Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni di un diritto civile postmoderno
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni di un diritto civile postmoderno
Atti dei Convegni Bologna il 26 novembre 0000
Xxxx il 3 marzo 2017
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni di un diritto civile postmoderno
ISSN 1971-5285
ISBN 9788832489811
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Il volume raccoglie gli atti di due convegni di studi promossi dalla Fondazione Italiana del Notariato sui contratti di convivenza e di affidamento fiduciario, tenutisi rispettivamente a Bologna il 26 novembre 2016 e a Roma il 3 marzo 2017.
Le suggestioni dello Stato etico spingevano in passato il legislatore e, in una fase più recente, i giudici a circondare i rapporti familiari di un pesante apparato di formalizzazione legale (o di regole elaborate dal diritto giudiziario, come nel caso dell’assegno di divorzio e dei patti in vista del divorzio) per colpire ogni deviazione rispetto al modello ideale di relazioni familiari, con la pretesa di imporre per legge o per sentenza efficacia di vincolo giuridico. È stato, peraltro, da tempo messo in evidenza da parte della riflessione giuridica più consapevole che la famiglia è governata da regole di formazione spontanea, è connotata quindi da libertà normativa e attuativa, da “autogoverno”. In questo senso, può parlarsi di vero e proprio ordinamento giuridico primario con carattere di originarietà.
Il notaio, essendo collocato al pari del giudice nella estrema trincea dove i cittadini chiedono soluzioni immediate per i loro problemi quotidiani, non può sottrarsi al dovere di corrispondervi; quando il dato legislativo manca o è troppo generico, il notaio vi corrisponde unicamente se si fa interprete, cioè mediatore tra fatti sopravvenuti e diritto ufficiale, conferendo un conio tecnico alla carica normativa di fatti nuovi e nuovissimi.
Prima o poi il legislatore interviene, come è avvenuto per il contratto di convivenza (L. 76/2016) o il contratto di affidamento fiduciario (L. 112/2016), che hanno offerto copertura legislativa ad una prassi negoziale già da tempo nota agli operatori, volta a fornire una regolamentazione
ai rapporti di convivenza oppure a fornire adeguata tutela ai familiari deboli. A livello di scelte 3
legislative, risulta assai chiara la scelta politica di consegnare ai protagonisti del legame familiare
la gestione del rapporto attraverso lo strumento contrattuale, ma non è affatto scontato che dottrina, giurisprudenza ed operatori siano pronti a recepire il “cambio di paradigma”, il mutato assetto valoriale di cui sono espressione le nuove norme legislative.
Il legislatore italiano, attraverso un’ opera di attenta e disponibile osservazione della transizione in atto, ha messo mano ad un rilevante svecchiamento del quadro legislativo che disciplina i rapporti familiari. Oltre alla legge n. 76/2016 su unioni civili e convivenze e alla legge 112/2016 (c.d. “dopo di noi”), occorre ricordare, infatti, la legge sulla parificazione dei figli (L. 219/2012) e il suggestivo decreto di attuazione (D.lgs. 154/2013) che rappresentano una riforma profonda e comparabile alla generale riscrittura di quella parte del libro primo del codice civile, apportando una radicale modifica della nozione legale di famiglia, non più necessariamente fondata sul matrimonio, posto che i vincoli giuridici di parentela prescindono da esso. Occorre, altresì, rammentare il riconoscimento ai coniugi (ed oggi alle parti di una unione civile) del diritto di divorziare, senza ricorrere ad un giudice (artt. 6 e 12 della L. 162/2014), con la riduzione del periodo di separazione a sei mesi/un anno (L. 55/2015).
Un segnale squillante che i rapporti familiari costituiscono un “affare privato” rispetto al quale giudici e legislatori trovano un solenne principio di autolimitazione nei precetti costituzionali (in particolare artt. 2 e 29: la famiglia è società naturale che il diritto dello Stato non può menomare né modificare) è recentemente giunto dalla sentenza n. 11504, depositata il 10 maggio 2017, con la quale la Suprema Corte di Cassazione riporta nel quadro della ragionevolezza storica e sociale il problema interpretativo dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno di divorzio.
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
Spetta ora ai giuristi teorici e pratici compiere un’analoga opera di svecchiamento nei propri atteggiamenti culturali, provando a dismettere vesti inadatte non solo perché decrepite ed usurate, ma sopratutto perché troppo strette a fronte dei bisogni di un tempo ormai compiutamente postmoderno.
Obiettivo dei due convegni e del presente volume, che ne raccoglie gli atti, è fornire una sintesi dei risultati raggiunti dalla prassi negoziale notarile alla luce della nuova disciplina legislativa, nell’auspicio di fornire un minimo contributo al superamento della illuministica sfiducia verso il sociale ed il realizzarsi, anche attraverso la prassi dei notai, di un autentico pluralismo giuridico, con i privati protagonisti attivi della organizzazione giuridica, così come lo sono del mutamento sociale.
Xxxxxxx Xxxxxxx Presidente Fondazione italiana del Notariato Consigliere nazionale del Notariato
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Parte I - Unioni civili e convivenze di fatto: aspetti patrimoniali, successori, fiscali e autonomia negoziale
Atti del convegno tenutosi a Bologna il 26 novembre 2016
XXXXXX XXXXXXXX
Prefazione 11
XXXXX XXXXXXXX
Introduzione 13
XXXXXXX XXXXX
Unione civile: costituzione e scioglimento 15
Premessa 15
L’unione civile quale strumento di tutela dei diritti inviolabili della persona omosessuale 18
Unione civile e matrimonio a confronto 20
Le cause impeditive della costituzione dell’unione civile 24
La costituzione dell’unione civile 26
Lo scioglimento dell’unione civile 29
XXXXXXXXX XXXXX
Le convivenze “di fatto” tra normativa di tutela e regime opzionale 32
Premessa 32
La disciplina delle unioni civili e la disciplina delle convivenze: modelli e problemi 32
La contraddizione insita nella disciplina delle convivenze e le norme di tutela di origine giurisprudenziale o legislativa 33
La scelta tra normativa di tutela e regime opzionale 34
La mancanza di chiarezza riscontrabile nella legge italiana 76/2016 e il dibattito sulla natura dell’iscrizione all’anagrafe 35
La normativa di tutela di cui all’art. 1, commi 36-49 36
Il regime opzionale di cui all’art. 1, commi 50-64 37
La normativa di tutela, in tema di alimenti, di cui all’art. 1, comma 65 39
Convivenze e presunzione di legittimità dei figli 40
XXXXX XXXXXXXX
Il regime successorio delle unioni civili e nelle convivenze 42
Osservazioni introduttive 42
Le (articolate) soluzioni prefigurate da alcuni disegni di legge 42
Il regime successorio dell’unione civile 43
Il regime successorio nella convivenza di fatto 44
Considerazioni conclusive 45
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XXXXX XXXXXXXXXX
La costituzione e registrazione dell’unione civile e l’accertamento della convivenza di fatto: certificati dello stato civile e dell’anagrafe e opponibilità ai terzi 46
Ufficiale di stato civile, registri, aspetti di carattere generale 46
La registrazione degli atti delle unioni civili 47
La procedura di richiesta e di costituzione dell’unione civile 48
La scelta del cognome 50
La rettificazione di sesso 51
La costituzione fuori dalla casa comunale o in imminente pericolo di vita 52
La certificazione 52
Il nulla osta per lo straniero e la trascrizione dei matrimoni avvenuti all’estero 53
Fase definitiva 54
Le convivenze di fatto: la seconda parte della legge 76/2016 54
XXXXX XXX
Forma e pubblicità dei contratti di convivenza 57
Premessa 57
La forma del contratto di convivenza per l’emersione delle obbligazioni naturali 59
La forma dei contratti di convivenza: la scelta della legge Cirinnà 61
Atto pubblico, autenticazione del notaio e autenticazione dell’avvocato 62
La pubblicità dei contratti di convivenza 69
XXXXXXX XXXXXX
La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali e il contratto di convivenza 74
Introduzione. La definizione di «convivenza di fatto»: carattere «familiare»
ed estensione della stessa 74
Segue. La posizione dei conviventi «vincolati» da matrimonio ed i riflessi sui contratti di convivenza 75
Gli effetti patrimoniali della convivenza e i (gravi) silenzi della riforma (rinvio) 76
Il contratto di convivenza: considerazioni generali; tipicità del negozio e contenuto esclusivamente patrimoniale 77
Il contratto di convivenza: forma e impossibilità di conclusione per fatti concludenti 78
Il contratto di convivenza e la sua «pubblicità» 79
Il contratto di convivenza e i contenuti mancati 80
Il contratto di convivenza e il «regime primario» di contribuzione.
Il contratto di mantenimento 82
Segue. Modo e misura della contribuzione convenzionale tra conviventi 83
Segue. Sulla possibilità di fissare (o, per converso, di escludere) limiti temporali
alla contribuzione tra conviventi 83
Segue. Sulla possibilità di apporre termini o condizioni 84
Il regime dei beni e degli acquisti. La comunione tra conviventi introdotta dalla novella.
Principali problemi posti dal rinvio agli artt. 177 e ss. c.c. 86
Segue. La concreta estensione del principio di libertà contrattuale 87
Dies a quo e dies ad quem di operatività del regime di comunione tra conviventi.
Risoluzione del contratto di convivenza 88
Il regime patrimoniale della rottura (contenziosa o consensuale) della convivenza di fatto 91
INDICE
XXXXXXX XXXXXXXXXX
Unioni civili e contratti di convivenza - Profili fiscali 92
Unioni civili 92
La convivenza e i relativi contratti 94
La imposizione indiretta dei contratti di convivenza 99
La imposizione indiretta dei contratti di convivenza portanti convenzioni
(e clausole) con efficacia traslativa 104
Appendice - XXXXX XXXXXXX
Prospettive di una disciplina delle convivenze: tra fatto e diritto 109
Premesse 109
Lo statuto delle convivenze 110
La definizione di convivenza 114
Parte II - Il contratto di affidamento fiduciario: teoria e pratica
Atti del convegno tenutosi a Roma il 3 marzo 2017
XXXXXX’ XXXXXX
Introduzione 124
XXXXXXXX XXXXX
Le ragioni della proposta dottrinale del contratto di affidamento fiduciario; la comparazione con il trust 128
Le fonti del contratto di affidamento fiduciario 128
Le valenze culturali 128
Quel che occorre demolire 129
Le fondamenta della costruzione 130
Dati salienti della costruzione 132
Riflessioni conclusive 133
XXXXXXX XXXXXXX
Atti di destinazione e negozio fiduciario comparati con l’affidamento fiduciario 134
I modelli giuridici di potere sui beni per la realizzazione di interessi altrui 134
Il negozio fiduciario 136
La destinazione patrimoniale atipica 141
Il busillis 143
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XXXXXXX XXXXXXX
Autotutela e autorizzazioni nell’ambito del contratto di affidamento fiduciario 145
Un necessario aspetto introduttivo 145
L’autotutela 147
Autotutela a difesa del programma destinatorio 148
Autotutela a difesa di soggetti specifici nell’ambito del contratto 151
Il significato delle autorizzazioni 152
Quasi una conclusione 154
XXXXXXX XXXXXXX
La posizione soggettiva dell’affidatario fiduciario
e la segregazione patrimoniale 155
XXXXXXXXX XXXXXX
Il programma contrattuale: l’attività dell’affidatario fiduciario
e i rapporti fra le parti 162
‘Programma’ e ‘attività’. Conformazione dei poteri dell’affidatario. Limiti del mandato 162
Tipologia di beneficiari dell’affidamento 165
Ipotesi applicative e rilievi conclusivi su un possibile statuto delle attività qualificate 165
XXXXX XXXXX
Un’esperienza di contratto di affidamento fiduciario 167
La fattispecie 167
Il Notaio conosce la legge 167
La proposta del contratto di affidamento fiduciario 169
Il disegno del contratto sulla fattispecie; le principali clausole; il titolo dell’affidatario affidato sul fondo affidato; l’assunzione da parte dell’affidante dell’obbligazione
di realizzare il programma 170
La pubblicità immobiliare 174
La sfida attuale del contratto di affidamento fiduciario 176
Contratto di affidamento fiduciario 177
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Parte I
Unioni civili e convivenze di fatto: aspetti patrimoniali, successori, fiscali e autonomia negoziale
Atti del Convegno tenutosi a Bologna il 26 novembre 2016
Prefazione*
di Xxxxxx Xxxxxxxx
Emerito di Diritto civile, Università di Roma La Sapienza Accademico dei Lincei
Sono lieto di partecipare nel ruolo di moderatore a questo convegno, organizzato dalla Fondazione italiana del Notariato, che si è ampiamente e utilmente occupata delle unioni civili e delle convivenze di fatto. Sono qui in veste di studioso della materia delle formazioni sociali.
Cosa c’è di singolare nella posizione assunta dal legislatore? Il legislatore ha formalizzato due istituti: quello dell’unione civile e quello della convivenza di fatto. Per ciò che riguarda l’unione civile, il legislatore è intervenuto dichiarando che si tratta di una delle formazioni sociali di sviluppo della personalità. Questo tema interessò già la mia generazione, più di sessanta anni fa: dalla lettura della Costituzione è evidente che l’intento fosse quello di riempire di contenuto la previsione della tutela dei diritti inviolabili della persona, considerata non solo come individuo, ma anche come soggetto partecipe di formazioni sociali nelle quali sviluppa la sua personalità. In quell’epoca, la questione era interessante perché nella realtà sociale venivano riconosciute comunità che assolvono una funzione rilevante nella vita individuale; ma non si pensava che il legislatore dovesse intervenire, così come è avvenuto oggi, per qualificare una di queste realtà sociali nei termini della formazione di sviluppo della personalità. Proprio perché si parlava di formazioni in cui si realizza la persona, alcuni ritenevano che quella norma garantisse il principio di pluralismo nella vita sociale, mentre altri insistevano su un’altra chiave di lettura in cui figurava l’individuo, non considerando però quella
norma come norma di garanzia del pluralismo. 11
È una questione importante, dal punto di vista ideologico, la ricostruzione del senso di quella norma.
Certamente, entrambi i fenomeni che oggi sono materia di intervento legislativo rivestivano già allora il carattere di formazione sociale di sviluppo della persona. L’impostazione suscitava peraltro qualche riserva in chi voleva che fosse la realtà sociale a svolgere questo compito, senza bisogno di alcuna qualificazione legale da parte del legislatore nei confronti dei fenomeni della vita collettiva. Lo stesso discorso vale per le convivenze di fatto, perché l’intervento del legislatore vuol dare una legittimità formale a fatti che già entravano nella vita del diritto, anche se ricevevano la qualificazione di fatto, come se fosse qualcosa di non formalizzato.
Siamo, dunque, nell’ambito di norme che sono state poi interessate dalle modifiche che si sono prodotte sul piano sociale, perché se la famiglia era un fenomeno disciplinato nelle fonti positive e la famiglia della Costituzione corrispondeva alla famiglia del Codice civile, oggi la famiglia non è più soltanto la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, che è appunto la definizione data del Codice civile. Se in passato questo tipo di unione non esisteva, oggi è entrata nel sistema come unione civile.
Molti di noi, allora, cercarono di usare il criterio della tipicità, per cui da un lato c’erano le formazioni sociali garantite, intese come quei fenomeni in cui si riconoscevano qualità tipiche attribuite dalla Costituzione, che erano anche formazioni storicamente e tipicamente ravvisabili nel sistema di vita; dall’altro lato ve ne erano altre a cui invece si poteva attribuire la qualifica di atipicità, ossia quelle che oggi sono identificate come convivenze di fatto.
* Trascrizione autorizzata dall’autore dell’intervento al convegno organizzato dalla Fondazione italiana del
Notariato e tenutosi a Bologna il 26 novembre 2016.
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di un diritto civile postmoderno
Oggi lo studioso delle formazioni sociali, che allora si muoveva sul terreno del fatto e del diritto contrapposti nella tipicità e nell’atipicità, osserva che il legislatore interviene direttamente in materia. Nonostante l’intervento della giurisprudenza e l’esperienza concreta che il Notariato ha contribuito largamente a formare abbiano preceduto il legislatore, ciò non toglie importanza all’intervento legislativo sul terreno del fatto, della tipicità e sulle modalità di intervento da parte delle leggi della nostra epoca.
12
Introduzione
di Xxxxx Xxxxxxxx
Ordinario di Diritto civile, Università di Bologna
Il convegno bolognese promosso dalla Fondazione Nazionale del Notariato - la quale mostra, ancora una volta, particolare sensibilità al cospetto delle novità, non solo legislative - ha costituito un importante momento di riflessione all’indomani del varo della legge n. 76 del 2016. Legge che si caratterizza per l’introduzione di un vero e proprio statuto della coppia non coniugata: completo ed omogeneo quello dettato per i componenti dell’unione civile, minimale ed attento essenzialmente agli interessi che si proiettano all’esterno quello dettato per la convivenza di fatto. La prospettiva differenziante rappresenta il filo conduttore della legge: da un lato, infatti, l’unione civile - pur essendo stata formalmente concepita, anche nei presupposti costituzionali, quale unione distinta dal matrimonio - è stata costruita sulla falsariga dell’atto matrimoniale e dei contenuti del relativo rapporto, sia tramite la predisposizione di regole che, di fatto, riproducono - ancorché con qualche variante non priva di significato - il contenuto di disposizioni che il codice civile dedica specificamente al matrimonio (cfr. commi 4, 7, 11, 12), sia mediante l’espresso rinvio ad altre norme che, in vari modi, si riferiscono all’unione coniugale (cfr. commi 5, 13, 19), sia attraverso l’attribuzione alle parti dell’unione civile di talune prerogative accordate anche ai coniugi (cfr. commi 14, 15, 16, 18, rispettivamente in tema di ordini di protezione, preferenza nella nomina ad amministratore di sostegno e legittimazione a promuovere l’interdizione o l’inabilitazione, annullamento del contratto per violenza, sospensione della prescrizione).
Dall’altro le convivenze di fatto, la cui regolamentazione appare priva di organicità e di completezza. Senza poi tener conto dell’errore che sottostà all’espressione «conviventi di fatto», con cui si intende 13 in qualche modo alludere ad un fenomeno attinente ad una sfera fattuale, in qualche modo da
circoscrivere all’interno di detta sfera, laddove la convivenza dà luogo - e questo già da tempo - a un fenomeno pienamente rilevante sul piano giuridico (costituzionale.
La circostanza che, in tempi recenti, si sia concretizzata la possibilità di addivenire al varo di un provvedimento normativo, rappresenta certamente un elemento sintomatico dell’intervenuta maturazione di un significativo livello di condivisione in merito all’opportunità di una regolamentazione dei molteplici interessi scaturenti dalle unioni non fondate sul matrimonio. A tal riguardo non pare inopportuno dare adeguato risalto ad una notazione di carattere metodologico: il diritto non può perseguire, in un contesto come quello delle relazioni affettive, obiettivi di carattere promozionale, come invece può - e, a volte, deve - fare in campo economico, ove l’intervento legislativo è sovente funzionale rispetto all’innesco di comportamenti virtuosi. Ogniqualvolta si tratti di legiferare con riguardo a materie aventi forti ricadute nell’ambito di plurime sfere quali, tra le altre, quella etica e quella morale, si rende necessario procedere secondo interessi e scelte condivise: l’adesione a livello generale - pur nella consapevolezza della forte disarticolazione e complessità che caratterizzano la realtà sociale - è, dunque, fondamentale, in guisa che non sembra possibile fondare interventi legislativi, volti ad incidere su materie così rilevanti, sulla mera volontà di assecondare istanze di singoli “gruppi”, portatori di interessi che risultino essere espressione del tutto parziale di quanto percepito e condiviso a livello sociale.
Gli anni più recenti, anche in virtù dell’influenza esercitata dalle esperienze straniere, hanno visto il
diffondersi di un progressivo atteggiamento di favore nei confronti delle unioni di fatto non fondate sul matrimonio, oggi sempre più ricorrenti e ormai non più oggetto di giudizi di condanna, soprattutto morale, che in passato ne avevano accompagnato l’estrinsecazione sul piano sociale, determinandone quale naturale conseguenza anche una condanna sul piano giuridico. Alla progressiva maturazione di un tale orientamento di favore hanno contribuito una pluralità di fattori, che hanno decretato
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di un diritto civile postmoderno
un mutamento complessivo dell’assetto delle relazioni familiari, così dando luogo all’archiviazione dell’impostazione tradizionale che ne aveva caratterizzato le linee fondanti nel corso dei secoli, a beneficio di un’opzione normativa e di un approccio ermeneutico tesi a valorizzare anche l’unione paraconiugale, nella quale oggi si ravvisa unanimemente una situazione giuridicamente rilevante. Un contributo di notevole rilievo e spessore all’indicata evoluzione è stato fornito dalla giurisprudenza, sia interna sia sovranazionale, la quale, negli anni a noi più vicini, è giunta ad esprimersi apertamente nel senso dell’attribuzione di una piena dignità giuridica anche alle unioni affettive coinvolgenti persone dello stesso sesso, al tempo stesso invitando il legislatore ad intervenire al fine di salvaguardare i diritti anche di queste ultime.
La nuova legge s’inquadra - il che è stato ben percepito nell’ambito delle riflessioni avutesi nel convegno - in un più ampio contesto di riforme che stanno incidendo profondamente sulla valenza giuridica dell’istituto matrimoniale. Il matrimonio - il quale per effetto della nuova legislazione in tema di filiazione ha perduto la tradizionale funzione di meccanismo idoneo a decretare in capo ai figli l’acquisizione di un peculiare status - risulta ulteriormente inciso dalla L. n. 76/2016, la quale
- nell’introdurre l’istituto dell’unione civile attraverso una tecnica legislativa che, sia pur con talune
variazioni, si sostanzia, come dianzi posto in luce, nel recepimento di norme che costituiscono l’ossatura della disciplina contenuta nel titolo VI del libro primo del codice civile - comporta, nella sostanza, un’ulteriore alterazione del tradizionale significato attribuito al matrimonio, inteso come istituto destinato a soddisfare determinati interessi e bisogni di partner necessariamente eterosessuali; in guisa che, l’eterosessualità non pare più elemento imprescindibile al fine di realizzare le finalità e gli interessi tradizionalmente posti a fondamento dell’unione matrimoniale.
Si tratta dunque di un intervento legislativo fortemente impattante sul tema delle relazioni affettive che, in ultima istanza, contribuisce a restituire un’immagine del diritto di famiglia in rapida, incessante e irrequieta evoluzione.
