempre, una parte del collegio arbitrale era nominata da soggetti differenti dalle parti.
La parte più interessante della pronuncia adottata dai giudici del Supremo Consesso Amministrativo è indubbiamente costituita dal valore determinante attribuito alle norme del codice di rito in materia di nomina degli arbitri (art. 809 e ss. c.p.c.).
Se si volesse ritenere che il regolamento era rispettoso dei limiti stabiliti dall’art. 32 della legge n. 109/1994, vi sarebbe contrasto con i principi essenziali stabiliti dagli artt. 809 e seguenti del codice di rito, espressamente richiamati dalla legge, e che rimettevano alle parti il potere di stabilire il numero e le modalità di nomina degli arbitri.
La garanzia del carattere volontario dell’arbitrato è pertanto strutturalmente incompatibile con un sistema che
58 Il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza n. 6335 del 17 ottobre 2003 ha annullato la sentenza del TAR Lazio che ha ritenuto legittime le previsioni regolamentari; cfr. il commento alla sentenza del TAR Lazio in Riv. Trim. App., 2003, 727, con nota adesiva di Xxxxxxxx D., La camera arbitrale per i lavori pubblici non viola l’autonomia negoziale delle parti, in Foro Amm., Tar 2002, 2092 ss.
59 Sul punto, parte della dottrina (La Torre A., L’arbitrato in materia di lavori pubblici, op. cit, 2007, 89) ritiene che, anche la disciplina dell’arbitrato societario di cui al d. lgs. n. 5 del 2003 sottraeva alle parti il potere di nominare gli arbitri.
60 Cons. Stato, Sez. IV, 17 ottobre 2003 n. 6335.
Il Consiglio di Stato, cioe’, ha dichiarato l’illegittimità del sistema di scelta del terzo arbitro rimesso esclusivamente alla Camera arbitrale perché confliggente con i principi costituzionali i quali consentivano la giustizia arbitrale solo se frutto della libera scelta delle parti, non solo nell’individuazione dell’arbitrato come strumento di risoluzione delle controversie, ma anche nella scelta degli arbitri; e, in specie, del terzo arbitro per il quale, in caso di disaccordo tra le parti, può ammettersi la nomina ad opera di un organo terzo e giurisdizionale che non può identificarsi nella Camera arbitrale, organo amministrativo anche se operante in piena autonomia ed indipendenza.
Infatti il regolamento di attuazione, a norma dell’art. 32, si sarebbe dovuto occupare della composizione e delle modalità di funzionamento della Camera arbitrale, nonché della fissazione dei criteri per assumere l’incarico di arbitro, e, infine, della durata dell’incarico stesso. Pertanto, nulla che avesse a che fare con la composizione del collegio arbitrale o con le modalità di nomina dei suoi componenti.
Infine, i giudici amministrativi hanno osservato che la disciplina delle modalità di composizione del collegio
61 Sulla mancanza di copertura legislativa dell’art. 150 del regolamento nella parte in cui si occupava della composizione del collegio arbitrale e la nomina del terzo arbitro, si veda Scoca F.G., Osservazioni sulla disciplina dell’arbitrato di lavori pubblici, in Riv. trim. app., 2002, 609; Spagnolo A., La riforma dell’arbitrato delle opere pubbliche, in Urb. e appalti, n. 9/2001, 947.
La pronunzia del giudice amministrativo ha aperto una lacuna in un punto rilevante e delicato quale e` quello della nomina del terzo arbitro ed ha posto, in concreto, tre problemi: (i) la sorte dei procedimenti non definiti e per i quali la nomina del terzo arbitro era avvenuta da parte della Camera arbitrale per i lavori pubblici; (ii) come scegliere il terzo arbitro per gli arbitrati da iniziare e (iii) la legittimità degli arbitrati già definiti.
Per quelli pendenti, si e` superata la questione con la scelta del terzo arbitro d’accordo tra le parti che hanno confermato, in quasi tutti i casi, l’arbitro già nominato dalla Camera arbitrale per i lavori pubblici63; in mancanza di una soluzione concordata, il procedimento si sarebbe dovuto definire con una pronunzia di improcedibilità per illegittima composizione del Collegio.
Per gli arbitrati da iniziare, il terzo arbitro e` stato scelto d’accordo tra le parti e, in mancanza, e` stato
62 Vedi Spagnolo A., La riforma dell’arbitrato delle opere pubbliche, op. cit., 948. In senso discordante rispetto a quanto deciso dai giudici del Consiglio di Stato, v. La Torre A., L’arbitrato in materia di lavori pubblici, op. cit, 2007, 88.
63 Secondo parte della dottrina, in caso di mancata ratifica della nomina del terzo arbitro nominato dalla Camera arbitrale, le parti potevano procedere alla nomina di un nuovo terzo arbitro con facoltà di ratificare o meno gli atti già compiuti dal collegio. Sul punto si veda Carbone L., L’arbitaro in materia di lavori pubblici: libero, amministrato o entrambe le cose?, in Arch. giur. OO.PP., 2003, 829.
nominato dal Presidente del Tribunale64. Per il resto, l’arbitrato ha continuato ad essere amministrato dalla Camera arbitrale per i lavori pubblici.
Quanto ai lodi arbitrali già definiti, la tesi prevalente fu quella secondo la quale il lodo arbitrale era da considerarsi viziato ai sensi dell’art. 829, comma 1, n. 2, c.p.c.65 sicché i lodi arbitrali ancora impugnabili avrebbero potuto essere impugnati solamente se, in ossequio a quanto previsto nell’art. 829, comma 1, n. 2 c.p.c., nel corso del giudizio arbitrale fosse stata sollevata la relativa eccezione per cui il vizio non poteva essere fatto valere se non fosse stato dedotto nel giudizio arbitrale 66. Invece, i lodi arbitrali divenuti non più impugnabili non potevano più essere impugnati67.
64 Per la competenza territoriale, il Presidente del Tribunale di Roma ha, su espressa eccezione, declinato la propria competenza, dovendo decidere, a seguito dell’annullamento da parte del Consiglio di Stato delle norme dettate dal D.P.R. n. 554/99 sulla nomina del terzo arbitro, il «presidente del tribunale del luogo in cui e` stato stipulato il compromesso o il contratto al quale si riferisce la clausola compromissoria» (art. 810 c.p.c.): ordinanza inedita del 27/28 luglio 2004 che ha dichiarato la competenza territoriale del Tribunale di Lucera perché il luogo di conclusione del contratto e` stato Volturino (FG).
65 Lombardini I., La parola al Consiglio di Stato: la recente svolta nella disciplina dell'arbitrato nei lavori pubblici, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2004, 1595. In senso contrario, invece, Xxxxxxxxxx L., Gli effetti sentenza n. 6335 del Consiglio di Stato sugli arbitrati in corso: una deflagrazione?, in Riv. amm. app., 2003, 217 ss.
66 Carbone L., L’arbitaro in materia di lavori pubblici: libero, amministrato o entrambe le cose?, op. cit., 829; Follieri E., Le modifiche apportate all’arbitrato negli appalti dei lavori pubblici dalla legge 80/2005 op. cit., 260; Lombardini I., La parola al Consiglio di Stato: la recente svolta nella disciplina dell'arbitrato nei lavori pubblici, op. cit., 1595 ss.
67 Carbone L., L’arbitaro in materia di lavori pubblici: libero, amministrato o entrambe le cose?, op. cit., 829; Lombardini I., La parola al Consiglio di Stato: la recente svolta nella disciplina dell'arbitrato nei lavori pubblici, op. cit., 1595 ss. Vi era anche chi in dottrina (Buonfrate A, Arbitrato negli appalti pubblici: il terzo arbitro è neutrale solo se nominato d’accordo tra le parti, op. cit., 538) riteneva che la sentenza non poteva avere effetti per i lodi già depositati.
8. La regolamentazione dell’arbitrato secondo la legge di competitività (legge n.80/2005).
In seguito alla pronuncia del Consiglio di Stato, in dottrina68 si era auspicato un intervento del legislatore arrivato in occasione della conversione in legge del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35 recante disposizioni urgenti nell’ambito del piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale, ovvero il c.d. decreto legge sulla competitività. Con la legge di conversione del 14 maggio 2005 n. 8069, vennero introdotti all’art. 5 del decreto legge due nuovi commi, il comma 16-sexies e il
68 Sul punto si veda Buonfrate A, Arbitrato negli appalti pubblici: il terzo arbitro è neutrale solo se nominato d’accordo tra le parti, in Giur. it., 2004, p. 538; Carbone L., L’arbitaro in materia di lavori pubblici: libero, amministrato o entrambe le cose?, op. cit. 831; Xxxxxxxx L, Xxxxxxxx F., Il Consiglio di Stato <<riscrive>> la disciplina sull’arbitrato in tema di opere pubbliche, in Foro it., 2004, III, 78; De Xxxx X., Perché l’arbitrato amministrato sia realmente volontario, in Arch. giur. OO.PP., 2003, 811 ss.; Xxxxxxx X., Nisati M., La composizione dei collegi arbitrali dopo la dichiarazione di illegittimità dell’art. 150, 3° comma, D.P.R. 21 dicembre 0000, x 000, xx Giur. It. 2004, 69; Campegiani C., Papi C., L’arbitrato amministrato in materia di lavori pubblici. Gli effetti della sentenza del Consiglio di Stato n. 6335 del 2003, in Giust. Civ., 2004, II, 353; De Robertis A., L’arbitrato nell’appaltodei lavori pubblici e la camera arbitrale, in Giust. Civ., 2004, II, 1658 ss.; Gentile C., Montedoro G., Il futuro dell’arbitrato in materia di lavori pubblici fra interventi della giurisprudenza e lacune della formazione, in Dir. proc. amm., 2005, 545; Lombardini I., La parola al Consiglio di Stato: la recente svolta nella disciplina dell'arbitrato nei lavori pubblici, in op. cit.., 752; Signoretti S., Stop del Consiglio di Stato all’arbitrato necessariamente amministrato nei contratti di appalto e via libera al principio di volontarietà delle parti, in Riv. amm. app., 2003, 127 ss.; Xxxxxx G., Appalti pubblici di lavori ed arbitrato. Alcune considerazioni sull’evoluzione del meccanismo di risoluzione anche alla luce della pronuncia del Consiglio di Stato 17 ottobre 2003, n. 6335, in Riv. trim. app., 2004, 627 ss.; Xxxxxxxxxx L., Gli effetti sentenza n. 6335 del Consiglio di Stato sugli arbitrati in corso: una deflagrazione?, op. cit., 226.
69 Recante altresì “Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali”.
comma 16-xxxxxxx00, entrambi dedicati alla materia arbitrale.
Un nuovo panorama normativo emerge dall'art. 5, comma 16-sexies, 1. n. 80 del 2005 il quale ha unificato in un unico testo la fattispecie arbitrale contenente i lavori pubblici ordinari, con quella prevista specificamente per le controversie relative all’esecuzione di appalti pubblici concernenti la realizzazione di infrastrutture strategiche (art. 12, d.lgs. 20 agosto 2002, n. 190).
In particolare, l’art. 5, comma 16-sexies del decreto legge 14 marzo 2005 n. 35 modificava il secondo comma dell’art. 32 della legge 11 febbraio 1994 n.109, introducendo un comma 2-bis e un comma 2-ter, destinati a dettare una disciplina più articolata dell’istituto arbitrale71.
Dalla modifica legislativa emerge una sistematica complessiva fondata su due modelli diversificati, quello ordinario e quello amministrato, e l'arbitrato venne unificato sia per i contratti relativi alle opere ordinarie sia per quelli relativi a quelle strategiche.
L'applicazione dell'uno o dell'altro dipendeva dalle intese maturate tra le parti in ordine alla nomina del presidente del collegio, cosicché, ove vi fosse stata
70 Tale previsione è stata introdotta al fine di dare una disciplina compiuta alla fase transitoria, stabilendo la salvezza delle procedure arbitrali definite o anche solo introdotte alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge “purchè risultino rispettate le disposizioni relative all’arbitrato” contenute nel codice di rito oppure nell’articolo 32 della legge 11 febbraio 1994, n. 109 così come modificato dal comma 16- sexies. Entrambi i comma, inseriti dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, in sede di conversione vennero successivamente abrogati dall'articolo 256 del D.Lgs. 12 aprile 2006,
n. 163, con decorrenza 1° luglio 2006, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 257 del medesimo decreto.
71 Lombardini I., Il nuovo assetto dell'arbitrato nei lavori pubblici ex art. 5, comma 16-sexies, l. n. 80 del 2005: riforma o controriforma?, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 225 ss
concordia tra le parti sulla nomina del terzo arbitro era applicabile la disciplina codicistica; ove, invece, l'accordo non fosse stato trovato, la nomina era demandata alla Camera arbitrale con conseguente applicazione del procedimento camerale.
