Gli apporti originali e le invenzioni nel Jobs act sul lavoro autonomo
Articolo pubblicato sul numero 22|2017 del 29/05/2017
Gli apporti originali e le invenzioni nel Jobs act sul lavoro autonomo
di Xxxxxxx Xxxxxxx
L’articolo 4 del Jobs act autonomi sancisce che i diritti di utilizzazione economica relativi ad apporti originali e a invenzioni realizzati nell’esecuzione del contratto stesso spettano al lavoratore, secondo le disposizioni di cui alla Legge 22 aprile 1941, n. 633, e al Codice della proprietà industriale, di cui al Decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30.
Lavoro : Rapporto di lavoro : Lavoro autonomo
Cod.Civ., art. 2590
Cod.Civ., art. 2590
X.Xxxx. Sent. n. 7484 del 5 giugno 2000
D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 63
D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 64
D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 65
Legge n. 190 del 13 maggio 1985, art. 4
D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30.
L’art. 4 del Jobs act autonomi – D.D.L. n. 2233-B, approvato in via definitiva del Senato il 10 maggio 2017 – è dedicato gli apporti originali e invenzioni del lavoratore concernenti il lavoro autonomo, e sancisce che i diritti di utilizzazione economica relativi ad apporti originali e a invenzioni realizzati nell’esecuzione del contratto stesso spettano al lavoratore, secondo le disposizioni di cui alla L. 22 aprile 1941, n. 633, e al Codice della proprietà industriale, di cui al
Prima però di entrare nel merito della nuova disposizione appare utile ripercorre i tratti essenziali della disciplina in tema di invenzioni del lavoratore i cui princìpi sono estensibili anche alla disciplina in argomento.
Le invenzioni industriali
La materia delle invenzioni industriali è stata oggetto di disamina da lungo tempo anche al di fuori del nostro Paese. Invero già la dottrina tedesca agli inizi dello scorso secolo aveva fornito delle classificazioni tipologiche che il legislatore italiano ha recepito negli articoli che vanno dal 23 al 26 del X.X. 00 giugno 1939, n. 1127 sui brevetti per le invenzioni industriale, che poi, unitamente all’art. 2590 c.c., si sono occupati di regolare in maniera specifica la materia.
Successivamente si sono succedute altre norme di puntualizzazione in merito, tra cui l’art. 34, D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e art. 4, L. 13 maggio 1985, n. 190.
Con l’ art. 64, D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 è stata sostituita la disciplina di cui alle leggi citate
introducendo una innovazione prevalentemente di carattere formale ma non intaccando quanto affermato da dottrina e giurisprudenza con riferimento al dettato normativo precedente, atteso che anche le massime riportate rivestono ancora carattere di attualità.
Al riguardo, il vigente codice della proprietà industriale all’art. 63, D.Lgs. n. 30/2005 dispone, quale principio generale, che il diritto al brevetto per invenzione industriale spetta all’autore della stessa, soggetto che, salvo prova contraria da fornire a mezzo della apposita procedura di rivendica, è colui che è indicato come tale al momento della registrazione del brevetto.
Procedura questa che consente al soggetto indicato quale inventore l’utilizzazione esclusiva del trovato, con tutto ciò che ne consegue per quanto concerne la titolarità dei diritti patrimoniali e morali.
Nel caso in cui, però, l’invenzione venisse realizzata nell’ambito di un rapporto di lavoro, il legislatore, a mezzo del combinato disposto degli art. 64, D.Lgs. n. 30/2005 e art. 2590 c.c., ha statuito una espressa eccezione alla regola generale, che comporta una netta scissione tra il cd. profilo morale e quello economico.
Invero, nell’ambito del rapporto di lavoro coesistono, in un complesso sistema di bilanciamento da un lato il diritto morale del dipendente ad essere riconosciuto come autore del trovato (art. 2590 c.c.) e dall’altro il diritto del datore di lavoro allo sfruttamento economico dello stesso, salvo il riconoscimento di un equo premio da corrispondere al prestatore inventore a fronte di determinati requisiti (art. 64, D.Lgs. n. 30/2005).
