Diritto Civile
Diritto Civile
a cura di Xxxxxx Xxxxxxxx
con Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxxx Xxxxxxxxxxx, Xxxx Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxx Xxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxxxxx
RECESSO NEI CONTRATTI A DISTANZA
Corte di giustizia dell’Unione europea, IV Sezione, 15 aprile 2010 (in causa C-511/08), pag. 44.
Gli effetti del diritto di recesso in relazione alle spese di consegna dei beni, di Xxxxxx Xxxxxxxx.
DIRITTO DI CRONACA E RISERVATEZZA
Cassazione civile, III Sezione, 9 luglio 2010, n. 16236, pag. 51.
CUSTODIA
Cassazione civile, III Sezione, 6 maggio 2010, n. 10956, pag. 52.
STRAORDINARIA AMMINISTRAZIONE
Cassazione civile, III Sezione, 13 aprile 2010, n. 8720, pag. 56.
I criteri di distinzione tra ordinaria e straordinaria amministrazione ex art. 320 c.c., di Xxxxx Xxxxxx.
CONDOMINIO DI EDIFICI
Cassazione civile, II Sezione, 26 marzo 2010, n. 7300, pag. 57.
MULTIPROPRIETAv IMMOBILIARE
Cassazione civile, II Sezione, 16 marzo 2010, n. 6352, pag. 60.
L’oggetto della multiproprieta` e la disciplina del contratto, di Xxxxxxx Xxxxxxx.
MINORI E CONTROLLO DELLE FRONTIERE
Cassazione civile,I Sezione, 10 marzo 2010, n. 5856, pag. 67.
Interesse del minore e controllo delle frontiere in una recente pronunzia della Corte di cassazione
di Xxxxx Xxxxx.
VALUTAZIONE INTERESSI
Cassazione civile, III Sezione, 9 marzo 2010, n. 5671, pag. 74.
ACQUISTO DALL’EREDE APPARENTE
Cassazione civile, II Sezione, 4 febbraio 2010, n. 2653, pag. 75.
DIRITTO CIVILE
RESPONSABILITAv DEL MEDICO
Cassazione civile, III Sezione, 4 gennaio 2010, n. 13, pag. 76.
MANTENIMENTO DEL FIGLIO
Tribunale Macerata, 22 ottobre 2009 (decreto), pag. 81.
Intervento del figlio maggiorenne nei giudizi coniugali/genitoriali aventi ad oggetto il proprio man- tenimento, di Xxxxxxxxx Xxxx.
BED & BREAKFAST
Tribunale Torino,I Sezione, 13 ottobre 2009, n. 6944, pag. 102.
Il bed & breakfast e il condominio: problemi di convivenza, di Xxxxxx Xxxxxxxx.
DELEGAZIONE
Tribunale Palermo, 26 agosto 2009, pag. 105.
RECESSO NEI CONTRATTI A DISTANZA
Corte di giustizia dell’Unione europea, IV Sezione, 15 aprile 2010 (in causa C-511/08) — Bo- nichot Presidente — Toader Relatore — Mengozzi Avvocato generale — Handelsgesellschaft Xxxxxxxx Xxxxx GmbH - Verbraucherzentrale Nordrhein- Westfalen eV.
Obbligazioni e contratti — Contratti a distanza — Recesso — Spese di consegna — Addebito al consu- matore — Esclusione (Dir. 97/7/CEE, art. 6; D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 67).
Nei contratti conclusi a distanza, il consumatore che recede dal contratto ha diritto al rimborso delle somme versate per la consegna del bene (1).
Per il testo della sentenza v. xxx.xxxxx.xxxxxx.xx
(1) Gli effetti del diritto di recesso in rela- zione alle spese di consegna dei beni
Sommario: 1. Il caso. — 2. La questione. — 3. La decisione.
— 4. Il recesso e la nuova proposta di direttiva europea. —
5. La normativa italiana: natura del recesso e modalita` di esercizio del diritto. — 6. Effetti del recesso e ulteriori obbligazioni delle parti. — 7. Conclusioni.
1. Il caso.
A piu` di tre anni di distanza dall’adozione del codice del consumo, la questione del recesso del consumato- re, soprattutto allorche´ egli stipuli fuori dai locali com- merciali o a distanza, e` attualmente di grande rilevo e di grande attualita`.
Nel caso oggetto della sentenza in commento del 15 aprile 2010, causa C-511/08, la Corte di giustizia UE (confermando quanto richiesto dall’Avvocato generale con le conclusioni del 28 gennaio 2010) ha rilevato che contrasta con l’art. 6, n. 1, comma 1, seconda frase, e n. 2, della Dir. 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 1997, “Riguardante la prote- zione dei consumatori in materia di contratti a distan- za” «una normativa nazionale che consente al fornito- re, nell’ambito di un contratto concluso a distanza, di addebitare le spese di consegna dei beni al consuma- tore qualora questi eserciti il suo diritto di recesso». Inoltre, un siffatto addebito sarebbe atto a rimettere in discussione l’equilibrata ripartizione dei rischi tra le parti nei contratti conclusi a distanza, facendo carico al consumatore di tutte le spese connesse al trasporto dei beni. Peraltro, «il fatto che il consumatore sia stato informato dell’importo delle spese di consegna prima della conclusione del contratto non puo` ridurre il ca- rattere dissuasivo che avrebbe l’addebito di tali spese al
consumatore sull’esercizio da parte di quest’ultimo del suo diritto di recesso».
La direttiva riguardante la protezione dei consuma- tori in materia di contratti a distanza dispone che il consumatore ha diritto di recedere da un contratto concluso a distanza entro un termine di almeno sette giorni lavorativi, senza alcuna penalita` e senza specifi- carne il motivo.
Qualora il consumatore eserciti il suo diritto di re- cesso, il fornitore e` tenuto al rimborso delle somme versate, che dovra` avvenire gratuitamente. Le uniche spese eventualmente a carico del consumatore dovute all’esercizio del suo diritto di recesso sono le spese dirette di spedizione dei beni al mittente.
Le disposizioni della direttiva relative alle conse- guenze giuridiche del recesso perseguono chiaramente lo scopo di evitare che il consumatore sia scoraggiato dall’esercitare il suo diritto di recesso.
Sarebbe, pertanto, contrario a detto scopo interpre- tare tali disposizioni nel senso che esse autorizzereb- bero gli Stati membri a consentire che le spese di con- segna siano addebitate a tale consumatore in caso di recesso.
Peraltro, il fatto di addebitare al consumatore le spe- se di consegna, oltre alle spese dirette di spedizione dei beni al mittente, potrebbe compromettere l’equilibrata ripartizione dei rischi tra le parti nei contratti conclusi a distanza, accollando al consumatore tutte le spese connesse al trasporto dei beni.
2. La questione.
La questione sulla quale verte il giudizio posto all’at- tenzione della Corte di giustizia europea e`, pertanto, quella della corretta interpretazione dell’art. 6, n. 1, comma 1, seconda frase, e n. 2, della Dir. 97/7/CE 1, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza, con specifico riguardo alla di- sciplina delle spese di consegna dei beni compraven- duti.
Nel caso di specie, una societa` tedesca, specializzata nella vendita per corrispondenza, nelle sue condizioni generali di vendita prevede che il consumatore paghi, a titolo di spese di consegna, una somma a forfait e che tale somma resti acquisita al fornitore in caso di recesso. Avendo una associazione tedesca di consumatori in- trapreso nei confronti della societa` commerciale un’azione inibitoria intesa a farle rinunciare ad adde- bitare ai consumatori, in caso di recesso, le spese di consegna delle merci, nel corso del giudizio emerge che il diritto tedesco non conferisce esplicitamente al consumatore alcun diritto al rimborso delle spese di
consegna dei beni ordinati 2.
Tuttavia, secondo il giudice tedesco adito, se la Dir. 97/7/XXX xxxxxxx essere interpretata nel senso che
1 In Gazz. Uff. CE n. L 144 del 4 giugno 1997.
2 Per quanto attiene all’ordinamento tedesco, nel cui stato la controversia e` sorta, e` assai utile e interessante rilevare come l’art. 312 BGB, sotto la rubrica “Diritto di recesso e di restitu- zione nei contratti a distanza”, al n. 1 cosı` recita: «Nei contratti a distanza spetta al consumatore un diritto di recesso ai sensi dell’art. 355. In caso di contratti di fornitura di merci, in luogo del diritto di recesso puo` essere riconosciuto al consumatore il diritto di restituzione ai sensi dell’art. 356». Il successivo art. 347
BGB, intitolato «Utilizzo dopo il recesso», al n. 2 cosı` dispone:
«Qualora il debitore restituisca il bene [...], le spese necessarie da esso sostenute debbono essergli rimborsate. Ogni altra spesa deve essere rimborsata qualora abbia contribuito ad un arric- chimento del creditore». L’art. 356 del BGB, intitolato “Diritto di restituzione nei contratti conclusi dai consumatori”, al n. 1 prevede quanto segue: «Nella misura in cui la legge espressa- mente lo autorizza, il diritto di recesso previsto dall’art. 355 puo` essere sostituito nel contratto con un diritto di restituzione illi-
essa osta a che le spese di consegna dei beni vengano addebitate al consumatore in caso di recesso di que- st’ultimo, le disposizioni del BGB dovrebbero essere interpretate in modo conforme a tale direttiva, nel sen- so che il fornitore dovrebbe allora rimborsare al con- sumatore siffatte spese.
La lettura del testo dell’art. 6, nn. 1, comma 1, se- conda frase, e 2, seconda frase, della Dir. 97/7/CEE, a parere del giudice a quo lascia ritenere legittima l’in- terpretazione secondo la quale tali disposizioni riguar- dano unicamente le spese risultanti dall’esercizio del diritto di recesso con esclusione delle spese di conse- gna dei beni, che erano gia` state sostenute al momento del recesso.
In secondo luogo, l’art. 6, n. 2, prima frase, della citata direttiva non escluderebbe che, in caso di reces- so, il fornitore ottenga una compensazione del valore delle prestazioni utilizzate dal consumatore che, per loro natura, non possono essere restituite. Sarebbe per- tanto compatibile con il detto articolo ammettere che l’obbligo di rimborso del fornitore sarebbe ridotto per l’ammontare delle spese sostenute per la consegna del bene.
Inoltre, non sarebbe certo che l’obiettivo di tutela del consumatore, sancito segnatamente nel quattordicesi- mo Considerando della Dir. 97/7/CEE, imponga il rim- borso delle spese di consegna del bene.
3. La decisione.
Peraltro, va subito detto che proprio nel quattordi- cesimo Considerando della Dir. 97/7/CEE si afferma che «il consumatore non ha in concreto la possibilita` di visionare il bene o di prendere conoscenza della natura del servizio prima della conclusione del contratto; che si dovrebbe prevedere un diritto di recesso, [...]; che e` necessario limitare ai costi diretti di spedizione dei be- ni al mittente gli oneri — qualora ve ne siano — deri- vanti al consumatore dall’esercizio del diritto di reces- so, che altrimenti restera` formale; che questo diritto di recesso lascia impregiudicati i diritti del consumatore previsti dalla legislazione nazionale, con particolare ri- ferimento alla ricezione di beni deteriorati o servizi alterati o di servizi e beni non corrispondenti alla de- scrizione contenuta nell’offerta di tali prodotti o servi- zi; che spetta agli Stati membri determinare le altre condizioni e modalita` relative all’esercizio del diritto di recesso».
In merito alla delicata questione dell’addebito ai con-
sumatori delle spese di consegna dei beni nei contratti conclusi a distanza, l’art. 6 della medesima direttiva, rubricato “Diritto di recesso”, sancisce, rispettivamen- te ai comma 1 e 2, quanto segue: «1. Per qualunque contratto negoziato a distanza il consumatore ha dirit- to di recedere entro un termine di almeno sette giorni lavorativi senza alcuna penalita` e senza specificarne il motivo. Le uniche spese eventualmente a carico del consumatore dovute all’esercizio del suo diritto di re-
cesso sono le spese dirette di spedizione dei beni al mittente. [...] 2. Se il diritto di recesso e` stato esercitato dal consumatore conformemente al presente articolo, il fornitore e` tenuto al rimborso delle somme versate dal consumatore, che dovra` avvenire gratuitamente. Le uniche spese eventualmente a carico del consumatore dovute all’esercizio del suo diritto di recesso sono le spese dirette di spedizione dei beni al mittente. Tale rimborso deve avvenire nel minor tempo possibile e in ogni caso entro trenta giorni».
Infine, per completare il quadro normativo della di- sciplina occorre ricordare come l’art. 14 della citata direttiva, intitolato “Clausola minima”, dispone che agli Stati membri spetta, semmai, adottare disposizioni piu` severe che mirino a garantire al consumatore un livello di protezione piu` elevato.
La Corte di giustizia, confortata nel suo giudizio dal- l’opinione espressa dalla Commissione europea e dal- l’Avvocato generale, ha pertanto confermato che «le disposizioni dell’art. 6 della Dir. 97/7/XXX xxxxxx ad una normativa nazionale che consente al fornitore di addebitare le spese di consegna dei beni al consuma- tore qualora questi eserciti il suo diritto di recesso». Anzitutto, l’espressione «somme versate dal consu- matore», indicata nell’art. 6, n. 2, prima frase, della Dir. 97/7/CEE, dovrebbe essere interpretata estensiva- mente per ricomprendere ogni prestazione finanziaria adempiuta dal consumatore nei confronti del fornitore nell’ambito dell’esecuzione del contratto, ivi comprese
le spese di consegna dei beni.
Inoltre, l’art. 6, nn.1e 2, della citata direttiva preve- derebbe che le uniche spese a carico del consumatore che esercita il suo diritto di recesso sono le spese dirette di restituzione dei beni al mittente. Di conseguenza, le altre spese, in particolare quelle relative alla consegna dei beni, non potrebbero essere poste a carico di que- st’ultimo.
Peraltro, dovrebbero essere rimborsate al consuma- tore le spese che egli ha sostenuto per una prestazione accessoria del fornitore, quale la consegna dei beni, la quale non riveste alcun interesse, a seguito del recesso del consumatore, ai fini della tutela di quest’ultimo dai rischi dovuti all’impossibilita` pratica di visionare i beni prima di concludere un contratto di vendita a distanza. Secondo l’opinione, rigettata dalla Corte europea, invece, le spese di consegna avrebbero origine antece- dentemente e indipendentemente dall’esercizio del di- ritto di recesso. Pertanto, il loro addebito sarebbe di- sciplinato dal diritto interno di ogni Stato membro. Il fatto che il consumatore sopporti le spese di consegna non puo` impedirgli di esercitare il suo diritto di reces- so; infatti, da un lato, egli sarebbe informato prima della conclusione del contratto dell’ammontare di tali spese. D’altro canto, la decisione di recedere dal con- tratto sarebbe indipendente dall’esistenza di tali spese poiche´ queste ultime sarebbero gia` state sostenute. Senza dimenticare che occasione di un acquisto tradi-
mitato qualora il contratto sia concluso sulla base di un prospet- to di vendita. A tal fine e` preliminarmente necessario: 1) che il prospetto di vendita contenga informazioni chiare sul diritto di restituzione, 2) che il consumatore abbia potuto prendere co- noscenza esauriente del prospetto di vendita in assenza dell’ope- ratore addetto e 3) che il diritto di restituzione venga concesso
per iscritto al consumatore». L’art. 448 del BGB, intitolato «Co- sti di consegna e costi simili», al n. 1 sancisce quanto segue: «Il venditore sopporta i costi di consegna della cosa, l’acquirente i costi della ricezione e della spedizione della cosa in un luogo diverso dal luogo di esecuzione».
zionale (c.d. off line), il consumatore sosterrebbe abi- tualmente a suo carico e a suo rischio anche le spese che il suo spostamento (da casa o dal luogo di lavoro) verso il negozio comporta, senza contare il tempo ne- cessario allo spostamento stesso.
A ben guardare, pero`, in particolare, l’art. 6, n. 1, comma 1, prima frase, della citata direttiva riconosce al consumatore un diritto di recesso che egli puo` eserci- tare, entro un termine determinato, «senza alcuna pe- nalita` e senza specificarne il motivo».
Relativamente alle conseguenze giuridiche del reces- so, l’art. 6, n. 2, prima e seconda frase, della Dir. 97/7/CEE prevede che «il fornitore e` tenuto al rim- borso delle somme versate [corsivo dell’Autore] dal consumatore, che dovra` avvenire gratuitamente. Le uniche spese eventualmente a carico del consumatore dovute all’esercizio del suo diritto di recesso sono le spese dirette di spedizione dei beni al mittente».
Tuttavia, non essendo l’armonizzazione delle conse- guenze giuridiche del recesso, compiuta dalla direttiva, completa; spetta agli Stati membri «determinare le al- tre condizioni e modalita` relative all’esercizio del di- ritto di recesso».
Sull’interpretazione dell’espressione «somme versa- te dal consumatore», si pone la questione se nella por- tata dell’art. 6, nn.1e 2, della Dir. 97/7/CEE, xxxxxxx l’addebito al consumatore delle spese di consegna dei beni in caso di recesso di quest’ultimo, ovvero se, al contrario, spetti agli Stati membri determinare o meno tale addebito.
Occorre, pero`, osservare che la lettera dell’art. 6, n. 2, della citata direttiva impone al fornitore, in caso di recesso del consumatore, un obbligo generale di rim- borso riguardante “tutte” le somme versate da que- st’ultimo risultanti dal contratto, qualunque sia la cau- sa del pagamento di queste ultime.
Pertanto, a giudizio della Corte, non emerge ne´ dalla lettera delle disposizioni dell’art. 6 della Dir. 97/7/CEE, ne´ dai Considerando, ne´ dal quadro gene- rale della disciplina che i termini «somme versate» debbano essere interpretati nel senso che essi fanno unicamente riferimento al prezzo pagato dal consuma- tore e non, invece, anche alle spese di consegna sop- portate da quest’ultimo.
Infatti, la Dir. 97/7/CEE opera una distinzione tra prezzo del bene e spese di consegna solo per quanto riguarda le informazioni messe a disposizione del con- sumatore dal fornitore prima della conclusione del contratto. Per contro, in merito alle conseguenze giu- ridiche del recesso, tale direttiva non opera una sif- fatta distinzione e si riferisce dunque, e` bene riba- dirlo, a “tutte” le somme versate dal consumatore al fornitore.
Tale interpretazione e` anche confermata dalla formu- lazione stessa dell’espressione «le uniche spese even- tualmente a carico del consumatore», utilizzata nella seconda frase del citato n. 2, per indicare le «spese dirette di spedizione dei beni al mittente»; si tratta come e` evidente di una espressione («uniche spese») che rende inequivocamente necessaria un’interpreta-
xxxxx restrittiva e conferisce pertanto un carattere esaustivo a tale eccezione.
Infine, sull’interpretazione dell’espressione «dovute all’esercizio del suo diritto di recesso», occorre rilevare che, relativamente, allo scopo dell’art. 6 della Dir. 97/7/CEE, il quattordicesimo Considerando della stes- sa enuncia che il divieto di addebitare al consumatore, in caso di suo recesso, spese risultanti dal contratto e` finalizzato ad assicurare che il diritto di recesso garan- tito da tale direttiva «[non] rest[i] formale» 3. Dal mo- mento che il citato art. 6 persegue quindi chiaramente lo scopo di evitare che il consumatore possa essere scoraggiato dall’esercitare il suo diritto di recesso, sa- rebbe contrario a detto scopo interpretare tale articolo nel senso che esso autorizzerebbe gli Stati membri a consentire che le spese di consegna siano addebitate al consumatore nel caso di un siffatto recesso.
Qualora le spese di spedizione dovessero parimenti essere addebitate al consumatore, siffatto addebito, che sarebbe necessariamente tale da scoraggiare que- st’ultimo dall’esercizio del suo diritto di recesso, sareb- be, pertanto, in contrasto con lo scopo stesso dell’art. 6 della direttiva.
Inoltre, un siffatto addebito sarebbe atto a rimettere in discussione l’equilibrata ripartizione dei rischi tra le parti nei contratti conclusi a distanza, accollando al consumatore tutte le spese connesse al trasporto dei beni.
Peraltro, il fatto che il consumatore sia stato infor- mato dell’importo delle spese di consegna prima della conclusione del contratto non puo` ridurre il carattere dissuasivo che avrebbe l’addebito di tali spese al con- sumatore sull’esercizio da parte di quest’ultimo del suo diritto di recesso.
Di conseguenza, merita di essere condivisa la deci- sione della Corte di giustizia delle Comunita` europee in esame allorche´ afferma che i termini «somme versa- te», di cui all’art. 6, n. 2, prima frase, Dir. 97/7/CEE si estendono a tutte le somme versate dal consumatore per pagare le spese causate dal contratto e che, pertan- to, «l’art. 6, nn. 1, primo comma, seconda frase, e 2, della direttiva 97/7 deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale che consente al fornitore, nell’ambito di un contratto concluso a distanza, di addebitare le spese di consegna dei beni al consumatore qualora questi eserciti il suo diritto di recesso».
4. Il recesso e la nuova proposta di direttiva europea.
Come detto, all’inizio, tale pronuncia risulta assai opportuna oltre che per il merito di quanto affermato, anche per aver ribadito la ratio della direttiva sulle vendita a distanza, proprio in un momento nel quale la tematica della disciplina europea sul diritto di recesso e` tornata di grande attualita` e interesse.
Infatti, la Commissione europea di recente 4 ha pro- posto, a fronte del cospicuo corpus normativo adottato a tutela degli acquirenti (anche i piu` sprovveduti), l’adozione di una direttiva unica che tuteli i consuma- tori europei negli acquisti effettuati con tutti gli stru-
3 Cfr. sentenza Corte giust. CE, 3 settembre 2009 (in causa C-489/07), spec. punto 19.
4 COM (2008) 614 — Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio sui diritti dei consumatori.
menti possibili (on line, a distanza, “tradizionali”), su tutto il territorio comune.
Con la proposta in esame, infatti, viene soddisfatta l’esigenza di potenziare la tutela degli acquirenti euro- pei, accorpando in un unico atto normativo le dispo- sizioni sparse nei meandri dell’ordinamento comuni- tario.
La proposta mira ad unificare le seguenti direttive attualmente in vigore: 1) Dir. 93/13/CEE concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i xxxxx- xxxxxx; 2) Dir. 99/44/CE su taluni aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo; 3) Dir. 97/7/CE in materia di contratti a distanza; 4) Dir. 85/577/XXX xxx contratti negoziati fuori dei locali commerciali.
Xxxxxxx´ le direttive summenzionate fissano solo dei requisiti minimi, nel corso degli anni gli Stati membri (come ha ben dimostrato il caso commentato sorto in Germania) hanno stabilito regole ulteriori che variano da un ordinamento ad un altro. Cio` mina la certezza del diritto dei consumatori europei, i quali si ritrovano a ricevere una tutela diversa a seconda dell’ordinamento giuridico nel quale acquistano. Basti pensare che at- tualmente il periodo entro cui esercitare il recesso varia nei diversi ordinamenti da7a 15 giorni.
Per evitare situazioni di questo tipo, e al fine di ras- sicurare i consumatori europei, permettendo loro di comparare i prezzi tra venditori che si trovano da un capo all’altro dell’Europa, la proposta intende poten- ziare la sicurezza degli acquirenti europei in tutte le fasi dell’acquisto.
La nuova direttiva sui diritti dei consumatori avra` ad oggetto tutti i contratti (conclusi sotto qualunque forma: a distanza, in negozio, lontano dai locali del- l’azienda) relativi a vendite di beni e servizi tra im- prese e consumatori. Per evitare la frammentazione normativa che si e` creata nel corso del tempo, l’art. 4 della proposta preclude agli Stati membri di adottare disposizioni divergenti rispetto a quelle previste dalla direttiva. Cio` vale anche nei confronti di disposizio- ni nazionali che tutelano maggiormente il consuma- tore.
Appare condivisibile la scelta del legislatore comu- nitario, il quale ha preferito limitare la liberta` degli Stati membri per garantire la certezza del diritto.
Tra le novita` contenute nella proposta, si segnala l’obbligo incombente sul venditore di fornire al con- sumatore informazioni chiare e complete, in merito al prodotto (caratteristiche, prezzo comprensivo di tasse, spese di consegna ecc.).
Il commerciante avra` altresı` un termine massimo di trenta giorni dalla firma del contratto per consegnare il bene al consumatore. Sino alla consegna, i rischi e i costi legati al deterioramento o alla perdita del bene incombono sul venditore. La novita` maggiormente in- teressante sta nella previsione di un indennizzo in fa-
vore del consumatore che si vede consegnare la merce in ritardo.
Per le vendite a distanza, la proposta prevede un periodo di “ripensamento” uguale in tutti gli Stati membri, pari a 14 giorni dall’acquisto.
E` prevista una nuova lista nera di clausole con- trattuali abusive vietate in tutta Europa, nonche´ una lista grigia di clausole ritenute abusive, fino a prova contraria.
La proposta si inserisce in un contesto in cui e` par- ticolarmente sentita l’esigenza di revisione del diritto comunitario dei consumatori, i quali vivono un mo- mento di particolare incertezza.
Essa viene adottata sulla base di una comunicazione che la Commissione europea ha adottato nel marzo del 2007 sulla strategia per la politica dei consumatori del- l’UE per il periodo 2007-2013 (COM (2007) 99).
Partendo dal presupposto che il conferimento di maggiori poteri ai consumatori renda possibile rag- giungere un maggiore benessere nella societa`, l’esecu- tivo comunitario invita l’Unione ad adottare una se- rie di azioni volte a potenziare la tutela dei consuma- tori UE.
In particolare, e` apprezzabile, in uno sguardo d’in- sieme, il tentativo di riordino sistematico delle norme relative alla tutela dei consumatori, oggi disseminate in modo caotico e disorganico nell’ordinamento europeo e adesso oggetto di una attenta riflessione allo scopo di organizzare la materia.
Nell’ottica di agevolare l’azione del recesso del con- sumatore, principio cardine della sentenza in commen- to, va sottolineato l’intento della Commissione di adot- tare un unico e maggior termine per l’esercizio dello stesso, generalizzando cosı` una previsione piu` vantag- giosa rispetto a quella oggi vigente per il consumatore. Si segnala, sempre riguardo all’intervento normativo comunitario in materia di diritto di recesso, la recente disciplina comunitaria sul credito al consumo 5, conte- nuta nella Dir. 2008/48/CE che ha espressamente di- sciplinato «la procedura tipo di scioglimento del con- tratto di credito» (art. 13), distinguendola dal «diritto di recesso» attribuito al consumatore (art. 14): in que- st’ultimo caso, si tratta infatti del recesso c.d. di pen- timento che il diritto europeo dei contratti ha piu` ge- neralmente previsto come strumento di tutela del con- traente consumatore 6, consentendo a quest’ultimo di prevenire o di estinguere retroattivamente gli effetti giuridici del contratto entro un breve termine dalla sua
stipulazione 7.
La «procedura tipo di scioglimento del contratto» di cui all’art. 13 Dir. 2008/48/CE si riferisce invece al recesso che e` stato definito «di liberazione» 8, e che piu` propriamente e semplicemente e` finalizzato ad apporre al contratto un termine finale, ponendo cosı` rimedio all’indeterminabilita` del suo oggetto (quanto appunto
5 Sul tema di recente x. Xxxxx xxxxx. XX, 00 aprile 2009 (in causa C-509/07), in Giur. It, 2010, 50, con commento di Bat- telli, Credito al consumo: fornitore inadempiente e accordo tra creditore e fornitore.
6 V. ampiamente De Cristofaro, La disciplina unitaria del
«diritto di recesso»: ambito di applicazione, struttura e contenuti essenziali, in AA.VV., I «Principi» del diritto comunitario dei contratti a cura di De Cristofaro, Torino, 2009, 351 e segg.
Nonche´ Bargelli, Gli effetti del recesso nei Principi acquis del diritto comunitario dei contratti, ibid., 391.
7 Per indicazioni bibliografiche, v. Sirena, I recessi unilate- rali, in Trattato del contratto a cura di Xxxxx, III, Effetti, a cura di Xxxxxxxx, 119 e segg.
8 Roppo, Il contratto, in Tratt. Dir. Priv. a cura di Xxxxxx, Zatti, Milano, 2001, 550.
alla durata, che non e` stata preventivamente stabilita dalle parti contraenti) 9.
Il par. 1 del suddetto art. 13 statuisce che il consu- matore puo` sempre recedere gratuitamente dai con- tratti di credito a tempo indeterminato, fermo restando che, qualora sia previsto nel contratto, e` tenuto a darne preavviso (non superiore a un mese) alla banca ovvero all’intermediario abilitato; la banca ovvero l’interme- diario finanziario possono invece recedere nel solo ca- so in cui tale diritto sia stato previsto dal contratto, dandone su supporto cartaceo o altro supporto dure- vole preavviso di almeno due mesi.
5. La normativa italiana: natura del recesso e modalita` di esercizio del diritto.
Per quanto attiene al panorama normativo interno in materia di diritto di recesso la specifica disciplina e` oggi dettata dagli artt. 64-67 del codice del consumo che prendono in considerazione le tecniche di conclu- sione dei contratti di cui alle Sezioni I “Contratti fuori dei locali commerciali” e II “Contratti a distanza” 10, scegliendo, tuttavia, di riservare altra collocazione alla similare disciplina di recesso relativa alla normativa concernente i contratti di multiproprieta`, credito al consumo e vendita di pacchetti turistici.
L’art. 64, in particolare, stabilisce le modalita` di eser- cizio del diritto di recesso nei suoi aspetti tecnici, ri- guardo alla forma, al termine di decadenza, ed eviden- ziando le c.d. “connotazioni tipiche del diritto di pen- timento”: la sottoposizione ad un breve termine di de- cadenza, il carattere incondizionato e affatto discrezio- nale del relativo esercizio.
Nell’ambito del lavoro di coordinamento e sistema- zione, il legislatore italiano ha riunito, con indubbia utilita`, nell’art. 64 il dettato normativo relativo al dirit- to di recesso di cui agli artt. 4 e 6, comma 1, 3 e 4, D.Lgs. n. 50/1992, e quelle dell’art. 5, commi 1 e 4, D.Lgs. n. 185/1999.
Peraltro, occorre rilevare il valore della scelta di ge- neralizzare la previsione espressa gia` contenuta nel D.Lgs n. 185/1999, con riguardo proprio al termine di esercizio del diritto che e` ora fissato, indifferentemente dalla modalita` negoziale, in dieci giorni lavorativi, non- che´ (per quel che piu` rileva in questa sede di commento alla sentenza della Corte giust. CE in esame) l’assoluta liberta` del recesso, sia dall’obbligo di giustificazione dei motivi, sia dall’obbligo di corresponsione di even- tuali indennizzi o corrispettivi per il recesso, che sem-
bra confermare quell’orientamento dottrinario secon- do il quale la figura de qua va configurata come recesso
«di pentimento» 11, con l’unico limite, chiaro ed evi- dente, del divieto di abuso del diritto, a sua volta espressione del principio di buona fede oggettiva inte- so come obbligo di salvaguardia dell’altrui posizione patrimoniale.
Va anche evidenziata la possibilita` che il consumato- re manifesti la volonta` di recedere attraverso fatti con- cludenti, ponendo in essere un negozio attuativo di restituzione della merce. In tal caso si realizza coinci- denza tra l’esercizio del diritto di recesso e l’adempi- mento degli obblighi restitutori, mentre in genere il termine di dieci giorni riguarda l’invio della comuni- cazione di recesso, ma «non la restituzione della merce sostanzialmente integra, la quale e` un effetto dell’eser- cizio del diritto» 12.
Inoltre, va evidenziato come indicazioni circa l’indi- viduazione del destinatario siano contenute anche al- l’art. 47 c. cons., che nel disciplinare le modalita` del- l’informazione ha previsto alla lett. b) l’indicazione del soggetto nei cui riguardi va esercitato il diritto di recesso e il suo indirizzo o, se si tratti di societa` o altra persona giuridica, la denominazione e la sede della stessa, con l’indicazione del soggetto al quale deve essere restituito il prodotto eventualmente gia` consegnato.
In ordine al tema della forma dei contratti del con- sumatore si deve evidenziare che alla liberta` di scelta lasciata al consumatore in ordine alla manifestazione di recesso si contrappone il rigore formale delle previsio- ni relative agli obblighi di informazione sanciti in capo al professionista, nella contrattazione con l’altra parte. In merito si parla di formalismo di protezione, poi- che´ la forma degli obblighi di informazione e` stretta- mente collegata in modo funzionale al diritto di reces- so. Infatti, e` agevole osservare che solo il puntuale adempimento degli obblighi di informazione consente di rendere edotto il consumatore dei propri diritti, tra cui quello di liberarsi incondizionatamente dal vincolo
giuridico contrattuale 13.
Come accennato, peraltro, la natura giuridica e la funzione della fattispecie «diritto di recesso» e` da sem- pre stata oggetto dell’attenzione della dottrina e diversi sono gli orientamenti circa l’individuazione della ratio delle diverse previsioni normative di recesso a favore del consumatore 14.
In ordine al tentativo di una ricostruzione unitaria delle varie figure, diverse interpretazioni sono state
9 Xxxxxx, Xxx variandi, commissione di massimo scoperto e recesso dal contratto, in Contratti, 2009, 1169 e spec. 1173 e seg.
10 De Cristofaro, Contratti a distanza e norme a tutela del consumatore, in Studium iuris, 1999, 1205; Toriello, La pro- tezione dell’acquirente a distanza, in Corriere Giur., 1999, 1068; Perfetti, Prime riflessioni sul d. lgs. 22 maggio 1999, n. 185, in materia di contratti a distanza, in Leggi civ. comm., 2000, 111; Atelli, La disciplina del commercio elettronico e delle altre for- me di contrattazione a distanza, Torino, 2001, 306 e seg.; De Marzo, I contratti a distanza, Milano, 1999, 54 e seg.; Frater- nale, I contratti a distanza, Milano, 2002, 216; Xxxxxxxxx, voce “I contratti a distanza”, in Enc. Dir., aggior. VII, 2005.
11 Cherubini, Sul diritto di ripensamento, in Riv. Dir. Civ., 1995, 699.
12 Giud. pace Bologna, 3 aprile 2000, in Contratti, 11, 2000, 1032, con nota di Xxxxxxx, L’obbligo restitutorio quale “effet-
to” del recesso da un contratto negoziato fuori dei locali commer- ciali.
13 Non e` chiaro, tuttavia, se la liberta` di scelta di cui si par- lava, prevista a favore del consumatore, sussista anche nel caso dei contratti formali, dato che secondo un orientamento della giurisprudenza di legittimita` nei contratti a forma vincolata, e in particolare solenne, le cause modificative ed estintive del rap- porto debbono avere la stessa forma del contratto principale cui sono collegate; x. Xxxx., 00 novembre 2000, n. 14730, Contratti, 3, 2001, 221, con nota di Xxxxxxxxx, La forma del recesso da contratti formali.
14 Parte della dottrina (Xxxxxxxxx, op. cit., 695) individua a fondamento della normativa una ratio di tutela del consumato- re, quale contraente o parte debole del contratto concluso con il professionista, e afferma che «il diritto di ripensamento si delinea come tecnica di tutela della volonta` contrattuale» e «il
prospettate a fronte della disomogeneita` delle discipli- ne, dovuta tanto al difetto di coordinamento della nor- mativa interna, quanto, soprattutto, alla diversa fun- zione che, pare, sia stata assegnata dal legislatore co- munitario di volta in volta allo strumento de quo 15. Il dibattito sul recesso di pentimento si e` riacceso, invero, proprio alla luce del diritto comunitario dei consumi, rimettendo in discussione categorie giuridi- che e nozioni cristallizzate nella tradizione dottrina- ria 16. In particolare si e` 17 cominciato a parlare di su- peramento del principio di stabilita` del vincolo nego- ziale e della contemporanea affermazione del principio di libera recedibilita`, partendo proprio dal dato testua- le 18 del D.Lgs. n. 50/1992 secondo cui la garanzia che consente al consumatore di liberarsi dal vincolo e` rife- xxxx non solo al contratto ma anche alla proposta con-
trattuale.
La previsione dello jus poenitendi gia` nella disciplina dettata dal D.Lgs. n. 50/1992, cosı` come, successiva- mente sara` per la direttiva e la conseguente legislazione nazionale sulle clausole abusive nei contratti con i con- sumatori (Dir. 93/13/CEE del 5 aprile 1993; L. 6 feb- braio 1966, n. 52, art. 25), e ovviamente nelle previsioni del D.Lgs. n. 185/1999, appare come momento attua- tivo di un principio generale dell’ordinamento 19 che
risulta ormai ispirato dalla finalita` di contemperare l’esigenza di tutela della liberta` di svolgimento dell’at- tivita` economica e della ricerca della massimizzazione del profitto con la necessita` di garantire la tutela del- l’acquirente dagli svantaggi che possono derivargli dal- la crescente circolazione di beni di consumo 20. Si trat- ta, cioe`, del superamento della ordinaria tecnica giuri- dica del contemperamento di interessi, realizzato at- traverso il contratto, e della introduzione di precetti tendenti a ristabilire equilibri reali tra la posizione del- l’acquirente e quella del venditore. In questa sua fun- zione il diritto di ripensamento appare idoneo ad avere portata generale, non limitata a ipotesi rigidamente determinate, ma estensibile a tutte le forme di vendita che presentino la medesima esigenza di riequilibrio della posizione delle parti 21.
La discussione sulla qualificazione giuridica del di- ritto attribuito al consumatore dagli artt. 64-67 si e` quindi sviluppata intorno all’alternativa recesso-revo- ca. E` evidente che, in via generale, i due istituti sopra ricordati si collocano in un’area comune, e cioe` nel- l’area della rilevanza del mutamento della volonta` ne- goziale di una delle parti, gia` espressa e trasmessa al- l’altra parte 22. In tale area, si rinvengono discipline diverse, determinate dal diverso grado di tutela che il
susseguirsi delle disposizioni che prevedono un diritto di ripen- samento denota il progressivo estendersi della funzione di pro- tezione» a tutela di una categoria. Da tale ricostruzione dissen- tono quanti (v. Alpa, Il diritto dei consumatori, Roma-Bari, 2003, 59-68; Bocchini, Nozione di consumatore e modelli eco- nomici, in Diritto dei consumatori e nuove tecnologie a cura di Xxxxxxxx, Torino, 2003, I, 31) ritengono che e` difficile non ri- scontrare negli interventi di politica comunitaria consumeristica una ratio piu` ampia di tutela di interessi diversi riconducibili all’ampia accezione di interessi del mercato, e percio` conside- rano la qualificazione del consumatore come categoria debole solo un’inutile generalizzazione, visto che non sempre il sogget- to versa in condizioni di debolezza. Secondo un altro indirizzo (cfr. Xxxxxxxx, Regole del mercato e congruita` dello scambio contrattuale, in Contratto e Impresa, 1985, 324) la disciplina consumeristica sarebbe frutto di una politica legislativa ispirata al piu` generale divieto di abuso di posizione dominante, inteso come abuso del maggior potere contrattuale di una parte sul- l’altra.
15 Un primo tentativo di semplificazione e` stato prospettato
da Falconio, Il recesso del consumatore, in Diritto dei consu- matori e nuove tecnologie a cura di Xxxxxxxx, Torino, 2003, I, 385, una summa divisio tra ipotesi fisiologiche, in cui il recesso e` un mero ripensamento o capriccio, e quindi il termine ordi- nario del recesso e` a tutti gli effetti un vero e proprio periodo di riflessione, e ipotesi patologiche, ove allo scioglimento unilate- rale del vincolo e` assegnata una mera funzione sanzionatoria dell’altrui violazione di precisi obblighi in contrahendo, in par- ticolare obblighi di informazione.
16 Il legislatore codicistico, infatti, nel mentre sancisce il pri- mato della volonta` del soggetto (rectius del consenso — al punto da equipararne la forza a quella del legislatore), esprime anche un particolare favore per la stabilita` del vincolo negoziale, sı` da limitare quella stessa volonta` individuale se diretta ad eliminare il contratto ormai sorto.
17 Chine`, Il Diritto Comunitario dei contratti, in Il diritto privato dell’Unione Europea a cura di Tizzano, Torino, 2000.
18 Xxxx Xxxxxxxxx, Il diritto europeo dei contratti, verso la distinzione tra contratti commerciali e contratti dei consumatori, in Giur. It., 1993, IV, 57 e segg.; Inzitari, La formazione del contratto nella vendita porta a porta dei valori mobiliari (neutra- lita` del modello codicistico e rispetto della tutela dei consumatori), in Contratto e Impresa, 1992, 1 e segg.; Roppo, Vendita a domi-
cilio di valori mobiliari: formazione del contratto e recesso del- l’investitore, ivi, 1990, 106 e segg.
19 X. Xxxx., 00 xxxxx 0000, x. 0000, xx Xxxx Xx., 1969, I, 1665.
20 Xxxx Xxxxxxxxx, voce “Consumatore (tutela del) I) Di- ritto civile”, in Enc. Giur. Treccani, 2.
21 Irti, Notazioni esegetiche sulla vendita «a domicilio» di valori mobiliari, in Leggi civ. comm., 1995, 105 e segg.
22 In ordine alla struttura del recesso si e` ricostruito l’atto come negozio unilaterale recettizio, cio` sia nelle ipotesi di re- cesso legale che in quelle di recesso convenzionale. Avuto ri- guardo alla funzione si e` ricondotto il diritto alla categoria dei diritti potestativi. Abbastanza controversa e`, invece, la causa del negozio di recesso, che nelle varie ricostruzioni della dot- trina si atteggia ora come funzione di sciogliere il contratto, e, quindi, con effetti eliminativi retroattivi, ora come elimina- zione del rapporto con effetti ex nunc. La divergenza di opi- nioni e` tanto piu` evidente se si considera che, come tipica ma- nifestazione di volonta` tesa ad eliminare gli effetti di un prece- dente impegno negoziale, e quindi diretta a produrre un effetto uguale e opposto rispetto a quello derivante dalla precedente esternazione del volere da parte del medesimo soggetto, per ripristinare lo status quo ante, il recesso e` solitamente rappor- tato ad altre figure negoziali unilaterali tutte accomunate dalla funzione estintiva del vincolo negoziale, come la revoca; sicche´ piu` difficile risulta distinguere le due figure. Al riguardo, un primo orientamento riconosce alla revoca la funzione di elimi- nare l’atto giuridico con effetti ex tunc, e al recesso la funzione di eliminare il rapporto con effetti ex nunc. Diversamente, si afferma, piuttosto, che revoca e recesso si distinguono perche´ l’una e` strumento risolutorio (rectius: revocatorio) del negozio unilaterale, l’altro del contratto (cfr. Xxxxxx, Il contratto, in Diritto civile, Milano, 2000, III, 707). Anche la distinzione tra recesso legale e convenzionale non corrisponde necessaria- mente a quella tra recesso per giusta causa e ripensamento, inteso quale diritto di pentirsi di una manifestazione di volonta` negoziale esprimendo una volonta` di segno contrario atta a to- gliere effetto alla precedente dichiarazione. Sul tema si rinvia a Xxxxxxxx-Xxxxxxxxx, voce “Recesso”, in Enc. Dir., Milano, 1998, XXXIX, 27; Ferri, voce “Revoca”, in Enc. Dir., Milano, 1988, XL, 197; D’avanzo, voce “Recesso (Diritto civile)”, in Noviss. Dig. It., 1967, 1027. Sulla differenza tra recesso e con- dizione, x. Xxxxxxxx, nota a Xxxx. 7 agosto 1989, n. 3626, in Giust. Civ., 1990, 1850.
legislatore ritiene di dover accordare agli interessi della parte che subisce gli effetti del mutamento della volon- ta`, in base ad una valutazione comparativa della posi- zione delle parti. Cosı` si giustificano le differenze tra la disciplina applicabile prima (revoca) o dopo (recesso) che il soggetto passivo abbia espresso il proprio con- senso alla conclusione del contratto; ma si spiegano anche le differenze di disciplina tra le diverse “catego- rie” di recesso, nelle quali si passa dal sacrificio totale e incondizionato dell’interesse del soggetto passivo (ad es. art. 1725, comma 2), via xxx xxxxxxxxxx xxxxx di tutela sempre piu` accentuate (durata minima del rap- porto, artt. 3 e 28, legge n. 396/1978; obbligo di in- dennizzo art. 1671 c.c.).
Il diritto di recesso di derivazione comunitaria e`, in-
fatti, strumento di tutela del consumatore, nei casi espressamente indicati dall’art. 64 e segg., e il suo eser- cizio e` quindi, per definizione, giustificato dalla ricor- renza delle condizioni previste dal legislatore in quelle norme. Si puo`, quindi, concludere che il diritto di re- cesso di matrice europea, anche quando riferito alle proposte contrattuali, si prefigura come istituto origi- nale, previsto in aggiunta all’ordinaria facolta` di revo- ca, e caratterizzato dalla funzione di tutela del consu- matore, che ne giustifica in ogni caso l’esercizio.
Difficolta` ricostruttive e interpretative affiorano, pe- raltro, anche laddove si affronta 23 la problematica del- la natura (efficacia reale od obbligatoria) dei contratti cui la clausola accede, poiche´ nel caso di contratti ad effetti reali il recesso si scontra con principi tradizionali in materia di efficacia traslativa del consenso e di tipi- cita` dei diritti reali e con la problematica del passaggio del rischio.
6. Effetti del recesso e ulteriori obbligazioni delle parti.
Sempre con riguardo alla normativa interna, riallac- ciandosi a quando statuito dalla sentenza in commen- to, e` evidente, innanzitutto, la scelta del legislatore di distinguere nei due diversi artt. 66 e 67 la previsione dell’effetto solutorio e liberatorio del recesso dalle ul- teriori obbligazioni.
Probabilmente l’intento e` stato quello di sottolineare la conseguenza derivante dalla manifestazione di pen- timento da parte del consumatore e cioe` la sua “libe- razione” da ogni e qualsivoglia vincolo giuridico.
La norma dell’art. 67, intitolata alle «ulteriori obbli- gazioni delle parti», regola il prodursi della efficacia retroattiva del recesso, laddove prevede in capo alle parti l’adempimento dei rispettivi obblighi restitutori. Va sottolineato, pero`, il diverso regime degli effetti del recesso a seconda che si receda da un contratto relativo a beni o a servizi. Come si evince dai primi due commi dell’articolo in esame, infatti, che chiaramente si riferiscono a contratti relativi a beni, l’obbligo resti- tutorio sorge solo come conseguenza dello scioglimen- to di un contratto «riguardante la vendita di beni», mentre nel caso di prestazione di servizi nessuna ob-
bligazione si pone in capo al consumatore anche quan- do vi sia stata gia` fruizione dello stesso.
Chiaro e` che, versandosi in ipotesi di obbligazioni di facere, tecnicamente non un’obbligazione restitutoria si sarebbe potuta far gravare sul consumatore, ma la prestazione di una sorta di indennizzo per il servizio fruito. La circostanza che il consumatore si trovi a po- ter recedere da un contratto relativo a servizi, anche se la prestazione e` stata eseguita (come analogamente si puo` recedere da un contratto relativo a beni laddove vi sia stata gia` consegna), senza obblighi ulteriori a suo carico, si spiega in dottrina considerando l’eventualita` che il professionista inizi l’esecuzione del servizio pri- ma di adempiere agli obblighi informativi, ovvero pri- ma del decorso del termine di legge di dieci giorni, o comunque inizi l’esecuzione della prestazione in difet- to di accordo con il consumatore 24.
Per quanto concerne i contratti relativi ai beni, si
osserva poi come il legislatore abbia esteso anche alle ipotesi di negoziazione fuori dai locali commerciali la previsione, prima dettata per le sole vendite a distanza, del maggior termine di dieci giorni, decorrente dal ri- cevimento della merce, per adempiere agli obblighi di restituzione. Si tratta, come il dato testuale chiarisce, di un termine minimo che puo` essere sostituito da una piu` lunga scadenza convenuta dalle parti.
Parte della dottrina 25 ha posto in evidenza il proble- matico rapporto tra termine di esercizio del recesso e termine di adempimento degli obblighi restitutori. In- fatti, posto che lo scioglimento del vincolo e` effetto del recesso, e` possibile ritenere, laddove si versi in ipotesi di un contratto gia` perfezionatosi (eventualita` che le norme contemplano in piu` punti), che l’obbligo di re- stituire la merce si configuri come un effetto ulteriore, e conseguenziale, non potendo immaginarsi, in linea di massima, che l’effetto liberatorio ed il conseguente ob- bligo restitutorio, per le obbligazioni nel frattempo adempiute, si producano senza che il contratto si sia risolto ovvero che si realizzino contestualmente; tant’e` che in merito si ritiene 26 che la restituzione della merce sia un effetto del recesso e non una condizione dello stesso.
Considerando che logicamente e cronologicamente
la restituzione segue il recesso, e che di tardivita` della stessa non puo` parlarsi quando il consumatore puo` recedere in un termine prolungato per violazione dei doveri di informazione, va osservato, pero`, che il legi- slatore non ha voluto prevedere alcun diritto di riten- zione a favore del consumatore, per cui non e` dato stabilire la sanzione connessa alla tardiva restituzione.
7. Conclusioni.
Pertanto, «si tende a ravvisare la ratio giustificatrice dell’attribuzione dello ius poenitendi nell’esigenza di tutelare il consumatore (dai rischi di natura economica cui potrebbe esporlo una decisione non sufficiente- mente ponderata e meditata) sia in ragione delle spe-
23 Sul tema x. Xxxx., Sez. II, 2 settembre 1978, n. 4023, in Giust. Civ., 1979, I, 312 e segg. con nota di Xxxxxxxx, Caparra e contratti ad effetti traslativi, in dottrina, cfr. Xxxxxxxxx, op. cit., 701.
24 De Cristofaro, Contratti a distanza e norme a tutela del consumatore, cit., 1193, nota 53.
25 Gorgoni, L’obbligo restitutorio quale effetto del recesso da un contratto negoziato fuori dai locali commerciali, in Contratti, 2000, 1034.
26 Xxxxxxx, op. cit., 1032 e segg.
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ciali circostanze (di luogo e di tempo) in cui e` avvenuto lo scambio dei consensi, sia in ragione della peculiarita` dei mezzi di comunicazione utilizzati dalle parti per la manifestazione delle rispettive volonta` negoziali» 27. La ratio giustificatrice della norma attributiva del di- ritto di recesso risiede pertanto, anche e soprattutto, nell’esigenza di assicurare che la scelta del consumato- re di instaurare il rapporto contrattuale (che puo` con- siderarsi definitiva ed irreversibile soltanto dopo l’inu- tile decorso del termine entro il quale lo ius poenitendi puo` essere esercitato) sia fondata sulla effettiva cono- scenza e sulla adeguata valutazione delle informazioni che gli organi comunitari ritengono necessarie ai fini dell’assunzione di decisioni di mercato razionali e con- sapevoli e che per questa ragione hanno imposto ai creditori di fornire nella fase precontrattuale. Se non fosse stata accordata al consumatore la possibilita` di sciogliersi dal vincolo negoziale, senza alcun onere (tanto meno le spese di consegna, richiamate nella sen- tenza in commento) attraverso l’esercizio dello ius poe- nitendi, l’obiettivo perseguito dal legislatore comuni- tario attraverso l’imposizione dell’ampio obbligo infor- mativo precontrattuale si sarebbe prestato ad essere
facilmente eluso nella prassi applicativa.
Xxx` evidenziato, dopo aver condiviso la pronuncia in esame, si conclude osservando come la codificazione a livello comunitario e nazionale della categoria del re- cesso del consumatore, comunque sempre in parte ibrida o comunque poco netta, sia sempre piu` progre- dita, ma sicuramente non ancora compiutamente de- finita 28.
Xxxxxx Xxxxxxxx
DIRITTO DI CRONACA E RISERVATEZZA
Cassazione civile, III Sezione, 9 luglio 2010,
n. 16236 — Xxxxxxx Presidente — Spagna Xxxxx Xxxxxxxxx — Xxxxx P.M. (conf.) — Laboratorio Analisi Cliniche Tiburtino s.r.l. (avv.xx Xxxxxxx, Xxxx Xxxxx- vich) - Editrice Roma s.p.a. (avv.ti Testa, Liberati).
Diffamazione a mezzo stampa — Diritto di cronaca
— Giornalismo d’inchiesta — Limiti — Verita` ogget-
tiva della notizia (Cost. art. 21; L. 3 febbraio 1963, n. 69, art. 2).
Con riferimento al giornalismo di inchiesta, caratte- rizzato dalla diretta, autonoma e attiva acquisizione del- la notizia, senza la mediazione di fonti esterne, gli ob- blighi del giornalista si sostanziano nel rispetto dei prin- cipi etici e deontologici dell’attivita` professionale, secon- do quanto stabilito nella relativa legge e nella Carta dei doveri del giornalista, e nel rispetto della riservatezza, secondo quanto stabilito dalle regole deontologiche in tema di trattamento dei dati personali. Restano fermi, al riguardo, i limiti generali posti al diritto di cronaca e di critica, costituti dalla verita` oggettiva della notizia pub- blicata, dall’interesse pubblico alla conoscenza del fatto e dalla correttezza formale dell’esposizione (1).
V. gia` Recentissime dalla Cassazione civile a cura di Xxxxxxx, in Giur. It., 2010, 10, 1994.
(1) La suprema Corte torna a pronunciarsi sulla problematica relativa al non agevole contempe- ramento tra liberta` di informazione e diritto di crona- ca, da una parte, e rispetto della dignita` e della riser-
vatezza della persona, dall’altra 1.
In particolare, la pronuncia origina da una richiesta di risarcimento danni — rigettata dai giudici del merito
— subiti a seguito della pubblicazione di una serie di articoli, ritenuti diffamatori, narranti, quale esempio di mala sanita`, un fatto emerso da un’inchiesta svolta da- gli stessi cronisti. Questi ultimi, al fine di verificare il grado di attendibilita` delle analisi cliniche, avevano consegnato campioni di te`, spacciandoli per urina, ad alcuni laboratori, i quali li avevano refertati come li- quido organico umano.
La suprema Corte, con la sentenza che si annota, descrive le caratteristiche e delinea i limiti del giorna- lismo d’inchiesta.
Quest’ultimo, consistendo nell’acquisizione autono- ma, diretta e attiva, da parte del professionista, della notizia, realizza a pieno il fine dell’attivita` del giorna- lismo, che si identifica nella raccolta, nel commento e nella elaborazione di notizie destinate a formare ogget- to di comunicazione attraverso i mezzi di informazio- ne, e conseguentemente nel consentire ai cittadini di acquisire conoscenza di tematiche aventi rilievo pub- blico. Detta tipologia di giornalismo, pertanto, costi-
27 De Cristofaro, Ius poenitendi del consumatore e contrat- ti di credito nella Dir. 2008/48/CE, in Giur. It., 2010, 232 e segg.; cfr. Xxxxx, Recesso del creditore, mutuo di scopo e collegamento negoziale, ibid., 238 e segg.
28 La letteratura in proposito e` ormai fluviale. Nella dottrina italiana, posteriormente all’entrata in vigore del codice del con- sumo, v. ad esempio (oltre ai contributi inseriti nei vari com- mentari al D.Lgs. n. 206/2005) Pilia, Accordo debole e diritto di recesso, Milano, 2008; Xxxxxxxxx, voce “Ius se poenitendi”, in Enc. Giur., Milano, 2007, VIII, 405 e segg.; Xxxxxxxxxxxxx, Il diritto di recesso nel codice del consumo, in Notariato, 2007, 79 e segg.; Xxxxx Xxxxxxx, Lo jus se poenitendi del consumatore, in Vita Notar., 2007, 55 e segg.; in una prospettiva europea, x. Xxxxxxxxx, in AA.VV., Manuale di diritto privato europeo a cura di Xxxxxxxxxx, Mazzamuto, Milano, 2007, II, 353 e segg., e da ultimo De Cristofaro, La disciplina unitaria del «diritto di recesso»: ambito di applicazione, struttura e contenuti essenziali, cit.; nonche´ Bargelli, op. cit., 391 e segg.; Volante, op. cit., 419 e segg. (contributi, questi ultimi, ai quali si rinvia per ulte-
riori indicazioni bibliografiche, nella letteratura italiana ed eu- ropea).
1 I limiti del diritto di cronaca sono stati individuati dalla giurisprudenza, in particolare in due famose sentenze Cass., Sez. I, 18 ottobre 1984, n. 5259, in Foro It., 1984, I, 2711 (nota anche come il c.d. Decalogo del giornalista), e Xxxx. xxx., Sez. un., 23 ottobre 1984, n. 8959, in Cass. Pen., 1985, 44, e in Foro It., 1984, II, 531, le quali, recependo l’orientamento giurisprudenziale gia` da tempo consolidato, costituiscono il punto di equilibrio tra la tutela del diritto di cronaca e la tutela della persona umana. Questi principi sono stati riaffermati in diverse sentenze della Xxxxx xx Xxxxxxxxxx, Xxxx., Xxx. X, 0 aprile 1998, n. 3679, in Foro It, 1998, I, 1834; Id.,Sez. III, 27 aprile 1998, n. 4285, in Giur. It., 1999, 7, Id., Sez. I, 28 agosto 1998, n. 8574, in Corr. Giur., 1999, 462, Id., Sez. III, 9 giugno 1998, n. 5658, in CED Cass., 516218, che ribadiscono che il diritto di cronaca prevale sul diritto alla privacy se i fatti sono veri, di interesse pubblico e se sono esposti in forma civile e corretta.
tuisce l’espressione piu` alta e nobile del diritto insop- primibile e fondamentale della liberta` di informazione e di critica.
Il giornalismo di informazione, in generale, trova la sua fonte nell’art. 21 Cost., che garantisce la liberta` di manifestazione del proprio pensiero, nell’art. 2 dell’or- dinamento della professione di giornalista (legge
n. 69/1963) e in altre fonti, quali la Carta dei doveri del giornalista, firmata a Roma l’8 luglio 1993, e il Codice deontologico dei giornalisti del 29 luglio 1998. La rile- vanza del diritto di cronaca e` stata poi riconosciuta dalla giurisprudenza, anche comunitaria 2, e dal Consiglio d’Europa, che, con risoluzione 1o luglio 1993, n. 1003, ha ribadito l’importanza dell’informazione non solo per lo sviluppo della personalita` dei cittadini ma anche per l’evoluzione della societa` e della vita democratica.
Il giornalismo d’inchiesta, rientrando nel piu` ampio genus dell’attivita` di informazione, e` soggetto agli stessi limiti regolatori individuati dalla giurisprudenza di le- gittimita` per il giornalismo in generale.
Pertanto, il diritto di cronaca giornalistica — di in- formazione e d’inchiesta — e` legittimo, e quindi pre- vale sul diritto alla riservatezza, qualora sussistano tre condizioni: 1) l’utilita` sociale dell’informazione (ossia l’esistenza di un interesse pubblico a che la notizia e i fatti siano conosciuti e diffusi) 3; 2) la verita` (oggettiva o anche soltanto putativa, purche´, in quest’ultimo ca- so, frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca) dei fatti esposti 4; 3) la forma civile dell’esposizione dei fatti e della loro valutazione, c.d. continenza formale 5. Quest’ultima condizione non ricorre quando la critica eccede lo scopo informativo da conseguire, difetta di serenita`, di obiettivita` e di leale chiarezza e lede la dignita` umana.
Tuttavia, il giornalismo di inchiesta, considerate le sue peculiarita`, si distingue dal generale giornalismo d’informazione per quanto concerne la verifica dell’at- tendibilita` della fonte della notizia.
Sul giornalista d’inchiesta, infatti, non grava l’obbli- go di valutare in modo serio e diligente l’attendibilita`e la veridicita` della fonte, non sussistendo di fatto una fonte dalla quale egli ha appreso l’informazione. Il cro- nista, in altre parole, non avverte il conflitto tra le due opposte esigenze di informare il pubblico quanto pri- ma, da una parte, e verificare la fondatezza della noti- zia, dall’altra, e non rischia di diffondere notizie false e lesive dell’altrui reputazione, in quanto ricerca attiva- mente la verita` e si pone in relazione diretta con il fatto, diversamente dal giornalista di informazione che lo acquisisce passivamente basandosi su fonti indirette, sia pure ufficiali.
Pertanto, su di lui grava esclusivamente il dovere di ispirarsi ai criteri etici e deontologici della sua attivita` professionale.