Il primo modello riguardava le ipotesi in cui le parti si fossero accordate per la nomina del terzo arbitro; in questo caso, al giudizio arbitrale si applicavano le disposizioni del codice di procedura civile, salvo quanto previsto all'articolo 9, comma 4 del decreto ministeriale 2 dicembre 2000 n. 398 sull’obbligo di depositare il lodo presso la Camera arbitrale dei lavori pubblici entro dieci giorni dall’ultima sottoscrizione, “nonché l'obbligo di applicazione da parte del collegio arbitrale delle tariffe di cui all'allegato al predetto regolamento72” (art. 32, comma 2, legge 109 del 1994, come modificato dall’art. 5, comma 16-sexies del decreto legge 14 marzo 2005 n. 35). Il comma 2-bis prevedeva che all’atto del deposito del lodo gli arbitri dovessero corrispondere una somma pari all’uno per diecimila del valore della relativa controversia73.
72 In dottrina (La Torre A., L’arbitrato in materia di lavori pubblici, op. cit, 2007, 105) si osservò che, se con questa previsione il legislatore aveva voluto frenare la tendenza alle autoliquidazioni eccessive, si trattava di un rimedio illusorio dal momento che la tariffa poteva essere applicata con notevole elasticità dagli arbitri.
73 Per le modalità del deposito,si veda il comunicato dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici del 26 maggio 2005. Successivamente l’art. 1, comma 70, della legge 23 dicembre 2005 n. 266, recante “disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006)”, sostituì la parola “diecimila” con “mille”. Con il successivo comma 71, inoltre, venne stabilito che gli importi dovuti alla Camera arbitrale dovevano essere versati direttamente all’Autorità per i lavori pubblici. Sul punto si veda La Torre A., L’arbitrato in materia di lavori pubblici, op. cit, 2007, 107, il quale ha aderito alla tesi della Camera arbitrale secondo la quale il versamento in questione era dovuto, nonostante la collocazione
In questo caso, è quindi evidente come l’istituto arbitrale si avvicinava fortemente alla sistematica del codice di rito, tanto da perdere quasi la caratterizzazione fondamentale in termini di arbitrato amministrato tanto che in dottrina si è arrivati a ritenere che “il primo non è arbitrato amministrato, ma rimesso alla libertà ed autonomia delle parti, in applicazione delle norme del codice di procedura civile, con i due correttivi di cui si è detto e che non gli fanno assumere il carattere dell’arbitrato amministrato74”.
Il secondo modello, invece, riguardava le ipotesi in cui le parti non fossero accordate per la nomina del terzo arbitro; in questo caso, alla nomina avrebbe dovuto provvedere la Camera arbitrale, ad iniziativa della parte più diligente, scegliendolo nell'albo previsto dal regolamento di cui al d.p.r. 21 dicembre 1999 n. 554 ed al giudizio sarebbero stato integralmente regolamentato dalle norme di cui al decreto ministeriale dei lavori pubblici 2 dicembre 2000 n. 398 (art. 32, comma 2-ter, l. 109 del
1994, introdotto dall’art. 5, comma 16-sexies del d.l. 14
In sostanza, il secondo modello era quindi caratterizzato da quelle profonde deroghe all’istituto di diritto comune previste dal d.p.r. 21 dicembre 1999 n. 554
topografica della disposizione, anche per gli arbitrati nei quali il presidente veniva nominato su accordo delle parti..
74 Xxxxxxxx E., Le modifiche apportate all’arbitrato negli appalti dei lavori pubblici dalla legge 80/2005, op. cit., 261.
75 In dottrina (Buonfrate A., Arbitrato, accordo bonario e altri strumenti di risoluzione alternativa nelle controversie dei contratti pubblici relativi a lavori, forniture e servizi, in Aa. Vv., Codice degli arbitrati, delle conciliazioni e di altre ADR, a cura di Xxxxxxxxx A. e Xxxxxxxxxxx Xxxxxxx, Torino 2006, 255 ss.) si è osservato che a seguito della nuova formulazione dell’art. 32, il rinvio effettuato dall’art. 1, comma 1, del decreto ministeriale n. 398/2000, all’art. 32 comma 2 doveva intendersi riferito all’art. 32, comma 2-ter.
e dal decreto ministeriale 2 dicembre 2000 n. 398 (nomina del terzo arbitro da parte della Camera arbitrale; preclusioni alle modificazioni della domanda o dell’atto di resistenza; preregolazione rigida dello svolgimento del giudizio; ecc.) che hanno indotto la dottrina ad inquadrare pienamente l’istituto all’interno della categoria del cd. arbitrato amministrato.
Queste alternative procedimentali non ricalcavano le regole stabilite dall’art. 12 del D. Lgs. 20 agosto 2002 n. 190 per l’arbitrato relativo alle grandi opere infrastrutturali della legge obiettivo. Infatti, quest’ultimo presentava parte delle caratteristiche dell’uno e parte dell’altro modello e alcune soluzioni proprie: il terzo arbitro doveva essere scelto dalle parti, ma tra una cerchia ben individuata di soggetti e cioè magistrati amministrativi e contabili, nonché tra gli avvocati dello Stato (soluzione propria) e, in caso di mancato accordo, Camera arbitrale, scegliendolo nell’albo previsto dal D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554 (secondo modello). Il collegio procedeva alla nomina del segretario di sua fiducia, senza che dovesse individuarlo tra il personale della Camera arbitrale (primo modello); il
C.T.U. veniva scelto nell’apposito elenco tenuto dalla Camera arbitrale (secondo modello); i compensi spettanti agli arbitri non erano determinati con la tabella allegata al
D.M. 2 dicembre 2000 n. 398, ne´ in base alle tariffe professionali, ma con il regolamento previsto dall’art. 15 del D. Lgs. n. 190/2002 (soluzione propria); l’arbitrato era regolato, per il resto, dalle norme dell’arbitrato dettate dal codice di procedura civile (primo modello).
Se si guarda poi al cd. secondo modello (vero e proprio punto critico dell’intera architettura dell’istituto), il senso
più profondo dell’intera operazione balza immediatamente agli occhi e si evidenzia nel tentativo di superare i limiti normativi che avevano indotto il Consiglio di Stato, sez. IV, 17 ottobre 2003 n. 6335 ad annullare le previsioni del
d.p.r. 554 del 1999 in materia di nomina del terzo arbitro ad opera della Camera arbitrale, “stabilendo con legge formale che la scelta compete alla Camera arbitrale, sostituendo così la norma regolamentare di cui all’art.
150 del d.p.r. n. 554/1999, annullata dal Consiglio di Stato”.
La norma legislativa non è però ovviamente inattaccabile ed è fortemente sospetta di incostituzionalità per le stesse ragioni poste a base dell’annullamento delle previsioni regolamentari da parte del Consiglio di Stato: “se è la Costituzione che richiede la nomina del terzo arbitro ad opera di un soggetto terzo ed imparziale, nemmeno la legge statale ordinaria può rendere legittima la scelta del terzo arbitro da parte di un’autorità amministrativa. Ne consegue che soluzione legislativa è di sospetta costituzionalità76”.
Il nuovo assetto previsto dall'art. 5, comma 16-sexies della 1egge n. 80 del 2005 ha avuto, tuttavia, vita breve, in quanto è stato ormai superato da quello definito nel recente decreto legislativo n. 163 del 2006 (c.d. codice degli appalti), il quale, pur recependone in gran parte i contenuti, l'ha espressamente abrogato all'art. 256, primo comma ai sensi di quanto disposto dal successivo art. 257.
76 Follieri E., Le modifiche apportate all’arbitrato negli appalti dei lavori pubblici dalla legge 80/2005, op. cit., 262.
9. La nuova disciplina dell’arbitrato negli appalti di opere pubbliche così come delineato dal codice dei contratti pubblici (D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163).
A circa un anno di distanza dal decreto sulla competitività, il legislatore delegato decise di occuparsi nuovamente dell’arbitrato in materia di contratti pubblici in occasione del decreto legislativo n. 163 del 12 aprile 2006 recante “Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE” (di seguito anche c.c.p.) emanato in attuazione della delega contenuta nell’art. 25 della legge 18 aprile 2005, n. 62 (legge comunitaria
Il recepimento delle direttive ha costituito il leitmotiv per raccogliere in modo sistematico la normativa in un unico testo (fondato sullo schema di codice della cosiddetta commissione De Lise), in base alla volontà palesata dal legislatore nella legge delega, per coordinare le norme di attuazione delle direttive con le norme vigenti
77 L’art. 4, comma 3, del c.c.p. include la disciplina del contenzioso tra quelle che non posso essere disciplinate diversamente dalle Regioni nel rispetto dell’art. 117, comma 2, della Costituzione. Tuttavia in dottrina (Xxxxxxxxx X., Il contenzioso e l’arbitrato, in Aa. Vv. La disciplina delle opere pubbliche , a cura di X. Xxxxxxxx , Rimini, 2007, 773 ss.) si è dubitato del possibile contrasto dell’art. 4, comma 3, del c.c.p. con l’art. 117, comma 2, Cost, in relazione a quella parte di disciplina del contenzioso contenuta nel codice che si occupa della risoluzione non giurisdizionale delle controversie, visto che tale disciplina non potrebbe essere ricondotta né alla materia dell’ordinamento civile, né a quella della giurisdizione e norme processuali.
Le disposizioni del codice degli appalti sono in vigore dal primo luglio 200679, ad eccezione di alcune norme come l'art. 240 in relazione all'accordo bonario per i servizi e le forniture, che, ai sensi dell'art. 257, secondo comma, lett. b) del d. lgs. 163 del 2006, ha efficacia a decorrere da un anno successivo all'entrata in vigore del codice.
Il d. lgs. n. 163 del 2006, all'art. 241, comma 15, con riguardo all'arbitrato in materia di opere pubbliche, ha definito un nuovo assetto dell'istituto, delineando un sistema a doppio binario, definito in dottrina80 come “un arbitrato bifronte, a un bivio tra liberalizzazione e
78 In argomento si veda Giovannelli G. E., Xxxx L., Il codice dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, in Urb. e app., 2006, p. 749; Clarich M., Codice appalti: si apre il cantiere giuridico con costi diretti e indiretti per gli operatori, in Guida al dir., n. 25/2006, p. 10 ss.; Xxxxxxxx D., Il testo De Lise 13 volte oltre l'Europa, in Ed. e terr. del 6 dicembre 2006, il quale afferma che la disciplina dell'accordo xxxxxxx e dell'arbitrato dovrebbe ritenersi viziata da eccesso di delega. 79 È da rilevare che, a norma dell'art. 253, primo comma , del d. lgs. n. 163 del 2006, le disposizioni del codice degli appalti “si applicano ai contratti i cui bandi o avvisi con cui viene indetta la gara siano pubblicati successivamente alla sua entrata in vigore, e, nell'ipotesi di contratti senza pubblicazione di bandi o avvisi, ai contratti in cui, alla data di entrata in vigore del suddetto codice, non siano ancora stati inviati gli inviti a presentare le offerte”. Si veda De Carolis D., La tutela giurisdizionale nel codice dei contratti pubblici, in Urb. e app., 2006, p. 1130 ss.
80 Le espressioni sono di La Torre A, L'arbitrato in materia di lavori pubblici, op. cit., p. 111 ss., il quale critica il codice degli appalti in quanto vi ravvisa sottesa la prospettiva di voler sanzionare l'omesso accordo tra le parti sulla nomina del terzo arbitro con una procedura più rigida, di voler indurre le parti ad addivenire ad un accordo sulla designazione di quest'ultimo nella previsione premiale di una procedura da loro governata, creando così una diseguaglianza di trattamento all'interno della stessa materia e di aver finito con l'addossare più pesanti oneri alle finanze delle stazioni appaltanti (p.a.) spesso soccombenti in giudizio, considerato il maggior costo dell'arbitrato non amministrato, con conseguente danno per l'erario.
amministrazione, a seconda che le parti si accordino o meno sulla nomina del terzo arbitro, presidente del colle- gio arbitrale”.
Infatti, nel caso in cui manchi l'accordo per la designazione del terzo arbitro, ad iniziativa della parte più diligente, provvede la camera arbitrale, “[...] sulla base di criteri oggettivi e predeterminati, scegliendolo nell'albo di cui all'art. 242”, mentre quando l'accordo venga raggiunto trovano operatività le disposizioni del codice di procedura civile, salvo quanto sancito dallo stesso codice degli appalti.
Al fine di evitare il rischio di inutili ripetizioni, per quanto attiene all'analisi e al commento della disciplina sia dell'arbitrato amministrato dalla Camera arbitrale, sia dell'arbitrato ad hoc, si rinvia infra ai paragrafi del successivo capitolo.
CAPITOLO SECONDO
LA DISCIPLINA ARBITRALE NEL CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI
SEZIONE PRIMA
CODICE DEI CONTRATTI PUBBLICI E SUE SUCCESSIVE MODIFICHE
SOMMARIO: 1. Premessa. 2. Disciplina comunitaria. Il susseguirsi di direttive comunitarie in materia fino alla adozione della Direttiva ricorsi 2007/66/CE. 3. Il divieto di arbitrato nella legge finanziaria 2008. 4. La legge comunitaria del 2008 e la delega per la riforma dell’arbitrato in materia di contratti pubblici. 5. Segue. Attuazione della legge comunitaria 2008: il Decreto Legislativo n. 53 del 20 marzo 2010. 6. Segue. I profili di maggiore novità apportati in materia dal Decreto Legislativo n. 53 del 20 marzo 2010. 7. L’esclusione dell’arbitrato in materia di appalti pubblici dal D. Lgs. 104/2010 (cd. Codice del Processo Amministrativo).