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Unione civile: costituzione e scioglimento
di Xxxxxxx Xxxxx
Ordinario di Diritto civile, Università di Bologna
Premessa
Dopo numerosi tentativi di legiferare non andati a buon fine, il Parlamento ha approvato la legge 20 maggio 2016, n. 76, recante “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”1, provvedimento che è destinato a produrre un profondo mutamento
1 Sul nuovo istituto dell’unione civile si leggano - sia pur qui senza pretesa di esaustività - L. DELL’OSTA - X. XXXXXXX, Unioni civili e convivenze: tutte le novità, Milano, 2016; X. XXXXXXX (a cura di), Unioni civili e convivenze di fatto, Rimini, 2016 (con Introduzione di F.D. BUSNELLI), e ivi, per quello che qui più rileva, X. XXXXX, Costituzione dell’unione civile, impedimenti e altre cause di nullità. Gli obblighi dei contraenti. Il regime patrimoniale. Lo scioglimento dell’unione civile, p. 69 e ss. V. ancora B. DE FILIPPIS, Unioni civili e contratti di convivenza, Milano, 2016; X. XXXXXXXXXX
- X. XXXXXXXX - X. PIOLA, La nuova disciplina delle
unioni civile e delle convivenze. Gli adempimenti di stato civile e anagrafe, Rimini, 2016; M. SESTA (a cura di), Codice dell’unione civile e delle convivenze, Milano, 2017, in corso di pubblicazione; X. XXXX, La nuova disciplina delle unioni civili e delle convivenze, Milano, 2016; X. XXXXXXXX e
I. XXXXXXXX (a cura di), Unioni civili e convivenze, Pisa, 2016; X. XXXX, Le unioni civili in Italia, Napoli, 2016;
X. XXXX, L’unione civile tra persone dello stesso sesso, Perugia, 2016; AA.VV., La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze, Torino, 2016, e ivi in particolare i contributi di X. XXXXXXXX, L’unione civile tra disciplina dell’atto e regolamentazione dei rapporti di carattere personale, p. 1 e ss.;
X. XXXXXX, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, p. 30 e ss.; F. MECENATE, Unioni civili e convivenze. Successioni, forma e pubblicità, diritto internazionale privato, p. 133 e ss.; X. XXXXXX, Lo scioglimento delle unioni civili e la risoluzione dei contratti di convivenza, p. 259 e ss. V. ancora X. XXXXXXXXXXX, «La legge sulle unioni civili e la disciplina delle convivenze», in Fam. e dir., 2016, p. 845 e ss.; X. XXXXXXX, «Riconosciute le unioni civili tra persone dello stesso sesso e le convivenze di fatto», ibidem, p. 848 e ss.; X. XXXXXXXXX, «Unioni civili e convivenze», ibidem, p. 859 e ss.; X. XXXXXXXXX, «Dal concubinato alle unioni civili e alle convivenze (o famiglie?) di fatto», ibidem, p. 868 e ss.; M. SESTA, «La disciplina dell’unione civile tra tutela dei diritti della persona e creazione di un nuovo modello familiare», ibidem, p. 881 e ss.; X. XXXXXXXX, «La disciplina dell’atto. Gli effetti: diritti e doveri», ibidem, p. 889 e ss.; X. XXXXXX, «I regimi patrimoniali delle unioni civili nella legge n. 76/2016: opzioni legislative e principio di non discriminazione»,
ibidem, p. 902 e ss.; M.N. BUGETTI, «Il cognome comune delle persone unite civilmente», ibidem, p. 911 e ss.; X. XXXXXX, «Unioni civili, convivenze, filiazione», ibidem,
p. 958 e ss.; X. XX XXXXXXX, «Le famiglie ricomposte tra matrimonio, unione civile e convivenze», ibidem, p. 966 e ss.; X. XXXXXXXX, «La successione mortis causa della persona “unita civilmente”, e del convivente di fatto», ibidem, p. 980 e ss.; F. XXXXXXXX, «Profili processuali della legge sulle unioni civili e le convivenze», ibidem, p. 991 e ss.; X. XXXXXX, «L’intervento giudiziale nella crisi dell’unione civile e della convivenza di fatto», ibidem, p. 995 e ss.; X. XXXXXXXX, «Unioni civili, convivenze di
fatto e “modello” matrimoniale: prime riflessioni», in Giur. 15
it., 2016, p. 1779 e ss.; ID., «Unioni civili e convivenze di
fatto: brevi osservazioni in ordine sparso», in giustiziacivile. com, Editoriale del 20 aprile 2016; X. XXXXXX, «Le unioni civili e il matrimonio: due modelli a confronto», in xxx.xxxxxxxxxxxx.xx, 2016, 2; X. XX XXXXXXXXXX,
«Le “unioni civili” fra coppie del medesimo sesso. Note critiche sulla disciplina contenuta nei commi 1°-34° dell’art. 1 della L. 20 maggio 2016, n. 76, integrata dal D.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5», in Le nuove leggi civ. comm., 2017, p. 101 e ss.; X. XXXXXXX, «Disciplina delle unioni non fondate sul matrimonio: evoluzione o morte della famiglia?», ivi, 2016, p. 367 e ss.; X. XXXXXXX,
«Unioni civili: in attesa dei decreti legislativi, uno sguardo
al decreto “ponte” per la tenuta dei registri dello stato civile (Parte prima)», in Studium Iuris, 2016, p. 1265 e ss.; V. BARBA, «Unione civile e adozione», in Fam. e dir., 2017, p. 381 e ss.; X. XXXXXX, «“Unioni civili tra persone dello stesso sesso” e “convivenze”: il non facile ruolo che la nuova legge affida all’interprete», in Corr. giur., 2016, p. 893 e ss.; X. XXXXXXXX, «La costituzione del vincolo di unione civile tra norme di legge, disciplina transitoria e assetto definitivo della materia», in Le nuove leggi civ. comm., 2017, 2, p. 219 e ss.; EAD., «L’attuazione “definitiva” della legge sulle unioni civili. Prime riflessioni a margine del D.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5», in Serv. dem., 2017, p. 7 e ss.; X. XXXXXX, «I regimi patrimoniali delle unioni civili», in Giur. it., 2016, p. 1797 e ss.; X. XXXXX, «Le unioni civili e il matrimonio: vincoli a confronto», in Nuova giur. civ. comm., 2016, p. 1386 e ss.;
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
nella struttura giuridica delle relazioni familiari, già notevolmente innovata a seguito della riforma della filiazione del 2012/2013. Le nuove disposizioni, in maniera complementare rispetto a quelle che hanno introdotto lo stato unico di figlio2, intervengono sul rapporto di coppia, dando forma, accanto a quello fondato sul matrimonio, a due nuovi tipi legali: l’unione civile (art. 1, commi 1-35, L. n. 76/2016), indirizzata a coppie di persone maggiorenni dello stesso sesso, e le convivenze di persone maggiorenni di diverso o dello stesso sesso, unite stabilmente da legami affettivi e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile (art. 1, comma 36, L. n. 76/2016).
Un primo rilievo è che, mediante la nuova legge, il legislatore ha ampliato le opzioni istituzionali disponibili3, specie per le coppie dello stesso sesso, che non ne avevano alcuna; ma anche, a ben vedere, per quelle eterosessuali, che ora possono modellare la loro relazione secondo differenti livelli di assunzione di reciproche responsabilità.
Questo non significa ovviamente che i tre modelli legali siano da considerarsi nella sostanza indifferenziati ed equivalenti, posto che la disciplina di ciascuno di essi si presenta in concreto notevolmente distinta. Il che vale non solo per la convivenza, etero e omosessuale, la cui regolamentazione “leggera” nasce dal fatto che la libertà di stare assieme al di fuori dei lacci legali non può essere misconosciuta, ma anche per l’unione civile, il cui statuto, pur nato dalla costola di quello matrimoniale, si discosta notevolmente da esso. Ciò a cominciare dal nome stesso e dalla sua mancata collocazione nel codice civile, che risponde alla medesima - certamente discutibile - ratio per cui neppure il divorzio ivi abbia trovato sede, ed anzi neppure sia stato così chiamato dal legislatore, se non di sfuggita, come di recente accaduto nell’art. 6, L. 10 novembre 2014, n. 162.
X. XXXXXX, «Unioni civili e convivenze di fatto: una
16 prima lettura del testo normativo», in Notariato, 2016, p.
333 e ss.; X. XXXXXXXXX, «La legge sulle unioni civili e sulla disciplina delle convivenze di fatto. Una prima lettura critica», in Dir. succ. fam., 2016, p. 623 e ss.; X. XXXXXXXX, «Le unioni civili tra persone dello stesso sesso nella L. 20 maggio 2016, n. 76», in Foro it., 2016, I, 1, c. 2246 e ss.; X. XXXXXXX, «Celebrazioni previste solo in ambienti aperti al pubblico», in Guida dir., 2017, 17, p. 32 e ss.; ID., «Mappe esplicative della legge 76 del 2016», in xxx.xxxxxxx.xxx; X. XXXXXXXXXXX, «Una scelta che supera le raccomandazioni della Consulta», in Guida dir., 2017, n. 9, p. 39 e ss.; X. XXXXXXXX,
X. XXXXXXXXX, «Unioni civili, cosa cambia per le aziende, riquadro Regole e conseguenze - Sigillo di garanzia», in Il Sole 24 Ore, 13 maggio 2016. V. altresì lo Speciale della Nuova giur. civ. comm., 2016, n. 12, pt. II, che riporta gli Atti del Convegno di Padova, 7-8 ottobre 2016, e, in particolare, con riguardo alle unioni civili, i contributi di: X. XXXXX, «Introduzione al Convegno»,
p. 1663 e ss.; X. XXXXXXXX, «Le unioni civili in Europa», p. 1667 e ss.; X. XXXXXXX, «Unioni civili e Costituzione», p. 1676 e ss.; X. XXXXXX, «Unioni civili: disciplina del rapporto», p. 1688 e ss.; X. Xx XXXXXXX,
«Lo scioglimento dell’unione civile tra rapporto di coppia e ruolo del “genitore sociale”», p. 1699 e ss.; X. XXXXX,
«Unione civile, convivenza omosessuale e filiazione», p. 1707 e ss.; X. XXXX, «La legge sulle unioni civili e sulle convivenze. Qualche interrogativo di ordine esegetico», p. 1718 e ss.; X. XXXXXXXX, «Conclusioni», p. 1775 e ss.
2 Sull’unicità dello stato di filiazione cfr. X. XXXXX, Stato unico di filiazione e diritto ereditario, in Recte sapere, Studi in onore di Xxxxxxxx Xxxxx Xxxxx, III, Torino, 2014, p. 1647 e ss. (ed in Riv. dir. civ., 2014, p. 1 e ss.); ID., voce Filiazione (dir. civ.), in Enc. dir., Xxxxxx, VIII, Milano, 2015, p. 445 e ss.; ID. (a cura di), Codice della famiglia, III ed., Milano, 2015, passim; X. XXXXXXXXX, «La nuova filiazione fuori del matrimonio: molte luci e qualche ombra», in Fam. e dir., 2014, p. 480 e ss.; X. XXXXXXXX, «La filiazione “riformata”: l’unicità dello “status”», in Giur. it., 2014, p. 1261 e ss.; M. BIANCA, L’unicità dello stato di figlio, in La riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, Padova, 2015,
p. 3 e ss.; EAD. (a cura di), Filiazione. Commento al decreto attuativo, Milano, 2014, passim; X. XXXXXXX, «Diritti fondamentali e “status” della persona», in Riv. crit. dir. priv., 2015, p. 7 e ss.; X. XXXXXXXXXX (a cura di), Lo stato unico di figlio, Napoli, 2014, passim; X. XXXXXXXX,
«Stato unico di figlio e varietà dei modelli familiari», in Fam. e dir., 2015, p. 952 e ss. Sui rapporti genitori-figli nella crisi familiare cfr. X. XXXXX, X. XXXXXX, La responsabilità genitoriale e l’affidamento dei figli, in Xxxxx. dir. civ. e xxxx., già diretto da X. Xxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, continuato da X. Xxxxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, passim.
3 Cfr. X. XXXXXXX, La coppia di fatto tra diritto e morale, in Elementi di etica pratica. Argomenti normativi e spazi del diritto, a cura di Id., Roma, 2003, p. 147; X. XXXXXXX, M. SESTA, «La coppia di fatto tra morale e diritto. Opinioni a confronto», in Familia, 2004, p. 659 e ss.; M. SESTA, Le convivenze tra libertà, solidarietà e public policy, in Studi in onore di Xxxxxx Xxxxxxx Xxxxxx, II, Milano, 2006, p. 483 e ss.
Unione civile: costituzione
e scioglimento
Una chiosa sul nome dell’istituto, unione civile, che appare più esatto di unioni civili, forma plurale che compare nella rubrica della legge senza giustificazione, stante l’unicità della fattispecie sottesa. Unione civile è nome volutamente differenziato da quello dell’unione coniugale, il matrimonio, che reca in sé l’essenza originaria del vincolo, cioè la generazione. A ben vedere, tuttavia, l’attributo civile, riferito all’unione, grazie all’assonanza con l’espressione matrimonio civile, contribuisce a mettere in luce la natura della relazione, nonostante la genericità del sostantivo unione. Certamente, il risultato, sul piano lessicale, non è brillante: unione civile è espressione poco evocante e di sapore vagamente burocratico; meglio suona quella tedesca Lebenspartnerscfhaft, che porta il riferimento alla comunione di vita4. Più in generale, può dirsi che le nuove figure legali evidenzino l’assenza di vocaboli capaci di identificarle in modo adeguato, con riguardo sia al nome degli istituti - come si è visto per l’unione civile e lo stesso vale per le convivenze regolate ai commi da 37 a 67 dell’art. 1, L. n. 76/2016 -, sia a quello dei soggetti che in dette comunanze di vita svolgono la loro personalità5, asetticamente denominati, per l’unione civile, parti, con evidente richiamo alla terminologia contrattuale, anche se invero il vocabolo viene talvolta utilizzato per indicare i coniugi (cfr. art. 107 c.c.); e, per le convivenze, “conviventi di fatto”, così - contraddittoriamente - definiti dallo stesso legislatore che ne disciplina la relazione. Il che non meraviglia, visto che il lessico delle relazioni familiari - formatosi in un contesto in cui le nuove figure, tanto quelle relative alla coppia che ai legami di filiazione, non solo non erano politicamente corrette, ma anzi erano fortemente osteggiate dalla morale comune e dal diritto - usava parole oggi inattuali, non ancora adeguatamente sostituite6.
In ogni caso, rispetto al recente passato, la disciplina dei rapporti familiari si è capovolta. Prima della riforma della filiazione vi era una pluralità di status filiationis - legittima, naturale riconosciuta, naturale non riconosciuta o non riconoscibile - ed un unico modello legale regolante la relazione di coppia, cioè il matrimonio; ora, il rapporto di filiazione si conforma ad un unico stato di figlio, mentre quello di coppia è divenuto plurale, potendo assumere le forme del matrimonio, dell’unione civile, delle - a
loro volta multiformi - convivenze. 17
È corrente l’opinione che il nuovo diritto, cioè la richiamata legge, abbia inteso dare spazio, più spazio,
ai sentimenti nella disciplina degli istituti familiari, e così facendo abbia voluto riconoscere dignità a tutte le relazioni affettive7. A ben vedere, il tema della rilevanza dei sentimenti nei vincoli familiari e specie coniugali è carico di ambiguità8. Per secoli i sentimenti, che oggi consideriamo costituire la base “naturale” delle relazioni coniugali e genitoriali, sono stati sostanzialmente ignorati dal diritto di famiglia; solo la riforma del 1975 e, qualche anno prima, la legge introduttiva del divorzio e quella sull’adozione speciale avevano attribuito xxxxxxx xxxxxxxxx a profili propriamente affettivi, mentre, in precedenza, la famiglia era regolata come istituzione portatrice di interessi propri e superiori a quelli dei singoli membri che la componevano. Di qui regole severe, quali l’indissolubilità del matrimonio, la sostanziale irrilevanza dell’errore nel matrimonio, la separazione per colpa, la condizione deteriore dei figli c.d. illegittimi e così via9.
Venendo all’unione civile, che rappresenta la novità di maggior rilievo, evidentemente i titoli dei
4 Cfr. X. XXXXX, «Le unioni civili in Germania», in Fam. dir., 2015, p. 958 e ss.; X. XXXXX, Il matrimonio civile. Una teoria neo-istituzionale, Milano, 2013, p. 240.
5 Rileva X. XXXXXXXX, Il matrimonio d’amore ha fallito?, Xxxxx, 0000, p. 83, che ciò è indice della difficoltà di pensare a un legame fuori del contesto coniugale proprio mentre sembrano ripeterlo.
6 Per i rapporti tra grammatica e cultura cfr. X. XXXXXXX,
Grammatica dell’italiano adulto, Bologna, 2015, p. 79 e ss.
7 È significativo che uno dei primi convegni tenutisi dopo l’approvazione della legge (Treviso, 20-21 maggio 2016)
sia stato titolato “La legge dei sentimenti. Famiglia e nuovo diritto”, e che un successivo incontro (Bologna, 9 giugno 2016), a cura dell’AMI Xxxxxx Xxxxxxx e della Scuola Superiore di Studi Giuridici dell’Università di Bologna, abbia fatto riferimento al superamento del
«confine dell’amore».
8 Si vedano le provocatorie tesi di X. XXXXXXXX, op. cit., xxxxxx, secondo il quale le culture occidentali «hanno confuso la passione con le istituzioni».
9 M. SESTA, Manuale di diritto di famiglia, VII ed., Padova, 2016, p. 1 e ss.
X. Xxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
menzionati convegni10 intendono richiamare il fatto che questo istituto - non ritengo che l’unione civile possa essere definita quale “istituzione”, nel senso che Xxxxxxxx, sulle orme di Raiser, dà al termine11, considerato che, come meglio si dirà nel prosieguo, il legame dei civilmente uniti è individuale e contrattuale12 - consente di dare spazio, nell’ambito dei rapporti familiari, a quei sentimenti che legano persone dello stesso sesso, che fino ad ora non potevano ottenere un riconoscimento giuridico del loro legame.
L’unione civile quale strumento di tutela dei diritti inviolabili della persona omosessuale
Si è già molto discettato sulla natura dell’unione civile: da varie parti si è in qualche modo lamentato che la sua disciplina non coincida con quella del matrimonio, prospettandosi violazione del principio d’eguaglianza o del divieto di non discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale13; mentre, secondo altro, opposto, orientamento, sarebbe censurabile proprio la sua sostanziale sovrapposizione al matrimonio, che consentirebbe di dubitare della compatibilità del nuovo istituto con l’art. 29 Cost.14. Si è anche scritto che non sussista alcuna preclusione costituzionale ad estendere alle unioni omosessuali le regole del matrimonio15.
Ad avviso di chi scrive, nessuna delle posizioni richiamate appare condivisibile, considerato che, come precisato dalla Corte costituzionale nelle note sentenze n. 138/201016 e n. 170/201417, «la nozione di matrimonio presupposta dal Costituente […] è quella stessa definita dal codice civile del 1942, che stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso»18. L’unione tra persone dello stesso sesso è, dunque, «forma alternativa (e diversa) dal matrimonio»19.
Occorre pertanto procedere all’analisi della relazione tra gli istituti del matrimonio e dell’unione civile,
18 che può prendere le mosse dall’art. 1, comma 1, della novella, che «istituisce l’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione».
10 V. nota 7.
11 X. XXXXXXXX, «Il diritto di famiglia a un ventennio dalla riforma», in Riv. dir. civ., 1988, I, p. 109, spec. p. 117:
«con un linguaggio che mutua la parola “istituzione” non dalla terminologia tradizionale, dove sulla parola pesano ipoteche ideologiche che la rendono ambigua e pericolosa, ma dalle pagine di Xxxxxx Xxxxxx che vede come istituzioni i momenti fondamentali della vita, quali il possesso, la promessa, il contratto, si vuol ribadire che, labili e precari anche quando si rivelano largamente diffusi e socialmente accettati, comunità e unioni extramatrimoniali sono istituti, mentre il matrimonio, pur contestato e ridimensionato e percorso da inquietudini, rimane l’istituzione».
00 Xxx. X. XX XXXXXXX, I demoni del bene. Dal nuovo ordine morale all’ideologia del genere, Napoli, 2015, p. 162.
13 Cfr., ad es., X. XXXXXXX, «Cosa c’è nella legge sulle unioni civili: una prima guida», in xxxx://xxx.xxxxxxxx00. it/2016/, il cui pensiero è condiviso da X. XXXXXX, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 31.
14 Per una ricostruzione delle varie posizioni cfr. X. XXXXXXXX, «Le Unioni di persone dello stesso sesso in attesa di un intervento legislativo tra giurisprudenza
costituzionale, dei giudici comuni e della Corte europea dei diritti dell’uomo», in Ephemerides iuris canonici, 2015,
p. 426 e ss.; ID., «La sollecitazione del “fatto”. Nella conformazione delle unioni di persone dello stesso sesso», in Perc. cost., 2015, p. 193 e ss.
15 X. XXXXX, «Unioni civili: non tiriamo in ballo la
Costituzione», in Nuova giur. civ. comm., 2015, p. 707.
16 Xxxxx xxxx., 00 aprile 2010, n. 138, in Iustitia, 2010, p. 311, con nota di X. XXXXXXXX, «La Corte costituzionale e le unioni omosessuali», e in Giust. civ., 2010, I, p. 1294.
17 Corte cost., 11 giugno 2014, n. 170, in www. xxxxxxxxxxxxxxx.xxx, Editoriale 19 giugno 2014, con nota di X. XXXXXXXX, «Sugli effetti della rettificazione dell’attribuzione di sesso sul matrimonio preesistente», e in Fam. e dir., 2014, p. 861, con nota di X. XXXXX,
«Artificialità del matrimonio e vincoli costituzionali: il caso del matrimonio omosessuale», e in Foro it., 2014, I,
c. 2685, con nota di X. XXXXX, «Il divorzio della persona transessuale: una sentenza di accoglimento che non risolve il problema».
18 Corte cost., 11 giugno 2014, n. 170, cit., che richiama Corte cost. 138/2010.
19 Corte cost., 11 giugno 2014, n. 170, cit. In argomento, cfr. X. XXXXX, op. cit., p. 200 e ss.
Unione civile: costituzione
e scioglimento
È stata messa in luce l’ambiguità di questa previsione20, che conferisce la qualifica in questione solo all’unione civile e non alle convivenze, disciplinate dai commi 36-65 dell’art. 1 della L. n. 76/2016, le quali peraltro già l’hanno conseguita da almeno quarant’anni ad opera della giurisprudenza, che, più di recente, l’ha estesa anche alla convivenza tra persone omosessuali21. Probabilmente il legislatore ha così voluto enfatizzare - sul piano politico - il risultato che si apprestava a conseguire, non rendendosi conto che ciò, in ultima analisi, finiva per sminuire la realtà della coppia omosessuale, quasi si trattasse di una creazione del potere legislativo piuttosto che di una forma di comunanza di vita che si rinviene nell’esperienza sociale22. Xxxxxx sarebbe stato che il legislatore, anziché istituire l’unione civile, si fosse limitato a regolarla, conformemente del resto a quanto enunciato nella rubrica.
Non v’è dubbio, in ogni caso, che il richiamo agli artt. 2 e 3 Cost. da parte del legislatore che istituisce l’unione civile sia significativo ed assuma una notevole valenza euristica. In prima approssimazione, è necessario sottolineare che, nella citata disposizione di apertura, non sia richiamato l’art. 29 Cost., il che già consente di ritenere che questa nuova, specifica - come lo stesso legislatore non manca di sottolineare - formazione sociale non si sovrapponga alla famiglia matrimoniale, e che, quindi, nella stessa intenzione del legislatore matrimonio e unione civile sono, in linea di principio, differenti. È interessante, poi, mettere a confronto il diverso linguaggio dell’art. 29 Cost. rispetto a quello dell’art. 1, comma 1, L. n. 76/2016: l’odierno legislatore “istituisce”, cioè crea, l’unione civile, che dunque si appalesa istituto del diritto positivo, nato per volontà legislativa, che non partecipa della natura che la Costituzione “riconosce” ai diritti della famiglia matrimoniale23. Xxxxxxx, al riguardo, le considerazioni di un acuto studioso che, con riferimento alla famiglia (eterosessuale) di fatto, ha messo in luce come
«la famiglia fondata sul matrimonio costituisce il nucleo della tutela costituzionale, che riguarda non solo i diritti dei singoli componenti ma anche l’istituzione familiare in sé e per sé; la famiglia che non trae origine dal matrimonio, invece, riceve tutela al pari di qualsiasi forma sociale (una tutela indiretta, quindi), nell’ambito della quale, però, la protezione dei singoli e dei diritti dei componenti riceve un rilievo pieno e privilegiato rispetto al consorzio»24.
Quanto precede vale anche, e più ancora, per l’unione civile, che dunque può dirsi sia stata istituita 19
per apprestare specifica tutela ai diritti inviolabili delle persone omosessuali25, e non alla “istituzione”
20 Cfr. X. XXXXXXXX, «Unioni civili e convivenze di fatto: brevi osservazioni in ordine sparso», cit., p. 4. Sulla portata del richiamo del legislatore agli artt. 2 e 3 Cost. si vedano X. XXXXX, «La disciplina dell’unione civile tra tutela dei diritti della persona e creazione di un nuovo modello familiare», cit., p. 884; ID., «L’unione civile: una speciale formazione sociale d’istituzione legislativa?», in Lo Stato, 2016, p. 261 e ss.; G. DE CRISTOFARO, op. cit.,
p. 116 e ss.; X. XXXXXXX, Sub artt. 2-3 Cost., in Codice dell’unione civile e delle convivenze, cit.; X. XXXXXXXXXXX, op. cit., p. 845 e ss.; X. XXXXXXX, op. cit., p. 848 e ss.; X. XXXXXXX, op. cit., p. 1676 e ss. Su tale aspetto v. anche - tra i contributi pubblicati prima dell’entrata in vigore della nuova legge - X. XXXXXXXXX, «Il disegno di legge sulle unioni civili e sulle convivenze: luci e ombre», in www. xxxxxxxxx.xx, 2016, 1; E. QUADRI, «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze: osservazioni (solo) a futura memoria?», in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xxx, 2016, 4; X. XXXXXXXX,
«Le unioni civili: la situazione in Italia alla vigilia della riforma», in xxx.xxxxxxxxx.xx, 2016, 3; E. GIUSTI - F. XXXXXXX, «Famiglia di fatto ed unioni civili: verso un nuovo modello di famiglia», in xxx.xxxxxxxxxxxxxxx.xxx, 2016, 1; X. XXXXX, «Il disegno di legge sulle “unioni civili” e sulle “convivenze di fatto”: appunti e proposte sui
lavori in corso», in Nuove leggi civ. comm., 2015, p. 1014 e ss.; X. XXXXX - M.C. VENUTI, «Relazioni affettive non matrimoniali: riflessioni a margine del d.d.l. in materia di regolamentazione delle unioni civili e disciplina delle convivenze», ibidem, p. 971 e ss.
21 Cfr. Cass., 21 aprile 2015, n. 8097, in Corr. giur., 2015,
p. 1048, con nota di X. XXXXX, «Divorzio della persona transessuale e protezione dell’unione “ancorché non più matrimoniale”»; Cass., 9 febbraio 2015, n. 2400, in Corr. giur., 2015, p. 915 e ss., con nota di X. XXXXXXXX,
«Matrimonio same-sex: Corte di cassazione e giudici a confronto»; Cass., 15 marzo 2012, n. 4184, in Dir. fam., 2012, p. 696, e in Giur. it., 2012, p. 1669, con nota di X. XXXXXX, «Unioni same sex: dall’inesistenza all’inidoneità a produrre effetti giuridici», e ancora ivi, 2013, p. 329 e ss., con nota di X. XXXXXXX, «La tutela delle unioni omosessuali nel dialogo tra Corti interne e Corte europea dei diritti umani».