Nell’eventualita`, poi, in cui la ricostruzione dei fatti risulti lesiva della reputazione di qualcuno, il giornali-
sta non puo` essere considerato responsabile se il suo lavoro e` stato svolto in modo diligente, persino qualora la sua libera attivita` di ricerca della verita` giunga a contraddire il contenuto di una fonte ufficiale.
In conclusione, alla luce di quanto suesposto, la su- prema Corte conferma la pronuncia della Corte d’ap- pello, che aveva dichiarato di contenuto non diffama- torio gli articoli dei giornalisti in questione, riscontran- do in concreto la veridicita` della notizia riportata, la sussistenza dell’interesse oggettivo a rendere consape- vole l’opinione pubblica di fatti e avvenimenti social- mente rilevanti — riguardanti il bene primario della salute e dei mezzi a disposizione per presidiarla — , l’utilizzo di un linguaggio non offensivo, la continenza della notizia ai fatti oggetto di inchiesta, e, infine, il rispetto della correttezza professionale, ovvero dei cri- xxxx etici e deontologici, ai sensi della legge n. 69/1963 e della Carta dei doveri summenzionata, e della riser- vatezza in tema di trattamento dei dati personali, ai sensi dell’art. 25 legge n. 675/1996, dell’art. 20 D.Lgs. n. 467/2001 e dell’art. 12 D.Lgs. n. 196/2003.
Pertanto, accertata la sussistenza dei requisiti sum- menzionati, nel bilanciamento dei due valori — en- trambi di matrice costituzionale — quali l’attivita` di informazione ex art. 21 Cost. e la tutela della persona umana e della sua riservatezza ex art. 15 Cost., il primo risulta prevalere. Tra l’altro, lo stesso art. 1 della Cost. comprende, tra gli strumenti democratici attraverso i quali deve essere esercitata la sovranita` popolare, l’attivita` di informazione, con la conse- guenza che il popolo puo` ritenersi sovrano in quanto sia pienamente informato di tutti i fatti di interesse pubblico. Da tale asserzione non puo` che derivare che la reputazione e la privacy costituiscono mere ec- cezioni al generale principio dell’informazione e pre- valgono su quest’ultimo solo qualora la notizia non sia indispensabile, in ragione dell’originalita` del fatto o della descrizione dei modi particolari in cui e` avve- nuto o della qualificazione dei protagonisti, e qualora, nel caso di persone note o svolgenti pubbliche fun- zioni, la notizia non abbia rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica.
CUSTODIA
Cassazione civile, III Sezione, 6 maggio 2010,
n. 10956 — Xxxxxxx Presidente — Frasca Relatore
— Russo P.M. (parz. diff.) — E.D. (avv.ti Lais, Xxxxx Xxxxxxx) - A.S. (avv. Spadafora).
Conferma App. Bologna, 28 ottobre 2005.
Obbligazioni e contratti — Contratto d’opera — Consegna — Custodia — Omesso ritiro della cosa entro il termine pattuito — Sottrazione del bene —
2 Corte eur. dir. uomo, sentenza 27 marzo 1996, Xxxxxxx c. Regno Unito, in Raccolta delle sentenze e decisioni, 1996, II, VII, che ha riconosciuto il diritto di ricercare liberamente le notizie e l’esigenza di protezione delle fonti giornalistiche.
3 Cass., Sez. I, 18 marzo 2008, n. 7261, in Giust. Civ., 2008,
7-8, 1664.
4 Cass., Sez. III, 9 marzo 2010, n. 5657, in CED Cass., 2010;
Id., Sez. III, 14 ottobre 2008, n. 25157, in Mass. Giur. It., 2008,
Id., Sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1205, ivi, 2007.
5 Cass., Sez. III, 04 febbraio 2005, n. 2271 in Mass. Giur. It., 2005; Id., Sez. III, 20 ottobre 2009, n. 22190, ivi, 2009; Id., Sez. III, 27 gennaio 2009, n. 1976, ibid.; Id., Sez. III, 13 gennaio 2009, n. 482, ibid.; Id., Sez. III, 5 aprile 2005, n. 7063 , ivi, 2005; Id., Sez. III, 23 luglio 2003, n. 11455, ivi, 2003, e in Arch. Civ., 2004, 688.
Responsabilita` (C.c. artt. 1780, 1207, 1208, 1209,
1210, 1212).
Nel rapporto tra autoriparatore e cliente la previsione di un termine per il ritiro dell’autovettura non rappre- senta un limite alla durata e alle modalita` esecutive del- l’obbligo custodiale (1).
Omissis. — 2.1. Il motivo non e` fondato, ne´ per il profilo con cui deduce la violazione di norme di dirit-
to, ne´ per quello di vizio di motivazione.
Il primo profilo, al di la` di una non esplicita delimitazione da parte della ricorrente, si coglie sia nella prima parte del- l’illustrazione, sia nella seconda, la` dove l’una e l’altra vor- rebbero che l’avere la ricorrente e l’incaricato della V. all’atto della consegna dell’autovettura per le riparazioni, convenuto che essa doveva essere ritirata alle 19 del venerdı`, avrebbe comportato che l’obbligo di custodia inerente il contratto, pur considerato nel senso dell’orientamento di questa Corte meno recente e giustificativo dell’applicazione del rigore del- la prova liberatoria di cui all’art. 1780 c.c., si sarebbe atteg- giato secondo questo paradigma normativo soltanto fino alla scadenza del termine pattuito, di modo che, essendo il furto avvenuto dopo la sua verificazione, il regime della responsa- bilita` sarebbe da apprezzare secondo il piu` blando criterio di cui al vecchio orientamento e sfuggirebbe a quel paradigma. Si tratta di una prospettazione che non appare corretta, perche´ vorrebbe fare assumere al contenuto delle pattuizioni intercorse fra le parti in ordine alle attivita` reciprocamente necessarie per la realizzazione dello scopo del contratto, cioe`, rispettivamente l’esecuzione delle riparazioni mediante l’esercizio del potere sulla cosa conferito con l’attribuzione della sua detenzione qualificata a questo scopo e, quindi, anche dell’obbligo custodiale e l’obbligazione di ritirarla, dopo l’esecuzione delle riparazioni, allo scadere di un certo termine (evidentemente pagando il corrispettivo), l’impro- pria funzione di comportare anche, del tutto implicitamente, una limitazione dell’estensione della responsabilita` connessa alle obbligazioni dedotte in contratto e particolarmente a quella di custodia, nel senso della sua durata — almeno nei termini rigorosi di cui all’art. 1780 c.c. — fino alla scadenza
del termine pattuito per il ritiro.
Senonche´, siffatta prospettazione, pur valutata con un’adeguata ponderazione della distribuzione dei rischi de- dotti nel rapporto contrattuale, risulta palesemente contra- stante con la disciplina che nei rapporti obbligatori il nostro ordinamento da` alla situazione in cui il creditore della pre- stazione e` in mora credendi. In base a questa disciplina,
«quando il creditore e` in mora, e` a suo carico l’impossibilita` della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile al debitore» (art. 1207 c.c.), ma «gli effetti della mora si veri- ficano dal giorno dell’offerta, se questa e` dichiarata valida con sentenza passata in giudicato o se e` accettata dal credi- tore». L’offerta, peraltro, deve essere fatta nei termini di cui alle disposizioni dell’art. 1208 c.c. e ss. e, nella specie, do- vendo il ritiro dell’autovettura avvenire presso l’officina della ricorrente, era applicabile il secondo comma dell’art. 1209 c.c., occorreva, cioe`, un’offerta della prestazione di consegna dell’autovettura fatta mediante intimazione. Se pure tale of- ferta fosse stata fatta — e non risulta essere stata fatta — tuttavia nella specie non si sarebbe verificata la situazione di impossibilita` della prestazione di riconsegna per causa non imputabile alla E., atteso che la formulazione di cui all’art. 1207, primo comma, c.c., citato, e` identica a quella indicata
nell’art. 1780, primo comma. E, dunque, cosı` come, secondo l’apprezzamento della Corte territoriale, non sarebbe stata data la prova liberatoria ai sensi di tale ultima norma, allo stesso modo difetterebbe la situazione legittimante l’appli- cazione degli effetti della mora credendi. Il fatto che la V. fosse stata in ritardo nel presentarsi per il ritiro dell’autovet- tura e, quindi, certamente versasse in situazione di mora credendi non sarebbe stato di per se´ idoneo a determinare l’effetto del venir meno dell’obbligo custodiale nei termini indicati dall’art. 1780 c.c. A far cessare il gravare del rischio per la perdita dell’autovettura per il furto sarebbe stato ne-
xxxxxxxx, in realta`, secondo la disciplina della mora del cre- ditore, il deposito, di cui all’art. 1210 c.c. E` poi appena il caso di rilevare che a non diverse conseguenze si perverrebbe se fosse stata fatta almeno un’offerta non formale, ai sensi del-
l’art. 1212 c.c.
Le emergenze della disciplina della mora del creditore palesano allora l’evidente contrasto in cui si porrebbe con esse la prospettazione della ricorrente, la` dove vorrebbe che la mera pattuizione di un ritiro dell’autovettura entro un termine assumesse, nell’economia del rapporto fra autoripa- ratore e cliente, il valore di segnare il limite temporale della durata dell’obbligo custodiale assoggettato alla disciplina di cui all’art. 1780 c.c., per cui, scaduto quel termine, questa norma non opererebbe piu`.
La disciplina della mora credendi infatti, palesa che il ve- rificarsi di quest’ultima situazione di per se´ e` inidonea a determinare un mutamento nelle condizioni regolatrici delle obbligazioni del debitore. La distribuzione del rischio con- trattuale e` regolata nel senso che il verificarsi della mora del creditore non e` un evento automaticamente determinativo di un suo mutamento.
Un simile mutamento puo`, invece, evidentemente essere realizzato dai contraenti attraverso un apposito patto limi- tativo della responsabilita` nei sensi e nei modi di cui all’art. 1229, primo comma, c.c., e questa possibilita` da` risposta anche alle pretese incongruenze che sono esposte nella parte finale dell’illustrazione del motivo.
2.1. Quanto alle censure riconducibili al vizio di motiva- zione (essere l’installazione dell’allarme finalizzata a realiz- zare maggiore sicurezza e non circostanza rivelatrice di una situazione di insicurezza; mancanza di certezza che la pre- senza dell’allarme avrebbe impedito il fatto), si tratta di cen- sure che non solo non tengono conto che la motivazione, con la quale la corte territoriale ha compiuto l’apprezzamento inerente la mancata dimostrazione del fatto non imputabile, poggia su elementi probatori piu` ampi — enunciati nelle pagine dieci ed undici, fino alla dodici — dei quali non si fa carico, ma che, inoltre, si risolvono solo nel prospettare un diverso possibile apprezzamento delle due circostanze indi- cate e non gia` un diverso apprezzamento logicamente neces- sitato delle stesse, sı` che non si tratta di elementi assistiti dal requisito della decisivita` per come richiesto dall’art. 360 n. 5 c.p.c., nel testo anteriore al d.lgs. n. 40 del 2006 (in termini, fra le tante, Cass. n. 22979 del 2004).
Il secondo motivo e`, dunque, rigettato con riferimento ad entrambe le censure. — Omissis.
(1) Si consolida l’orientamento in virtu` del quale l’art. 1780 c.c. — previsto in tema di deposito —
si applicherebbe anche allorche´ l’obbligazione di cu- stodire e conservare un determinato bene sia compresa in un diverso contratto 1 (ad esempio un contratto d’opera quale quello fra autoriparatore e cliente oppu-
1 In tal senso, ex multis, Cass., 19 luglio 2004, n. 13359, in Mass. Giur. It., 2004, per cui «l’art. 1780 c.c. trova integrale applicazione anche quando l’obbligazione della custodia e della riconsegna sia necessariamente compresa nel contenuto del contratto diverso dal deposito (come, nella specie, il contratto d’opera) o formi parte di un contratto misto nel quale conflui- scano le cause del deposito e di altro contratto. In caso di sot-
trazione della cosa depositata, pertanto, il depositario, per ot- tenere la liberazione dalla propria obbligazione, e` tenuto a for- nire la prova che l’inadempimento e` dipeso da causa a lui non imputabile. A tal fine, e` senz’altro ravvisabile fatto non impu- tabile, idoneo a liberare il depositario dalla responsabilita` per mancata restituzione della cosa depositata, quando la cosa stessa gli venga sottratta nel luogo in cui e` custodita mediante la com-
re un contratto misto). L’applicazione di siffatta norma comporta che — in ipotesi di sottrazione della res de- posita — il custode e` tenuto fornire (l’ardua) prova che l’inadempimento sia dipeso da causa a lui non impu- tabile. Tale prospettazione ha peraltro superato un pre- cedente orientamento contrastante, che negava l’appli- cabilita` della norma de quo in caso di mancato tempe- stivo ritiro del bene da parte del depositante nel ter- mine precedentemente convenuto 2. Secondo l’analisi ricostruttiva della suprema Corte infatti, una diversa allocazione del rischio relativo all’impossibilita` soprav- venuta della prestazione fra debitore e creditore ina- dempiente sarebbe possibile solo attraverso il ricorso alla mora credendi. Tuttavia — ai sensi dell’art. 1207, comma 3, c.c. — gli effetti della mora si verificano dal giorno dell’offerta, qualora questa sia accettata dal cre- ditore oppure dichiarata valida con sentenza passata in giudicato. Di conseguenza, in assenza della predetta offerta il debitore non potrebbe avvalersi dei favore- voli effetti della mora sul rischio.
Il filone giurisprudenziale in esame muoverebbe dal- la premessa implicita 3 secondo cui la responsabilita` ex art. 1780 c.c. si differenzierebbe dalla generale respon- sabilita` per inadempimento contrattuale di cui all’art. 1218 c.c. La responsabilita` del depositario sarebbe dunque di tipo oggettivo 4, per cui la prova liberatoria consisterebbe unicamente nella dimostrazione del caso fortuito o della forza maggiore. Tale assunto non sem- brerebbe pero` condivisibile poiche´ la responsabilita` oggettiva — nel nostro ordinamento — e` un’ipotesi eccezionale, che richiede specifica previsione testuale, nella fattispecie mancante.
In tale prospettiva occorre chiedersi se esista un’ul- teriore xxx — xxxxxxxx alla mora credendi — per dare
qualche rilievo al comportamento del creditore non conforme alla pattuizione, ossia il mancato ritiro del bene nel termine stabilito, in particolar modo allorche´ tale condotta non sia suffragata da una valida ragione pratica (ad es. motivi di salute o cause di forza mag- giore). Questo perche´ il debitore risulterebbe soggetto ad un perdurante sacrificio (sia in termini di spazio occupato potenzialmente destinabile ai clienti succes- sivi che di lavoro connesso all’obbligo di custodia) e ad una contemporanea estensione cronologica della pro- pria responsabilita`; entrambe circostanze non previste dal titolo e francamente poco giustificabili.
Bisogna distinguere fra gli strumenti a carattere so- stanziale inerenti la fase negoziale e le tutele concer- nenti quella processuale.
In particolare — nella fattispecie relativa alla senten- za in epigrafe — l’autoriparatore avrebbe potuto ex ante predisporre una specifica clausola di esonero dalla responsabilita` 5 per inadempimento successivo alla sca- denza del termine, ai sensi dell’art. 1229 c.c.
E` a tal proposito opportuno sottolineare come — ex art. 33, comma 3, lett. b), c. cons. (D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206) — nel contratto concluso fra consuma- tore e professionista (quale quello fra riparatore e cliente) si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole aventi l’oggetto o l’effetto di escludere o limitare le azioni od i diritti del consumatore in ipotesi d’inadempimento totale o parziale da parte del profes- sionista. Di conseguenza — ai sensi dell’art. 35, comma 5, c. cons. — incombe sul professionista l’onere di provare che siffatta clausola sia stata oggetto di speci- fica trattativa con il consumatore al fine di escluderne la vessatorieta` e la conseguente nullita` di protezione 6. Pertanto sembrerebbe auspicabile: a) stipulare il con-
missione di rapina a mano armata, senza che rilevi se egli abbia adottato particolari accorgimenti o cautele nella custodia, es- sendo i medesimi resi inutili dal diretto impiego della violenza sulla sua persona»; Id., 18 settembre 2008 n. 23845, in Giust. Civ., 2010, 2, 463; Id., 6 luglio 0000, x. 00000, in Mass. Giur. It.,
2006; Id., 12 aprile 2006 n. 8629, ibid.; Id., 1o luglio 2005, n. 14092, ivi, 2005. In argomento Scarpa, Parcheggio di un super- mercato e responsabilita` in caso di furto, in Giudice di pace, 2009, 4, 322 e segg.; Xxxxxxxxxxx, Contratto di deposito vs. contratto con obbligazione accessoria di custodia: quale disciplina?, in Dan- no e Resp., 2009, 8-9, 839 e segg.; Cristiano, Deposito, par- cheggio e custodia accessoria nella responsabilita` contrattuale, in Contratti, 2008, 7, 715 e segg.
2 Cosı` Cass., 23 gennaio 1986 n. 430, in Dir. ed Eco. Assicu- razione, 1986, 727, secondo cui «le norme che disciplinano nel contratto di deposito la responsabilita` del depositario sono ap- plicabili solo nel caso in cui l’obbligo di custodia rappresenti l’unica prestazione qualificatrice del contratto; qualora, invece, l’obbligo di custodire abbia natura meramente accessoria rispet- to a quella dedotta in obbligazione, per il suo adempimento trovano applicazione, ai termini dell’art. 1177 c.c. le regole sta- bilite per l’adempimento delle obbligazioni in generale. Pertan- to nel caso in cui il deposito e` connesso con un contratto di lavoro autonomo, l’obbligo di custodia, per il cui adempimento si richiede la diligenza del buon padre di famiglia, resta limitato al tempo necessario per l’esecuzione del lavoro, con la conse- guenza che il depositante, una volta che gli sia stato comunicato che il lavoro stesso e` stato ultimato, deve riprendersi la cosa, senza che — ove il depositario abbia fatto presente di non po- tere continuare la custodia in modo pieno — possa configurarsi una sua responsabilita` per la perdita della cosa, salva l’ipotesi che tale perdita sia derivata da una particolare negligenza».
3 Lo rileva Xxxxxxxxxxx, op. cit., 842.
4 In tal senso D’Xxxxx, La responsabilita` ex recepto e la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato: contributo alla teoria della responsabilita` contrattuale, Napoli, 1999, passim.
5 Sul punto Xxxxxxxxxx, Contratto di parcheggio e clausole di esonero dalla responsabilita`, in Contratti, 2008, 4, 416 e segg.; Xxxxx, Parcheggio di autoveicolo e responsabilita` ex recepto del gestore, ivi, 2007, 12, 1081 e segg. In giurisprudenza cfr. Cass., 14 marzo 2006 n. 5449, in Diritto dei trasporti, 2007, 3, 833, con nota di Fiore, per cui «l’elemento soggettivo dell’illecito — sia contrattuale che extracontrattuale — si articola nei due concet- ti, del tutto eterogenei, di dolo e di colpa, essendo il primo un atteggiamento psicologico intenzionalmente diretto alla lesione dell’altrui diritto e la seconda viceversa, una condizione sogget- tiva caratterizzata, al di la` delle possibili variazioni di intensita`, dalla non volontarieta` del fatto dannoso; ne consegue che i due stati soggettivi rilevano, di norma, in modo diverso, e che la relativa, piena equiparazione, lungi dal rispondere ad un prin- cipio generale dell’ordinamento, e` eccezionale, e come tale ne- cessita di una previsione espressa in tal senso e non e` suscettibile di estensione analogica. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sen- tenza di merito che aveva interpretato il patto contrattuale pre- vedente, all’interno di un contratto di trasporto di cose soggetto alla disciplina originaria dettata dalla legge n. 450 del 1985, la rimozione del limite quantitativo di responsabilita` del debitore per il caso di dolo del vettore, che la limitazione quantitativa della responsabilita` fosse da considerare inoperante anche nel- l’ipotesi — verificatasi nella specie — della colpa grave»; Cass., 5 aprile 2005, n. 7081, in Giur. It., 2005, 2035.
6 In tema di vessatorieta` delle clausole, fra i contributi piu`
recenti , cfr. Xxxxx, La tutela dei consumatori contro le clausole abusive: le teorie americane e il diritto italiano, in Xxxxxxxxx, 2010, 4, 392 e segg.; Xxxxxxxx, Clausole abusive e tutela (solo proce- durale?) del consumatore: le ultimissime dalla Corte di Giustizia,
tratto fra autoriparatore e cliente per iscritto, con pun- tuale indicazione del termine di ritiro del veicolo; b) far sottoscrivere al cliente la specifica clausola di esonero da responsabilita` comprensiva della menzione della trattativa intercorsa fra le parti sul punto. Siffatta so- luzione, sicuramente pregevole in un’ottica antiproces- sualista, implica tuttavia un ampliamento delle forma- lita` poco consono ad un’attivita` commerciale che pre- vede di norma un’espressione del consenso particolar- mente celere e non certo solenne.
In riferimento alla fase applicativa del contratto, in- vece, il comportamento del cliente che — senza un valido motivo — non provveda al ritiro del veicolo entro il termine in precedenza convenuto sembrerebbe integrare una lesione di quel principio di buona fede e correttezza cui — ex art. 1375 c.c. — deve informarsi l’esecuzione del negozio. Cio` con specifico riguardo alla figura concettuale del venire contra factum pro- prium, come elaborata e modulata dalla casistica giu- risprudenziale 7.
Tale figura ricorre ove il contraente ponga in essere un comportamento materiale successivo incompatibile con la determinazione volitiva anteriormente espressa (quale l’intenzione di ritirare il proprio veicolo entro e non oltre una certa data).
Pertanto, in sede processuale il debitore potrebbe validamente avvalersi della relativa eccezione al fine di paralizzare la pretesa creditoria.
Sotto il profilo della quantificazione dell’obbligazio- ne risarcitoria occorre altresı` rilevare come, in virtu` del disposto dell’art. 1227, comma 2, c.c., il risarcimento non e` dovuto per i danni che il creditore avrebbe po- tuto evitare usando l’ordinaria diligenza 8. Tale fattis- pecie ben potrebbe ricorrere allorche´ il cliente lasci il proprio veicolo al riparatore oltre il termine pattuito pur essendo consapevole che questi non presenti le condizioni materiali per porre in essere una custodia sicura protratta per un lungo periodo (ad es. per man- canza di spazio o di personale preposto). Laddove la dimostrazione dell’evitabilita` del danno non sia con- cretamente possibile, invece, potrebbe comunque at- tuarsi una consistente diminuzione del risarcimento dovuto in considerazione del concorso del fatto colpo- so del creditore, ex art. 1227, comma 1, c.c. E infatti in assenza del fatto colposo del creditore — ossia il man- cato ritiro del veicolo nel termine convenuto — il fatto illecito (la sottrazione del veicolo) non si sarebbe pro- dotto. Pertanto la condotta del creditore costituirebbe l’antecedente logico della produzione del danno e as- sumerebbe a tal proposito una notevole rilevanza.
in Riv. critica dir. privato, 2009, 4, 655 e segg.; Dona, La proposta di direttiva sui diritti dei consumatori: luci ed ombre nel futuro della tutela contrattuale, in Obbligazioni e contratti, 2009, 7, 582 e segg.; Orlando, L’utilizzo di clausole abusive come pratica commerciale scorretta, ibid., 4, 345 e segg.; Xxxxxxxx, Consuma- tore: nozione, clausole abusive e foro competente, in Corr. del Merito, 2006, 1, 5 e segg.
7 In argomento Scarso, Venire contra factum proprium e responsabilita`, in Resp. Civ. e Prev., 2009, 3, 513 e segg.; Sic- chiero, L’interpretazione del contratto ed il principio nemo con- tra factum proprium venire potest, in Contratto e Impresa, 2003, 2, 507 e segg.; Xxxxxxx, Venire contra factum proprium e colpa verso se stesso, in Rass. dir. civ., 1994, 2, 409 e segg. In giuri- sprudenza x. Xxxx., 7 marzo 2007, n. 5273, in Mass. Giur. It., 2007, per cui «la exceptio doli generalis seu praesentis indica il dolo attuale, commesso al momento in cui viene intentata l’azio- ne nel processo, e costituisce un rimedio di carattere generale, utilizzabile anche al di fuori delle ipotesi espressamente codifi- cate, il quale e` diretto a precludere l’esercizio fraudolento o sleale dei diritti di volta in volta attribuiti dall’ordinamento, paralizzando l’efficacia dell’atto che ne costituisce la fonte o giustificando il rigetto della domanda giudiziale fondata sul me- desimo, ogni qualvolta l’attore abbia sottaciuto situazioni so- pravvenute al contratto ed aventi forza modificativa o estintiva del diritto, ovvero abbia avanzato richieste di pagamento prima facie abusive o fraudolente, o ancora abbia contravvenuto al divieto di venire contra factum proprium. Tale rimedio si distin- gue dalla exceptio doli specialis seu preteriti, la quale indica in- vece il dolo commesso al tempo della conclusione dell’atto, ed e` diretta a far valere (in via di azione o eccezione) l’esistenza di raggiri impiegati per indurre un soggetto a porre in essere un determinato negozio, al fine di ottenerne l’annullamento, ovve- ro a denunziare la violazione dell’obbligo di comportarsi secon- do buona fede nello svolgimento delle trattative e nella forma- zione del contratto, la quale assume rilievo, quale dolo inciden- te, nel caso in cui l’attivita` ingannatrice abbia influito su moda- lita` del negozio che la parte non avrebbe accettato, se non fosse stata fuorviata dal raggiro, e non comporta l’invalidita` del con- tratto, ma la responsabilita` del contraente in mala fede per i danni arrecati dal suo comportamento illecito, i quali vanno commisurati al minor vantaggio e al maggior aggravio econo- mico subiti dalla parte che ne e` rimasta vittima, salvo che sia dimostrata l’esistenza di danni ulteriori, collegati a detto com-
portamento da un nesso di consequenzialita` diretta»; Cass., 4 settembre 2004, n. 17888, in Dir. e Giust., 2004, 41, 102; Id., 11
dicembre 0000, x. 00000, in Societa`, 2001, 581, con nota di Xxxxxxxxxx; Cass., 12 febbraio 1992, n. 1715, in Giust. Civ., 1993, I, 505, con nota di Xxxxxxxx.
8 Sul punto cfr. Cass., 25 maggio 2010, n. 12714, in Mass. Giust. Civ., 2010, 5, 806, per cui «in tema di risarcimento del danno, l’ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia con- corso al verificarsi dell’evento dannoso (di cui al comma 1 del- l’art. 1227 c.c.) va distinta da quella (disciplinata dal comma 2 della medesima norma) riferibile ad un contegno dello stesso danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza contribuire alla sua causazione, giacche´ — mentre nel primo caso il giudice deve procedere d’ufficio all’indagine in or- dine al concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano causale, dello stesso — la seconda di tali situazioni forma oggetto di un’eccezione in senso stretto, in quanto il dedotto comportamento del creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico dalla legge quale espressione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede»; Id., 5 maggio 2010, n. 10895, in Mass. Giur. It., 2010, secondo cui
«l’obbligo di diligenza gravante sul creditore, che rappresenta espressione del piu` generale dovere di correttezza nei rapporti fra gli obbligati, tendendo a circoscrivere il danno derivante dall’al- trui inadempimento entro i limiti che rappresentino una diretta conseguenza dell’altrui colpa, non comprende anche l’obbligo di esplicare una straordinaria o gravosa attivita`, nella forma di un facere non corrispondente all’id quod plerumque accidit. Il com- portamento operoso richiesto al creditore, improntato all’ordi- naria diligenza, non ricomprende, per sua stessa definizione, at- tivita` tali da comportare sacrifici, esborsi, o assunzione di rischi, quale puo` essere l’esperimento di un’azione giudiziaria, sia essa di cognizione o esecutiva, che rappresenta esplicazione di una mera facolta`, dall’esito non certo. Pertanto, il creditore non e` te- nuto a citare in giudizio il debitore per evitare che l’inadempi- mento si aggravi (la Corte ha considerato legittima l’ingiunzione contro l’associato in partecipazione resosi responsabile di am- manchi di cassa appena dopo la firma del contratto, cassando la sentenza di appello che aveva negato i danni al creditore ritenen- doli evitabili con l’ordinaria diligenza: la parte, secondo il giudice d’appello, avrebbe dovuto recedere dal contratto o convenire l’inadempiente davanti al giudice per recuperare il credito)».
56 Diritto Civile | STRAORDINARIA AMMINISTRAZIONE
Di conseguenza, ove la tutela dell’autoriparatore nei confronti dell’arbitrario omesso ritiro del veicolo da parte del cliente entro il termine pattuito, in relazione alla distribuzione dei rischi, fosse limitata al procedi- mento — lungo e costoso — della mora credendi, le officine meccaniche rischierebbero di trasformarsi in appetibili parcheggi custoditi gratuiti.
STRAORDINARIA AMMINISTRAZIONE
Cassazione civile, III Sezione, 13 aprile 2010,
n. 8720 — Xxxxxxx Presidente — Filadoro Relatore
— Scardaccione P.M. (diff.) — Jemolo ed altri (avv. Furitano) - Xx Xxxxx ed altro (avv. Xxxxx).
Potesta` dei genitori — Transazione — Risarcimen- to del danno — Atto di straordinaria amministrazione (C.c. artt. 320, 1965, 2043).
La transazione stipulata dal genitore nell’interesse del figlio minore ed avente ad oggetto il risarcimento del danno da lesioni costituisce atto di straordinaria ammi- nistrazione (1).
Omissis. — I giudici di appello non hanno tenuto con- to della piu` recente giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale: “In tema di amministrazione dei beni dei figli ex art. 320 cod. civ., al di fuori dei casi specificamente individuati ed inquadrati nella categoria degli atti di straor- dinaria amministrazione dal Legislatore, vanno considerati di ordinaria amministrazione gli atti che presentino tutte e tre le seguenti caratteristiche: 1) siano oggettivamente utili alla conservazione del valore e dei caratteri oggettivi essen- ziali del patrimonio in questione; 2) abbiano un valore eco- nomico non particolarmente elevato in senso assoluto e so- prattutto in relazione al valore totale del patrimonio mede- simo; 3) comportino un margine di rischio modesto in rela- zione alle caratteristiche del patrimonio predetto. Vanno in- vece considerati di straordinaria amministrazione gli atti che non presentino tutte e tre queste caratteristiche” (Cass. 15
maggio 2003 n. 7546).
Nello stesso senso: “La transazione avente ad oggetto la controversia relativa al risarcimento del danno, stipulata dal genitore nell’interesse del figlio minore, costituisce atto di straordinaria amministrazione quando abbia ad oggetto un danno che, per la sua natura e la sua entita`, possa incidere profondamente sulla vita presente e futura del minore dan- neggiato. In questo caso e` necessaria, per la validita` della transazione, l’autorizzazione del giudice tutelare ex. art. 320 cod. civ.” (Cass. 22 maggio 1997 n. 4562).
Il principio enunciato dalla Corte palermitana non coin- cide con quello sopra indicato, ora ribadito con la presente pronuncia.
Inoltre, con motivazione del tutto inadeguata, i giudici di appello hanno ritenuto che nel caso di specie il danno per- manente riportato dal minore potesse essere considerato di non rilevante entita`, sulla sola base di una relazione del con- sulente di parte (che aveva valutato l’incidenza dei postumi permanenti di natura invalidante nell’ordine del 4-5%, a fronte del 45-55% gia` accertati dal consulente tecnico di ufficio nel giudizio di primo grado).
I giudici di appello non hanno tenuto conto del notevole divario tra quanto richiesto dall’attore (e riconosciuto con la decisione del giudice di primo grado) e quanto ottenuto in xxx xxxxxxxxxxx xxx xxxxxxxxx xxx xxxxx xxx xxxxxx e del fatto che la nuova valutazione dei postumi permanenti non costi- tuiva altro che una prospettazione di parte.
Nel caso di specie, infatti, il primo giudice aveva liquidato a favore del minore un risarcimento danni per l’importo complessivo di L. 62.392.083, mentre il difensore del padre di J.G. C. aveva accettato, a completa tacitazione di ogni diritto, dal conducente e proprietaria dell’autoveicolo la somma omnicomprensiva di L. 5.000.000 (oltre L. 3.000.000 a titolo di spese legali).
I giudici di appello non hanno tenuto conto del grande divario esistente tra queste due cifre, ai fini della formula- zione del giudizio finale in ordine alla necessita` di una auto- rizzazione del giudice tutelare alla transazione.
La sentenza impugnata, che non ha preso in considerazio- ne la sussistenza degli elementi individuati dalla giurispru- denza di questa Corte, ai fini della qualificazione della tran- sazione come atto di ordinaria o straordinaria amministra- zione, deve essere cassata con rinvio ad altro giudice che precedera` a nuovo esame, tenendo conto del principio di diritto sopra indicato, secondo il quale l’autorizzazione del giudice tutelare e` necessaria ai fini della validita` della tran- sazione, tutte le volte che questa abbia ad oggetto atti rien- tranti nella straordinaria amministrazione. — Omissis.
(1) I criteri di distinzione tra ordinaria e straordinaria amministrazione ex art. 320 c.c.
La vicenda giunta al vaglio della suprema Corte af- fronta la problematica relativa agli indici di distinzione dell’ordinaria e straordinaria amministrazione e, nello specifico, la natura del negozio transattivo.
A seguito di un incidente automobilistico che vedeva vittima un minore lesionato da invalidita` permanenti, il padre dello stesso, nel corso di giudizio che doveva riconoscere e definire il risarcimento del danno dovuto al minore da parte del conducente e della proprietaria dell’autoveicolo, transigeva con questi ultimi senza l’intervento dell’altro coniuge ne´ l’autorizzazione del giudice tutelare. I ricorrenti, eredi del minore, nel frat- tempo deceduto, chiedevano l’annullamento di siffatta transazione.
I criteri distintivi tra amministrazione straordinaria ed amministrazione ordinaria sono da sempre oggetto di ampio dibattito a livello dottrinale e giurispruden- ziale; la distinzione non ha il solo scopo di determinare la necessarieta`, o meno, dell’autorizzazione del giudice tutelare al compimento dell’atto bensı` anche quello, ex art. 320, comma 1, di definire quando i genitori deb- bano esercitare la potesta` congiuntamente e quando possano, invece, operare disgiuntamente.
Tradizionalmente 1 il concetto di amministrazione or- dinaria veniva legato alla funzione dell’atto di conser- vare il patrimonio amministrato. In altre parole: dal- l’analisi delle disposizioni normative si ricavava come tutti gli atti che miravano al mantenimento dell’inte- grita` economica del patrimonio o al miglioramento della sua capacita` produttiva e che venivano posti in
1 Cfr. in dottrina: Xxxxxx, L’amministrazione dei beni eredi- tari, I, Milano, 1968, 143; Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1955, 320; Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, I, Milano, 1957, 247; Ferrara F. sen., Gli atti di amministrazione, estratto dal periodico Il Filangieri, Milano,
1903, 337 e segg.; Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1989, 9a ed., 220 e segg.; in giurisprudenza: Cass. civ., 19 gennaio 1956 n. 139, in Foro italiano Mass., 1956,
26; Cass. 11 gennaio 1957, n. 44, in Mass. Giust. Civ., 1957, 19;
Cass., 9 ottobre 1962, n. 2893, ivi., 1962, 1362.
essere attraverso la semplice utilizzazione di rendite rientrassero nel concetto di ordinaria amministrazione; viceversa, tutti gli atti che determinavano un mutamen- to dell’essenza economica e dell’entita` del patrimonio (come potrebbe accadere in ipotesi di alienazione o di assunzione di obbligazioni che incidono sulla sostanza del patrimonio) rientravano nel concetto di atti di straordinaria amministrazione 2.
Questa tesi ha avuto il pregio di creare la distinzione tra rendita e capitale con riferimento agli atti di ordi- naria e straordinaria amministrazione, cosı` che, anche oggi, gli atti di conservazione del patrimonio e di uti- lizzazione della rendita rientrano nella categoria del- l’ordinaria amministrazione, laddove quelli di utilizza- zione del capitale sono ascritti alla categoria della straordinaria amministrazione.
Successivamente, altri autori 3 hanno sostenuto come non fosse possibile tracciare i criteri distintivi tra ordi- naria e straordinaria amministrazione sulla base del- l’analisi del solo dato normativo perche´ questo, lungi dal dettare indici, presuppone esso stesso la distinzio- ne. Questa parte della dottrina, ritenendo che l’inte- resse da proteggere dovesse essere il mantenimento della potenzialita` economica del patrimonio, ha indi- viduato quale criterio distintivo quello del “rischio”: gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione sono quelli di maggiore importanza economica e, quindi, quelli maggiormente in grado di mettere in pericolo l’integrita` del patrimonio. Da cio` consegue che l’ordi- naria amministrazione e` il complesso delle attivita` di- rette a conservare, migliorare ed aumentare, senza ri- schi, la consistenza del patrimonio 4. Questa ammini- strazione coincide con il concetto del c.d. “buongover- no del patrimonio”, ed il potenziale rischio differisce in base all’entita` del patrimonio amministrato. Tuttavia, sebbene la teoria del rischio superi la distinzione ba- sata sulla rendita e sul capitale — dato che la spendita della rendita di per se stessa atterebbe al godimento e non all’amministrazione — ha il grave difetto di ad- dossare sui terzi l’onere di verificare l’entita` del patri- monio (ed il relativo rischio dell’operazione) cosı` da poter evitare di rimanere esposti al pericolo dell’annul- lamento dell’atto.
Un terzo criterio distintivo, elaborato dalla dottrina 5, si basava sul concetto di “normalita`” nella gestione; il riferimento alla normalita` tuttavia, dimostratosi da su- bito troppo generico per essere d’aiuto nella ricerca della soluzione dei casi concreti, ha subito una messa a punto mediante alcuni accorgimenti. Si e` partiti dal presupposto che l’elemento che caratterizza l’ammini- strazione sia il suo scopo. Una volta determinato que- sto scopo, occorre verificare la pertinenza dell’atto ad esso, e solo a questo punto si puo` operare una valuta- zione di normalita` per determinare l’appartenenza del-
l’atto all’ordinaria od alla straordinaria amministrazio- ne. In base a questa teoria e` possibile distinguere tra tre tipi fondamentali di amministrazione: quella conserva- tiva, dove i beni amministrati sono fini a se stessi; quella produttiva, dove i beni sono strumentali alla produzio- ne di un lucro; ed, infine, quella liquidativa, dove i beni sono destinati ad essere convertiti in denaro 6. Purtut- tavia il criterio della normalita` rimane un indice distin- tivo relativo. Quel che si configura in termini di nor- malita` per un soggetto, puo` non esserlo per un altro, la qual cosa mette in pericolo la certezza giuridica e la necessaria tutela dei soggetti terzi che contraggono con l’amministratore.
E` in questo scenario che si e` affacciata la presente pronuncia della Corte di cassazione.
La suprema Corte ha disposto come in tema di am- ministrazione dei beni dei figli, al di la` dei casi speci- ficamente individuati dall’art. 320 c.c. tra gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, devono es- sere considerati di ordinaria amministrazione gli atti che presentano tutte e tre le presenti caratteristiche: a) devono essere oggettivamente utile alla conservazione del valore e dei caratteri oggettivi essenziali del patri- monio in questione; b) devono aver un valore econo- mico non particolarmente elevato sia in senso assoluto sia in relazione al valore totale del patrimonio stesso; c) devono comportare un margine di rischio modesto in relazione alle caratteristiche del patrimonio. Tutti gli atti che non hanno, congiuntamente, queste caratteri- stiche, devono pertanto considerarsi atti di straordina- ria amministrazione.
Nell’ipotesi di specie, la transazione volta a regolare il risarcimento del danno dovuto a seguito dell’inci- dente automobilistico ed avente ad oggetto un danno, subito dal minore, che per la sua natura ed entita` puo` potenzialmente e concretamente incidere profonda- mente nella vita presente e futura del danneggiato, non rispecchia i tre criteri di cui sopra, rientrando a pieno titolo nella categoria degli atti di straordinaria ammi- nistrazione, e richiedendo dunque l’autorizzazione del giudice tutelare, ex art. 320, comma 3, c.c.
Xxxxx Xxxxxx
CONDOMINIO DI EDIFICI
Cassazione civile, II Sezione, 26 marzo 2010,
n. 7300 — Triola Presidente — Xxxxxx Xxxxxxxx — Scardaccione P.M. (parz. conf.) — Xxxxxxxx ed altro (avv.ti Panfili, Vianello) - Condominio via Milite igno- to, 96, Riva Trigoso.
2 Cfr. in tal senso Albanese, Gli atti di ordinaria e straordi- naria amministrazione (e l’annullabilita` del contratto non auto- rizzato), in Contratto e Impresa, 2008, vol. 2, 1144; Ruscello, Autorizzazione giudiziale e annullamento degli atti compiuti dai genitori, in Vita Notar., I, 2008, 677 e segg.
3 Cfr. tra gli altri D’Orazi, Gli atti di amministrazione e l’ac- quisto nell’interesse dei minori, Napoli, 1942, 30; Mirabelli, I cosiddetti atti di amministrazione, in Scritti giuridici in onore di
X. Xxxxxxxx, III, Bologna, 1953, 351.
4 Cfr. D’Orazi, op. cit., 25 e segg.
5 Cfr. in tal senso Corsi, Il concetto di amministrazione nel diritto privato, Milano, 1974, 70; Ferretti, voce “Amministra- zione ordinaria e straordinaria (Atti di)”, in Encl. Xxxx., II, Roma, 1988, par. 3.2. e segg.
6 Cfr. in tal senso Albanese, op. cit., 1149.
58
Comunione e condominio — Condominio di edifici
Diritto Civile | CONDOMINIO DI EDIFICI
regolamento di condominio avente natura contrattuale, nella
— Tabelle millesimali — Natura negoziale — Esclu- sione (C.c. disp. att. art. 69).
obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unita` immobiliari e il valore proporzionale ad esse attribuito nelle
Comunione e condominio — Condominio degli
tabelle.
o marzo 2000,
edifici — Tabella millesimale — Revisione — Errore oggettivo (C.c. artt. 1123, 1428; Disp. att. c.c. artt. 68, 69).
La natura contrattuale delle tabelle millesimali non puo` essere desunta dalla sola circostanza che esse siano state predisposte dall’originario proprietario con accetta- zione dei successivi acquirenti o mediante accordo una- nime di tutti i partecipanti al condominio, ove non risulti espressamente l’intenzione di derogare alla ripartizione delle spese prevista dalla legge (1).
In tema di condominio di edifici l’errore che giustifica la revisione delle tabelle millesimali consiste nella obiet- tiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unita` immobiliari e il valore proporzionale ad esse attribuito, salvo che tale diversita` sia il frutto della volonta` nego- ziale dei condomini di addivenire, ex art. 1123 c.c., ad una diversa convenzione sulla ripartizione delle spese comuni (2).
Omissis. — 3. Con il terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 69 disp. att. cod. civ., dell’art.
1123 cod. civ., delle norme e dei principi in materia di au- tonomia negoziale — artt. 1321 ss. cod. civ.—e di vizi del consenso — artt. 1427 ss. cod. civ. — dell’art. 2697 cod. civ., nonche´ omessa o insufficiente motivazione su un punto de- cisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360, nn.3e 5, cod. proc. civ.) si sostiene che ai fini della revisione e modifica- zione delle tabelle millesimali prevista dall’art. 69 disp. att. cod. civ., non e` irrilevante l’accertamento circa la natura negoziale o meno delle predette tabelle, poiche´, in caso di tabella cosiddetta contrattuale, come nella specie, l’errore non rileva nella sua oggettivita`, ma solo in quanto abbia determinato un vizio del consenso. La Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che il Condominio potesse fondare la richiesta di revisione delle tabelle millesimali la- mentando la sussistenza di un errore di fatto.
3.1. La censura e` priva di fondamento.
Chiamate a comporre il contrasto di giurisprudenza insor- to circa l’ambito di applicazione dell’art. 69, primo comma, numero 1), disp. att. cod. civ., le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza 9 luglio 1997, n. 6222, hanno affer- mato il principio di diritto secondo cui l’errore il quale giu- stifica la revisione delle tabelle millesimali non coincide con l’errore vizio del consenso, disciplinato dall’art. 1428 e se- guenti cod. civ., ma consiste nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unita` immobiliari e il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle, senza che in proposito rilevi il carattere negoziale della formazione delle stesse. Pertanto, la possibilita` di impugnare le tabelle mille- simali sotto il profilo dell’errore, chiedendone la revisione in corrispondenza degli effettivi valori delle singole unita` im- mobiliari, sussiste anche qualora esse siano state predisposte dal venditore-costruttore ed accettate dagli acquirenti delle singole porzioni di piano in sede di stipula dei contratti di compravendita, cui siano allegate.
A tale conclusione le Sezioni unite sono giunte rilevando che l’art. 69 disp. att. cod. civ. considera l’errore nella deter- minazione dei valori proporzionali dei vari piani o porzioni di piano non gia` come causa di annullamento, bensı` come causa di revisione delle tabelle.
Dopo il citato arresto delle Sezioni unite, all’interno della II Sezione si sono riproposti orientamenti non convergenti. In conformita` all’indirizzo delle Sezioni Unite si sono espresse le sentenze 27 marzo 2001, n. 4421, e 28 marzo 2001, n. 4528, ribadendo che l’errore va identificato, anche la` dove ci si trovi di fronte a tabelle millesimali allegate ad un
Secondo un altro indirizzo (sentenza 1
n. 2253; sentenza 12 giugno 2001, n. 7908), invece, in caso di tabella cosiddetta contrattuale, l’errore non rileva nella sua oggettivita`, ma solo in quanto abbia determinato un vizio del consenso: in tal caso, pertanto, non e` esperibile l’azione pre- vista dall’art. 69 disp. att. cod. civ., ma solo l’ordinaria azione di annullamento del contratto, previa allegazione di un vizio della volonta`. Questo orientamento si fonda sul rilievo che i criteri legali sanciti dall’art. 68 disp. att. cod. civ. per la de- terminazione della caratura millesimale dell’edificio condo- miniale sono sicuramente derogabili dalla volonta` di (ovvia- mente) tutti i condomini, perche´ attengono a diritti dei quali essi possono liberamente disporre; e se i condomini, nel- l’esercizio della loro autonomia privata, stipulano una tabella millesimale diversa da quella che conseguirebbe all’applica- zione degli anzidetti criteri legali, deve ritenersi che tale di- versita` essi abbiano voluto, diversita` che non costituisce er- rore emendabile ai sensi dell’art. 69 disp. att. cod. civ.
Ad avviso del Collegio, la soluzione va individuata secon-
do una linea intermedia tra i due indirizzi che si confrontano, tenendo conto della concreta volonta` manifestata dalle parti in sede di adozione del regolamento che contiene, in allega- to, le tabelle millesimali.
Qualora i condomini, nell’esercizio della loro autonomia, abbiano in modo espresso dichiarato di accettare che le loro quote nel condominio vengano determinate in modo diffor- me da quanto previsto nell’art. 1118 cod. civ. e nell’art. 68 disp. att. cod. civ., dando vita alla “diversa convenzione” di cui all’art. 1123, primo comma, cod. civ., ultima parte, in questo caso la dichiarazione di accettazione ha un indubbio valore negoziale e, risolvendosi in un impegno irrevocabile di determinare le quote in un certo modo, impedisce di ottenerne la revisione ai sensi dell’art. 69 disp. att. cod. civ. attribuendo rilievo esclusivamente alla obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unita` immobiliari dell’edi- ficio ed il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabel- le. Opinare diversamente significherebbe condizionare la permanenza degli obblighi contrattualmente assunti al mero arbitrio di ciascuno di essi, ed in tal modo non riconoscere valore alla loro autonomia negoziale, pur essendo coinvolti soltanto diritti disponibili; e cio` in contrasto con quanto sancito dal citato art. 1123, primo comma, cod. civ., che consente espressamente deroghe convenzionali ai criteri le- gali di ripartizione delle spese condominiali.
Questa ipotesi, peraltro, non corrisponde all’id quod ple-
rumque accidit, xxxxxx´, anche quando la tabella millesimale e` approvata in forma contrattuale (in quanto predisposta dall’unico originario proprietario ed accettata dagli iniziali acquirenti delle singole unita` immobiliari ovvero abbia for- mato oggetto di accordo da parte di tutti i partecipanti al condominio), con essa i condomini, almeno di regola, non intendono in alcun modo modificare la portata dei loro ri- spettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del con- dominio, ma mirano, piu` semplicemente, a determinare quantitativamente tale portata. Il fine che di solito anima i condomini e` quello di prendere atto della traduzione in fra- zioni millesimali di un rapporto di valori preesistente e di pervenire, cosı`, ad una approvazione delle operazioni di cal- colo in detta tabella documentate; di talche´ la tabella stessa non si pone come fonte diretta dell’obbligo contributivo del condomino, che e` nella legge prevista, ma solo come para- metro di quantificazione dell’obbligo, determinato in base ad una valutazione tecnica.
In tal caso, poiche´, nonostante la forma adottata (conse-
guente alla predisposizione della tabella dall’unico origina- rio proprietario ed alla accettazione dagli iniziali acquirenti delle singole unita` immobiliari ovvero al raggiungimento di un accordo unanime da parte di tutti i partecipanti al con- dominio), la semplice dichiarazione di approvazione non ha natura negoziale, l’errore che, ai sensi dell’art. 69 cod. civ.
disp. att., giustifica la revisione delle tabelle millesimali non coincide con l’errore vizio del consenso, disciplinato dall’art. 1428 e ss. cod. civ., ma consiste nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unita` immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle.
A tale principio si e` attenuta la Corte territoriale: la quale
— non risultando che con le tabelle millesimali, quantunque allegate ad un regolamento di origine contrattuale, si sia inteso espressamente derogare al regime legale di ripartizio- ne delle spese, approvandosi la “diversa convenzione” di cui all’art. 1123, primo comma, cod. civ. — ha correttamente dato corso alla revisione, dando rilievo, appunto, alla mera, obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unita` immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito nel- le tabelle.
4. Con il quarto motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 69 disp. att. cod. civ., degli artt. 1123 cod. civ. e 68 disp. att. cod. civ. e dei principi vigenti in materia di ripar- tizione tra i condomini delle spese comuni e compilazione delle tabelle millesimali; omessa, insufficiente o contraddit- toria motivazione su un punto decisivo della controversia; ai sensi dell’art. 360, nn.3e 5, cod. proc. civ.) si deduce che la revisione, al piu` , avrebbe dovuto essere subordinata al rilievo di una obiettiva divergenza tra il valore effettivo ed il valore proporzionale attribuito a ciascuna unita` immobiliare. Ad avviso dei ricorrenti, il valore effettivo e quello proporzio- nale di un appartamento condominiale non possono essere espressi in ragione della sola superficie piana. In forza della sentenza impugnata, invece, l’appartamento int. 17, cui il costruttore aveva attribuito i xxxxxxxxx in considerazione del fatto che trattasi di mansarda o di sottotetto, si e` trovato attribuiti millesimi corrispondenti alla sola sua superficie piana (in misura doppia rispetto a quelli assegnati dal co- struttore), senza alcuna considerazione per l’ampia metratu- ra non effettivamente godibile a causa delle basse quote ri- levabili in numerosi punti dell’appartamento.
4.1. La censura e` fondata.
La Corte d’appello ha dato rilievo, ai fini del riconosci- mento della sussistenza dell’errore di cui al citato art. 69 disp. att. cod. civ., alla maggiore ampiezza della superficie piana dell’appartamento di proprieta` del Xxxxxxxx e della Mordocco rispetto a quella indicata nelle tabelle.
Ora, nel condominio degli edifici, in tema di revisione per errore delle tabelle millesimali, ai sensi dell’art. 69 disp. att. cod. civ., al fine di accertare se, nella valutazione dei piani o delle porzioni di piano, si sia attribuito ad essi un valore diverso da quello effettivo, ben puo` il giudice limitarsi a considerare l’estensione della superficie piana, ma a condi- zione che tutti i piani o le porzioni di piano siano della stessa altezza; ove, invece, si tratti, come nella specie, di piani di diversa altezza, egli non puo` fare a meno, al detto fine, di valutare anche la cubatura reale.
Da tale principio di diritto la Corte territoriale si e` disco- stata.
Essa ha finito con il rilevare la sussistenza dell’errore di cui al citato art. 69, ma omettendo di valutare che l’immobile di proprieta` dei ricorrenti e` un sottotetto e che, proprio in ragione della ridotta altezza del medesimo, non tutti i metri quadrati di superficie piana corrispondono ad una superficie effettivamente godibile. — Omissis.
(1-2) La Corte di cassazione, in funzione nomo- filattica, e` ancora una volta intervenuta in materia
di condominio degli edifici e, in specie, di tabelle mil- lesimali, come noto allegate al regolamento condomi- niale al fine di agevolare la ripartizione delle spese ine- renti a beni comuni e il computo dei quorum costitutivi e deliberativi in sede assembleare 1.
Per una compiuta analisi della pronuncia pare rile- vante tenere conto altresı` della successiva sentenza a Sezioni unite 9 agosto 2010, n. 184772, della quale la sentenza in commento rappresenta l’antecedente logi- co, oltre che cronologico. La presente pronuncia si occupa infatti di chiarire quali siano i presupposti per una revisione delle tabelle millesimali ex art. 69 disp att. c.c., in specie con riguardo alla natura dell’errore rilevante ai sensi del n. 1 del citato articolo, affidando alle Sezioni unite l’altrettanto dibattuta questione in merito alle maggioranze necessarie alla concreta attua- zione di tale modifica.
A cio` si aggiunga che proprio la lettura combinata delle sentenze menzionate consente di fare chiarezza sulla dibattuta tematica della natura giuridica delle ta- belle millesimali, la quale, costituendo senz’altro il pre- supposto per la soluzione di entrambi i quesiti, ha dato vita, tanto in tema di presupposti per la revisione delle tabelle quanto in tema di maggioranze per la loro mo- dificazione, ad indirizzi contrapposti.
L’orientamento tradizionale 3, infatti, attribuiva alle tabelle millesimali natura negoziale, qualificandole in specie come negozio di accertamento e facendone per- tanto derivare da un lato la qualificazione dell’errore di cui all’art. 69 disp. att. c.c. in termini di vizio del con- senso ex art. 1428 c.c.; dall’altro la necessita` di una approvazione all’unanimita` per la loro effettiva modi- fica (o approvazione) 4.
Con esclusivo riguardo alla tematica dell’errore, pe- raltro, si registro` alla fine degli anni Novanta un revi- rement nella giurisprudenza della Corte di cassazione
1 La bibliografia sul tema delle tabelle millesimali e` spesso orientata ad un taglio tecnico-operativo volto ad agevolare con- cretamente la redazione delle tabelle; per gli aspetti piu` stretta- mente giuridici v. De Gioia, Condominio, diritti, obblighi, ge- stione, tutela processuale e mediazione, Milano, 2010, 345 e segg.; Tramontano, Le controversie condominiali, Piacenza, 2010, 102 e segg.; Xxxxxxx, Trattato di diritto civile, Padova, 2009, I, 520 e segg.; Xxxxxxxxx, Manuale del condominio, Mi- lano, 2009, 157 e segg.; De Renzis-Xxxxxxx-Xxxxxxxxx-Redi- vo, Trattato del condominio, Padova 2008, 909 e segg.; Celeste- Scalciarini, Il regolamento di condominio e le tabelle millesi- mali, Milano, 2006, 439 e segg.; Misto`, Le parti comuni, l’uti- lizzo, le tabelle millesimali, Torino, 2005, I, 275 e segg.; Mo- rettini, Le tabelle millesimali, in Il diritto privato nella giuri- sprudenza a cura di Cendon, I, Il condominio, Torino, 2004, 290 e segg.
2 Reperibili in Immobili e proprieta`, 2010, 592, con osserva-
zioni di Monegate e Xxxxxxxxx.
3 Tale indirizzo, con specifico riguardo alla natura dell’er-
rore rilevante per la modifica delle tabelle, e` stato per la prima volta sancito da Cass., 8 luglio 1964, n. 1801, in Giust. Civ., 1964, 2234, con nota di Xxxxx, Errore di calcolo ed errore essen- ziale per la revisione della tabella millesimale; in Foro It., 1965, 687, annotata da Xxxxxxx e in Giur. It., 1968, 387, con nota di Xxxxxxx, Sulla revisione per errore delle tabelle millesimali. Conformi a tale orientamento v. peraltro Cass., 11 gennaio 1982, n. 116, in Mass., 1982; Id., 17 ottobre 1980, n. 5593, in Giust. Civ., 1981, 40 con nota di Xxxxxx, In tema di modifica delle tabelle millesimali nei condomini degli edifici; Trib. To- rino, 20 maggio 1989, in Rep. Giur. It., 1990, voce “Comunione e condominio”, n. 185 e, per la motivazione, in Vita Notar., 1989, 161.
4 Cass., 14 dicembre 1999, n. 14037, in Arch. loc., 2000, 597, con nota di De Tilla; Id., 10 febbraio 1994, n. 1367, in Riv. Giur. Edilizia, 1994, 963, con nota di De Tilla; Id., 11 settem- bre 1989, n. 3920, in Mass. Giur. It., 1989, 521; Id., 19 ottobre
1988, n. 5686, in Arch. loc., 1989, 40 e in Riv. Giur. Edilizia,
1989, 53.
la quale, senza pronunciarsi sulla preliminare questio- ne della natura delle tabelle millesimali, ritenne che l’errore rilevante fosse sempre da identificare nella og- gettiva divergenza tra il valore attribuito nella tabella alle unita` immobiliari e il valore effettivo delle stesse 5. Piu` specificatamente il suddetto indirizzo giurispru- denziale, nell’intento di qualificare l’errore di cui al- l’art. 69 disp. att. c.c. solo in rapporto alla sanzione collegata dalla norma medesima al suo verificarsi, xxx- xxxxxx` come, se si fosse trattato di vizio del consenso, l’errore avrebbe portato all’annullamento delle tabelle millesimali viziate e non gia` alla loro mera revisione,
come prevista all’art. 69 disp. att. c.c.
Nonostante l’adesione a questo orientamento anche da parte delle Sezioni unite di Cassazione con sentenza 9 luglio 1997, n. 62226, esso rimase tuttavia circoscritto giacche´ a breve si sviluppo` all’interno della II Sezione della suprema Corte un nuovo e successivo orienta- mento il quale ritenne nuovamente necessario, in aper- to contrasto con le Sezioni unite, valorizzare la natura delle tabelle. Cio` in ossequio alla previsione di cui al- l’art. 1123 c.c. la quale, dopo aver disposto la riparti- zione delle spese comuni tra i condomini in misura proporzionale al valore della proprieta` di ciascuno, consente agli stessi di disporre convenzionalmente in modo diverso 7.
Secondo tale nuovo orientamento, pertanto, quando la tabella millesimale presenti effettivamente natura negoziale ex art. 1123 c.c., l’azione prevista dall’art. 69 disp. att. c.c. non sarebbe esperibile e sarebbe pertanto necessario ricorrere alla ordinaria azione di annulla- mento del contratto, previa allegazione di un vizio del- la volonta`.
Sul contrasto ora delineato e` intervenuta la suprema Corte, dando anzitutto atto della centralita` della que- stione attinente alla natura delle tabelle millesimali af- fermando che, in presenza di una diversa ripartizione delle spese comuni effettivamente voluta dai condomi- ni, ammetterne la revisione sulla base della sola con- statazione della divergenza tra valore effettivo degli immobili e valore indicato nelle tabelle di gestione si- gnificherebbe «condizionare la permanenza degli ob- blighi contrattuali assunti al mero arbitrio di ciascuno» dei condomini.
La sentenza, tuttavia, si segnala per una ulteriore importante considerazione.
La suprema Corte infatti ha avuto cura di specifi- care che la natura contrattuale delle tabelle, con cio` che ne consegue in termini di rilevanza dell’errore, non puo` essere automaticamente desunta dalla circo- stanza che esse siano state predisposte dall’originario proprietario con accettazione dei successivi acquirenti o mediante accordo unanime di tutti i partecipanti al condominio poiche´ spesso, anche con le suddette mo-
dalita`, la funzione delle tabelle puo` continuare ad es- sere la semplice ricognizione di un rapporto di valori preesistente.