Nello specifico, l’art. 64, comma 1, considera il caso in cui l’attività inventiva sia oggetto del contratto di lavoro, cioè è fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di lavoro o d’impiego, sancendo che i diritti derivanti dall’invenzione stessa appartengono al datore di lavoro, salvo il diritto spettante all’inventore di esserne ad essere riconosciuto autore.
L’applicabilità di tale norma dipende dall’interpretazione del contratto di lavoro, posto che l’elemento distintivo di tale ipotesi di invenzione risiede nella presenza dell’esplicita previsione contrattuale di una retribuzione, costituente il corrispettivo dell’attività inventiva.
In altre parole, con l’attuale disciplina delle invenzioni del lavoratore, dettata dal combinato disposto di cui agli artt. 62, 63 e 64, del D.Lgs. n. 30/2005 e dell’art. 2590 c.c., si prevede da un lato una deroga ai principi generali del diritto industriale, che attribuiscono i diritti patrimoniali e morali derivanti dal trovato inventivo all’autore dello stesso, ma dall’altro si stabilisce, in attuazione dell’art. 35 Cost., i limiti e la portata del cd. principio dell’alienabilità del risultato, secondo cui i risultati di un’obbligazione di fare dedotta ad oggetto di un contratto di lavoro appartengono al soggetto in favore del quale è svolta la prestazione ed in questo senso appare coerente con la fisiologia del rapporto di lavoro che riconduce all’impresa i risultati del lavoro prestato.
In merito, va evidenziato un altro importante elemento, e cioè che le disposizioni citate non definiscono la nozione di invenzione, scongiurando, in tal modo, la eccessiva rigidità di una normativa suscettibile di applicazione in un ambito in costante e veloce evoluzione ma al tempo stesso rendendo non sempre agevole ravvisare quando, data per certa l’inventività del trovato, si possa affermare che vi è stata attività inventiva da parte del lavoratore.
La dottrina e la giurisprudenza hanno più volte inquadrato quale autore dell’invenzione colui chi è stato in grado di trovare la soluzione ad una questione tecnica irrisolta ovvero di ottenere un risultato innovativo, apportando semplificazioni o nuovi accorgimenti alle invenzioni già esistenti anche utilizzando strumenti e tecniche preesistenti, ovvero trapiantando tecniche e procedimenti appartenenti ad un altro settore, se non, infine, inventando accorgimenti, procedimenti o processi per fronteggiare una data evenienza.
Diritti del lavoratore-inventore
Come è stato accennato l’art. 2590 c.c. si limita, al primo comma, a riconoscere il diritto morale del prestatore di lavoro ad essere riconosciuto autore dell’invenzione e rinvia, al secondo comma, alle caratteristiche per essere riconosciuto inventore, lasciando aperte delle problematiche di coordinazione con la disciplina prevista dal Codice della proprietà industriale. Il primo comma dell’art. 2590 parrebbe indicare che il lavoratore-inventore abbia sempre e comunque il diritto ad essere riconosciuto come autore dell’invenzione. In realtà, il coordinamento di questa norma con la disciplina disposta dall’art. 64 pone problemi in talune circostanze quali, per esempio, nel caso di fattispecie di invenzione di servizio in regime di segretezza.
Oltre il diritto morale spettano al lavoratore anche altri diritti patrimoniali che sono disciplinati in modo diverso a seconda del tipo di rapporto di lavoro intercorrente e del tipo di invenzione. Nelle cd. invenzioni di servizio i diritti patrimoniali appartengono al datore di lavoro; nelle cd. invenzioni di azienda i diritti patrimoniali appartengono al datore di lavoro, ma se questo brevetta l’invenzione, il lavoratore ha diritto ad un equo compenso, infine nelle cd.invenzioni occasionale i diritti patrimoniali appartengono al lavoratore, con un diritto di opzione per l’uso al datore di lavoro.
Si vedrà ora di esaminare distintamente queste tre fattispecie, la cui normativa generale è oggi racchiusa nell’art. 64 codice della proprietà industriale oltre che nell’art. 2590 c.c.