22 Xxxxx Xxxx., 00 aprile 2010, n. 138, cit.
23 Più ampiamente cfr. X. XXXXX, op. cit., p. 46; X. XXXXX, Sub art. 29 Cost., in Codice della famiglia, cit., p. 81.
24 X. XXXXXXX, Sub art. 2 Cost., in Codice della famiglia, cit., p. 11.
25 Sulla scia delle significative aperture in favore delle persone omosessuali che si erano già registrate nella
X. Xxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
in sé, come invece accade per quella familiare. In breve, può dirsi che dallo stesso art. 1, comma 1 della legge possa desumersi che l’unione civile si collochi su un piano diverso da quello proprio della famiglia dell’art. 29 Cost. e che si tratti di entità non omogenee. Sotto tale profilo appare più ambiguo, e forse inopportuno, il richiamo all’art. 3 Cost., che, se da un lato - sempre in chiave politica - sembra voler rimarcare la “pari opportunità” che la legge attribuisce alle persone omosessuali, dall’altro, inevitabilmente, pone il dubbio - invero da più parti affacciato, ma, a parere di chi scrive, infondato
- che l’unione civile rechi in sé una irragionevole deminutio e che il principio d’eguaglianza finisca per esigere l’apertura del matrimonio anche a persone dello stesso sesso.
Unione civile e matrimonio a confronto
La differenza tra unione civile e matrimonio - ricavabile, come si è detto, sin dalla disposizione di apertura della nuova legge - trova conferma nell’analisi della specifica disciplina contenuta ai commi 2-33 dell’art. 1, L. n. 76/201626.
Al proposito occorre considerare preliminarmente che l’art. 1, comma 20, della L. n. 76/2016, da un lato, espressamente stabilisce che le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e quelle contenenti la parola coniuge o un termine equivalente si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile, ma, dall’altro, precisa che detto principio vale con riferimento a tutte le leggi e agli atti aventi forza di legge ma non alle norme del codice civile non richiamate espressamente dalla legge n. 76/2016, nonché a quelle della legge sull’adozione27. Il che conferma, sotto altro riguardo, che l’unione civile
giurisprudenza: cfr. Xxxxx Xxxx., 00 aprile 2010, n. 138,
cit., e Corte cost., 11 giugno 2014, n. 170, cit.; nella
20 giurisprudenza di legittimità v. le già richiamate Xxxx., 21
aprile 2015, n. 8097, Cass., 9 febbraio 2015, n. 2400 e
Xxxx., 15 marzo 2012, n. 4184, nonché, con riferimento all’affidamento del figlio al genitore legato a partner dello stesso sesso, Xxxx., 11 gennaio 2013, n. 601, in Fam. e dir., 2013, p. 570, con nota (critica) di F. RUSCELLO,
«Quando il pregiudizio ... è nella valutazione del pregiudizio! A proposito dell’affidamento della prole alla madre omosessuale». Significativa è, inoltre, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha ricondotto le convivenze omosessuali nell’alveo della nozione di «vita familiare» da tutelare ai sensi dell’art. 8 della Cedu (Corte eur. Dir. Uomo, sez. I, 24 giugno 2010, Xxxxxx e Xxxx c. Austria, in www.hudoc. xxxx.xxx.xxx), anche in difetto di “coabitazione”, purché il rapporto abbia carattere di “stabilità” (Corte eur. Dir. Uomo, Grande camera, 7 novembre 2013, n. 29381, Vallianatos et al. c. Grecia, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I,
p. 703 e ss., con nota di X. XXXXXXX, «La Corte eur. dir. uomo sul caso Xxxxxxxxxxx et autres c. Grèce: “patti di vita comune” e discriminazione basata sull’orientamento sessuale)», nonché, da ultimo, in un caso che ha visto coinvolto (e condannato) lo Stato italiano, riconosciuto l’esistenza di un’obbligazione positiva in capo all’Italia - ma verosimilmente a carico di tutti gli Stati firmatari della Convenzione che non prevedano né il matrimonio né altra forma di riconoscimento delle coppie omossessuali
- di introdurre un regime legale per le unioni di persone dello stesso sesso, sia esso o meno “matrimonio” è
questione lasciata al margine di apprezzamento degli Stati (Corte eur. Dir. Uomo, sez. IV, 21 luglio 2015, Oliari et al. c. Italia, in Fam. e dir., 2015, p. 1069, con nota di X. XXXXX,
«Oliari contro Italia: la dottrina degli “obblighi positivi impliciti” al banco di prova delle unioni tra persone dello stesso sesso», e in Nuova giur. civ. comm., 2015, p. 575 e ss., con nota di X. XXXXX, «Prime note in margine al caso Oliari c. Italia)». Non solo: la Corte ha altresì ricompreso nella nozione di «vita familiare» il legame verticale che si stabilisce tra il partner omosessuale ed i figli del convivente, aprendo la strada alle adozioni coparentali per le coppie dello stesso sesso, ossia all’adozione da parte del partner omosessuale dei figli dell’altro (cfr. Corte eur. Dir. Uomo, Grande camera, 19 febbraio 2013, X et al. c. Austria, in Giur. it., 2013, p. 1764 e ss., con nota di X. XXXX, «Adozione co-parentale da parte di coppie omosessuali nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: un progresso nella tutela delle famiglie omogenitoriali, con uno sguardo miope rispetto all’interesse superiore del minore», e in Nuova giur. civ. comm., 2013, p. 525 e ss., con nota di C. XXXXX - X. XXXXXXX, «Le famiglie omogenitoriali all’esame della Corte di Strasburgo: il caso della “second-parent adoption”»).
26 X. XXXXXXXX, op. cit., p. 1 e ss.
27 Sulla controversa portata dell’art. 1, comma 20, nella sistematica della legge cfr. X. XXXXXXX, Sub art. 1, comma 20, L. 20 maggio 2016, n. 76, in Codice dell’unione civile e delle convivenze, cit.; V. BARBA, «Unione civile e adozione», cit.,
p. 381 e ss.; X. XXXXXXXX, «La costituzione del vincolo di unione civile tra norme di legge, disciplina transitoria e assetto definitivo della materia», cit., p. 232 e ss.
Unione civile: costituzione
e scioglimento
non è sovrapponibile al matrimonio, specie dal punto di vista della filiazione e dell’adozione, le cui disposizioni - come precisato nella parte finale del predetto comma 20 - «restano ferme»; ciò che - sembra a chi scrive, ma la questione è stata autorevolmente decisa in senso contrario28 - comporta che la coppia omosessuale non sia ammessa all’adozione neppure nei casi particolari di cui all’art 44, L. n. 184/1983.
Venendo nello specifico alla disciplina dell’unione civile, sempre allo scopo di ricostruirne la natura, può brevemente osservarsi quanto segue.
In primo luogo, la legge non menziona, né direttamente né indirettamente, le disposizioni relative alla affinità (art. 78 c.c.), cioè il vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge, pur richiamando (al comma 19 dell’art. 1) il titolo XIII del libro primo e, quindi, anche gli artt. 433, nn. 4 e 5, e 434
c.c. in tema di obblighi alimentari, che contemplano tra gli obbligati i suoceri, il genero e la nuora. Pare quindi che nessun vincolo giuridico venga a crearsi tra una parte dell’unione e i parenti dell’altra parte29 e che il richiamo agli obblighi alimentari tra affini, che pur è stato effettuato, sia privo di effetti
28 Cass., 22 giugno 2016, n. 12962, in xxx.xxxxxx.xx, e in Xxxxxxxxxxxxxx.xx, 22 giugno 2016, con nota di X. XXXXXX,
«La Cassazione dice sì alla stepchild adoption». E vedi già le aperture a favore della stepchild adoption registratesi nella giurisprudenza di merito: App. Torino, sez. min., 27 maggio 2016, in xxx.xxxxxx.xx, sulla scia di Trib. min. Roma, 30 luglio 2014, in Fam. e dir., 2015, p. 580 e ss., con nota di M.G. XXX, «A proposito di omogenitorialità adottiva e interesse del minore», confermata da App. Roma, 23 dicembre 2015, in Foro it., 2016, I, c. 699, e di Trib. min. Roma, 30 dicembre 2015, in Xxxxxxxxxxxxxx.xx, 11 aprile 2016 (s.m.). V. anche App. Milano, 1° dicembre 2015, n. 2543, in Fam. e dir., 2016, p. 271, con nota di F. XXXXXXXX, «Sul riconoscimento dell’adozione piena, avvenuta all’estero, del figlio del partner d’una coppia omosessuale»; App. Napoli 5 aprile 2016, in Ilfamiliarista. it, 11 aprile 2016; Trib. min Bologna, 10 novembre 2014, n. 4701, ord., in Nuova giur. civ. comm., 2015, p. 387, con nota di X. XXXXXXX, «I legami omogenitoriali formatisi all’estero all’esame del giudice delle leggi: come tutelare l’interesse del minore?», tutte relative a casi di riconoscibilità in Italia di provvedimenti stranieri aventi ad oggetto l’adozione di minori da parte del partner omosessuale di uno dei genitori biologici. Peraltro la citata ordinanza del Tribunale di Bologna ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 36 della L.
n. 184/1983, «nella parte in cui - come interpretati secondo diritto vivente - non consentirebbero al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore adottato (all’estero) il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge del genitore, a prescindere dal fatto che il matrimonio stesso abbia prodotto effetti in Italia (come per la fattispecie del matrimonio tra persone dello stesso sesso)». La Xxxxx xxxxxxxxxxxxxx (Xxxxx Xxxx., 0 aprile 2016, n. 76, in Xxxxxxxxxxxxxx.xx, 18 aprile 2016) ha dichiarato inammissibile la questione, affermando che la sentenza straniera di adozione del figlio del partner omosessuale è efficace nell’ordinamento giuridico italiano, ai sensi dell’art. 41, comma 1, L. n. 218 del 1995, salvo
il rifiuto dell’ufficiale di stato civile, avverso il quale gli interessati possono proporre reclamo avanti la Corte d’appello. Sotto altro ma connesso profilo, significativo è Trib. Palermo, 13 aprile 2015, decr., in Giur. it., 2015,
p. 1363, con nota di X. XXXXXXXX, «L’interesse del minore a frequentare il genitore sociale omosessuale», chiamato a pronunciarsi sulla domanda avanzata da una ex convivente omosessuale che chiedeva applicarsi nei suoi riguardi l’art. 337-ter c.c. con riferimento al figlio concepito dalla partner attraverso tecniche di procreazione
medicalmente assistita: invocando la necessità di garantire
il superiore interesse del figlio, il Tribunale ha ritenuto 21
di poter procedere ad una interpretazione evolutiva, ma a suo dire costituzionalmente e convenzionalmente conforme, dell’art. 337-ter, ricomprendendo nel suo campo di applicazione anche la figura del genitore sociale, nella specie omosessuale, avente instaurato con il figlio un legame familiare di fatto significativo e duraturo; il decreto è stato riformato da App. Palermo, 31 agosto 2015, in Corr. giur., 2015, p. 1558 e ss., con nota di X. XXXXXXXX, «Genitore “sociale” e relazioni di fatto: riconosciuta la rilevanza dell’interesse del minore a mantenere un rapporto stabile e significativo con il convivente del genitore biologico». In generale, sul tema della c.d. omogenitorialità cfr., in dottrina, X. XXXXXXX, Eros e jus, Milano-Udine, 2015, passim; X. XXXXXXX, xx. xxx., x. 00; X. XXXXXXX, «Omogenitorialità, adozione e affidamento famigliare», in Dir. fam., 2011, p. 1375 e ss.; X. XXXXXXXXXXX, «L’affidamento, anche eterofamiliare, di minori ad omosessuali. Spunti per una riflessione a più voci», in Fam. e dir., 2014, p. 353 e ss.; X. XXXXXXX, La famiglia omosessuale. Linee di tendenza e prospettive, in Le relazioni affettive non matrimoniali, a cura di X. Xxxxx, Torino, 2014,
p. 45 e ss.
29 In argomento cfr. X. XXXXXXX, op. cit., p. 382-383, che osserva: «La scelta legislativa non convince perché non trova riscontro nella coscienza sociale secondo la quale, col formarsi della coppia, si realizza un ingresso a pieno titolo di ciascun membro nella famiglia dell’altro. Pertanto, come il coniuge diviene affine dei parenti
X. Xxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
in quanto il relativo vincolo non può sorgere tra parte dell’unione e parenti dell’altra parte, stante appunto il mancato richiamo dell’art. 78 c.c. e la generale previsione dell’art. 1, comma 2030. Il dato è significativo, perché l’affinità, come i vincoli di parentela, che pure non vengono in rilievo a proposito dell’unione civile, è conseguenza della capacità espansiva del matrimonio31, che non è invece attribuita all’unione, i cui effetti sostanzialmente riguardano solo i membri della coppia che la costituiscono.
Ancora, la legge non richiama le disposizioni relative alla promessa di matrimonio, all’ammissione del minore al matrimonio, alle pubblicazioni, alle opposizioni, e, soprattutto, alla celebrazione (v. più diffusamente § “La costituzione dell’unione civile”). Sempre con riguardo all’unione, non sono menzionate neppure le disposizioni sanzionatorie di cui agli articoli 134 e ss. c.c., mentre le condizioni necessarie per costituirla sono previste al comma 4, che richiama anche l’articolo 87 e, in qualche modo, gli articoli 85, 86 e 88 c.c. (v. più ampiamente § “Le cause impeditive della costituzione dell’unione civile”).
Quanto ai diritti e doveri che nascono dall’unione civile, il comma 11 dell’art. 1, parafrasando l’art. 143 c.c., stabilisce che con la costituzione dell’unione civile le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco dell’assistenza morale e materiale e della coabitazione. Entrambe le parti dell’unione sono tenute, in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo - non o come nell’art 143 c.c., norma quest’ultima che sembra richiamare la tradizionale (ma nella prassi ampiamente superata) divisione dei compiti tra i coniugi - a contribuire ai “bisogni comuni”; mentre il comma 12 (che richiama l’art. 144 c.c.) soggiunge che le parti concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la loro residenza comune; a ciascuna di esse spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato. Comparando le richiamate disposizioni con quelle corrispondenti dettate dal codice in materia di matrimonio, emerge la sostituzione delle parole “bisogni della famiglia” - cui i coniugi sono chiamati a far fronte ai sensi dell’art. 143 c.c. - con quelle “bisogni comuni”, cioè delle parti dell’unione civile.
22 È altresì da rilevarsi che è invece espressamente previsto che le parti concordino tra loro “l’indirizzo della vita familiare”, il che, ancorché sia forse frutto di un lapsus del legislatore, vale a confermare che
l’unione civile dà vita ad un consorzio familiare, rientrante nell’orbita degli artt. 8 Cedu e 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Tuttavia, la stessa disposizione del comma 12 non riproduce le parole dell’art. 144 c.c., che impongono ai coniugi, nel concordare l’indirizzo della vita familiare, di tenere conto non solo delle esigenze di entrambi ma di quelle “preminenti della famiglia stessa”; omissione, questa, particolarmente significativa, perché evidenzia la ritrosia del legislatore a qualificare “famiglia” l’unione civile, e a considerarla alla stregua di una istituzione che trascende gli interessi dei singoli che la compongono, certamente anche in relazione al fatto che essa si riduce alla coppia e, almeno secondo l’impianto legislativo, non prevede la presenza di figli.
Merita una particolare sottolineatura il comma 10 dell’art. 1, che, con disposizione originale - che si discosta notevolmente dall’omologa previsione codicistica, la quale fa obbligo alla moglie di aggiungere al proprio il cognome del marito (art. 143-bis c.c.) -, dispone che le parti possono stabilire di assumere, per la durata dell’unione civile, un cognome comune, scegliendolo tra i loro cognomi, che potrà essere anteposto o posposto a quello della parte il cui cognome non sia stato scelto come comune.
Sempre con riferimento ai rapporti personali tra le parti dell’unione civile32, resta la vistosa omissione dell’obbligo reciproco di fedeltà, questione sulla quale si è già molto discettato, e non da oggi: basti
dell’altro, non vi era ragione per precludere analogo effetto riguardo ai parenti del partner dell’unione civile, principio ormai espresso dall’art. 74 c.c. a proposito della parentela naturale».
30 Contra, X. XXXXXX, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 53, il quale ritiene che in forza del predetto richiamo alle norme in materia alimentare
troveranno applicazione anche gli obblighi previsti per suoceri, generi e nuore.
31 A. RENDA, op. cit., p. 121, nt. 290, e p. 166 e ss.
32 Su tali aspetti v. anche X. XXXXXXXX, «La disciplina dell’atto. Gli effetti: diritti e doveri», cit., p. 896 e ss.; X. XXXXXXXX, op. cit., p. 9 e ss.; X. XXXXXX, «Unioni civili: disciplina del rapporto», cit., p. 1693 e ss.; T.
Unione civile: costituzione
e scioglimento
ricordare le inattuali, ed anzi oramai impronunciabili, parole che scriveva Xxxxxx Xxxx novanta anni or sono a proposito dell’amore coniugale e di quello che, pur chiamandolo amore omosessuale33, tuttavia egli definiva «l’esatto contrario della fedeltà». Dunque, la L. n. 76/2016 attribuisce al matrimonio il monopolio della fedeltà, come lo ha efficacemente definito un attento studioso34, che osserva esattamente come il mancato richiamo della fedeltà tra i doveri dei civilmente uniti sia anche coerente con la disciplina dello scioglimento dell’unione, che non conosce la separazione, e quindi non prevede l’addebito (che è sanzione tipica dell’infedeltà coniugale). Lo stesso autore osserva che la fedeltà, «benché cancellata dai doveri tra partner, … tende a riaffiorare negli interstizi di altre disposizioni», e cita al riguardo gli artt. 119, 120 e 123 c.c. (richiamati dal comma 5), nonché alcune disposizioni in materia di divorzio, e soprattutto l’enunciazione del principio monogamico «che è il fattore di massima assimilazione tra vecchio matrimonio e nuove famiglie», che riflette un’idea dell’amore coniugale esclusivo e fedele. Non v’è dubbio che le disposizioni dei commi 4, lett. a) - che qualifica come causa impeditiva per la costituzione dell’unione civile la sussistenza per una delle parti di un vincolo matrimoniale o di un’unione civile -, 32 - che ha modificato l’art. 86 del codice civile qualificando come ostativi alla libertà di stato non solo il vincolo matrimoniale, ma anche quello discendente da un’unione civile -, 36 - che qualifica conviventi di fatto due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile -, ed il infine il comma 59, lett. c) - alla cui stregua il contratto di convivenza si risolve per matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona - testimoniano che sia l’unione civile che la convivenza rechino seco l’idea di un rapporto di coppia analogo, sotto questo riguardo, a quello matrimoniale, che è infatti con esse in vario modo incompatibile.
Occorre anche considerare che il tema della fedeltà è tradizionalmente legato alla presunzione di paternità di cui all’art. 231 c.c., che nell’unione civile non viene in rilievo. A ben vedere, il tema
della fedeltà, in ultima analisi, porta con sé quello della rilevanza della relazione sessuale nell’ambito 23
dell’unione civile, che il legislatore sembra voler tenere in disparte, tanto è vero che non richiama al
comma 5, né ripropone al comma 7, l’errore sulle anomalie o deviazioni sessuali cui fa riferimento l’art. 122, comma 3, n. 1, c.c.; né l’inconsumazione quale causa di scioglimento dell’unione, anch’essa non riproposta dal comma 23, che non richiama l’art. 3, n. 2, lett. f), L. div.35. Il che fa dubitare che l’unione civile comporti, dal punto di vista del diritto, l’unione sessuale. Quanto si è rilevato in ordine all’ambiguità legislativa relativamente alla vita sessuale dei civilmente uniti non toglie che, nel concreto atteggiarsi del rapporto, i partners possano conformarsi spontaneamente al canone della fedeltà, secondo un paradigma analogo a quello dell’obbligazione naturale.
Un profilo in cui lo statuto dell’unione civile si discosta notevolmente dalla disciplina dettata per il matrimonio è quello relativo allo scioglimento, poiché non solo la legge non richiama la separazione legale tra coniugi36, ma introduce la possibilità di addivenire direttamente allo scioglimento, giusta quanto previsto dai commi 22, 23, 24 e 25 dell’art. 1. Per di più - il che costituisce una specifica
AULETTA, op. cit., p. 367 e ss.; M. BIANCA, «Le unioni civili e il matrimonio: due modelli a confronto», cit., p. 7 e ss.
33 X. XXXX, Sul matrimonio. Brindisi a Katia, Milano, 1993, p. 40.
34 X. XXXXXXX, «Unioni civili e presunta licenza di infedeltà», in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2017, p. 213 e ss.
35 Sul punto cfr. X. XXXXXX, Lo scioglimento delle unioni civili
e la risoluzione dei contratti di convivenza, cit., p. 265.
36 Ma vedi le considerazioni di X. XXXXXX, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 54, che, argomentando da una serie di richiami, specie di
norme processuali, conclude per l’applicabilità all’unione civile della separazione, tanto consensuale che contenziosa, alla quale le parti dell’unione civile potrebbero ricorrere
«in relazione ad un periodo di crisi di gravità non tale da comportare una definitiva rottura del vincolo». Anche in questo caso, seguendo l’opinione di X. XXXXXX, Lo scioglimento delle unioni civili e la risoluzione dei contratti di convivenza, cit., p. 263, che attribuisce i richiami valorizzati da Xxxxxx ad “una svista”, dissentiamo dal pensiero dell’attento e acuto studioso, sempre riferendoci al tenore dell’art.1, comma 20, della legge, che non consente di dare ingresso all’istituto della separazione legale.
X. Xxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
peculiarità rispetto al matrimonio - l’unione civile può sciogliersi anche per mera volontà di una sola delle parti, manifestata dinanzi all’ufficiale dello stato civile (v. più ampiamente § “Lo scioglimento dell’unione civile”).
Con riferimento, invece, ai rapporti patrimoniali tra gli uniti civilmente, l’art. 1, comma 13, L. n. 76/2016 rinvia integralmente alle norme codicistiche che governano quelli tra coniugi37 e lo stesso accade per i diritti successori (art. 1, comma 21)38.
In sintesi, alla luce di quanto precede, le differenziazioni tra matrimonio e unione civile sono numerose e assai rilevanti; il che, ad avviso di chi scrive, appare giustificato dall’ontologica distinzione tra le due fattispecie, dipendente proprio dall’identità di sesso che contraddistingue le parti dell’unione e che esclude la loro fecondità39. Diversità ontologica che, coerentemente, ha portato il legislatore all’istituzione di una nuova formazione sociale, ricompresa nell’art. 2 Cost. e distinta da quella propriamente familiare “riconosciuta” nell’art. 29 Cost. È prevedibile tuttavia che la scelta legislativa di istituire l’unione civile quale speciale formazione sociale - proprio in quanto enfatizza le differenze tra coppia matrimoniale e coppia civilmente unita - verrà prima o poi messa in dubbio nella sua legittimità costituzionale, prospettandosi una discriminazione sotto il profilo dell’orientamento sessuale40. La questione, dunque, è tutt’altro che definitivamente risolta.
Le cause impeditive della costituzione dell’unione civile
I requisiti soggettivi per contrarre validamente unione civile sono disciplinati dall’art. 1, comma 4, della legge e sono: la libertà di stato (quale assenza, per ciascuna delle parti, di vincolo matrimoniale o di unione civile); la sanità di mente (quale assenza di interdizione o comunque di uno stato di incapacità naturale); la mancanza di rapporti di parentela, affinità, o adozione tra le parti; l’assenza
24 di condanne per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l’altra parte41. La disposizione va integrata con gli ulteriori due presupposti richiesti dal comma
2 dell’art. 1, e cioè l’identità di sesso tra le parti, nonché la maggiore età. A ciò si aggiunge il regime delle invalidità per vizi del consenso - violenza, timore di eccezionale gravità, errore sull’identità della persona o su qualità personali dell’altra parte - disciplinato al comma 7.
È immediatamente evidente come la disciplina degli impedimenti - sia per mancanza dei presupposti soggettivi, sia per vizi del consenso - ricalchi quella codicistica dettata per il matrimonio42: invero, gli artt. 84 e ss. c.c., ancorché non formalmente richiamati in seno alla legge, sono comunque sostanzialmente riprodotti entro i commi 4 e 7 dell’art. 1 della legge. Anche il regime delle conseguenti invalidità (art. 1, commi 5, 6, 7, 8) è pressoché il medesimo, in questo caso in forza di un rinvio formale alle norme matrimoniali (artt. 65, 68, 119, 120, 123, 125, 126, 127, 128, 129 e 129-bis c.c.) nel corpo
37 Cfr. X. XXXXXX, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 30. Su tali aspetti v. anche X. XXXXXX, op. cit., p. 902 e ss.
38 Cfr. X. XXXXXXXX, op. cit., p. 980 e ss.; nonché F. MECENATE, op. cit., p. 133 e ss.
39 Sul nesso tra matrimonio e procreazione cfr. A. RENDA,
op. cit., p. 211.