Proprio quest’ultima considerazione, peraltro, trova conferma nella citata sentenza delle Sezioni unite di Cassazione. Essa infatti, partendo dall’assunto per cui le tabelle millesimali non accertano ne´ dispongono alcunche´ atteso che gli obblighi di contribuzione deri- vano dalla legge e non da quanto in esse stabilito, specifica che esse non perdono tale connotazione me- ramente ricognitiva neppure qualora vengano allegate ad un regolamento avente natura contrattuale. Pur all’interno di uno stesso regolamento condominiale, infatti, possono convivere disposizioni strettamente regolamentari e disposizioni contrattuali pertanto, salvo che risulti espressamente l’intenzione dei con- domini di derogare al regime legale di ripartizione delle spese comuni in proporzione al valore della pro- prieta` di ciascuno, le tabelle manterranno la sola fun- zione di rendere intelligibile tale rapporto di propor- zionalita`.
In virtu` di tale qualificazione esse potranno essere approvate e modificate con maggioranza assembleare richiesta per l’approvazione del regolamento condo- miniale e l’errore, posto dall’art. 69 disp. att. c.c. a fondamento della loro eventuale revisione, xxxx` rin- tracciabile nella oggettiva divergenza tra il valore attri- buito nella tabella alle unita` immobiliari e il valore effettivo delle stesse.
MULTIPROPRIETAv IMMOBILIARE
Cassazione civile, II Sezione, 16 marzo 2010,
n. 6352 — Triola Presidente — Xxxxxxxxx Relatore
— Russo P.M. (diff.) — L.R. (avv. Canestrelli) - Fine- miro Banca s.p.a. (avv. Xxxxxxxx) ed altro.
Obbligazioni e contratti — Oggetto del contratto
— Determinabilita` — Multiproprieta` immobiliare — Natura — Contratto preliminare di quota di multipro- prieta` — Contenuto — Individuazione della quota o determinabilita` della stessa — Necessita` — Fonda- mento — Criteri (C.c. artt. 832, 1346, 1350, 1351,
1418).
Il contratto preliminare avente ad oggetto una quota di multiproprieta` di un immobile deve contenere anche l’indicazione della stessa nella sua effettiva misura o i criteri per la sua determinazione millesimale, in forza del principio per cui il preliminare deve contenere tutti gli elementi essenziali del futuro contratto definiti- vo. In mancanza di tale indicazione o dei criteri per
5 Cass., 27 marzo 2001, n. 4421, in Arch. loc., 2001, 671; Id.,
28 marzo 2001, n. 4528, ibid., 468; Id., 17 marzo 1994, n. 2546,
in Riv. Giur. Edilizia, 1994, 958; in Giust. Civ., 1994, 1481; in
Arch. loc., 1994, 537; Id., 10 febbraio 1994, n. 1367, in Rep. Giur. It., 1994, voce “Comunione e condominio”, n. 205 e in Riv. Giur. Edilizia, 1994, 963, con nota di De Tilla, Sulla revisione delle tabelle millesimali per errori di fatto; Id., 21 maggio 1991,
n. 5722, in Rass. equo canone, 1991, 367, con nota di De Tilla,
Sulla revisione delle tabelle millesimali; Id., 21 luglio 1988,
n. 4734, in Arch. loc., 1988, 693. Trib. Padova, 27 settembre
2003, in Massimario della giurisprudenza civile patavina, 2006; Id. Piacenza, 9 giugno 1998, in Arch. loc., 1998, 882; Id. Xxx-
xxxxx, 0 giugno 1998, ibid., 882; App. Milano, 9 settembre 1988,
ivi, 1989, 91; Trib. Milano, 29 maggio 1989, ibid., 715.
6 Reperibile in Giur. It., 1998, 904 con nota di Xxxxxx e in
Arch. loc., 1997, 600.
7 Cass., 12 giugno 2001, n. 7908, in Arch. loc., 2001, 712; Id.,
1o marzo 2000, n. 2253, ivi, 2000, 320; Trib. Verona, 31 ottobre
2002, ivi, 2003, 213.
determinarla il preliminare e` nullo ai sensi dell’art. 1346 c.c. per indeterminatezza o indeterminabilita` del- l’oggetto (1).
Omissis. — Con il primo motivo il ricorrente, denun- ciando violazione e falsa applicazione degli artt. 1346
e 1418 nonche´ vizio di motivazione, censura la sentenza im- pugnata per aver confermato il rigetto della domanda intro- dotta dall’esponente di accertamento della nullita` della pro- posta di contratto preliminare per indeterminatezza ed in- determinabilita` dell’oggetto.
Il L. rileva sotto un primo profilo che la Corte territoriale si e` limitata ad analizzare in maniera approssimativa l’aspetto meramente sostanziale del diritto di multiproprieta` ed ha tralasciato di approfondire la natura giuridica dello stesso e, conseguentemente, di indicare gli elementi necessari all’in- dividuazione dell’oggetto del contratto impugnato; al riguar- do, accedendo all’orientamento maggioritario che configura la multiproprieta` come una figura atipica di comunione, (. )
l’oggetto del contratto di vendita di un immobile in multi- proprieta` non potra` che essere la quota ideale medesima; orbene nella fattispecie il giudice di appello ha errato nel valutare quale fosse effettivamente l’oggetto del contratto “de quo”.
Il ricorrente sostiene al riguardo che, contrariamente al- l’assunto della sentenza impugnata, la proposta di contratto per cui e` causa non aveva ad oggetto l’intera unita` abitativa ivi indicata — ovvero l’appartamento n. (omissis) per la set- timana n. 13 presso il (omissis) — bensı` una semplice quota dell’unita` medesima, come emergeva del resto anche da di- versi elementi di carattere testuale; senonche´ tale proposta di contratto prescindeva da una precisa indicazione di detta quota e dall’individuazione di criteri che ne consentissero comunque la determinazione, considerato che in essa non era stato definito il numero effettivo di millesimi che ne costituivano l’oggetto, ne´ era stato determinato il criterio per una futura quantificazione della distribuzione dei millesimi tra i diversi compartecipi, rendendo di fatto impossibile la quantificazione della quota oggetto del contratto medesimo, con la conseguente mancanza di determinazione delle spese condominiali, di quelle relative alla comunione dell’appar- tamento, della misura della proprieta` in caso di perimento dell’edificio, e cosı` via.
Il L. quindi conclude che, attesa l’assoluta impossibilita` di definire quantitativamente l’oggetto del contratto de quo, quest’ultimo era nullo ai sensi degli artt.1346 e 1418.
La censura e` fondata.
La sentenza impugnata, premesso che il contenuto del diritto di comproprieta` si sostanzia nell’attribuzione ogni anno in favore del multiproprietario del godimento pieno ed esclusivo di un immobile per un lasso di tempo della durata minima di sette giorni, ha rilevato che nella fattispecie il L. aveva avuto la possibilita` di conoscere il periodo di godi- mento ed il numero dell’unita` immobiliare a lui riservata con allegata planimetria del complesso immobiliare, cosicche´ la domanda di declaratoria del contratto preliminare per cui e` causa per asserita indeterminatezza dell’oggetto era destitui- ta di fondamento.
Tale convincimento non puo` essere condiviso. — Omissis. Il fenomeno (della multiproprieta`) e` stato comunemente ricostruito in dottrina in termini di trasferimento, da parte del soggetto proprietario di un determinato complesso im- mobiliare, di una quota di comproprieta` di una stessa unita` immobiliare compresa in tale complesso ad ogni singolo ac- quirente con il vincolo perpetuo di uso turnario tra i vari acquirenti in periodi predeterminati e ciclici con vincolo di immodificabilita` della destinazione e di indivisibilita` della
cosa.
E` stato poi evidenziato, alla luce dei diversi schemi nego-
ziali attraverso cui la multiproprieta` viene disciplinata nella prassi, un riferimento costante alla comunione e, limitata- mente alle parti ed ai servizi in comune a tutti i multipro- prietari, al condominio.
Non appaiono invece appaganti (omissis) l’orientamento che riconduce il fenomeno in esame ad un atto di autonomia privata diretto a costituire un nuovo diritto reale in quanto in evidente contrasto con il principio vigente nel nostro ordi- namento giuridico del “numerus clausus” dei diritti reali; neppure la configurazione della multiproprieta` come una forma di proprieta` temporanea, posto che, pur a prescindere dall’ammissibilita` di tale istituto nel nostro ordinamento do- ve il diritto di proprieta` e` disciplinato come perpetuo, il carattere turnario del godimento non da` luogo ad una pro- prieta` limitata nel tempo ma semmai ciclica.
Orbene sulla base di queste premesse sistematiche che inducono ad attribuire decisivo rilievo alla individuazione della quota come concreta ed effettiva entita` della parteci- pazione di ciascun comproprietario al godimento dell’allog- gio oggetto di comproprieta`, si osserva che il giudice di ap- pello, limitandosi in proposito a fare riferimento alla previ- sione nel contratto preliminare per cui e` causa ad un preciso periodo di godimento dell’unita` immobiliare riservata al L., non ha considerato che la misura della partecipazione di quest’ultimo alla suddetta multiproprieta` poteva essere espressa soltanto dalla individuazione della quota di sua per- tinenza, come e` confermato del resto dal fatto che nella proposta contrattuale il cui contenuto e` stato trascritto nel ricorso era stato indicato come suo oggetto la “quota di partecipazione indivisa”, “la proprieta` della quota millesi- male” e “la proprieta` della quota di partecipazione” senza peraltro che risultassero indicati i criteri per la determina- zione della quota stessa; tali criteri poi non possono certo essere espressi soltanto nel contratto definitivo, posto che, dovendo il contratto preliminare contenere tutti gli elementi essenziali del futuro contratto definitivo, e` evidente che tra di essi deve essere compresa la quota nella sua effettiva misura, o comunque debbono essere contemplati i criteri per la sua concreta determinazione millesimale, atteso che il godimen- to turnario dello stesso alloggio da parte dei vari compro- prietari in diversi periodi dell’anno incide sulla entita` delle rispettive quote di pertinenza (non avendo la stessa inciden- za sul piano del godimento di un bene sito ad esempio in una localita` marina averne la sua disponibilita` in una settimana compresa nei mesi di luglio od agosto o piuttosto in altri periodi dell’anno) con i suoi inevitabili riflessi in particolare sul relativo prezzo di vendita e sulla entita` della partecipa- zione alle spese comuni; di qui pertanto la conseguenza che la quantificazione della misura della suddetta quota o co- munque la previsione negoziale dei criteri in base ai quali determinarla incidono sulla determinatezza o meno dell’og- getto del contratto stesso.
In definitiva per le considerazioni esposte si impone un nuovo esame di tale decisivo aspetto della controversia in sede di rinvio. — Omissis.
(1) L’oggetto della multiproprieta` e la disci- plina del contratto
Il legislatore, nella sua pur ermetica descrizione del fenomeno della multiproprieta`, ha offerto, forse invo- lontariamente, oggi, un elemento di forte innovazione nel dibattito relativo alla sua controversa natura. Gli interventi di cui ai D.Lgs n. 427/1998 e n. 206/2005 valgono, in effetti, a porre ex novo i termini della que- stione finora naufragata fra le ansie definitorie e i dubbi circa l’ammissibilita` di un diritto reale atipico. La difficolta` ad inquadrare il fenomeno in uno degli schemi previsti dal codice in tema di diritti reali para- lizzava l’interprete davanti ad un bivio inevitabile: te- nere fede al contratto ed attribuire, dunque, alla mul- tiproprieta` la natura di un diritto reale atipico, spo- stando cosı` l’attenzione, al piu` , sul giudizio di ammissibilita`, alla luce del principio di tipicita`, op- pure forzare la lettera dell’accordo, riconoscendo al
fenomeno in questione la natura di comunione, a ben vedere comunque atipica 1.
La trasfusione all’interno del codice del consumo (D.Lgs. n. 206/2005), e la portata stessa degli enunciati normativi sembrano porre oggi nel nulla tanto la que- stione relativa alla natura personale o reale del diritto, quanto quella, in quest’ultima ipotesi, della sua atipi- cita`. Il codice del consumo pare infatti riferirsi, pur nella sua laconica definizione del contratto di multi- proprieta`, di cui all’art. 69, all’accordo col quale si trasferisce o si costituisce (anche) un “diritto reale” su un immobile per un certo periodo dell’anno. Con cio` fugando ogni dubbio circa la possibilita` di attribuire al diritto carattere di realita`, ma soprattutto eliminando i residui sospetti connessi alla sua presunta atipicita`, evi- dentemente esclusa dal rinvio operato dall’art. 69 agli schemi tipici previsti dal codice civile come e` dato desumere dalla genericita` dell’espressione “diritto rea- le”. Oggi piu` di ieri, allora, l’interprete si vede costretto a ricercare nel codice civile il modello cui piu` oppor- tunamente possa ricondursi la multiproprieta`.
L’opzione interpretativa, diffusa maggiormente in dottrina, ma talvolta obliterata dalla giurisprudenza di merito, e a cui ha deciso di aderire la suprema Corte di cassazione, e` quella secondo la quale la multiproprieta` rappresenterebbe una forma di comunione, seppur sui generis. La Corte, aderendo, invero, senza specifico ap- profondimento a tale impostazione interpretativa, ha perso cosı` un’occasione unica per chiarire la natura della multiproprieta`, almeno giustificando compiuta- mente il richiamo alla teoria della comunione peraltro niente affatto pacifica nella diffusa prospettiva della proprieta` spazio-temporale, come si avra` modo di ac- cennare in prosieguo.
Pur liquidando in tutta fretta una tale questione, il ragionamento del Collegio sembrerebbe ineccepibile, verificata la perfetta congruita` delle conclusioni alle premesse del ragionamento.
Presupponendo che la multiproprieta` sia una forma di comunione, la Corte afferma, infatti, che l’oggetto del relativo contratto non possa che essere la quota. Il giudizio di determinatezza o determinabilita` dell’og- getto ex art. 1346 c.c., allora, ricadra` necessariamente su di essa.
Se e` vero che in comunione, in mancanza di una diversa indicazione delle parti, le quote si presumono uguali, tale presunzione e` iuris tantum ed e` superabile ove, applicando i criteri ermeneutici del contratto ex art. 1362 c.c., emerga una loro diversa volonta`. E, nel caso di specie, le espressioni utilizzate in contratto la- sciano presumere che le parti intendessero attribuire valori diversi alle singole quote di multiproprieta`.
Il diritto del multiproprietario, caratterizzato dall’av- vicendamento nel godimento dell’immobile, non puo`
che risultare diversamente apprezzato in ragione del periodo stagionale lungo il quale cade il relativo turno. Dunque, e` realmente necessaria una verifica circa la determinatezza o almeno determinabilita` di esso ex art. 1346 c.c.
Tale verifica non puo` dirsi correttamente eseguita quando, mancando ogni tipo di riferimento alla quota o almeno ad un criterio di determinazione della stessa, il giudice si limiti ad accertare che sia stata specifica- mente indicata l’unita` immobiliare e la settimana di godimento su di essa.
Nella comunione, infatti, la quota e` essa stessa con- tenuto del diritto in quanto misura della singola par- tecipazione e parametro di alcune delle facolta` del pro- prietario 2. Per individuare il diritto, non si puo` cosı` prescindere da essa.
Ne consegue che, ove a seguito di un’indagine cor- rettamente impostata, alla luce del principio enunciato dalla Corte, il giudice del rinvio dovesse addivenire alle medesime conclusioni dei precedenti giudici di merito, il preliminare sarebbe da considerarsi nullo per inde- terminatezza e indeterminabilita` dell’oggetto, mancan- do ogni riferimento alla quota, tenuto conto che il pre- liminare deve contenere tutti gli elementi essenziali del futuro contratto definitivo.
Quanto a quest’ultimo aspetto va, infatti, chiarito che al preliminare si applicano tutte le regole dettate in materia di contratto in generale e dunque anche quelle sugli elementi essenziali dello stesso.
Tuttavia la controversa natura del preliminare e del suo rapporto con il contratto definitivo incidono pro- fondamente sulla definizione esatta dei contorni di tali requisiti del negozio e per questa via sul sindacato di validita` dello stesso.
Se si ritiene che oggetto del preliminare sia la presta- zione del consenso definitivo, che si va quasi a confon- dere con un generico obbligo di contrattare, difficil- mente potra` emergere un difetto in punto di determi- natezza o determinabilita` dello stesso, rivelandosi suf- ficiente l’indicazione del mero impegno a raggiungere un futuro accordo.
Di contro, attribuendo al preliminare la natura di un contratto di per se´ gia` completo e percio` eseguibile at- traverso la sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. (nel- l’eventualita` diunrifiutoaprestareilconsensodefinitivo dapartediunodeicontraenti),nonpotra` checoncludersi nel senso che il contenuto del definitivo deve gia` essere definitonelregolamentopreliminare, cosicche´ irequisiti del primo sono perfettamente omogenei a quelli del se- condo e cosı` il sindacato del giudice in punto di validita` dell’atto. Il preliminare ad oggetto indeterminabile si presenta, di conseguenza, nullo, a meno di non volerlo ritenere addirittura inesistente, in quanto contratto e ri- levante piuttosto come mera fase delle trattative3.
1 X. Xxxxxx, La multiproprieta` tra logica speculativa e inte- ressi sociali, in FI., 1984, 230. L’A. sottolinea come, al di la` degli espedienti verbali, anche la comunione adattata e la proprieta` frazionata temporalmente appaiono figure reali atipiche.
2 Gambaro, La proprieta`, in Tratt. Dir. Priv. a cura di Xxxxxx e Zatti, Milano, 1990, 260.
3 D’altra parte la funzione del preliminare non e` tanto quella di creare un vincolo generico in attesa di ulteriori verifi- che che possano meglio specificare il contenuto del contratto,
quanto piuttosto quella di definire un regolamento gia` com- pleto, ma non ancora operativo dal punto di vista degli effetti. Puo` essere ad esempio conveniente un vincolo preliminare, per evitare di innescare una complessa procedura di risolu- zione per inadempimento del contratto definitivo semplice- mente rifiutando di addivenire ad esso eccependo l’inadempi- mento ex art. 2932 c.c. Cfr. ad es., Cass., 26 maggio 1967,
n. 1150, in FI., 1967, I, 2101; Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, 2000, 195.
Accedendo alla teoria del preliminare come contrat- to dal quale discende un «diritto potestativo alla pro- duzione, mediante sentenza, degli effetti finali, i quali non possono che essere reali, dovendosi prescindere dalla volonta` dell’altro promittente, che e` in stato di soggezione, e quindi dall’adempimento» la Corte co- struisce la relativa fattispecie come fonte del «titolo per la costituzione di una situazione giuridica, e precisa- mente della situazione giuridica determinabile in forza del contratto definitivo», ribadendo che non risulta dal preliminare alcuna promessa di volere, ma piuttosto la
«volonta` dell’effetto, che non ha bisogno di alcuna ulteriore volizione per il suo costituirsi» 4.
Scardinata, cosı`, la tesi del doppio contratto e ridotto il definitivo a mero atto dovuto di adempimento, la Cassazione ribadisce la necessita` che il preliminare contenga tutti gli elementi del definitivo risultando al- trimenti affetto da nullita`.
Riservando ad un momento successivo della tratta- zione l’indagine relativa alla natura giuridica della mul- tiproprieta`, che pur si presenta sicuramente rilevante ai fini della decisione (potendo, in seguito ad essa, risul- tare diverso l’oggetto del contratto su cui condurre il giudizio di determinabilita`), par d’uopo soffermarsi, intanto, su alcuni aspetti controversi della pronuncia in esame.
Se l’analisi della Corte appare lineare nell’individua- zione dell’oggetto della comunione, e` forse opportuna qualche precisazione circa l’effettiva portata della de- cisione in quanto, seppur di totale accoglimento, pare discostarsi dalla prospettazione effettuata dal ricorren- te fondata sulla «assoluta impossibilita` di definire quantitativamente l’oggetto del contratto de quo», da considerarsi nullo a norma degli artt. 1346 e 1418 c.c. C’e` da osservare come, se la mancata indicazione della quota o di un criterio “esplicito” per la sua de- terminazione comportassero in ogni caso la nullita` del contratto, la Corte si sarebbe limitata a rilevare tale vizio, cassando senza rinvio dal momento che non sa- rebbe risultato necessario alcun ulteriore accertamen- to di fatto. Il rinvio al giudice del merito per un’ulte- riore verifica circa la determinabilita` dell’oggetto, cosı` come individuato dalla Corte nella quota, eviden- temente si spiega, allora, con la possibilita`, considera- ta dalla Cassazione, che il criterio di determinazione sia desumibile aliunde secondo un apprezzamento che
pero` soltanto il giudice del merito puo` operare.
Pare dunque opportuno chiarire quali possano esse- re i termini di una tale verifica.
Sostenere che la quota risulta diversamente apprez- zabile proprio in ragione del periodo di godimento
dell’immobile, equivale ad ammettere che il periodo di godimento rappresenta il criterio di determinazione della stessa, sicche´ nulla ostacolerebbe una specifica- zione dell’oggetto ex post, considerando che non gia` il valore assoluto della quota, ma quello relativo, e` rile- vante ai fini del riparto degli oneri fra i vari multipro- prietari.
E non pare al riguardo inappropriato il riferimento alla sentenza determinativa del giudice ex art. 2908 c.c. come strumento votato a questo scopo.
A bene vedere, infatti, l’art. 1346 c.c. prescrive la determinabilita` e non necessariamente la determina- tezza dell’oggetto del contratto. Ogni qual volta le parti individuano i criteri di massima per la successiva de- terminazione dell’oggetto, e non risulta che abbiano inteso riservare ad un loro futuro accordo tale opera- zione, opererebbe per via giudiziale l’equita` integrativa di cui all’art. 1374 c.c.
Si ritiene, infatti, in dottrina, che le sentenze deter- minative rappresentino una species del piu` ampio ge- nus di quelle costitutive richiamate dall’art. 2908 c.c. e che un modo di operare di questi provvedimenti sia proprio quello secondo equita`, nei casi in cui la lacuna contrattuale non sia superabile attraverso l’integrazio- ne ex lege o secondo gli usi 5.
La giudiziale determinazione dell’oggetto del con- tratto non puo` essere infatti limitata al solo caso del terzo arbitratore di cui all’art. 1349 c.c. a meno di non svuotare di contenuto precettivo la norma che vuole valido il contratto con oggetto determinabile (art. 1346) e quella che rende operativo questo principio attraverso l’integrazione equitativa (art. 1374) 6.
L’equita`, come fonte di integrazione del contratto lacunoso, in mancanza di disposizione di legge pun- tuale e di usi normativi, si ritiene operare persino nel caso in cui le parti abbiano riservato ad ulteriori trat- tative la definizione di alcuni punti dell’accordo, quan- do emerga, gia` dal contratto stipulato, la volonta` di impegnarsi e di attribuire all’incontro di volonta` il va- lore di un vincolo giuridico 7: «la determinabilita` com- porta che in sede di formazione del consenso le parti abbiano detto quanto basta perche´ in sede di esecu- zione nessuna scelta concernente l’oggetto sia rimessa all’arbitrio di una parte o anche a quello di entrambe che del pari coinciderebbe con un’attuale indetermi- nabilita`»8.
Passando ai parametri cui si deve ispirare concreta- mente il giudizio di equita`, e` da sottolineare come essi non possano che rappresentare la puntualizzazione dei principi espressi dalla Costituzione, fra i quali quello di solidarieta`, di uguaglianza e di legalita`. Onde il giudice
4 Cfr. Xxxxxxx, Il contratto preliminare, in Tratt. Dir. Priv.,a cura di Xxxxxxx, XIII, II, Torino, 2000, 20.
5 Xxxxxxxxx, voce “Obbligo a contrarre”, in Enc. Dir., XXIX, Milano, 1979, 519.
6 Xxxxxxxxx, voce cit. Non osterebbe a tal riguardo il prin- cipio di tipicita` delle sentenze costitutive ex art. 2908 c.c., poi- che´ l’art. 1374 c.c., in tema di integrazione del contratto, rap- presenta a ben vedere, un’ipotesi ricorrente di questo tipo di sentenze. Nei contratti del consumatore, poi, vi e` un interesse precipuo del legislatore al mantenimento del contratto, la cui caducazione potrebbe essere in contrasto con l’interesse del consumatore. In mancanza della relativa domanda, dunque, il
giudice dovrebbe omettere di rilevare la vessatorieta`, ex art. 34, comma 2, c. cons., di quelle clausole oscure relative alla deter- minazione dell’oggetto, la cui nullita` travolgerebbe il contratto, facendo, piuttosto, tutto il possibile per integrarlo in punto di determinazione equitativa.
7 Come detto poc’anzi, comunque, il preliminare non pone alcun problema in termini di riserva in quanto deve contenere tutti gli elementi del definitivo, essendo di per se´ gia` idoneo a produrre gli effetti soltanto temporalmente riconnessi al con- tratto definitivo o, in mancanza, alla sentenza ex art. 2932 c.c.
8 Xxxxxxx, I profili della conclusione del contratto, Milano, 1968, 232.
dovra` ispirarsi a criteri oggettivamente verificabili e non discriminatori 9.
Cosı`, ad esempio, «quando il giudice fissa il “giusto prezzo” secondo equita`, egli fissa il “prezzo di merca- to” giacche´ anche secondo la coscienza sociale, di nor- ma, un prezzo e` equo quando un certo bene e` abitual- mente scambiato a quel valore o comunque ad un va- lore che si formi secondo le regole della domanda e dell’offerta potendo il prezzo di mercato anche risul- tare iniquo moralmente» 10.
Il giudice, per affermare la possibilita` del proprio intervento «puo` riportarsi ai criteri desumibili dalla pratica delle cose o dalla natura del contratto o da contratti in qualche modo collegati con quello di cui si tratta» 11.
Orbene e` evidente che, quand’anche tutte le quote di multiproprieta` non fossero collocate sul mercato, sa- rebbe da ritenere comunque possibile calcolare il va- lore relativo di ciascuna di esse, proprio in virtu` del periodo di godimento, rinviando ai prezzi generalmen- te praticati sul luogo per il turno di riferimento, anche per la locazione di altri immobili adibiti a casa di va- canza.
La vocazione turistica dell’edificio in multiproprieta`, se non lo rende in se´ omogeneo ad altre strutture (al- meno in valore assoluto), sembra consentire comun- que la determinazione del valore relativo delle singole quote, secondo i parametri del mercato non solo im- mobiliare, ma anche locatizio.
Ben avrebbe potuto, insomma, lo stesso definitivo, difettare di una tale specificazione, potendo comunque soccorrere, in sede di tutela, la sentenza determinativa ex art. 2908 c.c. in via integrativa, secondo equita` ex art. 1374 c.c., come detto poc’anzi. Dal momento, poi, che la sentenza ex art. 2932 c.c. e` a tutti gli effetti costitutiva, in caso di rifiuto a contrarre il definitivo, la parte attrice non inadempiente al preliminare potreb- be, in sede giudiziale, ottenere, in una, la sentenza pro- duttiva degli effetti del contratto non concluso e la sua stessa integrazione equitativa per il principio di econo- mia dei mezzi giuridici.
Nella delineata prospettiva, qualche ulteriore consi- derazione merita, comunque, la questione relativa alla controversa natura della multiproprieta`.
Il giudizio circa la determinabilita` dell’oggetto sem- bra, infatti, essere stato qui occasionato dalla presunta natura comunista che viene attribuita alla fattispecie in
questione, ma che, a ben vedere, non appare del tutto soddisfacente.
La sinergia fra normativa di settore e disciplina ge- nerale, oggi, non puo` lasciare indifferente l’interprete, obbligato a confrontarsi con le istanze emergenti nella realta` commerciale.
Gli interventi legislativi degli ultimi anni dimostra- no, in realta`, come l’interesse sotteso alla multipro- prieta` sia qualcosa di profondamente diverso da quello realizzato attraverso lo schema della comunione. In verita`, la multiproprieta` non appare uno strumento di risoluzione dei conflitti necessariamente connessi alla unicita` del bene oggetto del diritto, ma piuttosto un quid novum nell’ordinamento giuridico, che presup- pone, anzi, una netta separazione delle sfere giuridiche concorrenti sul bene. La multiproprieta`, destinata co- m’e` a soddisfare l’esigenza di accesso, da parte di va- ste fasce di famiglie, al bene vacanze, di ormai rico- nosciuta rilevanza sociale 12, pare piuttosto rappresen- tare una valida alternativa allo schema classico della proprieta` che pur vuole ripetere, ovviando, pero`, at- traverso il frazionamento, all’inconveniente di una spe- sa, di sovente proibitiva, per l’acquisto di una seconda casa.
Se e` questa la funzione cui e` deputata la multipro- prieta`, pare foriera di perplessita` la sua ricostruzione in termini di comunione, prima ancora che dal punto di vista strettamente tecnico, sotto il profilo della sua in- tima ratio.
La disciplina consumeristica, pur incentrata princi- palmente sugli obblighi di informazione cui e` tenuto l’imprenditore-venditore, ribaditi nella recente Dir. 2008/122/CE, lascia emergere un’attenzione precipua del legislatore anche all’aspetto individualizzante del contratto caratterizzato, ad esempio, dall’erogazione di servizi e da una modalita` di formazione che prescin- de in maniera evidente da una situazione di coesistenza di diritti, mettendo in luce piuttosto la totale indipen- denza ed esclusivita` di ciascuno di essi. E la stessa eventualita`, peraltro quasi sempre ricorrente, che i multiproprietari non vengano mai in contatto, avendo come unico referente il venditore e l’ente di gestione, sortisce non poche perplessita` circa l’accostamento delle due fattispecie in questione.
A cio` si aggiungono le peculiarita` della multipro- prieta` che ne farebbero, comunque, una comunione difatti atipica 13.
9 Gazzoni, Equita` e autonomia privata, Milano, 1970, 295. E
x. Xxxxxx`, Le fonti di integrazione del contratto, Milano, 1970, 205 e segg.
10 Xxxxxxxx, Degli effetti del contratto, in Comm. C.C., artt. 1374-1381, a cura di Xxxxxxxxxxx, Milano, 1999, 139.
11 Xxxxxxx, op. cit., 233. Per un precedente in giurispruden- za, Cass. 30 marzo 1967, n. 683 in Giur. It., 1967, I, 1, 777. Nel caso di specie la Corte ha ritenuto che i contraenti avessero proceduto a sufficiente determinazione delle res dovute in per- muta fissandole nelle quote del venti per cento delle costruzioni da erigersi che non risultavano stabilite in un progetto esecutivo. In altra circostanza Cass. 14 novembre 1959, n. 3374, in Giust. Civ., 1960, I, 27, la Cassazione ha stabilito che «ai fini della determinazione dell’oggetto della compravendita, e` sufficiente che l’oggetto medesimo sia determinabile con quei criteri che il contratto stesso o la pratica delle cose possono suggerire». Con un’altra pronuncia poi la Corte ha riconosciuto la valida con-
clusione di un contratto con il quale il committente ordinava una nuova serie di arpe ad un meccanico che ne aveva realizzato un prototipo e una piccola serie senza indicare ne´ la quantita`, ne´ il prezzo, ne´ il tempo della consegna, potendosi tali punti de- terminare attraverso il comportamento di buona fede cui sono tenuti tutti i contraenti. Cass., 20 maggio 1966, n. 1288, in Foro pad., 1968, 482, con nota di Xxxxxxx.
12 X. Xxxxxx, cit., 228.
13 E x. Xxx. Xxxxxx, 00 dicembre 2007, in Giur. Merito, 2008, 7-8, 1885 (s.m.), con nota di Xxxxxxxx: «Non sussiste fra i multiproprietari un rapporto di solidarieta` passiva per le obbli- gazioni incombenti verso il Condominio, senza che in senso contrario rilevi l’usuale presenza di un ente di gestione della multiproprieta` che opera come mandatario dei multiproprieta- ri».
Non si puo`, allora, fare a meno di ricordare come, secondo una diversa impostazione 14, la multiproprieta` verrebbe ad essere una forma di proprieta` solitaria su beni giuridici determinati in virtu` di coordinate spazio- temporali, eventualmente temporanea 15 e gravata da un vincolo reale.
Prescindendo dalla materialita` della res in se´ e libe- randosi da una concezione empirica di essa come og- getto del diritto di proprieta`, si ammetterebbe la de- terminazione, in funzione del tempo, del bene che rap- presenta, in senso giuridico, l’utilita` economica di cui beneficia il titolare del diritto 16. Dalla definizione del- l’art. 810 c.c. si deduce, in effetti, come «quella di bene sia una nozione strettamente giuridica, come tale indi- pendente dalla realta` naturale: nozione legata ad una valutazione, da parte dell’ordinamento, di attitudine a soddisfare interessi – considerati rilevanti – in (attuale o potenziale) conflitto, cosı` da farne possibile oggetto di diritti» 17. Secondo la moderna concezione sociale e giuridica, «un’entita`, una volta assunta ad oggetto del diritto, non rileva piu` nella sua dimensione naturalisti- ca: il bene in senso giuridico costituisce, infatti, la sin- tesi tra un’entita` della realta`, lato sensu, fisica e gli interessi che su di essa si appuntano e di cui l’ordina- mento assume la protezione» 18. Il bene in senso giuri- dico, in una simile prospettiva, non sarebbe rappre- sentato dalla semplice unita` abitativa in senso materia- le, ma da quell’unita` per un certo tempo (almeno una settimana l’anno secondo gli sviluppi normativi). Da cio` discenderebbe la coesistenza di una pluralita` di diritti sullo stesso bene in senso empirico, ma su beni diversi in senso giuridico. Xxxxxx, va precisato che, accogliendo una simile ricostruzione della multipro-
prieta` come proprieta` spazio-temporale, la Corte sa- rebbe addivenuta a ben altre conclusioni. E` evidente, infatti, l’intima connessione fra il giudizio di validita` del contratto e la premessa ricostruttiva del particola-
rissimo fenomeno della multiproprieta`.
Un giudizio sulla determinabilita` dell’oggetto si giu- stifica, nel caso di specie, come s’e` visto, considerando che l’oggetto di un contratto col quale si trasferisce una quota di comunione non puo` che essere la quota in quanto misura di partecipazione ai vantaggi e ai pesi, in una situazione di comproprieta`. Se non risulta indicato un criterio almeno per la determinazione giudiziale in via integrativa, il contratto risulta evidentemente nullo. Tale giudizio di determinabilita` ex art. 1346 c.c. non sarebbe stato invece pertinente se, anziche´ ricostruire la multiproprieta` come una forma di comunione sui generis 19, secondo un’impostazione che s’e` visto non apparire del tutto convincente, la Corte avesse aderito
alla teoria della proprieta` spazio-temporale.
Se, infatti, si ritiene che il diritto del multiproprieta- rio sia una proprieta` esclusiva che si affianca ad altri diritti del medesimo tipo sullo stesso bene in senso materiale, ma su beni diversi in senso giuridico, indi- viduati in base a coordinate spazio-temporali, ci si ren- de ben conto che la misura della partecipazione ai van- taggi e ai pesi per la manutenzione e le spese di gestione dell’unico immobile sia un posterius rispetto alla costi- tuzione dei diritti di multiproprieta`.
Il rapporto fra i multiproprietari, in effetti, andrebbe configurato come rapporto condominiale 20 e non co- munista, giacche´ esso deriva dall’esistenza di diritti di proprieta` esclusiva, tutti correttamente individuati, in quanto insistenti su beni giuridici diversi. Se nella co- munione il contenuto del diritto viene determinato in virtu` della quota che e` anche criterio di regolamenta- zione del rapporto fra comproprietari, per cui il diritto e` condizionato dal rapporto, nella multiproprieta` la determinazione della posizione individuale, essendo essa esclusiva, precede ogni questione relativa al rap- porto (condominiale) nella gestione e nel godimento delle parti comuni. Dunque il diritto in quanto tale, e non la regolamentazione del rapporto, e` l’unico vero oggetto del contratto in questione 21.
14 Xxxxx scorta della teoria della proprieta` temporanea in ra- gione della quale e` ammissibile un limite al diritto di proprieta` ogni qual volta il frazionamento del diritto stesso non pregiu- dichi lo sfruttamento a cui la cosa, per sua natura, e` destinata: teoria riconducibile all’Allara, La proprieta` temporanea, in Il circolo giuridico, Palermo, 1930, 17.
15 Per l’ammissibilita` della proprieta` temporanea, cfr. Di Xxxxxx, La proprieta` temporanea, Napoli, 1979, 106 e segg.
16 Confortini, La multiproprieta`, Padova, 1983, 41; San- giorgi, Multiproprieta` immobiliare e funzione del contratto, Napoli, 1983, 61; Di Rosa, Proprieta` e contratto, Milano, 2002, 82 e segg. Concezione questa non lontana dal modello anglo- sassone di common law che prende le distanze dall’empirismo per valutare l’effettiva idoneita` di un bene a produrre un’utilita`.
17 Bocchini-Quadri, Diritto Privato, Torino, 2008, 75.
18 Sul concetto di bene in senso giuridico x. Xxxxxxxxxx, Dei beni, in Comm. C.C., artt. 810-821, a cura di Xxxxxxxxxxx, Mila- no, 1999, 17.
19 Fra gli altri Trabucchi, Istituzioni di diritto civile, Pado- va, 1998, 415; Trimarchi, Istituzioni di diritto privato, Milano, 1986, 580; Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2009, 283; Natucci, La tipicita` dei diritti reali, Padova, 1988, 263 e segg. Secondo quest’ultimo A. tutti gli aspetti della multipro- prieta` in contrasto con la struttura tipica della comunione, fra i quali annoverare l’indivisibilita` oltre i dieci anni, le regole di amministrazione, la mancanza dello jus adcrescendi in capo agli altri multiproprietari in caso di rinuncia, sono irrilevanti ai fini dell’accostamento delle due figure restando la multiproprieta`
una forma di «comunione speciale». Per una conferma in giu- risprudenza, Trib. Napoli, 21 marzo 1989, in Dir. e Giur., 1989,
434. Il giudice partenopeo ha riconosciuto l’applicabilita` delle norme sul condominio negli edifici per l’amministrazione delle parti comuni di una struttura divisa in unita` abitative in regime di multiproprieta`. E cio` ha stabilito presupponendo incidental- mente che la multiproprieta` sia una forma di comunione.
20 In tal senso, cfr. Xxxxxxx, I diritti a tempo parziale, Padova, 1999, 130, secondo la quale «l’apparato di regole in materia di condominio (e in particolare di regolamento condominiale) sembra comunque rivelarsi come il piu` adatto a fornire di tutela giuridica alcune delle esigenze dal soddisfacimento delle quali dipende la realizzabilita` concreta della struttura organizzativa della fruizione turnaria: in particolare si pensi all’insieme di divieti, oneri e limiti di esercizio imposti ai singoli diritti turnari; al collegamento tra situazione reale e obblighi accessori cui deve essere soggetto ogni successivo acquirente; al collegamento tra situazione reale e diritti di credito relativi alle prestazioni acces- sorie cui e` obbligato il gestore». Diversamente Xx Xxxx, ivi, 157, il quale sottolinea come la disciplina del condominio possa es- sere applicata ex art. 1117 c.c. soltanto nei casi in cui gli interessi coinvolti riguardino la compresenza di titolarita` individuali e titolarita` comuni, mentre «la regolamentazione dei rapporti tra titolari esclusivi non avviene, nella multiproprieta`, se non attra- verso la disciplina del contratto, ossia del titolo acquisitivo della propria situazione di appartenenza, integrato dalla disciplina della comunione in quanto applicabile».
21 Non a caso l’art. 69 disp. att. c.c. prevede la possibilita` di
La Corte avrebbe forse potuto, allora, concludere per la validita` del contratto preliminare nel caso di specie, risultando correttamente determinato l’oggetto del contratto ex art.1346 c.c. una volta individuato l’immobile e la settimana di godimento e dunque il contenuto del diritto: una proprieta` ciclica su di un bene in virtu` di coordinate spazio-temporali. Il proble- ma della ripartizione degli oneri di manutenzione fra gli aventi diritto, attiene, invece, ai loro rapporti interni e va risolto attraverso l’applicazione, in via analogica, della disciplina del condominio negli edifici: questione rimessa alla sovranita` dell’assemblea dei multiproprie- tari, condomini in senso lato 22.
Va da ultimo precisato che una censura in termini di invalidita` dell’atto potrebbe, piuttosto, fondarsi sulla violazione di alcune regole recepite nel codice del con- sumo. La disciplina relativa ai contratti del consuma- tore, nei quali a ben vedere rientra quello di multipro- prieta` (artt. da 69 a 81 c. cons.) xxxxxx, si dimostra affatto peculiare rispetto a quella di diritto comune 23. Per cio` che qui interessa, pare quanto mai opportuna una riflessione su quelli che vengono correntemente definiti dalla dottrina “obblighi di informazione” 24 e che alla luce della disciplina consumeristica hanno as- sunto una speciale rilevanza nel regime del contratto di multiproprieta` tenendo presente che, a norma dell’art. 71 c. cons., esso deve contenere tutti gli elementi gia` trasfusi obbligatoriamente nel documento informativo e fra questi, le lettere g) e h) dell’art. 70 c. cons., ri- spettivamente, elencano le norme applicabili in mate- ria di manutenzione e riparazione dell’immobile, non- che´ in materia di amministrazione e gestione dello stes-
so, e la base di calcolo dell’importo degli oneri connessi all’occupazione dell’immobile da parte dell’acquiren- te, delle tasse e imposte, delle spese di amministrazione accessorie alla gestione, la manutenzione e la ripara- zione.
L’omissione delle informazioni, per quanto non pre- visto specificamente dalla disciplina del consumo (che in talune circostanze commina solo una sanzione di tipo amministrativo in capo al venditore inadempiente e accorda il diritto di recesso lungo all’acquirente), potrebbe dar luogo, secondo le regole di diritto comu- ne, all’annullamento del contratto, ove il negozio si dovesse perfezionare proprio a causa di dolo o di er- rore.
Il contratto potrebbe altresı` ritenersi colpito da nul- lita`, se l’omissione dovesse comportare un vizio strut- turale, perche´, in particolare, l’oggetto risulti indeter- minato e indeterminabile.
Le azioni di invalidita`, infatti, non possono ritenersi precluse dall’attribuzione del diritto di recesso all’ac- quirente ove l’omissione integri un vizio dell’atto o della volonta` 25. Nel caso di specie, l’omissione potreb- be dar corso, cosı`, ad un’azione di invalidita`, ove ne risultassero integrati i presupposti. Il contratto risulte- rebbe nullo, cosı`, se dall’omessa indicazione dell’ele- mento di cui all’art. 70 lett. h) (i millesimi), ne discen- desse un vizio strutturale ex art. 1325 c.c. Ma, quanto all’oggetto, si e` gia` detto, peraltro, che esso risulta de- terminato alla luce della ricostruzione della multipro- prieta` come proprieta` spazio-temporale e in ogni caso determinabile attraverso l’equo apprezzamento giudi- ziale ex art. 1374 c.c. 26 Per completezza va, tuttavia,
una modifica delle tabelle millesimali anche successiva all’ac- quisto della singola proprieta`, ove risulti un errore, proprio perche´ la tabella si limita a prendere atto di cio` che gia` esiste, con effetto praticamente dichiarativo.
22 Per un precedente App. Torino, 20 dicembre 2007, cit.
«Allorche´ l’immobile in multiproprieta` sia compreso in un Con- dominio, il Condominio non e` terzo rispetto al multiproprieta- rio e viceversa, e il multiproprietario e` condomino diretto a tutti gli effetti e quindi titolare dei diritti e degli obblighi che gli fanno capo quale condomino». Dunque per la Corte «non sussiste fra i multiproprietari un rapporto di solidarieta` passiva per le ob- bligazioni incombenti verso il Condominio, senza che in senso contrario rilevi l’usuale presenza di un ente di gestione della multiproprieta` che opera come mandatario dei multiproprieta- ri». Per la Corte le definizioni contenute nella direttiva comu- nitaria e poi trasfuse nel codice del consumo sono inequivocabili e il principio di supremazia del diritto comunitario sancito dal- l’art. 10 del Trattato e dall’art. 117 Cost. impone necessariamen- te un adattamento del diritto interno alla fonte comunitaria. Resta salvo il principio di tipicita` dei diritti reali perche´ la mul- tiproprieta` risulta una forma di proprieta`, sebbene limitata, ma pur sempre secondo le prescrizioni dell’art. 832 c.c. E` tuttavia da precisare come la pronuncia abbia ad oggetto soltanto il rapporto “esterno” fra i singoli multiproprietari e i gli altri con- domini del complesso in cui e` collocato l’immobile in multipro- prieta`, senza alcun riferimento al rapporto “interno” fra gli stes- si multiproprietari nella gestione della comune unita` immo- biliare.
23 Si pensi alle nullita` di protezione, previste dall’art. 36 c. cons. in tema di clausole vessatorie, che hanno letteralmente sconvolto il tradizionale regime delle invalidita` riconoscendo il potere di agire al solo contraente debole e la rilevabilita` d’ufficio esclusivamente in favore di quest’ultimo, con grande difficolta` della dottrina ad ammettere una tale categoria in sede di inter- pretazione sistematica. Per un’armonizzazione delle discipline
consiglia, per tutti, Xxxxx, Dei contratti del consumatore in generale, in Codice del consumo, artt. 33-38, a cura di Xxxx e Xxxxx Xxxxxx, Napoli, 2005, 249 e segg.
24 Per una panoramica sui rapporti fra doveri informativi e tutela dei diritti fondamentali del consumatore Xxxxxxx, La sicurezza nell’informazione del consumatore, in Sicurezza e stato di diritto: problemi costituzionali a cura di Xxxxxxx, Xxxxxxx, 2005, 335 e segg. Tali obblighi rilevano tanto in una fase preli- minare, quella cioe` delle trattative durante le quali il professio- nista-venditore, e` tenuto a consegnare all’aspirante acquirente un documento informativo (contenente gli estremi dell’accordo affinche´ questi possa prendere contezza dell’affare non soltanto in relazione all’entita` fisica dell’immobile, ma anche con riferi- mento a tutte le regole che governeranno il rapporto) quanto al momento della conclusione del contratto che deve contenere gli elementi del documento informativo. La multiproprieta`, infatti, risulta intimamente condizionata dalla turnarieta` del godimento al punto che le regole del rapporto divengono quasi un conte- nuto essenziale del contratto. Per tutti X. Xxxxxxxxxxx, Con- tratti relativi all’acquisizione di un diritto di godimento ripartito di beni immobili, in Codice del consumo, artt. 69-81, cit., 501 e segg.
25 Il recesso rappresenterebbe, infatti, non gia` un rimedio
sostitutivo dell’azione di nullita`, ma semmai con essa concor- rente. Non si spiegherebbe altrimenti come l’invalidita` assoluta possa essere sanata dal mancato esercizio del recesso che sem- mai e` uno strumento a tutela del consumatore, per cosı` dire ulteriore, e non gia` un onere a suo carico, non adempiuto il quale il consumatore sarebbe piu` debole che nel caso in cui l’ordinamento non gli avesse accordato tale potere, ferma l’espe- ribilita` di un’azione di nullita`. Diversamente Xx Xxxx, op. cit., 222.
26 Il contratto avrebbe poi potuto essere oggetto di annulla- mento sempre che il multiproprietario avesse dato prova del dolo o dell’errore, conseguenza diretta dell’omessa informazione.
accennata un’ultima possibile prospettiva di soluzione che discende dall’applicazione dei criteri che la dottri- na ha dedotto dalla disciplina dei contratti di consumo. Seguendo l’impostazione di alcuni studiosi 27, infatti, tutti gli elementi richiamati dall’art. 70 c. cons. (anche quelli la cui omessa indicazione non e` sanzionata con la pena pecuniaria o col recesso) integrano comunque il contenuto del contratto. La relativa omissione, dun- que, e` una violazione di norme imperative che regolano
la disciplina del contratto di multiproprieta`.
Da cio` discenderebbe senz’altro, allora, la nullita` del- lo stesso per contrarieta` a norme imperative ex art. 1418 comma 1, indipendentemente dalla mancanza o dal vizio di uno degli elementi essenziali di cui all’art. 1325 c.c. Nel caso di specie, quindi, applicando tale ricostruzione, la nullita` andrebbe dichiarata per con- trarieta` del contratto a norme imperative ex art. 1418 comma 1 e non per indeterminatezza dell’oggetto 28. Peraltro, a prescindere da tale ultima considerazione, l’art. 34, comma 2, c. cons., escludendo che la valuta- zione di vessatorieta` di una clausola non attiene alla de- terminazione dell’oggetto del contratto, purche´ l’indi- viduazione sia chiara e comprensibile, sembrerebbe a contrario attrarre nel giudizio di vessatorieta`, e dunque di nullita`, le clausole determinative oscure, proprio a causa della violazione dei precisi obblighi informativi in questione. La dichiarazione di vessatorieta` della singola clausola, comunque, condurrebbe alla caducazione del- l’intero contratto poiche´ verrebbe a mancare l’unico riferimento, seppur oscuro, all’oggetto dello stesso e dunque uno degli elementi essenziali ex art. 1325 c.c. Alla luce delle considerazioni svolte, in conclusione,
e` possibile convincersi di quanto la questione relativa alla natura della multiproprieta` sia rimasta a tutt’oggi completamente aperta. A piu` di dieci anni dal suo in- nesto nell’ordinamento giuridico italiano e dopo aver assunto il crisma di contratto tipico all’interno di un vero e proprio codice, con pretese naturalmente siste- matiche, la sua attualita` rileva, piu` che per un reale successo commerciale, per la verita`, mai neppure lon- tanamente avvistato, per aver lasciato emergere le dif- ficolta` incontrate in dottrina e giurisprudenza a coor- dinare le tradizionali prospettive dogmatiche con le nuove emergenze sociali.
Prescindendo dalle considerazioni in punto di deter- minabilita` dell’oggetto del contratto, spia di una certa difficolta` (e probabilmente di un ragionevole timore) ad utilizzare lo strumento dell’integrazione equitativa, e` forse riscontrabile un atteggiamento di diffidenza ri- spetto a ricostruzioni come quelle della proprieta` spa- zio-temporale e della stessa proprieta` temporanea, in ossequio a principi che probabilmente oggi non rap- presentano piu` che un retaggio del passato, almeno ove applicati incondizionatamente, quali quello della tipi- cita` dei diritti reali e della concezione in chiave mate- rialistica del bene che costituisce oggetto del diritto dominicale.
Ma va altresı` sottolineato come il fatto che fra gli obblighi informativi di cui all’art. 70 c. cons. vi sia
quello relativo all’indicazione della base di calcolo del- l’importo per gli oneri connessi all’occupazione, delle spese per la manutenzione e la gestione dimostri che la figura in esame si allontana dallo schema della comu- nione per la quale il legislatore detta una disciplina apposita lasciando all’autonomia privata, solo in via residuale, la regolamentazione dei rapporti interni. La trasfusione in un codice avrebbe dovuto far ritenere la multiproprieta` ormai affrancata dalla matrigna com- munio, se non sul piano della fattispecie, almeno su quello del contratto, incentrando l’attenzione, nella fa- se genetica del rapporto, sulla portata del tutto pecu- liare degli obblighi informativi e della relativa violazio- ne, in un settore massimamente caratterizzato dal- l’asimmetria fra le parti.
Xxxxxxx Xxxxxxx
MINORI E CONTROLLO DELLE FRONTIERE
Cassazione civile, I Sezione, 10 marzo 2010,
n. 5856 — Luccioli Presidente — Cultrera Relato- re — Apice P.M. (diff.) — M.A. (avv. Xxxxxxxxxx), Proc. Gen. presso Corte di App. di Milano.
Sicurezza pubblica — Polizia di sicurezza — Limi- tazioni di polizia — Stranieri — Minore straniero nel territorio italiano — Autorizzazione all’ingresso o alla permanenza del familiare ex art. 31 D.Lgs. n. 286/ 1998 — Condizioni — Correlazione con situazioni eccezionali e contingenti — Necessita` — Ordinarie esigenze connesse allo sviluppo del minore — Rile- vanza — Esclusione — Fondamento (Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, art. 3, comma 1; D.Lgs. 25 luglio 1988, n. 286, art. 31, comma 3).
Ai fini dell’autorizzazione temporanea all’ingresso o alla permanenza del familiare straniero del minore che si trovi nel territorio italiano, le condizioni previste nel- l’art. 31 D.Lgs. 25 luglio 1988, n. 286, consistenti nei gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico del minore stesso, tenuto conto delle condizioni di salute e dell’eta`, sono positivamente riscontrabili solo quando sia accer- tata l’esistenza di una situazione d’emergenza, rappre- sentata come conseguenza della mancanza o dell’allon- tanamento improvviso del genitore, a carattere eccezio- nale o contingente, che ponga in grave pericolo lo svi- luppo normale della personalita` del minore, mentre non possono essere ravvisate nelle ordinarie necessita` di ac- compagnarne il processo d’integrazione e il percorso edu- cativo, formativo e scolastico, trattandosi di esigenze in- compatibili con la natura temporanea ed eccezionale del- l’autorizzazione, che viene concessa in deroga all’ordina- rio regime giuridico dell’ingresso e del soggiorno (1).
Omissis. — Xxxxx infatti l’approdo conclusivo sull’in- terpretazione del disposto normativo dell’art. 31 del
d.lgs. n. 286 del 1998 condotta nel solco dell’indirizzo ese-
27 Roppo, Il contratto del duemila, Torino, 2002, 31.
28 In un caso la giurisprudenza di merito, dal canto suo, ha escluso la ricorrenza della nullita` ove l’omissione dia luogo alla possibilita` di recesso del consumatore: Trib. Parma, 14 luglio
2003, in Contratti, 2004, 503. Come detto poc’anzi, pero`, non sembra possibile escludere l’esperibilita` di un’azione di nullita` sulla base del riconoscimento di un potere di recesso che e` mezzo ulteriore e non onere per la tutela del contraente debole.
getico ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Cor- te, che ha ravvisato le esigenze di tutela del minore che si trovi nel territorio italiano che consentono al suo familiare la permanenza per un periodo di tempo determinato solo se i gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore concretino una situazione d’emergenza rappresentata come conseguenza della mancanza o dell’allontanamento improv- viso, che il Tribunale per i minori accerti (...) essere eccezio- nale e temporanea, e ponga in grave pericolo lo sviluppo normale della personalita` del minore, sia fisico che psichico, tanto da richiedere la presenza del genitore nel territorio dello Stato.
Tenendo ben presente l’inserimento della disposizione nell’ambito delle norme contenute nel titolo IV del t.u. fi- nalizzate all’unita` familiare, suddetta ricostruzione della vo- luntas legis, necessariamente restrittiva in ragione della na- tura eccezionale del dettato normativo che prevede l’auto- rizzazione in discorso “anche in deroga alle altre disposizio- ni” della legge, subordina la necessita` di garantire al minore che il suo ordinario processo educativo, formativo e scola- stico si realizzi con l’assistenza del genitore che merita invece di essere allontanato dal territorio italiano al piu` generale interesse della tutela delle frontiere, che si esprime nelle esigenze di ordine pubblico che convalidano il decreto di espulsione. In questo contesto sistematico, privilegia suddet- ta esigenza, dandovi concreta attuazione, solo se, apprezzata in relazione all’eta` ed alle condizioni del minore, assume carattere di emergenza, non necessariamente correlata a con- dizioni di salute, e sia altresı` contingente ed eccezionale, dunque non abbia tendenziale stabilita`. — Omissis.
I recenti arresti n. 747/2007 e n. 10135/2007 (...) hanno
escluso dal paradigma del disposto normativo le esigenze di salvaguardia di una situazione di integrazione nel tessuto sociale che renda le condizioni di vita del minore consone alle esigenze evolutive proprie dell’eta` e migliori rispetto a quelle godute o godibili nel paese di origine o altrove. — Omissis.
Successiva sentenza n. 4197/2008 ha affermato la compa- tibilita` di tale interpretazione con l’art. 3 della Convenzione di New York 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo (...) che attribuisce efficacia preminente all’interesse superiore del fanciullo, chiarendo che le esigenze di legalita` sottese all’espulsione non sono recessive rispetto al suddetto inte- resse, atteso peraltro che la convenzione rappresenta norma d’indirizzo generale che non ha portata ne´ generale ne´ illi- mitata. La conclusione, nonostante il richiamo del testo normativo al diritto all’unita` familiare protetto dalla con- venzione, in uno sforzo di equo bilanciamento tra le esi- genze rappresentate dal legislatore, ha valorizzato il criterio interpretativo sistematico attribuendo prevalenza al diritto all’unita` familiare (...) rispetto al generale interesse alla lega- lita` solo nei casi che secondo corretta esegesi (...) possono giustificare la prevista, e per sua natura eccezionale, “dero- ga”. — Omissis.
(1) Interesse del minore e controllo delle frontiere in una recente pronunzia della Cor- te di cassazione
1. La Corte di cassazione, con la sentenza 10 marzo 2010, n. 5856, ha operato un revirement rispetto alle recenti pronunzie 16 ottobre 2009, n. 22080, e 19 gen- naio 2010, n. 823, in ordine all’interpretazione dell’art. 31, comma 3, T.U. immigrazione (X.Xxx. 25 luglio
1988 n. 286) 1. La norma, inserita nel Titolo IV del T.U., relativo al “Diritto all’unita` familiare e tutela dei minori”, introduce un’ipotesi di concessione di per- messo di soggiorno ulteriore rispetto alla disciplina generale della riunificazione familiare, prevedendo che il Tribunale per i minorenni possa autorizzare l’ingres- so o la permanenza del familiare di minore straniero,
«anche in deroga alle altre disposizioni», se ricorrono gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del fanciullo e tenuto conto dell’eta` e del suo stato di sa- lute. Il permesso di soggiorno cosı` accordato ha una durata determinata ed e` revocato allorche´ cessino i gravi motivi all’origine del suo rilascio.
La vicenda oggetto della pronunzia nasce dalla ri- chiesta di autorizzazione a permanere nel territorio italiano presentata dal padre di un minore straniero che risiede in Italia con la madre, anch’essa straniera. Avverso la decisione di rigetto il genitore propone ri- corso dinanzi alla Corte di cassazione, deducendo la violazione non solo dell’art. 31, comma 3, T.U., ma anche dell’art. 3 della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo 2 in base al quale «in all actions concerning children [...] the best interests of the child should be a primary consideration», principio, peraltro, richiamato dall’art. 28, par. 3, T.U. Secondo il ricorrente, infatti, la presenza del genitore e` necessaria allo sviluppo psico- fisico del fanciullo con la conseguenza che sussiste la condizione prescritta dall’art. 31, comma 3, ai fini del rilascio dell’autorizzazione.
2. Invero, proprio il profilo relativo alla tutela assi- curata dalle convenzioni internazionali in favore dei minori stranieri costituisce l’aspetto di maggiore inte- resse della decisione perche´, come cercheremo di mo- strare, essa rivela una grave sottovalutazione da parte della Corte di cassazione degli obblighi internazionali, obblighi che invece erano stati valorizzati dalle prima richiamate pronunzie n. 22080/2009 e n. 823/2010 in una lettura coordinata con i principi dettati dalla Co- stituzione a tutela dei minori e, in particolare, a garan- zia dello sviluppo della loro personalita`. Nelle indicate decisioni, infatti, la Corte sosteneva che sia le prescri- zioni costituzionali, sia la Dichiarazione dei diritti del fanciullo 3 e la successiva Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, sia, infine, nell’ambito dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea, la Carta di Nizza, pro- teggono i fanciulli e impegnano lo Stato a garantire un compiuto e armonico sviluppo della loro personalita`. In quelle decisioni, in particolare, la Corte utilizzava come chiave interpretativa della regola posta dall’art. 31, comma 3, T.U. il ruolo della famiglia nel processo di crescita dei fanciulli, individuando l’interesse tute- lato dalla norma nel «diritto del minore alla famiglia, a mantenere rapporti continuativi con entrambi i geni- tori». Sulla base di questa impostazione la suprema Corte era cosı` giunta a ribaltare la sua precedente giu- risprudenza e a scindere la nozione di «gravi motivi»
1 Per un esame della disposizione cfr. Xxxxxxxxxx-Cariti, La nuova disciplina dell’immigrazione, 2a ed., Milano, 2008, 318 e segg.; Zorzella, Diritto all’unita` familiare e tutela dei minori. Profili sostanziali: la famiglia e i minori, in Diritto degli stranieri a cura di Xxxxxxxxxx, Padova, 2004, 909 e segg., 938 e segg.
2 La Convenzione e` stata adottata dall’Assemblea generale
delle Nazioni unite il 20 novembre 1989, UN Xxx. X/XXX/ 00/00, ed e` stata ratificata e resa esecutiva in Italia con la L. 27 maggio 1991, n. 176.