La tematica degli appalti pubblici è connotata da una certa complessità determinata sia dallo squilibrio
soggettivo caratterizzante le parti contraenti sia dalla commistione tra diritto amministrativo e diritto civile come discipline applicabili l’uno, alla fase in cui l’Amministrazione esteriorizza il pubblico interesse che intende perseguire, tramite il bando, la selezione dei contraenti, l’aggiudicazione e l’approvazione del contratto, l’altro alla stipula ed esecuzione del contratto.
Premesso che, secondo l’articolo 1 della legge n. 241 del 7 agosto 1990 (così riformata dalla legge 15 febbraio 2005 n. 5), l’Amministrazione può agire secondo le norme di diritto privato quando non adotta atti di natura autoritativa, comunque, la sua azione è condizionata dal vincolo di scopo dell’interesse pubblico, di cui ne viene riconosciuta la compatibilità con l’utilizzo dello strumento privatistico, costituendo il limite generale dell’agere amministrativo.
Da un lato, quindi, si assiste all’applicazione dei principi del diritto privato, dall’altro, all’affermazione del diritto pubblico che condiziona la fase di formazione della volontà, integrazione dell’efficacia ed esecuzione del contratto.
Come noto, la materia degli appalti pubblici è stata notevolmente integrata dalla normativa comunitaria di avvicinamento delle legislazioni nazionali. Il divieto di discriminazioni effettuate sulla base della nazionalità, il divieto delle restrizioni alle importazioni, il diritto di stabilimento, la libera prestazione di servizi, il divieto di misure restrittive della concorrenza sono i principi rilevanti, riconducibili all’articolo 81 del Trattato istitutivo della Comunità Europea, che il diritto comunitario ha ritenuto applicabili alla normativa dei contratti pubblici
degli Stati membri, intervenendo in tutte le fasi e tutti gli aspetti delle procedure di aggiudicazione fino all’esecuzione dei contratti stessi.
81 Cassese S., Xxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxxxxxxxx, 0x xx., Xxxxxx, 0000.
82 Il codice, com'è noto, è stato emanato in attuazione della delega contenuta nella legge 18 aprile 2005, n. 62, recante “disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 2004”. In particolare, l'art. 1, comma 1, di tale legge, aveva delegato il Governo ad adottare, entro diciotto mesi dall'entrata in vigore della legge, “i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione alle direttive comprese negli elenchi di cui agli allegati A e B”. Nell’allegato B figuravano, tra le altre, le direttive del Parlamento Europeo e del Consiglio 2004/17 e 2004/18 entrambe del 31 marzo 2004, relative al coordinamento, rispettivamente, delle “procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali” e delle “procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi”. In relazione ai principi e criteri direttivi specifici concernenti la delega per l'attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE, l'art. 25, comma 1, aveva stabilito che il Governo era delegato ad adottare “uno o più decreti legislativi volti a definire un quadro normativo finalizzato al recepimento” delle direttive 2004/17 e 2004/18, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:“a) compilazione di un unico testo normativa recante le disposizioni legislative in materia di appalto disciplinate dalle due direttive coordinando anche le altre disposizioni in vigore nel rispetto
Il d.lgs. n. 163/2006 contiene i principi vigenti sia per la fase dell’aggiudicazione del contratto all’operatore economico prescelto, che la fase dell’esecuzione del contratto stesso, nonché la disciplina dei mezzi di tutela degli interessati per entrambe le fasi.
2. Disciplina comunitaria. Il susseguirsi di direttive comunitarie in materia fino alla adozione della Direttiva ricorsi 2007/66/CE.
Uno dei profili principali che ha connotato la materia degli appalti è costituito dalla problematica dei ricorsi giurisdizionali potenzialmente volti ad assicurare la massima tutela ai vari soggetti portatori di un interesse giuridicamente protetto, la Pubblica Amministrazione, il privato contraente originario aggiudicatario dell’appalto, e
dei principi del Trattato istitutivo dell'Unione europea; b) semplificazione delle procedure di affidamento che non costituiscono diretta applicazione delle normative comunitarie, finalizzata a favorire il contenimento dei tempi e la massima flessibilità degli strumenti giuridici; c) conferimento all'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, in attuazione della normativa comunitaria, dei compiti di vigilanza nei settori oggetto della presente disciplina; l'Autorità, caratterizzata da indipendenza funzionale e autonomia organizzativa, si dota, nei modi previsti dal proprio ordi- namento, di forme e metodi di organizzazione e di analisi dell'impatto della normazione per l'emanazione di atti di competenza e, in particolare, di atti amministrativi generali, di programmazione o pianificazione. I compiti di cui alla presente lettera sono svolti nell'ambito delle competenze istituzionali dell'Autorità, che vi provvede con le strutture umane e strumentali disponibili sulla base delle disposizioni normative vigenti e senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato; d) adeguare la normativa alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 7 ottobre 2004 nella causa C-247/02”.
il concorrente che si definisce illegittimamente pretermesso.
La prima direttiva in materia, la 89/665/CE, è stata adottata allo scopo di aumentare le garanzie di trasparenza e di non discriminazione nell’aggiudicazione degli appalti pubblici nella Comunità Europea, dotando le imprese di un livello equivalente di garanzie giuridiche in materia di ricorsi in tutti gli Stati membri.
In particolare, la disciplina comunitaria ha posto l’attenzione all’adozione di meccanismi che possano assicurare, nel modo più efficiente possibile, il rispetto delle disposizioni comunitarie in materia di appalti, facendo in modo che i mezzi di ricorso siano rapidi ed efficaci in caso di violazioni delle norme comunitarie in materia di appalti pubblici; e ciò al fine di bilanciare la duplice esigenza di ovviare alle ingiustizie subite per le imprese non aggiudicatarie attraverso una rapida correzione di quest’ultime e l’esigenza dell’aggiudicatario illegittimo, come anche della amministrazione committente, a rendere certo e stabile il rapporto contrattuale.
Le direttive 89/665/CE e 92/13/CE (riferite rispettivamente ai settori ordinari e ai settori speciali degli appalti) ponevano obiettivi generali con l’auspicio che gli Stati membri adottassero le misure necessarie per garantire che le decisioni prese dagli enti aggiudicatori potessero essere oggetto di un ricorso efficace, e prevedevano che gli Stati membri non dovessero necessariamente esercitare effetti sospensivi automatici sulle procedure di aggiudicazione cui si riferiscono.
La Direttiva 2007/66/CE dell’11 dicembre 2007 che è intervenuta funditus prescrivendo puntuali rimedi procedurali in materia e modificando le citate direttive, era volta al miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti, comprendenti gli appalti pubblici, gli accordi quadro, le concessioni di lavori pubblici e i sistemi dinamici di acquisizione.
Tale direttiva ha voluto ovviare a due questioni di fondo riscontrate nella prassi: (i) la mancanza di ricorsi efficaci contro la pratica degli affidamenti diretti illegittimi di appalti pubblici e (ii) la stipula affrettata dei contratti di appalto da parte dei soggetti aggiudicatari tesa a privare gli operatori economici non aggiudicatari della possibilità di proporre ricorsi efficaci prima della conclusione del contratto.
La direttiva de qua ha indicato espressamente i principi essenziali che gli Stati membri dovevano osservare per impedire che gli atti assunti in violazione delle regole primarie sull’affidamento degli appalti pubblici raggiungessero comunque il loro effetto.
In particolare, la direttiva ha previsto l’obbligo per le stazioni appaltanti di rispettare un congruo termine dilatorio - sospensivo (c.d. stand-still), di almeno dieci o quindici giorni, fra l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto.
Il termine decorreva dalla comunicazione dell’avviso di aggiudicazione a tutti i concorrenti che avessero partecipato alla procedura di evidenza pubblica e doveva contenere una relazione illustrativa dei motivi fondativi
della propria decisione. Nello stesso termine, l’interessato poteva proporre ricorso giurisdizionale (art. 2-quater).
La ratio sottesa all’adozione dei citati meccanismi preferisce impedire che il contratto produca effetti, piuttosto che intervenire successivamente per eliminare gli effetti di un contratto già stipulato ed eseguito.
Il contratto è, altresì, da ritenersi privo di effetti quando la violazione dei termini sospensivi avesse privato
83 In caso di effettiva proposizione del ricorso giurisdizionale, la direttiva prevedeva un periodo di sospensione automatica della stipula del contratto fino alla pronuncia giurisdizionale (cautelare o di merito a scelta degli Stati membri). La citata disposizione era chiaramente volta a tutelare la posizione del soggetto pretermesso in modo da permettere che l’eventuale pronuncia di annullamento degli atti di gara non arrivasse troppo tardi, ossia quando ormai il contratto avrebbe già avuto esecuzione.
84 In particolare, la violazione delle suddette regole comportava, in specifiche ipotesi, riconosciute particolarmente gravi, l’obbligatoria privazione degli effetti del contratto eventualmente stipulato (art. 2- quinquies). In primo luogo, si ha privazione degli effetti se l’amministrazione aggiudicatrice ha aggiudicato un appalto senza previa pubblicazione del bando nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea senza che ciò sia consentito dalla direttiva 2004/18. La non pubblicità del bando riduce, infatti, i potenziali concorrenti influendo negativamente sulla concorrenza. Secondo il considerando n. 14 della direttiva, “la privazione degli effetti è il modo più sicuro per ripristinare la concorrenza e creare nuove opportunità commerciali per gli operatori economici che sono stati illegittimamente privati delle possibilità di competere”.
l’offerente che ha presentato ricorso della possibilità di avvalersi dei mezzi di ricorso prima della stipula del contratto; a ciò si aggiunge la violazione sostanziale di determinate disposizioni della direttiva 2004/18/CE se questa violazione ha influito sulle opportunità dell’offerente che ha presentato ricorso di ottenere l’appalto; infine, la privazione era prevista nel caso di un appalto basato su un accordo quadro o su un sistema dinamico di acquisizione, qualora venissero violate le prescrizioni sostanziali riguardanti i presupposti per l’utilizzo di tali moduli negoziali.
La direttiva non impedisce agli Stati membri di tipicizzare altre ipotesi di privazione degli effetti. Inoltre, essa lasciava agli Stati membri la facoltà di definire le conseguenze di un contratto privo di effetti.
Pertanto, il diritto nazionale poteva prevedere la soppressione con effetto retroattivo di tutti gli obblighi contrattuali (ex tunc) o viceversa limitare la portata della soppressione di quegli obblighi che rimangono da adempiere (ex nunc). In questo caso, gli Stati membri potrebbero prevedere l’applicazione di altre sanzioni.
Per le violazioni non gravi, invece, spettava al diritto nazionale determinare gli effetti dell’aggiudicazione sulla sorte del contratto, con espressa previsione di limitare la tutela al solo risarcimento del danno per equivalente, con conservazione del contratto sebbene preceduto da illegittima aggiudicazione.
La direttiva prevedeva, altresì, ipotesi facoltative di privazione degli effetti del contratto. Si trattava di violazioni formali per le quali la privazione degli effetti potrebbe risultare sproporzionata.
In questi casi gli Stati membri possono scegliere se prevedere la privazione di effetti o introdurre, in alternativa, altri adeguati meccanismi sanzionatori, diversi dal solo risarcimento del danno, purché proporzionati e dissuasivi che possono consistere o nell’irrogazione alla amministrazione aggiudicatrice di sanzioni pecuniarie, ovvero nella riduzione della durata del contratto.
La sanzione pecuniaria, come quella della riduzione della durata contrattuale, erano alternative alla privazione di effetti del contratto, ma presupponevano una decisione di annullamento dell’aggiudicazione ed erano compatibili con il risarcimento del danno.
Sotto il profilo processuale, la direttiva prevedeva che la privazione di effetti obbligatoria non dovesse essere automatica ma accertata con apposita decisione dell’organo di ricorso.
La direttiva contemplava, in maniera innovativa, la possibilità per gli Stati membri di stabilire che la domanda di risarcimento dei danni dovesse essere subordinata alla richiesta di annullamento dei provvedimenti illegittimi. Dunque, l’introduzione della pregiudizialità non sarebbe in contrasto con la direttiva ricorsi.
85 Xxxxxx X., La nuova direttiva ricorsi e l’impatto con il sistema di giustizia nazionale, in Riv. trim. app. 2008, p. 676 ss.
In definitiva, possiamo notare come il legislatore comunitario ha lasciato agli Stati membri ampi margini di manovra in sede di recepimento, soprattutto in quelle decisioni peculiari dell’ordinamento giuridico nazionale, quali la pregiudiziale amministrativa, le conseguenze giuridiche del contratto, le sanzioni applicabili, ambiti nei quali è possibile cogliere una certa indeterminatezza nelle soluzioni definite.
3. Il divieto di arbitrato nella legge finanziaria 2008.
Dopo la codificazione del 2006 ci si auspicava che la tormentata disciplina dell'arbitrato in materia di lavori pubblici avrebbe goduto di un periodo di stabilità.