40 Correttamente esclusa da X. XXXXXXXX, L’evoluzione del diritto di famiglia e le molteplici realtà affettive, in Tratt. dir. priv., diretto da X. Xxxxxxx, IV, Famiglia e matrimonio, a cura di X. Xxxxxxx, I, Torino, 2010, p. 22.
41 Sulle cause impeditive e la correlativa disciplina delle invalidità v. anche X. XXXXX, Costituzione dell’unione civile, impedimenti e altre cause di nullità. Gli obblighi dei contraenti.
Il regime patrimoniale. Lo scioglimento dell’unione civile, cit.,
p. 77 e ss.; X. XXXXXXX, op. cit., p. 380-381; G. DE CRISTOFARO, op. cit., p. 133 e ss.; X. XXXXXXXX,
«La disciplina dell’atto. Gli effetti: diritti e doveri», cit., p. 896; M.S. XXXXXXXX, Sub art. 1, comma 4, L. 20 maggio 2016, n. 76, in Codice dell’unione civile e delle convivenze, cit.;
X. XXXXXX, Sub art. 1, commi 5-8, L. 20 maggio 2016, n. 76, ibidem.
42 X. XXXXXXX, op. cit., p. 380-381, che rileva: «identiche sono […] le cause che ne impediscono la costituzione (ad eccezione del divieto temporaneo di nuove nozze previsto dall’art. 89 c.c.) […]»; X. XX XXXXXXXXXX, op. cit., p. 134; X. XXXXXXXX, «La disciplina dell’atto. Gli effetti: diritti e doveri», cit., p. 896.
Unione civile: costituzione
e scioglimento
del comma 5.
Residuano, però, talune differenze. In primo luogo - qui limitandoci a rilevare le più significative - l’impedimento rappresentato dalla minore età di una o di entrambe le parti non sembrerebbe poter essere superato tramite autorizzazione giudiziale, come invece è a dirsi con riguardo al matrimonio, al quale il minorenne dai sedici anni in su può essere autorizzato da parte del tribunale in presenza di
«gravi motivi» ed accertata la sua «maturità psico-fisica e la fondatezza delle ragioni addotte» (art. 84, comma 2, c.c.). La norma codicistica non è, invero, richiamata dalla L. 76/2016, né il suo contenuto sostanzialmente riprodotto, sì che, stando alla preclusione dell’art. 1, comma 20 (parte finale), la stessa non può ritenersi operante43. Ferma l’inderogabilità dell’impedimento, rimane peraltro incertezza sulle conseguenze della sua violazione, atteso che la legge, pur richiedendo il requisito della maggiore età (comma 2), omette di menzionarne espressamente la mancanza tra le cause impeditive (comma
4) che ne comportano la “nullità” ai sensi del comma 5, e soprattutto, entro il medesimo comma 5, manca di richiamare - tra le norme sulle invalidità matrimoniali cui fa espresso rinvio - l’art. 117, comma 2, c.c. Stante l’inapplicabilità della norma codicistica ai sensi del comma 2044, sembrerebbe in ogni caso doversi opinare che alla minore età di uno o entrambi i contraenti debba applicarsi lo statuto - generale - delle invalidità di cui al comma 6, con conseguente legittimazione attiva pressoché generalizzata ed alcuna possibilità di sanatoria45.
25
Ma senz’altro la più vistosa divergenza riguarda i casi di “errore essenziale” che non comprendono - ai sensi dell’art. 1, comma 7, L. 76/2016, che omette dal richiamo i nn. 1) e 5) dell’art. 122, comma 3, c.c. - le anomalie o deviazioni sessuali, nonché lo stato di gravidanza. Per quanto riguarda lo stato
43 Giudicano la norma non applicabile X. XXXXXXXXX,
«Unioni civili e convivenze», cit., p. 863; L. DELL’XXXX
- X. XXXXXXX, xx. xxx., x. 00; X. XXXXXXXX, Sub art. 1,
comma 2, L. 20 maggio 2016, n. 76, in Codice dell’unione civile e delle convivenze, cit., § 3, che peraltro rileva l’opportunità della scelta, considerando come l’istituto sia ormai desueto anche in ambito matrimoniale, ove l’età di celebrazione del matrimonio - rileva X. XXXXXXXX, «La disciplina dell’atto. Gli effetti: diritti e doveri», cit., p. 896 - si sta innalzando in quasi tutti i Paesi europei sotto la spinta di molteplici fattori (di tipo economico, sociale, culturale), sì che il mancato richiamo riflette ragionevolmente la mutata realtà. A favore dell’applicazione (analogica) della norma, invece, X. XXXXX, Costituzione dell’unione civile, impedimenti e altre cause di nullità. Gli obblighi dei contraenti. Il regime patrimoniale. Lo scioglimento dell’unione civile, cit., p.
75. Pur non entrando nel merito della problematica, M. BIANCA, «Le unioni civili e il matrimonio: due modelli a confronto», cit., p. 4, sottolinea l’irragionevolezza, rectius, la «non comprensibil[ità]», della distinzione rispetto alla disciplina del matrimonio.
44 Contra, X. XXXXX, Costituzione dell’unione civile, impedimenti e altre cause di nullità. Gli obblighi dei contraenti. Il regime patrimoniale. Lo scioglimento dell’unione civile, cit., p. 79, che prospetta l’applicazione in via analogica dell’art. 117, comma 2, c.c.
45 Dunque, una disciplina più rigorosa rispetto a quella dettata in ambito di matrimonio dall’art. 117, comma 2, c.c., che prevede una legittimazione più ristretta (in capo ai coniugi, a ciascuno dei genitori ed al p.m.), un termine di decadenza per l’esperibilità dell’azione da parte del minore (dopo un anno dal raggiungimento della maggiore
età), varie cause di convalida (per raggiungimento della maggiore età del minore o concepimento o procreazione, ove accertata la volontà del minore di mantenere in vita il vincolo). Il che - afferma X. XXXXXXXX, Sub art. 1, comma 2, L. 20 maggio 2016, n. 76, cit., § 3 - si spiegherebbe in ragione del fatto che per l’unione civile, a differenza che per il matrimonio (art. 84, comma 2, c.c.), l’impedimento non sarebbe - come visto - in alcun modo derogabile. La dottrina pronunciatasi nell’imminenza della nuova legge sembra prevalentemente attestata - sia pur diversamente e variamente argomentando - a ritenere che l’impedimento della minore età configuri una causa di “nullità” dell’unione civile: così X. XXXXXXXXX, «Unioni civili e convivenze», cit., p. 863, che, per analogia alla fattispecie dell’unione civile contratta in stato di interdizione, ricondotta dal comma 5 entro la fattispecie della “nullità”, ritiene che anche l’unione civile contratta dal minorenne debba ritenersi nulla; x. xxxxx X. XXXX’XXXX - X. XXXXXXX, op. cit., p. 24. Contra, X. XXXXX, Costituzione dell’unione civile, impedimenti e altre cause di nullità. Gli obblighi dei contraenti. Il regime patrimoniale. Lo scioglimento dell’unione civile, cit., p. 79, che opta per l’annullabilità dell’unione civile; ancora diversa la tesi di B. DE FILIPPIS, op. cit., p. 156, il quale argomenta dal mancato richiamo dell’art. 117 c.c. per ritenere che i minorenni non possano «in nessun caso contrarre unione civile» e che, di conseguenza, «la loro unione civile non sia nulla, ma configur[i] un’ulteriore ipotesi di inesistenza». Più sfumata la posizione di X. XXXXXXX, op. cit., p. 381, il quale rileva che quantunque, per un difetto di coordinamento, non si faccia riferimento alla minore età, anch’essa è da considerarsi “causa di invalidità” dell’unione civile.
X. Xxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
di gravidanza, va da sé che tale circostanza non possa verificarsi nelle coppie formate da due uomini. Diversamente, nel caso di unione tra due donne, potrebbe darsi che l’una sia all’oscuro dello stato di gravidanza dell’altra. Per quanto riguarda, invece, la mancata considerazione delle «anomalie o deviazioni sessuali», è noto che, secondo l’opinione tradizionale, le più frequenti esemplificazioni fanno riferimento all’omosessualità ed al transessualismo46. Il che potrebbe spiegare le ragioni dell’omissione47. In realtà - si afferma in dottrina - «non sono queste le uniche ‘anomalie’ o ‘deviazioni’ sessuali ipotizzabili (si pensi, ad esempio, alla pedofilia). Tali circostanze potrebbero acquistare rilievo in quanto ‘malattia fisica o psichica’, o, altrimenti in quanto determinanti l’‘identità’ del partner»48.
La costituzione dell’unione civile
Venendo alla costituzione del vincolo, si è già anticipato che lo statuto dell’unione civile si discosta notevolmente dalla corrispondente disciplina dettata per il matrimonio, poiché la legge non richiama in alcun modo le disposizioni relative alla promessa di matrimonio, alle pubblicazioni, alle opposizioni e soprattutto alla celebrazione.
L’art. 1, comma 2, dispone, in maniera stringata, che due persone maggiorenni dello stesso sesso possono costituire unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni.
Comparando questa disposizione con quelle del codice civile che regolano la celebrazione del matrimonio (artt. 97-113 c.c.) emergono significative differenze, a cominciare dal mancato ricorso alla parola «celebrazione», sostantivo, quest’ultimo, che reca con sé l’idea di un rito solenne, qual è nel comune sentire quello matrimoniale, e che il legislatore evita di usare all’art. 1, comma 2, ove, con linguaggio contrattuale, si legge che la costituzione avviene mediante dichiarazione di fronte
26 all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni, senza peraltro che neppure sia precisato il contenuto di tale dichiarazione.
Inoltre, il comma 3, lungi dal riproporre la formula dell’art. 107 c.c., secondo la quale l’ufficiale dello stato civile dichiara che le parti «sono unite in matrimonio», si limita sbrigativamente a disporre che costui, senza evidentemente pronunciare alcuna consimile formula solenne, «provvede alla registrazione degli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso nell’archivio dello stato civile»49. Ancora, il mancato richiamo legislativo dell’art. 108 c.c. (“Inapponibilità di termini e condizioni”), e sua conseguente inapplicabilità ai sensi della preclusione del comma 20, parrebbe prima facie rendere ammissibile un’unione civile “a tempo”, ossia stipulata per una durata convenuta dalle parti. Ma a più attenta analisi la tesi non è percorribile, posto che - come esattamente osservato50 - «la incompatibilità ontologica di una eventuale delimitazione dell’efficacia - sotto il profilo temporale o funzionale - di
46 Più di recente, tuttavia, si è contestato che l’omosessualità possa essere ancora riguardata come “deviazione” sessuale cosicché l’ignoranza sull’orientamento sessuale dell’altro coniuge è stato inteso come errore (non sulle qualità personali, ma) sull’identità della persona. Nel senso che l’omosessualità non possa essere considerata “anomalia o deviazione sessuale” dato che «nessun lessico giuridico, medico, sociale ed etico (colloca) l’omosessualità in tale paradigma nosografico», x. Xxxx. Xxxxxx, 00 febbraio 2013, in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, p. 782, con nota (critica) di X. XXXXXXXX, «Errore sull’orientamento sessuale e interpretazione dell’art. 11 c.c.», secondo cui il matrimonio contratto nell’ignoranza dell’omosessualità del coniuge andrebbe annullato per “errore sull’identità sessuale” a norma del 2° comma dell’art. 122.
47 Così X. XXXXXXXX, «La disciplina dell’atto. Gli effetti: diritti e doveri», cit., p. 896. In argomento cfr. X. XXXXXXXXX, «Omosessualità ed eterosessualità nel matrimonio e nelle unioni civili», in Fam. e dir., 2016,
p. 782 e ss., che, prendendo le mosse dall’evoluzione giurisprudenziale sul tema dell’errore nel matrimonio, indaga la corrispondente fattispecie con riferimento alla nuova disciplina dell’ unione civile tra persone dello stesso sesso.
48 X. XXXXXXXX, op. ult. cit., p. 896.
49 Sull’adempimento della registrazione degli atti di unione civile ai sensi della disciplina di legge v. X. XXXXXXXXXX,
X. XXXXXXXX, X. XXXXX, op. cit., p. 35 e ss.
50 X. XXXXXX, «Unioni civili: disciplina del rapporto»,
cit., p. 1693.
Unione civile: costituzione
e scioglimento
un atto costitutivo di uno status così ricco di contenuti … osta alla valorizzazione della dimenticanza del legislatore, onde attribuire ad essa una portata conformativa dell’unione civile in contrapposizione al matrimonio»; pare dunque corretto ritenere - come già da altri evidenziato - si sia trattato di una “clamorosa svista”51.
Altra questione è quella data dal mancato richiamo da parte della legge degli artt. 130 e ss. c.c. che, sia pur in casi eccezionali, consentono la prova della celebrazione del matrimonio tramite mezzi alternativi all’atto di stato civile52; sì che stando al comma 20 della legge - che impedisce di fare applicazione delle norme matrimoniali non richiamate53 - l’atto di unione civile debitamente iscritto parrebbe rappresentare l’unico mezzo di prova di costituzione del vincolo - che, dunque, a rigore, non potrebbe essere provato, per es. nel caso in cui i registri siano andati smarriti o distrutti o l’atto per qualsiasi causa non sia stato registrato, con altri mezzi54 -.
L’attuazione della legge, e in particolare di un testo di legge lacunoso in ordine al momento costitutivo del vincolo, è stata affidata, dapprima, al D.P.C. 23 luglio 2016, n. 144 (infra, decreto “ponte”), recante la disciplina transitoria (in attuazione dell’art. 1, comma 34, della legge), e, a seguire, al D.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, che, in attuazione dell’art. 1, comma 28, lettere a) e c), della legge, ha adeguato alla disciplina dell’unione civile le disposizioni dell’ordinamento dello stato civile55. Va peraltro precisato che il D.lgs. n. 5/2017 è stato successivamente completato dal decreto del Ministero dell’Interno 27 febbraio 2017 (accompagnato dalla Circolare ministeriale n. 3/2017), che, nell’operare le necessarie modifiche di coordinamento, ha - tra l’altro - approvato (mediante rinvio ad appositi Allegati) le formule per la redazione degli atti di stato civile in materia di unione tra persone dello stesso sesso56. Nell’assetto definitivo di cui al D.lgs. n. 5/2017 viene previsto57 - per lo più recependo quanto già stabilito dal decreto “ponte”58 - che, al fine di costituire un’unione civile, due persone maggiorenni e dello stesso sesso ne facciano richiesta all’ufficiale dello stato civile di un comune da loro scelto, indicando nella medesima i dati anagrafici, la cittadinanza ed il luogo di residenza, nonché
27
51 Così X. XXXXXXXXX, «Unioni civili e convivenze», cit., p. 863-864; in senso adesivo X. XXXXXX, «Unioni civili: disciplina del rapporto», cit., p. 1692; X. XXXXXXXX,
«La costituzione del vincolo di unione civile tra norme di legge, disciplina transitoria e assetto definitivo della materia», cit., p. 239.
52 Sulla prova del vincolo derivante da matrimonio cfr.
X. XXXXXXXX, Il matrimonio, in Tratt. dir. civ. comm., già diretto da X. Xxxx, X. Xxxxxxxx, X. Xxxxxxx, continuato da X. Xxxxxxxxxxx, XX xx., Xxxxxx, 0000, p. 370 e ss.; X. XXXXX, Delle prove della celebrazione del matrimonio, in Il Codice civile. Commentario, fondato da Xxxxxxxxxxx e diretto da Xxxxxxxx, artt. 130-133 c.c., Milano, 2016, passim.
53 Xxxxxxx, invece, ammessa l’applicazione analogica degli artt. 130-133 x.x. X. XXXXXXXX, xx. xxx., x. 0000 x xx., xxxx. § XXX.
54 Su tale aspetto v., xxxxxxx, X. XXXXXXXX, «La costituzione del vincolo di unione civile tra norme di legge, disciplina transitoria e assetto definitivo della materia», cit., p. 257 e ss., che propone (sia pur dubitativamente) una tesi “permissiva” al di fuori di qualsivoglia necessità di ricorso allo strumento dell’analogia.
55 È noto come, ai sensi dell’art. 1, comma 28, della legge, il Governo sia stato chiamato ad adeguare alla nuova disciplina delle unioni civili non solo il sistema dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni (D.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5),
ma anche le norme in materia di diritto internazionale privato (D.lgs. 19 gennaio 2017, n. 7) e quelle del codice penale (D.lgs. 19 gennaio 2017, n. 6). Detti decreti, emanati il 19 gennaio 2017, sono stati pubblicati in G.U.
n. 32 del 27 gennaio 2017 e sono entrati in vigore l’11 febbraio 2017.
56 A commento delle nuove formule cfr. X. XXXXXXXXXX, Sub D.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, in Codice dell’unione civile e delle convivenze, cit.; X. XXXXXXX, op. cit., p. 32 e ss.
57 Sull’iter di costituzione del vincolo v. amplius X. XXXXXXXX, «La costituzione del vincolo di unione civile tra norme di legge, disciplina transitoria e assetto definitivo della materia», cit., p. 219 e ss.; nonché X. XXXXXXXXXX, Sub D.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, cit.
58 A commento della disciplina transitoria cfr. X. XXXXXXX, «Unioni civili: in attesa dei decreti legislativi, uno sguardo al decreto “ponte” per la tenuta dei registri dello stato civile (Parte prima)», cit., p. 1265 e ss.; ID.,
«Unioni civili: in attesa dei decreti legislativi, uno sguardo al decreto “ponte” per la tenuta dei registri dello stato civile (Seconda parte)», in Studium iuris, 2016, p. 1428 e ss.;
X. XXXXXXXX, Sub art. 1, commi 2, 3 e 9, L. 20 maggio 2016,
n. 76, in Codice dell’unione civile e delle convivenze, cit.; EAD.,
«L’attuazione “definitiva” della legge sulle unioni civili: prime riflessioni a margine del D.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5», cit., p. 7 e ss., spec. p. 13 e ss.; X. XXXXXXXXXX, Sub D.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, cit.
X. Xxxxx
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di un diritto civile postmoderno
l’insussistenza delle cause impeditive alla costituzione dell’unione di cui all’articolo 1, comma 4, della legge (nuovo art. 70-bis, comma 1, D.P.R. n. 396/2000).
Entro trenta giorni dalla presentazione della richiesta, l’ufficiale di stato civile è tenuto a verificare l’esattezza delle dichiarazioni rese dalle parti, potendo altresì acquisire d’ufficio eventuali documenti che ritenga necessari per provare l’inesistenza di impedimenti (art. 70-bis, comma 2, e art. 70-ter D.P.R. n. 396/2000).
Se nella fase “istruttoria” non emergono cause ostative, sì che i richiedenti non vengano avvisati dell’esistenza di impedimenti a procedere - nel qual caso la procedura si arresterà (art. 70-ter, comma 2, D.P.R. n. 396/2000) -, gli stessi hanno l’onere di comparire innanzi all’ufficiale di stato civile, in un giorno da loro prescelto, entro i centottanta giorni successivi alla scadenza dei trenta giorni previsti per gli accertamenti od alla comunicazione dell’ufficiale di stato civile di aver ultimato prima la fase istruttoria (art. 70-ter, commi 1 e 4, D.P.R. n. 396/2000), per rendere personalmente e congiuntamente, alla presenza di due testimoni, la dichiarazione costitutiva dell’unione (art. 70-octies
D.P.R. n. 396/2000)59. Come si nota, manca qualsivoglia dichiarazione dell’ufficiale di stato civile, il quale “si limita” a ricevere la dichiarazione delle parti (art. 70-octies, comma 4, D.P.R. n. 396/2000). La manifestazione di volontà delle parti esaurisce, dunque, la fattispecie costitutiva dell’unione; il che lascia emergere la natura più squisitamente consensuale-negoziale dell’atto costitutivo dell’unione, come anche il linguaggio legislativo, tipicamente “contrattuale”, lascia intendere. Tuttavia, il D.m. 27 febbraio 2017 contenente le nuove formule ha previsto - all’Allegato n. 2 - che, a conclusione della procedura, l’ufficiale di stato civile «dichiar[i] che è costituita l’unione civile» tra le parti. È, però, di immediata evidenza «come una tale formula non abbia capacità di innovare il dato di legge, e sia ragionevolmente da intendersi quale mera formula ad pompam»60.
Ricevuta la dichiarazione delle parti, l’ufficiale di stato civile è tenuto a far menzione - come già nel regime transitorio - del contenuto dei commi 11 e 12 dell’art. 1 della legge, compendianti lo statuto
28 dei diritti e doveri nascenti dall’unione medesima.
A ciò segue la redazione dell’atto di stato civile (art. 70-octies, comma 4, D.P.R. n. 396/2000)61, da leggersi agli intervenuti (art. 70-octies, comma 4, D.P.R. n. 396/2000; v. anche D.m. 27 febbraio 2017, Allegato n. 2) e, quindi, da iscriversi - ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge, come attuato dal D.lgs.
n. 5/2017 - nel registro delle unioni civili, che si conferma - come già nel regime transitorio - registro autonomo da quello di matrimonio (nuovo art. 70-octies, comma 4, D.P.R. n. 396/2000; innovato testo dell’art. 14 X.X. 0 luglio 1939, n. 1238 e nuovo art. 134-bis R.D. n. 1238/1939)62.
59 Rileva X. XXXXXXXX, «La costituzione del vincolo di unione civile tra norme di legge, disciplina transitoria e assetto definitivo della materia», cit., p. 243, che, per tale via, il procedimento di costituzione dell’unione civile viene ad assumere struttura trifasica (nuovi artt. 70-bis, 70- ter, 70-octies D.P.R. n. 396/2000): 1) richiesta preventiva di costituzione dell’unione civile; 2) fase “istruttoria” dedicata alle verifiche dell’ufficiale di stato civile; 3) dichiarazione costitutiva dell’unione civile.
60 Lo rileva X. XXXXXXXX, «L’attuazione “definitiva” della legge sulle unioni civili. Prime riflessioni a margine del D.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5», cit., p. 17.
61 Rileva X. XXXXXXXX, op. ult. cit., 12, come sarebbe stato «più corretto definirlo ‘atto di unione civile’ - specularmente all’ ‘atto di matrimonio’ (art. 107, comma 2°, x.x. x xxx. 00 X.X.X. x. 000/0000) -, posto che la diversa terminologia legislativa (‘atto di costituzione dell’unione civile’) ingenera l’equivoco che l’atto di stato
civile sia esso stesso - e non già la dichiarazione di volontà delle parti - costitutivo, anziché - come ampiamente riconosciuto - certificativo e probatorio». In ogni caso, l’autrice rileva come «non debba caricarsi di troppo significato l’uso del termine ‘costituzione’, atteso che il legislatore delegato sembra più verosimilmente intenderlo quale omologo e sinonimo di ‘celebrazione’, espressione
- quest’ultima - che gli risulta ‘inibita’ per l’evidente preoccupazione di ingenerare - tramite il suo impiego - indebite sovrapposizioni al matrimonio; o, comunque, che la locuzione ‘atto di costituzione dell’unione civile’ possa - e anzi debba - essere più correttamente riferita alla fattispecie lato sensu costitutiva - più che all’atto di stato civile di per sé solo considerato - e dunque, in primis, alla manifestazione di volontà delle parti».
62 Sulla registrazione dell’atto di unione civile nella disciplina attuativa X. XXXXXXXX, Sub art. 1, comma 3, L. 20 maggio 2016, n. 76, , cit.; X. XXXXXXXXXX, Sub D.lgs. 19
Unione civile: costituzione
e scioglimento
Infine, il comma 9 dell’art. 1 della legge63 - attuato senza modifiche64 dall’art. 70-quinquiesdecies D.P.R.
n. 396/2000 - dispone che l’unione civile tra persone dello stesso sesso è certificata dal relativo documento attestante la costituzione dell’unione, che deve contenere i dati anagrafici delle parti, l’indicazione del loro regime patrimoniale, della loro residenza, nonché i dati anagrafici e la residenza dei testimoni.
Lo scioglimento dell’unione civile
Lo scioglimento dell’unione civile è regolato ai commi 22, 23, 24, 25 e 26 dell’articolo 1 della legge65. Deve distinguersi tra cause automatiche, contemplate al comma 22, cioè la morte o la dichiarazione di morte presunta di una delle parti dell’unione, e cause su domanda di una o di entrambe le parti, previste dai commi 23 e 24.
Il comma 23 richiama le fattispecie enunciate dall’art. 3, n. 1 e n. 2, lettere a), c), d) ed e), della legge
n. 898/1970 sul divorzio. Si tratta dei casi in cui una parte, dopo la costituzione dell’unione civile, sia stata condannata, con sentenza passata in giudicato, anche per fatti commessi in precedenza, alle pene previste dal richiamato art. 3. Un raffronto del comma 23 con il testo integrale dell’art. 3 della legge sul divorzio evidenzia che tra le cause di scioglimento dell’unione civile non sono ricomprese né l’ipotesi della separazione giudiziale o consensuale, che infatti non trova applicazione tra le parti dell’unione civile, né quella dell’inconsumazione dell’unione, mentre quella di rettificazione di sesso è regolata dal comma 26 dell’art. 1, il quale prevede che la relativa sentenza determina lo scioglimento dell’unione.