3 Adottata dall’Assemblea generale della Nazioni unite il 20 novembre 1959, UN Doc. A/RES/1386(XIV).
da quella di condizioni di emergenza ovvero di circo- stanze contingenti ed eccezionali legate allo stato di salute del minore, osservando che i gravi motivi devo- no essere valutati con riguardo all’esigenza di garantire l’adeguato sviluppo del minore, secondo un apprezza- mento delle condizioni di salute e dell’eta`. In questa prospettiva, secondo la Corte, l’allontanamento del ge- nitore, con la conseguente impossibilita` di avere rap- porti con lui o di vederlo, determina un danno al mi- nore che puo` pregiudicarne uno sviluppo psico-fisico armonico e compiuto.
L’esigenza di considerare l’interesse superiore del minore nell’apprezzamento della ricorrenza dei gravi motivi era stata, peraltro, gia` indicata dalle Sezioni uni- te della Corte di cassazione che, nella sentenza del 16 ottobre 2006, n. 22216, hanno ritenuto di dover distin- guere l’ipotesi in cui l’autorizzazione sia richiesta ai fini dell’ingresso del genitore da quella in cui sia doman- data ai fini della sua permanenza nel territorio, os- servando che in questa seconda fattispecie i gravi mo- tivi possono essere correlati non solo alla situazione attuale, ma anche alle conseguenze future dell’allonta- namento improvviso del familiare sino ad allora pre- sente 4.
Nella pronunzia che si commenta, invece, la Corte ha recuperato l’apparato concettuale elaborato nelle sue prime sentenze ed e` pervenuta al rigetto del ricorso, negando che i gravi motivi siano integrati dall’esigenza di assicurare lo sviluppo psicofisico del minore attra- verso la garanzia della relazione con i genitori.
Secondo la Corte, infatti, la norma ha natura ecce- zionale perche´ detta una disciplina derogatoria rispet- to alla generale regolamentazione del diritto all’unita` familiare, sicche´ la sua interpretazione non puo` che essere restrittiva. La conseguenza di questa lettura, che la Corte ritiene coerente con il sistema delineato dal Titolo IV del T.U., e` che i gravi motivi sono integrati da
una situazione di emergenza determinata dalla man- canza o dall’allontanamento improvviso del genitore, che non necessariamente deve essere correlata a con- dizioni di salute, ma che deve avere carattere contin- gente ed eccezionale. Inoltre, dal fatto che la durata del permesso debba essere predeterminata i giudici dedu- cono che l’autorizzazione non possa essere concessa per la tutela di situazioni caratterizzate da normalita` e stabilita`, in quanto connesse al normale processo edu- cativo-formativo del minore. Sulla base di questa pre- messa la Corte ribadisce che l’art. 31, comma 3, non e` invocabile per salvaguardare una situazione di integra- zione del minore nel tessuto sociale 5.
La costruzione concettuale qui sintetizzata muove dall’affermazione secondo la quale la norma traduce la volonta` del legislatore di subordinare «la necessita` di garantire al minore che il suo ordinario processo edu- cativo, formativo e scolastico, si realizzi con l’assistenza del genitore, che merita invece di essere allontanato dal territorio italiano, al piu` generale interesse della tutela delle frontiere, che si esprime nelle esigenze di ordine pubblico che convalidano il decreto di espulsione». Il legislatore, dunque, ha in questa lettura della nor- ma gia` operato in linea astratta il bilanciamento tra il diritto del minore all’unita` familiare e quello dello Sta- to al controllo delle frontiere, subordinando il primo al secondo, tranne che non ricorrano situazioni eccezio- nali che pero` la Corte non indica 6, al di la` dell’impor- tante precisazione relativa al fatto che esse non si iden- tifichino solo con motivi di salute 7. Al fondo di questa costruzione si rinviene la preoccupazione della Corte di impedire l’elusione da parte dei migranti della nor- mativa sul ricongiungimento familiare attraverso un
uso strumentale dei minori 8.
Il privilegio cosı` accordato all’intangibilita` delle frontiere 9 non sacrifica nella visione dei giudici di le- gittimita` il diritto del minore a crescere ed essere edu-
4 La ricostruzione prospettata dalle Sezioni unite e` stata ri- chiamata in diverse pronunce di merito al fine di sostenere che la nozione di gravi motivi non e` integrata solo da gravi condi- zioni di salute. Cfr. Trib. min. Milano, 6 marzo 2007 (decreto) e Id. Milano, 4 maggio 2007 (decreto), in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 3, 2007, 178 e segg.
5 In questo senso si era gia` espressa Cass., 15 gennaio 2007,
n. 747. Il medesimo impianto argomentativo e` stato utilizzato dalla Corte di cassazione per escludere che l’autorizzazione al familiare possa essere rilasciata per garantire il compimento dell’istruzione obbligatoria, trattandosi di esigenza ordinaria che si ricollega al normale processo educativo-formativo del minore (Cass., 11 gennaio 2006, n. 396; Id., 14 novembre 2003,
n. 17194; Id., 14 marzo 2002, n. 3701), ovvero per negare l’in- vocabilita` dell’art. 31, comma 3 nelle situazioni in cui il minore straniero si sia inserito con profitto nella scuola e abbia lı` in- trecciato stabili amicizie (Cass., 21 agosto 2002, n. 9088; Id., 19 marzo 2002, n. 3991; Id., 14 marzo 2002, n. 3701).
6 Per questo rilievo cfr. Zorzella, La Cassazione e i minori stranieri: un nuovo passo indietro verso una tutela a seconda della nazionalita`?, in xxx.xxxx.xx.
7 Nelle prime applicazioni della norma non solo la giurispru- denza di legittimita`, ma anche i giudici di merito hanno soste- nuto che il permesso previsto dall’art. 31, comma 3, potesse essere concesso solo in relazione ad un grave stato di salute del minore. Cfr. Proc. Rep. presso il Trib. min. Xxxxxx Xxxxxxx, 6 marzo 2000 (parere), in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2001, 1, 162 e segg.; App. Torino, Sez. min., 15 gennaio 2002 (decr.), ivi, 2002, 1, 181 e segg. Per questa interpretazione nella
giurisprudenza di merito piu` recente cfr. App. Milano, 27 marzo 2008, n. 30 (decr.), ivi, 2009, 1, 214; Id. Torino, 18 marzo 2009
(decr.), ibid., 3, 197.
8 La Corte di cassazione ha in diverse sentenze sostenuto che il rilascio del permesso di soggiorno ex art. 31, comma 3, in situazioni caratterizzate da normalita` e tendenziale stabilita` pro- durrebbe «il risultato di uno stabile radicamento nel territorio italiano del nucleo familiare, ovvero [...] configurerebbe un mo- do anomalo di legittimare l’inserimento di famiglie di stranieri illegalmente presenti nel territorio nazionale attraverso una for- ma di strumentalizzazione, e non gia` di tutela, dell’infanzia» (Cass., 19 febbraio 2008, n. 4197; Id., 2 maggio 2007, n. 10135; Id., 11 gennaio 2006, n. 396; Id., 14 novembre 2003, n. 17194). In dottrina questa stessa preoccupazione e` espressa da Bella- gamba-Cariti, op. cit., 319, i quali indicano l’esistenza del ri- schio di una strumentalizzazione dei minori «per eludere i giusti limiti di rigidita` della nostra normativa».
9 Cfr. Miazzi, Superiore interesse del minore straniero e au- torizzazione alla permanenza del familiare, in Diritto, immigra- zione e cittadinanza, 2004, 4, 53 e segg., 61. Per un’esame della giurisprudenza della Corte di cassazione cfr. anche Xxxxxxxx, La Corte di Cassazione e i minori stranieri: nuove aperture e consolidate resistenze, ivi, 2006, 4, 77 e segg.; Minisola, Un passo avanti della Cassazione per il riconoscimento del diritto all’unita` familiare del minore straniero, ibid., 2, 69 e segg.; Xxxxxxx, Minore straniero soggiornante in Italia e interesse dei genitori: una tutela negata, in Fam. e Dir., 2003, 23 e segg.; Xxxxxxx xxxxx Xxxxx, La condizione giuridica del minore straniero, in Minorigiustizia, 2002, 37 e segg.; Xxxxx, I diritti
cato nell’ambito della propria famiglia poiche´ il diritto all’unita` familiare «e` tutelato in particolare attraverso l’istituto del ricongiugimento familiare, il quale puo` essere invocato soltanto nell’ipotesi di regolare presen- za in Italia del genitore o del minore, laddove, del resto, quest’ultimo, ai sensi dell’art. 19, comma 2, lett. a)
D. L.vo cit. ha diritto di seguire il genitore espulso nel luogo di destinazione» 10.
Questa costruzione sistematica permette alla Corte di confrontarsi con la dedotta violazione dell’art. 3 della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, motivo di ricorso che viene respinto sulla base della conside- razione secondo la quale «le esigenze di legalita` sottese all’espulsione non sono recessive rispetto al suddetto interesse, atteso peraltro che la convenzione rappre- senta norma di indirizzo generale che non ha portata ne´ generale ne´ illimitata». A questa conclusione la su- prema Corte era pervenuta nella precedente sentenza del 19 febbraio 2008 n. 4197 nella quale aveva osser- vato che l’ambito di applicazione del principio sancito dall’art. 3 e` definito dalla stessa Convenzione che al- l’art. 9 per un verso impone agli Stati di vigilare affin- che´ il minore non sia separato dai suoi genitori contro la sua volonta`, ma per altro verso fa salva la possibilita` per lo Stato di adottare atti, quali la detenzione, l’im- prigionamento, l’esilio e l’espulsione, che determinano la scissione del nucleo familiare.
3. A noi sembra che si possa profilare un’interpreta- zione dell’art. 31, comma 3, T.U. sull’immigrazione diversa da quella prospettata nella sentenza che si com- menta sia in ragione di una differente lettura delle nor- me della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, sia sulla base dell’obbligo di tutela della vita familiare, sancito da alcune convenzioni internazionali di prote- zione dei diritti umani, cosı` come ricostruito alla luce del principio del best interests of the child dagli organi istituti dalle stesse convenzioni.
Sotto il primo profilo occorre considerare, innanzi- tutto, che la norma dettata dall’art. 3 comma 1 della Convenzione sui diritti del fanciullo ha efficacia diret- ta, come riconosciuto anche dalla giurisprudenza di altre corti straniere 11, e impone ai diversi poteri statali obblighi precisi, cosı` individuati dal Comitato dei di- ritti del fanciullo in relazione all’art. 4 della stessa Con- venzione: «The principle requires active measures throu- ghout Government, parliament and the judiciary. Every legislative, administrative and judicial body or institu- tion is required to apply the best interests principle by systematically considering how children’s rights and in- terests are or will be affected by their decisions and ac-
tions»12. Il rispetto del principio esige, dunque, non solo un obbligo di interpretazione del sistema norma- tivo in linea con la considerazione preminente che al- l’interesse superiore del fanciullo deve essere accorda- ta, ma anche il compimento in ogni singolo caso di un giudizio di bilanciamento all’interno del quale l’inte- resse del minore «shall be a primary consideration». L’art. 3 esclude cioe` qualunque forma di bilanciamento astratto che privilegi gli interessi dello Stato antagonisti a quello del minore di vivere con i propri genitori e impone, invece, una verifica in ogni singola vicenda della soluzione che meglio soddisfi quell’interesse 13. Sempre sul piano della ricostruzione degli obblighi che derivano dalla Convenzione Onu sui diritti del fanciullo, anche la tesi secondo la quale l’art. 9 esclu- derebbe la portata generale del principio affermato dall’art. 3 non ci sembra condivisibile. Le regole det- tate dagli artt. 9 e 10 in materia di unita` familiare si fondano sulla considerazione formulata nel Preambolo che la famiglia, in quanto «fundamental group of society and the natural environment for the growth and well- being of all its members and particularly children», deve ricevere la necessaria protezione e assistenza in modo da poter garantire l’assolvimento delle sue responsabi- lita`. In questo quadro si riconosce che il fanciullo «for the full and harmonious development of his or her per- sonality, should grow up in a family environment, in an atmosphere of happiness, love and understanding». Questi principi trovano una specificazione nelle regole dettate dall’art. 9 il quale al paragrafo 1 prevede che gli Stati assicurino che il minore «should not be separated from his parents against their will», salvo il caso in cui
«separation is necessary for the best interests of the chi-
ld». La norma, dunque, assume l’interesse del minore quale criterio di riferimento nell’adozione di atti che implichino la separazione del minore dai genitori 14. La previsione dell’ipotesi di allontanamento del ge- nitore dal territorio dello Stato non costituisce, dun- que, come ritiene la Corte, un’eccezione alla regola dettata dal primo paragrafo, ma la sua espressa consi- derazione e` rivolta piuttosto ad assoggettare anche il potere di espulsione ai limiti posti dall’esigenza di tu- telare l’interesse del minore. Di conseguenza, se lo Sta- to parte della Convenzione non perde il potere di espellere uno straniero, tuttavia il suo esercizio non potra` prescindere dalla valutazione dell’interesse del minore. La semplice invocazione dell’esigenza di con- trollo delle frontiere non puo`, quindi, giustificare una decisione che implichi l’espulsione dello straniero, in assenza di un bilanciamento del contrapposto interesse del minore a mantenere l’unita` della famiglia. Inoltre,
fondamentali del minore extracomunitario, in Famiglia, 2002, 549 e segg.
10 Anche in questo passaggio la sentenza ribadisce una tesi piu` volte sostenute in precedenti decisioni. Cfr. Cass., 19 feb- braio 2008, n. 4197; Id., 2 maggio 2007, n. 10135; Id., 11 gen- naio 2006, n. 396; Id., 14 novembre 2003, n. 17194; Id., 21 agosto 2002, n. 9088; Id., 19 marzo 2002, n. 3991; Id., 17 set- tembre 2001, n. 11624.
11 Cour de Cassation, Chambre Civile 1, 18 maggio 2005
n. 02-2063; Cour de Cassation, Chambre Civile 1, n. 04-16942, entrambe in Revue Ge´ne´rale de Droit International Public, 2006, 232 e segg. con nota di Xxxxx; Conseil d’E´ tat, 24 marzo 2004, Ministre des Affaires sociales c. X.xx Xxxxxxxxx, req. 249369.
12 Comitato dei diritti del fanciullo, General Comment No. 5 “General Measures of Implementation of the Convention on the Rights of the Child (art. 4, 42 and 44 para. 6)”, UN Doc. CRC/GC/2003/5 del 3 ottobre 2003.
13 Sul bilanciamento tra l’interesse dell’individuo e quelli contrapposti della collettivita` nei casi di riunificazione familiare ci sia consentito rinviare al nostro La riunificazione familiare dello straniero nelle convenzioni internazionali sui diritti umani, in Diritti umani e diritto internazionale, 2010, 279 e segg.
14 Xxxxxx, The Best Interets Principle: Towards a Reconcilia- tion of Culture and Human Rights, in The best Interests of the Child: Reconciling Culture and Human Rights, Alston (ed.), Oxford, 1994, 13 e segg.
la previsione dell’art. 9, contrariamente a quanto so- stenuto dalla suprema Corte, impone di accertare che la famiglia possa ricostituirsi in altro Stato e che lo sradicamento del minore dal contesto sociale e cultu- rale nel quale sia cresciuto non arrechi un pregiudizio allo sviluppo della sua personalita`, cio` che renderebbe difficile la ricollocazione della famiglia in un diverso Paese, portando di fatto ad una separazione 15.
4. La ricostruzione del sistema di tutela offerto dalla Convenzione Onu ci permette di riesaminare critica- mente l’apparato argomentativo che sostiene la pro- nunzia. La garanzia dell’interesse superiore del minore non puo` essere configurata come un’ipotesi ecceziona- le rispetto all’esigenza di proteggere i confini dall’in- gresso illegale di stranieri, ma costitusce il criterio di riferimento in sede di interpretazione delle norme e di loro applicazione nelle fattispecie concrete. Inoltre, l’astratta possibilita` offerta al minore di seguire il pro- prio genitore non vale da sola ad assicurare un’adegua- ta protezione all’unita` familiare, dovendosi, invece, ve- rificare se il trasferimento in un altro Stato non arrechi un pregiudizio al fanciullo. Invero, la necessita` di con- siderare gli effetti che il diniego del permesso e la con- seguente espulsione del genitore producono sui minori mostra, a nostro avviso, che non e` condivisibile la tesi della Corte secondo la quale non sono comprese nel paradigma del disposto normativo «le esigenze di sal- vaguardia di una situazione di integrazione nel tessuto sociale che renda le condizioni di vita del minore con- sone alle esigenze evolutive proprie dell’eta` e migliori rispetto a quelle godute o godibili nel paese di origine o altrove».
La sentenza, dunque, sembra non cogliere adegua- tamente il collegamento che esiste tra il diniego del permesso e la conseguente espulsione del genitore dal territorio, sicche´ nel suo ragionamento non vengono in rilievo gli standard di tutela dell’unita` familiare indivi- duati dagli organi istituiti dalle convenzioni internazio- nali in sede di esame dei provvedimenti di allontana- mento di uno straniero.
Questo aspetto della sentenza fa emergere il secondo profilo al quale si e` fatto prima riferimento, costituito dal contenuto degli obblighi di protezione della fami- glia posti a carico degli Stati dalle convenzioni inter- nazionali che proteggono i diritti umani. Come si e` accennato, infatti, il principio della protezione del best interests of the child ha reagito sulle regole dei trattati internazionali che tutelano la famiglia, inducendo gli organi convenzionali a declinare in forme nuove l’ob- bligo dello Stato di rispettare l’unita` familiare.
Intendiamo innanzitutto riferirci all’individuazione nella garanzia dell’unita` familiare di un limite ai prov- vedimenti di espulsione in relazione alle conseguenze sui figli del destinatario della misura. Com’e` noto, in- fatti, la Corte europea dei diritti umani, nel valutare la
conformita` di un ordine di espulsione al diritto alla tutela dell’unita` familiare sancito dall’art. 8 Cedu, con- sidera anche, ai fini della valutazione della legittimita` del provvedimento, i suoi effetti sulla condizione dei figli dello straniero. In questa prospettiva la Grande Camera ha affermato che devono ritenersi impliciti nei criteri, elaborati dalla giurisprudenza precedente, che si riferiscono alla situazione familiare del ricorrente, all’esistenza di figli e alla loro eta`, «l’inte´reˆt et le bien- eˆtre des enfants, en particulier la gravite´ des difficulte´s que les enfants du reque´rant sont susceptibles de ren- contrer dans le pays vers lequel l’inte´resse´ doit eˆtre expulse´»16.
Analogo principio e` stato affermato dal Comitato dei diritti umani nelle views adottate nel caso Xxxxxxxxx c. Australia 17, nelle quali e` stato ritenuto in contrasto con gli artt. 17, 23 e 24 del Patto sui diritti civili e politici l’ordine di espulsione adottato dalle autorita` australia- ne anche in ragione delle difficolta` che i figli avrebbero incontrato se avessero deciso di seguire il padre nel suo Paese di origine. Il Comitato ha in particolare fatto riferimento alla circostanza che i minori non conosces- sero lo Stato dal quale il genitore proviene, ne´ la lingua che in quello si parla, nonche´ alla loro eta` e, implicita- mente, al connesso grado di integrazione nella societa` australiana 18.
Lo stesso organo ha formulato un piu` generale prin- cipio con riguardo alla protezione dei fanciulli stranieri che rappresenta un riflesso dell’assuzione dell’interes- se superiore dei minori ad oggetto di preminente con- siderazione. Chiamato a valutare la coerenza agli artt. 17, 23 e 24 del Patto di una misura di espulsione dei genitori di un bambino nato e cresciuto in Australia, il Comitato dei diritti umani ha fatto riferimento alla durata della residenza in Australia del minore e al con- nesso grado di integrazione nella societa` di quel Paese per affermare che «it is incumbent on the State party to demonstrate additional factors justifying the removal of both parents that go beyond a simple enforcement of its immigration law in order to avoid a characterisation of arbitrariness»19.
L’idea espressa dal Comitato dei diritti umani che le ragioni della politica migratoria non possano da sole giustificare un’azione statale che incida sull’interesse di un minore sta lentamente facendosi strada anche nella piu` recente giurisprudenza della Corte di Stra- sburgo relativa a casi di ricongiungimento familiare. Com’e` noto, infatti, il diritto al rispetto della vita fa- miliare, sancito dall’art. 8 Cedu, puo` essere fonte del- l’obbligo positivo dello Stato di consentire l’ingresso e la permanenza nel proprio territorio di uno stranie- ro 20. I principi elaborati dalla Corte europea dei di- ritti umani assumono, quindi, particolare rilevanza ai fini dell’interpretazione della norma ex art. 31, comma 3, del T.U. 21
15 Xxxxxxx, The Child’s Right to Family Unity in Interna- tional Immigration Law, in Law and Policy, 1995, 397 e segg., 420.
16 Corte eur. dir. uomo (GC), U¨ ner c. Paesi Bassi, ricorso
n. 46410/99, sentenza del 18 ottobre 2006, par. 47.
17 Comitato dei diritti umani, Madafferi c. Australia, Commu- nication No. 1011/2001, views del 26 giugno 2004.
18 Par. 9.8.
19 Comitato dei diritti umani, Winata c. Australia, Commu- nication No. 930/2000, views del 26 luglio 2001, par. 7.3.
20 Corte eur. dir. uomo, Xxxxxxxxx e al. c. Regno Unito, ricorsi nn. 9214/80; 9473/81; 9474/81, sentenza del 28 maggio 1985; Id., Gu¨ l c. Svizzera, ricorso n. 23218/94, sentenza del 19 feb- braio 1996; Id., Xxxxx x. Paesi Bassi, ricorso n. 73/1995, sen- tenza del 26 ottobre 1996.
21 Non e` questa la sede per esaminare i problemi posti dalle
La progressiva valorizzazione da parte della Corte di Strasburgo dell’interesse dei minori ha comportato una restrizione dell’ampio margine di discrezionalita` che l’art. 8 Cedu assicura alle autorita` statali nel pro- cedere al fair balance tra gli interessi contrapposti del- l’individuo e della societa` nel suo complesso, attraver- so l’individuazione di una serie di parametri che hanno arricchito il giudizio di bilanciamento.
La Corte ha osservato che il diniego di autorizzazione al ricongiungimento familiare non puo` essere conside- rato solo una questione di immigrazione 22, che gli Sta- ti, nel contrastare l’immigrazione irregolare devono ri- spettare i loro obblighi internazionali «au rang desquels se trouvent ceux ne´s de la Convention ainsi que de la Convention de New York de 1989 sur les droits de l’en- fant», indicando, altresı` che l’azione delle autorita` deve essere funzionale alla salvaguardia dell’interesse del minore quale garantito dall’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo 23. In particolare, la Corte ha considerato gli effetti del rifiuto di consentire l’ingres- so in rapporto allo sviluppo della vita familiare. In questa prospettiva sono state valutate le conseguenze che il diniego di ingresso produce sulla comunita` fa- miliare residua ovvero sul minore privato del rapporto con il genitore. Nel primo caso la Corte ha ritenuto che i Paesi Bassi abbiano omesso di realizzare un giusto equilibrio tra gli interessi in conflitto ponendo i geni- tori di fronte all’alternativa «d’abandoner la situation qu’ils avaient acquise aux Pays-Bas ou de renoncer a` la compagnie de leur fille aıˆne´e»24 e non prendendo in considerazione la condizione degli altri figli della cop- pia nati e cresciuti sul suo territorio. Nella seconda fattispecie, invece, la Corte ha ritenuto che «the eco- nomic well-being of the country does not outweigh the applicant’s rights under art. 8» e che fosse irrilevante la natura irregolare della presenza del genitore sul terri- torio dello Stato «in view of the far-reaching consequen- ces which an expulsion would have on the responsibili- ties which the first applicant has as a mother, as well as
on her family life with her young daughter, and taking into account that it is clearly in Xxxxxxx’x best interests for the first applicant to stay in the Netherlands»25.
Nel procedere al bilanciamento la Corte europea dei diritti umani utilizza quali parametri «l’aˆge des enfants concerne´s [...] leur degre´ de de´pendence par rapport a` des parents»26, cosı` come «the extent to which family life is effectively ruptured, the extent of the ties in the Con- tracting State, whether there are insurmountable ob- stacles in the way of the family living in the country of origin of one or more of them and whether there are factors of immigration control (for example, a history of breaches of immigration law) or considerations of public order weighing in favour of exclusion»27.
Questa giurisprudenza appare, peraltro, gravida di ulteriori sviluppi in quanto i giudici di Strasburgo han- no esteso ai casi di ricongiungimento familiare il prin- cipio secondo il quale il godimento della reciproca compagnia costituisce per i genitori e i figli un elemen- to fondamentale della vita familiare 28, ponendo cosı` le premesse per un processo di rivisitazione del siste- ma di protezione dei minori stranieri che privilegi la loro condizione di minore piuttosto che quella di stra- niero 29.
Proprio la considerazione della peculiare condizione di minore e` all’origine della sentenza resa nel caso Mu- bilanzila Xxxxxx e altri x. Xxxxxx 30 nella quale la Corte ha superato la presunzione della sua precedente giuri- sprudenza secondo la quale l’eta` di quindici anni rag- giunta dalla ragazza escludesse il bisogno di assistenza da parte dei genitori, attribuendo rilievo determinante all’esigenza di protezione assicurata dalla famiglia in rapporto al rischio di violazione dei suoi diritti fonda- mentali al quale la fanciulla era esposta nel Paese di origine.
5. Alla luce dei principi enucleati dal diritto all’unita` familiare appare piu` corretto ritenere che la ratio del- l’art. 31, comma 3, sia da individuare nella volonta` del
note sentenza della Corte costituzionale n. 348 e n. 349/2007 e, in particolare, la questione del vincolo che per il giudice interno deriva dalle pronunce della Corte di Strasburgo, questione sulla quale la Corte costituzionale e` tornata nelle recenti sentenze n. 311 e n. 317/2009. Il richiamo da noi fatto all’interpretazione della Corte europea dei diritti umani e del Comitato dei diritti umani nasce dal convincimento che l’osservanza degli obblighi internazionali esige non solo che i giudici diano applicazione alle norme internazionali che abbiano carattere self-executing, ma anche che interpretino il diritto interno in modo conforme alle regole internazionali e che a tal fine debbano tenere in considerazione la definizione del contenuto degli obblighi de- rivanti dalle convenzioni internazionali compiuta dagli organi creati dalle convenzioni stesse. Nell’ampia letteratura dedicata dalla dottrina alle sentenze della Corte costituzionale si rinvia a Conforti, La Corte costituzionale e gli obblighi internazionali dello Stato in tema di espropriazione, in Giur. It., 2008, 569 e segg.; Bartole, Integrazione e separazione della tutela costitu- zionale e convenzionale dei diritti umani, in Diritti umani e diritto internazionale, 2009, 291 e segg.; Xxxxxxxxxx, La Corte costi- tuzionale e l’adattamento dell’ordinamento italiano alla CEDU o a qualsiasi obbligo internazionale?, ibid., 301 e segg.; Xxxxxxx, Le norme della Convenzione europea dei diritti umani come norme interposte nel giudizio di legittimita` costituzionale delle leggi: problemi aperti e prospettive, ibid., 311 e segg.; Xxxxxxx, Convenzione europea dei diritti umani e ordinamento italiano. Una storia infinita?, ibid., 321 e segg., Padelletti, L’esecuzione
delle sentenze della Corte europea dei diritti umani tra obbli- ghi internazionali e rispetto delle norme costituzionali, ibid., 349 e segg.; Xxxxxxxxxx, Il bilanciamento tra diritti fondamen- tali e l’art. 117, 1o comma Cost., in Riv. Dir. Internaz., 2010, 128 e segg.
22 Corte eur. dir. uomo, Sen c. Paesi Bassi, ricorso n. 31465/ 96, sentenza del 21 dicembre 2001, par. 37.
23 Corte eur. dir. uomo, Xxxxxxxxxxx Xxxxxx e al. x. Xxxxxx, ricorso n. 13178/03, sentenza del 12 ottobre 2006, par. 83.
24 Corte eur. dir. uomo, Sen c. Paesi Bassi, cit. par. 41.
25 Corte eur. dir. uomo, Xxxxxxxxx da Xxxxx e al. c. Paesi Bassi, ricorso n. 50435/99, sentenza del 3 luglio 2006, par. 44.
26 Corte eur. dir. uomo, Sen c. Paesi Bassi, cit., par. 37.
27 Corte eur. dir. uomo, Xxxxxxxxx da Xxxxx e al. c. Paesi Bassi, cit., par. 39.
28 Corte eur. dir. uomo, Xxxxxxxxxxx Xxxxxx e al. x. Xxxxxx, cit., par. 75.
29 Cfr. Xxxxxx, Un enfant n’est pas un e´tranger comme les autres, in Revue trimestrielle des droits de l’homme, 2007, 823 e segg.; De Beco, Quels crite`res pour l’expulsion des e´trangers mineurs de´linquents?, in L’e´tranger face aux droits Carlier (dir.), Bruxelles, 2010, 447 e segg. che mette in evidenza il fatto che la Corte eur. dir. uomo [GC], Xxxxxx c. Austria, ricorso n. 1638/ 03, sentenza del 23 giugno 2008, ha assimilato i minori stranieri ai minori nazionali.
30 Corte eur. dir. uomo, Xxxxxxxxxxx Xxxxxx e al. x. Xxxxxx, ricorso n. 13178/03, sentenza del 12 ottobre 2006.
legislatore di offrire una tutela rafforzata all’interesse superiore del minore, ampliando lo spettro delle ipo- tesi in cui puo` essere garantito il rapporto dei fanciulli con i familiari per impedire che la separazione arrechi un grave pregiudizio alla crescita dei primi. Questa lettura ci sembra peraltro coerente con il sistema nor- mativo disegnato dal Titolo IV, se si considera che l’art. 31 contiene «disposizoni a favore dei minori» e che l’intera disciplina del titolo e` preordinata a garantire il diritto all’unita` familiare e a proteggere i fanciulli. Di- scende da quanto detto che deve preferirsi la tesi, pe- raltro sostenuta da una larga parte della giurispruden- za di merito 31, secondo la quale la nozione di gravi motivi non coincide con quella di ipotesi caratterizzata da eccezionalita` 32 e impone di valutare non il solo stato di salute, ma l’insieme di condizioni che sono necessa- rie a garantire lo sviluppo complessivo ed equilibrato della personalita` del minore, con la conseguenza che il giudice deve apprezzare in ogni singola vicenda gli effetti che il diniego di ingresso o l’allontanamento del genitore producono sullo stato psicofisico del fanciullo straniero, bilanciando l’interesse di questo con quello contrapposto dello Stato.
In ultimo, ci sembra opportuno sottolineare che la soluzione proposta sia in linea con il quadro normativo tracciato dall’ordinamento UE. Non puo` sotto questo profilo non rilevarsi che la Corte di cassazione abbia del tutto trascurato, anche in questo caso marcando
una netta differenza rispetto all’impostazione delle precedenti pronunce n. 22080/2009 e n. 823/2010, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, an- corche´, con il Trattato di Lisbona, abbia acquistato efficacia vincolante. Si deve, infatti, ricordare che l’art. 24 par. 2 della Carta assolutizza l’interesse superiore del bambino, stabilendo che debba essere considerato preminente. Questa assolutizzazione comporta, come e` stato rilevato in dottrina 33, in relazione alla successiva previsione del par. 3 che il diritto del bambino ai ge- nitori trovi applicazione anche in rapporto ai minori stranieri e che, pertanto, sugli Stati gravi l’obbligo po- sitivo di agire affinche´ il minore possa esercitare il di- ritto cosı` riconosciutogli.
A questa prima considerazione si deve inoltre ag- giungere che la Direttiva comunitaria sul ricongiungi- mento familiare 34 impone agli Stati l’obbligo di tenere nella dovuta considerazione l’interesse superiore dei minori nell’esame delle domande di ricongiungimento (art. 5 par. 5), nonche´, in caso di rigetto, la natura e la solidita` dei vincoli familiari della persona e la durata del suo soggiorno nello Stato membro (art. 17). La Corte di giustizia 35 ha sottolineato l’idoneita` di tali criteri ad assicurare la coerenza della disciplina con il sistema internazionale di protezione del diritto alla vita familiare e ha osservato che tali obblighi gravano sem- pre sulle autorita` statali nell’esercizio dei loro poteri discrezionali in sede di delibazione delle richieste di
31 Cfr. Trib. min. Venezia, 29 settembre 1998 (decr.), in Di- ritto, immigrazione e cittadinanza, 1999, 1, 180 e segg. il quale ha sottolineato che l’interpretazione della norma deve essere compiuta alla luce della Convenzione Onu sui diritti del fan- xxxxxx; Trib. min. Bologna, 8 marzo 2000 (decr.) e 3 luglio 2000 (decr.), ivi, 2001, 1, 162 e segg. che ritiene che il provvedi- mento di autorizzazione possa essere concesso affinche´ i geni- xxxx xxxxxxxx ai figli le cure per loro indispensabili sul presup- posto che il potere ex art. 31, comma 3, debba essere esercitato anche fuori dalle ipotesi di casi eccezionali; App. Perugia, 10 aprile 2002, in Giur. di Merito, 2003, 1260 e segg. relativa ad un caso in cui il minore era affetto da una malattia non adeguata- mente curabile nel Paese di origine; T.A.R. Bari, 20 agosto 2002, n. 6118, ibid., 147 e Trib. min. Bari, 14 agosto 2002 (de- cr.), in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2002, 4, 195 pro- nunce nelle quali si assume che i gravi motivi sono integrati dal grave pregiudizio psicologico di cui il minore soffrirebbe in caso di sradicamento dal nostro Paese; Id. Firenze, 20 maggio 2003 (decr.), ivi, 2003, 3, 156 secondo il quale nulla autorizza a limitare l’applicazione della norma ai soli casi di malattia orga- nica «anche ove non si consideri arbitraria tale distinzione»; Id. Milano, 31 luglio 2004 (decr.), ivi, 2004, 4, 176 che fa riferi- mento al danno per la crescita psicofisica del minore causato dall’espulsione dei suoi genitori; Id. Milano, 5 maggio 2004 (decr.), ibid., 3, 159 che ha osservato: «L’interesse superiore del fanciullo e` principalmente garantito dall’unita` familiare, cosı` come si legge nel preambolo nonche´ nell’art. 9 della Conven- zione e cosı` come si puo` desumere dallo stesso titolo IV del d.lgs. 286/98 che per l’appunto recita “diritto all’unita` fami- liare e tutela dei minori”, apparendo chiaro anche al legislatore del 1998 come i due aspetti siano strettamente collegati»; Id. Milano, 31 luglio 2004 (decr.), cit. che richiama anche il gene- rale divieto di espulsione dei minori stabilito dall’art. 19, comma 2, T.U.; App. Bari, Sez. min., 31 dicembre 2001 (decr.), in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2002, 1, 179 fa riferi- mento ai principi costituzionali in materia di protezione dei minori, assunti quali parametri di ricostruzione della nozione di gravi motivi; Proc. Rep. presso il Trib. min. Piemonte e della Valle d’Aosta, 28 gennaio 2004 (ricorso), ivi, 2004, 3, 157 e Trib. min. Sassari, 13 dicembre 2005 (decr.), ivi, 2006, 2, 164
richiamano i principi di salvaguardia dell’unita` familiare intro- dotti dall’art. 1 della legge n. 184/1983; App. Napoli, 9 feb- braio 2005 (decr.), ivi, 2005, 3, 181 e Trib. min. Milano, 7
marzo 2005 (decr.), ibid., 2, 180 osservano che l’art. 31, comma 3, T.U. e` un’applicazione dell’art. 3 della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo e del principio per il quale l’interesse supe- riore del minore prevale anche sull’esigenza di tutela del terri- torio nazionale; Trib. min. Milano, 13 dicembre 2007 (decr.), ivi, 2008, 2, 172 e Id. Milano, 9 luglio 2008 (decr.), ivi, 2009, 1, 222 affermano che «i gravi motivi devono corrispondere alla necessita` di non privare traumaticamente il fanciullo della frui- zione di diritti fondamentali riconosciuti dalla legge» tra cui il diritto all’unita` familiare e a completare gli studi; Id. Trieste, 21 febbraio 2007 (decr.), ivi, 2007, 2, 184 fa riferimento alle con- seguenze che sul minore produce il distacco dai genitori espulsi o lo sradicamento dall’ambiente in cui questi e` cre- sciuto qualora segua i genitori. In dottrina Xxxxxxx, Diritto all’unita` familiare e tutela dei minori. Profili generali e costitu- zionali, in Diritto degli stranieri, cit., 861 e segg., 891 ha soste- nuto che la locuzione utilizzata dal legislatore allude a qualsiasi elemento, non solo di carattere patologico, che possa grave- mente incidere sulla crescita del minore e ha richiamato i prin- cipi costituzionali e internazionali in materia di responsabilita` dei genitori verso i figli.
32 Cfr. Cottatellucci-Villa, Una sentenza che viene da
lontano: la Corte di cassazione conferma l’applicazione dell’art. 31 co. 3 per tutelare nella sua integrita` lo sviluppo psico-fisico dei minori stranieri, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2010, 109 e segg., 113, osservano che grave ed eccezionale sono ter- mini che appartengono a semantiche diverse perche´ relativi a soggetti diversi: eccezionale indica la deroga alla regola, grave il pregiudizio patito dal minore.
33 Cfr. Xxxxxx, Articolo 24, in L’Europa dei diritti a cura di Xxxxxxx, Cartabia, Celotto, Bologna, 2001, 195 e segg., 194 e segg.
34 Dir. 2003/86/CE del Consiglio del 22 settembre 2003 re- lativa al diritto al ricongiungimento familiare, in Gazz. Uff., L 251/12 del 3 ottobre 2003.
35 Corte giust. CE, sentenza del 27 giugno 2006, in causa C-540/03, Parlamento x. Xxxxxxxxx.
74 Diritto Civile | VALUTAZIONE INTERESSI
ricongiungimento, ampliando il novero dei parametri che devono essere tenuti in considerazione rispetto alle previsioni nazionali 36.
Il passo indietro compiuto dalla Corte di cassazione con la sentenza esaminata rispetto alla sua piu` recente giurisprudenza si e` realizzato, dunque, attraverso lo svuotamento del contenuto degli obblighi internazio- nali in materia di protezione dei diritti fondamentali dei minori stranieri. La chiusura al dialogo con gli or- gani convenzionali internazionali da parte di un giudi- ce che ha, invece, in altre materie mostrato grande sensibilita` rispetto alle acquisizioni maturate a livello internazionale sul terreno della tutela dei diritti, ali- menta il timore che la peculiarita` degli interessi coin- volti, la politica dell’immigrazione e l’intangibilita` delle frontiere, abbiano finito per condizionare l’operato della Corte.
Xxxxx Xxxxx
VALUTAZIONE INTERESSI
Cassazione civile, III Sezione, 9 marzo 2010,
n. 5671 — Preden Presidente — Xxxxxxx Xxxxxxxx — Finocchi Ghersi P.M. (diff.) — Sansoni (avv. Giam- marino) - AXA Assicurazioni (avv. Incanno`).
Interessi — Risarcimento danni — Fatto illecito — Interessi compensativi — Valutazione equitativa (C.c. artt. 1226, 2056).
In caso di risarcimento del danno da fatto illecito, gli interessi compensativi devono essere calcolati progressi- vamente nell’intervallo di tempo intercorso tra il pro- dursi del danno e la sua liquidazione o in base ad indici medi di rivalutazione monetaria o in base ad un indice medio individuato in via equitativa dal giudice (1).
Omissis. — 3.1. Diversa e` la questione relativa ai c.d. interessi compensativi sulla somma liquidata.
In tema di risarcimento del danno da fatto illecito extra- contrattuale le ragioni creditorie non possono ritenersi sod- disfatte dalla mera attualizzazione (eventualmente con il cri- terio della rivalutazione) della somma dovuta, in termini mo- netari che tengano conto della svalutazione monetaria inter- venuta fino alla data della decisione definitiva, essendo do- vuto al danneggiato anche il danno da ritardo e cioe` il lucro cessante provocato dal ritardato pagamento di detta somma. Gli interessi compensativi in questione adempiono quindi solo alla funzione di tecnica liquidatoria del danno da ritar- do. Nella obbligazione risarcitoria da fatto illecito, gli inte- ressi non possono essere calcolati dalla data dell’illecito sulla somma liquidata per capitale e rivalutata sino al momento della decisione, dovendo, invece, essere computati o con
riferimento ai singoli momenti riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente per effetto dei prescelti indici medi di rivalutazione monetaria, ovvero anche in base ad un indice medio, tenuto conto che la liquidazione del danno da ritardo rientra pur sempre nello schema liquidatorio di cui all’art. 2056 c.c., in cui e` ricom- presa la valutazione equitativa del danno stesso ex art. 1226 c.c. (Cass. 24/10/2007, n. 22347; Cass. 23/01/2006, n. 1215).
3.2. Quindi, proprio al fine di individuare il percorso lo- gico argomentativo seguito dal giudice, nonche´ il rispetto del predetto principio in tema di liquidazione del danno da ri- tardo con la tecnica degli interessi compensativi, gli stessi vanno specificamente enucleati dal giudice rispetto alla li- quidazione della somma attualizzata, fissata come equivalen- te del danno subito.
Anche in questo caso di attualizzazione della somma li- quidata il risarcimento del danno da ritardo puo` avvenire attraverso la liquidazione di interessi ad un tasso stabilito dal giudice del merito, valutando tutte le circostanze del caso, ma gli interessi non possono essere calcolati dalla data del- l’illecito sulla somma rivalutata, perche´ la somma dovuta
— il cui mancato godimento va risarcito — va aumentata gradualmente nell’intervallo di tempo occorso tra la data del sinistro e quella della liquidazione (Cass. 03/08/2005, n. 16237).
3.3. In definitiva, quanto al motivo di appello relativo alla censurata mancata corresponsione degli interessi legali dalla data del sinistro sulla somma liquidata, la sentenza impugna- ta avrebbe dovuto esaminare la domanda di risarcimento per il ritardato pagamento della somma dovuta, ed, ove l’avesse ritenuto sussistente e risarcibile con il criterio di liquidazione degli interessi compensativi (S.U. 17 febbraio 1995, n. 1712), gli stessi, pur decorrendo dal giorno del sinistro, avrebbero dovuto essere commisurati non all’importo del danno liqui- dato all’attualita`, ma a tale importo, progressivamente rag- giunto nel tempo intercorso tra il prodursi del danno e la sua liquidazione.
Va quindi accolta la censura sul punto, poiche´ a questo principio di diritto non si e` attenuta la sentenza impugnata (e dovra`, invece, uniformarsi ad esso il giudice di rinvio). — Omissis.
(1) La sentenza conferma il consolidato orienta- mento della suprema Corte di Cassazione 1 secon-
do il quale, in caso di obbligazione risarcitoria da fatto illecito, gli interessi compensativi rappresentano una tecnica liquidatoria del danno da ritardo, ossia del lu- cro cessante provocato dal ritardato pagamento della somma dovuta al danneggiato. A riguardo, la suprema Corte ha specificato che il calcolo di tali interessi non deve essere commisurato dalla data dell’illecito sulla somma rivalutata all’attualita` ma la somma dovuta de- ve, invece, essere individuata progressivamente nell’in- tervallo di tempo intercorso tra la data dell’illecito e la sua liquidazione, sulla base di un tasso di interessi sta- bilito equitativamente dal giudice.
Questo orientamento giurisprudenziale e` stato for- temente criticato da una parte della dottrina 2 la quale
36 App. Napoli, 9 febbraio 2005 (decr.), cit. ha fatto riferi- mento alla direttiva comunitaria, mentre il Trib. min. Piemonte e Valle d’Aosta, 24 maggio 2007 (decr.) e 31 maggio 2007 (decr.), in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 4, 2007, 169 e segg. ha richiamato i principi enunciati nel D.Lgs. n. 5/2007, che ha dato attuazione alla direttiva comunitaria sul ricongiungimento fa- miliare, per profilare un’interpretazione estensiva della norma del T.U. sull’immigrazione.
1 X. Xxxx. 00 febbraio 2008, n. 3268, in Nuova Giur. Comm., 2008; Cass. 24 ottobre 2007, n. 22347, in Mass. Giur. It., 2007;
Cass. 23 gennaio 2006, n. 1215, in Mass. Giur. It., 2006 e in Arch. Giur. Circolaz., 2007; Cass. 28 luglio 2005, n. 15823, in Rep.
Giur. It, 2005; Cass. 26 ottobre 2004, n. 20742, in Arch. Giur.
Circolaz., 2005; Cass. 22 ottobre 2004, n. 20591, in Foro It.,
2005; Cass. 10 agosto 0000, x. 00000, in Mass. Giur. It., 2004; Cass. 17 febbraio 1995, n. 1712, in Giust. Civ., 1995 e in Foro It., 1995.
2 V. C. M. Xxxxxx, Dell’inadempimento delle obbligazioni, in Comm. C.C. a cura di Xxxxxxxx Xxxxxx,1979; Xxxxxxxxx, Obbli- gazioni pecuniarie, in Comm. C.C. a cura di Xxxxxxxx, Branca, 1959.
Diritto Civile | ACQUISTO DALL’EREDE APPARENTE 75
ritiene che, in caso di risarcimento del danno extra- contrattuale, il debitore, fin dal momento del verificar- si dell’illecito, e` costituito in mora ai sensi del combi- nato disposto degli art. 1219 c.c. n. 1 e art. 1224 c.c. Secondo tale impostazione teorica, quindi, gli interessi de quo si configurerebbero come moratori e non, inve- ce, come compensativi. Tale tesi dottrinaria e` stata messa in dubbio da altra parte della dottrina 3 che, dando man forte all’orientamento giurisprudenziale, non solo ha sottolineato che l’art. 1224 c.c. non e` men- zionato dall’art. 2056 c.c., norma che disciplina diret- tamente il risarcimento del danno, ma ha anche messo in evidenza il collegamento tra danno da ritardo e prin- cipi generali sulla responsabilita` extracontrattuale. In- fatti, mentre gli interessi moratori sono legati ad un danno imputabile al debitore che ritarda nell’adempie- re alla propria prestazione nei termini dovuti, gli inte- ressi compensativi, invece, riguardano un danno che non e` direttamente imputabile al debitore ma che, co- munque, egli e` tenuto a risarcire per il solo fatto che il creditore danneggiato potra` disporre solo con grande ritardo della somma di denaro destinata a risarcire il danno subito. In questo contesto, quindi, gli interessi compensativi rappresentano una mera tecnica liquida- toria del danno da ritardo e trovano, secondo l’orien- tamento consolidato della suprema Corte, la loro esatta collocazione all’interno della normativa risarcitoria (art. 2056 c.c.) e non, invece, in quella delle obbliga- zioni pecuniarie (art. 1224c.c.).
ACQUISTO DALL’EREDE APPARENTE
Cassazione civile, II Sezione, 4 febbraio 2010,
n. 2653 — Rovelli Presidente — Xxxxxxxxx Xxxx- tore — Xxxxx P.M. (conf.) — Zoppis ed altri (avv.ti Xxxxx, Xxxxxxxx) - Antoniolo (avv.xx Xxxxxxxx, Pa- triarca).
Successione — Erede apparente — Acquisto dal — Prova (C.c. art. 534, comma 2).
In caso di acquisto dall’erede apparente, la salvezza dei diritti acquistati dal terzo per effetto di convenzione a titolo oneroso e` subordinata all’assolvimento dell’onere di provare la propria buona fede all’atto dell’acquisto, dimostrando l’idoneita` del comportamento dell’alienan- te ad ingenerare la ragionevole convinzione di trattare con il vero erede, nonche´ l’esistenza di circostanze indi- cative dell’ignoranza incolpevole circa la realta` della si- tuazione ereditaria al momento dell’acquisto (1).
Omissis. — La Corte territoriale, premesso come ele- mento emergente documentalmente che Roberto An- toniolo era erede di Xxxxx Xxxxxxxxx e titolare di una quota pari ad un terzo delle compartecipazioni sociali del “de cuius” nella s.r.l. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxxxx, e confermato l’in- quadramento della domanda proposta dall’Antoniolo nel- l’ambito della petizione ereditaria conformemente a quanto gia` ritenuto dal giudice di primo grado, ha rilevato che gli appellanti non avevano fornito idonea prova ai sensi dell’art.
534 x.x., xxxxx 0 xxxxx xxxxxxxxxx xxxxx xxxx xxxxx fede incolpevole al momento dell’acquisto delle suddette quote; a tal fine la sentenza impugnata ha ritenuto insufficiente il riferimento alla mancata iscrizione dell’Antoniolo nel libro soci, atteso che cio` non escludeva l’applicabilita` del menzio- nato art. 534 c.c. e che tale mancata iscrizione non costituiva indice assoluto della buona fede del terzo.
Il giudice di appello poi, ritenute non determinanti le de- posizioni richiamate dagli appellanti, ha anzi evidenziato al- cuni elementi probatori — gia` rimarcati dal giudice di primo grado a riprova della malafede degli Zoppis — correlati al loro coinvolgimento nelle vicende della s.r.l. Antoniolo de- sumibile dalla documentazione in atti, ai rapporti familiari esistenti tra le parti nonche´ alle risultanze evincibili dalla deposizione resa dalla figlia dell’appellato Xxxxxxxx Xxxx- xxxxx, attestante la consapevolezza degli appellanti circa le ripetute richieste avanzate dal di lei padre di iscrizione nel libro soci.
Infine la sentenza impugnata ha rilevato comunque la mancanza di prove in ordine alla inescusabilita` della pretesa ignoranza addotta dagli Zoppis con riferimento alla perdu- rante intestazione delle quote, nella misura di un terzo, in capo all’Antoniolo.
Orbene alla luce delle argomentazioni sopra riportate of- ferte dalla Corte territoriale occorre rilevare che quest’ulti- ma ha proceduto ad un accertamento di fatto in ordine alla assenza di buona fede da parte di Xxxxxxx e Xxxxxxxx Xxxxxx all’atto dell’acquisto delle quote della suddetta s.r.l. sorretto da congrua e logica motivazione, come tale insindacabile in questa sede, dove i ricorrenti da un lato non appaiono suf- ficientemente consapevoli dell’onere probatorio posto a loro carico dall’art. 534 secondo comma c.c., e dall’altro tendono inammissibilmente a prospettare una diversa valutazione delle risultanze probatorie ad essi piu` favorevole.
Sotto un primo profilo invero ai sensi della disposizione ora menzionata il terzo avente causa a titolo oneroso dal- l’erede apparente (come nella specie Xxxxxxx e Xxxxxxx Xxx- pis per quanto riguarda l’acquisto della quota societaria di cui era titolare l’Antoniolo) ha l’onere di provare la sua buo- na fede, consistente nella dimostrazione dell’idoneita` del comportamento dell’alienante ad ingenerare la ragionevole convinzione di trattare con il vero erede, nonche´ dell’esisten- za di circostanze indicative dell’ignoranza incolpevole di es- so acquirente circa la realta` della situazione ereditaria al momento dell’acquisto (Cass. 9-7-1980 n. 4376); pertanto e` ininfluente l’affermazione dei ricorrenti circa la conoscibilita` da parte dell’Antoniolo del fatto che le quote della predetta
s.r.l. erano intestate fin dal 31-12-1993 a Xxxxxxx Xxxxxxxxx e Xxxxxxxxxx Xxxxxxx, laddove invece il punto decisivo della controversia e` costituto dall’onere probatorio a carico degli Zoppis in ordine alla loro buona fede nei termini sopra chia- riti. — Omissis.
(1) I fatti di causa relativi alla pronuncia in com- mento riguardavano la vicenda subita da un sog- getto titolare di alcune quote di societa`, ereditate in parti uguali con la madre e la sorella in seguito all’aper- tura della successione paterna. La madre e la sorella dell’attore cedevano a titolo oneroso ai figli della se- conda l’intera quota di partecipazione a suo tempo detenuta dal de cuius, la quale ammontava alla quasi totalita` del capitale sociale, dichiarando all’atto della
cessione di essere le uniche socie della predetta societa`. Per l’effetto, il coerede delle due danti causa citava in giudizio i propri nipoti e chiedeva in via principale la restituzione, ex art. 534 c.c., della quota societaria ri-
xxxxxx in eredita` dal padre.
0 X. Xx Xxxx, Xx obbligazioni pecuniarie, 1996; Libertini, voce “Interessi”, in Enc. Dir., 1972. Gazzoni, Manuale Dir. Priv., 2007.
I convenuti costituitisi in giudizio assumevano di aver acquistato le quote sociali in buona fede, atteso che l’attore non era indicato come socio nelle scritture contabili della societa`, ma in primo grado risultavano soccombenti. Avverso il rigetto del gravame proposto nei confronti di tale pronuncia, gli stessi proponevano ricorso in cassazione.
La questione si inserisce in un esiguo ma consolidato filone giurisprudenziale, il quale afferma, in aderenza alla lettera dell’art. 534, comma 2, c.c., che il terzo avente causa a titolo oneroso dall’erede apparente, il quale voglia fare salvo il proprio acquisto, ha l’onere di provare la propria buona fede, attraverso la dimostra- zione dell’idoneita` del comportamento dell’alienante ad ingenerare la ragionevole convinzione di trattare con il vero erede, nonche´ dell’esistenza di circostanze indicative dell’ignoranza incolpevole di esso acquiren- te circa la realta` della situazione ereditaria al momento dell’acquisto 1. Con riferimento al caso di specie, la suprema Corte ha condiviso l’avviso dei giudici di me- rito, i quali avevano affermato che sussisteva un obbli- go di indagine ulteriore a carico dei convenuti, rispetto al mero esame del libro soci. La Cassazione aderisce alla statuizione data in secondo grado, secondo la quale e` insufficiente il richiamo alla mancata iscrizione del vero erede nel libro soci, che non costituisce indice assoluto della buona fede del terzo, cosicche´ deve ri- tenersi che non sia stata fornita idonea prova da parte dei ricorrenti circa la propria buona fede nell’acquisto delle quote in questione; mancanza di prova corrobo- rata, oltretutto, dallo stretto rapporto di parentela tra coloro che avevano ceduto le quote e gli esponenti. L’orientamento ricordato dalla suprema Corte va inte- grato con il principio, espresso da altro arresto, per il quale, a norma dell’art. 534 c.c., la buona fede del sog- getto che acquista dall’erede apparente non e` presunta, ma deve essere provata attraverso atti o fatti certi che ri- velino positivamente la buona fede e non siano compa- tibili con un intento di mala fede; non adempie pertanto al suo onere probatorio la parte che si limiti a dimostrare l’insufficienza degli elementi per ritenere la mala fede, in quanto tale insufficienza non puo` essere convertita in una
prova di buona fede assolutamente coerente2.
La Corte di cassazione aderisce quindi alla applica- zione, da parte della sentenza impugnata, dei principi espressi in materia dalla giurisprudenza di legittimita` circa la interpretazione della norma richiamata, argo- mento che ha anche ispirato alcuni contributi della dottrina 3.
RESPONSABILITAv DEL MEDICO
Cassazione civile, III Sezione, 4 gennaio 2010,
n. 13 — Xxxxxxx Presidente — Filadoro Relatore
— Apice P.M. (conf.) — Gestione liquidatoria Usl Spoleto (avv.ti Sassani, Xxxxxxx, Tarantini) - U.L.U.,
A.R. (avv. Maccarrone) e altri.
Responsabilita` civile — Professionisti — Attivita` medico-chirurgica — Inadempimento del medico — Mancata informazione relativa alla presenza di gravi malformazioni nel feto — Nesso causale con la man- cata interruzione della gravidanza — Configurabilita` (C.c. art. 2236; L. 22 maggio 1978, n. 194, artt. 6, 7). Responsabilita` civile — Professionisti — Attivita` medico-chirurgica — Inadempimento del medico — Xxxxxxxxxxx — Mancata interruzione di gravidanza
— Condizioni legittimanti l’aborto — Xxxxx alla sa- lute della madre — Possibilita` di vita autonoma del feto — Nozione (C.c. art. 2236; L. 22 maggio 1978, n. 194, artt. 6, 7).
Responsabilita` civile — Professionisti — Attivita` medico-chirurgica — Responsabilita` per mancata in- terruzione della gravidanza — Xxxxx xxxxxxxxxxx — Xxxxxx — Xxxxx comunque riconnesso all’inadem- pimento — Configurabilita` (C.c. artt. 1218, 1223, 1225, 1227).
L’omessa rilevazione, da parte del medico specialista, della presenza di gravi malformazioni nel feto, e la cor- relativa mancata comunicazione di tale dato alla gestan- te, deve ritenersi circostanza idonea a porsi in rapporto di causalita` con il mancato esercizio, da parte della donna, della facolta` di interrompere la gravidanza, in quanto deve ritenersi rispondente ad un criterio di regolarita` causale che la donna che si trovi nelle condizioni di legge per l’esercizio del diritto all’aborto, ove adeguatamente e tempestivamente informata della presenza di una mal- formazione atta ad incidere sulla estrinsecazione della personalita` del nascituro, preferisca non portare a termi- ne la gravidanza (1).
Salvo il caso di grave pericolo di vita per la donna, dopo il novantesimo giorno di gravidanza, la gestante puo` esercitare il diritto alla interruzione di gravidanza, ai sensi del combinato disposto degli art.6e 7, comma 3, L. 22 maggio 1978, n. 194, laddove non ricorra pericolo di vita per la madre, solo in presenza di una condizione positiva di legge, costituita dal pericolo di grave danno alla salute della madre, che va letto come pericolo anche per la sola salute psichica della stessa, e di una condizione negativa, costituita dall’insussistenza di possibilita` di vi- ta autonoma per il feto, ambedue da verificare nel mo- mento in cui il medico ha mancato di tenere il compor- tamento che da lui ci si doveva attendere (2).
In tema di responsabilita` del medico (o della struttura sanitaria) per omessa diagnosi di malformazioni del feto e conseguente nascita indesiderata, trattandosi di ina- dempimento contrattuale, il danno al cui risarcimento il debitore e` tenuto non e` solo quello alla salute subito da ambedue i coniugi, ma ogni danno comunque qualifica-
1 Cass., 9 luglio 1980, n. 4376. Per il merito, x. Xxxx. Xxxx, Xxx. X, 0 ottobre 2006, n. 2479. L’interpretazione dell’art. 534 c.c. e` stata oggetto anche delle riflessioni della dottrina. Tra le opere recenti, si ricordano Xxxxxxxx, in Trattato di diritto delle suc- cessioni e donazioni a cura di Xxxxxxxx, Milano, 2009, I, La suc- cessione ereditaria, 1479 e segg.; Xxxxxxx, in Trattato breve delle Successioni e Donazioni a cura di Xxxxxxxx, Ieva, Padova, 2010, 524 e segg., nonche´ Astuni, in Commentario del Codice civile -
Delle Successioni, I, Artt. 456-564, diretto da Xxxxxxx, Cuffaro, Torino, 2010, 493 e segg.
2 Cass., 25 giugno 1981, n. 4130, in Rep. Giur. It., 1981, voce “Successione”, n. 35.
3 Nelle riviste, v. anche Xxxxx, Apparenza nella posizione ere- ditaria e nella vocazione, in Vita Notar., 2003, 475; Xxxxxxx, in Riv. Notar., 2004, 548 in nota a Cass., 24 giugno 2003, n. 10014, massimata in Rep. Giur. It., 2003, voce “Successione”, n. 80.
bile che sia conseguenza immediata e diretta dell’ina- dempimento in termini di causalita` adeguata. (Nella fat- tispecie, la Cassazione ha confermato l’orientamento del giudice di seconde cure, che aveva individuato il danno non patrimoniale da “rovesciamento forzato dell’agen- da” e il danno patrimoniale consistito in tutte le spese di mantenimento della persona nata con malformazioni, e non solo del “differenziale” tra la spesa necessaria per il mantenimento di un figlio “sano” e la spesa per il man- tenimento di un figlio affetto da malformazione) (3).
Omissis. — I giudici di appello hanno ricostruito nel modo seguente i fatti di causa, sulla base delle testi- monianze rese, della consulenza tecnica di ufficio disposta in grado di appello e della documentazione versata nel giudizio
di primo grado:
— la A. era stata ricoverata all’ottava settimana di gravi- danza dall’(omissis) presso l’Ospedale civile di (omissis), nel reparto diretto dal prof. Ar.;
— in quella occasione, la patologia dalla quale era affetto il feto non era in alcun modo riscontrabile attraverso l’inda- gine ecografica eseguita (secondo quanto accertato dal c.t.u.):
— il prof. Ar. aveva visitato la A. nei primi giorni dell’(o- missis) e le aveva prescritto una ecografia da eseguire nel piu` breve tempo possibile;
— l’esame ecografico era stato fissato dalla struttura ospe- daliera al (omissis);
— eseguita l’ecografia, la stessa non aveva rivelato la pa- tologia da cui il feto era affetto;
— la diagnosi di malformazione era stata effettuata a se- guito della successiva ecografia, effettuata il (omissis);
— il (omissis) era nata la bambina, affetta da agenesia all’arto inferiore destro e focomelia all’arto inferiore sinistro.