Infatti l'idea di dar vita ad un codice non può non essere accompagnata dall'idea di redigere un testo destinato a durare nel tempo.
Le vicende successive all'emanazione del codice dei contratti pubblici, tuttavia, hanno smentito questo tipo di
86 Panagia A., La sorte del contratto di appalto stipulato a valle di un’aggiudicazione illegittima, in I contratti, 1/2010.
previsione confermando ancora una volta l'incapacità del legislatore a conferire all'istituto un assetto ragionevolmente definitivo.
Per quanto concerne la disciplina transitoria, infine, al comma 21 dell’articolo 3 si prevedeva che le amministrazioni aggiudicatrici e le società a prevalente
87 In particolare, all'art. 3, comma 19, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (recante «disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato — legge finanziaria 2008»), era stabilito quanto segue: «è fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, di inserire clausole compromissorie in tutti i loro contratti aventi ad oggetto lavori, forniture e servizi ovvero, relativamente ai medesimi contratti, di sottoscrivere compromessi. Le clausole compromissorie ovvero i compromessi comunque sottoscritti sono nulli e la loro sottoscrizione costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale per i responsabili dei relativi procedimenti». In forza del successivo comma 20, inoltre, le disposizioni di cui al comma 19 erano applicabili anche «alle società interamente possedute ovvero partecipate maggioritariamente dalle pubbliche amministrazioni di cui al medesimo comma, nonché agli enti pubblici economici ed alle società interamente possedute ovvero partecipate maggioritariamente da questi ultimi». Tale previsione è stata definita alquanto singolare da parte della dottrina in quanto impone una regola di condotta che “viene a collocarsi in un periodo addirittura anteriore all’entrata in vigore della finanziaria” cfr. X. Xxxxxxx, La legge finanziaria per il 2008 e il divieto di arbitrato, in Rass. Forense, 2008,
73 ss. e Xxxxxxxxx X., Strumenti giudiziali di risoluzione delle controversie (art. 239-243), in Aa. Vv., Commento al codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, a cura di Sanino M., Torino 2008, 249 ss..
capitale pubblico maggioritario, non potevano che adire il giudice ordinario88.
Inoltre veniva precisato che il divieto non operava retroattivamente, essendo fatti salvi gli arbitrati i cui collegi arbitrali fossero già costituiti alla data del 30 settembre 200789 (data ulteriormente prorogata dal decreto legge n. 248/2007 e ancora dalla legge n. 14/2009)90.
88 Si veda in argomento X. Xxxxxxx, La legge finanziaria per il 2008 e il divieto di arbitrato, op. cit.; Piselli P., La soppressione dell'arbitrato e la modifica dell'accordo bonario: problemi interpretativi, in Riv. trim. app., 2008, 340; Di Tarsia di Belmonte R., La soppressione dell'arbitrato e la modifica dell'accordo bonario: problemi interpretativi, in xxx.XxxxxXxx.xx, 1-2008. L'introduzione di tale disciplina era stata fortemente caldeggiata da una massiccia campagna stampa, tanto che le amministrazioni erano perfettamente informate della sua futura introduzione. Sul punto Capponi B., La legge finanziaria per il 2008, op. cit.; P. Piselli, La soppressione dell'arbitrato, op. cit., 337 ss.
89 A tal riguardo Capponi B., La legge finanziaria per il 2008, op. cit., par. 3, che il divieto non opera, come sarebbe stato corretto, con riferimento alla data di notifica della domanda di arbitrato, bensì dal mero dato “casuale e comunque riferito ad una fase del procedimento successiva al suo inizio in senso tecnico” della costituzione del collegio.
90 Il termine è stato ulteriormente rinviato fino al 30 giugno 2010 dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25 che è intervenuta in sede di conversione modificando l’art. 5, comma 4, del decreto legge 30 dicembre 2009, n. 194 che in precedenza prevedeva come data di rinvio il 30 aprile 2010.
91 Questa soluzione è stata criticata dalla dottrina sotto vari profili. In primo luogo è stato osservato che la devoluzione al giudice ordinario di un numero consistente di controversie, spesso anche assai complesse, non farebbe altro che ulteriormente peggiorare la già gravissima situazione di inefficienza della giurisdizione civile (Giallongo N., L'abrogazione dell'arbitrato dei contratti pubblici, op. cit., 1121 ss.); in secondo luogo è stato criticato il fatto che delle sezioni specializzate in certe vertenze siano state chiamate a decidere
Per capire quali fossero state le ragioni alla base del radicale cambiamento di rotta, bisogna passare in rassegna la relazione illustrativa della legge finanziaria 2008; in particolare venivano posti alla base del divieto dell’istituto arbitrale una serie di motivazione, tra le quali (i) i costi elevati dei giudizi arbitrali rispetto al giudizio ordinario;
delle controversie su temi completamente diversi quale è la materia arbitrale (De Nictolis R., La riforma del codice appalti, op. cit., 270 ss.; Giallongo N., L'abrogazione dell'arbitrato dei contratti pubblici, op. cit., 1121 ss.; Travi A., Arbitrati negli appalti pubblici: nuovi divieti e incertezze persistenti, in Corriere giur. 2008, 451). Secondo altri il fatto che le controversie prima decidibili con l'arbitrato siano state attribuite a sezioni specializzate in materie che nulla hanno a che vedere con quelle per le quali l'arbitrato era ammesso troverebbe la sua spiegazione nel fatto che tali sezioni specializzate, in quanto meno gravate di carico di lavoro perché di recente istituzione, meglio di altre si prestano ad essere investite di una nuova materia (Scoca S.S., L’arbitrato nei contratti pubblici e l’insondabile saggezza del legislatore, in Dir. Proc. Amm., 2009, 1160 ss.).
92 Sul punto si segnala che è' stata registrata alla Corte dei Conti in data 2 agosto 2012 (Registro n.9 foglio n.294), la direttiva 27 giugno 2012 n.24189 in materia di procedimenti arbitrali emanata dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n.165. In particolare, nella direttiva inviata ai Capi Dipartimento, al Presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, ai Direttori generali, ai Provveditori interregionali alle Opere Pubbliche ed al Comandante generale del Corpo delle Capitanerie di porto, viene precisato che l'impiego dell'arbitrato per la risoluzione delle controversie nell'ambito dei contratti pubblici trova disciplina negli articoli 241 e seguenti del Codice dei contratti di cui al
D. Lgs. N. 163/2006 e che l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ha più volte precisato, nelle proprie relazioni annuali, come il ricorso all'arbitrato produca elevati costi dei giudizi arbitrali per compensi, pressoché totale soccombenza delle amministrazioni, elevata percentuale degli arbitrati conclusisi oltre il tempo ordinario, e in alcuni casi, con un accordo transattivo Nella direttiva firmata dal Ministro Xxxxxxx Xxxxxxx, vengono, poi, richiamate le relazioni dell'Autorità al Parlamento relative agli anni 2009 e 2010 in cui viene precisato che “i giudizi arbitrali comportano costi elevati, anche in ragione delle alte percentuali di soccombenza rilevate”.
La direttiva si conclude con l'invito a limitare al massimo la previsione della clausola compromissoria in considerazione della
E’ proprio l’idea legislativa del divieto di arbitrato che è stata oggetto di numerose critiche da parte della dottrina93, la quale osservava che tale divieto andava ad incidere sulla disciplina del codice dei contratti pubblici, senza rispettare il principio sancito nell'articolo 255 secondo il quale “ogni intervento normativo incidente sul codice o sì, materie dallo stesso disciplinate, va attuato mediante esplicita modi integrazione, deroga o sospensione delle specifiche disposizioni in e contenute”.
specifica natura e delle caratteristiche dell'appalto e dell'opportunità, rispetto alla singola fattispecie, del ricorso alla giustizia aarbitrale ma anche con la richiesta alle stazioni appaltanti di regolarsi nei termini descritti anche per le fattispecie regolate dalla normativa precedente al 2010, quando era prevista la facoltà di declinare la competenza arbitrale.
93 Xxxxxxxxx A., Strumenti giudiziali di risoluzione delle controversie (art. 239-243), op. cit. 881 ss.; Capponi B., La legge finanziaria per il 2008 e il divieto da arbitrato, op. cit., 73 ss.; Delfino B., Xxxxx miti sugli arbitrati in tema di appalti di lavori pubblici e verità misconosciute sulle condotte delle stazioni appaltanti, in Arch. giur. opere pubbliche, 2009, 743 ss.; De Nictolis R., La riforma del codice appalti, op. cit., 270 ss.; Xxxxxxxxx N., L'abrogazione dell'arbitrato dei contratti pubblici, op. cit., 1121 ss.; Xxxxxxxx C., L'accordo bonario nel codice degli appalti, in Urb e app., 2008, 425; Xxxxxxxxxx I., Arbitrato delle opere pubbliche, op. cit., 166; Polinari J., L’abolizione dell’arbitrato in materia di contratti pubblici – Riflessioni a margine di un rapporto controverso, in Appalti e contratti 2008, fasc. 8-9, 45 ss.; Xxxxx A., Arbitrati negli appalti pubblici: nuovi divieti e incertezze persistenti, op. cit., 449 ss.
94 In questa direzione, ad esempio, si suggeriva di introdurre mec- canismi in grado di far amministrare dalla Camera tutti gli arbitrati, di vincolare le parti a scegliere il presidente all'interno dell'elenco redatto dalla Camera arbitrale, di riservare la nomina del consulente tecnico alla Camera arbitrale, e di rimettere alla stessa, in ogni caso, la determinazione degli onorari degli arbitri (Giallongo N., L'abrogazione dell'arbitrato dei contratti pubblici, op. cit., 1121 ss.; Piselli P., La soppressione dell’arbitrato e la modifica dell’accordo bonario: problemi interpretativi, in Riv. trim. app., 2008, 358).
4. La legge comunitaria del 2008 e la delega per la riforma dell’arbitrato in materia di contratti pubblici.
In occasione della legge 7 luglio 2009, n. 88, recante “Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee - Legge comunitaria 2008” (cd. legge comunitaria 2008) il legislatore ha mostrato di essersi convinto che la strada da seguire per risolvere i problemi legati all’arbitrato in materia di contratti pubblici non era quella della sua soppressione, ma quella di un intervento di riforma della relativa disciplina.
L'art. 44, comma 1, della legge comunitaria 2008 delegava il Governo ad adottare “uno o più decreti legislativi volti a recepire la direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 200795, che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE del Consiglio per quanto riguarda il miglioramento dell'efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici”.
Lo stesso articolo 44 al terzo comma stabiliva che i decreti legislativi di cui al primo comma dovevano essere
95 Per un'approfondita disamina di tale direttiva cfr. Bartolini A. e Xxxxxxx S., La nuova direttiva ricorsi, in Urb. e app., 2008, 1093 ss.; Greco G., La direttiva 2007/66/CE: illegittimità comunitaria, sorte del contratto ed effetti collaterali indotti, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2008, 1029 ss.; Lipari X., Annullamento dell'aggiudicazione ed effetti del contratto: la parola al diritto comunitario, in xxx.xxxxxxxx.xx, n. 4- 2008; Satta F., Annullamento dell'aggiudicazione: la fine di un problema, Giust. Amm., n. 11-2008; Ardanese C., La direttiva
«ricorsi» 2007/66/CE. Rilevanza sul regime giuridico del contratto, in Giust. Amm., n. 11-2008; Xxxxxxx P., La nuova Direttiva ricorsi 2007/66 Ce e l'impatto con il sistema di giustizia nazionale, in Riv. trim. app., 2008, 676 ss.; Contaldi La Grotteria C., La direttiva ricorsi tutela il ricorrente con il decreto cautelare, in Dir. e pratica amm. - Il Sole 24 Ore, n. 7/8, 2008.
adottati nel rispetto “dei principi e criteri direttivi generali di cui all'articolo 2”, nonché “dei principi e criteri direttivi, specifici” indicati nelle successive lettere a) - m). Con particolare riferimento all'arbitrato, alla lettera m) veniva previsto il seguente principio e criterio direttivo: “dettare disposizioni razionalizzatrici dell'arbitrato, secondo i seguenti criteri: 1) incentivare l'accordo bonario; 2) prevedere l'arbitrato come ordinario rimedio alternativo al giudizio civile; 3) prevedere che le stazioni appaltanti indichino fin dal bando o avviso di indizione della gara se il contratto conterrà o meno la clausola arbitrale, proibendo contestualmente il ricorso al negozio compromissorio successivamente alla stipula del contratto; 4) contenere i costi del giudizio arbitrale; 5) prevedere misure acceleratorie del giudizio di
impugnazione del lodo arbitrale96”.
La legge comunitaria 2008, pertanto, si era schierata apertamente per l'arbitrato, infatti, prevedendolo come ordinario rimedio alternativo al giudizio civile, e della cui disciplina ha imposto al legislatore delegato la razionalizzazione.
La razionalizzazione della disciplina concernente l'arbitrato appariva necessaria, ove si consideri che essa risultava frastagliata in numerose ed eterogenee fonti normative (codice di procedura civile, codice dei contratti pubblici, leggi finanziarie più volte modificate e variamente derogate, regolamenti ministeriali, regolamenti
96 In merito alla legge comunitaria 2008 si veda Xxxxxxxx E., La legge delega per la riforma dell'arbitrato in materia di contratti pubblici, in Riv. dir. proc. 2009, 1615 ss.; Scoca S.S., L’arbitrato nei contratti pubblici e l’insondabile saggezza del legislatore, op. cit., 1160 ss.