Occorre sottolineare che la vera peculiarità dello scioglimento dell’unione civile, che lo differenzia profondamente dal divorzio della coppia matrimoniale, è rappresentata dal disposto del comma 24,
alla cui stregua l’unione civile viene meno quando le parti hanno manifestato, anche disgiuntamente, 29
la volontà di scioglimento dinanzi all’ufficiale dello stato civile, dopo di che, decorsi tre mesi, può essere
proposta la corrispondente domanda giudiziale avanti il tribunale competente o apposita procedura amministrativa di negoziazione assistita da un avvocato o di accordo di fronte all’ufficiale dello stato civile (commi 24-25). Trattasi, all’evidenza, di un’ipotesi di recesso, in forza della quale anche una sola parte dell’unione civile può ottenere la pronuncia di scioglimento. È chiaro che - come è stato esattamente osservato66 - la predetta disposizione assorbe e rende inutile quella, di cui già si è detto,
gennaio 2017, n. 5, cit.
63 In argomento cfr. X. XXXXXXXXXX - X. XXXXXXXX
- T. XXXXX, op. cit., p. 67 e ss.; X. XXXXXXXX, Sub art. 1, comma 9, L. 20 maggio 2016, n. 76, cit.
64 A questo riguardo rileva criticamente X. XXXXXXXX,
«La costituzione del vincolo di unione civile tra norme di legge, disciplina transitoria e assetto definitivo della materia», cit., p. 264, come, data la difficoltà di coordinamento tra il contenuto del documento di cui al comma 9 rispetto a quanto prescritto dalle norme generali sui certificati di stato civile, «[…] sarebbe stato apprezzabile che il D.lgs. n. 5/17, anziché trasporre pressoché immutata la previsione di legge (nel nuovo art. 70-quinquiesdecies D.P.R. n. 396/00), l’avesse riscritta conformemente alle norme generali del D.P.R. n. 396/00 dettate per i certificati di stato civile (Titolo XIV “Degli estratti degli atti dello stato civile e dei relativi certificati”) o eventualmente - in accoglimento dell’opposta tesi - conformemente alle norme particolari (anch’esse ora
inserite nel medesimo D.P.R.) specificamente dettate per il contenuto dell’atto di unione civile (art. 70-quaterdecies D.P.R.
n. 396/00)». In argomento x. xxxxx X. XXXXXXXX, xx. xxx., x. 000, xx. 00; B. DE FILIPPIS, op. cit., p. 177.
65 In argomento cfr. X. XXXXXX, Lo scioglimento delle unioni civili e la risoluzione dei contratti di convivenza, cit., p. 259 e ss.; X. XXXXXX, op. cit., p. 995 e ss.; ID., Sub art. 1, comma 25, L. 20 maggio 2016, n. 76, in Codice dell’unione civile e delle convivenze, cit.; X. XX XXXXXXX, «Lo scioglimento dell’unione civile tra rapporto di coppia e ruolo del “genitore sociale”», cit., p. 1699 e ss.; X. XXXXXX, Sub art. 1, comma 22, L. 20 maggio 2016, n. 76, in Codice dell’unione civile e delle convivenze, cit.; EAD., Sub art. 1, comma 25, l. 20 maggio 2016, n. 76, ibidem; X. XXXXXXXX, Sub art. 1, comma 23, l. 20 maggio 2016, n. 76, ibidem; C. RIMINI, Sub art. 1,
comma 24, l. 20 maggio 2016, n. 76, ibidem.
66 X. XXXXXX, «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze: osservazioni (solo) a futura memoria?», cit., p. 7.
X. Xxxxx
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di un diritto civile postmoderno
contenuta al comma 23, cosicché, in definitiva, la mera volontà unilaterale di scioglimento dell’unione configura una nuova causa di divorzio, che riduce il compito del giudice - o quello dell’avvocato o dell’ufficiale di stato civile in caso di risoluzione stragiudiziale della crisi - ad un mero accertamento della volontà stessa, anche di una sola parte. Resta fermo che il tribunale, oltre che dichiarare con sentenza lo scioglimento dell’unione, dovrà poi adottare tutti i provvedimenti di cui agli artt. 5, commi 6, 7, 8; 8; 9; 9-bis; 10; 12-bis; 12-ter (disposizione che pare invero erroneamente menzionata in quanto riferita all’ipotesi dei figli comuni tra i divorziati che non può realizzarsi tra le parti di una unione civile); 12-quater; 12-quinques e 12-sexies L. n. 898/1970; articoli tutti richiamati dal comma 25 dell’art. 1, L. n. 76/2016. Ove invece - come pur lo stesso comma 25 consente - lo scioglimento venga attuato tramite negoziazione assistita da avvocati o in forza di accordi raggiunti davanti all’ufficiale dello stato civile, restano fermi i limiti previsti dagli artt. 6 e 12 del D.l. n. 132/2014, espressamente richiamati: sì che, per es., resta escluso che l’accordo di scioglimento possa avvenire di fronte agli ufficiali di stato civile in presenza di figli minori o di figli maggiorenni incapaci o economicamente non autosufficienti67.
La disciplina di legge ha ricevuto attuazione, dapprima, tramite le disposizioni transitorie di cui al
D.P.C. n. 144/201668, il cui art. 6 ha regolamentato: a) lo scioglimento per accordo delle parti concluso innanzi all’ufficiale di stato civile, ai sensi dell’art. 12 D.l. n. 132/2014 (conv., con modificazioni, dalla
L. n. 162/2014) (art. 6, comma 1); b) lo scioglimento per accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da avvocati, ai sensi dell’art. 6 del medesimo D.l. n. 132/2104 (art. 6, comma 2); c) lo scioglimento conseguente a manifestazione, anche disgiunta, della volontà di scioglimento dell’unione ai sensi dell’art. 1, comma 24, legge n. 76 del 2016 (art. 6, comma 4); d) lo scioglimento che abbia ad oggetto l’unione civile costituita a seguito di sentenza di rettificazione dell’attribuzione di sesso (art. 6, comma 3)69. Ed infine per effetto del D.lgs. n. 5/2017, che, nel modificare il D.P.R.
n. 396/2000 per adeguarlo (in via definitiva) al nuovo istituto dell’unione civile sul piano della
30 tenuta dei registri dello stato civile, ha previsto - poi ulteriormente corredato dalle formule di cui al D.m. 27 febbraio 2017 -: 1) l’annotazione negli atti di nascita delle sentenze che pronunciano lo
scioglimento dell’unione civile, ovvero degli accordi di scioglimento raggiunti a seguito di convenzione di negoziazione assistita ai sensi dell’art. 6 D.l. 132/2014 o conclusi innanzi all’ufficiale di stato civile ai sensi dell’art. 12 D.l. 132/2014 (innovato testo dell’art. 49 D.P.R. 396/2000, lettere g), g-bis), g-ter)); 2) l’iscrizione negli archivi di cui all’articolo 10 D.P.R. 396/2000 degli accordi di scioglimento dell’unione civile ricevuti dall’ufficiale dello stato civile o di modifica delle condizioni di scioglimento; ovvero della manifestazione congiunta di volontà di scioglimento dell’unione civile a norma dell’art. 1 comma 24 della legge, ovvero della manifestazione di volontà di scioglimento dell’unione civile di una sola parte a norma della medesima disposizione; ovvero la trascrizione degli accordi di scioglimento
67 A questo riguardo si noti che è sì vero che, per legge, non possono esserci figli tra i componenti un’unione civile, ma data l’evoluzione della giurisprudenza in materia (v., da ultimo, App. Trento, ord. 24 febbraio 2017, in corso di pubblicazione su Fam. e dir., 2017, con nota di M.C. Xxxxxxx, che ha riconosciuto la possibilità a due genitori dello stesso sesso di essere considerati entrambi padri di due bambini nati all’estero con madre surrogata) ciò non è comunque escluso (rectius, escludibile); così come i figli potrebbero essere presenti «in caso di costituzione di unione civile conseguente a rettificazione di sesso di uno dei coniugi (dal precedente matrimonio eterosessuale potrebbero essere nati dei figli, che rimarrebbero tali in caso di rettificazione di sesso e di trasformazione del vincolo in unione civile, tanto che, in caso di scioglimento
dell’unione civile, diverrebbero decisivi per stabilire la competenza dell’ufficiale dello stato civile o degli avvocati, a norma dell’art. 12 o dell’art. 6 della legge 162/2014)»: così X. XXXXXXXXXX, Sub D.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, cit.
68 A commento di essa cfr. X. XXXXXXX, «Unioni civili: in attesa dei decreti legislativi, uno sguardo al decreto “ponte” per la tenuta dei registri dello stato civile (Seconda parte)», cit., p. 1433 e ss.
69 Nessuna disposizione - osserva X. XXXXXXX, op. ult. cit.,
p. 1434 - «è stata invece dettata per il caso di scioglimento giudiziale dell’unione, probabilmente perché, attesa la durata media di un giudizio, si è ritenuto inverosimile che una sentenza di scioglimento possa intervenire di qui all’approvazione dei decreti legislativi».
Unione civile: costituzione
e scioglimento
dell’unione civile, o di modifica delle condizioni dello scioglimento, raggiunti a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato (innovato testo dell’art. 63, commi 1 e 2, D.P.R. 396/2000, lettere g-quater), g-quinquies), h-ter)); 3) l’annotazione negli atti di costituzione dell’unione civile della dichiarazione contenente la manifestazione di volontà di scioglimento dell’unione civile resa ai sensi dell’art. 1 comma 24 della L. 76/2016; delle sentenze di scioglimento dell’unione civile; degli accordi di scioglimento dell’unione civile raggiunti a seguito di convenzione di negoziazione assistita da avvocati nonché di quelli conclusi agli stessi fini innanzi all’ufficiale di stato civile (nuovo comma 1-bis dell’art. 69 D.P.R. 396/2000). È inoltre, in particolare, previsto - per ciò che qui più rileva - che la parte che intende sciogliere unilateralmente l’unione civile debba «comunica[rlo] all’altra parte mediante invio di lettera raccomandata con avviso di ricevimento alla residenza anagrafica o, in mancanza, all’ultimo indirizzo noto, ovvero con altra forma di comunicazione parimenti idonea» (art. 63, comma 1, lett. g-quinquies) D.P.R. 396/2000), prima - ed al fine di poter poi - presentarsi innanzi all’ufficiale di stato civile onde manifestare la propria volontà di scioglimento, comprovando documentalmente l’avvenuto invio di comunicazione all’altra parte70.
31
70 Rileva X. XXXXXXXXXX, Sub D.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, cit.: «Si tratta di una ulteriore garanzia a tutela della parte che non si attivi, anche se è opportuno ricordare che nella procedura amministrativa di scioglimento dell’unione civile, le parti debbono essere presenti personalmente e consensualmente: quindi, in ogni caso, per procedere allo
scioglimento con negoziazione assistita da avvocato o con accordo di fronte all’ufficiale dello stato civile, occorre la partecipazione attiva di entrambe le parti che debbono essere presenti e d’accordo sulla volontà di sciogliere l’unione civile».
X. Xxxxx
Le convivenze “di fatto” tra normativa di tutela e regime opzionale
di Xxxxxxxxx Xxxxx
Xxxxxxxxx di Diritto privato, Università di Roma La Sapienza
Premessa
La definizione delle conseguenze giuridiche derivanti dalla convivenza (e l’individuazione del loro fondamento normativo) ha determinato difficoltà già negli anni immediatamente successivi alla riforma del diritto di famiglia. Così, in un ampio studio di uno dei migliori civilisti del secolo scorso, si afferma che la convivenza tra uomo e donna «può formare un nucleo di rapporti vari e complessi di carattere praticamente molto analoghi a quelli che sorgono dal rapporto matrimoniale»1, precisando tuttavia che «gli obblighi che vengono in considerazione, a differenza del rapporto matrimoniale, non sono gli obblighi inerenti alla convivenza che sia considerata come fatto obbligatorio, bensì alla convivenza come pura situazione di fatto». Quindi: da un lato gli obblighi (pur molto analoghi) non sono quelli che nascono dall’unica convivenza che si considera come «fatto obbligatorio», ma d’altra parte nascono comunque da una analoga forma di convivenza anche essa generatrice di obblighi.
Una certa contraddizione ed analoga difficoltà nel negare rilevanza giuridica alla convivenza «di fatto» si riscontra altresì, nelle pagine dello stesso studioso con riferimento al risarcimento «dovuto per l’uccisione di un convivente more uxorio»2.
Infatti, pur ammettendo il diritto del convivente al risarcimento del danno si nega che da ciò possa
32 trarsi un argomento per sostenere «una certa giuridicità» della situazione di fatto, concludendo che essendo il rapporto estraneo ad ogni vincolo giuridico, il diritto al risarcimento deriva da «un fatto che esiste al di fuori del riconoscimento giuridico»3.
La disciplina delle unioni civili e la disciplina delle convivenze: modelli e problemi
Come si evince dalle considerazioni sopra ricordate, disciplinare mediante legge la convivenza di persone unite stabilmente da legami affettivi non è semplice, e comunque è molto più complesso che
«istituire» le c.d. unioni civili.
Nel secondo caso il compito del legislatore è anzitutto quello di determinare il grado di «avvicinamento» al matrimonio. Esclusa infatti l’estensione dell’istituto matrimoniale alle persone dello stesso sesso, occorre decidere se predisporre una disciplina che sostanzialmente attribuisca gli stessi diritti o quali siano le differenze opportune e accettabili per gli interessati. Questi ultimi, in genere, desiderano unirsi in matrimonio e la diversa «unione» messa a disposizione dalla legge - come è avvenuto in altri ordinamenti giuridici - risulta accettabile (e non si pone il contrasto con la Costituzione) nella misura in cui le differenze siano minime e trovino una giustificazione. Ma la disciplina «di base» esiste: è quella del matrimonio, ed alcune delle differenze riscontrabili nella nuova legge (n. 76 del 2016), ad es. in materia di nome della coppia e di scioglimento del rapporto, risultano invero giustificate o perfino opportune alla luce del principio di eguaglianza nonché di esigenze di celerità e di semplificazione, tanto che può prospettarsi un problema di legittimità costituzionale per la disparità di trattamento
1 X. XXXXXXXXX, «Natura legge famiglia», in Riv. dir. civ., 1977, I, p. 18.
2 X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 18.
3 X. XXXXXXXXX, op. loc. cit.
Le convivenze “di fatto” tra normativa di tutela e regime opzionale
nei confronti delle coppie unite in matrimonio4. L’esperienza di altri paesi dimostra peraltro che leggi analoghe sulle «unioni civili» sono state abrogate a seguito della riconosciuta «ammissione» delle persone dello stesso sesso al matrimonio, ammissione spesso decisa sulla base della considerazione che la sostanziale identità di disciplina non giustifica la previsione di due istituti5.
In Italia gli interessati non possono «unirsi» in matrimonio ma si possono «unire» (civilmente) in base alla legge 76/2016, mediante dichiarazione di volontà da rendere dinanzi all’ufficiale dello stato civile (art. 1, comma 1). In altri termini, la legge ha creato un nuovo istituto, molto simile al matrimonio, e gli interessati possono dichiarare nelle forme previste di volerlo utilizzare.
La contraddizione insita nella disciplina delle convivenze e le norme di tutela di origine giurisprudenziale o legislativa
Nel caso delle convivenze occorre in primo luogo superare una (almeno apparente) contraddizione: da un lato gli interessati, pur quando non sussistano impedimenti, rifiutano l’istituto del matrimonio (oppure, deve oggi aggiungersi, quello dell’unione civile), dall’altro - almeno alcuni di essi - richiedono una disciplina del loro rapporto che in parte maggiore o minore coincide o è simile a quella dettata per il matrimonio6.
Questa contraddizione spiega l’atteggiamento di diversi ordinamenti giuridici che non hanno predisposto una normativa - o comunque una normativa di carattere generale - per le convivenze eterosessuali, seguendo in tal modo il detto, di origine napoleonica, secondo cui i concubini si disinteressano della legge e la legge non si cura di loro7.
L’esperienza di alcuni decenni, più o meno simile in diversi paesi, ha tuttavia dimostrato che - venuto meno l’antico disfavore sociale per tali forme di organizzazione dell’esistenza - l’ordinamento
giuridico ha accolto singole istanze, garantendo di volta in volta la tutela richiesta mediante diritto 33
giurisprudenziale o interventi del legislatore relativi a specifiche problematiche. Così, ad esempio, da
tempo è stato riconosciuto il diritto del convivente a subentrare nel contratto di locazione o di ottenere il risarcimento del danno nel caso di uccisione dell’altro convivente ed è stata estesa al convivente la tutela prevista per il coniuge nel caso di fecondazione medicalmente assistita, di amministrazione di sostegno o di violenza in famiglia.
Peraltro, dato il carattere episodico degli interventi legislativi, non si scorge una linea del tutto coerente, soprattutto per quanto concerne le caratteristiche della convivenza, richiedendosi a volte una convivenza «stabile» e in altri casi una durata minima che essa deve presentare per essere presa in considerazione8.
4 Sul problema, in termini generali, v. l’ampia trattazione di M.N. BUGETTI, «Il cognome comune delle persone unite civilmente», in Xxx. x xxx., 0000, x. 000 x xx.
0 Xx Xxxxxxxx, a seguito delle numerose modifiche del Lebenspartenerschaftsgesetz imposte dalla Corte costituzionale o attuate dal legislatore nel corso di circa quindici anni, la disciplina è sostanzialmente identica a quella del matrimonio, tanto da spingere parte della dottrina a interrogarsi sull’opportunità di abrogare la legge e di inserire nel BGB un unico articolo che stabilisca l’applicazione per le coppie omosessuali della stessa disciplina prevista per il matrimonio. In argomento si rinvia a X. XXXXX, «Le unioni civili in Germania», in Fam. e dir., 2015, p. 958 e ss.; C. CARICATO, «Le convivenze registrate in Germania: quindici anni di applicazione e
di riforma», in Familia, 2016, p. 71 e ss.; X. XXXXXXX, Le unioni civili nel diritto tedesco: quadro normativo e prospettive sistematiche», in Nuove l. civ. comm., 2016, p. 1105 e ss.
6 Sull’affermazione di molteplici modelli di convivenza già alla fine del secolo scorso, v. X. XXXXX, I modelli di famiglia e di convivenza, in Manuale di diritto privato europeo, a cura di X. Xxxxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx, I, Milano, 2007, p. 223 e ss.
7 Sostanzialmente in senso analogo X. XXXXXXXXXX, L’hypothèse du non-droit, in Archives de philosophie du droit, 1963, ora in Flexible droit, Paris, 1969, p. 34 e ss.: «ils refusent de s’engager dans la situation de droit, et se placent dans la situation de non droit correspondante».
8 Cfr., ad esempio, l’art. 408 c.c. («Scelta dell’amministratore
di sostegno») fa riferimento alla «persona stabilmente
X. Xxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
In termini generali, tuttavia, si riscontra il riconoscimento di una serie di interessi e di aspirazioni che - a ben vedere - possono anche coincidere con quelli tutelati dalle norme sul matrimonio, ma che comunque riguardano persone unite da rapporti affettivi che vivono (o hanno vissuto) insieme e chiedono all’ordinamento giuridico di tener conto di questa situazione.
Così, nel caso del subentro nel contratto di locazione o del risarcimento del danno per l’uccisione del convivente, hanno acquistato rilevanza interessi che - pur riconosciuti nel caso del matrimonio - non sono legati alle caratteristiche tipiche ed essenziali di questo istituto, ed infatti, correttamente, sono stati piuttosto ricondotti all’idea delle formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost.9
Peraltro, come appare in particolar modo evidente quando la convivenza è caratterizzata dalla presenza di figli - e si tratta di un fenomeno di rilevanza ormai equiparabile al matrimonio non soltanto nei paesi del nord Europa10 - può parlarsi sicuramente di «famiglia», soprattutto alla luce della recente equiparazione dei figli nati in circostanza di matrimonio o fuori dal matrimonio. Pertanto risulta ovvio che almeno alcuni aspetti della formazione sociale «convivenze di fatto» vengano (eventualmente) disciplinati utilizzando la disciplina già predisposta dall’ordinamento giuridico per la famiglia fondata sul matrimonio.
La scelta tra normativa di tutela e regime opzionale
Posto, quindi, che le norme di riferimento devono - o, almeno, possono - essere (una parte di) quelle dettate per il matrimonio, occorre compiere una scelta di fondo, scelta della quale non sembra essere stato del tutto consapevole il legislatore in occasione della emanazione delle legge 76/2016. Seguendo l’esempio francese del Pacte civil de solidarité11, il legislatore può prevedere un regime opzionale, rispetto al matrimonio, al quale i conviventi accedono - se lo desiderano - mediante un atto di volontà. In altri
34 termini, l’ordinamento giuridico pone a disposizione degli interessati non uno - il matrimonio - ma due modelli di regolamentazione del rapporto12. Il secondo può essere definito matrimonio light o in
altro modo, ma in ogni caso rappresenta un regime alternativo, più elastico, che determina minori diritti ed obblighi, idoneo comunque a garantire la disciplina (minima) del rapporto, richiesta dalla coppia (nel caso dei Pacs eterosessuale o omosessuale)13.
Diversa è la soluzione quando l’ordinamento giuridico non mette a disposizione un regime opzionale bensì prevede una serie di norme, in genere di natura cogente, che hanno il fine di tutelare i conviventi o, a volte, uno dei conviventi ricorrendo determinate fattispecie. Così, la legge, può stabilire che i conviventi (o il convivente) godono di specifiche prerogative, che possono riguardare aspetti personali (ad es. visita in ospedale o in penitenziario) o economici (ad es. diritto agli alimenti o al riconoscimento del lavoro prestato nell’impresa familiare). In questi casi la normativa di tutela trova applicazione sulla base del fatto della convivenza, prescindendo cioè da un atto di volontà degli interessati. La
convivente»; l’art. 5, L. 19 febbraio 2004, n. 40, in materia di procreazione medicalmente assistita, con riferimento ai requisiti soggettivi di accesso alle tecniche, indica semplicemente «coppie di maggiorenni di sesso diverso coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi».
9 Secondo l’insegnamento, in primo luogo, di X. XXXXXXXX, Persona e comunità, Bologna, 1966.
10 Sulle ragioni che negli ultimi decenni hanno
determinato un crescente interesse per la convivenza, v.
X. XXXXX, I modelli di famiglia e di convivenza, cit., p. 223 e ss.
11 Cfr. La legge francese sul Pacs: il testo, in Riv. crit. dir. priv., 2000, 151 ss. Di recente, sulla «institutionnalisation du Pacs», v. X. XXXXX - XXXXXXX, «La privatisation du droit de la famille en France. Perspectives comparatives», in Rev. int. dr. comp., 2016, p. 405 e ss., spec. p. 418 e ss.
12 Si noti che in base alla disciplina dei Pacs - come secondo la legge italiana 76/2016 - è richiesto lo stato libero dei conviventi.
13 Per alcuni esempi di regolamentazione, v. l’approfondita disamina di X. XXXXX, «Paarbeziehungensregime jenseits der Ehe», in AcP 216 (2016), p. 609 e ss., spec.
p. 629 e ss.
Le convivenze “di fatto” tra normativa di tutela e regime opzionale
legge, seguendo questo modello, deve stabilire quali sono i presupposti di rilevanza della convivenza (stabilità, coabitazione, durata minima, etc.) e la normativa trova applicazione pur in assenza di una manifestazione di volontà dei conviventi e addirittura anche contro la volontà di uno di essi: si pensi alla tutela del lavoro prestato oppure al diritto agli alimenti.
In definitiva, si tratta di due diverse tecniche di attribuzione di rilevanza al fenomeno, ciascuna di esse presenta vantaggi e svantaggi, ma occorre chiarezza sulla strada intrapresa. Nell’ordinamento giuridico italiano fino all’approvazione della legge 76/2016 si è proceduto con interventi episodici, legati alle esigenze del momento e delle singole problematiche, movendo comunque dal fatto della convivenza e dalle specifiche esigenze di tutela. La nuova legge - pur lacunosa - ha indubbiamente l’ambizione e il fine di disciplinare la materia in modo organico rappresentando il frutto di una piena e consapevole accettazione a livello sociale e politico del fenomeno delle convivenze.
Il fenomeno della famiglia di fatto, rispetto a quello della famiglia basata sul matrimonio si differenzia, pertanto, sotto il profilo della quantità e della sistematicità delle norme ad esso dedicate. I rapporti tra i conviventi di fatto sono anzitutto sottoposti alle norme che si dirigono a tutti i consociati e, in particolare ai consociati che vivono una forma associativa. Sono inoltre disciplinati da alcune norme specifiche, tra cui quelle contenute nella legge in esame. Ai suddetti rapporti, viceversa, non trovano applicazione altre norme dedicate esclusivamente ai soggetti che si trovano in una determinata e diversa situazione (es. coniugio)14.