Si ha "invenzione di servizio" quando l’invenzione industriale è fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un rapporto di lavoro e l’attività inventiva è prevista quale oggetto del contratto e a tale scopo retribuita: al lavoratore spetta il diritto di essere riconosciuto autore dell’invenzione, mentre i diritti economici derivanti dall’invenzione appartengono al datore di lavoro.
Si ha "invenzione di azienda" quando l’invenzione industriale è fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un rapporto di lavoro, ma non è prevista una specifica retribuzione in compenso dell’attività inventiva: i diritti economici derivanti dall’invenzione appartengono al datore di lavoro, mentre al lavoratore spetta, oltre al diritto di esserne riconosciuto autore, anche un equo premio.
Si ha, infine, "invenzione occasionale" quando l’invenzione industriale non è realizzata nella esecuzione o nell’adempimento del contratto ma rientra, purtuttavia, nel campo di attività del datore di lavoro: i diritti economici e morali spettano al lavoratore, mentre al datore di lavoro è riconosciuto un diritto di opzione per l’uso, esclusivo o meno, dell’invenzione o per l’acquisto del brevetto.
Invenzioni di servizio
Il primo comma dell’art. 64 del Codice della proprietà industriale, che recepisce integralmente il primo comma dell’abrogato art. 23 del X.X. 00 giugno 1939, n. 1127, disciplina le cd. invenzioni di
servizio, e cioè quelle alle quali il lavoratore perviene nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego nel quale l’attività inventiva è prevista come oggetto del contratto ed è a tale scopo retribuita.
Al primo comma sono menzionati quali requisiti l’indicazione dell’attività inventiva come oggetto del contratto o del rapporto e la presenza di una specifica retribuzione per tale attività. Si può quindi ritenere in prima battuta che per quanto concerne la fattispecie dell’invenzione di servizio le condizioni di applicabilità siano che l’azienda svolga attività di ricerca inventiva, che le mansioni del dipendente comprendano, in parte o per la totalità, tale attività, che tali mansioni risultino dal contratto di lavoro e che siano specificamente retribuite
In buona sostanza, le invenzioni di servizio sono quelle realizzate nell’adempimento di un rapporto di lavoro il cui oggetto ricomprende espressamente la prestazione e l’esplicazione di un’attività inventiva, ovvero di ricerca alla stessa espressamente finalizzata, in funzione della quale il lavoratore é stato assunto.
In altre parole, si concretizza la fattispecie quando il compenso della prestazione è riconducibile attraverso uno stretto nesso causalità al risultato inventivo, risultando in tal caso esclusa, secondo la pacifica dottrina e giurisprudenza, la necessità della preventiva determinazione di un compenso aggiuntivo e distinto dalla retribuzione corrispettiva dell’attività continuativa di lavoro.
La remunerazione in tal caso è intrinseca nella retribuzione essendo inscindibile l’attività di ricerca prodromica all’invenzione e la stessa attività inventiva oggetto delle obbligazioni contrattuali.
In tale ipotesi pertanto l’invenzione del lavoratore non è un quid pluris rispetto alla propedeutica prestazione lavorativa di tipo intellettuale o manuale, ma è l’atteso risultato e l’effettiva utilitas del datore di lavoro conseguente alla quotidiana applicazione del lavoratore nella ricerca e studio, le quali, nei confronti dell’invenzione, si atteggiano ad attività preparatorie, isolatamente improduttive.
Quando si realizza questa fattispecie, le invenzioni di cui trattasi appartengono al datore di lavoro, limitatamente al loro sfruttamento economico in via esclusiva, senza che sia previsto alcun compenso all’inventore, fermo, però, il suo diritto alla paternità dell’opera.
Invenzioni aziendali
La fattispecie prevista comma secondo dell’art. 64 citato, è quella delle cd. invenzioni d’azienda e, cioè, delle invenzioni realizzate nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego, ma senza che sia prevista una retribuzione in compenso dell’attività inventiva.
L’invenzione è pertanto, normalmente, il frutto eventuale ed aggiuntivo, non predeterminato né specificamente retribuito preventivamente, sia di un’attività di studio e ricerca come di un’attività diversa e più generica, utili entrambe per il datore di lavoro di per se stesse, a prescindere dall’eventualità dell’invenzione.