Sembrava così che il legislatore della legge comunitaria avesse finalmente preso atto del fatto che un istituto giuridico dovesse essere disciplinato mediante una normazione razionale, comprensibile, di facile accessibilità, e non dispersa in una miriade di fonti eterogenee98: il che era tanto più necessario trattandosi di un istituto suscettibile di aver fortissime ricadute su un mercato importante per l'economia interna e comunitaria.
L'art. 44 della legge comunitaria, come si è visto, includeva tra i criteri di delega che l'arbitrato debba essere
97 Il fatto che la disciplina dell'arbitrato, come di molti altri istituti, sia integrata da un pluralità di fonti di carattere eterogeneo, appare collegato alla crisi del principio di legalità, per cui più soggetti, anche quelli che in base ai principi costituzionali non potrebbero legiferare, hanno ormai acquisto, e comunque esercitano, un potere normativo, che nella pratica viene percepito come idoneo a modificare discipline legislative. Si pensi a titolo di esempio alle sentenze additive (o interpretative) della Corte Costituzionale. Sul principio di legalità per tutti Fois S., Legalità (principio di), in Enc. dir., vol. XXIII, Milano, 1973, 659 ss.; Xxxxxxxx R., Legalità (principio di), in Dig. disc. pubbl., vol. IX, Torino, 1994, 84 ss.; Xxxxxxxx G. U., Sul principio di legalità, in Dir. pubbl. 1995, 247 ss.; Xxxxxxxxxx F., Legalità e delegificazione, in Amministrazione e legalità. Fonti normative e ordinamenti (Atti del Convegno di Macerata, 21 e 22 maggio 1999), Milano, 2000, 3 ss.; Romano A., Amministrazione, principio di legalità e ordinamenti giuridici, in Dir. amm., 1999, 111 ss.; la verifica del principio in relazione all'attività di diritto privato dell'amministrazione, Marzuoli C., Principio di legalità e attività di diritto privato della pubblica amministrazione, Milano 1982. Per un rilievo circa la difficoltà di comprendere il principio di legalità Xxxxx M., L'azione dei pubblici poteri. Lineamenti generali, in Scritti giuridici, vol. III, Milano, 1996, 1587 ss., spec. 1618; Travi A., Giurisprudenza amministrativa e principio di legalità, in Dir. pubbl., 1995, 91 ss., spec. 95. Per una esposizione critica e una verifica della crisi del principio di legalità Cassese S., Alla ricerca del sacro Graal. A proposito della rivista Diritto Pubblico, in Riv. trim. dir. pubbl., 1995, 789 ss.; Xxxxxxx C., Modernizzazione amministrativa, principio di legalità, interpretazione costituzionale, in Dir. pubbl., 2001, 83 ss.; Scoca F. G., Attività amministrativa, in Enc. dir., Aggiornamento VI, Milano, 2002, 775 ss.
98 Sul punto si veda l'importante parere del Consiglio di Stato, Sez. cons. atti normativi, 21 maggio 2007, n. 3830/06, laddove indica i criteri della better regulation.
previsto “come ordinario rimedio alternativo al giudizio civile”.
Occorre verificare quale sia l'incidenza di tale disposizione, in particolare se possa a essa riconoscersi un'efficacia abrogativa immediata del divieto di arbitrato recato dalla legge finanziaria.
Ed è, questo, un problema di ardua soluzione, trattandosi di verificare se la legge di delega abbia un contenuto immediatamente precettivo per la collettività e vincolante erga omnes, ovvero se essa esplichi effetti cogenti, quanti ai criteri e ai principi posti, nei confronti del legislatore delegato99.
Dato incontestabile è che la legge di delega è una legge in senso formale100, differenziandosi dalle leggi ordinarie per il contenuto, che in base all'articolo 76 della Costituzione dovrebbe consistere nella indicazione dei principi e criteri direttivi cui il legislatore delegato è chiamato ad attenersi.
Nel caso in cui la legge di delega abbia un contenuto più ampio di quello del decreto delegato, la dottrina ritiene
99 La letteratura sulla legge di delega è sterminata, ma la questione qui prospettata sembra rimanere in ombra. In argomento, fondamentali appaiono i contributi di Xxxxxxxx X. X., nota di commento a Corte Cost. 5 maggio 1959, n. 24, in Giur. cost., 1959, 340 ss.; Paladin L., Presunzione di preminenza di legge delegante sulla legge delegata, ivi, 1960, 579 ss.; Id., La formazione delle leggi (Art. 76-77), in Branca G. (a cura di), Commentario alla Costituzione, t. II, Bologna- Roma, 1980, 1 ss., spec. 16 ss.; Lavagna C., Istituzioni di diritto pubblico, vol. I, Torino, 1970, 340-341 e 347; Cervati A., Legge delega e delegata, in Enc. dir., vol. XXIII, Milano, 1973, 939 ss., spec. 947; Xxxxx X., Delega Legislativa, in Enc. giur., vol. X, Roma, 1988; Xxxxxxxx G.U., Xxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxx, Xxxxxxx, 0000, 247. 100 Si veda, per l'assetto costituzionale previgente, Tosato E., Le leggi di delegazione, Padova, 1931, spec. 85 ss., e, per quello attuale, Lavagna C., Istituzioni di diritto pubblico, cit., 341.
la prevalenza del primo atto sul secondo101; dal che si inferisce che la legge di delega, che di per sé dovrebbe essere legge di principi, può recare essa stessa una disciplina precettiva e vincolante erga omnes.
Si sostiene per vero che la legge di delega abbia come unico destinatario il Governo, cui essa delega l'esercizio della potestà legislativa, e che essa sia priva di efficacia precettiva erga omnes proprio perché si rivolge solo al Governo.
5. Attuazione della legge comunitaria 2008: il Decreto Legislativo n. 53 del 20 marzo 2010.
Il decreto è stato emanato in attuazione dell’art. 44 della legge 7 luglio 2009, n. 88 che ha conferito la delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/66, concernente il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici, entro il termine di recepimento inizialmente previsto per il 20 dicembre 2009 (poi prorogato di novanta giorni per effetto della sottoposizione
101 Sul punto per tutti Paladin L., Presunzione di preminenza di legge delegante sulla legge delegata, cit., 579 ss.; Id., La formazione delle leggi (Art. 76-77), cit.
102 A tal riguardo si noti che la disciplina antecedente alle modifiche apportate dal D. Lgs. n. 53/2010 si continua ad applicare ai collegi arbitrali già costituiti alla data di entrata del citato D. Lgs. n. 53/2010.
dello schema di decreto al parere delle commissioni parlamentari).
Il legislatore delegato ha preferito non collocare il recepimento della direttiva nell’ambito della riforma del processo amministrativo all’epoca in itinere, optando invece per l’introduzione di profonde modifiche ed integrazioni del Codice dei Contratti pubblici.
In particolare il legislatore ha inteso, tra l’altro, regolare gli istituti di composizione amichevole (accordo xxxxxxx) od onoraria (arbitrato) delle contestazioni contrattuali, cercando di armonizzarne la disciplina allo spirito ed alla lettera delle disposizioni della direttiva comunitaria.
Infatti il legislatore delegato è intervenuto con disposizioni razionalizzatrici dell'arbitrato (art. 5, D. Lgs. 20 marzo 2010, n. 53) mediante modificazioni all'articolo 241 e all'articolo 243 del decreto legislativo n. 163/2006 con le quali ha tentato di adeguare ai criteri della legge di delega la disciplina dell'arbitrato, al fine di favorirne l'applicazione, contenerne i costi ed accelerarne il giudizio di impugnazione del lodo, prevedendone la possibilità del ricorso per le controversie su diritti soggettivi, derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori,
103L’applicazione del diritto comunitario da parte delle amministrazioni nazionali si arrestava ad una soglia minima, in relazione all’importo economico del contratto, fissata nella direttiva 18/2004.
servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell'accordo bonario previsto dall'art. 240 c.c.p.
Di seguito, si cercherà di individuare la portata delle principali novità apportate nel nostro ordinamento dal legislatore delegato a seguito del recepimento della direttiva, per poi passare all’analisi della disciplina del procedimento arbitrale in materia di appalti pubblici anche alla luce delle recenti modifiche normative.
6. Segue. I profili di maggiore novità apportati in materia dal Decreto Legislativo n. 53 del 20 marzo 2010.
Di seguito, si riassumono sinteticamente i profili di maggiore novità apportati dalla nuova disciplina introdotta dal Decreto Legislativo n. 53 del 20 marzo 2010.
(i) Termine dilatorio - sospensivo per la stipulazione del contratto. In primo luogo è stato esteso a trentacinque giorni (in precedenza trenta giorni104) il termine dilatorio per la stipulazione del contratto (cd. periodo di "stand- still"), decorrente dall'invio dell'ultima delle
104 Il Codice dei contratti pubblici già prevedeva all’art. 11, comma 10 un termine dilatorio di trenta giorni, decorrente dalla comunicazione dell’aggiudicazione, prima della stipulazione del contratto da parte della stazione appaltante il cui termine era fissato in sessanta giorni.
Secondo il comma 10-bis dell’articolo 11 del Codice dei Contratti pubblici, il termine dilatorio non si applica nei casi in cui, a seguito della pubblicazione del bando è stata presentata o ammessa una sola offerta e non sono state tempestivamente proposte impugnazioni del bando o se le impugnazioni risultano già respinte con decisione definitiva(lett. a); infine (lett. b) “nel caso di appalto basato su un accordo quadro di cui all’art. 59 e in caso di appalti specifici basati su un sistema dinamico di acquisizione di cui all’art. 60 e nel caso di acquisto effettuato attraverso il mercato elettronico della pubblica amministrazione di cui all' articolo 328 del regolamento”(Comma modificato dall'articolo 11, comma 1, del D.L. 7 maggio 2012, n. 52).
comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione definitiva ai controinteressati ex art. 79 del Codice105.
Incerto, al riguardo, si considerava il dies a quo da cui far decorrere il termine dilatorio: e cioè se il termine di riferimento fosse la comunicazione dell’aggiudicazione provvisoria o di quella definitiva.
La direttiva imponeva, tra l’altro, che il termine dilatorio per la stipulazione del contratto fosse coordinato con quello di proposizione del ricorso giurisdizionale. Infatti, il decreto legislativo, adeguandosi a tale prescrizione, con la sostituzione dell’intero comma 10 dell’articolo 11, ha individuato il primo in trentacinque giorni dall’invio dell’ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione definitiva, mentre il termine massimo per impugnare l’aggiudicazione è di trenta giorni, chiarendo così che l’aggiudicazione di riferimento per la decorrenza dei termini è da intendersi quella definitiva.
(ii) Avviso volontario per la trasparenza preventiva. In secondo luogo è stato introdotto ex novo l'art. 79-bis in tema di "Avviso volontario per la trasparenza preventiva", inteso a conferire pubblicità agli affidamenti intervenuti in difetto di pubblicazione di un bando di gara. Tale norma afferma una deroga esplicita all’inefficacia obbligatoria del contratto; si collega, infatti, ad una delle ipotesi in cui
105 Nella prassi, però, tale disposizione è stata spesso non rispettata dagli enti ed il mancato rispetto non è stato sostanzialmente “punito” dal giudice amministrativo, essendo la predetta disposizione priva di sanzione. Ebbene, la predetta lacuna è stata eliminata dall’art. 1 del d.lgs. 53/2010, che ha sostituito il comma 10 dell’art. 11 del Codice dei contratti pubblici, disponendo che il contratto non può comunque essere stipulato prima di trentacinque giorni dall’invio dell’ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione definitiva ai sensi dell’art. 79 del codice stesso.
non si applica l’inefficacia del contratto nei casi di gravi violazioni previsti dalla direttiva.
L’avviso volontario, pertanto, deve contenere la denominazione e il recapito della stazione appaltante; la descrizione dell’oggetto del contratto; la motivazione della stazione appaltante di affidare il contratto senza la previa pubblicazione di un bando di gara nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea o nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, rispettivamente per i contratti di rilevanza comunitaria e per quelli sottosoglia; la denominazione e il recapito dell’operatore economico a favore del quale è avvenuta l’aggiudicazione definitiva e se del caso, qualunque altra informazione ritenuta utile dalla stazione appaltante.