La mancanza di chiarezza riscontrabile nella legge italiana 76/2016 e il dibattito sulla natura dell’iscrizione all’anagrafe
Una sufficiente chiarezza circa la scelta di fondo prima indicata non si riscontra tuttavia neanche nel nuovo testo normativo, come sembra confermato dal dibattito che si è sviluppato su uno dei punti 35
di maggiore rilevanza. L’art. 1, comma 37, prevede infatti l’iscrizione all’anagrafe dei conviventi e si
discute se a tale iscrizione debba riconoscersi carattere “costitutivo” della convivenza oppure se si tratti di un mero indice probatorio della sua esistenza.
Prima di affrontare il problema e di indicare la soluzione che si ritiene corretta, occorre rilevare che gli stessi protagonisti del suddetto dibattito non hanno messo in luce le conseguenze dell’adesione ad una tesi o all’altra.
Precisamente, se si aderisce all’opinione secondo cui l’iscrizione all’anagrafe presenta carattere costitutivo della convivenza15, (tutta) la nuova disciplina acquista il carattere di un regime opzionale, che trova applicazione a seguito di una dichiarazione di volontà degli interessati: la suddetta iscrizione. Se invece si segue la seconda tesi, largamente prevalente in dottrina16, e già accolta in giurisprudenza17,
14 Come è stato osservato (X. XXX, Between Authority and Interpretation, in Rechtstheorie, a cura di Xxxxxxxxx, Xxxxxxxx, Xxxxxx, I, Tübingen, 2015, p. 115), la norma giuridica determina quale tipo di condotta è appropriato nei rapporti tra i consociati. Alcune norme si riferiscono in modo particolare ai rapporti tra determinati soggetti, ad esempio tra genitori e figli, contribuendo a caratterizzare la loro relazione, ma in ogni caso il precetto giuridico non determina tutti gli aspetti del rapporto, in parte configurato dagli stessi soggetti.
15 In questo senso, tra gli altri, M.C. XXXXX, X. XXXXXXXXX, X. XXXXXXXX, Relazioni svolte all’incontro di studio “Unioni civili e convivenze”, Scuola Superiore della Magistratura, Aiaf Lombardia, Camera
Civile di Brescia, Rezzato, 11 ottobre 2016.
16 V., tra gli altri, X. XXXXXXXXX, «Unioni civili e convivenze», in Fam. e dir., 2016, p. 859 e ss., 866; X. XXXXX, La disciplina delle convivenze di fatto omo e eteroaffettive, in X. XXXXX, X. XXXXXXXX, X. XXXXXX, X. MECENATE, X. XXXXXX, La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze, Torino, 2016, p. 189.
17 Cfr. Trib. Milano, ord. 31 maggio 2016, in www. Il caso. it, secondo cui «la definizione normativa che il legislatore ha introdotto per i conviventi è scevra da ogni riferimento ad adempimenti formali»; la dichiarazione anagrafica
«è richiesta dalla legge 76/2016 per l’accertamento della stabile convivenza … cioè per la verifica di uno dei requisiti costitutivi ma non anche per appurarne l’effettiva
X. Xxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
la disciplina non rappresenta un regime opzionale ma una normativa di tutela che deve essere applicata quando sussistono i presupposti indicati.
Peraltro, la consapevolezza delle conseguenze del significato da attribuire all’art. 1, comma 37, aiuta nella sua interpretazione. Il problema, infatti, non è (soltanto) quello di attribuire certezza ad una situazione attraverso un atto formale; trattandosi, in primo luogo, di individuare il corretto significato della nuova disciplina, riconoscendo la natura di regime opzionale rispetto al matrimonio, oppure quello di normativa di tutela che prescinde da un atto di volontà (indispensabile nel caso del matrimonio e dei Pacs) e trova applicazione sulla base del fatto (convivenza).
La normativa di tutela di cui all’art. 1, commi 36-49
Diversi elementi inducono a ritenere che sia esatta la seconda soluzione, ma ciò soltanto per quanto riguarda l’art. 1, commi 36-49 (nonché, come si vedrà, il comma 65). Posto, infatti, che la definizione di “conviventi di fatto”, di cui all’art. 1, comma 36 si riferisce - per espressa previsione dello stesso comma - a tutte le disposizioni successive, e ad essa occorre attribuire la funzione di delimitare l’ambito della fattispecie, l’art. 1, comma 37, stabilisce che «ferma restando la sussistenza dei presupposti» di cui al comma precedente, «per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica …» e pertanto alla suddetta dichiarazione non può attribuirsi altra natura e funzione se non quella probatoria, poiché essa, in mancanza dei presupposti previsti e cioè degli stabili «legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale», per fermarci a quelli di ordine positivo, non potrebbe determinare la configurabilità della fattispecie. Da ciò consegue inoltre che può ben sussistere una convivenza di fatto, ai sensi della normativa in esame, pur in mancanza della suddetta iscrizione se ricorrono i richiesti presupposti di ordine positivo e negativo18.
36 I commi 38-49 nonché il comma 65 prevedono una serie di diritti dei conviventi o di un convivente, eventualmente nei confronti dell’altro che trovano fondamento unicamente nella sussistenza
dei presupposti di cui al comma 36, cioè nel fatto della convivenza stabile. Così, i commi 38 e 39 attribuiscono ai conviventi di fatto gli stessi diritti previsti per i coniugi nelle ipotesi disciplinate dall’ordinamento penitenziario oppure in caso di malattia o di ricovero19; il comma 40, con disposizione moderna e innovativa, attribuisce al convivente di fatto la possibilità di designare l’altro suo rappresentante con poteri pieni o limitati in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute, e in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie; ed il comma 48 prevede la possibilità, invero in parte già disciplinata dalla legge, che il convivente di fatto venga nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno; il comma 42, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, attribuisce al convivente di fatto superstite il diritto di continuare ad abitare nella stessa per un certo periodo di tempo; il comma 44 nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza attribuisce al convivente di fatto il diritto (la norma parla di facoltà) di succedergli nel contratto; il comma 45 equipara la convivenza di fatto all’appartenenza ad un nucleo familiare per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare; il comma 46 attribuisce determinati diritti al convivente di fatto che ha prestato stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente; ed infine il comma 49 disciplina, invero in modo parziale,
esistenza fattuale».
18 Cfr. X. XXXXXXXX, «La convivenza di fatto. Nozione, presupposti, costituzione e cessazione», in Fam. e dir., 2016,
p. 919 e ss., p. 927. In senso analogo X. XXXXXXXX,
«Navigando nell’arcipelago familiare. Itaca non c’è», in
Riv. dir. civ., 2016, p. 1306 e ss., p. 1312, il quale tuttavia
ritiene che la dichiarazione anagrafica, mera dichiarazione di scienza e non atto negoziale, sia obbligatoria.
19 Correttamente, si ritiene che siffatti diritti debbano essere garantiti a tutti i conviventi more uxorio, anche in mancanza dei requisiti di cui alla legge in esame: cfr. X. XXXXXXXXX, op. cit., p. 867.
X. Xxxxx
Le convivenze “di fatto” tra normativa di tutela e regime opzionale
la fattispecie dell’illecito, stabilendo che in caso di decesso del convivente di fatto, derivante dall’illecito di un terzo, per stabilire il danno risarcibile al convivente superstite, si applicano i medesimi criteri utilizzati per il risarcimento del danno al coniuge superstite20.
In tutte le ipotesi sopra brevemente elencate, la normativa di tutela dei conviventi o del convivente - eventualmente nei confronti dell’altro - si applica sulla base del fatto, cioè di una convivenza che presenti le caratteristiche indicate dalla legge, a prescindere da una dichiarazione di volontà dei conviventi ed anzi anche contro la volontà di (uno di) essi. La soluzione, per quanto concerne le fattispecie disciplinate nei commi sopra indicati, segue pertanto la scelta di fondo operata in occasione di tutti gli interventi (episodici) del legislatore negli anni recenti, che peraltro possono considerarsi ancora in vigore, in particolare con riguardo alle convivenze di fatto che non presentano le caratteristiche indicate dalla legge in esame, ad esempio per quanto concerne lo stato libero dei conviventi21.
Trattandosi di una normativa di tutela anche (e per certi aspetti esclusivamente) di un convivente nei confronti dell’altro, fondata sul fatto della convivenza, che presenti le caratteristiche previste, non sembrano condivisibili le posizioni dottrinali che ammettono la possibilità per i conviventi di escluderne l’applicazione22. Proprio perché la legge non richiede alcuna forma di adesione degli interessati, appare ben difficile ipotizzare che, ricorrendo i presupposti relativi alla convivenza di cui alla legge in esame, ad esempio, possa non trovare applicazione la norma di cui al comma 46, che ha introdotto l’art. 230-ter, al fine di tutelare il convivente di fatto che ha prestato la propria opera lavorativa (senza ricevere alcun corrispettivo) all’interno dell’impresa dell’altro convivente, sia pure in un’ipotesi in cui i conviventi abbiano espressamente escluso l’applicabilità della suddetta disciplina.
Il regime opzionale di cui all’art. 1, commi 50-64.
Dopo il gruppo di norme che trovano applicazione sulla base del fatto (la convivenza stabile), e quindi 37
a prescindere da una dichiarazione negoziale degli interessati ed anzi anche contro la volontà di (uno
di) essi, il legislatore - più o meno consapevolmente - ha altresì predisposto un regime opzionale, al quale gli interessati possono accedere stipulando il contratto di convivenza di cui all’art. 1 comma 50, posto che sussistano i presupposti di cui al comma 3623.
Seguendo la lettura che si propone, si perviene pertanto alla conclusione secondo cui la legge italiana offre in materia di convivenze una disciplina tendenzialmente completa, che in primo luogo attribuisce rilevanza alla convivenza, purché caratterizzata dai requisiti indicati, garantendo una tutela minima per una serie di situazioni ai “conviventi di fatto”, così definiti perché non rileva un atto di volontà ai fini dell’applicazione della disciplina. Al primo gruppo di norme, segue un vero e proprio regime opzionale (al matrimonio o all’unione civile) basato - come ad esempio avviene in Francia con i Pacs -
20 Per quanto riguarda invece l’illecito all’interno della famiglia, un opportuno richiamo all’art. 342-ter x.x., xxxxxxxxxx xxxxx xxxxx x. 000/0000, misure contro la violenza nelle relazioni familiari, che equipara le posizioni del coniuge e del convivente, in caso di condotta pregiudizievole, ai fini dell’emanazione degli ordini di protezione, tra cui l’allontanamento dalla casa familiare, è presente in X. XXXXXXXXX, «Dal concubinato alle unioni civili e alle convivenze (o famiglie?) di fatto», in Fam. e dir., 2016, p. 868 e ss., p. 873.
21 Coesistono pertanto due normative di tutela:
quella costituita da tutte le disposizioni (di origine giurisprudenziale e legislativa) che hanno preceduto la legge 76/2016, applicabili sulla base della ricorrenza
dei presupposti di volta in volta richiesti, e quella predisposta dalla nuova legge, applicabile soltanto per le convivenze di fatto che presentano le caratteristiche richieste.
22 Cfr., in tal senso, tra gli altri, X. XXXXXXXX, «La successione mortis causa della persona “unita civilmente”, e del convivente di fatto», in Fam. e dir., 2016, p. 980 e ss., p. 989.
23 Sul punto v. X. XX XXXX, «I contratti di convivenza», in Nuove l. civ. comm., 2016, p. 694 e ss., p. 696: secondo cui non è il contratto «ad essere costitutivo del rapporto ma è sul contratto che, presupposto il rapporto (fondato a sua volta sul fatto della convivenza), si fonda la (possibile) regolamentazione dell’àmbito patrimoniale».
X. Xxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
su un atto di volontà degli interessati che decidono di stipulare il contratto di convivenza.
Molteplici argomenti - ad avviso di chi scrive - sorreggono l’interpretazione proposta. Anzitutto, nella seconda fattispecie, a ben vedere, la convivenza - con i requisiti di cui al comma 36 - non rileva (soltanto) quale presupposto per l’applicazione delle norme di cui ai commi 51-64 bensì la sua mancanza come ipotesi di “nullità insanabile” del contratto (comma 57, b), che risulta privo di causa concreta se le parti non convivono. Ancora, il comma 57 prevede la nullità insanabile nel caso (tra l’altro) di presenza di un vincolo matrimoniale, di un’unione civile o di un altro contratto di convivenza24.
Dal punto di vista letterale, inoltre, appare decisivo che l’espressione conviventi “di fatto”, presente nei commi precedentemente esaminati, relativi alla normativa di tutela, ricorre ancora nel comma 50, cioè nella norma, che segna il passaggio al secondo gruppo di commi, ove è previsto che i conviventi possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune mediante un contratto di convivenza. L’espressione conviventi “di fatto” - o convivenza “di fatto” - non è invece mai utilizzata nei commi 51-64, indice inequivocabile che non si tratta di una normativa di tutela basata su un mero fatto, bensì di una vera e propria disciplina opzionale, la cui applicazione dipende da un atto di volontà dei conviventi. Si consideri, ad esempio, il comma 52, ove si fa riferimento al «comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe», al quale «il professionista che ha ricevuto l’atto in forma pubblica o che ne ha autenticata la sottoscrizione … deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmettere copia»25, oppure i commi 53 e 56 ove si parla di “parte” o di “parti” del contratto. In definitiva, i commi 51-64 non disciplinano situazioni attinenti a conviventi “di fatto” bensì i rapporti di conviventi che hanno deciso di utilizzare il nuovo contratto introdotto nell’ordinamento giuridico italiano con la legge 76/201626. Così come non si può parlare di un rapporto di lavoro di fatto se è stato stipulato un (valido) contratto di lavoro, non può parlarsi di conviventi di fatto o di convivenza di fatto se la fattispecie è disciplinata dal (nuovo) contratto messo a disposizione dei conviventi dalla
38 legge27. Sotto tale profilo deve apprezzarsi il rigore terminologico e la coerenza della nuova normativa. Non sembrano pertanto del tutto condivisibili le osservazioni critiche rivolte alla legge in esame da
numerosi autori per quanto concerne l’uso dell’espressione “conviventi di fatto”28. Essa si riferisce, infatti, unicamente ai casi in cui la legge trova applicazione sulla base del fatto “convivenza”, mentre il legislatore ha accuratamente evitato l’uso della suddetta espressione nei casi in cui gli interessati abbiano stipulato un contrato di convivenza, operando in tal modo mediante un atto di volontà una scelta favorevole al regime opzionale di cui ai commi 50-64, che consente di disciplinare i loro rapporti patrimoniali, ferma restando la tutela garantita dai commi 36-49 per le fattispecie da queste norme prese in considerazione.
24 Per una interpretazione non letterale del comma 57 in connessione con il comma 36, v. G. VILLA, «Il contratto di convivenza nella legge sulle unioni civili», in Riv. dir. civ., 2016, p. 1319 e ss., p. 1335 e ss.
25 Concorde la critica della dottrina circa l’insufficienza del suddetto sistema di “opponibilità”, posto che i registri anagrafici presso i quali deve iscriversi il contratto di convivenza svolgono prevalentemente funzioni statistiche e amministrative essendo destinati dal D.P.R., 30 maggio 1989, n. 223 a raccogliere le iscrizioni riguardanti la popolazione residente: cfr., tra gli altri, X. XXXXXXX,
«Disciplina delle unioni non fondate sul matrimonio: evoluzione o morte della famiglia? », in Nuove l. civ. comm., 2016, p. 367 e ss., 397; DI XXXX, op. cit., p. 702.
26 Il Ministero dell’interno, come previsto dalla legge in esame, in data 1 giugno 2016 ha emanato la circolare
n. 7, la quale stabilisce che, in base alle (richiamate) disposizioni rilevanti della legge 76/2016, l’attività degli uffici dell’anagrafe avrà ad oggetto l’iscrizione delle convivenze di fatto, la registrazione dell’eventuale contratto di convivenza e il rilascio delle relative certificazioni. L’iscrizione della convivenza di fatto risulta quindi necessaria quando si aderisce al regime opzionale e si stipula un contratto di convivenza.
27 Nel senso che si tratti di un nuovo contratto tipico, v. tra gli altri X. XXXXXX, «La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali ed il contratto di convivenza», in Fam. e dir., 2016, p. 943 e ss., p. 946. Sulla natura del contratto v. già X. XXXXXXXX, «Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale», in Giust. civ., 2014, p. 133 e ss., p. 146.
28 Cfr., tra gli altri, M. SESTA, Manuale di diritto di famiglia, 7ª ed., Padova, 2016, p. 227.
X. Xxxxx
Le convivenze “di fatto” tra normativa di tutela e regime opzionale
Nell’ambito del regime opzionale ben si spiega, tra l’altro, la norma di cui al comma 53, che indica il possibile contenuto del contratto di convivenza, secondo il modello del regime matrimoniale: così per quanto riguarda le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo (cfr. art. 143, comma 3, c.c.), oppure alla scelta del regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del libro primo del codice civile. Xxx si spiega, inoltre, la disposizione - già ricordata - di cui al comma 52, secondo cui, ai fini dell’opponibilità ai terzi, il professionista che ha ricevuto l’atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione ai sensi del comma 51 deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmettere copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe. Si tratta infatti di una forma di pubblicità, sia pure non del tutto idonea a rendere nota l’esistenza del regime opzionale di convivenza.
Poco coerente, soprattutto nell’ottica di un vero e proprio regime opzionale, l’assenza di una disciplina degli aspetti successori29, almeno sul piano contrattuale: come è stato osservato, l’occasione sarebbe stata propizia per prevedere una deroga al divieto di stipulare patti successori di cui all’art. 458 c.c.30
La normativa di tutela, in tema di alimenti, di cui all’art. 1, comma 65
Alcune brevi considerazioni si impongono, infine, per quanto concerne, il comma 65, l’ultimo che disciplina le convivenze, prescindendo dai commi destinati agli aspetti finanziari e di bilancio. In questo caso, infatti, ricompare l’espressione “convivenza di fatto”, con riferimento alla sua cessazione, e si prevede il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. La scelta terminologica non appare casuale, poiché ritornando ad attribuire rilevanza al mero “fatto” della convivenza il legislatore
- ad avviso di chi scrive - ha inteso attribuire carattere inderogabile alla norma relativa all’obbligo 39
alimentare: qualsiasi accordo stipulato nel contratto di convivenza non può far venire meno la tutela
in esame se sussistono le caratteristiche della convivenza stabile indicate dalla legge nell’art. 1, comma 36.
Nella fase immediatamente precedente all’approvazione della legge è stata invece eliminata la previsione di un obbligo di mantenimento. Si tratta di una scelta da condividere perché un siffatto obbligo avrebbe rappresentato una limitazione eccessiva della libertà degli interessati di scegliere modalità di vita comune che non comportino la nascita di gravosi obblighi reciproci31. A ciò deve aggiungersi che l’obbligo di mantenimento ha conosciuto profonde limitazioni in tutti i paesi europei già con riferimento ai coniugi, essendosi affermata l’idea dell’ “autoresponsabilità”, per cui - a prescindere da particolari situazioni legate ad es. alla malattia o all’età avanzata - ciascuno degli ex coniugi deve provvedere in modo autonomo al proprio mantenimento dopo la fine del rapporto. L’obbligazione alimentare tra ex conviventi rappresenta invece un equilibrato riconoscimento della rilevanza della convivenza, soprattutto alla luce della previsione di un termine finale, posto che gli
29 In caso di morte di un convivente di fatto il comma 42 prevede soltanto il diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza, nel caso in cui il defunto ne fosse proprietario, per due anni o per un periodo pari alla convivenza, in caso di durata superiore a due anni, ma comunque non oltre un quinquennio. Inoltre il comma 44 prevede il diritto di succedere nel contratto per la locazione della casa di comune residenza. In argomento v. X. XXXXXXXX, «Il regime successorio delle unioni civili e delle convivenze», in Giur. it., 2016,
p. 1817 e ss.
30 Cfr. X. XXXXXX, «“Unioni civili tra persone dello stesso sesso” e “convivenze”: il non facile ruolo che la nuova legge affida all’interprete», in Corr. giur., 2016,
p. 893 e ss., p. 902; X. XXXXXXX, «Nuove norme sui contratti di convivenza: una disciplina parziale e deludente», in Xxxxxxxxxxxxxxx.xxx, 2016, 6, p. 13 e ss.
31 In questo senso X. XXXXX, «Convivenze di fatto. Gli effetti: diritti e doveri», in Fam. e dir., 2016, p. 931 e ss., p. 938.
X. Xxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
alimenti devono essere assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza (comma 65, seconda frase).
Convivenze e presunzione di legittimità dei figli
La nuova normativa sulle convivenze in connessione con quella, di poco più antica, che ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano lo stato unico dei figli, induce a chiedersi se la presunzione di legittimità dei figli nati da una coppia unita in matrimonio (art. 231 e ss. c.c.) non debba estendersi anche a favore dei figli nati in costanza di una convivenza di persone eterosessuali che presenti i requisiti previsti dal comma 36, cioè nel caso in cui ricorrano stabili legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, quindi di una formazione sociale che, al di là della prudenza terminologica del legislatore, rappresenta una famiglia32.
La questione ha invero dato vita ad un primo dibattito, ritenendosi da alcuni che sia ormai necessaria l’unificazione delle regole di accertamento della filiazione33, mentre altra dottrina sostiene che sia il matrimonio dei genitori a giustificare l’attribuzione automatica dello stato di figlio dei coniugi, alla luce dell’obbligo reciproco di fedeltà previsto dall’art. 143 c.c., che consente di stabilire la presunzione di paternità di cui all’art. 231 c.c.34 E, si noti, perfino la dottrina che ha autorevolmente ispirato e guidato la riforma della filiazione sostiene che l’affermazione dell’unicità dello status, stabilita dall’art. 315 c.c. e l’attribuzione degli stessi diritti ai tutti i figli non comporta una totale equiparazione, ritenendosi giustificati trattamenti diversi alla luce del principio di eguaglianza sostanziale e della ragionevolezza. I diversi criteri di accertamento non determinerebbero quindi discriminazioni essendo giustificati dalla «diversità insita nella distinzione tra filiazione all’interno o fuori del matrimonio»35.
Ad avviso di chi scrive, il problema deve essere affrontato movendo anzitutto dal principio dell’unicità
40 dello stato di figlio e quindi dell’eguaglianza di tutti i figli. Unicità dello stato e eguaglianza determinano già dei dubbi circa l’ammissibilità di una diversa disciplina che si vorrebbe giustificata da
una situazione che non riguarda i figli bensì i genitori. Ma, a parte questo rilievo, non sembrano del tutto corrette le argomentazioni che portano a considerare ammissibile la presunzione di legittimità soltanto nel caso di figli nati all’interno del matrimonio. A giustificare la presunzione sarebbe infatti l’obbligo di fedeltà, previsto nel caso del matrimonio e non invece nel caso della convivenza. Tuttavia, a prescindere dal ridotto significato sociale che oggi viene attribuito al suddetto obbligo36, esso - se inteso nel significato più moderno e attuale di lealtà reciproca - sembra discendere dalla previsione del comma 36, secondo cui i conviventi sono persone unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale. Si consideri inoltre, che tradizionalmente non è stato l’obbligo di fedeltà il fatto che ha giustificato la presunzione di legittimità, bensì la coabitazione37. Non rileva quindi l’obbligo di fedeltà, che ovviamente sussiste anche se i coniugi non coabitano, ma il fatto della coabitazione per fondare la presunzione di legittimità di cui all’art. 232 c.c. Anche nel
32 Sulla configurabilità di una famiglia concordano i contributi più meditati: cfr., ad es., X. XXXXXXX, op. cit.,
p. 398 e ss.
33 X. XXXXX, «La sedicente riforma della filiazione», in
Nuove l. civ. comm., 2013, p. 201.
34 M. XXXXX, «L’accertamento dello stato di figlio dopo il decreto legislativo n. 154/2013», in Fam. e dir., 2014, p. 454.
35 X. XXXXXX, «Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico», in La riforma del diritto della filiazione, a cura di
C.M. Xxxxxx, XX, in Nuove l. civ. comm., 2013, p. 518 e ss.
36 Una recente proposta di legge della Senatrice Xxxxx Xxxxxxx (Partito democratico), attualmente al vaglio della commissione giustizia del Senato, ne prevede addirittura la soppressione.
37 Nel senso che fedeltà reciproca e coabitazione rappresentano criteri di riconoscibilità delle convivenze, quali tratti identificativi che devono desumersi dal modello matrimoniale, v. S. DELLE MONACHE, «Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale (Alle soglie della regolamentazione normativa delle unioni di fatto) », in Riv. dir. civ., 2015, p. 944 e ss., p. 951.
X. Xxxxx
Le convivenze “di fatto” tra normativa di tutela e regime opzionale
caso della convivenza, la coabitazione38 giustifica quindi - e ne costituisce la base - la presunzione di legittimità. Rimane da valutare se sia preferibile un’applicazione analogica degli art. 231 e ss. oppure la costruzione di una presunzione semplice di cui all’art. 2729 c.c. Ma, in ogni caso, risulta corretta la concisa affermazione secondo cui «il problema non è tanto quello di cancellare le presunzioni» (per realizzare la parità di trattamento), «ma di estenderne la portata là dove vi siano uguali presupposti»39.
41
38 Da intendersi peraltro quale coabitazione “abituale”, cioè con possibili intervalli dovuti ad esigenze di lavoro o personali.
Sulla questione v. C. BONA, La disciplina delle convivenze, in C. XXXX, X. XXXXXXX, X. XXXXXXXX, I.