La Corte territoriale ha escluso qualsiasi responsabilita` del prof. Ar.
Questi, infatti, aveva prescritto l’ecografia con ragionevole anticipo e se la stessa fosse stata eseguita tra la ventesima e la ventiduesima settimana (come previsto dall’apposito proto- collo) e con adeguata perizia, non si sarebbe verificato alcun errore diagnostico.
I giudici di appello hanno, parimenti, escluso una respon- sabilita` del medico radiologo, osservando che lo stesso era assente nel giorno in cui era stato effettuato l’esame ecogra- fico.
Tanto premesso, riformando sul punto la decisione di pri- mo grado, i giudici di appello hanno rilevato che la respon- sabilita` della tardiva diagnosi della malformazione doveva essere attribuita alla ASL di (omissis), da cui dipendeva l’ospedale presso il quale era stata eseguita l’ecografia del (omissis).
La Corte territoriale ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte, per la quale la relazione che si instaura tra la struttura sanitaria ed il paziente da` luogo ad un rapporto di tipo contrattuale, quand’anche fondato sul solo contatto so- ciale, sicche´ in base alla regola prevista dall’art. 1218 c.c., il paziente ha l’onere di allegare la inesattezza dell’inadempi- mento e non, invece, la colpa — ne´ tanto meno la sua gravita`
— da parte della struttura sanitaria, mentre spetta alla con- troparte la dimostrazione della non imputabilita` dell’ina- dempimento.
Il punto fermo dal quale occorreva partire, dunque, era che la ASL risponde della prestazione fornita a titolo di inadempimento contrattuale.
La coppia U.L.-A. era rimasta vittima di un duplice ina- dempimento: una disfunzione organizzativo-strutturale senz’altro comune, ma non per questo tollerabile, ed un errore professionale colossale.
Sotto il primo aspetto, occorreva rilevare che la ecografia richiesta dal ginecologo avrebbe dovuto essere effettuata, nell’osservanza dei parametri comunemente accettati, indi- cati anche nella consulenza tecnica, dalla ventesima alla ven-
tiduesima settimana, mentre era stata effettuata — anche se richiesta tempestivamente in data (omissis), come risultava dalla documentazione in atti — solo il (omissis) ossia intorno alla ventottesima settimana, dunque con un ritardo di circa due mesi sul dovuto.
Inoltre la ecografia del gennaio 1990 era stata male inter- pretata. — Omissis.
3.2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1218 c.c., insufficiente e con- traddittoria motivazione su un punto decisivo della contro- versia (art. 360 c.p.c., nn.3e 5).
I giudici di appello avevano ritenuto che l’inadempimento imputabile all’Ospedale di (omissis) fosse consistito non solo nella mancata diagnosi di malformazioni fetali al momento della esecuzione dell’ecografia del (omissis), ma anche nella ritardata effettuazione di tale esame.
Si tratterebbe, secondo la Gestione ricorrente, di un rim- provero del tutto ingiustificato, in quanto basato su una ri- costruzione dei fatti chiaramente contraddetta da tutte le risultanze istruttorie, acquisite al processo. Nessun inadem- pimento o ritardo nell’adempimento era imputabile al- l’Ospedale di (omissis) e dunque alla USL, in conseguenza del ritardo nella effettuazione della (seconda) ecografia del (omissis).
Infatti, ricorda la ricorrente, sin all’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, gli appellanti avevano dichiarato che non vi era “prescrizione con carattere di urgenza del- l’esame ecografico del (omissis)” ed avevano imputato la re- sponsabilita` di tale omissione al prof. Ar., in tal modo esclu- dendo qualsiasi ritardo nella esecuzione della ecografia, im- putabile alla ASL. Il motivo, cosı` articolato, non e` pero` per- tinente, perche´ non coglie, sul punto, la ratio assorbente del decisum. A tenore della quale costituiva circostanza del tutto irrilevante che la richiesta di ecografia avanzata dal consul- torio di B. contenesse — o meno — la indicazione della urgenza dell’esame.
I giudici di appello hanno sottolineato che esistendo un
normale protocollo, alla stregua del quale la c.d. ecografia “morfologica” doveva essere effettuata dalla ventesima alla ventiduesima settimana (secondo quanto chiarito dal c.t.u.) essa avrebbe dovuto essere disposta entro quell’arco tempo- rale non gia` per la allegazione di specifiche ragioni di urgen- za, ma per le caratteristiche proprie dell’esame da compiere. In ordine a tale punto della decisione non e` stata sollevata alcuna censura da parte della ricorrente. E, sotto altro pro- filo, la Corte territoriale ha, del resto, precisato che la ASL non aveva affatto dimostrato — come pure sarebbe stato suo preciso onere — di non aver potuto effettuare in precedenza l’esame ecografico richiesto per la indisponibilita` di mezzi.
3.3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione
e/o falsa applicazione degli artt. 1218, 2043 e 2697 c.c., L. 22 maggio 1978, n. 194, artt.6e 7, nonche´ insufficiente o con- traddittoria motivazione su fatti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., nn.3e 5).
Al momento della ecografia del (omissis), la A. era ben oltre il 90o giorno e dunque la scelta abortiva non poteva considerarsi affidata alla libera autodeterminazione della donna, ma al preventivo accertamento di specifiche e rigo- rose condizioni (la interruzione della gravidanza puo` essere praticata solo: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna, ovvero, b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che deter- minino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna). Quando sussiste la possibilita` di vita autonoma del feto, la interruzione della gravidanza puo` essere praticata solo nel caso di cui all’art. 6, lett. a), e il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguarda- re la vita del feto.
La sentenza della Corte perugina si basava su alcune con-
siderazioni del tutto astratte e disancorate dal caso concreto, finendo dunque per introdurre un inammissibile automati- smo tra la presenza delle malformazioni e il danno grave alla salute.
Nel caso di specie, rileva ancora la ricorrente, alla A. non era stato riscontrato alcun processo patologico in grado di determinare grave pericolo per la sua salute, ne´ al momento in cui la stessa venne a conoscenza delle malformazioni della figlia (omissis) ne´ successivamente al parto, tanto che la stes- sa Corte territoriale non aveva riconosciuto alla stessa l’esi- stenza di un danno biologico.
Da censurare era, infine, il ragionamento attraverso il qua- le i giudici di appello erano giunti alla conclusione che in ogni caso il feto, nel caso di specie, non avesse possibilita` di vita autonoma.
Contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impu- gnata, al momento della esecuzione della ecografia del (omis- sis), l’A. era oramai al settimo mese di gravidanza, con la conseguenza che il feto aveva raggiunto quel grado di ma- turita` che gli avrebbe consentito di mantenersi in vita e di completare il suo processo di formazione anche fuori del grembo materno.
Anche questo motivo, pero`, e` privo di fondamento.
La L. n. 194 del 1978, dispone che dopo i primi novanta giorni l’interruzione volontaria della gravidanza puo` essere praticata:
a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna (art. 6 lett. a) — in questo caso e solo in questo l’interruzione puo` essere praticata an- che se sussiste la possibilita` di vita autonoma del feto, ma allora il medico che esegue l’intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardarla (art. 7, comma 3);
b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del feto, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna — ma, come si e` visto, qui l’interruzione non puo` essere praticata, se per il feto sussiste la possibilita` di vita autonoma.
Il giudice di primo grado, dopo aver considerato che du- rante la gravidanza non s’era mai presentato per la gestante alcun pericolo, ha anche escluso che la nascita del figlio malformato avesse determinato nella madre l’insorgere di gravi processi patologici capaci di metterne in pericolo la vita. Il Tribunale ha rilevato che “il disporre oggi ... una consulenza tecnica diretta ad accertare se vi sia stato un pregiudizi o del tipo detto e se questo potesse essere in tutto o in parte evitato con una informazione trasmessa circa tre mesi prima dal parto (anziche´ uno soltanto) significherebbe fare opera soltanto esplorativa con scarsissime possibilita` di apprezzabile successo”.
La Corte d’appello ha ritenuto di non poter seguire le
considerazioni svolte dal giudice di primo grado ed ha os- servato come la legge stessa (art. 6 cit.) preveda che “rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro” possano gravemen- te influire sulla salute psichica della donna ed ha concluso che nella specie doveva indubbiamente riconoscersi — con un giudizio da formularsi nella prospettiva di prognosi po- stuma — altamente probabile che la conoscenza della gra- vissima patologia dalla quale il feto era affetto, nel periodo ricompreso tra la ventesima e la ventiduesima settimana, o tutt’al piu` , alla data del (omissis), avrebbe determinato il pericolo di una reazione depressiva e, dunque, avrebbe po- sto a repentaglio la salute psichica della donna. E che la stessa avrebbe ottenuto il consenso medico alla interruzione della gravidanza, qualora fosse stata correttamente informa- ta dal professionista sulle malformazioni del feto.
Siccome il grave pericolo per la salute, non per la vita della
xxxxx, xxx` interessare anche solo la sua salute psichica e siccome questo pericolo puo` derivare da un processo pato- logico innescato dal fatto di sapere che il figlio da lei xxxxx- xxxx presenta, e xxxxxx` nascerebbe, con rilevanti anomalie o malformazioni, inerisce alla situazione descritta che la donna conosca tale condizione del nascituro.
Per cui — come del resto questa Corte ha gia` avvertito nella sentenza 1 dicembre 1998 n. 12195 e 10 maggio 2002
n. 6735 — quante volte si tratta di stabilire non se la donna possa esercitare il suo diritto di interrompere la gravidanza, ma cosa la stessa avrebbe deciso ove fosse stata convenien-
temente informata sulle condizioni del nascituro, non si deve gia` accertare se in lei si sia instaurato un processo patologico capace di evolvere in grave pericolo per la sua salute psichi- ca, ma se la dovuta informazione sulle condizioni del feto avrebbe potuto determinare durante la gravidanza l’insorge- re di un tale processo patologico.
In tal modo i giudici di appello hanno tenuto conto di quanto affermato in casi analoghi dalla giurisprudenza di questa Corte:
“L’omessa rilevazione, da parte del medico specialista, del- la presenza di gravi malformazioni nel feto, e la correlativa mancata comunicazione di tale dato alla gestante, deve rite- nersi circostanza idonea a porsi in rapporto di causalita` con il mancato esercizio, da parte della donna, della facolta` di interrompere la gravidanza, in quanto deve ritenersi rispon- dente ad un criterio di regolarita` causale che la donna, ove adeguatamente e` tempestivamente informata della presenza di una malformazione atta ad incidere sulla estrinsecazione della personalita` del nascituro, preferisca non portare a ter- mine la gravidanza” (Xxxx. 21 giugno 2004 n. 11488).
La ricorrente censura questa parte della decisione, rile- vando che al momento della seconda ecografia del (omissis), in ogni caso, il feto aveva gia` vita autonoma e dunque la A. non avrebbe in ogni caso potuto interrompere la gravidanza. Entrambe queste argomentazioni sono state confutate dal-
la Corte territoriale.
Con accertamento che sfugge a qualsiasi censura, i giudici di appello hanno negato — sulla base del quadro probatorio disponibile nel giudizio — che anche alla data del (omissis) (ma la ecografia avrebbe dovuto essere eseguita tra la vente- sima e la ventiduesima settimana) il feto avesse possibilita` di vita autonoma.
In tal modo, i giudici di appello hanno dimostrato di co- noscere e condividere l’insegnamento di questa Corte, se- condo il quale:
“Per possibilita` di vita autonoma del feto si intende quel grado di maturita` del feto che gli consentirebbe, una volta estratto dal grembo della madre, di mantenersi in vita e di completare il suo processo di formazione anche fuori dal- l’ambiente materno.
Pertanto, in una causa in cui si discute se la donna sia stata impedita ad interrompere la gravidanza da un inadempimen- to del medico ad una sua obbligazione professionale, l’even- tuale interrogativo concernente la possibilita` di vita autono- ma del feto va risolto avendo riguardo al grado di maturita` raggiunto dal feto nel momento in cui il medico ha mancato di tenere il comportamento che da lui ci si doveva attendere” (Xxxx. 10 maggio 2002 n. 6735). — Omissis.
I giudici di appello hanno escluso il danno biologico, ri- tenendo tuttavia — con una valutazione congrua che sfugge a qualunque censura — che entrambi i coniugi avessero subito un danno in conseguenza della mancata interruzione volontaria della gravidanza.
Interrogandosi, poi, in ordine al tipo di danno determina- to dalla lesione del diritto alla autodeterminazione della don- na, con la conseguente nascita indesiderata, (definibile come danno esistenziale o in qualsiasi altro modo) i giudici di appello hanno osservato (cfr. punto 8.2.3.):
“La nascita indesiderata, invero, determina una radicale trasformazione delle prospettive di vita dei genitori, i quali si trovavano esposti a dover misurare (non i propri specifici “valori costituzionalmente protetti”, ma) la propria vita quo- tidiana, l’esistenza concreta, con le prevalenti esigenze della figlia, con tutti gli ovvi sacrifici che ne conseguono: le con- seguenze della lesione del diritto di autodeterminazione nel- la scelta procreativa, allora finiscono per consistere proprio nei “rovesciamenti forzati dell’agenda” di cui parte della dottrina discorre nel prospettare la definizione del danno esistenziale”.
“Insomma, ha concluso la Corte territoriale, la fattispecie
in esame sembra costituire un caso paradigmatico di lesione di un interesse che non determina un prevalente danno mo- rale o biologico, peraltro sempre possibile, ma impone al danneggiato di condurre giorno per giorno, nelle occasioni
piu` minute come in quelle piu` importanti, una vita diversa e peggiore (quanto si voglia nobilitata dalla dedizione al con- giunto svantaggiato, ma peggiore, tanto che nessuno si au- gurerebbe di avere un figlio senza gambe piuttosto che con) di quella che avrebbe altrimenti condotto”.
I giudici di appello, in tal modo, hanno correttamente applicato i principi formulati da questa Corte, secondo i quali, in casi del genere, il danno risarcibile non puo` essere limitato solo al danno alla salute in senso stretto della ge- stante (in questo senso, invece, Cass. 8.7.1994, n. 6464).
Lo stato patologico ed il pericolo grave per la salute rile- vano, infatti, solo ai fini del perfezionamento della fattispecie per l’esercizio del diritto di interruzione della gravidanza, ma una volta che esso si e` perfezionato, non operano come li- mitazione della responsabilita` del sanitario inadempiente. In altri termini detto pericolo di danno grave alla salute, che si inserisce su un processo patologico, delimita il diritto di aborto, non la responsabilita` contrattuale della struttura
sanitaria.
Poiche´ si versa in tema di inadempimento contrattuale, il danno, al cui risarcimento il debitore inadempiente e` tenuto ex art. 1218 c.c., deve essere valutato secondo i criteri gene- rali di cui agli artt. 1223, 1225 e 1227 c.c.
Se danno e` il pregiudizio subito dal creditore, allora e` questo pregiudizio che occorre risarcire, secondo i principi della regolarita` causale (art. 1223 c.c.).
In questo danno rientra non solo il danno alla salute in senso stretto ma anche il danno economico, che sia conse- guenza immediata e diretta dell’inadempimento del sanita- rio, in termini di causalita` adeguata (Cass. n. 12195/1998). Quanto all’analogo diritto del padre, i giudici di appello hanno condiviso l’indirizzo giurisprudenziale di questa Cor- te che ammette anche il padre del bambino malformato tra i soggetti protetti dal contratto, con la conseguenza che la struttura sanitaria in caso di suo inadempimento e` tenuta a risarcire i danni immediati e diretti subiti anche dal padre. “Qualora l’imperizia del medico impedisca alla donna di esercitare il proprio diritto all’aborto, e cio` determini un danno alla salute della madre, e` ipotizzatane che da tale danno derivi un danno alla salute anche del marito” (Xxxx. 29 luglio 2004 n. 14488, 10 maggio 2002 n. 6735, 11 maggio
2009 n. 10741).
Sicuramente il padre non ha titolo per intervenire sulla decisione di interrompere la gravidanza, ai sensi della L. del 1978, ma diversa questione e` quella relativa al danno che il padre del nascituro potrebbe subire, perche´ altri hanno im- pedito alla stessa di esercitare il diritto di interruzione della gravidanza, che essa (e solo essa) legittimamente poteva eser- citare.
In questo caso non si fa questione di un diritto del padre del nascituro ad interrompere la gravidanza della gestante, che certamente non esiste, ma solo se la mancata interruzio- ne della gravidanza, determinata dall’inadempimento colpe- vole del sanitario, possa essere a sua volta causa di danno per il padre del nascituro.
La risposta al quesito e`, come si e` detto, positiva, e, xxxxxx´ si tratta di contratto di prestazione di opera professionale con effetti protettivi anche nei confronti del padre del con- cepito, che, per effetto dell’attivita` professionale dell’oste- trico-ginecologo diventa o non diventa padre (o diventa pa- dre di un bambino anormale) il danno provocato da inadem- pimento del sanitario costituisce una conseguenza immedia- ta e diretta anche nei suoi confronti e, come tale e` risarcibile a norma dell’art. 1223 c.c.
3.5. Con il quinto motivo, la ricorrente deduce la violazio- ne e/o falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1226, 2043 e 2059 c.c., nullita` della sentenza e del procedimento, viola- zione dell’art. 112 c.p.c., insufficiente e contraddittoria mo- tivazione. — Omissis.
Con motivazione congrua, i giudici di appello hanno — innanzi tutto — rilevato che i coniugi U.L. e A. avevano chiesto il riconoscimento dei danni “tutti” derivati dall’ina- dempimento contrattuale. Deve dunque escludersi una vio-
lazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronun- ciato.
Hanno precisato, poi, che il danno patrimoniale doveva tener conto, non solo del “differenziale” tra la spesa neces- saria per il mantenimento di un figlio “sano” e la spesa per il mantenimento di un figlio affetto dal deficit di cui si e` detto, sottolineando che una volta stabilito che la A. avrebbe optato per la interruzione volontaria di gravidanza, “l’inadempi- mento posto in essere dalla ASL ha fatto si che la coppia debba sopportare per intero un costo economico che altri- menti non avrebbe avuto”. Con una valutazione, necessaria- mente equitativa, la Corte territoriale ha provveduto cosı`a liquidare il danno patrimoniale ed ha individuato il momen- to del raggiungimento della indipendenza economica alla eta` di trenta anni.
Hanno quindi liquidato il danno non patrimoniale in fa- vore di entrambi i genitori, sottolineando che nel vigente assetto dell’ordinamento, nel quale assume posizione premi- nente la Costituzione — che, all’art. 2, riconosce e` garantisce i diritti inviolabili dell’uomo —, il danno non patrimoniale deve essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona, non esaurendosi esso nel danno morale soggettivo.
La Corte territoriale ha aggiunto che la fattispecie costi- tuiva un caso paradigmatico di lesione di un diritto della persona, di rilievo costituzionale, che indipendentemente da un danno morale o biologico, peraltro sempre possibile, im- pone comunque al danneggiato di condurre giorno per gior- no, nelle occasioni piu` minute come in quelle piu` importanti, una vita diversa e peggiore, di quella che avrebbe altrimenti condotto. Sulle base di tali premesse, la Corte territoriale ha proceduto alla liquidazione del danno non patrimoniale in senso lato (cfr. Cass. S.U. n. 26972 dell’11 novembre 2008, che espressamente — p. 42 — riconosce la lesione del diritto inviolabile della gestante che non sia stata posta in condizio- ne, per errore diagnostico, di decidere se interrompere la gravidanza, con conseguente diritto al risarcimento di tutti i danni).
Utilizzando come parametro di riferimento quello di cal- colo del danno biologico, i giudici di appello hanno liquidato in via equitativa la somma di Euro 200.000,00 alla attualita` in favore di ciascuno dei coniugi. Data la particolarita` del caso la liquidazione non poteva che essere effettuata in via equi- tativa, tenendo conto di tutte le circostanze.
Ed anche al riguardo di tal danno, le censure formulate dalla ricorrente sono del tutto apodittiche, poiche´ non ten- gono conto delle argomentazioni svolte dalla Corte territo- riale. Tra l’altro, la ricorrente si limita a dedurre la eccessivita` del risarcimento liquidato, senza neppure indicare la misura congrua nella quale — a suo avviso — lo stesso avrebbe dovuto essere riconosciuto.
Pertanto, il vizio di insufficiente motivazione della senten- za di appello in ordine alla valutazione equitativa del danno
— che si assume erroneamente effettuata — va escluso, an- che in considerazione dell’insopprimibile carattere appros- simativo di tale forma di liquidazione, in difetto di precise indicazioni, da parte della ricorrente, in ordine alla somma che a suo avviso sarebbe stata congrua, e conforme alle sue aspettative (neppure chiarite in sede di ricorso per cassazio- ne). — Omissis.
P. Q. M. La Corte riunisce i ricorsi.
Dichiara inammissibile il ricorso della Azienda Unita` sa- nitaria locale n. (omissis) n. 1277 del 2006. Rigetta i ricorsi 26538 del 2005 e 31185 del 2005.
Compensa le spese del giudizio tra tutte le parti.
Visto il D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, dispone che sull’originale della sentenza sia apposta, a cura della Cancel- leria, una annotazione volta a precludere in caso di svia ri- produzione in qualsiasi forma, per finalita` di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o median- te reti di comunicazione elettronica, l’indicazione delle ge-
xxxxxxxx` e di altri dati identificativi degli interessati, riportati sulla sentenza, nonche´ di tutti i dati dai quali possa desu- mersi — anche indirettamente — la identita` della signora
U.L.S. — Omissis.
(1-3) La domanda dei genitori di una ragazza af- fetta da una grave malformazione congenita ve-
xxxx accolta in seconda istanza dalla Corte d’appello di Perugia 1, che condannava la Asl da cui dipendeva l’ospedale che aveva effettuato gli interventi diagnosti- ci nel corso della gravidanza della donna al pagamento di una ingente somma in favore degli stessi, a titolo di risarcimento dei danni subiti per tardiva diagnosi della malformazione fetale dalla quale era affetta la figlia. I giudici di appello rilevavano che la responsabilita` di tale tardiva diagnosi doveva essere attribuita esclusiva- mente alla Asl, la quale poneva in essere, nel rapporto di tipo contrattuale instaurato per effetto del contatto sociale tra medico e paziente, un duplice inadempi- mento ex art. 1218 c.c.: una disfunzione organizzativo- strutturale, per via della quale la ecografia che doveva diagnosticare tale malformazione veniva effettuata con un ritardo di circa due mesi sul dovuto, disguido che la Asl non aveva affatto dimostrato esser causato da in- disponibilita` di mezzi, e un errore professionale gros- xxxxxx, a causa del quale la stessa veniva erroneamente interpretata.
La suprema Corte di cassazione, attraverso il richia- mo a numerosi precedenti in ordine alle varie questioni rilevanti ai fini della definizione del giudizio, finisce per concordare con il convincimento espresso dai giudici dell’appello e al contempo offre, in virtu` della com- plessita` della fattispecie, una vasta panoramica della giurisprudenza consolidatasi in materia 2.
Il primo snodo fondamentale sul quale si e` attestata la giurisprudenza, e che rappresenta una delle questio- ni rilevanti nel giudizio di cui si tratta, e` rappresentata dalla prova della rilevante possibilita` che la madre, ove informata, avrebbe esercitato il diritto di interruzione di gravidanza, prova che puo` esser raggiunta sulla base
della mera considerazione relativa all’id quod pleru- mque accidit 3. A prescindere, poi, dalla possibilita` di interrompere la gravidanza, sussiste in ogni caso un’al- tra lesione: quella derivante dalla impossibilita`, per i genitori, di prepararsi gradualmente all’evento della nascita di bambino affetto da grave anomalia 4.
Non solo: nel caso di danno da nascita indesiderata anche il padre va indennizzato direttamente. Il titolo di tale responsabilita` e` controverso, ma tutte le piu` recen- ti pronunce concordano nell’individuare anche il pa- dre tra i soggetti legittimati a proporre l’azione 5.
La Corte di cassazione apprezza e condivide anche l’applicazione, da parte dei giudici di seconde cure, di un altro principio stabilito dalla giurisprudenza, circa la difficile prova della circostanza di cui all’art. 6 della legge vigente in materia, che prevede che «rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro» possano gra- vemente influire sulla salute psichica della donna.
Tale giudizio non puo` che formularsi attraverso una prognosi postuma, poiche´ la giurisprudenza ha affer- mato che, quando si tratta di stabilire cosa la gestante, nelle condizioni per esercitare il diritto alla interruzio- ne della gravidanza, avrebbe deciso ove fosse stata con- venientemente informata sulle condizioni del nascitu- ro, non si deve gia` accertare se in lei si sia instaurato un processo patologico capace di evolvere in grave peri- colo per la sua salute psichica, ma se la dovuta infor- mazione sulle condizioni del feto avrebbe potuto de- terminare, ove avvenuta durante la gravidanza e al mo- mento in cui l’esame andava effettuato, l’insorgere di un tale processo patologico.
La Corte rammenta anche come, nelle cause in cui si discute se la donna sia stata impedita ad interrompere la gravidanza da un inadempimento del medico ad una sua obbligazione professionale, l’eventuale interroga- tivo concernente la possibilita` di vita autonoma del feto va risolto avendo riguardo al grado di maturita` raggiunto dal feto nel momento in cui il medico ha mancato di tenere il comportamento che da lui ci si doveva attendere, cosa che i giudici di appello hanno
1 App. Perugia, 28 ottobre 2004, massimata e annotata da Rocca, in Giur. di Merito, 2005, 1801, e altresı` in Rep. Giur. It., voce “Responsabilita` Civile”, n. 218.
2 Per l’esame dei vari aspetti della materia, v. Gualniera- Scurria-Crino`, Il danno da wrongful-birth nell’attuale orien- tamento della giurisprudenza, in Riv. It. medicina legale, 2009, 3, 629.
3 Cio` che viene affermato gia` da una sentenza richiamata dalla pronuncia in commento in piu` punti, e che rappresenta sicuramente uno degli arresti piu` completi in materia: ci si rife- risce a Cass., 10 maggio 2002, n. 6735, riportata e annotata da Cingolani-Pecora, in Dir. Famiglia, 2003, 2, 661, nonche´ in Foro It., 2002, I, 3115, con nota di Xxxxxx, e altresı` in Rep. Giur. It., 2004, voce “Persone fisiche e giuridiche”, n. 121-125; da Cass., 29 luglio 2004, n. 14488, commentata da Xxxxxxxx, in Giust. Civ., 2005, 121, e altresı` in Rep. Giur. It., 2004, voci “Persone fisiche e giuridiche”, n. 127-130, “Responsabilita` Ci- vile”, n. 400, “Sanita` e sanitari”, nn. 459-461, “Professioni in- tellettuali”, 135, 136 nonche´ ivi, 2005, voci “Persone fisiche e giuridiche”, n. 107, “Responsabilita` Civile”, n. 573, “Sanita` e sanitari”, nn. 269-276; Id., 1o aprile 2004, n. 6365, annotata da Irti, in Familia, 2005, 963, e altresı` in Rep. Giur. It., 2004, voce “Filiazione”, n. 33, 34 e ivi, 2005, voce “Filiazione” nn. 12, 13, 24 stabilisce che in casi di gravi malformazioni del feto, si assu- me come normale e corrispondente a regolarita` causale che la gestante, se informata correttamente e tempestivamente sulla
gravita` della patologia cui va incontro il nascituro, interrompa la gravidanza.
4 Cass., 10 maggio 2002, n. 6735, cit.
5 Secondo gli arresti prevalenti (Cass., 20 ottobre 2005,
n. 20320 annotata da Restignoli, in Giur. It., 2007, 628) il padre rientra, al pari della madre, tra i «soggetti protetti dal contratto» nei cui confronti la prestazione del medico e` dovuta. Xxxxxxxx Xxxx., 10 maggio 2002 n. 6735, cit. che cio` deriva direttamente dal fatto che il padre e` coinvolto nel processo di procreazione, anche se non in quello di autodeterminazione della donna, e che il fatto della procreazione e` all’origine del sistema di tutele e facolta` previste dalla normativa vigente in materia di aborto. La Cassazione, nella sentenza in commento, richiama Id., 29 luglio 2004 n. 14488, cit.; Id., 11 maggio 2009,
n. 10741, in Resp. Civ., con nota di Xxxxx, nonche´ in Rep. Giur. It., 2009, voci “Danni in materia Civile e Penale”, n. 443, “Per- sone fisiche e giuridiche”, n. 174, “Professioni intellettuali”, 77, “Sanita` e sanitari”, n. 267, la quale conclude che, qualora l’im- perizia del medico impedisca alla donna di esercitare il proprio diritto all’aborto, e cio` determini un danno alla salute della madre, e` ipotizzabile che da tale danno derivi un danno alla salute anche del marito. Non viene pero` citata sul punto Cass., 1o dicembre 1998, n. 12195, annotata da Xxxxxxxx, in Foro It., 1999, I, 77, da Pizzetti, in Giur. It., 1999, V, 2038, da Fili- grana, in Danno e Resp., 1999, 522, la quale rammenta come tale danno debba sempre esser rigorosamente provato.
negato alla data della prima ecografia, che avrebbe do- vuto essere eseguita tra la ventesima e la ventiduesima settimana 6.
In ordine all’individuazione dei danni subiti dalla coppia, la Cassazione concorda con i giudici dell’ap- pello, i quali, applicando ancora una volta le regole di giudizio precedentemente espresse in altri arresti, sta- biliscono che, in casi del genere, il danno risarcibile non puo` essere limitato solo al danno alla salute in senso stretto della gestante 7.
Poiche´ si versa in tema di inadempimento contrat- tuale, il danno, al cui risarcimento il debitore inadem- piente e` tenuto ex art. 1218 c.c., deve essere valutato secondo i criteri generali di cui agli artt. 1223, 1225 e 1227 c.c.
Se danno e` il pregiudizio subito dal creditore, allora e` questo pregiudizio che occorre risarcire, secondo i principi della regolarita` causale (art. 1223 c.c.).
In questo danno rientra non solo il danno alla salute in senso stretto ma anche il danno economico, che sia conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento del sanitario, in termini di causalita` adeguata 8.
Il danno patrimoniale, in questo ed in simili casi, si sostanziera`, pertanto, in tutte le spese di mantenimento della persona nata con malformazioni, e non solo del “differenziale” tra la spesa necessaria per il manteni- mento di un figlio “sano” e la spesa per il mantenimen- to di un figlio affetto da malformazione.
In ordine al danno non patrimoniale, e precisamente al danno determinato dalla lesione del diritto all’auto- determinazione della donna, con la conseguente nasci- ta indesiderata, i giudici di appello hanno definito tale danno come danno da «rovesciamento forzato del- l’agenda» 9 definibile quale danno esistenziale o in qualsiasi altro modo.
Questo aspetto e` l’unico in cui la suprema Corte corregge in parte, anche se non in maniera troppo evi- dente, quanto espresso dal giudice dell’appello. Infatti, alla luce dell’indicazione fornita da Xxxx., Sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972, occorre rileggere la giuri- sprudenza sul tema, rispetto alla quale i piu` fondamen- tali arresti in materia, compresa la sentenza impugnata davanti alla Corte di cassazione, sono cronologicamen- te precedenti.
Per l’effetto, tutta la giurisprudenza consolidatasi in ordine a tale danno e` connaturata da un richiamo alla categoria di danno esistenziale, ma la suprema Corte
evidenzia come tale danno sia da ritenersi rientrante a pieno titolo nel danno non patrimoniale “in senso lato” di cui alla pronuncia del 2008, svolgendo una interpre- tazione ex post della sentenza di seconde cure, risalente al 2004, la quale risulta abbastanza agevole in quanto la lesione del diritto inviolabile della gestante che non sia stata posta in condizione, per errore diagnostico, di interrompere la gravidanza e` stata annoverata dalla pronuncia del 2008 tra le esemplificazioni di danno non patrimoniale “in senso lato”. Cosı` facendo la Corte attualizza il danno da «rovesciamento forzato del- l’agenda», nel dichiarato intento di non aderire a quella risalente giurisprudenza che vorrebbe limitare il danno risarcibile al solo danno alla salute in senso stretto della gestante 10, evidenziando come lo stesso vada ricono- sciuto anche nel sistema delineato dalla recente pro- nuncia data a Sezioni unite.
MANTENIMENTO DEL FIGLIO
Tribunale Macerata, 22 ottobre 2009 (decreto)
— Xxxxxxxx Presidente ed Xxxxxxxxx — A.- B.
Matrimonio — Divorzio — Revisione condizioni
— Obblighi mantenimento figlio divenuto maggio- renne in corso di giudizio — Procedimento — Ecce- zione del genitore convenuto — Sopravvenuto difetto di legittimazione ad agire in capo al genitore convi- vente ex art. 155 quinquies, comma 1, c.c. — Legitti- mazione ad agire concorrente del genitore convivente e del figlio maggiorenne — Sussistenza (C.c. artt. 147, 148, 155, 155 quinquies; C.p.c. art. 100; X. Xxx. art. 9). Matrimonio — Divorzio — Revisione condizioni
— Obblighi mantenimento figlio divenuto maggio- renne in corso di giudizio — Procedimento — Inter- vento volontario del figlio divenuto maggiorenne ex art. 105 c.p.c. — Eccezione di inammissibilita` del ge- nitore convenuto — Legittimazione ad intervenire del figlio maggiorenne — Sussistenza (C.c. artt. 147, 148, 155, 155 quinquies; C.p.c. art. 100, 105; L. Div. art. 9).
Persiste la legittimazione ad agire del genitore convi- vente a svolgere la domanda volta all’attribuzione ed all’adeguamento dell’assegno di contributo al manteni- mento del figlio divenuto maggiorenne nel corso del giu-
6 Ambedue le tematiche sono state affrontate e risolte in tale senso da Cass. n. 6735/2002, la quale, in riferimento alla secon- da di esse, precisa che nei casi in cui la donna sia stata impedita a interrompere la gravidanza da un inadempimento del medico ad una sua obbligazione professionale, l’eventuale interrogativo concernente la possibilita` di vita autonoma del feto va risolto avendo riguardo al grado di maturita` raggiunto dal feto nel momento in cui il medico ha mancato di tenere il comporta- mento che da lui ci si doveva attendere. Il relativo onere della prova incombe comunque sul medico.
7 Cass., 8 luglio 1994, n. 6464, in Corriere Giur., 1995, con nota di Bata, e altresı` in Rep. Giur. It., 1994, voce “Professioni intellettuali”, n. 94, 95, si era mostrata orientata nel senso di limitare il danno risarcibile al solo danno alla salute in senso stretto della gestante. Delle varie tappe del superamento di tale concezioni si da` conto nel commento di Xxxxxxx ad una re- cente pronuncia di merito, Trib. Pesaro, 26 maggio 2008, in Giust. Civ., 2008, 10, 2273.
8 Come evidenziato da Xxxx., 1o dicembre 1998, n. 12195, cit. richiamata, su questo specifico punto, dalla sentenza in com- mento. In senso conforme alla valutazione della Corte di cassa- zione individuiamo anche Cass., 29 luglio 2004, n. 14488, cit. per la quale il danno risarcibile e` rappresentato non solo da quello dipendente dal pregiudizio alla salute fisico-psichica del- la donna specificamente, ma anche da quello piu` genericamente dipendente da ogni pregiudizievole conseguenza patrimoniale dell’inadempimento del sanitario.
9 L’espressione si trova in Cendon, Trattato breve dei nuovi danni: il risarcimento del danno esistenziale: aspetti civili, penali, medico legali, processuali, Xxxxxx, 0000.
10 Cass., 8 luglio 1994, n. 6464, cit., estremamente restrittiva gia` in ordine alla quantificazione del danno patrimoniale. La posizione assunta dalla Corte appare quindi meno netta di quanto evidenziato da Xxxxxxx, nel suo commento alla senten- za in questione, La prevedibile resurrezione del danno esistenzia- le, in Resp. Civ. e Prev., 2010, 5, 1059.
dizio, gia` anteriormente convivente, in minore eta`, xx- xxxxxxxxx il figlio non abbia svolto autonoma richiesta di versamento diretto delle somme, e vieppiu` ove il me- desimo figlio sia intervenuto in giudizio adesivamente rispetto alla domanda proposta dal genitore convivente stesso, disponendo del proprio interesse (1).
Sussiste la legittimazione a spiegare l’intervento ex art. 105 c.p.c. del figlio divenuto maggiorenne nel corso del giudizio pendente tra i suoi genitori e volto alla re- visione delle condizioni divorzili, gia` promosso dal geni- tore convivente in sua minore eta`, e volto all’attribuzio- ne ed all’adeguamento dell’assegno di contributo al pro- prio mantenimento (2).
Omissis. — Tribunale di Macerata — Il Collegio Sciogliendo la riserva posta nel procedimento per
modifica delle condizioni di divorzio iscritto al n. 688/09 X.X.XX, promosso da A nei confronti di B, con l’intervento di C;
Esaminati gli atti e le deduzioni scritte depositate nel ter- mine assegnato alle parti;
Osserva:
— La questione relativa alla legittimazione attiva della ricorrente, laddove questa chiede l’adeguamento dell’asse- gno a titolo di contributo nel mantenimento del figlio C, e` priva di fondamento e va respinta; per vero, in data 8 set- tembre 2009 il suddetto C ha raggiunto la maggiore eta`, ed e` intervenuto adesivamente a sostegno della richiesta formu- lata dalla madre, richiamandosi a essa anche nel punto rela- tivo alle modalita` di versamento del contributo, che chiede siano mantenute ferme; nessun dubbio puo` esistere sulla legittimazione attuale dell’intervenuto, e non puo` seguirsi d’altronde la tesi del resistente, secondo cui il difetto iniziale di legittimazione (che peraltro non sussiste, secondo quel che si vedra`) minerebbe la proponibilita` stessa della doman- da; invero, posto che la legittimazione e` una condizione del- l’azione, cio` che rileva non e` la sua esistenza (solo) al mo- mento introduttivo del giudizio, ma la sua persistenza (an- che) al momento della decisione;
— Xxxxxxxx, non v’e` parimenti dubbio del fatto che la A. avesse legittimazione a svolgere la domanda, secondo i ripe- tuti asserti giurisprudenziali sul punto (ex multis, si cfr. Cass. 24 febbraio 2006, n. 4188, che reiterando un concetto piu` volte rinvenuto in giurisprudenza afferma la persistenza del- la legittimazione del coniuge, in presenza di figlio maggio- renne affidato quando tale non era, allorquando quest’ulti- mo non abbia svolto autonoma richiesta di versamento delle somme); la disposizione di cui all’art. 155 quinquies C.c, e` del resto chiarissima, anche laddove lascia al giudice la possibi- lita` di determinare modalita` di versamento dell’assegno di- verse da quella diretta, in mani del beneficiario; cio` che, nel caso di specie, corrisponderebbe poi a una precisa richiesta dello stesso figlio, che non v’e` dubbio potersi prendere in considerazione, attesa la natura disponibile degli interessi in campo;
— Passando all’esame del merito — invero tutt’altro che imponente, ad onta della considerevole mole degli scritti difensivi che si rinvengono in atti — occorre considerare, in primo luogo, che l’attuale regime del mantenimento prevede un assegno a carico della ricorrente pari a euro 310,00 al mese; cio` sul presupposto della collocazione dell’allora figlio minorenne presso il padre; allega la ricorrente che a far data dal 12 luglio 2008 il figlio decise di andare a vivere con lei, e quindi chiede che almeno lo stesso importo di euro 310,00 sia posto a carico del B., ove il Tribunale non voglia far decorrere fin dall’epoca suddetta l’aumento a euro 450,00 al mese che parimenti la ricorrente invoca;
— Occorre preliminarmente considerare che la scelta del- l’intervenuto di cambiare la sua collocazione (scelta che al- l’attualita` non richiede altro che la presa d’atto considerata appunto la maggiore eta` medio tempore conseguita) e` di per se´ una circostanza modificativa dei precedenti assetti, e quin-
di non vi puo` essere il minimo dubbio sul fatto che a carico del resistente gravi almeno lo stesso onere gravato, fino a luglio 2008, sulla ricorrente;
— Del pari, le produzioni documentali delle parti eviden- ziano una sopraggiunta disparita` di capacita` reddituali, nel senso di un decremento significativo da parte della resisten- te; a parte cio`, peraltro, appare di rilievo il fatto che l’eta` maggiore del figlio, ovviamente non in grado di provvedere da se´ al proprio mantenimento, di per se´ costituisce ulteriore circostanza sopravvenuta che legittima il ricorso alla proce- dura di cui all’art. 9 L. Div.;
— Posta questa premessa, ritiene il Tribunale che appunto il raggiungimento della maggiore eta` sia l’aspetto maggior- mente rilevante, poiche´ e` a questo momento di discrimine che si collocano, solitamente, crescenti esigenze di studio, culturali e di accrescimento in genere della personalita` del- l’individuo; donde la conseguenza di dover senz’altro rico- noscere l’inadeguatezza attuale dell’assegno di euro 310,00, che deve essere portato — tenendo conto anche della dispa- xxxx` reddituale fra coniugi —, all’importo di euro 400,00 con decorrenza dal mese di settembre 2009; l’assegno dovra` es- sere rivalutato annualmente secondo indici Istat, e dovra` essere corrisposto alla ricorrente (come da domanda dello stesso intervenuto) secondo le medesime modalita` in vigore;
— A carico dei coniugi spetta inoltre il gravame delle spese straordinarie in parti eguali, con decorrenza dal mese di agosto 2008; donde il diritto della ricorrente a ottenere il rimborso della quota di spettanza del resistente;
— Va infine osservato che le istanze di condanna svolte dalla ricorrente non hanno sede in questo procedimento, che esita in una pronuncia immediatamente esecutiva; per vero, non e` nella natura del provvedimento alcuna pronuncia di condanna, posto che esso restituisce all’avente diritto un titolo immediatamente spendibile in sede esecutiva, quale conseguenza dell’immutata situazione di diritto; donde la pronuncia puramente dichiarativa cui si deve accedere;
— In ordine al regime delle spese del procedimento, deve osservare il Collegio che, non potendosi applicare ratione temporis l’art. 92 c.p.c. come modificato dalla L. n. 69/2009, si puo` giungere ad una pronuncia di compensazione per giusti motivi, tenuto conto della natura della causa, ma anche in considerazione del fatto che la domanda della ricorrente non trova accoglimento integrale, mentre trovano parziale accoglimento alcune delle istanze subordinate del resistente; nulla quaestio, per finire, sulla compensazione delle spese correnti fra l’intervenuto e le altre parti, alla luce delle con- clusioni dal medesimo rassegnate.
Il Tribunale, pronunciando sulle domande di cui in parte motiva, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, cosı` provvede:
1) pone a carico di B. l’obbligo di contribuzione nel man- tenimento del figlio X. xxxxx` pagamento della somma di euro 310,00 mensili a partire da agosto 2008, e di euro 400,00 a partire da settembre 2009; gli assegni detti dovranno essere versati in mani della ricorrente A., che ha diritto di rivalsa verso il resistente per il pagamento degli arretrati maturati; gli assegni dovranno essere rivalutati annualmente secondo indici Istat;
2) pone a carico di entrambi i coniugi il pagamento delle spese straordinarie, in ragione del 50% ciascuno, con diritto di rivalsa della ricorrente verso il resistente per le somme eventualmente erogate a detto titolo a far data dall’agosto 2008;
3) dichiara interamente compensate fra tutte le parti le spese del procedimento. — Omissis.
(1-2) Intervento del figlio maggiorenne nei giudizi coniugali/genitoriali aventi ad ogget- to il proprio mantenimento
Sommario: 1. Premessa. — 2. La fattispecie. — 3. Il dato normativo. — 4. Il provvedimento annotato. — 5. Gli indirizzi della dottrina. — 6. I precedenti della giurispru-
denza. — 7. Riflessioni ed argomenti per una possibile soluzione. — 7.1. Ipotesi del figlio maggiorenne litiscon- sorte necessario. — 7.2. Ipotesi del figlio maggiorenne privo di ruolo processuale. — 7.3. Ipotesi del figlio mag- giorenne interveniente volontario. — 8. Conclusioni.
1. Premessa.
La pronuncia che si annota si segnala per il rilevante contributo che apporta all’opera dell’interprete nel percorso volto all’individuazione del soggetto “avente diritto” di cui e` parola nell’art. 155 quinquies, comma 1, c.c., come tale legittimato processualmente ad agire e a contraddire nell’ambito del giudizi coniugali/ genitoriali che attingono i figli maggiorenni non ancora emancipati economicamente; la stessa peraltro si inse- risce in un dibattito dottrinale aperto ed in un pano- rama di precedenti di segno anche difforme, con aspre conseguenze concrete e dubbi in ordine allo stesso sistema delle tutele vigente in esito alla riforma intro- dotta con la L. 8 febbraio 2006, n. 541.
2. La fattispecie.
Un figlio di anni 17, gia` in regime di affidamento condiviso tra i suoi genitori e residente presso il padre dall’eta` di anni 14, decide sua sponte di trasferirsi sta- bilmente presso la madre che risiede in altra citta`; l’esi- genza del contributo al suo mantenimento, ovviamente da parte di entrambi i genitori, e gia` previsto in ragione mensile perequativa oltre alle spese straordinarie, a ca- rico della stessa madre, viene pertanto ad imporre un rovesciamento di ruoli tra i medesimi genitori; il padre manifesta opposizione ed insorge cosı` una controversia inerente anche un adeguamento del mensile contribu- tivo a suo carico, siccome percettore di maggiori red- diti; quindi la madre divenuta di fatto il genitore con- vivente con il figlio ancora minorenne, promuove il giudizio ex art. 9 L. Div. volto alla revisione delle con- dizioni divorzili in punto, domandando che si prenda atto della nuova residenza del figlio presso di se´, rati- ficandola siccome conforme al suo interesse preminen- te, che si revochi la previsione del proprio obbligo contributivo mensile, ed inoltre che si ridetermini con- gruamente il contributo paterno, facendolo decorrere dalla mensilita` in cui il figlio aveva iniziato la nuova convivenza quotidiana con la stessa ricorrente. Duran- te il giudizio e nell’imminenza della sua decisione il figlio diviene maggiorenne; il padre allora, invocando il disposto ex art. 155 quinquies, comma 1, c.c., eccepisce anche il sopravvenuto difetto di legittimazione ad agire in capo alla ricorrente madre, per essere appunto scat- tata la maggiore eta`, conseguita per l’effetto la capacita` d’agire e quindi la legittimazione esclusiva del figlio stesso. Quest’ultimo, ancora impegnato negli stessi
studi che seguiva in minore eta`, reputa di contraddire l’eccezione paterna, interviene in giudizio, chiedendo espressamente che la madre possa continuare a gestire le sue necessita` ed opportunita` quotidiane, della quale situazione si dichiara pienamente soddisfatto, ed atte- stando di non voler divenire titolare in prima persona nel conseguimento od escussione del dovuto per se stesso presso il padre; domandando altresı` che il paga- mento di quanto si fosse ritenuto di Giustizia venisse effettuato dal padre unicamente in mani della madre; a tal punto, il padre costituendosi nei confronti del figlio intervenuto. insorge ancora eccependo l’inammissibi- lita` del suo intervento in giudizio e contestandogli che la legge prevede una responsabilizzazione filiale nella gestione dell’assegno per il suo mantenimento, a cari- co del genitore non convivente, da statuirsi officiosa- mente.
Come puo` constatarsi, l’ipotesi processuale e` uno dei tanti “pomi della discordia” rinvenibili nella L. 8 feb- braio 2006 n. 54, recante “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”, che ha introdotto l’art. 155 quinquies c.c., segna- landosi come una nuova disagevole frontiera nei deli- cati rapporti genitoriali con i figli in prossimita` del raggiungimento della maggiore eta` e nella persistente condizione di non autosufficienza economica, sino al- l’estinzione dell’obbligazione/dovere genitoriale.
3. Il dato normativo.
Si evidenzia subito come le previsioni normative coinvolte si individuano, quanto al diritto sostanziale, nel novellato disposto ex art. 155 quinquies c.c., e pri- ma ancora nelle regole iuris cardine poste dagli artt. 30 Cost. e 147, 148, 261, 277 c.c.; sul versante processuale il dato normativo potenzialmente coinvolto, oltre che negli artt. 75, 81 e 100 c.p.c., si individua peculiarmen- te nelle diverse opzioni che si offrono all’interprete, poste dagli artt. 102 o 105 c.p.c. (ovvio e scontato peraltro il richiamo al ridisegnato art. 155 c.c., come pure agli artt. 706, 708, 710 e 711 c.p.c., agli artt. 4, 6 e 9 L. Div., agli artt. 117 e segg. c.c. ed all’art. 4 legge n. 54/2006).
4. Il provvedimento annotato.
Considerata la fattispecie, il Decreto reso dal Tribu- nale maceratese appare intanto obiettivamente condi- visibile, e cio` per la dirimente circostanza che il giudi- zio di revisione delle condizioni divorzili venne pro- mosso dalla madre quando il figlio era ancora xxxx- xxxxx; questi, una volta raggiunta la maggiore eta`, e` intervenuto ex art. 105 c.p.c. nel giudizio stesso, do- mandando autonomamente che il Tribunale dispones- se secondo l’espressa previsione derogatoria di cui al
1 Unanime l’opinione della dottrina a censura delle inade- guatezze ed equivocita` terminologiche e soprattutto del manca- to coordinamento con il tessuto normativo gia` vigente, rivolte al legislatore della novella c.d. sull’affidamento condiviso; tutti i commentatori, come infra si constatera`, partono da questo po- stulato, giungendo a conclusioni diametralmente opposte, se- gno evidente che l’opera dell’interprete non e` sufficientemente vincolata dal dato legislativo introdotto con quella riforma; solo a titolo esemplificativo, segnalava gia` nell’immediatezza dell’en- trata in vigore della novella, la “singolarita`” dell’art. 155 quin- quies c.c., Tommaseo, Le nuove norme sull’affidamento condi-
viso: b) profili processuali, in Fam. Dir., 2006, 389; Xxxxx, Aspet- ti processuali della normativa sull’affidamento condiviso, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2006, 1069, dal canto suo la definiva te- stualmente «si tratta di una delle norme piu` oscure della nuova disciplina e si presta a creare un contenzioso tutto nuovo tra genitori e figli»; aspra anche la critica sul versante sostanziale di De Marzo, L’affidamento condiviso, I, I profili sostanziali, in Foro It., 2006, V, 90, il quale con efficacia prefigurava anch’egli l’innesco, certamente deleterio, di potenziale ampia conflittua- lita` tra il figlio maggiorenne ed il genitore con il quale lo stesso vive nel quotidiano, ovvero con entrambi.
capoverso del comma 1, del medesimo art. 155 quin- quies c.c., facendo propria la domanda materna, con il che il quadro sostanziale e processuale, ai fini del con- xxxxx decidere, appariva praticamente univoco ed in- confutabile.
Cio` non di meno, il Tribunale afferma due principi che meritano una disamina: da un lato, rifacendosi al- l’anteriore consolidato indirizzo 2, afferma che persiste tutt’oggi la legittimazione del genitore «convivente che provvede alle esigenze del figlio maggiorenne» non so- lo a ripeterne la quota degli oneri cui ha gia` fatto fronte, presso l’altro genitore, ma a domandarne la previsione della relativa obbligazione per il futuro, alla condizione si xxxx che il medesimo figlio non domandi in xxx xx- xxxxxx la stessa tutela; dall’altro lato, riconosce la le- gittimazione ad intervenire in capo al figlio maggioren- ne nel giudizio di revisione delle condizioni divorzili pendente tra i suoi genitori inerente il suo manteni- mento.
Suscita peraltro interesse anche l’inciso argomenta- tivo secondo cui si e` in presenza di una posizione sog- gettiva di diritto disponibile al figlio maggiorenne, sep- pur economicamente non ancora autosufficiente.
La pronuncia, che ovviamente non scioglie le vaste perplessita` inerenti l’effettiva legittimazione proces- suale del figlio maggiorenne nel dispiegamento della propria domanda nei confronti dei genitori in lite, ci offre cosı` lo spunto per alcune precisazioni, pur con- sapevoli che la problematica risulta obiettivamente spi- nosa, ed ardua appare una riflessione definitiva, idonea a dipanare una lineare soluzione sistematica 3.
5. Gli indirizzi della dottrina.
Un razionale approccio presuppone la formulazione dei passaggi logici e degli interrogativi appropriati, ed allora non si puo` prescindere dal richiamo delle tesi che si contrappongono a confronto con i risultati an- teriori cui l’ermeneutica era giunta, non senza far pre- cedere un fugace richiamo ai postulati che in tema costituiscono punti cardine e guida.
Giova infatti tener bene a mente come il dovere ge- nitoriale di mantenimento della prole si fonda nelle previsioni di cui agli artt. 147 e 148 c.c., richiamati anche per la prole nata al di fuori del vincolo di coniu- gio dagli artt. 261 e 277 c.c. (disposizioni il cui attuale tenore e` frutto della riforma del diritto di famiglia del 1975), norme che d’altronde risultano obiettivamente conformi al solenne precetto costituzionale di cui al- l’art. 30 Cost.; invero, si tratta di un vincolo obbliga- torio che avvince entrambi i genitori, che lo condivi- dono come un dovere fondamentale, secondo il xxxx- ne della comune responsabilita` derivante direttamente dal rapporto di filiazione 4 e che non muta i suoi con- notati nel percorso che va dalla nascita del figlio e sino al raggiungimento della sua sufficiente maturita` anche economica.
Il canone secondo cui l’obbligo dei genitori di con- tribuire al mantenimento, all’istruzione ed all’educa- zione dei figli, perdura anche oltre la maggiore eta` 5, sino a che non venga conseguita una condizione di indipendenza economica, pur con importanti corretti- vi e richiedendosi l’assenza di colpa 6, e` un dato acqui- sito nella nostra giurisprudenza, che il legislatore della
2 Oltre quello richiamato dal Tribunale maceratese, di Cass., Sez. I, 24 febbraio 2006, n. 4188, in Guida Dir., 2006, 18, 75, numerosi sono i precedenti sia di legittimita` che di merito; l’esat- to panorama e` descritto al paragrafo 6.
3 I termini descrittivi della confusione esegetica ed applica- tiva sono rinvenibili anche nel recente scritto di Xxxxxx, Diritto al mantenimento del figlio maggiorenne: inedite posizioni di un giudice di merito sulla legittimazione a spiegare intervento e sui presupposti di legittimazione attiva, in Fam. Dir., 2009, 1138, in nota a Trib. Napoli, Sez. I, 23 luglio 2009.
4 Ampia la bibliografia, tra cui, Xxxxxxxx, La filiazione: pro- blemi attuali e prospettive di riforma, in Fam. Dir., 2008, 635 e le sue opere anteriori ivi citate; ma anche: Xxxxxxx, Xxxxx. Dir. Civ., Padova, 2009, I, 537 e segg.; Xxxxxxxxx, Affidamento condiviso e diritto dei minori, Torino, 2008, 25; Palazzo, La Filiazione, in Tratt. Dir. Civ. e Comm a cura di Cicu-Messineo- Mengoni, Milano, 2007, 551 e segg.; Xxxxxxxx, La disciplina unitaria dello status di figlio: un adempimento che non puo` essere rinviato, in Fam. Pers. Succ., 2006, 418; Xxxxxx, La famiglia. Le successioni, Milano, 2005, 319; Xxxxx, Il mantenimento dei figli, Milano, 2005, passim; Sesta, Diritto di famiglia, Padova, 2005, II, 470; D’Auria, Il rapporto di filiazione e la filiazione legittima, in Manuale del nuovo diritto di famiglia a cura di Xxxxxxx, Pia- cenza, 2003, 1102; Perlingieri-Xxxxxxxx, Commento alla Co- stituzione italiana, Napoli, 2001, 191.
5 Risalente e` infatti la regola per cui il compimento del di-
ciottesimo anno non segna la cessazione degli obblighi di man- tenimento gia` disposti (o da disporsi se la crisi della coppia genitoriale insorge dopo la maggiore eta`) a carico dei genitori nei giudizi di separazione coniugale, divorzio, relative modifi- cazioni e revisioni, nullita`, o controversie tra genitori naturali, cessazione che potra` conseguire soltanto al positivo esperimen- to di iniziativa giudiziale del genitore che intende essere solle- vato dal relativo onere, previa dimostrazione del sopravvenire delle condizioni estintive della propria obbligazione. Un pano- rama dell’indirizzo di legittimita` induce a richiamare: Xxxx., Sez.
I, 28 gennaio 1974, n. 215, in Giur. It., 1974, I, 1, 1480; Id., 9
gennaio 1976 n. 38, ivi, 1977, I, 1, 1400, con nota di Xxxxxxxxx;
Id., 17 gennaio 1977 n. 210, in Giust. Civ., 1977, II, 1604, con
nota di Xxxxxxxxx; Id., 19 marzo 1984 n. 1862; Id., 10 aprile
1987 n. 3570; Id., 11 dicembre 1992 n. 13126; Id., 2 settembre
1996 n. 7990 in Fam. Dir., 1996, 522, con nota di Pacia De-
pinguente; Id., 7 maggio 1998 n. 4616; Id., 30 agosto 1999 n.
9109; Id., 16 febbraio 2001 n. 2289; Id., 19 marzo 2002 n. 3974;
Id., 3 aprile 2002 n. 4765, in Foro It., 2002, I, 1323; Id., 18
gennaio 2005 n. 951, in Fam. Dir., 2006, 36, con nota di Ange-
xxxxx; Id., 24 febbraio 2006 n. 4188; Id., 18 agosto 2006
n. 18187; Id., 19 ottobre 2006 n. 22491; Id., 29 novembre 2006
n. 24498; Id., 11 gennaio 2007 n. 407; Id., 19 gennaio 2007
n. 1146; Id., 28 giugno 2007 n. 12457; Id., 24 settembre 2008
n. 24018; Id., 1o giugno 2010 n. 13414, in Fam. e Min., 2010, 8,
58. La giurisprudenza di merito risulta conforme; attese anche le numerose citazioni di cui infra, il richiamo viene limitato, ex multis, ad alcune pronunce datate ma i cui canoni sono rimasti fermi e consolidati: Pret. Roma 13 ottobre 1975, in Giur. Merito, 1976, 200, con nota di Xxxxxxxx; Trib. Genova 2 dicembre 1980, ivi, 1982, 308, con nota di Xxxxxxxx; Pret. Foligno 30 marzo 1989, in Arch. Civ., 1989, 870; Trib. Milano 21 marzo 1996, in Fam. Dir., 1997, 60. Un precedente dissenziente, sot- toposto peraltro a severa critica dalla dottrina, si rinviene in Trib. Lucca 17 luglio 1988, in Giur. It., 1990, I, 2, 649, con nota di Paladini; tale pronuncia individua la caducazione di ogni efficacia, in via di automatismo con il raggiungimento della mag- giore eta`, dei provvedimenti assunti in minore eta` portanti ob- bligazioni di contributo al mantenimento a carico del genitore non convivente; conforme risulta anche Pret. Lucca 24 luglio 1998, in Giur. It., 1999, 1423, con nota di Xxxxxx.
6 Posto dall’art. 315 c.c. un canone in termini di doveri mar- cati anche a carico del figlio (principio assente dalle aule giudi- ziarie), nell’assenza di criteri obiettivi prefigurati dal legislatore al cui verificarsi venga a cessare l’obbligazione genitoriale, non potendo ovviamente protrarsi sine die, complessa risulta la co-
novella cosiddetta sull’affidamento condiviso ha con- fermato apertamente 7; da sottolineare che «e` la nozione di educazione che deve ritenersi posta al vertice della graduatoria ascendente dei valori (mantenimento, istruzione, educazione) racchiusa nei disposti norma- tivi in parola, in quanto ben piu` ricca di quella di man- tenimento, di assistenza, di istruzione, ed anche della loro sommatoria, mirando a provvedere il figlio di quei riguardi ed attenzioni che gli permettano di attualizzare tutte le potenzialita` in lui insiste e di sviluppare ed ac- crescere una personalita` completa ed armoniosa» 8.