(iii) Misure di incentivazione dell’accordo bonario106. Il legislatore è intervenuto in ambiti che non sono di recepimento della direttiva ma che sono volti a favorire la risoluzione accelerata e non giurisdizionale del contenzioso, specie di quello insorto in fase di esecuzione del contratto. E’ stato così modificato l’articolo 240 del Codice in materia di accordo xxxxxxx, che disciplina, per la soluzione amichevole delle controversie relative a diritti
106 Dal testo dell'articolo 240 c.c.p., così come modificato dall'art. 4 del D. Lgs. 20 marzo 2010, n. 53, si può rilevare che l'istituto dell'accordo bonario è rimasto sostanzialmente invariato non essendo mutati: (i) i contratti ai quali esso si applica (lavori pubblici di cui alla parte seconda del d.lgs. n. 163/2006; contratti pubblici relativi a servizi ed a forniture nei settori ordinari, nonché contratti di lavori, servizi, forniture nei settori speciali per contestazioni di importo economico non inferiore al dieci per cento dell'importo originariamente stipulato); (ii) l'oggetto (riserve sui documenti contabili di importo non inferiore al 10% dell'importo contrattuale);
(iii) i procedimenti ivi disciplinati; (iv) nonché i titolari degli uffici e gli organi ai quali sono affidate le attività inerenti alle procedure da svolgere per il tentativo del raggiungimento dell'accordo bonario.
In particolare, tale meccanismo opera quando, nel corso dell’esecuzione di contratti, l’importo economico dell’opera, a seguito dell’iscrizione delle riserve, possa variare in misura sostanziale e comunque non inferiore al dieci per cento dell’importo contrattuale.
Per quanto riguarda il termine per la formulazione della proposta di accordo xxxxxxx, il decreto legislativo ha modificato il momento dal quale inizia a decorrere il termine di novanta giorni entro il quale la commissione deve formulare la proposta motivata di accordo xxxxxxx. Tale termine, ai sensi del novellato art. 240, comma 5,
c.c.p. decorre dalla “costituzione della commissione” e non più, come previsto nella previgente formulazione di tale disposizione, dalla “apposizione dell'ultima delle riserve”. Alla predetta commissione è attribuito il compito di formulare una proposta motivata di accordo che dovrà essere sottoposta alla libera valutazione delle parti.
Con riferimento alla figura del Presidente della commissione, a differenza del passato in cui l’art. 240
c.c.p. non conteneva alcuna indicazione circa i soggetti che potevano aspirare a tale nomina, è stato introdotto il comma 9 - bis secondo cui “il terzo componente della commissione assume le funzioni di presidente della commissione ed è nominato, in ogni caso, tra i magistrati amministrativi o contabili, tra gli avvocati dello Stato o i
107 Xxxxxxxx E. M., L’accordo bonario su decisione vincolante della commissione in materia di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, in Riv. trim. app., 2008, p. 5 ss.
componenti del Consiglio superiore dei lavori pubblici, tra i dirigenti di prima fascia delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che abbiano svolto le funzioni dirigenziali per almeno cinque anni, ovvero tra avvocati e tecnici in possesso del diploma di laurea in ingegneria ed architettura, iscritti ai rispettivi ordini professionali in possesso dei requisiti richiesti dall’articolo 241, comma 5, per la nomina a presidente del collegio arbitrale”.
Il decreto è intervenuto, altresì, nella misura dei compensi da riconoscere ai membri della commissione, mediante la modifica del comma 10 al fine di ridurre l’ammontare dei compensi dalla misura precedente del 50% alla misura di un terzo dei corrispettivi minimi dalla tariffa allegata al D.M. 2 dicembre 2000, n. 398108. L'ultima novità in tema di accordo xxxxxxx é quella consistente nella nuova formulazione dell'art. 240, comma 16, c.c.p.; infatti, mentre la precedente versione di tale disposizione stabiliva che “decorsi i termini di cui al comma 12 e 13” poteva “farsi luogo ad arbitrato”, l’attuale formulazione del comma 16 prevede che possono essere aditi gli arbitri o. il giudice ordinario in caso di fallimento del tentativo di accordo bonario, risultante dal rifiuto espresso della proposta ad opera delle parti interessate, nonché in caso di inutile decorso dei termini stabiliti per la pronuncia delle stesse sulla proposta di accordo.
Attualmente, dunque, condizione di procedibilità dell'azione arbitrale o ordinaria è costituita unicamente
108 In questo modo, il minor costo per l’amministrazione potrebbe costituire un incentivo ad usare più facilmente l’istituto arbitrale.
(iv) Disposizioni razionalizzatrici dell’arbitrato. Inoltre il legislatore delegato, in ossequio al criterio direttivo dedicato all’arbitrato (“prevedere l’arbitrato come ordinario rimedio alternativo”) ha operato una razionalizzazione dell’istituto dell’arbitrato. In primo luogo, ha ribadito l’ammissibilità dell’arbitrato facoltativo abrogando le precedenti disposizioni della legge finanziaria 2008 che ne avevano sancito il divieto (art. 3, commi 19, 20 e 21 della legge 24 dicembre 2007, n. 244).
Il decreto è intervenuto per migliorare l’istituto dell’arbitrato modificando l’articolo 241 c.c.p. E’ stato inserito il comma 1-bis con l’intento di rendere più chiaro l’iter riguardante la decisione di sottoporre o meno la controversia al giudizio arbitrale. La stazione appaltante, infatti, è tenuta ad indicare nel bando o nell’avviso che
109 Sul punto si veda Cass., 2 luglio 2007, n. 14971, in Urb. e app., 2007,
p. 1108, nonché lodo arbitrale Roma, 8 febbraio 2010, n. 17, in Ardi. giur. oo.pp., 2010, 822. In dottrina, De Nictolis X., Xxxxxxxx R., Xxxxxx M., L’accordo bonario compositivo delle controversie in tema di riserve, in Caringella F. (a cura di) ,La nuova legge quadro sui lavori pubblici, Milano, 1999, p. 970. L'infruttuosa scadenza del termine dato alla stazione appai tante per l'adozione delle sue determinazioni non sembra che la privi della potestà di pronunciarsi sulle stesse. Ove ciò avvenga dopo che il giudizio arbitrale od ordinano sia già stato instaurato, Io stesso ben potrà continuare, qualora o per le parti in cui detta pronuncia non comporti cessazione della materia del contendere. Resta ovviamente ferma la facoltà dell'appaltatore di agire anche contro la determinazione espressa della stazione appaltante, nel qual caso il nuovo giudizio dovrebbe essere riunito al precedente. X. xxxx xxxxxxxxx Xxxx, 00 ottobre 2002, n. 38, in Arrh giur. oo.pp., 2003, p. 948. Secondo Xxxx., 7 marzo 2007, n. 5274, ibidem, 2007, 261, l'anticipato esperimento dell'azione arbitrale non preclude lo svolgimento del relativo giudizio e la pronuncia del lodo, una volta che, pur dopo la notifica della domanda di arbitrato, sia decorso il termine entro il quale la stazione appaltante è tenuta a formulare la propria proposta di accordo bonario. Sulla conformità alla Costituzione e, in particolare, al suo art. 24 di tale sistema, x. Xxxx., 2 luglio 2007, n. 14971, in Urb. e app., 2007, p. 1108.
Peraltro, non potendo la procedura arbitrale essere imposta unilateralmente, l’aggiudicatario, ovviamente, può ricusare tale clausola per non inserirla nel contratto mediante comunicazione all’amministrazione committente entro il termine breve di venti giorni dalla conoscenza dell’aggiudicazione.
Il predetto comma 1-bis stabilisce, inoltre, che è vietato il compromesso. E’ vietato, pertanto, accordarsi per il deferimento in arbitrato della lite dopo che la lite stessa è insorta111.
Da tale contesto, l'unico elemento che risulta conforme al criterio volto a favorire il ricorso all'arbitrato come ordinario rimedio alternativo al giudizio civile, è dato dalla rimozione del divieto del ricorso all'arbitrato.
Il decreto legislativo in commento ha introdotto due novità concernenti gli arbitri. Al comma 5, si definiscono in modo più rigoroso i requisiti soggettivi del presidente del collegio arbitrale; infatti è precisato che il presidente deve essere persona dotata di particolare esperienza nel settore oggetto dell’arbitrato, ma, per di più, deve essere un soggetto indipendente. In particolare non può essere presidente del collegio arbitrale la persona che nell’ultimo triennio abbia esercitato le funzioni di arbitro di parte o di
110 Vedi infra Sez. II par. 2.
111 Si tratta di una disposizione normativa strana e di difficile coordinamento con la rimanente parte del Codice dei contratti pubblici, soprattutto se si tiene conto dell’articolo 239 del codice stesso, che consente, entro certi limiti, la transazione, e del successivo articolo 240, che disciplina il tentativo di accordo xxxxxxx e prevede che l’accordo bonario raggiunto è, nei fatti, una transazione.
difensore in giudizi arbitrali disciplinati dall’articolo 241 (i.e. giudizi su diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture), a meno che non si tratti di avvocati dipendenti di un ente pubblico112.
In definitiva presidente del collegio arbitrale può essere, tra l’altro, un magistrato amministrativo, un avvocato dello Stato o di qualsiasi altro ente pubblico, un avvocato del libero foro esperto in materia di contratti pubblici, che nell’ultimo triennio non sia stato arbitro di parte o difensore in arbitrati in materia di contratti pubblici.
Si osservi, poi, che la nomina del presidente effettuata in contrasto con i divieti di cui al comma 5 dell’art. 241 è sanzionata con la nullità del lodo ex art. 829, comma 1, n. 3, c.p.c.
Per quanto riguarda, l'art. 241, comma 6, c.c.p., invece, é stata aggiunta la precisazione che non possono essere nominati arbitri e possono essere ricusati ex art. 815 c.p.c. coloro che hanno espresso un giudizio o parere sull'oggetto della controversia “anche ai sensi dell'articolo 240”, ovvero in sede di procedura di accordo bonario.
In terzo luogo, il decreto legislativo è intervenuto anche sulla disciplina del lodo.
Una prima novità riguarda l'art. 241, comma 9 c.c.p.113, in cui il legislatore, introducendo delle deroghe alla disciplina dell’arbitrato prevista dal codice di procedura
112 Da tale disposizione si desume, quindi, a contrariis, che la persona che nell’ultimo triennio abbia svolto funzioni di difensore in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture dinanzi al giudice ordinario può essere nominato presidente del collegio arbitrale.
113 Tale norma prima della riforma, invece, stabiliva che il lodo si
aveva “per pronunziato con il suo deposito presso la Camera arbitrale per i contratti pubblici”.
civile, ha stabilito che “il lodo si ha per pronunciato con la sua ultima sottoscrizione e diviene efficace con il suo deposito presso la Camera arbitrale per i contratti pubblici”, divergendo, in questo modo dall’art. 824-bis
Un'altra novità è la sostanziale riproduzione alla fine del comma 9 della disposizione in precedenza contenuta nel comma 11, il quale è stato, per tale ragione, abrogato. In tal senso, infatti, l'ultima parte dell'art. 241, comma 9,
In quarto luogo, il legislatore delegato nell’ottica della riduzione dei costi dell’arbitrato, ha posto un tetto massimo al compenso degli arbitri: infatti, qualunque sia il valore della controversia, il compenso per il collegio arbitrale, comprensivo dell’eventuale compenso per il segretario, non può comunque superare l’importo di Euro 100.000,00 “da rivalutarsi ogni tre anni con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il
114 Come hanno rilevato i giudici del Supremo Consesso Amministrativo nel parere espresso allo schema di decreto (Parere del Consiglio di Stato, Commissione Speciale del 25 gennaio 2010, n. 368/2010 del 1 febbraio 2010), la diversa disciplina rischia di essere foriera di incertezze interpretative in ordine all’esatta natura del lodo pronunciato sulle controversie relative all’esecuzione degli appalti.
115 La differenza con la previgente disciplina è che mentre l'art. 241, comma 11, c.c.p. prevedeva il pagamento “all'atto del deposito del lodo” ed “a cura degli arbitri”, la nuova disposizione ne differisce il pagamento fino a quindici giorni dalla pronuncia, con la precisazione che il versamento seppur corrisposto a cura degli arbitri è pur sempre “a carico delle parti”.
Ministro delle infrastrutture e dei trasporti” (art. 241, comma 12, quarto periodo). Si ricorda, peraltro, che i compensi degli arbitri devono essere determinati non in base alle tariffe forensi, bensì in base ai criteri ed alle tariffe indicati dal decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 dicembre 2000, n. 398116. Nella stessa ottica di riduzione dei costi del giudizio arbitrale, e in particolare per evitare i compensi spesso esorbitanti chiesti dai tecnici ed agli stessi concessi, il comma 13 dell’art. 241 è stato modificato nel senso che il compenso del “consulente tecnico e di ogni altro ausiliario nominato dal collegio arbitrale” deve essere liquidato in base al d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia).
(v) Impugnazione per nullità del lodo arbitrale. Importantissime sono, infine, le modifiche apportate all’art. 241 in punto di impugnazione del lodo attraverso le quali il legislatore, in attuazione del principio e criterio direttivo di cui al numero 5 della legge delega (“prevedere misure acceleratorie del giudizio di impugnazione del lodo arbitrale”), ha cercato di sopperire ad un altro noto ostacolo dell’arbitrato, consistente nel fatto che, per un verso, il lodo è difficilmente modificabile dal giudice di appello, e, per l’altro, il giudizio di appello procede con estrema lentezza.