XXXXXXXX, X. X. PIPPONZI, A. ZEN, Unioni civili e
convivenze, 2016, p. 137 e ss.
39 Così Mir. XXXXXX, L’unicità dello stato di figlio, in La riforma della filiazione, a cura di C.M. Bianca, Padova, 2015, p. 15.
X. Xxxxx
Il regime successorio delle unioni civili e nelle convivenze
di Xxxxx Xxxxxxxx
Ordinario di Diritto civile, Università di Trieste
Osservazioni introduttive
La disciplina dedicata alle unioni civili tra persone dello stesso sesso e alle convivenze di fatto abbraccia anche il regime successorio e ripropone, pure in questo più limitato ambito, una profonda contrapposizione tra gli effetti propri all’uno o all’altro legame.
Su un piano metodologico non sorprende la strada preferita dal legislatore: corrisponde, invero, a nozione oramai consolidata il rilievo che tutte le più rilevanti riforme del diritto di famiglia devono toccare anche i trattamenti successori, sì da raggiungere un punto di equilibrio normativo, il quale tenga in conto i reciproci riflessi che i due plessi normativi naturalmente registrano.
Nel merito, l’intervento del legislatore è ispirato a due principi radicalmente divergenti: per le unioni civili, l’estensione sostanzialmente lineare della disciplina dedicata al coniuge superstite; per le convivenze, l’individuazione di alcune rarefatte figure di nuove vocazioni anomale legali.
La scelta così operata ha privilegiato la continuità normativa rispetto al diritto positivo vigente e ha preferito la rinuncia a soluzioni innovative.
Al riguardo, l’interprete non può non manifestare rammarico, perché il legislatore ha perso l’occasione di iniziare ad intervenire su un assetto normativo, qual è quello successorio, oggettivamente in crisi per una molteplicità di ragioni, che possono riassumersi nel crescente iato tra società civile odierna e assetti familiari postulati dai regimi successori legali.
42 In altre parole, il legislatore ha perso l’opportunità per intervenire, ad esempio, sulla successione
necessaria - oggi troppo invadente -, tuttora incisiva sul piano quantitativo e qualitativo, o sul divieto dei patti successori - oggi in crisi anche nelle declinazioni pratiche -, tuttora chiamato ad aprire il libro secondo del codice civile.
Le (articolate) soluzioni prefigurate da alcuni disegni di legge
Al di là dei modelli che altri ordinamenti conoscono, lo stesso Parlamento italiano si era mostrato sensibile verso strade diverse, innovative rispetto all’assetto successorio tradizionale, dove al rapporto coniugale è assicurata primazia assoluta e dove la convivenza era relegata ad una condizione di assoluta marginalità.
Il disegno di legge 2069 (Senato) immaginava la figura unica delle “unioni registrate”, che regolava ogni forma di convivenza, indipendentemente dal sesso, diverso o comune, delle parti.
Ora, questo disegno di legge spezzava il parallelismo fra successioni legittime e successioni necessarie, che oggi impronta il diritto vigente. Da un lato, nelle successioni legittime (art. 11, comma 1) «alla persona unita in unione registrata con il defunto (erano) riconosciuti i diritti spettanti al coniuge del defunto». D’altro lato, mancava l’attribuzione alla persona unita in unione registrata della qualità di legittimario, perché (art. 11, comma 2) le erano riservati soltanto «i diritti di abitazione nella casa adibita a residenza della coppia e di uso sui beni mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni».
* Il presente contributo muove dal precedente studio «Il regime successorio delle unioni civili e delle convivenze»,
in Giur. it., 2016.
Il regime successorio delle unioni civili e nelle convivenze
La via prescelta da questo disegno di legge era oggettivamente interessante, perché contemperava il riconoscimento massimo all’autonomia testamentaria con la garanzia del diritto all’abitazione, rinunciando, però, agli strumenti tipici della tutela riservata ai legittimari, che implicano la rilevanza delle liberalità donative e l’esercizio dell’azione di riduzione.
Non meno interessante era il disegno di legge 2084 (Senato), dedicato alle unioni civili, intese come unioni di persone maggiorenni, anche dello stesso sesso. La disposizione dell’art. 15 attribuiva al superstite dell’unione civile soltanto la posizione di legatario, a condizione che l’unione civile si fosse protratta per almeno nove anni.
Più specificamente, quella disposizione riconosceva l’usufrutto su metà dell’eredità: la frazione scendeva a un quinto nel caso di concorso con più figli, ma risaliva a un quarto nel caso di concorso con un figlio e ad un terzo nel caso di concorso con altri chiamati.
In ogni caso, e salva una diversa disposizione convenzionale, al superstite dell’unione civile sarebbero spettati i diritti di abitazione e di uso previsti dall’attuale 540 c.c.
Al di là di ulteriori previsioni puntuali - sulla successione nel rapporto di locazione (art. 14) e sulla devoluzione dei diritti nascenti dal rapporto di lavoro subordinato (art. 20) - di nuovo la successione dei legittimari era trascurata a tutto vantaggio dell’autonomia testamentaria. Inoltre, si recuperava lo strumento, oggi desueto, dell’attribuzione di un legato nell’ambito della successione legittima.
Il regime successorio dell’unione civile
La legge appena entrata in vigore preferisce - quanto alle unioni civili - la via dell’equiparazione tra parte dell’unione civile e coniuge.
Il comma 21 opera, infatti, una serie di richiami indiscriminati alla disciplina dedicata alla successione
del coniuge. Così è, in particolare, per le regole sull’indegnità, ma soprattutto per tutte le norme, in 43
blocco, su tutela dei legittimari, successioni legittime, collazione e patto di famiglia.
In particolare, merita segnalare che trovano applicazione:
• la norma dell’art. 540, comma 2, c.c. sul diritto di abitazione della casa adibita a residenza familiare;
• tutte le norme sull’azione di riduzione;
• le norme sulla successione legittima del coniuge, comprese le norme di cui all’art. 584 c.c. sulla successione del coniuge putativo [in coerenza con il richiamo (cfr. comma 5) alle norme sul coniuge putativo (artt. 128, 129 e 129-bis c.c.)];
• le norme sulla collazione (art. 737 e ss. c.c.).
Non si applicano, però, alla parte dell’unione civile:
• le norme dell’art. 548 c.c. dedicata alla riserva in favore del coniuge separato e dell’art. 578 c.c. sulla successione legittima del coniuge separato;
• le norme degli artt. 566-580 c.c. sulla successione legittima dei parenti.
Inoltre, il comma 17 aggiunge che «in caso di morte del prestatore di lavoro, le indennità indicate dagli articoli 2118 e 2120 del codice civile devono corrispondersi anche alla parte dell’unione civile». Curiosamente, non viene richiamata la norma dell’art. 2122 c.c. su beneficiari e criteri di riparto di tali indennità in caso di morte del prestatore di lavoro. Non può, peraltro, negarsi l’applicazione di questa regola; con la precisazione che non vi sono affini, perché l’unione civile non genera un rapporto di tale natura.
Non è dubbio, poi, che la parte dell’unione civile goda, altresì, di tutte le vocazioni anomali già regolate da leggi speciali: la previsione del comma 20 - che equipara, al di fuori del codice civile, il termine coniuge alla locuzione parte dell’unione civile - consente di estendere proprio alle parti dell’unione civile tutti gli strumenti costruiti da norme puntuali. Così è, ad esempio, in materia di locazioni d’immobili urbani, per le norme degli artt. 6 e 37, L. 27 luglio 1978, n. 392. Così è per la successione nel rapporto con gli istituti autonomi case popolari (art. 12, D.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035). Così
X. Xxxxxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
è per tutti i trattamenti previdenziali e pensionistici riconosciuti al coniuge. Così, ancora, riterrei di intendere l’art. 49, L. 3 maggio 1992, n. 203, sui contratti agrari, anche se parla di “familiari”.
Conferma a questo rilievo viene dal rinvio espresso che il comma 25 fa alla disciplina sul divorzio, là dove richiama gli artt. 9-bis e 12-bis, L. 1° dicembre 1970, n. 898, i quali prevedono anche un assegno in favore dell’ex-coniuge e a carico dell’eredità, ove il defunto fosse obbligato a corrispondere un assegno postmatrimoniale; nonché là dove richiama l’art. 9 - in particolare i commi da 2 a 4 -, sulla pensione di reversibilità.
Con una formula di sintesi può dirsi che l’ambito dei soggetti chiamati alla successione viene allargato grazie alla piena equiparazione della parte dell’unione civile al coniuge superstite, con l’unica precisazione che non trovano applicazione le norme sul coniuge separato, mentre hanno modo di operare quelle dedicate all’ex-coniuge divorziato.
Questa equiparazione vale, ovviamente, anche sul piano tributario, sicché la parte dell’unione civile gode dell’esenzione quantitativa e del trattamento impositivo previsti per il coniuge dall’attuale regime dettato per l’imposta sulle successioni (e sulle donazioni).
Il regime successorio nella convivenza di fatto
In caso di morte di un convivente di fatto, invece, la nuova legge prevede soltanto l’attribuzione di pochi, modesti, legati ex lege.
In primo luogo, con il comma 42, il diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza, ove il defunto ne fosse proprietario, per due anni o per un periodo pari alla convivenza, se superiore a due anni, ma comunque non oltre un quinquennio; ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune
44 residenza per un periodo non inferiore a tre anni. Tre sono i rilievi che meritano di essere segnalati:
• il presupposto per la nascita del diritto, integrato dalla proprietà dell’abitazione in capo al defunto;
• la natura del diritto, verosimilmente personale, com’è quello germinato dall’art. 337-sexies c.c.;
• la necessaria trascrivibilità (o annotabilità, in regime tavolare) del diritto, come già predica la norma dell’art. 337-sexies c.c., non a caso evocata in esordio al comma.
In secondo luogo, con il comma 44, il diritto di succedere nel contratto per la locazione della casa di comune residenza: soluzione, questa, che va confrontata con l’art. 6, L. 27 luglio 1978, n. 392. Invero, da un lato, essa offre il diritto anche al convivente omosessuale, in precedenza non espressamente tutelato. D’altro lato, essa trasforma una successione automatica - conformata come un legato ex lege
- in un mero diritto alla successione, oggetto di necessario esercizio per acquisire la prosecuzione del
rapporto.
La modestia di queste attribuzioni non è temperata dalla disciplina - dettata con il comma 65 - degli effetti patrimoniali in caso di scioglimento della convivenza di fatto: la norma riconosce soltanto il diritto agli alimenti in senso proprio, sicché essi sono dovuti soltanto dall’obbligato e non dai suoi eredi, come insegna la norma dell’art. 448 c.c., che prevede la cessazione dell’obbligo per morte dell’obbligato.
Né una risposta compiuta può venire dai contratti di convivenza, perché essi sono destinati a disciplinare - così dispone il comma 50 - «i rapporti patrimoniali relativi alla (loro) vita in comune» e hanno per oggetto - come insegna il comma 53 - le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, nonché il regime patrimoniale della comunione legale dei beni.
Non pare, in altre parole, corretto attribuire una funzione anche parasuccessoria a questi contratti, tenuta in conto la ristrettezza del richiamo (pur nella genericità della disposizione); anche se la previsione di un regime di comunione legale può offrire un parziale ombrello al convivente superstite, soprattutto ove si voglia allargare il contenuto di questi contratti sino ad abbracciare un regime di comunione convenzionale.
Il regime successorio delle unioni civili e nelle convivenze
Rilievo sostanzialmente nominalistico ha la regola di cui al comma 49, là dove prevede la parificazione del convivente al coniuge superstite nel caso di morte del convivente causata dal fatto illecito di un terzo. Si tratta, invero, della codificazione di un insegnamento costante della giurisprudenza, riflessa anche e per esempio nelle cosiddette tabelle milanesi per la liquidazione del danno.
Rilievo indiretto ha invece il nuovo art. 230-bis c.c. (cfr. comma 46), che estende - in modo parziale - i diritti già spettanti al collaboratore nell’impresa familiare.
La soluzione preferita dal legislatore resta, insomma, assai severa, soprattutto là dove centellina anche le vocazioni anomali legali, ad esempio in materia di locazione di immobili urbani, escludendone l’estensione alla locazione di immobili ad uso non abitativo oppure all’affitto di fondi rustici, del tutto ignorati dal legislatore.
Interessanti sono soltanto le norme sulle cosiddette disposizioni anticipate di trattamento. La norma del comma 40 consente a ciascun convivente di fatto di designare l’altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati per le decisioni in materia di salute nel caso di malattia. Qui merita ricordare le regole sulla forma: «scritta e autografa oppure, in caso di impossibilità di redigerla, alla presenza di un testimone».
Considerazioni conclusive
Conclusivamente, due sono i profili generali che meritano di essere sottolineati.
Intrinsecamente, la divaricazione tra i due regimi - che separano i regimi successori delle unioni civili da quelli sulle convivenze - è oggettivamente assai forte e suscita dubbi quantomeno sul piano della opportunità, se non sul piano della ragionevolezza.
Ma soprattutto, la legge da poco entrata in vigore manca di una vera spinta innovatrice: il legislatore
ha, xxxxxx, perso l’opportunità di avviare quella riforma di cui da molto tempo si sente il bisogno. 45
Forse la soluzione così preferita esalterà le contraddizioni che oggi percorrono il sistema e renderà
ancora più evidente l’insoddisfazione che le regole attuali suscitano.
E così forse il legislatore sarà costretto ad affrontare i problemi reali del diritto delle successioni in Italia, adesso ancora più ingessato che nel passato dall’ampliamento della platea dei legittimari nella perdurante vigenza del divieto dei patti successori.
X. Xxxxxxxx
La costituzione e registrazione dell’unione civile e l’accertamento della convivenza di fatto: certificati dello stato civile
e dell’anagrafe e opponibilità ai terzi
di Xxxxx Xxxxxxxxxx
Esperto A.N.U.S.C.A., Associazione nazionale degli Ufficiali di Stato civile e d’anagrafe
Il D.p.c.m. 144/2016 contenente le disposizioni transitorie necessarie per la tenuta dei registri nell’archivio dello stato civile ed il dm 28 luglio 2016 con le formule da utilizzare per la redazione degli atti, iscrizioni, trascrizioni ed annotazioni relative alle unioni civili, avevano dato avvio ufficialmente alla fase provvisoria dell’applicazione della legge 20 maggio 1976, n. 2016, consentendo la costituzione delle unioni civili nel nostro Paese: tale fase provvisoria avrebbe dovuto avere una durata di sei mesi, a norma dell’art. 1 comma 28 della stessa legge 76/2016. Successivamente, sono iniziati i lavori di predisposizione degli schemi dei decreti legislativi delegati previsti pure dallo stesso comma 281 che, su proposta del Ministro di giustizia, sono stati approvati con apposita deliberazione del 4/10/2016 del Consiglio dei Ministri, trasmessi in data 5/10/2016 ai due rami del Parlamento che, attraverso le competenti commissioni, dovranno emettere parere o proporre modifiche entro 60 giorni: tuttavia, poiché tale termine scade nei trenta giorni antecedenti alla scadenza dei sei mesi, a norma del comma 30 dell’art. 1 legge 76/2016 è prevista una proroga di altri tre mesi, quindi fino al 5/3/2017. Un volta ottenuti i pareri parlamentari, il Governo potrà conformarsi alle indicazioni delle commissioni oppure rimandare i testi con le proprie osservazioni e modifiche: entro 10 giorni le Commissioni
46 dovranno pronunciarsi ed i decreti, subito dopo, potranno essere adottati dal Governo, pubblicati in
G.U., entrando così, finalmente, nella fase definitiva e piena dell’applicazione della legge 76/2016. Pur non essendo ancora completato il suddetto iter, è possibile un primo esame degli schemi dei decreti all’esame del Parlamento, al fine di valutare la portata e l’impatto delle modifiche proposte, in particolare, al regolamento di stato civile.
Ufficiale di stato civile, registri, aspetti di carattere generale
La legge 76/2016 non aveva apportato alcuna modifica all’art. 1 del D.P.R. 396/2000, tanto che non sembravano sussistere dubbi sulla possibilità che l’ufficiale di stato civile delegato potesse procedere alla costituzione dell’unione civile. Qualche incertezza derivava dal c. 3 dello stesso articolo, che limitava la delega ai «consiglieri o assessori comunali o a cittadini italiani che hanno i requisiti per la elezione a consigliere comunale» alle ipotesi del giuramento di cittadinanza e della celebrazione del matrimonio, tanto da far ritenere che costoro non potessero procedere alla costituzione di unioni civili. Era stato il Consiglio di Stato a fornire chiarimenti indiretti, nel parere n. 01695/2016 del 21/7/2016, nella parte in cui affrontava il tema dell’obiezione di coscienza riferito alla procedura di
1 Nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) adeguamento alle previsioni della presente legge delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni;
b) modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l’applicazione della disciplina dell’unione civile tra persone dello stesso
sesso regolata dalle leggi italiane alle coppie formate da persone dello stesso sesso che abbiano contratto all’estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo;
c) modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la presente legge delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti.
La costituzione e registrazione dell’unione civile e l’accertamento della convivenza di fatto: certificati
dello stato civile e dell’anagrafe e opponibilità ai terzi
costituzione dell’unione civile, precisando che anche i componenti del Consiglio comunale potevano essere delegati quali ufficiali di stato civile per gli adempimenti di cui alla legge 76/2016, così come già avviene per la celebrazione dei matrimoni2. Questo orientamento del Consiglio di Stato, emerso quasi in via incidentale, aveva però aperto la possibilità di rilasciare alle ipotesi di costituzioni di unione civile le stesse deleghe già consentite per la celebrazione del matrimonio. Il decreto per l’adeguamento delle norme sull’ordinamento di stato civile, risolve qualsiasi dubbio aggiungendo direttamente al comma 3 la possibilità della delega a costituire unione civile, agli stessi soggetti che possono riceverla per la celebrazione dei matrimoni: chi ne era già titolare per i matrimoni civili non deve rinnovarla, mentre potrà essere rilasciata dal sindaco a coloro che ne erano sprovvisti e potranno così adempiere alla costituzione dell’unione civile.
La costituzione delle unioni civili avviene tramite iscrizione nel registro delle unioni civile che, dopo essere stato previsto come registro distinto dagli altri già nella fase provvisoria, viene confermato anche nella fase definitiva, come specifica tipologia di registro, suddiviso in parte I^ e parte II^, tanto da dover richiedere le necessarie modifiche pure al R.D. 9/7/1939 n. 1238 nella parte ancora in vigore. Viene estesa alle unioni civili la possibilità di costituzione all’estero, di fronte alla nostra autorità diplomatica o consolare, oppure dinanzi all’autorità locale secondo la legge del luogo: in quest’ultimo caso gli atti saranno trasmessi alla nostra autorità diplomatica o consolare per l’inoltro in Italia, all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza delle parti.
Viene integrato l’art. 19 del D.P.R. 396/2000, aggiungendo, al secondo comma, la possibilità che anche le unioni civili costituite tra cittadini stranieri, di fronte all’autorità diplomatica straniera in Italia, possano essere trascritte nei registri di stato civile del comune di residenza del cittadino straniero, sempre che ciò sia previsto da convenzioni internazionali vigenti con lo Stato al quale appartiene tale autorità consolare.
Vengono previste le annotazioni a margine degli atti di nascita relative alle vicende di costituzione
delle unioni civili, a partire dagli atti di costituzione e delle sentenze dalle quali risulti l’unione civile, 47
le sentenze che pronunciano la nullità o lo scioglimento dell’unione civile, gli accordi di negoziazione
assistita conclusi tra le parti dell’unione civile al fine di raggiungere una soluzione consensuale di scioglimento dell’unione civile, nonché gli accordi di scioglimento dell’unione civile conclusi tra le parti dinanzi all’ufficiale dello stato civile.
È stato previsto che nell’atto di morte si debba indicare il cognome della parte unita civilmente al defunto, come pure se il defunto era unito civilmente o se l’unione civile si era sciolta.
La registrazione degli atti delle unioni civili
Le modifiche più rilevanti riguardano principalmente tutti gli aspetti della registrazione delle unioni civili, dalla fase della richiesta, alla fase della costituzione, alle ipotesi particolari, agli adempimenti ordinari ed a quelli specifici.
Negli archivi dello stato civile viene prevista la registrazione delle unioni civili costituite dinanzi all’ufficiale dello stato civile, di quelle costituite fuori dalla casa comunale in situazioni di impossibilità di una delle parti, di quelle avvenute in imminente pericolo di vita, e di quelle costituite su delega dell’ufficiale di stato civile competente. Si iscrivono nel registro delle unioni civili, le costituzioni alle
2 «Del resto, è prassi ampiamente consolidata già per i matrimoni che le funzioni dell’ufficiale di stato civile possano essere svolte da persona a ciò delegata dal sindaco, ad esempio tra i componenti del consiglio comunale, sicché il problema della “coscienza individuale” del singolo ufficiale di stato civile, ai fini degli adempimenti
richiesti dalla legge n. 76/2016, può agevolmente risolversi senza porre in discussione - il che la legge non consentirebbe in alcun caso - il diritto fondamentale e assoluto della coppia omosessuale a costituirsi in unione civile». (Consiglio di Stato, Parere n. 01695/2016 del 21 luglio 2016).
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quali per la particolarità del caso non si adattano le formule stabilite, gli accordi di scioglimento dell’unione civile ricevuti dall’ufficiale dello stato civile, o di modifica delle condizioni di scioglimento, la manifestazione di volontà di scioglimento dell’unione civile, a norma dell’art. 1 comma 24 della legge 20 maggio 2016, n. 76, la dichiarazione con la quale le parti, dopo la costituzione dell’unione civile, dichiarano di voler assumere, per la durata dell’unione civile, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi o di anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso. Tutto questo avviene, come detto, tramite iscrizione nel registro delle unioni civili che si aggiunge ai registri già in uso di cittadinanza, nascita, matrimonio e morte: in sostanza, l’ufficiale dello stato civile provvede alla registrazione diretta degli atti relativi alle unioni civili e, qualora sussistano le condizioni, provvede a trasmettere copia di tali atti al comune competente per residenza di una o di entrambi le parti il quale, a suo volta, dovrà procedere alla trascrizione nella parte seconda del registro delle unioni civile, a norma dell’art. 12 comma 8 del D.P.R. 396/2000.
Le trascrizioni, dunque, riguarderanno le unioni civili costituite per delega da riportarsi nel registro
del comune di residenza delle parti, gli atti di costituzione di unione civile avvenuti in un comune scelto dalle parti, trasmessi all’ufficiale dello stato civile dei comuni di residenza delle parti, le unioni civili costituite all’estero e gli atti di matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrati all’estero che, a seguito della trascrizione, produrranno gli effetti dell’unione civile, gli atti di costituzione delle unioni civili avvenute in caso di imminente pericolo di vita di una delle parti dell’unione civile, a norma del codice della navigazione, le sentenze dalle quali risulti l’esistenza dell’unione civile, le sentenze di nullità o scioglimento di unioni civili pronunciate all’estero o di rettifica di unione civile già iscritta o trascritta, gli accordi di negoziazione assistita, conclusi tra le parti dell’unione civile al fine di una soluzione consensuale di scioglimento dell’unione o di modifica delle condizioni dello scioglimento. Nel caso le parti volessero costituire unione civile in altro comune, su delega dell’ufficiale dello stato civile al quale sia stata presentata apposita istanza, dovranno essere indicati i motivi di opportunità e
48 convenienza che sono alla base della richiesta.
Alla stessa stregua delle annotazioni che vengono apposte sugli atti di matrimonio, sono previste
una serie di annotazioni sugli atti di costituzione dell’unione civile: le convenzioni patrimoniali e le modifiche e gli aspetti collegati, la manifestazione di volontà di scioglimento dell’unione civile, le sentenze anche straniere di scioglimento o di nullità dell’unione civile, le convenzioni di negoziazione assistita per lo scioglimento consensuale dell’unione civile, gli accordi di scioglimento dell’unione civile formati dinanzi all’ufficiale di stato civile, le sentenze che dispongono l’annullamento della trascrizione dell’atto di unione civile, le sentenze dichiarative di assenza o di morte presenta di una delle parti, i provvedimenti di cambiamento del nome o cognome o di entrambi, i provvedimenti di rettificazione. Particolarmente rilevante la previsione che l’ufficiale dello stato civile, al momento della costituzione dell’unione civile, debba indossare la fascia tricolore, elemento che contraddistingue l’ufficialità e cerimonialità della situazione che viene posta in essere. Si tratta di un requisito formale che, pur senza introdurre nessuna forma di “celebrazione” - termine ancora totalmente bandito dal legislatore in tutte le disposizioni relative alle unioni civili - tuttavia denota una timida apertura verso un minimo di solennità ad un evento che viene sicuramente vissuto dalle parti in maniera molto importante e coinvolgente.
La procedura di richiesta e di costituzione dell’unione civile
Le modifiche più rilevanti, soprattutto in rapporto alla procedura provvisoria di cui al D.p.c.m. 144/2016, riguardano la fase della richiesta di costituzione a cura delle parti ed il momento dell’atto di costituzione: lo schema delineato avvicina maggiormente la fase della richiesta alla procedura delle pubblicazioni di matrimonio e la fase della costituzione alla celebrazione, senza tuttavia confondere i due istituti che restano sostanzialmente distinti.