A tali riferimenti di diritto sostanziale, giova pari- menti por memoria alla nozione di diritto processuale universalmente condivisa, per cui funzione inelimina- bile di qualsivoglia procedimento giurisdizionale e` il diritto delle parti interessate, intendendosi per tali
quelle che dell’esito del processo subiranno gli effetti, di essere presenti al fine di rappresentare e promuovere la propria posizione, con efficacia e pienezza dell’agire garantita anche da norme sovraordinate univoche e conformi; e cio` non corrisponde ad altro che all’inter- rogativo processuale di sempre: chi puo` fare cosa, co- me e con quali effetti? Come ben noto, l’affermazione della titolarita` di un diritto (e l’art. 155 quinquies, com- ma 1, c.c. testualmente contiene l’espressione “avente diritto”, come pure gli artt. 147, 148 e 155 c.c. attri- buiscono diritti) implica la correlativa affermazione della titolarita` dell’azione volta ad ottenerne il rispetto, ed il concetto di titolarita` dell’azione coincide con quello di legittimazione ad agire, la quale presuppone l’acquisto della capacita` di agire; condizioni e presup- posti che fondano i canoni ex artt. 75 e 81 c.p.c.
struzione, tutta giurisprudenziale, volta al riscontro di merite- volezza nel concreto. Intanto per autosufficienza economica si intende almeno la percezione da parte del figlio di un reddito corrispondente alla professionalita` acquisita, secondo le norma- li e concrete condizioni di mercato, quale che sia, senza che possa assumere alcuna rilevanza l’eventuale migliore tenore di vita goduto dal figlio anteriormente, in costanza di vita coniu- gale o di fatto comune dei propri genitori, ovvero la maggiore agiatezza di questi (Cass., Sez. I, 23 gennaio 1996 n. 496; Id., 4
marzo 1998 n. 2392, in Giur. It., 1999, 252, con nota di Xxxxx). Pur con contraddizioni, risultano ricorrenti i seguenti criteri che determinano la cessazione dell’obbligazione genitoriale: A) l’aver gia` raggiunto una condizione di indipendenza economica poi persa in prosieguo di tempo (cosiddetta permanenza inin- terrotta della condizione di non autosufficienza che deve pro- seguire senza soluzione di continuita` dal raggiungimento della maggiore eta`), viepiu` ove frutto di scelte ingiustificabili razio- nalmente; App. Roma 29 maggio 1995, in Dir. Fam. Pers., 1996, I, 105; Id., 8 giugno 2004, in Arch. Civ., 2004, 1419, con nota di Santarsiere; Cass., Sez. II, 7 luglio 2004 n. 12477, in Giust. Civ., 2005, I, 699; Cass., Sez. I, 2 dicembre 2005 n. 26259; Id.,
7 aprile 2006 n. 8221; Id., 28 agosto 2008 n. 21773. Con la precisazione che in tali casi rimane aperta soltanto l’ipotesi ec- cezionale della provvidenza alimentare tra consanguinei ex art. 433 e segg. c.c.; Cass., Sez. I, 16 marzo 2004 n. 5317; Id., 6 ottobre 2006 n. 21572; B) egualmente, il raggiungimento di una eta` tale (oscillante intorno al 30o anno) da far presumere la capacita` di provvedere a se stesso e comunque il venir meno del “dovere” genitoriale, criterio adottato dalla giurisprudenza di merito e parzialmente contenuto nel principio in sede di legit- timita`, ove normalmente si stigmatizza che non puo` fissarsi una regola valente in tutti i casi indiscriminatamente; Trib. Bari 23 settembre 2008, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xxx; Cass., Sez. I, 18 gennaio 2005 n. 951, in Fam. Dir., 2005, 138, con nota di Xxxxxx;
App. Bologna 25 maggio 2006, in Fam. e Min., 2006, 2, 77;
Cass., Sez. I, 24 settembre 2008 n. 24018, in Guida Dir., 2008,
41, 37, con nota di Xxxxxxx; Trib. Catania 23 febbraio 2010, ivi, 2010, 8, 64; C) ancora, l’aver contratto matrimonio od intrapre- so convivenze, formando autonomo nucleo familiare od altro regime di vita comunitaria con altri; Cass., Sez. I, 25 maggio 1981 n. 3416; ma non anche l’aver generato un figlio naturale rimanendo convivente con il genitore gia` affidatario; Xxxx., Xxx. I, 13 febbraio 2003 n. 2147, in Guida Dir., 2003, 12, 47, con nota di Xxxxxxxx; D) l’aver posto il figlio in concrete condizioni di conseguire un titolo, assumere idoneo lavoro o conseguire l’esercizio di attivita` lucrativa; Cass., Sez. I, 11 agosto 1977 n. 3709, in Xxxxx. Xxx., 0000, XX, 0000, xxx xxxx xx Xx Xxxx; Pret. Oristano 4 dicembre 1986, in Dir. Fam. Pers., 1988, 374; Cass.,
Sez. I, 11 marzo 1998 n. 2670; Id., 7 maggio 1998 n. 4616, in
Giur. It., 1999, 252, con nota di Xxxxx, cit.; Id., 30 agosto 1999
n. 9109 (un qualche arresto si rinviene in Cass., Sez. I, 3 aprile 2002 n. 4765, in Giur. It., 2003, 476, con nota di Xxxxxxxx); e Xxxx, Sez. I, 3 novembre 2006 n. 23596; E) in ordine poi alla
natura del rapporto di lavoro assunto ed all’entita` dei proventi ricavati si rinvia a: Xxxx., Sez. un., 21 luglio 1999 n. 486 (unica- mente con riguardo alle peculiarita` dell’apprendistato); Cass., Xxx. I, 28 maggio 2004 n. 10273; Id., 27 novembre 2006 n. 24498;
Id., 11 gennaio 2007 n. 407, in Xxxx Xx., X, 000; Id., 19 gennaio 2007 n. 1146; App. Bologna 1o marzo 2007, in www.giuraemi- xxx.xx; Trib. Salerno 10 novembre 2009, in Fam. Dir., 2009, 1182;
e Id., 9 gennaio 2010, ivi, 2010, 418. Mentre in ordine alla legit- tima opzione del figlio maggiorenne per la prosecuzione degli studi, positivo appare l’indirizzo di App. Catania 28 ottobre 2009; Id., 27 novembre 2009, entrambe in Fam. e Min., 2010, 4, 69; e Cass., Sez. I, 12 gennaio 2010 n. 261; F) determina la stessa cessazione dell’obbligazione genitoriale il manifestarsi di un ri- fiuto ingiustificato ad assumere una occupazione lavorativa; Cass., Sez. I, 7 maggio 1998, n. 4616; Id., 24 novembre 2004 n. 22214; e Id., 6 novembre 2006 n. 23673; G) e piu` in generale, la ricorrenza di un atteggiamento di inerzia del figlio sia negli studi come in ogni altro impegno di vita; Trib. Messina 9 settembre 1984, in Giur. Merito, 1986, 605, con nota di Xxxxxxxxx; Cass., Sez. I, 28 giugno 1988 n. 4373; Pret. Foligno 30 marzo 1989 cit.
in nota 5; Cass., Sez. I, 11 dicembre 1992 n. 13126; Id., 6 aprile
1993 n. 4108; Id., 30 agosto 1999 n. 9109; Id., 16 febbraio 2001
n. 2289; Id., 1o dicembre 2004 n. 22500; Trib. Catania 7 dicembre 2004, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx; Cass., Sez. I, 14 marzo 2006 n. 5514; e Id., 20 maggio 2006 n. 11891. H) peculiare e` poi il tema dell’onere della prova, che il genitore gravato deve assol- vere, prova cui deve pero` essere necessariamente ammesso senza scorciatoie di sorta; cosı` viene esaltata la prova per presunzioni o valutato con rigore l’onere probatorio che incombe sul xxxxxx- xxxxx, man mano che l’eta` si accresce; App. Caltanissetta 23 feb- braio 2007, in Fam. e Min., 2007, 5, 65; Cass., Sez. I, 6 aprile 2009
n. 8227, ivi, 2009, 6, 38, con nota di Xxxxxxxx. Con l’avvertenza che i precedenti citati in genere rilevano sotto piu` profili. Certo vi e` una tendenza, condivisibile ed ovvia, a contenere situazioni di aperto disimpegno sociale e di parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori oramai anziani.
7 La constatazione in punto dei commentatori e` unanime, e proprio per effetto delle “disposizioni in favore dei figli mag- giorenni” di cui al tenore testuale dell’epigrafe dell’art. 155
quinquies c.c. E` rimasta peraltro isolata anche in giurispruden-
za, l’opinione espressa nell’immediatezza dell’entrata in vigore della L. 8 febbraio 2006 n. 54, che aveva spinto a dedurre pro- prio dal richiamato tenore espressivo dell’art. 155 quinquies c.c., “valutate le circostanze”e “puo` disporre”, l’automatica cessazio- ne al compimento del diciottesimo anno di eta`, degli obblighi di mantenimento gia` stabiliti a favore dei figli nelle pronunce emes- se in esito ai giudizi di separazione coniugale, divorzio, annul- lamento matrimoniale e tra genitori naturali, cui la nuova nor- mativa si applica a tenore dell’art. 4, espressa in particolare da Xxxxxx, L’affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, Rimini, 2007, 181.
8 Testuale tratto motivo della pregevole Trib. Macerata 26 marzo 1988, in Giur. Merito, 1989, 876.
Richiamate queste sintetiche ed essenziali fondamen- ta, ancora un interrogativo prima di calarci nel tema qui affrontato: e` ammissibile al figlio maggiorenne non indipendente economicamente, in difetto di una espressa previsione d’ordine processuale, un proprio ruolo nei giudizi elencati nell’art. 4, comma 2, legge
n. 54/2006, in cui i genitori controvertano in ordine al suo mantenimento, e quale in ipotesi?
La dottrina 9 risulta, pur con varie sfumature e distin- zioni, in buona sostanza animata da indirizzi cosı` estre- mi e cosı` vari, da ingenerare autentica incertezza; alle due tesi che possiamo definire come agli antipodi estre- mi, secondo cui per alcuni nessun altro soggetto puo` essere presente in tali giudizi oltre i coniugi/genitori, ovvero secondo cui soltanto con la presenza necessaria dei figli maggiorenni si puo` statuire in merito al loro mantenimento, si affollano tesi mediane, ognuna con proprie sfumature, distinzioni o sottodistinzioni; im- prescindibile il tentativo di una loro catalogazione, senza pretese di completezza e con qualche inevitabile perplessita`.
a) Nel solco della tradizione, partendo dalla premes- sa che in ogni caso il figlio maggiorenne e` legittimato ad agire autonomamente iure proprio, si riconosce al ge- nitore convivente che si fa carico direttamente delle sue esigenze quotidiane, la legittimazione ad agire co- siddetta concorrente, sempre iure proprio (salvo poi a verificare le conseguenze processuali di un eventuale contemporaneo agire, tra il figlio maggiorenne ed il genitore convivente, come vedremo infra), per il ripar- to degli oneri stessi verso l’altro genitore, proporzio- nalmente obbligato, e si afferma che nessun intervento e` ammissibile 10 nei giudizi di separazione e di divorzio, e quindi neanche nelle eventuali sedi di revisione e
modifica delle condizioni, siccome tali giudizi inerisco- no ontologicamente un rapporto personalissimo di sta- tus necessariamente riservato ai coniugi, che non tol- lera intrusioni di sorta 11, neppure per le consequen- ziali “pronunce accessorie” (quali le statuizioni sul mantenimento, l’istruzione e l’educazione della prole, sulle quali i coniugi/genitori pure eventualmente con- trovertano), e mai l’ordinamento ha inteso istituziona- lizzare il conflitto genitori/figli 12; secondo questa rico- struzione il contenzioso resta “chiuso” e riservato ai coniugi (ed il mantenimento dei figli una questione endoconiugale o parimenti tra coobbligati solidali pas- sivi nell’ipotesi di filiazione al di fuori del vincolo di coniugio), pur se l’assegno dovra` versarsi in mani del figlio maggiorenne quale terzo beneficiario estraneo al giudizio (ipotesi di rapporto intersoggettivo plurimo peraltro gia` presente nel nostro sistema processuale); in tale ottica, si precisa, che non si ravvisano ragioni per aprire una breccia nel principio secondo cui i figli non sono parti del giudizio di separazione o per ammettere l’intervento dei figli maggiorenni 13 e che l’eventuale corresponsione diretta in mani del figlio maggiorenne di un assegno predeterminato periodico, costituisce niente altro che la previsione di una modalita` attuativa di assolvimento dell’obbligo genitoriale 14; si aggiunge come una tale conclusione sia all’evidenza confermata dal fatto che proprio il nuovo disposto normativo ex art. 155 quinquies, comma 1, c.c. consente al giudice, previa una complessiva valutazione delle circostanze del caso, di determinarsi discrezionalmente sia pure in via di eccezione rispetto alla regola generale posta 15; ci si spinge anche a sostenere che l’espressione “avente diritto” risulta impropria, in quanto costituisce solo un riferimento esplicativo al soggetto che trarra` beneficio
9 Volutamente limitata nelle citazioni a quella recente, omes- so il richiamo alla dottrina nel regime anteriore, per la mole delle citazioni, siccome non essenziali in questa sede, comunque rin- venibile in ogni commentario, trattato o manuale, e peraltro citata ampiamente in tutti gli scritti richiamati nel contesto di questa nota.
10 Sesta, L’affidamento condiviso: a) profili sostanziali, in Fam. Dir., 2006, 386; osserva questo autore, con ampi richiami, come la controversia relativa all’assegno di contributo al man- tenimento del figlio maggiorenne, compreso il profilo del desti- xxxxxxx del pagamento ex art. 155 quinquies c.c., e` questione che in sede di separazione o divorzio riguarda i genitori, di guisa che in tali sedi il figlio non e` legittimato ad intervenire; ma una volta definiti tali giudizi il figlio potra` sempre agire autonomamente nelle sedi ordinarie, cioe` senza radicali innovazioni rispetto al prevalente e consolidato indirizzo giurisprudenziale formatosi prima della novella, che configurava una legittimazione concor- rente iure proprio del genitore convivente, come meglio richia- meremo infra; Xxxxxxxxx, I nuovi istituti di diritto di famiglia (norme processuali ed affidamento condiviso): prime istruzioni per l’uso, in Giur. Merito, 2006, suppl. 3, speciale riforma diritto di famiglia, 54; il quale aggiunge, ugualmente sulla base di ampie premesse e richiami, come non sia estranea al nostro sistema processuale la previsione di provvedimenti in favore di terzi che non assumono in giudizio la qualita` di parte; Xxxxxxx, Le do- mande aventi contenuto economico: il contributo al mantenimen- to dei figli minorenni e maggiorenni e del coniuge, in AA.VV., Il nuovo rito del contenzioso familiare e l’affidamento condiviso, Padova, 2007, 213; Xxxxxx, L’affidamento condiviso, in Collana diretta da X. Xxxxx, Lavis, 2007, 182. Merita inoltre una men- zione la recensione del Sesta all’opera di Xxxxxxxx, I processi di separazione e di divorzio, Torino, 2008, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2009, 787, che sottopone a critica proprio la lettura forte-
mente innovativa ivi posta dell’art. 155 quinquies x.x., xxxxxxxx xxxxxxx.
00 Storica l’elegante disputa tra il Segni ed il Carnelutti, intorno a Trib. Forlı` 9 aprile 1941, in Riv. Dir. Proc., 1941, II, 109, che escluse l’ammissibilita` dell’intervento del terzo, nella sua veste di correo del coniuge pretesamente “adultero”, nel giudizio di separazione coniugale; il Segni, Intervento del pre- teso adultero in causa di separazione personale, ivi 109, nell’ade- rire alla soluzione adottata dal Tribunale, poneva l’accento sul carattere personalissimo della causa di separazione coniugale, sostenendo che essa non lascia spazio all’intervento di estranei al rapporto matrimoniale, ma al contempo espresse una significa- tiva riserva proprio sui figli, in quanto “soggetti aventi interesse a che il rapporto non venga modificato”; il Carnelutti, Inter- vento in causa di separazione personale, ivi, 229, aderendo an- ch’egli alla soluzione adottata, pur con distinzioni ed aperture rilevanti, evidenzio` invece che la ragione di tale riserva doveva rinvenirsi nel “preminente e superiore interesse della famiglia, vero oggetto della tutela statuale”. La sentenza venne confer- mata in appello (App. Bologna 9 marzo 1942, in Riv. Dir. Proc., 1942, II, 130) e non risulta essere giunta al vaglio di legittimita`.
12 Inciso motivo espresso anche da Corte cost. 14 luglio 1986
n. 185, in Giur. It., 1988, 1, I, 1112, pur nel diverso ambito a disamina del dubbio di costituzionalita` inerente la scelta del legislatore di non attribuire la qualita` di parte ai figli minori nei giudizi di separazione e di divorzio.
13 De Filippis, Affidamento condiviso dei figli nella separa- xxxxx e nel divorzio, Padova, 2007, 197 e segg, ed in Ilmatrimonio, la separazione dei coniugi ed il divorzio, Padova, 2007, 384-385.
14 Xxxxxx, Affidamento dei figli e assegnazione del domicilio coniugale: la recente riforma, in Familia, 2006, 411.
15 D’Xxxxxx-Xx Xxxxxx, L’affidamento dei figli, Rimini, 2008, 276.
dall’assegno, che parimenti al figlio minorenne, e` sol- tanto destinatario finale della decisione del giudice. Conclusivamente, un quadro obiettivamente non idoneo alla qualificazione di un ruolo processuale del figlio maggiorenne, che non puo` neppure essere am- messo a spiegare l’intervento volontario in lite ex art. 105 c.p.c., in tutte le sue modulazioni, e cioe`, ne´ quello autonomo (o principale), ne´ quello adesivo autonomo (o litisconsortile) e neanche il residuale intervento ade-
sivo dipendente (o ad adiuvandum)16.
Nel percorso argomentativo di tale indirizzo si pro- pugna, come accennato, pur con qualche innegabile perplessita`, l’idea che la novella cosiddetta dell’affida- mento condiviso non avrebbe portato significative in- novazioni rispetto al passato, essendo rimasta ferma la concorrente legittimazione del genitore che in situa- zione di convivenza 17 appresta direttamente quanto abbisogna nel quotidiano al figlio ultradiciottenne, con l’autonoma legittimazione del medesimo figlio, ma al di fuori dei giudizi di cui e` menzione nell’art. 4 legge n. 54/2006, nei quali sono applicabili le nuove disposi- zioni. Tale ricostruzione peraltro si deve misurare con le conseguenze processuali dell’eventuale agire con- temporaneo dei due legittimati concorrenti nelle diver- se sedi giudiziali; infatti, al di la` dell’ipotesi per cui non ricorre alcuna reale interferenza per essere la domanda di entrambi o identica, o posta con riferimento a di- verse voci o categorie di spesa, si possono affacciare varie soluzioni; dal criterio per cui la legittimazione concorrente del figlio sarebbe quiescente ovvero reces- siva rispetto all’iniziativa giudiziale gia` assunta dal ge- nitore convivente nei giudizi coniugali/genitoriali in- dicati, a quello inverso che ne fa derivare il venir meno della legittimazione del genitore convivente; da quello per cui l’autonoma iniziativa giudiziale del figlio non ha alcun effetto, a quello che qualifica entrambe le legittimazioni come concorrenti ed alternative su un piano di parita`, valendo allora il criterio per cui chi si e` attivato per primo impone all’altro di attendere l’esi- to del giudizio secondo il canone della litispendenza, per poi attivarsi autonomamente senza subirne preclu-
sioni, ovvero il criterio della pregiudizialita` o meno dell’una domanda sull’altra, ovvero della connessione ed altro ancora 18.
b) Dall’altro lato, si oppone che un conto e` il rap- porto di coniugio e tutt’altro conto e` il rapporto di filiazione, il quale ultimo necessariamente coinvolge il figlio ed i suoi genitori; il diritto al mantenimento del figlio ultradiciottenne, in esito al perentorio disposto ex art. 155 quinquies, comma 1, c.c., porta ad indivi- duare un’unica titolarita` in capo al figlio stesso e vede quali obbligati i genitori, senza che vi sia spazio per una legittimazione concorrente, con esclusione quindi di qualsivoglia residua rilevanza del criterio della convi- venza, ovvero del canone della solidarieta` attiva (ma tale non e` come vedremo infra) nell’esercizio del me- desimo diritto al mantenimento, ovvero, alternativa- mente, di quella passiva; peculiare in tale percorso la contestazione dialettica secondo cui non e` neppure possibile spiegare come possa darsi una legittimazione concorrente per l’esercizio di diritti autonomi siccome asseritamente tra loro diversi; con la conseguenza che il figlio maggiorenne oggi deve qualificarsi un litiscon- sorte necessario ex art. 102 c.p.c., cui va pertanto assi- curata la piena ed effettiva partecipazione ai processi nei quali si controverte del diritto al proprio manteni- mento di cui lui soltanto e` il titolare 19; ad un tale even- tuale difetto del contraddittorio conseguirebbe una sentenza inutiliter data nel capo (o capi) che regola quel diritto, difetto che invero inficerebbe in radice persino l’ordinanza presidenziale ex art. 708 c.p.c. o l’altra ex art. 4 X. Xxx. (soggette a reclamo immediato) e tutti gli altri provvedimenti che definiscono i giudizi nei quali la norma e` applicabile.
c) In posizione mediana, se cosı` e` consentito dire, si pongono numerosi altri autori che negano al figlio maggiorenne la qualita` di litisconsorte necessario, ma proprio in virtu` della nuova disposizione ex art. 155 quinquies c.c., gli riconoscono il diritto all’intervento ex art. 105 c.p.c. 20, giustificandolo con il comune evi- dente interesse riguardo alle domande accessorie di contenuto patrimoniale che coinvolgono il suo perso-
16 Si richiamano in merito e per tutti, Xxxxxx-Xxxxxxxxx, Trattato di diritto processuale civile, Padova, versione ipertestua- le dvd , 2010, cap. XXXIV, 180 e segg.; Xxxxxxxxx, Diritto processuale civile, Torino, 2009, I, 404; Ricci, Diritto Processua- le Civile, Torino, 2005, I, 235.
17 E del rapporto di coabitazione idoneo la giurisprudenza ne ha dato sempre un’ampia accezione, identificandolo in un col- legamento stabile seppur saltuario, ove impegni di studio od altro motivino l’assenza anche per non brevi periodi; l’essenziale che il figlio vi faccia capo e vi ritorni ogniqualvolta gli impegni glielo consentano; in tal senso: Xxxx., Sez. I, 22 marzo 2010
n. 6861, in Fam. Dir., 2010, 776, con nota di Xxxxxxx; Id., 27 maggio 2005 n. 11320, in Giur. It., 2006, 470; Trib. Messina 8 novembre 2004, in Fam. Dir., 2005, 283; Cass., Sez. I, 13 feb- braio 2003 n. 2147, in Guida Dir., 2003, 12, 47; Id., 16 febbraio 2001 n. 2289, in Fam. Dir., 2001, 275; ma si vedano in senso piu` rigido, Cass., Sez. I, 22 aprile 2002 n. 5857 e Id., 17 dicembre 2004 n. 23570.
18 Si richiama in punto l’analisi di Xxxxxx, op. cit., in nota 3, 144; destano interesse anche: Trib. Modena 28 giugno 2007, in Fam. e Min., 2007, 10, 79, per la ricostruzione posta proprio nel passaggio tra l’anteriore regime e l’attuale; nonche´ Trib. Roma 23 giugno 2008, in Fam. Pers. Succ., 2008, 846, con nota di Xxxxxxxx, che tocca tutti tali temi.
19 Xxxxxxxx, Il versamento diretto dell’assegno di manteni- mento ai figli maggiorenni economicamente non ancora autosuf- ficienti. Note processuali, in Fam. Dir., 2008, 585, in nota a Cass., Sez. I, 12 ottobre 2007 n. 21437; Id., Profili processuali della L.
n. 54 del 2006 sul c.d. affidamento condiviso dei figli, in Dir. Fam. Pers., 2006, 1856; l’autore pone anche uno schema analitico delle possibili ipotesi processuali sul come in concreto si esplica l’asserito litisconsorzio. Propende per una tale tesi anche Co- stanzo, I processi di separazione e divorzio, a cura di Xxxxxxxx, Torino, 2008, 208 e segg.
20 Tommaseo, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: b) profili processuali, op. cit, in nota 1; 398; Cea, L’affidamento condiviso. Profili processuali, in Foro It., 2006, V, 98; Lupoi, Aspetti processuali della normativa sull’affidamento condiviso, op. cit., in nota 1, 1071-1072; Mandrioli, Diritto processuale civile, 2007, III, 81-85; X. Xxxxxx, L’affidamento condiviso: le tutele processuali, in Dir. Fam. Pers., 2007, II, 1908-1913; Do- gliotti-Figone, Famiglia e procedimento, Lavis, 2007, 112; X. Xxxxxxxx, Il mantenimento dei figli nell’affidamento condiviso: problemi interpretativi e prassi applicative, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2008, II, 177-179; Xxxxxxx, L’intervento dei figli mag- giorenni nei giudizi di separazione e di divorzio, in Fam. Dir., 2009, 419.
nale diritto al mantenimento ed esclusivamente riguar- do ad esso.
Nell’ottica di questi autori viene efficacemente osser- vato che il figlio maggiorenne economicamente non emancipato puo` utilizzare tutti gli strumenti predispo- sti dall’ordinamento a tutela del diritto al mantenimen- to, di cui e` titolare, a carico dei genitori, ove questi risultino inadempienti, ed anche qualora i medesimi genitori non siano ne´ separati, ne´ divorziati, ovvero ancora legati da convivenza more uxorio; aggiungendo, quale rafforzativo dirimente, che anche l’indirizzo tra- dizionale proteso alla conservazione della legittimazio- ne ad agire iure proprio del genitore convivente con il figlio maggiorenne non nega la coeva legittimazione iure proprio del figlio maggiorenne, ed anzi, ne qualifica l’agire come prevalente, nel senso l’azione di questi esclude proprio la concorrente legittimazione genito- riale.
d) A cavallo di tali impostazioni si pone l’originale
posizione di chi 21 giunge ad affermare come, al mo- mento del raggiungimento della maggiore eta`, il figlio non ancora economicamente autosufficiente, acquisi- sca automaticamente la legittimazione a far valere in via esclusiva il diritto al proprio mantenimento (salvo il ricorrere di particolari condizioni), anche per effetto del disposto di cui all’art. 81 c.p.c.; e cosı` si determina al contempo il venir meno di ogni legittimazione del genitore con cui il medesimo figlio maggiorenne xxxx- xx xxxxxxx; ma l’esercizio di una tale pretesa giudiziale del figlio maggiorenne puo` essere svolta soltanto in autonoma sede processuale, nei modi ordinari, e giam- mai nell’ambito dei giudizi di separazione e di divorzio, dei quali sono parti soltanto i due coniugi.
6. I precedenti della giurisprudenza.
La giurisprudenza, pur con l’ovvia funzione sua pro- pria di spiccato riguardo alle singole fattispecie con- crete, si e` sviluppata su percorsi ermeneutici piu` con- tenuti.
a) Quella anteriore alla L. 8 febbraio 2006 n. 54, decisamente consolidata anche in sede di legittimita` 22, ha affermato il canone della “legittimazione concor-
rente”, secondo cui «il genitore separato (o divorziato, od il genitore naturale) convivente con il figlio maggio- renne che provveda direttamente alle sue necessita`, e` legittimato ad agire iure proprio verso l’altro genitore per il rimborso di quanto da lui anticipato per il man- tenimento del medesimo figlio nonche´ per il versamen- to del contributo ancora necessario in futuro sino al raggiungimento dell’autosufficienza economica ovve- ro sino all’estinzione del diritto stesso per altra legitti- ma causa ostativa, in forza degli artt. 147 e 148 c.c.». In tale solco lo stesso indirizzo giurisprudenziale si faceva ovviamente carico di risolvere l’eventuale so- vrapposizione o contrasto tra l’azione del «genitore convivente che provvede in quanto tale al manteni- mento del figlio xxxxxxxxxxx» e l’azione esercitata di- rettamente ed autonomamente da quest’ultimo, secon- do la stessa ipotesi sopra enunciata al par. 5; fermo il principio per cui nel giudizio di separazione coniugale o nelle altre sedi indicate, la qualita` di parte spetta esclusivamente ai coniugi, veniva cosı` ben precisato che intanto una domanda deve pur sempre sussistere, trattandosi di diritto appartenente a soggetto munito della capacita` di agire (e mai potendo qualificarsi l’azione eventualmente esercitata dal genitore come esercitata in rappresentanza del figlio, xxxx` capite filio- rum), come tale obiettivamente disponibile, in assenza di qualsivoglia criterio d’ordine pubblico da cui desu- mere una qualche tutela officiosa; e poi, che il figlio maggiorenne vanta un titolo autonomo secondo la pre- visione ex artt. 147, 148 c.c. ed e` sempre legittimato ad agire separatamente iure proprio nei confronti di en- trambi i suoi genitori od uno solo di essi, sia che si trovi in relazione di convivenza con entrambi (e quindi an- che a prescindere dalla crisi della coppia genitoriale), che con uno soltanto o con nessuno dei due; anzi, la sua legittimazione, ove in concreto l’azione venga esercita- ta dal figlio stesso, deve intendersi principale di talche´ essa non trova mai ostacoli, non solo risultando esclu- siva in caso di cessazione della relazione di conviven- za 23, ma prevalendo (significativa comunque la defini- zione di “alternativa”) su quella del genitore conviven- te, ovviamente ove rivolta al futuro, risolvendosi il pas-
21 X. Xxxxxxxxxxx, Assegno versato direttamente ai mag- giorenni, in Guida Dir., 2006, 11, 42.
22 Cass., Sez. I, 15 novembre 1977 n. 4969; Id., 25 maggio 1981 n. 3416, in Giust. Civ., 1982, I, 1335, con nota di X. Xxxxxxxxxxx; Id., 13 ottobre 1982 n. 5271; Id., 21 maggio 1984 n. 3115; Id., 27 febbraio 1990 n. 1506; Id., 3 luglio 1991 n. 7295; Id., 12 marzo 1992 n. 3019, in Foro It., 1994, I, 1635, con nota di Quadri; Id., 8 gennaio 1994 n. 144, in Fam. Dir., 1994, 291, con nota di Castello; Id., 8 giugno 1994 n. 5539; Id., 28 giugno 1994 n. 6215; Id., 23 ottobre 1996 n. 9238; Id., 16 luglio 1998 n. 6950; Id., 8 settembre 1998 n. 8868; Id., 18 feb- braio 1999 n. 1353, in Fam. Dir., 1999, 455, con nota di Mo- rello Xx Xxxxxxxx; Id., 16 febbraio 2001 n. 2289, ivi, 2001, 275, con nota di Xxxxxxx; Id., 3 aprile 2002 n. 4765; Id., 21 giugno 2002 n. 9067; Id., 13 febbraio 2003 n. 2147, in Giur. It., 2003, 45, con nota di D’Auria; Id., 19 giugno 2003 n. 9806; Cass., Sez. III, 18 aprile 2005 n. 8007; Cass., Sez. I, 27 maggio 2005 n. 11320; Id., 24 febbraio 2006 n. 4188. Per la giurispru- denza di merito, si segnalano: Trib. Monza 8 maggio 1986, in Foro It., 1986, I, 3159; Trib. Vigevano 13 novembre 1987, in Giur. It., 1988, I, 2, 346; Trib. Catania 14 dicembre 1992, in Foro It., 1993, I, 1636, con nota di Xxxxxx, ed in Giur. Merito, 1993, 307, con nota di Trerotola; Trib. Roma 8 aprile 1994, in Gius.,
1994, 11, 167; Trib. Cagliari 11 marzo 1997, in Riv. Giur. Sarda,
1999, 423, con nota di Granara.
23 Mentre il precedente di Trib. Macerata 26 marzo 1988, cit., in nota 8, consente di enucleare l’ulteriore principio per cui il genitore del maggiorenne non e` tenuto anche a coabitare, po- tendo l’obbligo di mantenimento essere adeguatamente assolto fuori della casa familiare; conforme Pret. Oristano 4 dicembre 1986, in Dir. Fam. Pers., 1988, 374; e Cass., Sez. I, 9 gennaio 1976 n. 38, ivi, 1976, I, 95, afferma il canone speculare per cui il genitore non puo` pretendere di assolvere l’onere di manteni- mento direttamente presso la propria abitazione, xxxx` imponen- do al figlio la convivenza; il figlio maggiorenne che abbandona volontariamente la convivenza con il genitore gia` affidatario o con il quale anteriormente conviveva, o con entrambi, assume legittimazione esclusiva a domandare la tutela del diritto al pro- prio mantenimento (ipotesi che di fatto ricorre con una certa frequenza) ove ancora economicamente non emancipato senza colpa; in tal senso, Trib. Catania 30 luglio 1993, in Dir. Fam. Pers., 1994, 650; e Trib. Catania 14 dicembre 1992, cit. in nota 22; quest’ultimo precedente induce ad una particolare attenzio- ne, in quanto quel giudice di merito, in presenza di una contro- versia in sede di modificazione delle condizioni tra genitori di- vorziati, proprio sulla misura dei rispettivi contributi in favore
xxxx sul canone del ristoro patrimoniale in favore di chi ha effettivamente gia` provveduto; cosı`, esemplifican- do, da un lato risulta comunque valorizzato il criterio della mancata azione diretta del figlio, come conferma- tiva della legittimazione iure proprio del genitore con- vivente anche ad ottenere quanto ancora necessario in futuro, e dall’altro lato come l’eventuale giudicato for- matosi tra i genitori (nelle medesime controversie co- niugali o genitoriali) non pregiudica mai il figlio e nep- pure puo` valere in suo favore, di xxxxxx´ quando questi riterra` di agire a tutela del proprio diritto determinera` l’esclusione della legittimazione genitoriale 24. Affidate alla notazione in calce le ulteriori peculiarita` e le varia- bili decisamente molteplici, la sintesi di tale soluzione si struttura sui seguenti passaggi logici:
il titolo che legittima il genitore convivente con il
figlio maggiorenne, che si fa carico degli oneri quoti- diani del suo mantenimento, a domandare verso l’altro genitore il proporzionale concorso contributivo, e` un titolo autonomo iure proprio, che si fonda sulla condi- visione dell’obbligazione genitoriale ex lato passivo (artt. 147 e 148, comma 1, c.c.), per cui e` connaturato il suo interesse patrimoniale non solo ad essere refuso delle spese gia` sostenute, ma a non anticipare costan- temente in futuro la quota della prestazione gravante sul suo coobbligato solidale; e trova pregnante ragione nel munus spettante al medesimo genitore convivente di provvedere direttamente ed in modo completo e continuo al mantenimento, alla formazione ed all’istru- zione del figlio;
il diverso titolo che legittima il figlio maggiorenne a domandare verso i propri genitori, trova invece il suo fondamento nella titolarita` del diritto al mantenimen- to; esso non e` soltanto autonomo e iure proprio, ma principale, e quindi, ove esercitato con domanda rivol- ta al futuro, puo` escludere in toto od in parte la legit- timazione concorrente del genitore convivente, che viene cosı` inibito ad ulteriormente intromettersi (di xxxxx l’ipotesi e` quella per cui non provvede piu` in toto od in parte agli oneri quotidiani per il figlio stesso); ed ove una statuizione giudiziale risulti gia` emessa in favore del genitore convivente, l’esercizio di tale azione direttamente da parte del figlio maggiorenne costitui- sce evento sopravvenuto idoneo alla sua modificazione revocatoria;
in ogni caso, esercitandosi tali azioni in sedi proces- suali autonome, e non essendo consentita la presenza di soggetti ulteriori rispetto ai coniugi/genitori nei con- tenziosi matrimoniali, per la loro specialita`, salve le ipotesi di intervento necessario dell’organo requirente, non si pone mai una problematica di litisconsorzio con il figlio maggiorenne o di un suo intervento, risolven- dosi la concorrenza delle eventuali duplici azioni in concreto esercitate con l’inibire l’azione del genitore rivolta al futuro, ove il figlio maggiorenne l’abbia gia` esercitata, ovvero con il venir meno dell’anteriore tito- lo ove il figlio maggiorenne voglia esercitarla in futuro (da sottolineare a margine come per il genitore coin- volto in un contenzioso coniugale la questione acces- xxxxx del mantenimento del figlio maggiorenne, a dif- ferenza dei provvedimenti per la prole in minore eta`, non e` capo essenziale della pronunzia che definisce il giudizio).
Il percorso di questa giurisprudenza, complesso e
faticoso, non mancava di evidenziare qualche variabile, che invero ne mette in luce tutti i tratti problematici; da segnalare infatti come in alcuni precedenti si aggiunge o specifica un richiamo ai principi dettati in tema di solidarieta` attiva nelle obbligazioni 25, da applicarsi analogicamente, come se il genitore convivente ed il figlio maggiorenne fossero titolati ad esercitare il me- desimo diritto, percorso all’evidenza risultato impro- ponibile, sia per mancanza proprio di eadem causa obli- gandi, sia perche´ a differenza della solidarieta` passiva, come ben noto, quella attiva non si presume, ma ri- chiede un titolo specifico, legale o convenzionale; pe- raltro, un tale percorso risultava anche ultroneo, in quanto altri precedenti, maggioritari, avevano gia` po- sto una correzione di quell’indirizzo riconoscendo trattarsi invero di un’obbligazione caratterizzata dal vincolo di solidarieta` passiva tra i genitori 26; altre po- sizioni minoritarie, ma non per questo meno interes- santi, sono giunte ad individuare una legittimazione esclusiva del figlio una volta divenuto maggiorenne ad agire a tutela del proprio diritto, ammettendo pero` la surroga ex art. 1203, n. 3, c.c. del genitore che ha prov- veduto per intero al mantenimento 27; da segnalare inoltre come numerose pronunce, inerenti la domanda di rimborso pro quota di quanto anticipato integral- mente da uno dei genitori in passato (anche sin dalla
dei figli maggiorenni non piu` conviventi con alcuno dei genitori, disponeva l’integrazione del contraddittorio con i medesimi fi- gli. Giova poi richiamare Trib. Modena 6 settembre 2007, in Fam. Pers. Succ., 2007, 947, che nell’ambito di un giudizio ca- merale ex art. 710 c.p.c., ha rilevato d’ufficio il difetto di legit- timazione ad agire del genitore che aveva domandato l’aumento dell’assegno gia` stabilito per il figlio, ma con esso non piu` con- vivente.
24 Nei sensi tutti accennati nel testo: Xxxx., Sez. I, 19 febbraio 1977 n. 772, in Dir. Fam. Pers., 1977, 533; Id., 15 novembre 1977
n. 4969; Id., 7 novembre 1981 n. 5874; Trib. Messina 9 settem- bre 1984, cit. in nota 6; Cass., Sez. I, 27 febbraio 1990 n. 1506; Id., 12 marzo 1992 n. 3019; Id., 30 aprile 1992 n. 5221; Id., 29 marzo 1994 n. 3049; Id., 17 gennaio 1996 n. 364, in Fam. Dir., 1996, 227, con nota di Xxxxxxxxxxxx; Id., 3 dicembre 1996
n. 10780, ivi, 1997, 247, con nota di Xxxxxxxxxxx; Id., 16 luglio 1998 n. 6950; Id., 8 settembre 1998 n. 8868; Id., 15 settembre 1998 n. 9175, in Foro It., 1999, I, 583, con nota di Xxxxxx; Id., 18 febbraio 1999 n. 1353; Id., 16 giugno 2000 n. 8235; Id., 9 novembre 2001 n. 13872; Id., 21 giugno 2002 n. 9067; Id., 24
febbraio 2006 n. 4188; App. Bologna 1o marzo 2007, in www. xxxxxxxxxxx.xx (che da rilievo al tacito accordo tra figlio maggio- renne e genitore convivente). Alcuni di questi precedenti affer- mano anche che l’eventuale rinuncia del figlio maggiorenne non spiega alcun effetto sul titolo giudiziale del genitore convivente, modificabile soltanto in sede ex art. 710 c.p.c. (o art. 9 L. Div., o le altre sedi tra genitori naturali) senza alcun automatismo collegato al raggiungimento della maggiore eta`; e tanto meno quest’ultimo evento puo` legittimare, ipso facto, la mancata cor- responsione dell’assegno.
25 Cass., Sez. I, 16 luglio 1998 n. 6950; Id., 8 settembre 1998 n. 8868; Cass., Sez. III, 18 aprile 2005 n. 8007.
26 Si segnalano ex multis Cass., Sez. I, 29 marzo 1994 n. 3049; Id., 18 febbraio 1999 n. 1353; Id., 16 giugno 2000 n. 8235; Id., 21 giugno 2002 n. 9067; indirizzo che oggi sembra obietti- vamente consolidato, in quanto da ultimo confermato con effi- cacia che appare definitiva, da Xxxx., Sez. I, 12 ottobre 2007 n. 21437.
27 Pret. Lucca 24 luglio 1998, cit. in nota 5.
nascita), giungono a configurare la ricorrenza dell’ipo- tesi di un’utile negotiorum gestio, ex art. 2031 c.c. 28; non mancano peraltro alcune pronunce dissonanti, le quali incentrandosi sull’individuazione del soggetto destinatario materiale del pagamento dell’assegno pe- riodico, affermano che con il raggiungimento della maggiore eta` e la cessazione del regime di affida- mento, il genitore onerato deve versare direttamente al figlio maggiorenne l’assegno periodico 29; altre spa- rute voci apertamente dissonanti 30, risultano volte ad individuare la cessazione di qualsivoglia legittima- zione processuale del genitore gia` affidatario seppur ancora convivente, nel momento stesso in cui il figlio raggiunge la maggiore eta`, sicche´ in tale momento in- sorgerebbe la legittimazione esclusiva del figlio per ogni questione connessa al rapporto di filiazione e quindi anche per il diritto al mantenimento de futuro nei confronti dei genitori, ovvero volte a forzare una tale rigidita` pur condivisa; altro indirizzo mediano di tale conclusione, e comunque pur sempre minorita- rio 31, riconosce al genitore convivente con il figlio maggiorenne la legittimazione a domandare verso l’al- tro genitore coobbligato in solido, unicamente il rim- borso di quanto da lui comunque gia` anticipato (an- che in epoca successiva al raggiungimento della mag- giore eta`), ma non il mantenimento costante pro futuro del figlio xxxxxxxxxxx, il quale, acquisita la piena capacita` di agire, diviene l’esclusivo titolare del- l’azione a tutela del proprio diritto; ancora altro indi- xxxxx minoritario, reputa ammissibile l’intervento dei figli maggiorenni nei giudizi gia` pendenti tra i propri genitori 32, proprio al fine di dipanare eventuali con- flitti.
Da ultimo meritano particolare attenzione, tra le nu-
merose citazioni sopra poste, tre precedenti che in qualche modo hanno particolarmente precorso le stes- se odierne incertezze intorno all’art. 155 quinquies, comma 1, c.c.; trattasi di Cass., Sez. I, 21 giugno 2002,
n. 9067, nella cui motivazione si rinviene il seguente obiter dictum: «se il figlio maggiorenne non interviene nel giudizio pendente (di separazione o divorzio), e la
sentenza di condanna viene emessa solo in favore del genitore convivente, nei suoi confronti non opera il giudicato formale...»; di Xxxx., Sez. I, 17 gennaio 1996
n. 364, che evidenzia il seguente tratto motivo: «Og- getto del giudizio di separazione e` l’accertamento della sussistenza dei presupposti dell’autorizzazione a ces- sare la convivenza coniugale e la determinazione degli effetti che da tale cessazione derivano nei rapporti per- sonali e patrimoniali tra i coniugi e nei rapporti dei coniugi stessi con i figli minori o maggiorenni non au- tosufficienti. Necessaria conseguenza della indicata de- limitazione dell’oggetto del giudizio e` l’attribuzione della legittimazione ad agire esclusivamente ai coniu- gi»; e di Trib. Catania 14 dicembre 1992 (citata in nota 22), che testualmente cosı` motiva: «Poiche´ nel caso dei figli maggiorenni non conviventi, dopo il divorzio, con alcuno dei genitori, soltanto ad essi spetta la legittima- zione a postulare in giudizio il mantenimento, ove uno dei genitori agisca contro l’altro col procedimento pre- visto per la modificazione delle condizioni del divor- zio, onde far accertare la misura dei rispettivi contri- buti al mantenimento stesso, deve ordinarsi l’integra- zione del contraddittorio nei confronti dei figli». Come puo` constatarsi, non e` ancora tutto il nostro tema odierno, ma esso risultava gia` presente alla nostra giu- risprudenza, pur a grandi linee ed insorto in fattispecie peculiari.
b) La giurisprudenza piu` recente, successiva alla L. 8 febbraio 2006, n. 54, seppur risente dell’influenza degli anteriori canoni sopra riassunti, ovviamente ha iniziato il complesso lavorio di somatizzazione delle nuove di- sposizioni di cui agli artt. 155 e 155 quinquies c.c.; essa si e` subito divisa, tra un percorso sostanzialmente non dissimile dal passato, un’altro con importanti aperture, ed un altro ancora decisamente innovativo.
Da un lato infatti si sono poste quelle decisioni che nonostante l’art. 155 quinquies c.c., confermano che la legittimazione a domandare del figlio maggiorenne e quella del genitore con esso convivente restano auto- nome e concorrenti, esercitabili entrambe iure proprio, poiche´ non trattasi della tutela dello stesso diritto; sen-
28 Invero i precedenti risultano numerosi, e tra di essi si se- gnalano: Cass., Sez. I, 19 marzo 1984 n. 1862; Id., 16 marzo 1990
n. 2199; Id., 11 luglio 1990 n. 7211; Trib. Vicenza 29 ottobre 1990, in Dir. Fam. Pers., 1991, 972; App. Roma 28 novembre 1994, ivi, 1996, I, 980; Cass., Sez. I, 5 dicembre 1996 n. 10849; Id., 4 settembre 1999 n. 9386; e Trib. Torino 25 gennaio 2005, in Il Merito, 2005, 11, 46. In dottrina, si e` osservato che il dovere di mantenimento non configura una gestione di affari altrui, ma un’obbligazione solidale cui entrambi i genitori sono tenuti (pur con il criterio della contribuzione pro-quota, anche soltanto con il proprio impegno personale e diretto, quale il lavoro casalin- go), scaturente dal dettato degli artt. 147 e 148 c.c.; in proposito giova richiamare, Xxxxx, Separazione, divorzio e mantenimento del figlio divenuto maggiorenne, in Giur. It., 1988, I, 2, 345.
29 Tra di esse, Cass., Sez. I, 28 aprile 1980 n. 2784, la quale riconosce il diritto del genitore onerato ad impugnare la sen- tenza che non tenga conto della sopravvenuta maggiore eta` del figlio, al fine di sentire giudizialmente indicato questi come il destinatario del pagamento con effetto esdebitatorio; si cfr. an- che Trib. Palermo 13 aprile 1985, in Dir. Fam. Pers., 1985, 967.
30 Praticamente ad opera della sola giurisprudenza di merito; i precedenti cui ci si riferisce sono di: Trib. Vicenza 29 ottobre 1990, cit. in nota 28; e Trib. Genova 2 dicembre 1980, in Giur. Merito, 1982, 308, con nota di Xxxxxxxx, che invero, partendo dall’identico postulato per cui al compimento della maggiore
eta` “e` evidente che la relativa azione spetta al figlio, sui juris, ne´ potrebbe ritenersi legittimato ad agire l’altro genitore, in nome e per conto del figlio, cio` che costituirebbe una vera e propria sostituzione processuale, non contemplata dall’ordinamento”, riconosce in qualche modo una legittimazione concorrente ma nel senso peculiare di ipotizzare anche una suddivisione del quantum del mantenimento, cioe` compensativo per la sola parte degli oneri che il genitore ancora sopporta per effetto della convivenza e che quindi viene riconosciuto legittimato ad agire per tale residua ragione, iure proprio.
31 Cass., Sez. I, 4 settembre 1999 n. 9386; Id., 11 luglio 1990 n. 7211; Id., 19 marzo 1984 n. 1862; Id., 28 aprile 1980 n. 2784.
32 Trib. Chieti 13 luglio 1973, in Dir. Fam. Pers., 1975, 845; Trib. Parma 9 giugno 1972, ivi, 1973, 162; Trib. Pesaro 31 luglio 1971, in Giur. It., 1971, I, 2 1077; piu` di un autore peraltro, pur con qualche incertezza, si esprimeva gia` in tal senso; si richia- mano: Xxxxxxxx, Xxxxxxxx, Lo scioglimento del matrimonio, in Il Codice Civile, fondato da Xxxxxxxxxxx, Milano, 2004, sub art. 5, 675; Xxxxxxxxxxx, Delle persone e della famiglia. Il matri- monio, Torino, 1978, 763; Punzi, I soggetti e gli atti del processo di divorzio, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1972, 661; Azzolina, La separazione personale dei coniugi, Torino, 1966, 313. Contra, per tutti, Xxxxxxxxx, La separazione personale dei coniugi ed il divorzio, Milano, 2003, 592-593 e 645 e segg., alle cui citazioni si rinvia.
za quindi innovazioni fondamentali ed al piu` registran- do una mera possibilita` per il giudice di adottare una modalita` attuativa della condanna rivolta al futuro, in via alternativa, quanto alla materiale corresponsione diretta dell’assegno in mani (anche in parte) del figlio xxxxxxxxxxx, piuttosto che in quelle del genitore con- vivente che provvede direttamente, ma senza ammet- tere il medesimo figlio ad assumere veste processuale di sorta 33.
Altre Corti, partendo dallo stesso presupposto di fondo, registrano pero` l’innovazione in commento, at- tribuendogli quel rilievo che innegabilmente porta con
se´, affermando che proprio per effetto dell’introduzio- ne del disposto ex art. 155 quinquies, comma 1, c.c. tali autonomi diritti possono oggettivamente intersecarsi e quindi oggi non vi sarebbe piu` ragione per considerare inammissibile l’intervento da parte del figlio maggio- renne non ancora autonomo, nel giudizio di separazio- ne coniugale pendente tra i coniugi/genitori (e negli altri giudizi piu` volte indicati), tanto piu` che tale inter- vento puo` essere esplicato al limitato ed unico fine di esercitare il diritto al mantenimento di cui e` titolare ed evidentemente nell’evenienza che ricorrano esigenze di sua tutela 34. Come si puo` constatare anche dal nu-
33 Ci riferiamo, avuto riguardo alla giurisprudenza di legitti- mita`, a: Xxxx., Sez. I, 19 gennaio 2007 n. 1146, in Fam. e Min., 2007, 3, 46, precedente emesso successivamente a tale ius su- perveniens, immediatamente applicabile anche ai procedimenti in corso ex art. 4, comma 1, legge n. 54/2006, che rimarca testualmente, «Costituisce, invero, giurisprudenza consolidata di questa Corte che il genitore che continui a provvedere diret- tamente al mantenimento dei figli divenuti maggiorenni e non ancora economicamente autosufficienti, resta legittimato non solo ad ottenere iure proprio, e non gia` ex capite filiorum, il rimborso di quanto da lui anticipato a titolo di contributo do- vuto dall’altro genitore, ma anche a pretendere detto contributo per il mantenimento futuro dei figli stessi»; Xxxx., Xxx. I, 12 ottobre 2007 n. 21437 in Fam. Dir., 2008, 584, con nota di Xxxxxxxx, op. cit., in nota 19; precedente conforme a quello appena descritto, ma che viene stigmatizzato dall’A. appena cit., come l’ultimo atto dell’ancien re´gime, in quanto a suo avviso desta stupore che la Suprema Corte in tale decisione non abbia espressamente motivato con riferimento al nuovo dato norma- tivo; l’assunto pero` non appare condivisibile nel momento in cui, da un lato non si rinvengono tratti motivi dai quali dedurre, anche solo implicitamente, che la Corte non abbia realmente tenuto conto del dato normativo vigente, mentre d’altro canto i motivi di cassazione analizzati ponevano critiche sostanziali esattamente conformi al tema di cui al nuovo art. 155 quinquies, comma 1, c.c. (senza peraltro dimenticare che il diritto del figlio maggiorenne come quello del genitore convivente e` un “diritto disponibile”, a fronte del quale le intrusioni officiose risultano ovviamente limitate all’attivita` ermeneutica/applicativa, nel- l’ambito del binario della corrispondenza tra il devoluto ed il pronunciato); ed effettivamente risultava coperta da giudicato interno la stessa questione di legittimazione di cui al successivo pronunciamento di Cass., Sez. I, 23 ottobre 2007 n. 22255, in banca dati Jus & Lex, che conferma la legittimazione del geni- tore convivente persino a domandare integrazioni al manteni- mento di figli maggiorenni economicamente indipendenti o par- zialmente indipendenti; Xxxx., Sez. I, 21 maggio 2009 n. 11828, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, che questa volta con espresso riferimento al nuovo art. 155 quinquies c.c., cosı` motiva: «il raggiungimento della maggiore eta` del figlio non priva di legit- timazione il genitore convivente gia` affidatario a percepire quel- l’assegno jure proprio e non ex capite filiorum. L’entrata in vigore dell’art. 155 quinquies c.c. non muta il principio, tanto piu` con- siderato che la figlia maggiorenne mai risulta aver fatto doman- da di corresponsione diretta dell’assegno in proprio favore. D’altra parte il semplice raggiungimento della maggiore eta` del figlio non viene ad esonerare il genitore dall’obbligo di contri- buire al suo mantenimento, fino a quando il genitore stesso non fornisca la prova che il figlio e` divenuto autosufficiente, ovvero che il mancato svolgimento di attivita` lavorativa sia a questo imputabile»; come si vede la Corte di legittimita` va ben oltre respingendo ogni ipotesi di automatica cessazione dell’obbligo genitoriale a tutela comunque delle esigenze di mantenimento del figlio (tutela che altrimenti verrebbe a risultare come “inter- rotta”). Quanto alla giurisprudenza di merito, piu` articolata, ci riferiamo in particolare a: Trib. Catania 31 marzo 2006, in Dir. Fam. Pers., 2007, 182, con nota di Xxxxxxx, che nell’immedia- tezza dell’entrata in vigore della novella osserva che gli artt. 155
e 155 quinquies x.x., xxxxx xxxx’xxxxxxx xx xxxxxxxx xx xxxxxxxx xxx xxxxxx xxxxxxxxxxx, ha conferito al giudice la possibilita` di disporre il versamento dell’assegno di mantenimento diretta- mente in sue mani piuttosto che al genitore convivente del figlio xxxxxxxxxxx, pur se estraneo formalmente al processo tra i suoi genitori che controvertano su una tale domanda; resta ferma ad avviso del Tribunale la concorrente ed autonoma legittimazione ad agire dei due soggetti in quanto la norma si sarebbe limitata a registrare e ribadire espressamente i risultati cui la giurispru- denza era gia` giunta, dichiarando cioe` il figlio maggiorenne ti- tolare del diritto al mantenimento verso i propri genitori, con conseguente sua legittimazione ad agire iure proprio nei modi ordinari, ma senza far venir meno la sussistenza della legittima- zione ad agire iure proprio del coniuge/genitore convivente con il figlio maggiorenne la cui sussistenza era del pari data per scontata, trovando titolo nel diritto al regolamento degli effetti della separazione anche rispetto alla comune obbligazione dei coniugi/genitori verso la prole, facendosi carico di una stabile organizzazione di vita; esattamente conformi i successivi del medesimo Trib. Catania 14 aprile 2006, in Fam. Pers. Succ., 2006, 849; Id., 29 settembre 2006, in www.affidamentocondivi- xx.xx; Trib. Marsala, 26 febbraio 2007, in Fam. Pers. Succ., 2007, 11, 950, secondo cui l’art. 155 quinquies, comma 1, c.c., non esclude la legittimazione concorrente del genitore convivente col figlio xxxxxxxxxxx, che pertanto puo` chiedere iure proprio il versamento dell’assegno a titolo di contributo al mantenimento del figlio non ancora economicamente indipendente; quest’ul- xxxx xxxxxxxx, secondo l’espressa considerazione del collegio, re melius perpensa rispetto all’indirizzo in un primo momento adottato, non e` neppure legittimato ad intervenire in giudizio poiche´ il nuovo disposto non si risolve in altro che nel prevedere modalita` alternative di attuazione dell’obbligo di mantenimento
— tanto che dispone il versamento diretto di parte dell’assegno
di mantenimento complessivamente determinato ed il versa- mento del residuo al genitore convivente — e non risultando pregiudicato l’autonomo diritto del figlio tutelabile in sede or- dinaria, nella quale ipotesi, si determina nel contempo l’esclu- sione della legittimazione del genitore convivente (conforme ad alcuni dei richiami in nota 24); App. Roma 9 luglio 2008, in Fam. e Min., 2009, 3, 55, che dichiara ammissibile persino la domanda del genitore convivente con il figlio xxxxxxxxxxx, volta al rico- noscimento di un assegno di contributo al mantenimento del figlio stesso, pur in pendenza di autonoma richiesta avanzata dal figlio maggiorenne nei confronti dei genitori in sede monitoria ex art. 148 c.c.; Trib. Ravenna 18 dicembre 2009, in Fam. Pers. Succ., 2009, 468, che respinge il tentativo di un genitore di estendere il contraddittorio sin dalla proposizione del giudizio, nei confronti dei figli maggiorenni, tentando cioe` di convenirli in giudizio quali litisconsorti facoltativi ex art. 103 c.p.c.; Trib. Alessandria 1o febbraio 2010, in Fam. e Min., 2010, 4, 79, che aggiunge la considerazione secondo cui l’art. 155 quinquies c.c., non modifica il sistema degli obblighi parentali anteriormente vigente, ma implica un possibile modus solvendi dell’obbliga- zione di mantenimento consistente nel pagamento dell’assegno periodico stabilito direttamente in mani del figlio maggiorenne.
34 Oltre all’obiter dictum contenuto nel precedente gia` emer-
so vigente l’anteriore regime, di Cass., Sez. I, 21 giugno 2002
n. 9067, la cui massima e` testualmente trascritta al par. 6.a), Trib.
mero dei precedenti reperiti, questo indirizzo ricono- sce chiaramente l’innovazione portata dal nuovo dato normativo, con una valutazione ponderata delle con- seguenze legittimamente ricavabili, che non nega certo adeguato rilievo all’eventuale esercizio diretto del di- ritto del figlio maggiorenne al proprio mantenimento, in tutte le forme rinvenibili nell’ordinamento; e la pro- nuncia di Tribunale di Macerata in commento si iscrive in questo indirizzo, confermando nitidamente l’auto- noma e concorrente legittimazione ad agire del figlio maggiorenne ancora non autosufficiente economica- mente e del genitore convivente che provveda al suo mantenimento, con l’ammissione del medesimo figlio a dispiegare intervento nei giudizi eventualmente gia` pendenti tra i suoi genitori, al sopraggiungere della maggiore eta`, secondo l’eventuale esigenza di tutela del singolo caso.
D’altro lato si sono poste quelle decisioni 35, invero sparute, che affermano la veste di parte necessaria del figlio maggiorenne economicamente non emancipato ogni qualvolta si controverta dell’assegno per il suo mantenimento e non solo ove sussista una richiesta di versamento diretto in mani del figlio stesso, da chiun- que proposta; con le conseguenze che il contradditto- rio deve essere integrato nei confronti del figlio mag- giorenne stesso e le altre ovvie che inficiano la validita` delle pronunce eventualmente rese in difetto del me- desimo necessario contraddittore (figlio).
Come si puo` agevolmente constatare, ove questa in- terpretazione del nuovo disposto ex art. 155 quinquies, comma 1, c.c. dovesse trovare seguito ed imporsi, esso sı` costituirebbe uno strappo deciso rispetto al passato, sicche´ tali precedenti meritano una disamina analitica, onde verificarne la reale portata.