Anche in questo caso, i diritti derivanti dall’invenzione appartengono al datore di lavoro, mentre al lavoratore, salvo sempre il diritto morale, spetta un equo premio, per la determinazione del quale si terrà conto non più dell’importanza dell’invenzione, come previsto dalla vecchia disciplina, ma
«dell’importanza della protezione conferita all’invenzione dal brevetto, delle mansioni svolte e della retribuzione percepita dall’inventore, nonché del contributo che questi ha ricevuto dall’organizzazione del datore di lavoro.
L’invenzione del lavoratore in questo caso, diversamente dall’ipotesi precedente, costituisce effettivamente un quid pluris, in termini di utilità imprenditoriale, concretizzandosi in un beneficio che, in quanto non compensato preventivamente, sarà remunerato dal datore di lavoro cui la legge ricollega i vantaggi patrimoniali di utilizzazione al lavoratore, mediante conferimento di un equo premio, la cui entità dipende dall’importanza dell’invenzione.
L’aspetto dei criteri di individuazione del premio è certamente uno di quelli sui quali il codice della proprietà industriale ha innovato in modo significativo la disciplina precedente, ampliando, almeno sulla carta, gli elementi da prendere in considerazione.
Un punto di discordia emerso nel dibattito degli studiosi concerne il punto se il diritto all’equo premio spetti solo per le invenzioni aziendali brevettate ovvero anche per quelle che il lavoratore, pur mettendole a disposizione del datore di lavoro, non le abbia brevettate.
Secondo alcuni l’equo premio spetterebbe una volta che il lavoratore abbia provveduto con l’informazione e la messa a disposizione dell’invenzione al datore di lavoro indipendentemente che lo stesso provveda o meno a chiedere il brevetto.
La giurisprudenza (ex plurimis, Cass. n. 7484 del 5 giugno 2000), è del parere che “in caso di invenzione di azienda, di cui al comma 2 dell’art. 23 del X.X. 00 giugno 1939, n. 1127, il diritto del lavoratore all’equo premio ed il correlativo obbligo del datore di lavoro di riconoscerlo sorgono con il conseguimento del brevetto, non essendo sufficiente che si tratti di innovazioni suscettibili di brevettazione, ma non brevettate; il diritto del lavoratore, infatti, consegue all’insorgenza in favore del datore di lavoro dei diritti derivanti dall’invenzione, che sono conferiti, ai sensi dell’art. 4 dello stesso R.D, solo con la concessione del brevetto. Pertanto è la brevettazione, in quanto costitutiva, che condiziona l’insorgere dei diritti del datore di lavoro e, quindi, del diritto del prestatore al premio".
In tale la brevettazione ha efficacia costitutiva del diritto all’equo premio, e l’eventuale sua rimozione retroattiva dello steso implica di conseguenza il venir meno dello stesso.
Invenzioni occasionali
Alle invenzioni cd. vincolate, oggetto dell’obbligazione di lavorare, si contrappongono le invenzioni cd. libere o più comunemente chiamate occasionali, cioè quelle realizzate in costanza di un rapporto di lavoro avente ad oggetto un’attività estranea al risultato raggiunto.
L’invenzione, la cui disciplina è regolata oggi dall’art. 64, comma terzo del Codice della proprietà industriale, appartiene al lavoratore, ma il datore di lavoro può esercitare un diritto di opzione (e non più di prelazione) dietro versamento di un canone o del prezzo.
Diritto, questo, che dovrà essere esercitato entro tre mesi dalla data di ricevimento della comunicazione del deposito della domanda di brevetto, e non più dal suo conseguimento.
La cd. invenzione occasionale (o libera) ricorre quando l’invenzione non sia stata preveduta, nemmeno in via di possibilità, dal datore di lavoro, cosicché essa risulta del tutto svincolata dalla normale attività che il prestatore d’opera è obbligato a svolgere in ragione del contratto di lavoro o del rapporto.
In altre parole, sono quelle invenzioni realizzate oltreché al di fuori dell’orario di prestazione lavorativa e dell’ambito aziendale, con mezzi, materiali, nozioni e informazioni non rientranti nel patrimonio aziendale.