116 Sempre nell’ottica di riduzione dei costi, all’art. 241 del Codice dei contratti pubblici è stato aggiunto un comma 12-bis, in base al quale, in caso di accoglimento parziale della domanda, il collegio arbitrale compensa le spese del giudizio in proporzione al rapporto tra il valore della domanda (quanto è stato chiesto) e quello dell’accoglimento (quanto è stato accolto). Pertanto, chi propone una data domanda deve sapere che, se non viene integralmente accolta, non sarà integralmente ristorato nelle spese del giudizio, cosa che, peraltro, già avviene nella prassi.
Innanzitutto, l’art. 5, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 53/2010 ha introdotto nell’art. 241 c.c.p. il comma 15-bis, in base al quale “il lodo è impugnabile, oltre che per motivi di nullità, anche per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia”. Ciò significa, in altre parole, che, dal 27 aprile 2010, il giudice ordinario (corte di appello) può controllare effettivamente la legittimità del giudizio svolto dagli arbitri, cosa che, sino ad oggi, gli era preclusa dal disposto dell’art. 829 c.p.c., che, a ben vedere, prevede l’impugnazione del lodo per i soli profili formali della controversia e non anche, invece, per quelli sostanziali.
In secondo luogo, si riducono tutti i termini dell’impugnazione e del giudizio. L’impugnazione del lodo si propone nel termine di novanta giorni dalla notificazione del lodo e non è più proponibile dopo il decorso del termine di centottanta giorni dalla data del deposito del lodo presso la Camera arbitrale (art. 241, comma 15-bis)117.
Alla disposizione di cui al comma 15-bis fa seguito il comma 15-ter dell’art. 241 c.c.p (esso pure introdotto
117 I commi 9 e 10 dell’art. 241 del d.lgs. n. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici) sono così sostituiti: “9. Il lodo si ha per pronunciato con la sua ultima sottoscrizione e diviene efficace con il suo deposito presso la camera arbitrale per i contratti pubblici. Entro quindici giorni dalla pronuncia del lodo va corrisposta, a cura degli arbitri e a carico delle parti una somma pari all’uno per mille del valore della relativa controversia. Detto importo è direttamente versato all’Autorità. 10. Il deposito del lodo effettuato ai sensi dell’articolo 825 del codice di procedura civile è preceduto dal suo deposito presso la camera arbitrale per i contratti pubblici. Il deposito del lodo presso la camera arbitrale è effettuato, a cura del collegio arbitrale, in tanti originali quante sono le parti, oltre a uno per il fascicolo d’ufficio. Su richiesta di parte il rispettivo originale è restituito, con attestazione dell’avvenuto deposito, ai fini degli adempimenti di cui all’articolo 825 del codice di procedura civile”.
dall’art. 5, comma 1, lett. m), del d.lgs. n. 53/2010)118, il quale introduce le misure acceleratorie del giudizio di impugnazione del lodo, disponendo che la parte che impugna il lodo può chiedere alla Corte d’Appello di sospenderne l’efficacia se ricorrono gravi e fondati motivi (si applica la procedura di cui all’art. 351 c.p.c.).
Quando sospende l’efficacia del lodo, o ne conferma la sospensione disposta dal presidente, il collegio verifica se il giudizio può essere definito. In questo caso, il collegio, fatte precisare le conclusioni, invita le parti a discutere la causa immediatamente o in un’udienza da tenersi entro novanta giorni dall’ordinanza di sospensione. In tali casi pronuncia sentenza ex art. 281-sexies c.p.c. Se il collegio ritiene indispensabili incombenti istruttori, il collegio provvede su di essi con la stessa ordinanza di sospensione e ne ordina l’assunzione in un’udienza successiva di non oltre novanta giorni; quindi provvede come sopra119.
In conclusione, quindi, sarà solo il tempo a dire se il nuovo arbitrato sarà ancora oggetto di ostracismo oppure, finalmente, potrà decollare.
118 La norma corregge gli effetti della recente riforma dell’arbitrato ordinario, che aveva ristretto drasticamente i casi di impugnazione del lodo per nullità, eliminando il caso della violazione delle norme sostanziali applicate al giudizio.
119 Si segnala, per completezza, che l’art. 5, comma 2, del d.lgs. n.
53/2010 ha apportato alcune modifiche all’art. 243 del Codice dei contratti pubblici, recante “Ulteriori norme di procedura per gli arbitrati in cui il presidente è nominato dalla camera arbitrale”.
7. L’esclusione dell’arbitrato in materia di appalti pubblici dal D. Lgs. 104/2010 (cd. Codice del Processo Amministrativo).
Fra i vari istituti processuali codificati dal D. Lgs. n. 104 del 2 luglio 2010 vi è anche quello dell’arbitrato: l’art. 12 del c.p.a.120 prevede la risoluzione mediante arbitrato rituale di diritto delle controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo121.
Il codice dei contratti pubblici, nella sua versione originaria, non disciplinava espressamente il procedimento arbitrale. Tale lacuna è stata colmata dall’art. 1 del decreto correttivo approvato dal Consiglio dei Ministri dell’11 novembre 2011, che, nell’aggiungere all’unico comma dell’art. 12 del c.p.a. l’espressione “ai sensi dell’articolo 806 e seguenti del codice di procedura civile”, ha chiarito che la disciplina del procedimento arbitrale contemplato dal citato art. 12 è quella del codice di procedura civile.
Il Codice, in ogni caso, manca di procedere ad un riordino della normativa in tema di arbitrato, omettendo di trasfondere in se´ la disciplina dettata dal D. Lgs. n. 163/2006 per gli arbitrati riguardanti le controversie sui
120 La disposizione ripropone l’art. 6 della L. n. 205/ 2000 che, superando il principio di inammissibilità dell’arbitrato nelle materie devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo, ha consentito la risoluzione, mediante arbitrato rituale di diritto, di tutte le controversie riguardanti diritti soggettivi, a prescindere dalla loro tutelabilita` innanzi al giudice ordinario o a quello amministrativo.
121 Fra i primi commenti all’art. 12 del c.p.a. si veda Buonanno F., Commento sub art. 12, in AA.VV. (a cura di) Caringella F., Protto M., Codice del nuovo processo amministrativo, Xxxx, 0000, p. 257 ss.; Chieppa R., Il Codice del processo amministrativo, Milano, 2010, p. 89 ss.; Xxxxxxxxxxx G.,. Zingales U. G., Il codice del nuovo processo amministrativo, Milano, 2010, p. 31 ss.
diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.
Analizziamo da vicino quelle che sono state le ragioni che hanno portato il legislatore a non unificare nel c.p.a. le previsioni di cui agli artt. 241-243 del D. Lgs. n. 163/2006.
In primo luogo, l’art. 44 della legge delega (Legge n. 69 del 18 giugno 2009), nel dettare i principi ed i criteri direttivi a cui il legislatore delegato avrebbe dovuto attenersi, nulla diceva in tema di arbitrato se non con riferimento all’art. 12 c.p.a.122 senza consentire di comprendere le ragioni alla base dell’esclusione dal Codice.
Il codice del processo amministrativo, con la esclusione del solo istituto del cd. preavviso di ricorso (art. 243-bis
122 Con riferimento all’art. 6 della L. n. 205/2000 - come visto riproposto nell’art. 12 del c.p.a. -, si è ritenuto che lo stesso non introducesse una norma in tema di giurisdizione, bensì risolvesse una questione di merito in quanto, ammettendo la deferibilita` ad arbitri delle controversie aventi ad oggetto diritti soggettivi devolute alla giurisdizione esclusiva amministrativa, investiva la validità e l’efficacia della clausola compromissoria. In tal senso Cass., Sez. Un., 18 novembre 2008, n. 27336, in Giust. Civ., Mass., 2008, 1633. Da questo punto di vista, peraltro, appare criticabile la stessa collocazione dell’art. 12 a chiusura del capo III del titolo I del libro I del c.p.a. dedicato proprio alla giurisdizione amministrativa.
123 I vigenti artt. 245-bis, 245-ter, 245-quater e 245-quinquies, del D. Lgs. n. 163/2006 rinviano al codice del processo amministrativo per la disciplina in tema di inefficacia del contratto nei casi di gravi violazioni (art. 121 c.p.a.), di inefficacia del contratto nei casi diversi (art. 122 c.p.a.), di sanzioni alternative (art. 123 c.p.a.) e di tutela in forma specifica e per equivalente (art. 124 c.p.a.).
D. Lgs. n. 163/06), reca, dunque, una disciplina tendenzialmente esaustiva del contenzioso in tema di appalti pubblici.
Secondo parte della dottrina124, non è chiara la ratio sottesa alla scelta compiuta dal legislatore delegato nella misura in cui, una volta contemplato all’art. 12 l’arbitrato nelle controversie concernenti i diritti soggettivi devolute alla giurisdizione amministrativa, ed una volta operata la trasfusione della disciplina sulla sorte del contratto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione e sulla tutela in forma specifica, altrettanto non sia accaduto per la normativa recata dagli artt. 241-243 c.c.p. in tema di arbitrato125.
L’esclusione della normativa di cui agli artt. 241 – 243
c.c.p. dal Codice appare, poi, ancora piu’ ingiustificata nella misura in cui, anche a seguito delle modifiche del decreto correttivo, la disciplina applicabile alla procedura arbitrale ex art. 12 c.p.a. e` proprio quella del codice del processo civile (ex art. 806 c.p.c.), al pari di quanto accade, ai sensi dell’art. 241 comma 2 c.c.p., negli arbitrati
124Misserini G., L’esclusione dell’arbitrato in materia di appalti pubblici dal codice del processo amministrativo, in Urb. e app., n. 4/2012, p. 394 ss.
125 Ulteriori profili di scarsa chiarezza in merito alla scelta legislativa di esclusione dell’arbitrato dal Codice sono ravvisabili laddove si consideri che le previsioni di cui agli artt. 241 e 243 c.c.p. sono state emanate in attuazione dell’art. 44 della L. 7 luglio 2009, n. 88 (lett. m)
- recante la delega al Governo per l’attuazione della direttiva 2007/66/CE per il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici -, al pari delle disposizioni di cui agli artt. 245-bis - 245-quinquies dello stesso decreto, oggi trasfuse negli artt. 121-124 c.p.a., anch’esse emanate in attuazione dello stesso art. 44 (lett. h). Ebbene, nonostante entrambe le normative diano attuazione nello Stato italiano alla medesima direttiva, queste risultano racchiuse in corpi normativi differenti, cosı` rendendo ancora più ardua la difesa della scelta del D. Lgs. n. 104/2010 di non codificare la disciplina dettata dal cd. Codice degli appalti pubblici in tema di arbitrato.
riguardanti le controversie su diritti soggettivi derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.
La disciplina di cui al codice di procedura civile dell’arbitrato, pertanto, rappresenta l’archetipo normativo al cui rispetto soggiacciono tanto gli arbitrati rituali di diritto con cui si risolvono le controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (quelli ex art.12 c.p.a.), quanto i procedimenti arbitrali a cui sono deferite le liti su diritti soggettivi derivanti dagli appalti pubblici (quelli ex art. 241 ss. c.c.p.).
Davvero incomprensibile appare, dunque, la scelta del legislatore delegato di non trasfondere nel Codice del processo amministrativo le previsioni di cui agli artt. 241-
243 del D. Lgs. n. 163/2006 pur a seguito della codificazione dell’arbitrato nelle controversie concernenti diritti soggettivi devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, atteso che in entrambi i casi spetterà al codice di procedura civile regolamentare i conseguenti procedimenti arbitrali.
L’esclusione della disciplina arbitrale dal Codice, contrasta con le stesse ragioni della codificazione che, come precisato nell’introduzione generale delle relazione al codice stesso, muovono da un’esigenza formale e da una sostanziale.
Sul piano formale, la codificazione mira a garantire esigenze di unificazione, chiarificazione e coordinamento, intervenendo il codice su norme processuali sinora sparse in una molteplicità di testi normativi, non sempre coordinate tra loro.
Dal punto di vista sostanziale, il codice intende adeguare le regole del processo amministrativo alla sua mutata struttura estesa ad un più ampio ambito di azioni e mezzi di tutela in considerazione del mutamento sostanziale dell’interesse legittimo, la cui tutela esige uno strumentario non dissimile da quello previsto per i diritti soggettivi.
Non v’è dubbio che l’assenza nel codice del processo amministrativo della disciplina di cui agli artt. 241-243
c.p.c. si ponga in contrasto con l’esigenza formale che la codificazione intendeva realizzare: nessuna unificazione, nessuna chiarificazione e nessun coordinamento può certo discendere da un assetto normativo che vede racchiuse in un due corpi normativi differenti le discipline di procedimenti arbitrali che non solo vedono entrambi quale parte necessaria una pubblica amministrazione o, comunque, un soggetto ad essa equiparabile, ma che ambedue riguardano controversie su diritti soggettivi.
Orbene, è di palmare evidenza che il mancato passaggio della disciplina dell’arbitrato in tema di appalto pubblici dal Codice dei contratti pubblici al Codice del processo amministrativo non consenta di raggiungere quell’esigenza di razionalizzazione formale del diritto esistente la cui realizzazione, da sempre, viene affidata ai codici, pertanto ci si auspica in futuro da parte del legislatore, un “intervento unificatore” della disciplina arbitrale all’interno del Codice del processo amministrativo.