Messina, 5 maggio 2006, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, che ha ammesso l’intervento del figlio maggiorenne sull’assunto per cui ora si tratta di pervenire ad una decisione, in relazione alle effettive condizioni di vita ed abitative del figlio, non solo sull’an e sul quantum, ma anche sul quomodo della prestazione econo- mica, cui necessariamente si accompagna sia la valutazione del soggetto avente diritto che l’individuazione del soggetto percet- tore, prefigurando persino una suddivisione tra genitore e figlio per voci di spesa; conforme lo stesso Xxxx. Messina, 31 ottobre 2006, in banca dati De Jure Giuffre`; Trib. Genova, 6 febbraio 2007, in Foro It., 2007, I, 946, che ha riconosciuto la legittima- zione dell’un genitore ad ottenere dall’altro l’assegno di mante- nimento per il figlio maggiorenne “convivente”, peraltro con un pregevole excursus sulle varie possibilita` di questi di formulare intervento in lite volontario, ovvero della possibilita` di darvi corso ad istanza di parte o per ordine del giudice e delle ragioni che portano invece ad escludere obiettivamente la ricorrenza di una ipotesi di litisconsorzio necessario; Trib. Venezia, 18 aprile 2007, in Corr. Giur., 2007, 1404, con nota di Xxxxxx, in quale, nell’ambito di un giudizio di separazione coniugale, chiamato a decidere dell’ammissibilita` di ben due interventi di soggetti ter- zi, effettuati dal proprietario della casa coniugale al fine di ve- derne esclusa l’assegnazione in uso coniugale, e dal figlio mag- giorenne, ha escluso il primo ed ammesso il secondo, qualifi- candolo intervento adesivo autonomo in quanto questi faceva propria la domanda del genitore convivente e la richiesta di divenirne il percettore diretto; Trib. Pordenone, 3 luglio 2008, in xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx, il quale in sede di revisione del- le condizioni, ha riconosciuto che il figlio maggiorenne vanta un interesse giuridicamente rilevante ad intervenire nel procedi- mento, in quanto gia` titolare dell’assegno disposto a titolo di concorso per il suo mantenimento a carico del genitore non convivente con la sentenza di divorzio; Trib. Napoli, 23 luglio 2009, in Fam. Dir., 2009, 1136, con nota di Xxxxxx, op. cit., in nota 3, che nell’ambito di un singolare giudizio promosso da una figlia maggiorenne nei confronti del solo genitore non convi- vente, con le forme del rito camerale, e pendente il separato giudizio di separazione tra i propri genitori, ha affermato che la previsione contenuta nell’art. 155 quinquies c.c., deve essere intesa quale esplicita ammissione della facolta` di intervento in giudizio del figlio xxxxxxxxxxx, che continui a convivere con uno dei genitori, in quanto per tale via puo` conseguire, ope judicis, il versamento dell’assegno per il proprio mantenimento direttamente in sue mani; aggiungeva il Tribunale che comun- que al figlio non e` accessibile l’instaurazione di alcun procedi- mento camerale, come ai riti speciali riservati ai coniugi/genitori e nei quali la norma trova esclusiva applicazione ex art. 4 legge
n. 54/2006; a tali precedenti si aggiunge ora la pronuncia di Trib.
Macerata, 22 ottobre 2009, in commento.
35 Oltre al precedente gia` emerso nell’anteriore regime, di Trib. Catania 14 dicembre 1992, la cui massima e` stata trascritta al par. 6 sub a); Trib. Bari 4 luglio 2006, in Foro It., 2007, I, 947,
che cosı` testualmente si esprime: «Qualora il genitore obbligato al mantenimento dell’ex coniuge e del figlio maggiorenne non autosufficiente instauri il giudizio ex art. 9 legge n. 898/1970, chiedendo che la quota di mantenimento del figlio sia versata direttamente allo stesso, ove l’altro si costituisca e chieda la rideterminazione dell’assegno di mantenimento in suo favore, il figlio maggiorenne e` parte necessaria del processo, di guisa che va disposta l’integrazione del contraddittorio nei suoi confron- ti»; appare conforme Trib. Bari, 6 novembre 2007, in Il Merito, speciale, 12, 13; Cass., Sez. un., 21 ottobre 2009 n. 22238, in Fam. Dir., 2010, 364, la quale, nel cassare con rinvio un decreto ex art. 710 c.p.c. con peculiare riferimento alla mancata audi- zione dei figli minori ex art. 155 sexies c.c., confermando peral- tro la giurisdizione del Giudice italiano, questione attraente alla cognizione delle Sezioni unite, contiene il seguente obiter dic- tum: «Invero i minori che, ad avviso di questa Corte non pos- sono considerarsi parti del procedimento, sono stati esattamen- te ritenuti portatori di interessi contrapposti o diversi da quelli dei genitori, in sede di affidamento o di disciplina del diritto di visita del genitore non affidatario e, per tale profilo, qualificati parti in senso sostanziale (cosı` Corte Cost. 30 gennaio 2001 n. 1). Costituisce quindi violazione del principio del contraddittorio e dei principi del giusto processo il mancato ascolto dei minori oggetto di causa, censurato in questa sede, nel quale emergono chiari gli interessi rilevanti dei minori che sono in gioco nella vertenza e avrebbero resa necessaria la loro audizione». Sulla base della riscontrata omissione veniva individuata la nullita` che viziava il procedimento anche sotto il profilo di totale assenza di motivazione in punto. Questo precedente, che per la sua valenza sistematica nella ricostruzione delle tutele apprestate dall’ordi- namento a favore della prole, risulta pubblicato con grande risalto, e` annotato, tra gli altri, da Xxxxxxxx, Ebbene sı`, il minore ha diritto di essere ascoltato nel processo, in Fam. Dir., 2010, 365, il quale, gia` sostenitore della tesi sopra richiamata al paragrafo 5 sub b), secondo cui il figlio maggiorenne e` da considerarsi oggi litisconsorte necessario in ordine al suo mantenimento, porta le sue riflessioni nel diverso contesto dei figli in minore eta`, per trovarvi un riscontro al principio per cui persino il minore, pur privo della qualita` di parte (non partecipa alla dialettica proces- suale, ne´ in prima persona, siccome privo di capacita` proces- suale ex art. 75 c.p.c., ne´ tramite legale rappresentante, giacche´ nei processi di separazione e divorzio, neppure i suoi genitori agiscono nella veste di legali rappresentanti dei figli), e nono- stante nell’impianto normativo i suoi interessi preminenti siano veicolati de facto dal contraddittorio tra i coniugi/genitori, dal- l’intervento del P.M. e dai poteri officiosi del Giudice, e` comun- que soggetto di diritti al pari del maggiorenne; come tale deve essere ascoltato siccome i suoi diritti ed interessi possono essere in conflitto con i doveri, diritti ed interessi reciproci dei genitori. A proposito delle conseguenze processuali derivanti della man- cata audizione del minore, merita menzione anche Trib. Genova 23 marzo 2007, in Foro It., 2007, I, 1601.
Analizzata l’integrale motivazione del Tribunale ba- rese, ci si avvede come la massima non rispecchi esat- tamente quello che prima facie appare una generale po- sizione di principio intrinseca al nostro sistema di tutele; infatti, da essa emerge come in realta` la fattispe- cie risultava peculiare, in quanto a seguito delle con- trapposte domande proposte dai genitori, aventi ad og- getto la revisione delle statuizioni gia` vigenti anche per il mantenimento del figlio maggiorenne, quest’ultimo si trovava in una posizione di potenziale conflitto con en- trambi, ragione per cui veniva disposta l’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti; cio` non di meno il principio e` stato affermato, individuando comunque una ipotesi, per quanto particolare, che secondo quel Tribunale esige necessariamente l’integrita` del contrad- dittorio (andando cioe` oltre anche qualsivoglia ipotesi di intervento in giudizio), in difetto del quale quindi la pronuncia sul capo non sarebbe idonea ad esplicare al- cun effetto (neanche tra i genitori); ma da una tale so- luzione e` agevole discostarsi subito, per la semplice ra- gione che il figlio risulta perennemente in potenziale conflitto con i propri genitori, nella quale constata- zione, in uno alla capacita` processuale raggiunta, risiede invero la ragione basilare del canone dell’autonomia delle azioni esercitabili direttamente dal figlio maggio- renne, sia in sede ordinaria che nella speciale sede mo- nitoria ex art. 148 c.c. 36, senza vincoli di sorta per la tutela del proprio diritto e quindi a prescindere anche dal risultato cui i contenziosi genitoriali eventualmente avevano dato luogo, che non gli sono infatti opponibili; ne deriva di tutta evidenza come un “potenziale con- flitto” tra tali composite posizioni di diritto non e` certo sufficiente a determinare un’ipotesi di litisconsorzio ne- cessario ex art. 102 c.p.c.; per il ricorrere di questa esi- genza della necessaria evocazione in giudizio si richiede infatti che si tratti della domanda sul medesimo diritto riferibile a piu` soggetti e la cui decisione e` destinata ad avere effetti con l’efficacia del giudicato tra le parti, i loro eredi o aventi causa.
Xxx` complessa la disamina di Xxxx., Sez. un., 21 ot- tobre 2009 n. 22238 (riportata in nota 35), la quale, come risulta dal tratto trascritto, sembrerebbe potersi utilizzare specularmente, estrapolandone il suo appa- rente presupposto logico; infatti, detta proprio secca- mente, se la Corte di legittimita` reputa che viola il principio del contraddittorio persino il “mancato ascolto” del figlio in eta` minore, di certo il figlio mag- giorenne non puo` non qualificarsi un contraddittore necessario; non e` questa certo la sede per una analisi compiuta di quel precedente, della cui importanza e valenza nessuno dubita, ed il cui risultato appare ben condivisibile (corretta infatti l’interpretazione dell’art. 12 della Convenzione di New York del 1989, dell’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 1996, del Rego- lamento CE n. 2001/2003, dell’art. 155 sexies c.c. 37, in uno al riferimento ai principi del giusto processo, ex art. 111 Cost., e che ha portato al risultato di affran- carci da una discrezionalita` eccessiva, di fatto insinda- cabile, tutta volta, contra legem, a non dar corso all’au- dizione dei figli minori ultra dodicenni od altrimenti dotati di discernimento sufficiente, che la prassi evi- denziava come pressoche´ sistematica); sta di fatto pero` che quel rilievo specifico, consistente nell’asserita vio- lazione dei principi del contraddittorio, appare un er- rore sotto piu` profili; e ci spieghiamo: come emerge dalla stessa trascrizione in nota 35, la Cassazione ri- chiama nel proprio tessuto motivo la statuizione di Corte cost., 30 gennaio 2002 n. 1, 38 assumendo che anche xxx troverebbe conferma inconfutabile la conclu- sione secondo cui il figlio in minore eta`, pur non po- tendo considerarsi parte dei procedimenti in parola, cio` non di meno va qualificato come parte in senso sostanziale; l’errore, a fronte del reale pronunciato del- la Corte delle leggi appare lapalissiano, atteso che in quel precedente, non si pone affatto quella distinzione tra parte in senso “formale” e parte in senso “sostan- ziale”; anzi, la Corte, occupandosi del dubbio di costi- tuzionalita` dei cosiddetti procedimenti de potestate, di
36 Mi sia consentito un richiamo allo scritto, Xxxx, Manteni- mento del figlio naturale, procedimento ex art. 148 c.c., compe- tenza funzionale del giudice, in Fam. Dir., 2009, 1023.
37 Per un’ampia esegesi in ordine all’introduzione nell’ordi- namento interno dei canoni di diritto convenzionale sovraordi- nati, si rinvia a Querzola, La tutela processuale dei minori in prospettiva europea, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 2010, 449, nonche´, con peculiare riguardo al canone del contraddittorio, a Xxxxxxx, Contraddittorio e giusta decisione nel processo civile, ivi, 2009, 745.
38 Pubblicata con vasta eco in numerose riviste, e tra esse in Foro It., 2002, I, 3302, con nota di Proto Pisani ed in Fam. Dir., 2002, 229, con nota di Xxxxxxxx; in tema si cfr. anche Xxxx., Sez. I, 10 ottobre 2003 n. 14145. Merita di essere richia- mata anche la vexata quaestio della compatibilita` delle forme camerali in relazione a tali controversie, tanto piu` che oggi la competenza del Tribunale minorile risulta assai ampliata nel- l’alveo dell’art. 317 bis c.c., per effetto del noto regolamento di competenza di Cass., Sez. I, 3 aprile 2007 n. 8362, in Riv. Dir. Proc., 2008, 529, con nota di Xxxxxx, La Suprema Corte mette la parola fine al dibattito sulla “competenza” in tema di procedi- menti di “separazione” della coppia di fatto ed affido dei figli naturali; rimane infatti irrisolta allo stato la discriminazione che l’ordinamento pone proprio sul versante processuale tra i figli (minorenni) nati all’interno del vincolo di coniugio e gli altri. Mi sia consentito ancora un richiamo al mio recente scritto, Mantenimento del figlio naturale, procedimento ex art. 148 c.c.,
competenza funzionale del giudice, cit. in nota 36. La Corte co- stituzionale, nel suo percorso giurisprudenziale, partito dalla storica Xxxxx Xxxx., 0 maggio 1974 n. 121, che enunciava il generale principio di responsabilita` dei genitori nei confronti dei figli, fondato esclusivamente sulla filiazione, e xxxx` indipen- dentemente dallo status legittimo o naturale della procrea- zione, non e` a tutt’oggi pero` approdata ad un riconoscimento dei profili di incostituzionalita` rinvenibili in norme processuali delle quali i Giudici dubitano sempre piu` frequentemente (a fronte delle previsioni di cui agli artt. 2, 3, 24, 25, 30, 111 e 117, comma 1, Cost.); in tale contesto meritano menzione le recenti Corte Cost. 6 novembre 2009 n. 286; Id., 16 novembre
2009 n. 310; Id., 24 febbraio 2010 n. 82, che nel richiamare perennemente l’interprete alla verifica della possibile soluzione costituzionalmente orientata, rinnova il monito secondo cui il sindacato di costituzionalita` delle norme processuali puo` posi- tivamente conseguire solo al ricorrere di una loro “manifesta irragionevolezza”. Meritano per il vero menzione altresı` le re- xxxxx Xxxx., Sez. I, 30 ottobre 2009 n. 23411 e Id., 30 ottobre
2009 n. 23032, entrambe in Fam. Dir., 2010, 113, con nota di Xxxx; nonche´ Cass., Sez. I, 19 gennaio 2010 n. 788, in Fam. e Min., 2010, 3, 48, e Id., 19 aprile 2010 n. 9277, in Fam. Dir., 2010, 770, con nota di Xxxxxx, che hanno finalmente dato in- gresso alla tutela di legittimita` avverso i decreti camerali ex artt. 317 bis x.x. x 000 x.x.x., xxxxxx xx xxxx xx xxxxxxx, dalla Se- zione per i Minorenni della Corte d’appello, siccome attingono diritti soggettivi.
competenza funzionale del Tribunale minorile (quindi in un contesto ben lungi dai procedimenti di separa- zione e divorzio), questione che invero e` ricorrente tutt’oggi a causa della struttura problematica, se cosı` ci e` consentito dire fugacemente, del procedimento camerale, afferma che «i minori nei procedimenti de potestate sono parti, tanto che hanno diritto ad un loro difensore» 39. Nessuna distinzione quindi tra parte in senso formale e parte in senso sostanziale ri- sulta posta in quel precedente, in conformita` anche all’anteriore statuizione della stessa Corte cost., 14 lu- glio 1986, n. 185 (cit. in nota 12), che ha precisato come, a fronte di un diverso dubbio di costituziona- lita` per la mancata previsione di un curatore speciale al figlio minorenne (quindi occupandosi solo dei mi- norenni e non anche dei figli maggiorenni), parti del procedimento di separazione e divorzio sono soltanto i coniugi/genitori. Se ne deve far discendere come la mancata audizione del figlio minore non puo` in alcun modo essere inquadrata nell’ambito di una violazione riferibile al canone del valido contraddittorio; da pre- cisare peraltro come, nonostante l’errore nell’inciso motivo descritto, la soluzione adottata dalla Corte di legittimita`, di nullita` del procedimento, risulta certa- mente condivisibile ed esatta.
D’altronde la stessa idea di una distinzione tra parte in senso formale e parte in senso sostanziale non ha alcun fondamento, ne´ appare opportuno l’utilizzo di una simile dialettica esplicativa 40, tanto piu` che ai fini che qui ci occupano, come sopra evidenziato, si trat- terebbe semmai dell’ipotesi di un provvedimento di cui il figlio beneficia pienamente pur essendo terzo estraneo al processo, e quale frutto di una complessa attivita` processuale (fenomeno gia` presente nel nostro ordinamento e non soltanto nell’ambito del diritto di famiglia — le ipotesi del pagamento dell’assegno di contributo al mantenimento da parte dei genitori per il figlio minore collocato presso terzi ed il nuovo art. 709 ter c.c. ne sono un esempio evidente tra altri —; e difatti il riferimento corre all’esempio di scuola di cui all’art. 2932 c.c.). Inoltre, nessuno puo` dubitare come in qualsivoglia procedimento giudiziale un conto e` l’eventuale violazione del necessario contraddittorio, e
tutt’altro conto sono le possibilita` eventuali di esten- sione del contraddittorio attraverso le forme dell’inter- vento ed anche secondo i canoni del litisconsorzio fa- coltativo.
7. Riflessioni ed argomenti per una possibile soluzione.
A questo punto, sulla base di questo faticoso percor- so, siamo in grado di porre qualche prima conclusione di maggiore evidenza, nel tentativo di prospettare ra- zionale soluzione, non senza procedere ad un’ultima digressione; si e` gia` accennato alla qualificazione del diritto del figlio maggiorenne che qui ci occupa ed a quello autonomo del genitore convivente, come ad un diritto disponibile; tale qualificazione, riaffermata an- che nel provvedimento del Tribunale di Macerata in commento, si fonda sulla constatazione che, apparte- nendo a soggetti che hanno il libero esercizio dei pro- pri diritti e non sussistendo norme da cui desumere una qualche possibilita` di pronunce officiose, ne´ co- munque riferibili a posizioni di diritto inalienabili, non possono che seguire la norma generale della libera di- sponibilita` patrimoniale dei diritti di credito; anzi, e` semmai da rimarcare come la legge sull’affidamento condiviso abbia formalmente riconosciuto (in sintonia con l’indirizzo della giurisprudenza gia` consolidato) tali diritti patrimoniali al figlio maggiorenne, senza nul- la precisare pur a fronte della ben diversa previsione rispetto al figlio minorenne; d’altronde una costruzio- ne che, per il diritto del figlio maggiorenne, poggi uni- camente sulla condizione di sua non autosufficienza economica, al fine di farne discendere l’indisponibilita`, risulterebbe decisamente fragile 41.
Attraverso tale excursus si e` ben compreso come l’art. 155 quinquies, comma 1, c.c., non afferma, ne´ esclude, un ruolo processuale del figlio xxxxxxxxxxx, pur in un contesto normativo che vede nel nuovo art. 155 e nei successivi introdotti, dal 155 bis sino al 155 sexies c.c., intrecciarsi, praticamente in tutte le singole disposizio- ni, la valenza sostanziale a quella processuale, in un nesso di strumentalita` sin troppo evidente; nessuna altra norma posta nell’ordinamento positivo peraltro regola espressamente un tale ruolo, ne´ per affermarlo, ne´ per negarlo, ed una tale carenza e` difficilmente giu-
39 Sul tema, efficace risulta l’opera di Xxxx, L’avvocato del minore nei procedimenti civili e penali, Torino, 2010, passim, anche in disamina della L. 28 marzo 2001 n. 149 (entrata in vigore soltanto il 1o luglio 2007, ma con vaste problematiche tutt’oggi aperte proprio innanzi al Tribunale specializzato).
40 Terminologia che puo` rinvenirsi nella giurisprudenza mi- norile e paradossalmente non per attribuire maggiori diritti o maggiori tutele al minore, nei procedimenti ove non e` parte (“formale”), ma volta semmai a negare diritti e precipuamente quello ad un compiuto contraddittorio, che nelle prassi seguite innanzi al Tribunale specializzato risulta ancora come imbriglia- to nelle asfissianti forme camerali.
41 In punto si rinvia a X. Xxxxxxxx, La nuova disciplina dei provvedimenti nell’interesse dei coniugi e della prole, in Giusto Proc. Civ., 2008, 192; X. Xxxxxx, L’affidamento condiviso: le tutele processuali, op. cit., in nota 20, 1913; Tommaseo, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: b) profili processuali, op. cit., in nota 1, 398; sembra di diverso avviso Cea, L’affida- mento condiviso. Profili processuali, op. cit., in nota 20, 97, ma con fuggevoli argomenti; si rinvengono precedenti giurispru- denziali conformi ed a quanto sembra incontrastati, in Cass., Xxx. I, 18 febbraio 2009 n. 3908; Id., 6 febbraio 2009 n. 2997;
Trib. Modena, 28 giugno 2007, in Fam. Pers. Succ., 2007, 1040; Cass., Sez. I, 4 settembre 1999 n. 9386. D’altro canto e` agevole in punto richiamare l’altro insegnamento consolidato della Corte di legittimita`, secondo cui le provvidenze di manteni- mento de futuro per il figlio minore possono essere disposte a sua tutela anche d’ufficio, trattandosi di diritti indisponibili, mentre eventuali rivendicazioni per il tempo pregresso dell’un genitore verso l’altro, quali obbligati solidali, inerendo a posi- zione di diritto disponibile, non puo` prescindere dalla formu- lazione di una specifica domanda del genitore avente diritto, con tutte le conseguenze che ne derivano; ex multis, Cass., Sez. I, 19 aprile 2010 n. 9300; Id., 6 novembre 2009 n. 23630; Id.,
10 ottobre 2007 n. 21293; Id., 3 novembre 2006 n. 23596; e Id.,
16 ottobre 2003 n. 15481. Trib. Genova 6 febbraio 2007, cit. in nota 34, cosı` testualmente motiva: «...quando gli interessi coin- volti riguardino figli minori, i poteri del giudice prescindono dai limiti dei petita e, persino, degli alligata e possono configu- rarsi per questo, come una sorta di ‘giurisdizione senza azione’. Tale particolare natura di questa giurisdizione, e` riconducibile ad un’attivita` di attuazione del diritto in modo indipendente dalla volonta` delle parti (e, per questo, da taluni denominata ‘oggettiva’)».
stificabile come mera dimenticanza legislativa sul ver- sante processuale; da rimarcare ulteriormente quindi l’inadeguatezza dell’opera del legislatore, soprattutto nel raccordare l’art. 155 quinquies c.c. con il tessuto preesistente (l’ennesimo esempio di stratificazioni nor- mative casuali, lacunose ed irrazionali, sull’onda di in- teressi qua e la` individuati e di volta in volta reputati abbisognevoli di maggiore tutela); purtroppo, volenti o nolenti, questo e` il dato con cui siamo costretti a con- frontarci.
La stessa disposizione in parola non intacca certo e minimamente il dato normativo ex artt. 147, 148 c.c. e 30 Cost., che anzi, nella sua valenza primaria, e` chia- ramente presupposto e dato per scontato; l’obbliga- zione/dovere genitoriale ed il diritto del figlio ad essere mantenuto, istruito, educato, sino al raggiungimento di una condizione di indipendenza (o condizione giu- ridicamente equiparabile negli effetti), risultano esat- tamente cio` che erano anteriormente alla novella, e senza distinzione per eta`.
E` unanime anche la constatazione secondo cui la medesima norma non e` avulsa dal contesto normativo che l’ha introdotta (L. 8 febbraio 2006, n. 54), e meglio assume connotati specificativi presupponendo pur sempre la norma generale di cui all’art. 155 c.c., valida per tutti i figli, siccome regola la misura ed i criteri qualitativi e quantitativi cui deve rispondere la fissa- zione del necessario alla corretta cura della prole (man- tenimento, istruzione, educazione); nessuno dubita ed in alcun senso che l’art. 155 c.c. sia applicabile anche ai figli maggiorenni (peraltro quando il legislatore ha vo- luto delimitare una disposizione ai figli minorenni, co- me ad esempio nell’art. 155 sexies x.x., xx xx xxxxxxxxx xx xxxxx xxxxxxxxxxx, come ad esempio proprio nell’art. 155 quinquies c.c., l’ha espressamente affermato), con la conseguenza che la disposizione in commento ri- guarda solo la posizione del figlio che ha raggiunto la maggiore eta` al momento della decisione concernente gli assetti economici conseguenti alla separazione co- niugale ed agli altri giudizi cui si applica; ragionando anche soltanto per esempi, altra conseguenza e` quella che vale pur sempre il criterio della prevalenza degli accordi genitoriali, mentre il criterio preferenziale del- l’assolvimento in forma diretta dell’obbligo di mante- nimento del figlio da parte dei genitori, per i maggio- xxxxx, sembra lasciare il passo all’ipotesi di un assegno periodico (ma si badi, il criterio costituisce soltanto una indicazione non vincolante), seppur ope judicis, reputata confacente all’eta` raggiunta, nell’ottica inoltre di adattare quanto piu` possibile al caso concreto la
soluzione, xxxx` la soluzione migliore 42; e con una mens legis volta persino al conseguimento, attraverso il ver- samento diretto al figlio stesso, di intenti pedagogici sul fronte del progresso sociale (cosı` almeno sembra esser stato reputato), per favorire la sua maturazione e re- sponsabilizzazione nella gestione ed amministrazione delle risorse disponibili; d’altro canto l’ispirazione le- gislativa, apertamente dichiarata nei lavori preparatori,
traeva origine da questo preciso scopo ed anche quale misura atta ad evitare l’evenienza di una indebita lo- cupletazione che, secondo un diffuso rilievo, il genito- re convivente poteva talvolta conseguire in danno del genitore onerato, e che nel caso del figlio maggiorenne risultava ancor piu` iniqua; d’altronde gia` l’epigrafe del- l’art. 155 quinquies c.c., testualmente, “Disposizioni a favore dei figli maggiorenni”, rivela la stessa natura di norma peculiare e specificativa.
7.1. Ipotesi del figlio maggiorenne litisconsorte xxxxxxx- xxx.
Come abbiamo sopra constatato per gli assertori di questa tesi, il figlio maggiorenne e` un contraddittore necessario ogni qualvolta si instauri un giudizio avente ad oggetto, in qualsivoglia forma e contenuto, l’an, il quantum ed il quomodo del suo mantenimento.
Allora, colpisce subito la prima conseguenza di tanto: il figlio deve essere necessariamente presente in tutti i giudizi di separazione, divorzio, nullita`, modificazione e revisione delle condizioni, e tra genitori naturali, ove un tale domandare si affacci, cioe` ai nostri fini, sempre. Secondo logica dovrebbe valere anche il contrario, e quindi, ogni qualvolta il figlio maggiorenne domandi in via autonoma e persino in costanza di regolare vigenza quotidiana del patto di vita — coniugale o di fatto — dei propri genitori, rivendicando nei confronti di uno sol- tanto di essi, sempre in qualunque modo, in ordine al proprio mantenimento, anche l’altro genitore deve al- lora considerarsi litisconsorte necessario; e la fantasia puo` correre addirittura all’applicazione dei canoni de- sumibili dall’art. 1306 c.c.; effettivamente, qualunque sia l’eta` dei figli, risulta impossibile stabilire giudizial- mente l’onere del concorso proporzionale a carico del- l’un genitore senza una comparazione delle rispettive condizioni economico-patrimoniali di entrambi e degli oneri di cui ognuno si fa carico direttamente e perso- nalmente; e si badi l’assegno di mantenimento mai puo` prescindere dalle concrete potenzialita` di reddito e di consistenza economico-patrimoniali della famiglia e quindi principalmente dei genitori 43.
Anche a voler prescindere da quest’ultimo rilievo, non trascurabile, qui non si tratta piu` di condividere o meno lo storico monito di Jemolo, secondo cui e` bene che il diritto si limiti solo a lambire la famiglia; qui la conclusione e` perentoria ed in senso radicalmente op- posto: un contenzioso genitori-figli e` inevitabile ogni qualvolta insorga una controversia endoconiugale, od endogenitoriale (per i figli nati al di fuori del vincolo di coniugio), che sotto qualunque profilo attinga al- l’obbligo/dovere genitoriale da assolvere in favore del figlio xxxxxxxxxxx, per il conseguimento dell’autono- mia adulta. In una parola, il legislatore della novella
c.d. sull’affidamento condiviso avrebbe istituzionaliz- zato (senza, a quanto pare, neppure avvedersene) il conflitto genitori-figli maggiorenni 44.
Senza indulgere ne´ al senso etico delle umane cose, ne´ al diritto naturale universale oggi consacrato nelle
42 In tema si cfr. Xxxxxxxx, L’assegno periodico: una nuova figura di mantenimento del figlio xxxxxxxxxxx?, in Fam. Pers. Succ., 2007, 530.
43 Tra i molti precedenti, si cfr., Cass., Sez. I, 19 aprile 2010 n. 9277; Id. 15 maggio 2009 n. 11291; Id., 22 agosto 2006
n. 18241; Id., 22 marzo 2005 n. 6197; e Id., 30 agosto 2004
n. 17402.
44 Con conseguenze neppure immaginabili nel concreto: una su tutte (peraltro segnalata tra altri da Lupoi, Aspetti processuali della normativa sull’affidamento condiviso, op. cit., in nota 1,
solenni carte dei diritti dell’uomo, che in uno all’eterna oscillazione tra il potere dell’autorita` e quello della ragione, accompagnano il pensiero e la riflessione del giurista nel suo percorso incessante verso il legittimo ed il giusto 45, stupisce e non poco (persino per un legislatore a%itto da serie difficolta` nel farsi compren- dere nei propri malfermi dettami), che una tale radicale riforma non sia stata allora espressa e risulti affidata soltanto a quell’inciso finale, “avente diritto”, conte- nuto nell’art. 155 quinquies, comma 1, c.c., e quindi, alla mera opera ermeneutica, per di piu` “intrappolata”, se cosı` ci e` consentito esprimerci, in una disposizione dall’evidente natura specificativa e comunque sul pre- supposto incerto di valutazioni ope judicis, connotate di discrezionalita` non trascurabile seppur cautelata dall’esigenza di una congrua motivazione, caso per ca- so; ma l’aspettativa di una indicazione esplicita in tal senso risulta ancor piu` marcata e razionale se solo si considera come la predominante giurisprudenza, di legittimita` e di merito univocamente, nonche´ quella della Corte delle leggi (seppur quest’ultima richiesta del suo intervento con riguardo precipuo alla posizio- ne dei figli in eta` minore anche innanzi al giudice spe- cializzato), aveva ben consolidato il canone secondo cui nel giudizio di separazione coniugale e negli altri evidenziati, la qualita` di parte e` opportunamente riser- vata dall’ordinamento soltanto ai coniugi, senza spira- gli per l’intromissione di altri (comunque su domande o questioni accessorie), compresi i figli, i nonni ed i parenti in genere, i soggetti terzi eventualmente accu- sati di aver concorso con uno dei coniugi al prodursi delle cause di addebito del fallimento matrimoniale (quali i partecipi del fedifrago), i proprietari, locatori o comodatari della casa familiare, gli eventuali terzi sog- getti affidatari della prole, e simili; ma non basta, nel controllo dirimente di conformazione alla carta costi- tuzionale dell’attivita` legislativa, la Corte costituziona- le espressamente confermava la linea guida di evitare il conflitto tra genitori e figli 46, proprio nei momenti piu` delicati e potenzialmente turbolenti quali sono le vi- cende giudiziarie tra i coniugi/genitori, che non abbi- sogna certo degli ulteriori contenziosi genitori/figli. Sotto altro profilo, la stessa tesi presuppone che il figlio maggiorenne non fosse gia`, anteriormente all’in- troduzione dell’art. 155 quinquies c.c., un soggetto
“avente diritto”, mentre l’excursus sopra disegnato ci consente ed agevolmente di affermare l’esatto contra- rio: la consolidata giurisprudenza ha infatti sempre ri- conosciuto al figlio maggiorenne la piena capacita` di agire autonomamente, iure proprio, a tutela del diritto al mantenimento, del quale e` titolare naturale nei con- fronti dei genitori, sempre e comunque senza limita- zioni di sorta, anzi, escludendo con cio` stesso (in toto od in parte), la concorrente legittimazione del genitore convivente; mai il suo diritto puo` subire pregiudizio neppure per effetto delle statuizioni emesse nel con- traddittorio tra i suoi genitori, siccome ad esso inop- ponibili.
Inoltre, la stessa tesi non si fa carico di spiegare nean- che perche´, al contrario, il genitore non sia oggi da ritenere piu` anch’esso un soggetto “avente diritto”; e cioe`, per quale singolare arcano allora sarebbe stato nel contempo privato di valenza lo specifico disposto ex art. 148, comma 2, c.c., che per l’ipotesi dell’inadem- pienza genitoriale nel concorso agli oneri di manteni- mento in favore dei figli, prevede testualmente la pos- sibilita` di ottenere persino ordine monitorio con effi- cacia immediatamente esecutiva, affinche´ una somma di denaro periodica «sia versata direttamente all’altro coniuge o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione della prole»; e prima ancora, per quale ragione il coniuge/genitore sarebbe stato pri- vato, sempre allo scattare della maggiore eta`, del potere attribuito a qualsivoglia parte processuale di doman- dare il regresso ed il riparto verso l’altro obbligato solidale, e quindi di domandare pure che l’assegno sia riconosciuto e versato direttamente al figlio conviven- te, come prevede la stessa xxxxx. Da piu` parti nelle citazioni poste, si rimarca come il legislatore, nell’in- trodurre l’art. 155 quinquies c.c., non solo non ha in- ficiato la legittimazione ad agire iure proprio del coniuge/genitore convivente con il figlio maggiorenne, che sopperisce agli oneri in questione, ma l’ha confer- mata o quantomeno data per scontata — e questa sa- rebbe la vera novita` normativa — nel momento in cui consente al giudice, espressamente, sia di emanare una sentenza che su tale capo e` formalmente resa a favore di un soggetto che non e` parte processuale del giudizio di separazione, ma ne e` comunque il beneficiario finale dell’effetto principale (percezione del pagamento pe-
1070), trattandosi del figlio dotato di capacita` processuale ma privo di mezzi proprio perche´ in situazione di dipendenza eco- nomica, risultera` meritevole dell’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato nell’approntare la propria difesa, previsto per i soggetti non abbienti; con il risultato che anche nella piu` banale, scontata ed ordinaria separazione coniugale o gli altri giudizi piu` volte menzionati la presenza processuale inesorabilmente necessaria del figlio stesso, diviene immediata- mente un problema sociale ad oneri della collettivita`; infatti, l’art. 76, comma 4, D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel prefigurare i requisiti reddituali per l’ammissione al beneficio del gratuito patrocinio, prescinde ovviamente dalla limitazione costituita dalla sommatoria dei redditi dei familiari conviventi, riferendosi testualmente la norma, «...al solo reddito dell’instante quando sono oggetto della causa diritti della personalita`, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui convi- venti». Altra problematica insorgente con forza riguarda il tema dei doveri deontologici incombenti sui protagonisti dei giudizi in questione, con peculiare riguardo all’opera dei difensori, a
quella del Giudice, del P.M. e degli ausiliari, in tutte le loro concrete esplicazioni comportamentali. In relazione al cosiddet- to Codice Deontologico Forense, si rinvia a X. Xxxxxx, La deontologia ed i processi della famiglia, in Prev. Forense, 2009, 215.
45 Secondo la magistrale lezione di Xxxxxxx, Il legittimo e il giusto, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civile, 2009, 1.
46 Lo stesso precedente maceratese in commento consente di riflettere amaramente sul significato di questa preoccupante nuova frontiera; il figlio maggiorenne intervenuto in giudizio, seppur economicamente senza mezzi, si astiene dal formulare domanda accessoria per la refusione delle spese di lite e nono- stante fosse ben prevedibile la soccombenza paterna; anche a voler riflettere con un qualche eccesso di malizia nel senso che il figlio possa esser stato in qualche modo strumentalizzato dal genitore convivente, la circostanza e` sin troppo sintomatica del- la delicatezza degli ambiti che il diritto va a cogliere, e proprio nel momento in cui il rapporto genitori-figli evidenzia l’esigenza del massimo grado di maturita` (scelte di studio, di lavoro, di residenza e simili).
riodico), e sia di disporre che il medesimo assegno venga versato allo stesso genitore convivente, legitti- mato quindi non solo a domandarlo ma anche a per- cepirlo materialmente. In una parola, la tesi che indi- vidua nel figlio maggiorenne un litisconsorte necessa- rio nei medesimi giudizi coniugali/genitoriali, non rie- sce a dare contezza ragionevole della circostanza che anche il genitore che provvede agli oneri di manteni- mento per il figlio maggiorenne convivente e` anch’esso un soggetto “avente diritto” a percepire direttamente il versamento dell’assegno periodico, che pero` perdereb- be tale veste in via di automatismo, ove il figlio mag- giorenne sia da considerare oggi l’unico ed esclusivo “avente diritto”, con esclusione di qualunque altro, e come tale per l’appunto, litisconsorte necessario.
E` vero che il dato testuale obiettivo dell’art. 155 quin- quies, comma 1, c.c., porta ad individuare, con livello di sufficiente sicurezza, nel figlio maggiorenne il sog- getto avente diritto al mantenimento, siccome si pre- vede che l’eventuale assegno vada «versato direttamen- te all’avente diritto» ed il soggetto viene ancor prima individuato con il precetto testuale «Il giudice, valutate le circostanze, puo` disporre in favore dei figli maggio- renni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico». Questa constatazione pero` non risulta potersi interpretare oltre quello che obiet- tivamente e` il suo significato, nel limitato contesto di quella disposizione normativa, in quanto il legislatore non ha certo escluso che l’altro soggetto “avente dirit- to” individuato espressamente tra l’altro nell’art. 148, comma 2, c.c., appena richiamato, perdesse con cio` stesso questa sua legittimazione autonoma ad invocare tutela verso il coobbligato solidale inadempiente.
Ma non basta.
Non mancano neppure innumerevoli contraddizioni derivanti dall’applicazione delle altre nuove norme in- trodotte; cosı`, cogliendo quella che ci appare di mag- gior rilievo, se unanimemente e correttamente si affer- ma che il criterio guida e` quello di privilegiare l’accor- do gia` raggiunto dai coniugi/genitori, sulle condizioni che debbono vigere in esito al disgregarsi della loro unione coniugale, secondo il nuovo art. 155, comma 2 e 4, c.c., e` da chiedersi come possa conciliarsi tale canone con la presenza di un contraddittore necessa- rio, presente anche nei giudizi di separazione consen- suale e di divorzio a ricorso congiunto, che e` legittima- to a domandare per se stesso ponendosi in conflitto senza limitazioni, finendo cosı` con l’assumere de facto persino il ruolo di chi puo` in realta` azzerare l’accordo coniugale ed inibire l’omologa delle condizioni di se- parazione ovvero la reiezione del ricorso divorzile con- giunto, che invero a differenza della separazione con- sensuale vede trasformato il rito; non si dubita che gli accordi di cui e` parola nel richiamato art. 155 c.c. siano riferibili unicamente ai coniugi (anche ove parziali, nei giudizi contenziosi). Questa riflessione ne ingenera su- bito un’altra, persino inquietante: come ben noto il nostro ordinamento nel regolare i rapporti genitori/ figli ha da tempo superato e positivamente il rigido
criterio di soggezione alla potesta` parentale (od a quel- la che in un tempo oggi lontano, veniva definita “quasi potesta`”, con riguardo al figlio maggiorenne privo di mezzi) giungendo al nuovo equilibrio dei diritti/doveri reciproci, connotato dal canone della responsabilita` genitoriale; ma ragionando come i sostenitori della tesi avversata, ci troveremo di fronte allo scenario di una posizione giuridica del figlio maggiorenne esattamente rovesciata rispetto alla potesta` disegnata in origine nel nostro codice civile; forse ci attende l’era della proter- via filiale 47 verso i propri genitori? Ulteriori contrad- dizioni si rinvengono poi nello stesso art. 155 quinquies c.c., in quanto, ove si debba considerare litisconsorte necessario il figlio maggiorenne, quale esclusivo titola- re del diritto al proprio mantenimento, sulla base del solo inciso piu` volte indicato di “avente diritto”, non si giustifica completamente allora la ragione per cui il figlio parimenti maggiorenne, ma portatore di handi- cap grave, venga in ogni caso discriminato siccome equiparato, ai fini che qui ci occupano, integralmente al figlio in eta` minore, senza cioe` alcuna possibilita` per il giudice di valutare caso per caso; il soggetto avente diritto a percepire l’eventuale assegno di contributo al mantenimento del figlio maggiorenne portatore di han- dicap grave si individua sempre nel coniuge/genitore convivente che sopporta gli oneri necessari (o in even- tuali terzi soggetti in buona sostanza affidatari); il sog- getto portatore di handicap grave non coincide infatti con la persona incapace di intendere e di volere (ele- mento che il legislatore peraltro avrebbe precisato, e comunque non ha reputato di specificarlo); secondo l’art. 3 L. 5 febbraio 1992 n. 104, cui la norma espres- samente rinvia, il portatore di handicap «e` colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che e` causa di difficolta` di apprendimento, di relazione o di integrazione lavora- tiva e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione», ed e` grave «qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’auto- nomia personale, correlata all’eta`, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quel- la di relazione»; pur emergendo cosı` un’ipotesi che in genere puo` coincidere, assimilarsi od avvicinarsi a quella dell’incapace di intendere e di volere (che giu- ridicamente corrisponde a quella del figlio minorenne, peraltro con l’eccezione di cui all’art. 2, comma 2, c.c.), cui difetta la capacita` di agire e quindi, la capacita` processuale, puo` invero non coincidere con quella del- l’incapace; il rilievo allora non e` senza significato, in quanto l’“avente diritto” non sempre coincide con il figlio maggiorenne, rinvenendosi l’ipotesi del figlio pa- rimenti maggiorenne che nonostante l’handicap grave potrebbe conservare la capacita` di agire e quindi il libero esercizio dei propri diritti e delle relative tutele, come tale magari poter decidere della gestione ed am- ministrazione del contributo genitoriale per il proprio mantenimento 48; eppure questa ipotesi poteva ricom- prendersi nella previsione «salvo diversa determina-
47 Puo` apparire eccessivo ma non e` fuori luogo intravedere in cio` potenziali nuovi profili di abuso del diritto. In tema, e se- condo ottica piu` ampia, si vedano, Dell’Utri, Abuso del diritto tra ‘persona’ e ‘famiglia’, in Giur. Merito, 2007, suppl. 2, 18; e
Bugetti, Nuovi strumenti di tutela dei soggetti deboli tra fami- glia e societa`, Collana diretta da X. Xxxxx, Lavis, 2008, 230.
48 Tale discriminazione ha portato a dubitare della costitu- zionalita` della norma Annunziata, Il mantenimento del figlio
zione del giudice», di cui al comma 1 del medesimo art. 155 quinquies c.c., la cui interpretazione quindi, anche per tale via, risulta volgere all’individuazione di una discrezionalita` ampia del giudice. Mette in luce altra stridente contraddizione l’esatto rilievo di cui all’intui- zione motiva espressa con particolare efficacia, tra altri, dal Tribunale di Marsala (cit. al richiamo di nota 33); ha infatti osservato quel collegio, con il coraggio pe- raltro di chi ritorna sui suoi stessi passi, come, ove realmente si trattasse del diritto esclusivo del figlio maggiorenne, la norma risulterebbe persino priva di senso compiuto e mai allora il genitore convivente po- trebbe assumere la veste di legittimato concorrente iu- re proprio, pur essendo legato all’altro genitore dal vin- colo di solidarieta` passiva nell’obbligazione/dovere di mantenimento, risultando al piu` , anche nell’ipotesi di
«diversa determinazione del giudice», un mero adiec- tus solutionis causa, che nel dato normativo certamente non puo` rinvenirsi; e` indubitabile che tra le circostanze da valutare da parte del giudice, al fine di quella even- tuale diversa determinazione, vi rientra certamente quella della convivenza del figlio maggiorenne con il genitore che provvede direttamente alle sue quotidiane esigenze di vita, poiche´ non ancora autosufficiente. E che dire poi dell’argomento posto dagli assertori della tesi qui in commento, secondo cui, «nel caso in cui il figlio abiti con uno dei genitori, una parte di quanto ricevuto dovra` essere da questi devoluta al genitore convivente quale contributo alle spese abitative»; a parte l’eufemistica tipizzazione minimale degli oneri, e la circostanza stucchevole per cui il genitore deve escu- tere nel quotidiano il proprio figlio maggiorenne, il che tradisce una significativa non conoscenza della vita di qualsivoglia famiglia, sorge spontanea l’obiezione: tan- to rumore per nulla!
D’altronde e` assodato, cogliendo altro esempio si- gnificativo, che relativamente ad altra importante pre- visione volta ad assicurare il sereno ed adeguato man- tenimento della prole anche nell’evenienza della crisi della coppia genitoriale, in cui si sostanzia l’assegna- zione in uso della casa familiare, ex art. 155 quater x.x., xxxxxxxx xxxxxxxx xx xxxx xx coniuge/genitore conviven- te la legittimazione ad agire in ordine a tale domanda accessoria; ed anche questo elemento non e` di secon- xxxxx valore per l’interprete se solo si considera come tale assegnazione in uso e` diretta unicamente ad assi- curare la conservazione dell’habitat domestico anche per il figlio maggiorenne non autosufficiente, quale ele- mento certo rilevante anche per il suo mantenimento materiale: un altro elemento di mancata coordinazione normativa — questa volta tra gli artt. 155 quater ed il successivo 155 quinquies c.c. — nell’individuazione del soggetto “avente diritto”?
Ulteriori considerazioni palesano rilevanza. La di- sposizione in commento e` strutturalmente inserita nel- l’ambito delle previsioni che regolamentano la separa- zione coniugale e lo scioglimento del matrimonio (Ca- po V, Titolo VI, Del matrimonio, Libro I, c.c.), ed e` applicabile, per l’espresso richiamo ex art. 4, comma 2, legge n. 54/2006, oltre che ai procedimenti di separa- zione e divorzio, a quelli di nullita` del matrimonio, a quelli di modificazione e revisione delle condizioni ex artt. 710 c.p.c.e9 X. Xxx., xxx quelli relativi ai figli di genitori non coniugati; al di fuori di tali procedimenti non sembra proprio potersi dar luogo ad un’autonoma attivazione dell’art. 155 quinquies, comma 1, c.c. 49; si potra` opporre l’argomento secondo cui il figlio mag- giorenne agendo autonomamente in sede di ordinaria cognizione ovvero con lo speciale procedimento mo- nitorio ex art. 148 c.c., consegue lo stesso risultato quale creditore nell’azione spiegata a tutela del proprio credito al mantenimento o comunque invocare quel principio di diritto, ma cio` non toglie che la norma e` stata disegnata dal legislatore per i procedimenti ap- pena indicati. Anche il confronto tra l’art. 155 quin- quies ed il successivo art. 155 sexies c.c., assume un rilievo: se l’audizione e` prevista in tali giudizi soltanto per il figlio minorenne, la ragione risiede nel fatto che il figlio maggiorenne e` garantito dalla raggiunta capa- cita` di agire, cui consegue il libero esercizio di qualsi- voglia diritto rientrante nella sua sfera giuridica sog- gettiva e quindi non abbisogna certo di quella garanzia minimale, ora prefigurata, come abbiamo visto, a pena di nullita` del procedimento.
Merita di essere esaminata ora l’ulteriore contesta- zione mossa alla tesi contraria da chi individua nel figlio maggiorenne un litisconsorte necessario nei ri- detti giudizi coniugali/genitoriali, ove si controverta anche od in qualsivoglia modo intorno al suo mante- nimento: come abbiamo visto (cfr. richiami di nota 19), si afferma suggestivamente che «non risulterebbe nep- pure possibile spiegare come possa darsi una legitti- mazione concorrente per l’esercizio di diritti autonomi tra loro diversi»; premesso che l’appellativo di concor- rente e` nella sua empiricita` meramente esplicativo nel- l’individuazione di questo rapporto giuridico peculiare derivante dalla filiazione (piu` soggetti autonomamente titolati sulla base di diverse posizioni di diritto ad agire in vista del soddisfacimento del medesimo bisogno di vita), priva come tale di quel senso giuridico dirimente che gli si vuol attribuire; ma per dimostrare l’esattezza di quel postulato contestato e la sua lineare coerenza logica, proviamo ad utilizzare la stessa concisa efficacia espressiva:
tra i genitori ed il figlio, qualunque sia l’eta` anteriore al conseguimento dell’autosufficienza economica che
maggiorenne: considerazioni alla luce del nuovo sistema dell’af- fido condiviso, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2007, I, 1125. Si e` sostenuto da questo autore, con rilievo condiviso anche da Xxx- xxxx, L’intervento dei figli maggiorenni nei giudizi di separazione e divorzio, cit. in nota 20, che non risulterebbe esclusa l’appli- cabilita` del comma 1, dell’art. 155 quinquies c.c., ai figli mag- giorenni portatori di handicap grave, dovendosi applicare a que- sti ultimi soltanto le norme “in favore”; l’assunto non appare condivisibile, atteso che il comma 2 della medesima disposizio- ne contiene l’inciso perentorio “integralmente”, arduo da supe- rare per l’interprete; in tal senso, Xxxxxx, Il mantenimento del
figlio maggiorenne tra evoluzione del costume e dinamiche fami- liari alla luce della legge n. 54/2006, in Corr. Merito, 2007, 1411.
49 Il rilievo e` stato lucidamente posto da Trib. Napoli 23 luglio 2009, cit. in nota 34. Da menzionare anche Trib. Bologna 15 luglio 2008, inedita, ma riportata da Xxxxxxxx, Fam. Pers. Succ., 2009, 470, che a fronte di un giudizio promosso dai figli maggiorenni per conseguire una modificazione delle condizioni economiche previste in loro favore dalle omologate condizioni della separazione coniugale pronunciata tra i genitori, ha dispo- sto la conversione del rito in ordinario; sul punto i due prece- denti risultano contrapposti.
abbiamo descritta, corre l’obbligazione al manteni- mento, istruzione ed educazione, garantita dall’ordi- namento, di cui il figlio stesso e` titolare naturale;
tra i genitori nel rapporto interno di coobbligati so- lidali, vincolati da quel dovere cui entrambi sono te- xxxx compiutamente, c’e` soltanto il regresso per quanto gia` approntato in favore del figlio, ovvero il riparto per quanto da approntare con continuita` nel futuro, sino a che la condizione del figlio stesso non si viene a modificare secondo le dette previsioni dell’or- dinamento;
il coniuge/genitore convivente e` non soltanto parte processuale legittimata come tale, in re ipsa, a proporre anche tale domanda nell’ambito delle reciproche pre- tese tra genitori, ma risulta naturale che il genitore convivente predisponga e mantenga quell’unica orga- nizzazione ed amministrazione domestica complessiva per provvedere alle esigenze tutte anche del figlio 50;e si badi la ragione che fonda la sua autonoma legittima- zione nei confronti dell’altro genitore, debitore solida- le ex artt. 147 e 148 c.c., non e` rapportabile alla mera coabitazione (anagrafica o di fatto che sia), ma al ricor- rere del presupposto soggettivo per cui quel genitore si fa carico con continuita` degli oneri tutti per il mante- nimento, l’istruzione e l’educazione del figlio maggio- renne non indipendente economicamente e con esso convivente, tanto che al venir meno di questo compo- sito presupposto viene meno irrimediabilmente la stes- sa legittimazione ad agire;
non si tratta quindi di sovrapposizione nella tutela della stessa posizione di diritto, trattandosi di diritti autonomi fondati su presupposti oggettivamente di- versi, esercitabili entrambi iure proprio; piu` semplice- mente il figlio ed il genitore, in relazione di con- vivenza, nel rispettivo eventuale agire in giudizio pos- sono al piu` interferire e null’altro, magari doman- dando entrambi la stessa condanna al pagamento di un assegno in sedi diverse, od in maniera diversificata quanto all’ammontare, ovvero domandando di perce- pire entrambi direttamente l’assegno di manteni- mento; o magari no, agendo in sintonia, cioe` doman- dando in via complementare l’un l’altro (ricorrente nel caso del figlio studente universitario fuori sede: entrambi i genitori contribuiscono pro quota e diretta- mente alle spese di studio, pendolarita`, alloggio, per- manenza e simili, nella sede universitaria, mentre sud- dividono tra loro gli oneri domestici per il residuo tempo di permanenza presso il genitore convivente; altrettanto tipico il caso dello studente di scuola supe- riore che reputa la situazione data gia` soddisfacente e che come tale puo` proseguire esattamente com’era il giorno prima in minore eta`);
ai coniugi/genitori parti processuali sarebbe peraltro
agevole pretermettere un simile litisconsorte necessa- rio ove ad esempio volessero liberarsi l’un l’altro (eve- nienza che risulta certo estranea al ruolo genitoriale); trattandosi di un diritto disponibile, e` sufficiente omet- tere di proporre domanda attinente al mantenimento del figlio maggiorenne; specularmente, e` agevole pre- figurare come uno dei genitori puo` scientemente sca- tenare un contenzioso e comunque conflitti difficil- mente gestibili tra l’altro genitore ed il figlio conviven-
te; ma quel che rileva e` che non si intravede una sola plausibile ragione per cui i genitori debbano necessa- riamente conseguire un giudicato da imporre al mede- simo figlio, anche ove essi non lo ritengano ed anche ove il figlio non voglia o non possa prendere posizione nel contenzioso dei propri genitori, come di norma accade; senza dimenticare che se di difetto del neces- sario contraddittorio realmente si tratta, esso non ri- sulta ovviamente sanabile; e queste elementari consta- tazioni dimostrano tutta la carica di strumentalita` ne- gativa insita nella tesi qui avversata.
In virtu` di tutte queste argomentazioni, non sembra proprio potersi inferire dal disposto di cui all’art. 155 quinquies, comma 1, c.c., pur volendo attribuirgli tutta la valenza reale che puo` assumere, una efficacia inno- vativa tale da spingere l’interprete a dedurne il venir meno della legittimazione genitoriale, secondo il titolo autonomo che piu` sopra si e` descritto, ed individuare nel figlio maggiorenne l’unico ed esclusivo soggetto titolare della legittimazione ad agire per la tutela del diritto al mantenimento, in costanza della sua condi- zione di non autosufficienza economica nonostante la convivenza con il genitore che se ne fa carico; in una parola, il figlio maggiorenne quale litisconsorte neces- sario nei giudizi di separazione coniugale e divorzio e negli altri indicati, non supera il corposo vaglio critico posto.
7.2. Ipotesi del figlio maggiorenne privo di ruolo pro- cessuale.
Se la conclusione appena esposta (per cui nei ridetti giudizi non puo` individuarsi in capo al figlio maggio- renne il ruolo di litisconsorte necessario), non manca di persuasiva efficacia e quindi appare ragionevolmente raggiunta, restano a contendersi il campo le altre due tesi: quella per cui al figlio maggiorenne non e` proprio riservato od accessibile alcun ruolo processuale, sicche´ l’innovazione si risolve nella semplice previsione di una ulteriore modalita` attuativa concreta della condanna rivolta al futuro; e la tesi secondo cui il figlio maggio- renne puo` oggi agire o contraddire anche nei medesimi giudizi, intervenendovi, ma a tutela unicamente del proprio diritto, secondo le concrete esigenze caso per caso.
La prima di dette tesi, che con licenza letteraria pos- siamo definire “gattopardesca”, sembra volta a negare anche l’impossibile; il medesimo disposto ex art. 155 quinquies c.c., secondo questo indirizzo, espresso con un seguito importante, come risulta dalle citazioni di nota 33 che precede (il cui reale contenuto peraltro va prudentemente rinvenuto), in nulla avrebbe mutato i ruoli processuali nei giudizi in questione, esclusiva- mente riservati ai coniugi/genitori, con esclusione di qualsiasi altro soggetto (con la sola eccezione dell’or- gano requirente ma nei limiti e con le condizioni che ne regolano l’intervento).
Come emerge da quanto sin qui argomentato, pur risultando condivisibile il dato di partenza inerente l’oggettiva diversita` tra le due posizioni di diritto (del genitore convivente e del figlio maggiorenne non an- cora autosufficiente) e l’autonomia delle rispettive le-
50 In tal senso, Cass., Sez. I, 10 giugno 2005 n. 12294; e Id., 12 gennaio 2010 n. 261.
gittimazioni ad agire, risulta impossibile negare qual- sivoglia valenza al medesimo art. 155 quinquies c.c.; infatti, se anche ci si trovasse a fronte di una mera modalita` di attuazione concreta nell’assolvimento del- l’onere di mantenimento genitoriale, per cui il figlio in virtu` di tale esclusiva previsione puo` risultare il sog- getto che percepisce direttamente il pagamento perio- dico posto a carico del genitore non convivente 51, sen- za che nulla possa domandare od argomentare in seno ai giudizi ridetti (ma liberamente soltanto in sede au- tonoma e separata), non sembra potersi revocare in dubbio che sussiste un interesse del figlio maggiorenne a far valere la sua voce in proposito; ed il rilievo appare addirittura ovvio, xxxxxx´ se si dibatte del diritto o del- l’interesse del figlio maggiorenne, lo stesso deve poter contraddire nel processo; come persino clamoroso di- fatti risulterebbe che il figlio in eta` minore ultradodi- cenne od altrimenti capace di discernimento debba essere almeno sentito con lo strumento dell’audizione ex art. 155 sexies x.x., x xxxx xx xxxxxxxx xxx xxxxxxxxxx- xx, mentre il figlio maggiorenne, pur dotato di capacita` processuale, non possa interloquire volontariamente in proposito alle modalita` di attuazione in concreto del principale diritto che egli comunque vanta proprio ver- so i genitori (il mantenimento sino all’emancipazione economica).
Giova cosı` sottolineare come, a dire il vero, nei pre-
cedenti citati in nota 33, non si affronta ex professo la questione dell’odierna compatibilita` o meno dell’in- tervento del figlio maggiorenne nei giudizi in que- stione, bensı` si analizza la permanente legittimazione ad agire del genitore convivente con il figlio stesso, reputata tutt’oggi autonoma e iure proprio; soltanto il Tribunale di Xxxxxxx afferma che l’intervento in pa- rola non e` ammissibile, ma e` costretto a ricorrere, con interpretazione pretoria, ad una soluzione “compen- sativa”, stabilendo che sussiste l’esigenza di audizione del figlio maggiorenne (soluzione da escludere agevol- mente, non foss’altro che per l’espressa delimitazione del disposto ex art. 155 sexies c.c. ai figli minorenni ultradodicenni od altrimenti capaci di discernimento; si xxxx, forse questa forma decisamente impropria di “audizione” del figlio xxxxxxxxxxx xxxxx` anche risul- tare non proibita, ma certo e` agevole rimarcarne la singolarita` strumentale per la “quadratura del cer- chio” ed anche il connotato inesigibile a fronte di un soggetto che ha il libero esercizio dei propri diritti e quindi anche delle proprie scelte di tutela giudiziale); mentre gia` nel regime anteriore si era evidenziata in un precedente di legittimita` (Cass., Xxx. I, 21 giugno 2002 n. 9067, cit. al paragrafo 6 sub a), pur peculiare, ed in alcuni precedenti di merito (citazioni in nota 32) la possibilita` dell’intervento volontario in lite del figlio xxxxxxxxxxx.
Queste semplici constatazioni sono di per se´ suffi-
cienti a dimostrare obiettivamente come la tesi risulti insostenibile: la previsione ex art. 155 quinquies, com- ma 1, c.c., per quanto problematica, deve quindi regi- strarsi, senza scorciatoie od infingimenti.
7.3. Ipotesi del figlio maggiorenne interveniente volon- tario.
Ed allora sembra proprio questa la soluzione da adottare, siccome l’unica compatibile con il contesto complessivo dell’odierno quadro normativo.
Difatti: ne´ la circostanza per cui il figlio maggiorenne ha la possibilita` di agire in autonomo e separato giu- dizio puo` comportare un ostacolo all’intervento nei giudizi gia` instaurati dai coniugi/genitori, ne´ di razio- nale ostacolo sembra risultare la specialita` dei riti, at- teso che l’intervento del figlio maggiorenne non attinge certo ad altro che alla questione accessoria, esattamen- te prefigurata dall’ordinamento, relativa all’assegno di suo mantenimento; e per quanto variegato potra` risul- tare tale capo della domanda, questa e` senza ostacolo per qualsivoglia questione di status, tanto piu` in un ordinamento processuale che oramai come ben noto privilegia, anche nelle diffuse prassi correnti, l’emissio- ne della cosiddetta sentenza non definitiva di status,a richiesta anche di una sola delle parti; e poi, se anche si reputa di mantenere fermi tutti i canoni di Xxxx., Sez. I, 17 gennaio 1996, n. 364, riportata al par. 6 sub a), essi non risultano neppure smentiti dall’eventuale inter- vento del figlio maggiorenne, potendo questi attingere, lo si ripete, unicamente alla tutela del proprio autono- mo diritto nei confronti dei genitori gia` in lite (sia nel caso che questi abbiano proposto reciprocamente od unilateralmente una domanda in punto, sia che non ne abbiano proposta alcuna); e neanche i richiamati pro- nunciamenti della Corte delle leggi, che hanno repu- tato conformi alla carta costituzionale le previsioni nor- mative processuali che escludono, per i figli minorenni, il ruolo di parte, possono considerarsi ostacolo all’in- tervento in parola, siccome per l’appunto riferita ai soli figli minorenni (garantiti attraverso gli altri strumenti accennati); e d’altro canto mai e` l’iniziativa giudiziale del genitore che puo` precludere l’azione autonoma del figlio maggiorenne a rivendicare in ordine al proprio mantenimento, piuttosto, come abbiamo verificato, l’esatto contrario.