L’unico elemento di collegamento con l’ambito aziendale è il fatto rilevante per il datore di lavoro che l’invenzione si colloca nello stesso campo di attività dell’azienda privata o della Pubblica Amministrazione cui è addetto l’inventore.
La disciplina di questa peculiare fattispecie è contenuta nell’ art. 64, 3° comma del Codice della proprietà industriale, che, sul punto, ha sostituito il disposto dell’art. 24 del R.D. L’ipotesi della invenzione occasionale deve considerarsi, in ossequio al dettato normativo vigente, residuale rispetto a quelle di cui si è detto dei paragrafi precedenti. In questo caso, al datore di lavoro spetta il diritto di opzione per l’uso, esclusivo o non esclusivo dell’invenzione o per l’acquisto del brevetto, nonché per la facoltà di chiedere od acquistare, per la medesima invenzione, brevetti all’estero verso corresponsione del canone del prezzo, da fissarsi con deduzione di una somma corrispondente agli aiuti che l’inventore abbia comunque ricevuti dal datore di lavoro per pervenire all’invenzione. Il datore di lavoro potrà esercitare il diritto di opzione entro tre mesi dalla data di ricevimento della comunicazione dell’avvenuto deposito della domanda di brevetto. I rapporti costituiti con l’esercizio dell’opzione si risolvono di diritto, ove non venga integralmente pagato alla scadenza il corrispettivo dovuto.
Al riguardo, secondo un indirizzo prevalente non possono sussistere oneri di comunicazione preventiva dell’invenzione al datore di lavoro fintanto che essa è in corso di realizzazione, sussistendo l’obbligo solo a brevettazione conseguita; così pure si riconosce al lavoratore la facoltà di divulgazione dell’invenzione non brevettata ritenendo che seppure, in tal modo, viene vanificata ogni aspettativa del datore di lavoro sull’utilizzo dell’invenzione, al tempo stesso l’inventore si priva del vantaggio patrimoniale che dovrebbe derivargli.
Il lavoratore ha il limite tuttavia di non poter cedere a terzi i diritti di sfruttamento dell’invenzione non brevettata, poiché in tal modo violerebbe il cd. diritto di prelazione dell’imprenditore.
Lavoratori parasubordinati
La dottrina si era da tempo dimostrata favorevole a riconoscere l’estensione della disciplina dell’invenzione realizzate nello svolgimento di contratti ai casi di parasubordinazione. L’applicazione della prima fattispecie non crea grossi problemi teorici, vista la necessità della previsione del risultato inventivo nel contratto.
Si accoglie l’estensione dell’applicazione della disciplina sulle invenzioni ai casi di parasubordinazione in presenza però, di alcune condizioni: il committente deve aver assegnato il tema di ricerca, deve aver messo a disposizione i laboratori e il materiale, deve aver fornito indicazioni, aver sopportato in maniera rilevante i costi e i rischi della ricerca, ed essere beneficiario
di un patto di esclusiva.
La soluzione data dalla dottrina ricollegava tale caso alla ratio della disciplina: l’inventore è espropriato dei diritti relativi l’invenzione, in quanto essa è anche frutto dell’organizzazione di lavoro predisposta dal datore.
La Legge Xxxxx ha delineato la figura del lavoratore a progetto per regolare il fenomeno abusivo del ricorso alle collaborazioni coordinate e continuative. L’art. 65 della legge indica l’applicazione dell’art. 12-bis della legge n. 633 del 1941 per le invenzioni del lavoratore a progetto. Il riferimento alla legge sul software è stato assorbito completamente in via analogica attraverso l’introduzione del codice di proprietà industriale che ha sostituito in toto la disciplina di riferimento. Conseguentemente l’art. 64 Codice della proprietà industriale trova piena applicazione per quanto riguarda le invenzioni realizzate dal lavoratore a progetto..
Art. 4 del Jobs Act lavoratori autonomi
Fino al Jobs Act per il lavoro autonomo l’ordinamento non prevedeva una disciplina specifica per le invenzioni realizzate nel corso di contratti d’opera o nell’ambito di prestazioni di lavoro autonomo o di attività professionale, facendo espresso riferimento soltanto al lavoro subordinato.