SEZIONE SECONDA L’ACCESSO ALLA DISCIPLINA ARBITRALE
SOMMARIO: 1. La volontarietà dell'arbitrato ed il problema della “effettiva” volontarietà. 2. La ricusazione della clausola compromissoria. 3. Segue. Le modalità di ricusazione della clausola compromissoria. 4. La compromettibilità in arbitri delle controversie concernenti diritti soggettivi. 5. Le controversie derivanti dall’esecuzione dei contratti pubblici.
1. La volontarietà dell'arbitrato ed il problema della “effettiva” volontarietà.
I precedenti storici dell’attuale disciplina dell’arbitrato contenuta all’interno del Codice dei contratti pubblici sono sempre stati connotati dal problema del rapporto tra l’arbitrato e la volontà delle parti interessate; per tale ragione, l’analisi della nuova disciplina arbitrale non può che iniziare da tale aspetto.
L’art. 241, comma 1, c.c.p., stabilendo che “Le controversie su diritti soggettivi, derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell'accordo bonario previsto dall'articolo 240, possono essere deferite ad arbitri”, chiaramente riconduce l’arbitrato alla volontà
delle parti non diversamente da quanto previsto in via generale dall’art. 806 c.p.c.126.
L'art. 241 c.c.p., infatti, si apre con due affermazioni:
(i) la devoluzione ad arbitri delle controversie è assolutamente facoltativa ("le controversie (...) possono essere deferite") (comma 1) e (ii) ai giudizi arbitrali si applicano di norma le disposizioni del codice di procedura civile, salve le deroghe espressamente indicate (comma 2). Sotto il primo profilo, si evidenzia che la volontarietà dell'arbitrato è il faticoso punto di arrivo di un lungo travaglio tramite il quale, grazie soprattutto all’intervento della Corte Costituzionale127 e del legislatore della Merloni-ter (legge n. 109/1994), sono sparite tutte le formule e le forzature volte ad individuare l'arbitrato come
mezzo privilegiato di risoluzione delle liti.
Ora, la ribadita “volontarietà dell'arbitrato” unita al richiamo generale alle disposizioni del codice di procedura civile inducono a ritenere che per affidare una controversia ad arbitri occorre l'esistenza di un compromesso o di una clausola compromissoria contenuta nel contratto. Non è quindi sufficiente il mero riferimento effettuato in contratto, come in passato era abitudine costantemente praticata, alla disposizione di legge, perché questa non fa che consentire una facoltà.
Con la nuova formulazione dell’art. 241 c.c.p. introdotta dal D. Lgs. 53/2010, il legislatore ha voluto raccogliere l’auspicio del giudice delle leggi e della
126 Sull’ambito di applicazione degli artt. 240 e ss c.c.p. si veda Xxxxxxxx E., Arbitrato rituale e "lavori pubblici", Milano 2011, p. 530 ss.
127 Corte Cost. 9 maggio 1996, n. 152, in Foro it., 1996, I, p. 1905 ss.
autorevole dottrina128sulla necessità che la scelta tra competenza arbitrale e giudice xxxxxx fosse effettivamente libera fino al momento della costituzione del collegio arbitrale esaltando ancor di più la volontarietà dell’arbitrato, prevedendo che l’aggiudicatario non è costretto ad accettare la convenzione di arbitrato indicata nel bando, avviso o invito, potendola ricusare129.
Rispetto alle previsioni del decreto ministeriale n. 398 del 2000, infatti, sopravvivono soltanto la previsione
128 Luiso F. P., La Camera arbitrale per i lavori pubblici, op. cit., 2000, p. 419. Nello stesso senso Cavallini C., Profili costituzionali della tutela arbitrale, in Riv. dir. proc., 2003, p. 814.
129 In particolare è stato introdotto, il comma 1-bis all'art. 241 c.c.p., il quale stabilisce che “la stazione appaltante indica nel bando o nell'avviso con cui indice la gara ovvero, per le procedure senza bando, nell'invito, se il contratto conterrà, o ameno, la clausola compromissoria”, e che “l'aggiudicatario può ricusare la clausola compromissoria, che in tal caso non è inserita nel contratto, comunicandolo alla stazione appaltante entro venti giorni dalla conoscenza dell'aggiudicazione. E' vietato in ogni caso il compromesso”. Il legislatore, di fatto, ha così ridotto l'arbitrabilità delle controversie, vietando, relativamente ai contratti pubblici, il compromesso (art. 807 c.p.c.) una volta insorta la controversia. Sono pertanto arbitrabili solo le controversie relative a contratti già contenenti la clausola compromissoria.
130 Si ricorderà infatti che l'art. 32 della legge Xxxxxxx-xxx aveva
demandato ad un apposito regolamento, da emanare di concerto tra il Ministro dei lavori pubblici ed il Ministro di grazia e giustizia, la fissazione di regole speciali — nel rispetto dei principi del codice di procedura civile — da osservarsi nei giudizi arbitrali per i lavori pubblici, nonché la fissazione di tariffe ad hoc, diverse da quelle ordinarie professionali, per la determinazione del corrispettivo dovuto dalle parti. Detto regolamento fu effettivamente emanato con il d.m. 2 dicembre 2000, n. 398; esso fu attaccato ripetutamente anche in sede giurisdizionale, ma le sue disposizioni resistettero a tutte le censure di illegittimità formulate.
dell'obbligo di depositare il lodo presso la Camera arbitrale per i contratti pubblici, i criteri di determinazione del valore della controversia e la tariffa relativa al compenso per gli arbitri.
La scelta di ricondurre praticamente tutto il procedimento arbitrale sotto le regole procedurali ordinarie merita una breve riflessione.
Tra le disposizioni regolamentari non riprodotte né richiamate spiccano quelle che volevano assoggettare il giudizio arbitrale a criteri più rigorosi in ordine all'oggetto della domanda e alla sua invariabilità. Nel giudizio arbitrale speciale di cui al d.m. n. 398 del 2000 infatti, la domanda di arbitrato avrebbe dovuto contenere a pena di nullità la determinazione dell'oggetto della lite e la specificazione delle somme richieste, e l'atto di resistenza avrebbe dovuto contenere con speculare precisione l'eventuale domanda riconvenzionale; cosi delimitato inderogabilmente l'oggetto della lite, nuove o diverse domande o aggiorna-menti o ampliamenti delle somme richieste non avrebbero potuto essere successivamente proposti. o se proposti avrebbero dovuto essere d'ufficio dichiarati inammissibili.
La ratio delle disposizioni in questione era evidentemente quello di fronteggiare il fenomeno - molto frequente nel caso di arbitrato in corso d'opera - di giudizi instaurati sulla base di una certa pretesa e di una certa quantificazione, e poi suscettibili di "esplodere" alla luce delle riserve successivamente iscritte nelle more del giudizio e portate all'attenzione degli arbitri senza che su di esse ci fosse stato il tempo di raccogliere i necessari pareri tecnici, di avere una pronuncia in via
amministrativa, e soprattutto di elaborare le necessarie difese.
L’abbandono di questa impostazione da parte del legislatore del 2006 rischia di ripristinare il costume degli arbitrati che, soprattutto nel settore dei lavori pubblici, tendono a gonfiarsi in corso di giudizio senza altro controllo che quello del formale omaggio al principio del rispetto del contraddittorio.
La soluzione che può consentire di evitare il ricordato inconveniente potrebbe risiedere nell’esigere la più possibile stretta corrispondenza tra quesiti sottoposti ad arbitrato e riserve sottoposte alla procedura di accordo bonario, ammettendo ad arbitrato solo pretese sulle quali si è già infruttuosamente esperito il tentativo di definizione di cui all’art. 240 c.c.p.
2. La ricusazione della clausola compromissoria.
La convenzione arbitrale segue un regime speciale reso necessario dalle peculiari modalità di inserimento nei contratti; infatti, al fine di evitare che l’appaltatore si trovi a subire la scelta arbitrale della stazione appaltante, l’art. 241, comma 1-bis, c.c.p. prevede che questi possa ricusare la clausola compromissoria preannunciata nel bando, nell’invito o nell’avviso, entro venti giorni dalla aggiudicazione131.
131 La previsione normativa di cui all’art. 241, comma 1-bis, c.c.p. rovescia l'istituto della declinatoria dell'arbitrato, attribuito un tempo alla parte convenuta (normalmente l'amministrazione committente) dall'art. 47 del capitolato generale del 1962 (DPR n. 1063/1962).
Tale norma, se da un lato elimina ogni dubbio in ordine alla volontarietà dell'arbitrato nel caso in cui nel bando, invito o avviso, compaia l'indicazione che il contratto conterrà la clausola compromissoria, dall'altro lato fa sorgere alcuni interrogativi sugli effetti di tale nuova previsione sul potere compromissorio delle parti.
Innanzitutto, il comma 1-bis si limita a stabilire che l'aggiudicatario può ricusare la clausola compromissoria, ma non dice nulla relativamente alla facoltà dello stesso di influire sul contenuto del patto compromissorio.
La questione più delicata posta dal nuovo dettato normativo di cui al comma 1-bis è quella di comprendere quale sia l'effettiva portata di tale disposizione qualora nel bando, avviso od invito, non venga indicato se il contratto conterrà o meno la clausola compromissoria e quindi se, in questa ipotesi, debba escludersi la facoltà delle parti di stipulare una convenzione di arbitrato.
Per individuare il concreto significato del comma 1-bis, è indispensabile tenere presente quanto previsto nella legge delega dal momento che, com'è noto, uno tra i principali criteri ermeneutici della legge delegata consiste proprio nella sua lettura congiunta alla legge delega132.
Pertanto, il comma 1 bis, in linea con la legge delega, non stabilisce espressamente che se nel bando, avviso o
Bisogna però tener presente che in base all'art. 47 del vecchio capitolato generale la parte attrice poteva escludere la competenza arbitrale, prevista in via generale dall'art. 43, notificando la citazione avanti il giudice competente.
132 La legge delega distingueva tra “clausola arbitrale” contenuta nel contratto e “negozio compromissorio” successivo alla stipula del con- tratto. Per quanto concerne la prima, la legge delega autorizzava il Go- verno “a prevedere che le stazioni appaltanti indichino fin dal bando o avviso della gara se il contratto conterrà o meno la clausola arbitrale”. Riguardo al secondo, invece, la legge delega autorizzava il Governo a proibirlo “successivamente alla stipula del contratto”.
invito di xxxx non viene indicato che il contratto conterrà la clausola arbitrale, le parti non possano comunque inserire nel contratto una convenzione di arbitrato.
In quest’ultimo caso, alla stregua di quelli in cui non vi sia alcuna indicazione nel bando, avviso o invito, è giusto ritenere che, se le parti decidono successivamente alla stipulazione del contratto di stipulare una convenzione arbitrale, esse sono in tempo fino a quando la controversia non sia sorta; vale infatti il principio di autonomia negoziale, limitato dal solo divieto di compromesso imposto dalla nuova disposizione di cui al comma 1-bis dall’art. 241 c.c.p.134.
L’introduzione del comma 1-bis, rappresenta certamente la modifica più rilevante intervenuta sul testo dell’art. 241 c.c.p. riducendo, di fatto, l’arbitrabilità delle controversie e vietando il compromesso una volta insorta la controversia; ne deriva, quindi, che sono arbitrabili solo le controversie relative a contratti già contenenti la clausola compromissoria.
133 Zucconi Xxxxx Xxxxxxx E., L'arbitrato nei contratti pubblici (a proposito di una recente monografia), in Riv. trim. dir e proc. civ. 2012, p. 592.
134 Xxxxxxxx E., Arbitrato rituale e " lavori pubblici", op. cit., p. 518.
3. Segue. Le modalità di ricusazione della clausola compromissoria.
Per quanto riguarda l'esercizio del potere di ricusare la clausola compromissoria, la formulazione del comma 1- bis esige poi alcuni chiarimenti.
In primo luogo, va evidenziato che sussiste una libertà di forma poiché non è prevista una particolare modalità attraverso la quale l’aggiudicatario può comunicare alla stazione appaltante la volontà di ricusare la clausola compromissoria e, di conseguenza, deve ritenersi ammissibile ogni forma di comunicazione e quindi non solo quella della notificazione di cui agli art. 137 e ss. c.p.c.
Riguardo al termine per la ricusazione, appare opportuno precisare che, nonostante la nuova disposizione nulla dica a tal riguardo, il termine di venti giorni per la ricusazione della clausola compromissoria, va sicuramente considerato come perentorio.
Il carattere perentorio del termine è desumibile dal fatto che la formulazione del comma 1-bis, nel subordinare il potere della parte di ricusare la clausola compromissoria alla relativa comunicazione alla stazione appaltante entro il termine di venti giorni dalla conoscenza dell'aggiudicazione, rende manifesta l'intenzione legislativa di non consentire più la ricusazione della clausola dopo che sia decorso tale termine135.
135 In senso contrario, non può essere invocato quanto disposto dall'art. 152, comma 2, c.p.c., in forza del quale “i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, tranne che la legge stessa li dichiari espressamente perentori”. Ed infatti - a parte il rilievo che nel caso di specie tale disposizione non dovrebbe trovare applicazione, visto che il termine in questione non riguarda il «compimento» di un atto del processo - non