A seconda delle esigenze concrete del singolo caso, il figlio maggiorenne non ancora indipendente economi- camente potra` quindi, non soltanto agire nelle menzio- nate sedi autonome e separate, rispetto ai giudizi coniugali/genitoriali xxxxxxx, ma cosı` come potra` con- cordare con i propri genitori il regime reputato xxxxxx- re, disponendo del proprio diritto sino a che non so- praggiunga l’emancipazione della propria indipenden- za, potra` anche intervenire nei medesimi giudizi pen- denti tra i medesimi, per domandare in merito a tutela del diritto autonomo e diverso di cui e` titolare nei confronti dei genitori, ed in particolare per richiedere, in via principale (con cio` significando che non si rin- vengono apprezzabili ostacoli all’ammissibilita` sia del- l’intervento principale che di quello litisconsortile o adesivo autonomo), il riconoscimento di un assegno periodico come pure altre provvidenze ed il pagamen- to diretto di esso (in toto od in parte), ovvero anche solo ad adiuvandum rispetto alle ragioni della domanda
51 Evidentemente su domanda di questi in virtu` del medesi- mo art. 155 quinquies c.c., ma anche del genitore convivente che si fa carico degli oneri, legittimato ad agire anche in virtu` del
proprio autonomo e diverso titolo, disponendo per cio` dello stesso diritto; ovvero di entrambi i genitori magari sulla base di postulati divergenti.
gia` formulata da uno dei genitori, ovvero di parte della domanda dell’uno e parte della domanda dell’altro; fermo restando che al giudice resta pur sempre il com- pito di valutare tutte le circostanze e determinare con apprezzamento connotato da rilevante discrezionalita` in primis il riconoscimento stesso di un assegno perio- dico, il quantum di esso e le modalita` della sua mate- riale corresponsione solutoria, ma sulla base delle do- mande proposte, trattandosi come abbiamo visto di diritto disponibile, sia da parte dei genitori che da par- te del figlio maggiorenne stesso; questa tesi ha il pregio evidente di limitare il contenzioso genitori-figli soltan- to ove ve ne sia una reale ragione concreta, nei casi in cui insorgano posizioni confliggenti, pur a tutela di distinti diritti.
Attraverso l’intervento il figlio xxxxxxxxxxx assume la qualita` di parte e potra` cosı` far valere ogni proprio diritto, interesse o ragione incidente nel conflitto tra i genitori o nei confronti dei genitori od uno di essi, come reputera` di agire a tutela della propria posizione soggettiva, con la conseguenza che il giudicato sul capo gli sara` opponibile e di esso si potra` valere.
L’individuazione di questa prospettiva non puo` pre- scindere dall’analisi di altra questione ad essa avvici- nabile, frutto parimenti della medesima L. 8 febbraio 2006, n. 54.
Esiste altra problematica insorta avanti alle nostre Corti, a dire il vero con frequenza rilevante, che riguar- da l’ipotesi dell’intervento degli ascendenti; l’attuale dato normativo (art. 155, comma 1, c.c.: nella parte in cui dispone che il figlio minore ha diritto «di conser- vare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale»), ha espressamen- te riconosciuto la valenza del rapporto tra i figli minori ed i nonni, quale valore primario da preservarsi in fun- zione di una crescita equilibrata e xxxxxx; nonostante questo e salva qualche coraggiosa apertura ad opera di minoritaria giurisprudenza di merito 52, la giurispru- denza di legittimita` esclude, in sintonia con l’indirizzo anteriore, che i nonni (e piu` in generale il ceto pa-
rentale) possano intervenire nei giudizi tra coniugi/ genitori, anche soltanto ad adiuvandum 53; la ragione viene individuata nel rilievo secondo cui la disciplina introdotta dalla legge sull’affidamento condiviso non incide sulla natura e sull’oggetto dei giudizi di separa- zione e di divorzio, nonche´ sui diritti delle parti in essi coinvolti; e non essendo in questi giudizi parte lo stesso figlio minore, non e` configurabile, in assenza di una previsione normativa espressa, un interesse dei nonni all’attuazione di un diritto del minore, neppure tramite l’ancillare presenza derivante da un intervento ad adiu- vandum; si riconosce in buona sostanza soltanto che il giudice e` gravato da tale ulteriore tema di indagine, attraverso tutti gli elementi comunque acquisiti al pro- cesso attraverso le deduzioni ed allegazioni delle parti, o con l’apporto del P.M., od attraverso l’imprescindi- bile audizione dei figli minori, ed anche d’ufficio, attesa l’indisponibilita` delle posizioni di diritto e degli inte- ressi preminenti di questi. Ma qui, appunto, ci trovia- mo a fronte di un quadro normativo oggettivamente divergente 54, non foss’altro perche´ relativo alla prole in eta` minore; cio` nonostante appare ragionevole pro- nosticare una riconsiderazione del tema, risultando sin troppo evidente che i profili sostanziali e le posizioni che devono trovare composizione nei medesimi giudizi sono relegate in spazi processuali inadeguati ed in rotta di collisione con le affermazioni di principio poste; e l’ipotesi che potrebbe dare l’innesco ad un mutamento di tale indirizzo si rinviene in quei casi ove i nonni, in presenza della nota fattispecie di assoluta inidoneita` di entrambi i genitori, possono risultare terzi affidatari dei loro nipoti in eta` minore 55, come tali a quel punto portatori non soltanto di interessi straordinariamente rilevanti.
Questo lavoro giunge cosı` e necessariamente ad una conclusione, ma nonostante lo sforzo che il tema ha richiesto, tale purtroppo non e` ancora, poiche´ esso non lo esaurisce, anzi, ne costituisce soltanto una prima soluzione prospettica di fondo, affollandosi all’oriz- zonte gravose ed innumerevoli altre problematiche
52 App. Perugia 27 settembre 2007, in www.minoriefami- xxxx.xx; Trib. Firenze 22 aprile 2006, in Fam. Dir., 2006, 295, con nota di Xxxxxxxx, L’interesse dei minori e la nuova legge sul- l’affidamento condiviso. Contra: Trib. Bari 27 gennaio 2009, in Fam. Dir., 2009, 437; App. Catania 23 luglio 2008, in www.af- xxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx; Trib. Reggio Xxxxxx 16 maggio 2007, in Fam. Pers. Succ., 2008, 227; singolare la coincidenza per cui anche qui, le pronunce contrarie ad ammettere l’intervento sot- to qualsiasi forma degli ascendenti, procedano poi ad ogni buon conto ad una “audizione” dei nonni (o prendano in considera- zione positivamente una tale possibilita`), che appare anch’essa decisamente impropria ed inesigibile, ma costituisce un sintomo evidente che certamente avvalora il discorso che andiamo pre- figurando. Nella diversa ipotesi di ricorso ex artt. 333, 336 c.c. proposto dai nonni, si cfr. Cass., Sez. I, 23 novembre 2007
n. 24423, in Fam. e Min., 2008, 1, 44, con nota di Xxxxxxxx. Merita infine menzione Cass., Sez. I, 17 giugno 2009 n. 14091, ivi, 2009, 9, 32, con nota di Xxxxxxx.
53 Cass., Sez. I, 16 ottobre 2009 n. 22081, in Fam. Pers. Succ., 2010, 1, con nota di C. Irti, Il diritto del minore all’affetto dei nonni non trova voce in giudizio, la quale acutamente osserva come risulti persino incomprensibile l’inammissibilita` dell’in- tervento ad adiuvandum, diretto com’e` al mero sostegno delle ragioni di una delle parti (pag. 35); Id., 25 settembre 1998
n. 9606, in Fam. Dir., 1999, 18, con nota di De Marzo, Diritto di visita e interesse dei minori; Id., 17 gennaio 1996 n. 364, in
Fam. Dir., 1996, 227, con nota di Xxxxxxxxxxxx, Diritto di visita del genitore non affidatario e nonni.
54 Si e` osservato in dottrina che l’attribuzione della qualita` di parte a soggetti diversi dai coniugi risulterebbe confermata dal fatto che anche l’art. 709 ter c.p.c. fa riferimento, nel discipli- nare la soluzione delle controversie in ordine all’esercizio della potesta` genitoriale o delle modalita` dell’affidamento, alle con- troversie insorte tra i soli genitori, e non anche a quelle insorte tra genitori od uno di essi e gli altri parenti di ciascun ramo genitoriale, lasciando chiaramente intendere che la legittimazio- ne ad agire spetta unicamente ai genitori del figlio minore; Pa- dalino, L’affidamento condiviso dei figli, Torino, 2006, 35.
55 L’ipotesi viene reputata sopravvissuta in ragione dell’as- senza di una norma impeditiva e soprattutto in ragione della previsione di chiusura di cui all’art. 155, comma 2, c.c., in quan- to i poteri del giudice non trovano altro limite che quello fun- zionale al soddisfacimento degli interessi preminenti della prole; in tal senso, Xxxxxxxx, La riforma sull’affidamento condiviso, in Il diritto privato nella giurisprudenza a cura di X. Xxxxxx, La famiglia e le persone, Torino, 2008, 187; ma anche X’Xxxxx, L’affidamento condiviso tra regole giuridiche e discrezionalita` del giudice, in Xxxxx, Xxxxx Xxxxxx, L’affidamento condiviso, Mi- lano, 2006, 22; in giurisprudenza, tra altre, App. Milano 11 febbraio 2008, in Fam. Dir., 2008, 357; Trib. Mantova 2 febbraio 2010, ivi, 2010, 682; Trib. Rimini 16 febbraio 2010, in Fam. Pers. Succ., 2010, 388.
consequenziali; si pensi, oltre al necessario approfon- dimento di tutte le configurazioni tipizzate dell’inter- vento volontario (principale, litisconsortile, ad adiu- vandum) nelle singole fattispecie, al fine di conseguire una verifica compiuta sulla base di ogni possibile caso, all’ipotesi del litisconsorzio facoltativo che il genitore potrebbe darsi cura di provocare sin dall’inizio nei confronti del figlio maggiorenne, oppure all’altra ipo- tesi dell’intervento del medesimo figlio maggiorenne su istanza di una delle parti (coniugi/genitori), od an- xxxx, a quella per ordine del giudice. Meritevoli di approfondimento le questioni inerenti i raccordi con le eventuali decadenze deduttive o probatorie maturate al momento dell’intervento, viepiu` ove la circostanza del raggiungimento della maggiore eta` sopravvenga proprio in pendenza di quei giudizi 56; e parimenti, i temi della litispendenza, della connessione e della riu- nione dei procedimenti. Ancora, meritano ulteriori ri- flessioni l’individuazione della legittimazione ad agire e contraddire e/o il dispiegarsi del contraddittorio, nei procedimenti di modificazione e revisione delle condi- zioni gia` statuite in sede di separazione e divorzio, ex artt. 155 ter c.c., 710 c.p.c.e9 X. Xxx., ove abbiano ad oggetto unicamente e proprio la revoca o la modifica dell’assegno di mantenimento in favore del figlio mag- giorenne, gia` percettore diretto dell’assegno corrispo- stogli dal genitore non convivente, con la forza del giudicato opponibile anche nei suoi confronti; e cosı` pure nei giudizi tra genitori naturali. Sotto altro profilo emergono forti perplessita` sulla compatibilita` di quan- to ipotizzato con gli speciali procedimenti di separa- zione consensuale o di divorzio a ricorso congiunto, atteso che le condizioni sottoposte all’omologa od al- l’approvazione di sentenza (pur con le differenze ben note), non sono il frutto di un accertamento giudiziale ma il risultato di autonomia negoziale privata, e nella specifica configurazione di previsioni in a favore della prole 57.
Non mancheranno certo occasioni per ritornare su
tali temi, o per sollecitarne l’approfondimento da parte della dottrina processualcivilistica, con particolare ri- ferimento al generale studio afferente l’individuazione dei criteri idonei a demarcare nitidamente le conse- guenze per il dispiegarsi del contraddittorio in presen- za di diritti autonomi, fondati su distinte posizioni di diritto, ma potenzialmente confliggenti (in quanto di- retti a garantire il conseguimento, quale bene della vita, di una medesima condizione, composita e complessiva, in divenire), il concorso delle relative azioni, il coordi- namento dei procedimenti e delle decisioni.
8. Conclusioni.
In conclusione, nel contesto qui trattato, risulta obiettivamente fondata, condivisibile ed in armonica compatibilita` con il complessivo dato normativo, la soluzione per cui, a seguito dell’introduzione dell’art. 155 quinquies c.c., pur permanendo integra l’autono- ma legittimazione iure proprio, verso il genitore coob- bligato solidale, sia in regresso che in riparto per il futuro, del genitore convivente che si fa carico con continuita` degli oneri tutti per il mantenimento, istru- zione ed educazione del figlio maggiorenne ancora in condizioni di non autosufficienza economica, quest’ul- xxxx xxx` tutelare il diritto al mantenimento di cui e` titolare nei confronti dei medesimi genitori, non sol- tanto attraverso autonoma iniziativa giudiziale, ma an- che con lo strumento dell’intervento volontario nei giudizi gia` pendenti, di separazione coniugale, divor- zio, nullita` matrimoniale, modificazione e revisione delle condizioni, e quegli altri tra genitori non vincolati da coniugio, nei quali possono essere in qualsiasi modo contesi tali autonomi diritti, del genitore convivente e del figlio, ed ovviamente soltanto in ordine a tali do- mande accessorie; e cio` anche se la maggiore eta` so- praggiunge in pendenza di tali giudizi.
Ma questo risultato e` solo la prefazione di ulteriori riflessioni, con al centro gli affetti e la vita del singolo nelle relazioni familiari, e con l’auspicio che, salvi gli ineliminabili casi fisiologici, la logica dell’antagonismo insita in ogni fenomeno di contrapposizione giudiziale non finisca per pervadere massivamente la famiglia ita- liana, anche tra genitori e figli, proprio nell’importante momento del passaggio all’eta` adulta delle giovani ge- nerazioni.
Xxxxxxxxx Xxxx
BED & BREAKFAST
Tribunale Torino, I Sezione, 13 ottobre 2009,
n. 6944 — Xxxxxxxx Xxxxxxx — Castello (avv. Bessi) - Condominio di via Xxxxx Xxxxx (avv. Mittone).
Comunione e condominio — Esercizio di attivita` di bed & breakfast — Attivita` pensionistica — Condo- minio — Regolamento condominiale (C.c. artt. 1362, 1365; L.R. Piemonte 13 marzo 2000, n. 20).
Il divieto, contenuto in un regolamento condominia- le, di destinare le unita` immobiliari a pensioni si estende all’esercizio dell’attivita` di bed & breakfast (1).
56 Non e` certo peregrina l’affermazione per cui il raggiungi- mento della maggiore eta` del figlio, costituisce una obiettiva circostanza sopravvenuta rilevante anche ai fini della modifica- zione e revisione del giudicato anteriore, appunto caratterizzato com’e` dalla clausola rebus sic stantibus; ne deriva che trovandoci a fronte di una circostanza sopravvenuta, essa non dovrebbe sottostare ad alcuna decadenza, e potersi quindi dedurre sino a che le parti non hanno precisato le rispettive conclusioni, e nell’eventualita` anche in appello; in tema della rilevanza delle circostanze sopravvenute e` d’uopo il richiamo a: Cass., Sez. I, 7 maggio 1983 n. 3106; Id., 28 maggio 1990 n. 5020; Id., 3 gennaio 1991 n. 26; Id., 27 febbraio 1991 n. 2148; Id., 14 luglio 1994
n. 6612; Id., 13 novembre 1996 n. 9930; App. Roma 19 gennaio
2001, in Guida Dir., 2001, 12, 84; Cass., Sez. I, 19 settembre
2005 n. 18475; e Id., 7 aprile 2006 n. 8221.
57 In tema risulta utile il richiamo dell’opera di Xxxxxxxx, sub art. 711 c.p.c., in Commentario al diritto italiano della fami- glia, diretto da Xxxx, Xxxx e Xxxxxxxxx, Padova, 1993, 593; e Oberto, Trasferimenti patrimoniali in favore della prole operati in sede di crisi coniugale, in Fam. Dir., 2007, 65; in giurispru- denza si cfr.: Cass., Sez. I, 8 marzo 2001 n. 3390, in Fam. Dir., 2001, 443; Id., 17 giugno 2004 n. 11342, in Giust. Civ., 2005, I, 417; Id., 21 febbraio 2006 n. 3747, in Guida Dir., 2006, 16, 84; Id., 30 aprile 2008 n. 10932; e Id., 8 maggio 2008 n. 11488, entrambe in Fam. Dir., 2008, 1117.
Diritto Civile | BED & BREAKFAST 103
Omissis. — Con ricorso depositato il 21.3.2007 Xxxxx Xxxxxxxx ha domandato l’annullamento della delibera assunta dal Condominio di xxx xxxxx Xxxxx 00 in Torino, limitatamente al punto 5 del relativo ordine del giorno, se- condo cui “i condomini a maggioranza, esclusa la sig.ra Ca- stello, deliberano la cessazione di tale attivita` salvo opposi- zione da parte della stessa sig.ra Castello entro 30 giorni dal
ricevimento del presente verbale”.
A sostegno di tale impugnativa ha esposto di essere pro- prietario di una unita` immobiliare posta al primo piano del- l’edificio eretto in condominio, concessa in godimento ad Xxxxxxx Xxxxxxxxxx, che vi aveva trasferito la propria resi- denza ed adibito parte dell’appartamento all’esercizio della attivita` di bed & breakfast; l’assemblea dei condomini il 20.2.2007 aveva pero` deliberato, a maggioranza, a cessazione di tale attivita`; tale deliberazione era, pero`, in contrasto con i diritti spettanti al proprietario e con la legislazione regio- nale vigente, che aveva espressamente stabilito che l’eserci- zio della attivita` di bed & breakfast non costituisce cambio della destinazione d’uso residenziale dell’immobile (art. 15
l.r. 15.4.1985 n. 31); tale attivita` non richiedeva, dunque,
alcuna autorizzazione amministrativa, ne´ consenso pre- ventivo della assemblea dei condomini, con la conseguenza che la relativa deliberazione aveva indebitamente violato i diritti della stessa, essendo tra l’altro stata adottata a mag- gioranza e non all’unanimita` pur incidendo sul suo diritto di proprieta`.
Ha dunque concluso chiedendo la sospensione della ese- cuzione di tale deliberazione e, nel merito, che la stessa fosse dichiarata nulla, o annullata o revocata, accertando che lo svolgimento della attivita` di bed & breakfast non costituiva violazione del regolamento di condominio e non rientrava nel divieto stabilito dal regolamento di destinare le unita` immobiliari dell’edificio a pensioni o ad usi che potessero turbare la tranquillita` o che fossero contrari all’igiene ed al decoro.
Con decreto del 4.4.2007 il Giudice istruttore ha fissato udienza di discussione sulla istanza di sospensione per il 9.5.2007.
Il Condominio convenuto si e` quindi costituito con com- parsa depositata in tale udienza, facendo rilevare che l’ese- cuzione della delibera impugnata era stata subordinata alla mancata opposizione del Castello, con la conseguente inam- missibilita` della istanza di sospensione formulata dal ricor- rente.
Con ordinanza del 9.5.2007 il Giudice istruttore ha re- spinto l’istanza di sospensione della deliberazione impugna- ta, non ravvisando alcun pregiudizio nel ritardo.
Essendo stata fissata la prima udienza al 26.9.2007 il Con- dominio ha provveduto a costituirsi nuovamente, con com- parsa depositata il 18.7.2007, resistendo alla impugnativa del Castello ed eccependo preliminarmente il suo difetto di le- gittimazione attiva e la sua carenza di interesse ad agire, per essere stata concessa in godimento la sua unita` immobiliare alla Lanciaprima, che svolgeva la suddetta attivita` di bed & breakfast.
Nel merito ha affermato la legittimita` della deliberazione impugnata, fondata sulla previsione dell’art. 6 del regola- mento di condominio, che vietava di destinare gli apparta- menti od altre parti dell’edificio a pensioni ed a qualsiasi uso o destinazione che potesse turbare la tranquillita` o fosse contrario all’igiene ed al decoro, con la conseguente illegit- timita` della attivita` esercitata nella unita` immobiliare di pro- prieta` del Castello, per essere equiparabile ad una pensione una attivita` di bed & breakfast e trattandosi, comunque, di attivita` idonea a turbare la tranquillita`, il decoro e la sicu- rezza dell’edificio.
Ha dunque concluso per il rigetto delle domande del Ca-
xxxxxx, con vittoria di spese, come in epigrafe.
Assunte le prove orali dedotte dal ricorrente, la causa e` stata assunta in decisione all’udienza del 20.5.2009, sulle conclusioni in epigrafe trascritte, ed entrambe le parti hanno provveduto successivamente, entro i termini loro assegnati, a depositare fascicolo e conclusionale.
Debbono preliminarmente essere disattese le eccezioni preliminari, di carenza di legittimazione attiva e di interesse ad agire, sollevate dal condominio convenuto, in quanto, benche´ l’attivita` di bed & breakfast di cui si controverte sia svolta dalla Lanciaprima, nella sua veste di conduttrice del- l’appartamento di proprieta` del Castello, quest’ultimo pare egualmente portatore dell’interesse alla rimozione di una deliberazione condominiale che ritiene assunta in violazione del suo diritto dominicale, con la conseguente sussistenza sia della legittimazione attiva (per essere stata prospettata la indebita violazione dei diritti spettanti al proprietario), sia dell’interesse ad agire (per le conseguenze derivanti in con- creto, anche nei rapporti tra proprietario e conduttore e sulle possibilita` di godimento ed utilizzo del bene, da tale indebita lesione).
Xxx` premesso occorre osservare che il ricorrente non ha
contestato l’opponibilita` del regolamento di condominio e la sua origine contrattuale, ma ha affermato l’estraneita` della attivita` di bed & breakfast al divieto stabilito dall’art. 6 di tale regolamento.
Ne consegue l’opponibilita` al ricorrente stesso delle re- strizioni alle facolta` inerenti alle proprieta` esclusive conte- nute in tale regolamento (con la conseguente sufficienza di una deliberazione adottata a maggioranza per farle valere nei confronti di un condomino), tra cui quella di cui si contro- verte, inerente al divieto di destinare le unita` immobiliari a pensioni “e in genere a qualsiasi uso o destinazione che possa turbare la tranquillita` del Condominio e che sia contrario al- l’igiene e al decoro dell’edificio”.
Tale divieto, poi, pare senz’altro applicabile alla attivita` di bed & breakfast svolta dalla Lanciaprima nell’appartamento di proprieta` del Castello, sia perche´ tale attivita` pare, secon- do la comune intenzione dei contraenti (ex art. 1362 c.c.) e sulla base delle indicazioni esemplificative contenute nella clausola regolamentare (ex art. 1365 c.c.), assimilabile a quella di pensione espressamente vietata, tenendo conto del- la accezione corrente di entrambi i termini e della natura delle rispettive attivita`; sia perche´ essa pare anche, comun- que, idonea a turbare la tranquillita` dell’edificio, per l’andi- rivieni di persone che ineludibilmente e notoriamente ne consegue, sicuramente in misura assai superiore a quella conseguente ad un utilizzo residenziale del medesimo appar- tamento, in guisa tale arrecare un pregiudizio alla tranquillita` del condominio.
Quanto alla assimilabilita` della attivita` di bed & breakfast
a quella di pensione occorre anzitutto osservare che secondo il vocabolario della lingua italiana Zingarelli per pensione si intende la “fornitura di vitto e alloggio dietro pagamento di un importo stabilito”; secondo il medesimo vocabolario l’attivita` di bed & breakfast consiste in una “sistemazione alberghiera che comprende il pernottamento e la prima colazione”.
Pare evidente, dunque, l’assimilabilita`, secondo la loro accezione comune, delle due attivita`, caratterizzate entram- be dalla fornitura del pernottamento e della prima colazione e, nel caso della pensione, della possibile fornitura anche del pranzo o della cena o di entrambi (cfr., in tal senso, Tribunale Catania, 6 luglio 2004, Soc. Giordani Tourist e. Ditta B&B Stesicoro, in Foro it. 2005,I, 910). Tale ultima circostanza, e cioe` che nella pensione sia possibile ottenere anche il pranzo o la cena, non sembra tale da differenziare ontologicamente le due attivita`, essendo solo eventuale e non ineludibile nella pensione il servizio del pranzo e della cena e dunque non tale da differenziare in maniera sostanziale e significativa le due attivita`.
Tale assimilabilita`, del resto, si ricava anche dalla discipli-
na di tale attivita` di bed & breakfast, dettata dalla legge regionale n. 20 del 2000, che ha aggiunto l’art. 15 bis alla legge regionale n. 31 del 1985, disciplina che pare simmetrica ed analoga a quella degli affittacamere, a loro volta assimi- labili ad una pensione.
D’altra parte, interpretando la clausola nella sua interezza (“E` espressamente vietato: destinare gli alloggi e i locali del- l’edificio ad agenzie di pegno, pompe funebri, cliniche o case di cura, ambulatori per malattie infettive o contagiose, sale da
ballo, sedi di partiti politici, pensioni e in genere qualsiasi uso o destinazione che possa turbare la tranquillita` del Condomi- nio e che sia contrario all’igiene e al decorso dell’edificio”), senza far ricorso alla analogia ma interpretandola secondo la comune intenzione dei contraenti, ex art. 1362 c.c., tenendo conto della elencazione di attivita` vietate e del riferimento a quelle comunque idonee a turbare la tranquillita` del condo- minio, pare evidente che i condomini originari contraenti intesero escludere qualsiasi attivita` che comporti a%usso sistematico di estranei da cui possa derivare un turbamento per la tranquillita` degli abitanti, come nel caso di una attivita` di bed & breakfast, destinata per sua natura a ricevere ospiti anche a tarda sera ed a vederli partire od allontanarsi anche di primo xxxxxxx.
Inoltre le indicazioni contenute nella suddetta clausola regolamentare paiono avere natura esemplificativa, ex art. 1365 c.c., con la conseguenza che non possono presumersi esclusi i casi non espressamente compresi, anche in conside- razione dell’epoca di redazione del regolamento di condo- minio, risalente al 1985, allorquando non era ancora disci- plinato, ne´ assai diffuso, lo svolgimento di tale attivita`.
Deve, pertanto, ritenersi pienamente legittima, in quanto esplicativa del divieto contenuto nella suddetta clausola re- golamentare restrittiva delle facolta` inerenti alle proprieta` esclusive, la deliberazione impugnata, che ha imposto la ces- sazione della attivita` di bed & breakfast in questione.
Risultano, infatti, irrilevanti, nei rapporti tra privati, il ri- lascio delle autorizzazioni amministrative all’esercizio di tale attivita`, ed anche, al fine di determinarne le caratteristiche, la circostanza che l’inizio della stessa non comporti mutamento della destinazione d’uso dell’immobile nel quale viene svolta (cfr., in tal senso, Tribunale X. Xxxx, 26 aprile 2004, Vene- ziani x. Xxxxx, in Arch. locazioni 2004, 353).
Ne consegue il rigetto della impugnativa proposta dal Ca- stello e delle altre domande, di accertamento della legittimita` di detta attivita`, dallo stesso proposte, risultando la stessa vietata dalla citata clausola regolamentare. Non si ravvisano, infine, ragioni per discostarsi dalla regola secondo cui le spese seguono la soccombenza, con la conseguenza che il ricorrente deve essere condannato a rifonderle per intero al convenuto, come da dispositivo. — Omissis.
(1) Il bed & breakfast e il condominio: pro- blemi di convivenza
Sommario: 1. Il fatto. — 2. La sentenza. — 3. Riflessioni critiche.
1. Il fatto.
L’attore F.C., proprietario dell’appartamento in un condominio nel centro di Torino, aveva concesso in godimento ad A.L. l’immobile. A.L. vi aveva trasferito la propria residenza e aveva avviato negli stessi locali un bed & breakfast in conformita` alla normativa vigen- te e in particolare alla L.R. 15 aprile 1985, n. 31, la quale disciplina le strutture ricettive extra-alberghiere in un’ottica di sviluppo regionale a sostegno dell’offer- ta turistica 1. Il bed & breakfast in questione risultava avviato nel rispetto delle formalita` amministrative pre- viste dalla legge.
All’esercizio dell’attivita` posta in essere da A.L. si opponeva l’assemblea dei condomini, deliberando a maggioranza la cessazione di tale attivita`, sostenendo
che essa fosse in violazione dell’art. 6 del regolamento di condominio, che vietava di destinare gli apparta- menti o altre parti dell’edificio a pensioni e a qualsiasi uso o destinazione che potesse turbare la tranquillita`o fosse contrario all’igiene e al decoro.
L’attore chiedeva la sospensione della delibera as- sembleare di cessazione dell’attivita` di bed & breakfast, la dichiarazione di nullita` o la revoca della delibera stessa, nonche´ l’accertamento e la dichiarazione, da parte del giudice, che l’esercizio dell’attivita` di bed & breakfast: «Non costitui[va] violazione del vigente re- golamento condominiale e non [era] sussumibile nel divieto dal medesimo posto, di adibire e destinare le unita` immobiliari delle quali consta il fabbricato con- dominiale a “agenzie di pegno, pompe funebri, clini- che o case di cura, ambulatori per malattie infettive o contagiose, sale da ballo, sedi di partiti politici, pen- sioni e in genere qualsiasi uso o destinazione che possa turbare la tranquillita` del condominio e che sia contra- rio all’igiene e al decoro dell’edificio”». L’attore non contestava dunque l’opponibilita` del regolamento di condominio e la sua origine contrattuale, ma affermava che l’attivita` di bed & breakfast non cadeva sotto il divieto stabilito dal regolamento.
2. La sentenza.
Il giudice ha rigettato la domanda, muovendo dalla generale opponibilita` delle restrizioni apposte dal re- golamento condominiale alle facolta` inerenti alla pro- prieta` esclusiva di un condomino. Il divieto di svolgere l’attivita` di bed & breakfast e` ritenuto legittimo, sia perche´ essa viene ritenuta assimilabile a quella di pen- sione, espressamente vietata dal regolamento, sia per- che´ in ogni caso idonea a turbare la tranquillita` e il decoro dell’edificio.
L’assimilabilita` e` stata ritenuta sulla base del signifi- cato corrente dei termini “bed & breakfast” e “pensio- ne”, ricostruito a partire dalle definizioni che ne offre il dizionario della lingua italiana Zingarelli 2, che ne illustra la natura comune.
L’idoneita` a turbare la tranquillita` e la contrarieta` all’igiene e al decoro dell’edificio sono invece state pre- sunte dal giudice sulla base della riconducibilita` del- l’attivita` di bed & breakfast a qualsiasi attivita` compor- tante un a%usso continuo di estranei, con conseguente disturbo alla tranquillita` dei condomini. Il giudice ha sottolineato la formulazione della clausola, che preve- de un elenco meramente esemplificativo di attivita`, per cui non sono esclusi i casi non espressamente conside- rati.
3. Riflessioni critiche.
L’attivita` di bed & breakfast e` attualmente materia di competenza delle regioni e quindi in Piemonte e` retta dalla L.R. 15 aprile 1985, n. 31, artt. 15 e 15 bis.
Non v’e` dubbio, peraltro, che i regolamenti con- dominiali possano prevedere determinati divieti a par-
1 L.R. Piemonte 13 marzo 2000, n. 20, Integrazione della
L.R. 15 aprile 1985, n. 31, “Disciplina delle strutture ricettive extralberghiere” e modifica della L.R. 8 luglio 1999, n. 18, “In- terventi regionali a sostegno dell’offerta turistica”, in Bollettino Ufficiale della Regione Piemonte, n. 11, del 15 marzo 2000 Sup- plemento.
2 «Pensione: fornitura di vitto e alloggio dietro pagamento di un importo stabilito»; «Bed & breakfast: sistemazione alber- ghiera che comprende il pernottamento e la prima cola- zione».
ticolari utilizzazioni degli immobili di proprieta` esclu- siva.
Nel caso di specie l’attivita` di bed & breakfast, che puo` essere legittimamente inibita da un regolamento condominiale, e` tipizzata dalla legge regionale, e per- tanto, in Piemonte, va identificata sulla base dei requi- siti in essa contenuti: obbligo di utilizzare parte della propria abitazione avvalendosi della “normale organiz- zazione familiare”; saltuarieta` dell’attivita`; utilizzo di un numero limitato di camere (tre) e di posti letto (sei) e calendario di apertura limitato e regolamentato. L’at- tivita` inoltre non richiede cambio di destinazione del- l’uso residenziale dell’unita` immobiliare. La legge, nel disciplinare nel dettaglio i limiti entro cui l’attivita` di bed & breakfast puo` essere esercitata, limita evidente- mente il livello di disturbo della quiete e della vita abituale del condominio.
Oltre a dettare regole che paiono piuttosto restrittive ed escludono un radicale mutamento della natura e della gestione dell’abitazione, la legge regionale, sia pur nell’ambito del Titolo V, dedicato agli esercizi di affittacamere, detta una disciplina particolare per l’at- tivita` di bed & breakfast rubricandola all’art. 15 e 15 bis
«esercizio saltuario del servizio di ospitalita` denomi- nato bed & breakfast». La legge piemontese, quindi, classifica e regola l’attivita` di bed & breakfast separa- tamente dall’esercizio di affittacamere e da quello di pensione 3.
Dal momento che la motivazione della decisione ruo- ta inevitabilmente attorno all’interpretazione della clausola del regolamento condominiale, occorre in- nanzitutto ricostruire il contenuto di questa, per veri- ficare la legittimita` del divieto imposto in forza di essa. Da qui il giudice ha opportunamente mosso le sue argomentazioni, offrendone pero` un’interpretazione inadeguata e imprecisa. Sorprende infatti la ricostru- zione della nozione di attivita` di bed & breakfast, ope- rata sulla base non della fonte legislativa, all’uopo ap- prestata, ma di una fonte atecnica e sommaria, quale puo` essere la definizione rintracciabile in un comune dizionario della lingua italiana, che non e` pensato per attestare l’uso normativo della nozione.
Non si tratta qui di valutare se nel linguaggio comune l’attivita` di bed & breakfast presenti punti di contatto con quella pensionistica intesa in senso ampio, ma di apprezzare le peculiarita` di un’attivita` che, sulla base della disciplina legislativa regionale, e` necessariamente fonte di un piu` limitato disturbo.
Nel contesto della clausola oggetto di interpretazio- ne, lo stesso riferimento alle “pensioni” e` da leggere alla luce degli altri termini dell’elenco (case da ballo, ambulatori ecc.) e della ratio del divieto stesso, svelata dal riferimento alle attivita` contrarie alla tranquillita`, all’igiene, al decoro.
Non sembra dunque che nel contesto della clausola in esame l’attivita` di bed & breakfast possa ritenersi immediatamente inclusa nel riferimento alle pensioni.
Sulla scorta di queste considerazioni si puo` affronta- re anche il secondo argomento addotto dal giudice, volto ad inquadrare se tali attivita` possono in concreto turbare la tranquillita` del condominio e sono contrarie all’igiene e al decoro dell’edificio. Occorre rilevare che tale inquadramento e` stato, nel percorso argomentati- vo, non giustificato, ma semplicemente presunto. Sem- bra necessario valutare nel caso concreto le modalita` e le caratteristiche di una simile attivita` svolta nel rispet- to dei limiti di legge (come nel caso di specie), che sono, come si e` visto, alquanto restrittivi e sostanzial- mente idonei ad impedire l’alterazione della gestione ordinaria di un’unita` abitativa sita in un condominio.
E` necessario infine ricordare che la Corte di cassa-
zione, in diverse recenti sentenze, ha ribadito che i divieti e le limitazioni al godimento delle unita` immo- biliari di proprieta` esclusiva contenuti nei regolamenti condominiali «proprio per le compressioni che com- portano al libero esercizio dei poteri e delle facolta` spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva pro- prieta`, devono essere sanciti in modo non equivoco cosı` da non lasciare alcun margine di incertezza sul contenuto e la portata delle relative disposizioni» 4, e ha escluso che essi possano essere interpretati in modo estensivo 5. Le restrizioni alle facolta` inerenti alla pro- prieta` previste dai regolamenti condominiali «devono essere formulate in modo espresso o comunque non equivoco in modo da non lasciare alcun margine d’in- certezza sul contenuto e la portata delle relative dispo- sizioni» 6.
Per le ragioni indicate, l’interpretazione della clau- sola proposta in motivazione della sentenza non appa- re condivisibile.
Xxxxxx Xxxxxxxx
DELEGAZIONE
Tribunale Palermo, 26 agosto 2009 — Di Pisa Giudice — Irfis Medio Credito della Sicilia s.p.a. (avv.ti Leone, Xxxxxxxx, Astone) - Banco di Sicilia s.p.a. (avv.ti Giudice, Punzo).
Obbligazioni e contratti — Obbligazioni in genere
— Delegazione, espromissione, accollo — Delegatio promittendi — Sussistenza — Condizioni (C.c. art. 1268).
La dichiarazione con cui un soggetto (nella specie, una banca) conferma al beneficiario la volonta` di dare esecuzione a un ordine irrevocabile di pagamento «se- condo le modalita` ed i termini specificati», configura una delegatio promittendi, con conseguente assunzione dell’obbligo nei confronti del delegatario e possibilita` per quest’ultimo di agire direttamente nei confronti del delegato (1).
3 L’intervento legislativo della Regione Piemonte in materia di esercizio saltuario di attivita` di bed & breakfast non e` iso- lato; si segnalano interventi simili in altre Regioni. V., a titolo esemplificativo, le L.R. Lombardia 28 aprile 1997, n. 12, L.R. Liguria n. 13/1992 “Disciplina delle strutture ricettive extraal-
berghiere” e n. 5/2000 “Integrazione alla L.R. 25 maggio 1992 n. 13”.
4 Cass., Sez. II, 10 febbraio 2010, n. 3002.
5 Cass., Sez. II, 20 luglio 2009, n. 16832.
6 Cass., Sez. II, 20 luglio 2009, n. 16832.
Omissis.— Svolgimento: Con atto di citazione ritual- mente notificato in data 29.12.2005 l’IRFIS Medio Credito della Sicilia S.p.A. nella qualita` di Gestore del Fon- do della Regione Siciliana di cui alla Gestione Separata isti- tuita dalla L.R.S. 119/1983 in persona del suo legale rappre- sentante pro-tempore (d’ora in poi, per brevita`, “Gestore”) conveniva in giudizio innanzi a questo Tribunale il BANCO DI SICILIA Societa` per Azioni in persona del legale rappre- sentante pro-tempore (d’ora in poi, per brevita`, “Banco”), ed esponeva che con delibera in data 29.12.1994 era stata concessa una linea di credito in favore della Xxxxxx S.p.A. in
amministrazione straordinaria.
Precisava che la Xxxxxx S.p.A. aveva ceduto alla K&M- Industrie Meccaniche s.r.l. un ramo di azienda con tutti i rapporti attivi e passivi inerenti il ramo e, quindi, sia i con- tratti di fornitura con le Ferrovie dello Stato sia il rapporto in essere con esso Gestore in dipendenza della suddetta aper- tura di credito.
Soggiungeva che essa attrice aveva provveduto, pertanto, ad intestare alla K&M-Industrie Meccaniche s.r.l. subordi- nando l’esecutivita` di tale delibera al conferimento da parte della societa` da ultimo indicata e nel proprio interesse di un mandato irrevocabile alle Ferrovie dello Stato affinche´ prov- vedesse ai pagamenti dovuti attraverso un bonifico su un conto corrente ad essa intestato presso il Banco ed un ulte- riore mandato irrevocabile a quest’ultimo affinche´, qualora non fosse intervenuto il pagamento da parte della debitrice, provvedesse al pagamento di ciascuna delle tre rate in cui era stato suddiviso il debito attraverso le somme esistenti su detto conto. Osservava che la K&M-Industrie Meccaniche
s.r.l. aveva provveduto a richiedere alle Ferrovie dello Stato
di eseguire tutti i pagamenti sul conto n. 450.033.513 a lei intestato presso il Banco sia a trasmettere a quest’ultimo l’ordine irrevocabile, in quanto espressamente conferito nel- l’interesse di esso Gestore, di provvedere direttamente al pagamento delle rate di debito alle scadenza pattuite. Rile- vava che parte convenuta aveva confermato sia alla K&M- Industrie Meccaniche s.r.l. sia ad essa attrice di avere rice- vuto il mandato e di volere provvedere alla sua esecuzione. Precisava che dopo alcune variazioni circa i tempi di paga- mento il Banco non aveva dato corso al mandato ed, in particolare, era accaduto che sul conto in questione erano confluiti importi pari a lire 00.000.000.000 e che “inspiega- bilmente” era stato consentito al debitore, in chiara viola- zione del mandato, di movimentare il conto in favore di terzi per importi corrispondenti a 00.000.000.000.
Assumeva, quindi, essa attrice che era rimasta creditrice
dell’importo di euro 5.353.840,92, credito del quale era im- possibile il recupero in considerazione del fatto che la K&M- Industrie Meccaniche s.r.l. era stata posta nelle more in am- ministrazione straordinaria ed il credito, pur insinuato al passivo, non poteva essere soddisfatto.
Tanto premesso osserva che nella fattispecie in esame era configurabile una delegazione passiva o di debito sicche´ il delegato/mandatario era tenuto alla esecuzione della presta- zione e non poteva opporre eccezioni diverse dalla mancata disponibilita` delle somme inerenti il rapporto di provvista. Rilevava che, comunque, era configurabile una responsabi- lita` contrattuale di parte convenuta per mancata esecuzione del mandato non avendo eseguito alcun pagamento e con- sentendo alla K&M-Industrie Meccaniche s.r.l. di movimen- tare liberamente detto conto ovvero in subordine una re- sponsabilita` extracontrattuale della stessa.
Xxxxxxxx, quindi, condannarsi il Banco per le causali di
cui sopra al pagamento della somma di euro 5.353.840,92, oltre interessi al tasso convenzionale dal 21.5.2001 ovvero oltre interessi e rivalutazione monetaria a decorrere dalla medesima data.
Si costituiva il Banco il quale nell’eccepire preliminarmen- te il difetto di legittimazione attiva di parte attrice chiedeva il rigetto delle domande attoree osservando che: a) nella fattispecie in esame era configurabile un mandato nell’inte- resse del terzo, rapporto rispetto al quale il terzo (parte at- trice) era del tutto estraneo non avendo azione diretta nei
confronti dei contraenti per la realizzazione del proprio in- teresse; b) nessun inadempimento gli era imputabile in ra- gione delle previsione negoziali; e) non era configurabile alcun illecito extracontrattuale.
In assenza di attivita` istruttoria, la causa veniva posta in decisione in data 2.3.2009 e, decorsi i termini assegnati ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, veniva decisa in data 3.6.2009.
Motivi: Deve essere, in primo luogo, disattesa la eccezione di difetto di legittimazione attiva formulata da parte conve- nuta.
Assume il Banco che dovrebbe escludersi la legittimazione dell’Irfis, nella dispiegata qualita`, atteso che sulla base del dato normativo, in difetto di diversa dimostrazione, la legit- timazione sostanziale (e, quindi, anche quella processuale) non potrebbero che spettare al titolare del Fondo, la Regione Siciliana, che sarebbe il solo soggetto danneggiato dal de- dotto illegittimo comportamento di parte convenuta.
Tale contestazione non ha pregio.
Ed, invero, sulla base della normativa in questione (L.R.S. nn. 51/1957 e 119/83) il riconoscimento dell’autonomia del- la gestione del Fondo di rotazione dell’IRFIS non equivale alla attribuzione al Fondo ad una soggettivita` giuridica di- stinta da quella dell’IRFIS e coincidente con quella della Regione Siciliana finanziatrice. Il fondo e la sua distinta ge- stione dei mezzi finanziari rappresentano, quindi, sostanzial- mente una formula organizzativa dell’attivita` di soggetti pubblici, che lascia distinte le rispettive nature giuridiche, con conseguente piena legittimazione della parte odierna attrice. Deve, quindi, rilevarsi che appare condivisibile la prospettazione del Gestore secondo cui nella fattispecie in esame sarebbe configurabile una delegazione di debito con assunzione del debito e della responsabilita` da parte del Banco.
Va, infatti, evidenziato che con nota in data 7.10.1999,
indirizzata al Banco di Sicilia e all’IRFIS, la K&M-Industrie Meccaniche s.r.l. ebbe a conferire al Banco un mandato ir- revocabile di pagamento delle somme dovute a parte attrice da prelevare utilizzando le somme esistenti sul c/c n. 413.5478 e cio` qualora essa debitrice non avesse provveduto al versamento delle somme dovute alle scadenze previste (successivamente prorogate).
In seno a detta nota venne, altresı`, espressamente previsto come “Ove alle suddette scadenze il nostro conto non dovesse risultare capiente per l’integrale pagamento delle suddette rate
— fermo restando che codesta Banca dovra` provvedere al ver- samento delle somme disponibili in acconto — vi autorizziamo sin d’ora a provvedere di volta in volta al saldo con le dispo- nibilita` che in prosieguo potranno a%uire sul conto medesimo. In tal caso ... nessun altro prelievo potra` da noi essere effet- tuato e da voi consentito sino a quando le rate gia` scadute non risulteranno integralmente regolate con valute di scadenza ov- vero con applicazione degli interessi contrattuali di mora” Con nota indirizzata alla K&M-Industrie Meccaniche s.r.l. e al- l’IRFIS, il Banco confermava che avrebbe dato esecuzione all’ordine di pagamento impartito “secondo le modalita` ed i termini specificati” inviando, poi, analoga comunicazione (in data 21.1.2000) a fronte delle lettera della suindicata societa` (del 11.1.2000) riguardante la modifica delle condi- zioni di rimborso del finanziamento.
Nella fattispecie in esame deve, invero, ritenersi configu- rabile una delegazione promittendi, ex art. 1268 c.c., con assunzione diretta dell’obbligo di pagamento da parte della delegata nei confronti dei delegatario, e con conseguente esperibilita` dell’azione diretta da parte del secondo nei con- fronti della prima, piuttosto che come semplice delegazione di pagamento, ex art. 1269 c.c., senza possibilita` per i cre- ditori di agire direttamente nei confronti della delegata per il pagamento.
Infatti non puo` revocarsi in dubbio che, con tale nota in- dirizzata direttamente all’IRFIS, il Banco nell’impegnarsi a dare esecuzione all’ordine di pagamento secondo le modalita` ed i termini specificati, ha manifestato univocamente la vo- lonta` di assumere l’obbligazione nei confronti della parte cre-
ditrice (a poco rilevando la circostanza che in una delle note in atti sia stata utilizzata la dizione “per conoscenza”), non richiedendosi ai detti fini specifiche formule sacramentali. Proprio l’invio di una simile comunicazione al terzo cre- ditore, con la quale si ponevano un divieto tassativo da parte del delegato di consentire una movimentazione del conto non finalizzata a garantite le ragioni della parte odierna at- trice, esclude che il rapporto in contestazione avesse una mera rilevanza interna come eccepito da parte convenuta la quale si e` espressamente impegnata nei confronti dell’Irfis a dare esecuzione al mandato secondo le “modalita` ed i ter-
mini specificati”.
Ne´ appare, pervero, condivisibile la tesi del Banco secon- do cui l’esecuzione del mandato restava sospensivamente condizionata al mancato pagamento integrale delle rate da parte dell’obbligata principale, sicche´ sarebbe stato esclusi- vamente onere di quest’ultima ovvero dell’IRFIS di comu- nicare il mancato pagamento delle rate e solo in presenza di tale comunicazione poteva essere effettuata la prestazione oggetto del mandato.
Viceversa per il Banco vi era un divieto “immediato” di consentire il prelievo di somme dal conto corrente suindica- to destinato esclusivamente al soddisfacimento delle ragioni creditorie dell’Irfis.
In accoglimento della domanda attorea il Banco va, per- tanto, condannato a pagare a parte attrice la somma di euro 5.353.840,92 oltre interessi al tasso legale dal 21.5.2001.
Va rigettata la richiesta di interessi “convenzionali” appa- rendo la relativa domanda, a tacer d’altro, inammissibile in difetto di specifica indicazione dal tasso richiesto.
Per quanto concerne la chiesta “rivalutazione” delle som- me versate va osservato che in difetto di idonea allegazione e prova nulla puo` essere riconosciuto a parte attrice a detto titolo (v. sul punto Cass. SS.UU. 16871/2007).
In applicazione del principio della soccombenza le spese di lite — liquidate in favore di parte attrice in complessivi euro 32.900,00 di cui euro 1.120,00 per spese vive ed euro 3.200,00 per diritti, oltre iva e cpa e rimborso per spese generali ai sensi della vigente TF — vanno poste a carico della societa` convenuta.
P. Q. M.
Il Giudice, definitivamente pronunciando, disattesa ogni altra domanda ed eccezione, condanna il Banco di Sicilia Societa` per Azioni a pagare, per le causali di cui in motiva- zione, a IRFIS Medio Credito della Sicilia S.p.A. nella qua- lita` di Gestore del Fondo della Regione Siciliana di cui alla Gestione Separata istituita dalla L.R.S. n. 119/1983 la som- ma di euro 5.353.840,92 oltre interessi al tasso legale dal 21.5.2001.
Condanna parte convenuta al pagamento delle spese pro- cessuali liquidate in favore di parte attrice in complessivi euro 32.900,00 oltre iva e cpa e rimborso per spese generali ai sensi della vigente TF. — Omissis.
(1) Xxxx’affermare il principio di diritto espresso in massima — dedotta implicitamente dalla mo- tivazione, laddove si osserva che la conferma dell’ese- cuzione dell’ordine di pagamento indirizzata al bene- ficiario configura una delegatio promittendi ai sensi del- l’art. 1268 c.c., con assunzione diretta dell’obbligo da parte del delegato nei confronti del delegatario — il Tribunale di Palermo si e` allineato all’orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimita` secondo cui — sebbene nell’ordine di pagamento im- partito dal correntista alla propria banca debba ravvi- sarsi, nella generalita` dei casi, una delegazione di pa- gamento data l’estraneita` del beneficiario rispetto al rapporto intercorrente tra delegato e delegante — non e` da escludere che il delegatario possa agire diretta- mente nei confronti del delegato, laddove quest’ultimo abbia manifestato univocamente la volonta` di assume-
re l’obbligazione nei suoi confronti.
Relativamente ai rapporti esterni (e cioe` ai rapporti con il terzo beneficiario, destinatario del pagamento), la giurisprudenza prevalente e`, dunque, concorde nel ricondurre l’ordine di pagamento impartito dal cor- rentista all’istituto di credito, nell’alveo dell’art. 1269 c.c., sull’innegabile presupposto che, nella normalita` dei casi, nessuna obbligazione intercorra tra delegato e delegatario 1.
Tale ricostruzione, benche´ prevalente nella prassi bancaria in materia di ordini irrevocabili di pagamen- to, non esclude a priori che il delegato, impegnandosi a dare esecuzione all’incarico ricevuto, possa obbligar- si direttamente verso il creditore delegatario, xxxxx- xxxxxx, cosı`, a quest’ultimo il diritto di agire diretta- mente nei suoi confronti per l’esecuzione dell’obbliga- zione assunta 2. Dispone, infatti, l’art. 1269 c.c. che «se il debitore per eseguire il pagamento ha delegato un terzo, questi puo` obbligarsi verso il creditore, salvo che il debitore l’abbia vietato». In tali ipotesi, come auto- revolmente spiegato in dottrina e confermato in giuri- sprudenza, la delegazione di pagamento si converte in delegazione di debito con conseguente possibilita` di applicare alla delegatio solvendi la disciplina normativa prevista per la delegatio promittendi 3.
Muovendo dal presupposto dell’assenza di vincoli formali ai fini della validita` e dell’efficacia dell’accetta- zione da parte del delegato, la sentenza in epigrafe esclude ogni dubbio in ordine all’assunzione di re-
1 Cass., 19 settembre 2008, n. 23864, in Corriere Giur., 2009, 7, 963, con nota di La porta, Bonifico bancario, delegazione di pagamento e diritti del beneficiario; Id., 1o luglio 2008, n. 17954, in Fallimento, 2009, 3, 291; Id., 28 febbraio 2007, n. 4762, in Dir. fall., 2008, 227; Id., 1o dicembre 2004, n. 22596, in Xxxxxxxxxx Xxxx. It., 2005, voce “Contratti bancari”, n. 32; Id., 21 settembre 0000, x. 00000, in Contratti, 2001, 349 e in Fallimento, 2001, 987; nella giurisprudenza di merito, App. Milano 19 dicembre 2000, in Foro Padano, 2001, I, 107. Contra, in dottrina, Messi- neo, Punti di vista sulla natura dell’accreditamento bancario, in Banca Borsa, 1963, I, 304 e segg., il quale ritiene la struttura del bonifico concettualmente compatibile con il contratto a favore di terzo.
2 Cfr. Cass., 19 settembre 2008, n. 23864, cit.; Id., 1o luglio 2008, n. 17954, cit.; Id., 28 febbraio 2007, n. 4762, cit.; Id., 21 settembre 2000, n. 12489, cit.; nella giurisprudenza di merito, App. Milano 19 dicembre 2000, cit.; Cass., 1o dicembre 2004, n. 22596, cit.
3 In giurisprudenza, Cass., 1o dicembre 2004, n. 22596, cit., e Id., 4 aprile 1968, n. 1036, in Foro It., 1968, I, 1492, ove si afferma
«la delegatio solvendi, allorquando sia accettata dal delegato, si converte in delegatiopromittendi, attuandosi in concreto l’ipotesi prevista dall’art. 1269, comma 1, c.c., secondo la quale il terzo delegato al pagamento puo` obbligarsi col creditore, salvo che il debitore non l’abbia vietato; il fatto che il delegato non abbia inteso assumere la medesima posizione debitoria incondizionata del delegante attiene al contenuto e all’estensione dell’obbligo assunto, mentre quel che conta, ai fini dell’esatto inquadramento del rapporto nello schema giuridico che gli e` proprio, e` l’assun- zione dell’obbligo, consistente nel tradurre in atto la delegazione, entro i limiti, con le modalita` ed al verificarsi dei presupposti enunciati nella dichiarazione di accettazione». In dottrina, sul- l’assunzione dell’obbligo da parte del delegato nei confronti del delegatario, v., per tutti, Xxxxxxxx, voce “Delegazione (Diritto civile)”, in Enc. Dir., XI, Milano, 1962, 944 e Magazzu` , voce “Delegazione”, in Digesto Civ., V, Torino, 1989, 170.
sponsabilita` da parte della banca delegata posto che la conferma dell’esecuzione dell’ordine di pagamento co- municata direttamente al creditore altro non potrebbe rappresentare se non una manifestazione univoca della volonta` di assumere l’obbligazione nei confronti del beneficiario secondo lo schema proprio della delega- zione di debito 4.
Sotto il profilo dei rapporti interni tra cliente e ban- ca, il meccanismo dell’ordine di pagamento si inseri-
sce, secondo la dottrina prevalente, nel c.d. “servizio di cassa”, ossia nell’obbligo sussistente in capo alla banca di eseguire le riscossioni e i pagamenti ordinati dal cliente, in forza di un contratto di conto corrente ban- cario, per effetto del quale, la banca, accettando di eseguire gli incarichi che gli saranno conferiti dal clien- te, si obbliga, fin dal principio, ad agire quale manda- taria dell’ordinante per l’incasso di somme e per l’ese- cuzione di pagamenti 5.
4 In senso diverso, Trib. Milano, 14 maggio 1992, in Banca Borsa, 1993, II, 304, ove il giudice, ravvisando nella lettera in- viata dalla banca al beneficiario — lettera con cui l’istituto di credito lo informava di «aver avuto disposizione irrevocabile di pagamento a mezzo bonifico» in suo favore — una semplice conferma della ricezione dell’incarico di pagare la somma indi- cata dall’ordinante, del tutto priva di qualsiasi efficacia obbli- gatoria, escludeva che si potesse configurare una delegazione favorendo, invece, la configurabilita` di un mandato. Da cio` l’im- possibilita` per il beneficiario di agire direttamente nei confronti del delegato per l’esecuzione dell’accreditamento. Nello stesso senso, gia`, Trib. Milano, 1o febbraio 1988, in Banca Borsa, 1989, II, 348 e segg. In dottrina, sul punto relativo alla forma dell’as- sunzione del debito nei confronti del delegatario, cfr. Bigiavi, La delegazione, Padova, 1940, 255 e seg., il quale, oltre a soffer- marsi sul significato testuale dell’espressione «accettazione de- legatoria», ha escluso l’osservanza, nel nostro ordinamento, di particolari requisiti di forma ai fini della validita` e dell’efficacia dell’accettazione da parte delegato; tale regola, arricchita del- l’ulteriore corollario secondo cui nulla esclude che l’assunzione dell’obbligazione da parte del delegato, nei termini previsti dal- l’art. 1268 c.c., possa derivare anche da accordi conclusi per facta concludentia, trova conferma da parte della giurisprudenza di legittimita`: cfr., per tutte, Cass., 11 settembre 2007, n. 19090, in Nuova Giur. Comm., 2008, I, 472, con nota di Xxxxxxx, Profili formali dell’assunzione dell’obbligazione da parte del delegato e perfezionamento del negozio delegatorio, nonche´ in Foro It. 2008, I, 1966, con nota di Xxxxx.
5 In giurisprudenza, in senso conforme, Cass., 1o dicembre
2004, n. 22596, cit.; in dottrina, Campobasso, voce “Bancogi- ro”, in Enc. Giur. Trecxxxx, XX, Xxxx, 0000, 0 e segg.; Xxxxx,
voce “Bancogiro”, in Enc. Dir., V, Milano, 1959, 32 e segg.; Xxxxxxxxx, Note sul conto corrente bancario, in Banca, borsa, 1950, II, 379 e segg.; Xxxxxxxxxx, Del conto corrente. Dei con- tratti bancari, in Comm. C.C. a cura di Xxxxxxxx, Branca, IV, Delle obbligazioni (artt. 1823-1860), Bologna-Roma, 1953, 148 e segg.; Fiorentino, Le operazioni bancarie, Napoli, 1964, 219 e 229; Molle, I contratti bancari, in Tratt. Dir. Civ. e Comm.a cura di Cicu, Messineo, Milano, XXXV, 1981, 486 e segg.; Xxxxxxx, Il conto corrente bancario, in Comm. C.C. a cura di Xxxxxxxxxxx, (artt. 1852-1857), Milano, 1992, 28 e segg. e 57 e segg.; Giorgianni-Tardivo, Diritto bancario-banche contratti e titoli bancari, Milano, 2006, 538, tutti accomunati dal ricon- durre detto obbligo al solo contratto di conto corrente di cor- rispondenza; per la tesi che estende tale obbligo anche ai con- tratti di deposito e/o apertura di credito regolati in conto cor- rente, cfr. Folco, Contratto di conto corrente e conti correnti bancari, in Banca Borsa, 1935, I, 225; Greco, Conti correnti e giroconti bancari, in Riv. Dir. Comm., 1937, II, 289 e segg.; Xxxxxxx, Il bancogiro, Bologna, 1948, 31; Maccarone, Osser- vazioni in tema di conto corrente bancario, in Le operazioni ban- carie a cura di Portale, Milano, 1978, II, 615. In dottrina sulla delegazione in generale, cfr. Bigiavi, La delegazione, Padova, 1940, 3; Xxxxxxxx, voce “Delegazione”, in Enc. Dir., XI, To- rino, 1962, 930; Xxxxxx`, Il negozio delegatorio, Messina, 1932; Greco, voce “Delegazione”, in Noviss. Dig. It., V, Torino, 1960, 327; Xxxxxxxxxxx, voce “Delegazione”, in Enc Giur. Treccani, X, Roma, 1988, 2; Magazzu` , voce “Delegazione”, in Digesto Civ., V, Torino, 1989, 155 e segg.; Xxxxxxxx, Della delegazione, dell’espromissione e dell’accollo, in Comm. C.C. a cura di Xxxxxxxx, Branca, IV, Delle obbligazioni (artt. 1268- 1276), Boloxxx-Xxxx, 0000, 0 e segg.