Al riguardo, per la dottrina nell’ipotesi di invenzione realizzata dal lavoratore autonomo, i diritti patrimoniali appartenevano al lavoratore se l’attività dovuta non era prevista come inventiva e al committente se il lavoratore era tenuto ad un risultato o ad un’attività inventiva;
Mentre per la giurisprudenza, in particolare le sentenze risalenti della Cassazione escludevano l’applicazione della disciplina delle invenzioni del dipendente sul presupposto che ha natura eccezionale, di contro le sentenze più recenti, in particolare delle Corti di merito, hanno ritenuto che i diritti patrimoniali nascono in capo al committente che abbia commissionato l’invenzione ad un lavoratore autonomo in applicazione del principio secondo il quale committente acquisterebbe direttamente l’opera commissionata.
Dunque a colmare il vuoto normativo suppliva la giurisprudenza che nei casi in cui l’attività inventiva costituiva l’oggetto della prestazione del lavoratore autonomo, del consulente o del professionista, era concorde nel concludere che i diritti patrimoniali derivanti dall’invenzione nascono direttamente in capo al committente che abbia commissionato l’invenzione ad un lavoratore autonomo. Tale soluzione si giustificava sia in virtù dell’applicazione analogica dell’art. 64 del Codice (corrispondente al previgente art. 23, R.D. n. 1127/1939) sia in considerazione del principio per il quale il committente acquista direttamente l’opera commissionata a titolo originario.
I diritti patrimoniali derivanti dall’invenzione realizzata su incarico dal lavoratore autonomo spettano sin dall’origine al committente: il principio, già consolidato, è stato più volte confermato dalle corti di merito (ex plurimis, Tribunale di Milano Sent. n. 6964/2014).
Come si è visto nel caso di inventore sottoposto a rapporto di lavoro emerge un conflitto tra l’autore dell’invenzione e chi ha finanziato la ricerca. La soluzione a questo tipo di conflitto si articola da un lato nel riconoscimento morale del dipendente in quanto inventore, dall’altro nella dimensione economica della retribuzione in quanto lavoratore.
L’ordinamento vede favorevolmente l’individuo che crea, concedendogli la tutela. Il fondamento costituzionale della tutela è indicato in diversi articoli: all’art. 2, nel riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo, all’art. 9, per la valorizzazione della ricerca, all’art. 35, nella tutela del lavoro, e infine all’art. 42, nel riconoscimento e nella tutela della proprietà privata.
Nel lavoro subordinato si evidenzia il principio secondo cui in base al contratto di lavoro il datore acquisisce i risultati deriva che l’imprenditore, in quanto persona che si assume i rischi di detto investimento, deve poter acquisire l’esito di tale attività.
L’art. 4 in argomento, accogliendo tutti gli indirizzi dottrinali e giurisprudenziali favorevoli, attribuisce al lavoratore autonomo i medesimi diritti degli altri lavoratori, specificandone l’esclusione nel caso in cui l’attività inventiva sia prevista come oggetto del contratto di lavoro e a tale scopo compensata.
In particolare il provvedimento prevede che, salvo il caso in cui l’attività inventiva sia prevista come attività oggetto del contratto di lavoro e come tale compensata, i diritti di utilizzazione economica relativi ad apporti originali e ad invenzioni realizzati nell’esecuzione del contratto stesso spettino al lavoratore autonomo
In altre parole, al pari delle invenzioni di servizio affrontate nel lavoro dipendente, i diritti derivanti dall’invenzione appartengono al committente e al lavoratore non spetterà alcuna remunerazione aggiuntiva.
Pertanto, condizione necessaria per l’applicazione di tale fattispecie è che nel contratto l’attività inventiva sia prevista e che sia specificamente retribuita. In mancanza di tali elementi, è applicata la fattispecie dell’invenzione d’azienda: i risultati appartengono comunque al committente che però avrà in capo un dovere di devolvere al lavoratore un equo premio, che si configura quindi come elemento che giustifica la titolarità dei diritti derivanti dall’invenzione in capo al committente.
In sintesi il provvedimento si preoccupa di estendere anche ai lavoratori autonomi le tutele già previste per i lavoratori subordinati di cui si è sopra affrontato.