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La richiesta di costituzione dell’unione civile viene presentata nel comune scelto dalle parti, dichiarando i propri dati anagrafici e l’insussistenza di impedimenti: l’ufficiale dello stato civile dovrà verificare quanto dichiarato, anche tramite acquisizione di documentazione necessaria per provare l’inesistenza di impedimenti. In base alla richiesta, l’ufficiale dello stato civile redige processo verbale contenente le dichiarazioni delle parti, che viene sottoscritto dagli interessati e dall’ufficiale dello stato civile. Viene richiamato l’art. 12 comma 7 del D.P.R. 396/2000 per evidenziare come, in questa fase, possa essere effettuata la nomina di un procuratore senza bisogno di particolari formalità: questo, ovviamente, agevola la parte che si trovasse nell’impossibilità di recarsi presso l’ufficio dello stato civile, in quanto è sufficiente che venga presentata la procura a favore di una terza persona od anche dell’altra parte, per poter procedere alla richiesta ed alla redazione del processo verbale. Tale indicazione fa venire meno la necessità che l’ufficiale dello stato civile debba uscire dall’ufficio e recarsi presso la sede dove si trova la parte impossibilitata, al fine di ricevere la richiesta e redigere il processo verbale, ipotesi prevista dall’art. 1 comma 4 del D.p.c.m. 144/2016 che, nella fase definitiva, non viene rinnovata, risultando sicuramente più agevole il ricorso alla procura.
Dalla data del processo verbale, l’ufficiale dello stato civile ha trenta giorni di tempo per effettuare
accertamenti e verifiche relative alla insussistenza di impedimenti e per acquisire eventuali documenti che si rendessero necessari: decorso tale periodo di tempo, le parti possono presentarsi dall’ufficiale dello stato civile per procedere alla costituzione dell’unione. Se gli accertamenti sono stati completati prima dei trenta giorni, previa comunicazione alle parti dell’ufficiale dello stato civile, anche la costituzione potrà avvenire prima del termine suddetto. Qualora dovessero emergere degli impedimenti, l’ufficiale dello stato civile lo comunica alle parti e non procede alla costituzione. Le parti hanno un termine di centottanta giorni entro il quale deve avvenire la costituzione dell’unione civile, altrimenti l’intera procedura di considera come se non fosse mai avvenuta: tale termine decorre dalla scadenza dei trenta giorni previsti per gli accertamenti o dalla comunicazione dell’ufficiale di stato civile di avere
effettuato le verifiche prima dei trenta giorni. È evidente come tale impostazione risenta del termine 49
previsto dal codice civile per la celebrazione del matrimonio, una volta effettuate le pubblicazioni ma,
soprattutto, come risulti giustamente rispettosa della volontà delle parti in merito alla data scelta per la costituzione dell’unione civile: appariva, infatti, privo di fondamento l’obbligo di dover indicare una data di costituzione già al momento della richiesta delle parti e, ancora di più, il fatto che la mancata comparizione alla data fissata fosse considerata come rinuncia, tanto da far venir meno la procedura eseguita fino a quel momento. Le modifiche introdotte dai decreti legislativi rendono più semplici sia la fase di richiesta che quella di costituzione dell’unione civile, riportandole nell’ambito di procedure ordinarie dello stato civile, eliminando limiti che non erano indicati nella legge 76/2016.
Viene prevista l’applicazione alle unioni civili dell’istituto della delega, in analogia alle indicazioni dell’art. 109 c.c.: se dopo la richiesta presentata in un comune liberamente scelto dalle parti, dovesse emergere necessità e convenienza di costituire unione civile in altro comune, previa motivata richiesta delle parti, l’ufficiale di stato civile rilascerà delega alla costituzione al comune indicato nell’istanza. In presenza di un impedimento che sia di ostacolo alla costituzione dell’unione civile, dovrà essere presentato all’ufficiale dello stato civile, a cura della parte interessata, il provvedimento che lo rimuova. La costituzione dell’unione civile avviene, decorso il termine dei trenta giorni o dopo comunicazione dell’ufficiale dello stato civile, nello stesso comune dove era stata presentata la richiesta (tranne che non sia stato utilizzato l’istituto della delega), con dichiarazione personale e congiunta delle parti ed alla presenza di due testimoni: viene data lettura dei commi 11 e 12 dell’art. 1 della legge 76/20163 e, di
3 11. Con la costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; dall’unione civile deriva l’obbligo reciproco all’assistenza morale e materiale e alla
coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a contribuire ai bisogni comuni.
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seguito, viene letto l’atto di unione civile che deve essere sottoscritto dalle parti, testimoni ed ufficiale dello stato civile.
Al momento della costituzione dell’unione civile, le parti possono scegliere di indicare il cognome comune e il regime della separazione dei beni: mentre riguardo al regime patrimoniale la fattispecie è analoga a quella matrimoniale, dato che il regime ordinario per le unioni civili è quello della comunione dei beni e la scelta che può essere fatta dinanzi all’ufficiale dello stato civile è solamente quella della separazione dei beni in luogo della comunione, ben diversa è la possibilità di scelta del cognome comune che le parti possono adottare per la durata dell’unione.
In tutti i casi in cui la costituzione riguardi persone residenti in altro comune, l’ufficiale dello stato civile dovrà inviare copia dell’atto ai comuni di residenza delle parti, a norma dell’art. 12 comma 8 del D.P.R. 396/2000, ai fini della trascrizione nel registro delle unioni civili.
La scelta del cognome
La scelta del cognome era stata espressamente prevista dall’art. 1 comma 10 della legge 76/2016
«Mediante dichiarazione all’ufficiale di stato civile le parti possono stabilire di assumere, per la durata dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi. La parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso, facendone dichiarazione all’ufficiale di stato civile», riaffermata nella fase provvisoria dall’art. 4 del Dpcm n. 144/2016 che, al secondo comma, aveva dato precise indicazioni procedurali conseguenti alla scelta delle parti: «A seguito della dichiarazione di cui al comma 1 i competenti uffici procedono alla annotazione nell’atto di nascita e all’aggiornamento della scheda anagrafica». È evidente che laddove la scelta del cognome venga annotata a margine dell’atto di nascita ed effettuato aggiornamento anagrafico, si
50 attiva un vero e proprio cambiamento di cognome, con tutte le conseguenze e gli effetti che questo comporta: non solo variazione ed aggiornamento delle generalità in tutti i documenti dell’interessato
(codice fiscale, carta identità, passaporto, patente guida, tessera sanitaria, posizioni pensionistiche, rapporti con enti pubblici e privati, ecc.), ma cambiamento del cognome di eventuali figli, a norma dell’art. 33 comma 2 del D.P.R. 396/20004, i quali, se minorenni, subirebbero il cambiamento di cognome senza alcuna alternativa, mentre se maggiorenni, dopo averlo subito comunque, avrebbero un anno di tempo per rendere una dichiarazione di tutela del proprio cognome. Si tratta di fattispecie ben diversa da quella del cognome maritale di cui all’art. 143-bis c.c., che prevede che la donna possa aggiungere al proprio il cognome del marito, ma solamente nell’utilizzo quotidiano ed ordinario, senza che questo possa provocare un cambiamento di generalità della moglie, senza che sia prevista annotazione marginale né aggiornamento anagrafico: in sostanza, la donna maritata conserva le proprie generalità originare in tutti gli atti ed i documenti che la riguardano ed aggiunge il cognome del marito nell’uso ordinario, con una valenza ben limitata e ben diversa da quella riservata alle coppie unite civilmente secondo le chiare indicazione del D.p.c.m. n. 144/2016. Nei decreti legislativi approvati dal Consiglio dei Ministri, questo indirizzo viene totalmente rivisto, escludendo che la scelta del cognome debba essere annotata all’atto di nascita e provochi aggiornamento anagrafico, così da equiparare tale situazione a quella delle donna maritata, come viene chiaramente spiegato nella relazione illustrativa all’atto del Governo n. 344/2016 contenente “Schema di decreto legislativo recante disposizioni per l’adeguamento delle norme dell’ordinamento dello stato civile in materia
12. Le parti concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato.
4 «Il figlio maggiorenne che subisce il cambiamento o la modifica del proprio cognome a seguito della variazione
di quello del genitore da cui il cognome deriva, … facoltà di scegliere, entro un anno dal giorno in cui ne vengono a conoscenza, di mantenere il cognome portato precedentemente, se diverso, ovvero di aggiungere o di anteporre ad esso, a loro scelta, quello del genitore».
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di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni alle previsioni della legge sulla regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso, nonché modifiche ed integrazioni normative per il necessario coordinamento con la medesima legge sulla regolamentazione delle unioni civili delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti”: «Quanto alla scelta del cognome di cui al comma 5 della disposizione in commento, l’opzione del testo proposto differisce da quella del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 23 luglio 2016, n. 144, che, all’articolo 4, comma 2, stabilisce che, a seguito della dichiarazione relativa al cognome, gli ufficiali dello stato civile procedono all’annotazione dell’atto di nascita e all’aggiornamento della scheda anagrafica. Si è ritenuto, infatti, di interpretare il comma 10 della legge - che consente alle parti dell’unione civile di poter stabilire, mediante dichiarazione all’ufficiale di stato civile, di assumere, per la durata dell’unione civile, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi o di anteporre o posporre al cognome comune il proprio - in analogia a quanto previsto dall’articolo 143-bis c.c. per il cognome della moglie, che tale eventuale dichiarazione non determini una modifica anagrafica del cognome, ma abbia il solo effetto di consentirne l’uso, per la durata dell’unione civile. Tale opzione interpretativa è parsa la più convincente tenuto conto, non solo di quanto previsto per il matrimonio, ma anche del fatto che una vera e propria variazione anagrafica del cognome della parte dell’unione civile determinerebbe il mutamento anagrafico anche del cognome del figlio della medesima parte dell’unione civile ed eventualmente per il solo periodo di durata dell’unione, effetto questo che pare eccedere la volontà del legislatore primario».
In merito all’indicazione del cognome comune, sembra possibile che la parte che non ha originariamente
il cognome comune, possa anteporlo o posporlo al proprio “se diverso”, come anche sostituirlo al proprio: se, ad esempio Xxxxx Xxxxx e Xxxxx Xxxxxx al momento della costituzione dell’unione civile dovessero scegliere Xxxxx come cognome comune, Xxxxx Xxxxxx potrebbe optare di chiamarsi Xxxxx Xxxxxx o Xxxxx Xxxxx Xxxxxx x Xxxxx Xxxxx Xxxxxx. Si tratta però, come detto, dell’uso che viene fatto
dalle parti, senza alcuna variazione anagrafica, né annotazioni all’atto di nascita. Tale scelta potrà 51
essere fatta anche in una fase successiva alla costituzione dell’unione civile e viene meno nel momento
dello scioglimento dell’unione civile: trattandosi solamente dell’utilizzo che viene fatto dalle parti, non sono previste né necessarie, anche nella fase dello scioglimento, adempimenti od aggiornamenti in merito al cognome.
La rettificazione di sesso
Nell’ipotesi di rettificazione di sesso relativa ad uno dei coniugi, qualora i medesimi non volessero sciogliere il matrimonio ma costituire unione civile, secondo quanto previsto dall’art. 1 coma 27 della legge 76/2016, viene introdotta una procedura particolare che prevede che i coniugi dovranno rendere dichiarazione congiunta di voler costituire unione civile, in udienza, durante il processo di rettificazione di sesso, lasciando che sia il Tribunale, nel momento in cui deciderà sulla richiesta, a trasmetterla al comune di matrimonio, per l’iscrizione nel registro delle unioni civili. Al fine di evitare procedure che possano dare adito ad incertezze, viene modificato l’art. 31 del decreto legislativo 1/9/2011 n. 150, prevedendo che i coniugi che non vogliono sciogliere il matrimonio o farne cessare gli effetti civili, nel corso del giudizio di rettificazione di sesso, rendano manifestazione di volontà di costituire unione civile ed il giudice, una volta definito il procedimento, trasmetta all’ufficiale di stato civile del comune di celebrazione del matrimonio o di trascrizione se avvenuto all’estero, l’ordine di iscrivere l’unione civile nel registro delle unioni civili. In questo modo, al momento della definitività della sentenza di rettificazione di sesso, il matrimonio non verrà sciolto ma risulterà costituita unione civile senza alcuna interruzione temporale. Tutto questo, al fine di evitare che l’ufficiale dello stato civile, ricevuta la sentenza, provveda agli adempimenti di competenza, annotando lo scioglimento o
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cessazione degli effetti civili del matrimonio, senza che i coniugi siano messi in condizione di far valere la loro volontà di mantenimento del vincolo.
La costituzione fuori dalla casa comunale o in imminente pericolo di vita
In analogia a quanto previsto dagli artt. 101 e 110 c.c. per il matrimonio, anche la costituzione dell’unione civile può avvenire fuori dalla casa comunale od in imminente pericolo di vita.
La prima ipotesi riguarda l’infermità o grave impedimento che non consenta ad una od entrambe le parti di presentarsi presso l’ufficio di stato civile: siamo in presenza di una situazione nella quale, dopo aver fatto regolare richiesta di costituzione dell’unione civile, se necessario utilizzando anche l’istituto della delega, al momento della costituzione emerga l’impossibilità di recarsi presso la sede comunale, per una infermità (si pensi ad una persona che, per motivi di salute, non possa neanche essere trasportata) o per un diverso impedimento (si pensi ad una persona che si trova in carcere e non viene autorizzata ad uscire, neanche per motivi particolari). Previa specifica istanza delle parti, opportunamente documentata circa l’impedimento, sarà l’ufficiale dello stato civile che uscirà dal proprio ufficio per recarsi nel luogo (che, ovviamente, dovrà trovarsi nell’ambito territoriale del comune, entro il quale sussiste la competenza dell’ufficiale dello stato civile) dove si trovano le parti, recando con se gli atti del registro delle unioni civili, accompagnato dal segretario comunale, per procedere alla costituzione dell’unione civile, alla presenza di due testimoni. Anche nei decreti legislativi viene confermato l’orientamento del Consiglio di Stato sulla previsione di due soli testimoni, ma ricompare la presenza del segretario comunale che non era previsto nel D.p.c.m. n. 144/2016: non si hanno indicazioni sul ruolo ed i compiti che tale figura sia chiamata a svolgere, anche se presumibilmente sottoscriverà l’atto di unione civile per ultimo, così come avviene nel matrimonio
52 fuori dalla casa comunale.
Nel caso di imminente pericolo di vita di una o di entrambe le parti, si prescinde dalla richiesta,
dalla documentazione e dagli accertamenti: è sufficiente che le parti giurino che tra loro non esistono impedimenti. L’ufficiale dello stato civile dovrà indicare nell’atto le modalità con le quali sia stato accertato l’imminente pericolo di vita: non vi è dubbio che le parti dovranno presentare apposita certificazione medica dalla quale risulti che una delle parti (od entrambe) sia a rischio vita e l’ufficiale di stato civile si attiverà solamente in presenza di tale indispensabile certificazione. La procedura sarà la stessa prevista per la costituzione dell’unione fuori dalla casa comunale: l’ufficiale dello stato civile si recherà nella sede dove si trova la parte in imminente pericolo di vita ed effettuerà gli adempimenti di costituzione, alla presenza di due testimoni e del segretario comunale.
La certificazione
Viene confermato che la certificazione dell’unione civile avverrà secondo le indicazioni del comma 9 art. 1 legge 76/2016, cioè con documento che contiene anche i dati anagrafici e la residenza dei testimoni, aspetto che rappresenta sicuramente un’anomalia nelle certificazioni ma che non poteva essere evitato essendo previsto nella legge.
Lo stato civile variato dopo la costituzione dell’unione dovrà essere indicato come “unito/a civilmente”.
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Il nulla osta per lo straniero e la trascrizione dei matrimoni avvenuti all’estero
L’art. 1 comma 19 della legge n. 76/2016 richiama l’art. 116 x.x. xxx xx xxxxxxxxx xxx xxxxxxx xxxxxxxxxx xxxxxx xxxxxx xx Xxxxxx: dovrà presentare un nulla osta rilasciato dalla competente autorità del suo Stato. È facile prevedere che alcuni Stati rilasceranno senza alcuna difficoltà tale documento, addirittura anche di portata più estesa fino ad arrivare a consentire il matrimonio se questo fosse disciplinato dall’ordinamento straniero, mentre altri Stati non potranno mai rilasciare tale documento, dato che l’unione tra persone dello stesso sesso risulterebbe semplicemente non prevista, se non vietata o addirittura ipotesi di reato: in tal caso, l’ufficiale dello stato civile dovrebbe opporre rifiuto. Tuttavia, già il Consiglio di Stato si era espresso con una interpretazione favorevole che richiamava le nostre norme di ordine pubblico5, ma tale orientamento viene ripreso ed ampliato nella relazione illustrativa ai decreti legislativi «Più adeguata ad una piena e immediata garanzia dei diritti fondamentali del singolo appare invece considerare contrario all’ordine pubblico (art. 16 legge 218/1995) il mancato rilascio del nulla osta da parte delle autorità straniere e di procedere comunque alla registrazione, essendosi in presenza di un diritto inviolabile il cui esercizio deve essere garantito a tutti. Il richiamo operato dalla legge n. 76 del 2016 (al comma 1) agli artt. 2 e 3 Cost., da un lato, e i vincoli che derivano dalle convenzioni internazionali a salvaguardia dei diritti umani (prima tra tutte la Convenzione europea, nella lettura fornitane dalla Corte europea) inducono a propendere per questa seconda soluzione. Il presente schema contiene pertanto una disposizione ai sensi della quale “ai fini del nulla osta di cui all’art. 116, primo comma, del codice civile, non rilevano gli impedimenti relativi al sesso delle parti” (articolo 32-ter, comma 2, secondo periodo)». Questo conferma la piena applicazione dell’art. 116
c.c. alle unioni civili, ma esclude che il mancato rilascio del nulla osta da parte dello Stato straniero,
dovuto esclusivamente al sesso delle parti, possa costituire motivo di rifiuto per l’ufficiale dello stato civile. Si tratta di un’indicazione che dovrà essere tenuta ben presente dall’ufficiale dello stato civile
che dovrà indagare e valutare le motivazioni del mancato rilascio del nulla osta da parte dello Stato 53 di appartenenza dello straniero, al fine di comprendere se dipenda da ostacoli od impedimenti alla costituzione dell’unione dell’unione civile o da impedimenti derivanti esclusivamente dal sesso delle parti6.
In merito alla trascrizione dei matrimoni omosessuali avvenuti all’estero, viene riaffermato che produce gli effetti dell’unione civile regolata dalla legge italiana: si tratta di disposizione che rispetta pienamente il dettato della legge n. 76/2016 e che non presenta problematiche particolari. Ovviamente, una volta riconosciuti gli effetti dell’unione civile, gli stessi decorreranno dalla data di celebrazione all’estero, anche se l’evento fosse avvenuto molto tempo prima della stessa legge. La trascrizione potrà avvenire su richiesta della nostra autorità diplomatica o consolare ai sensi dell’art. 17 del D.P.R. 396/2000, ma anche su istanza di parte a norma dell’art. 12 comma 11 dello stesso D.P.R. 396/2000.
5 Consiglio di Stato, parere n. 01695/2016 del 21/7/2016, sullo specifico aspetto della presentazione del nulla osta: «La relazione ministeriale afferma poi che il comma 2 dell’articolo 8 è stato redatto sul modello dell’articolo 116, comma primo, del codice civile e che la disposizione - in attesa della riforma in parte qua del sistema italiano di diritto internazionale privato affidata ai decreti delegati di cui al più volte richiamato comma 28 dell’articolo 1 della legge - è ispirata al principio di non discriminazione degli stranieri e dei loro partner. L’affermazione è sicuramente condivisibile a condizione che la dichiarazione, resa dall’autorità competente dello Stato di appartenenza, di nulla osta all’unione civile, che lo straniero deve presentare all’ufficiale dello stato civile
qualora intenda costituire in Italia un’unione civile, non venga interpretata nel senso di includere nelle “leggi cui è sottoposto” lo straniero medesimo anche quelle eventuali disposizioni dell’ordinamento dello Stato di appartenenza che vietino le unioni civili tra persone dello stesso sesso. Difatti il diritto di costituire un’unione civile tra persone dello stesso sesso, in forza dell’entrata in vigore della legge, è divenuta una norma di ordine pubblico e, dunque, prevale, secondo l’articolo 16 della legge 31 maggio 1995,
n. 218 sulle eventuali differenti previsioni di ordinamenti stranieri».
6 In proposito, si rinvia a X. XXXXXXXXXX, «La costituzione dell’unione civile da parte del cittadino straniero in Italia», in I servizi demografici, 2016, 9.
X. Xxxxxxxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
Fase definitiva
Dopo l’approvazione, pubblicazione ed entrata in vigore dei decreti, dovranno essere emanate con apposito dm le formule per la redazione degli atti nel nuovo registro delle unioni civili che, come detto, sarà composta da una parte prima ed una parte seconda: da quel momento in avanti sarà completato l’iter normativo della disciplina delle unioni civili, superando anche la fase provvisoria. L’ufficiale dello stato civile sarà chiamato a svolgere un ruolo di primo piano, nel dare applicazione pratica alle nuove disposizioni secondo le intenzioni del legislatore: anche questa è la conferma di come gli uffici demografici svolgano una funzione fondamentale nel consentire ai cittadini l’esercizio dei propri diritti.
Le convivenze di fatto: la seconda parte della legge 76/2016
Mentre per le unioni civili è stata prevista dal legislatore una fase provvisoria ed una fase definitività, le convivenze di fatto, l’altro istituto disciplinato dalla legge 76/2016, dal comma 36 al comma 69 dell’art. 1, sono entrata in vigore a decorrere dal 5 giugno 2016: in questo caso, le disposizioni hanno interessato l’ufficio anagrafe, chiamato ad operare in base ad un testo legislativo che presenta numerose incongruenza ed aspetti critici, forse in misura maggiore che nella disciplina delle unioni civili. Il Ministero dell’Interno ha emanato la circolare n. 7 in data 1/6/2016 al fine di fornire le prime istruzioni operative agli ufficiali di anagrafe che, ovviamente, non ha affrontato le difficoltà operative emerse nel corso della prima fase di applicazione della normativa. Occorre anche premettere che le richieste dei cittadini di registrazione della convivenza di fatto, sono state sicuramente inferiori alle previsioni ed alle attese: in realtà, i numeri davvero esigui, hanno dimostrato che il nuovo istituto non ha ottenuto il
54 successo che si ipotizzava e, in molti casi, dopo una fase informativa da parte dei cittadini interessati, non ha fatto seguito alcuna richiesta concreta. Ricordiamo, innanzitutto, che la convivenza di fatto può riguardare indistintamente coppie eterosessuali o dello stesso sesso, a condizione che si tratti di
«due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile». Questo significa che per poter procedere alla registrazione della convivenza di fatto, debbono essere presenti e sussistenti alcuni requisiti fondamentali che possono essere indicati come soggettivi ed oggettivi: i primi derivano dall’esistenza di legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale a materiale e dalla stabilità di tale unione, mentre i secondi derivano dalla mancanza dei rapporti di parentela, affinità, matrimonio unione civile. A questi ultimi, però, bisogna aggiungere quanto richiesto dal comma 37 dell’art. 1 della legge 76/2016, cioè l’accertamento della stabile convivenza per il quale occorre fare riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 13 del D.P.R. 223/1989: si tratta di un chiaro elemento e presupposto oggettivo la cui sussistenza, in forza dei richiami al regolamento anagrafico (anche se non completamente pertinenti), dovrà essere accertata dall’ufficiale di anagrafe, in base agli stessi principi che disciplinano la famiglia anagrafica e le dichiarazioni anagrafiche.
Gli elementi soggettivi sono condizionanti, nel senso che in mancanza degli stessi non può costituirsi
convivenza di fatto a norma della legge 76/2016 e sono rimessi esclusivamente alla dichiarazione delle parti, non potendosi effettuare alcun tipo di accertamento: pertanto la dichiarazione della stabilità dell’unione e dei legami di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, dovrà essere resa personalmente7 e congiuntamente dalla parti, al fine di richiedere la registrazione come convivenza
7 Si ritiene applicabile alla dichiarazione di parte l’istituto della rappresentanza previsto dall’art. 38 comma 3-bis del
D.P.R. 445/2000.
La costituzione e registrazione dell’unione civile e l’accertamento della convivenza di fatto: certificati
dello stato civile e dell’anagrafe e opponibilità ai terzi
di fatto. Alla dichiarazione anagrafica, dovrà seguire l’accertamento dell’ufficiale di anagrafe sulla sussistenza dei requisiti oggettivi, cioè sulla mancanza dei rapporti di parentela, matrimonio o unione civile, in base alla documentazione presentata dagli interessati o acquisita o esistente presso l’ufficio, e l’accertamento della convivenza all’indirizzo dichiarato dagli interessati, come avviene per qualsiasi altra iscrizione anagrafica. Nulla vieta che la registrazione di una convivenza di fatto possa avvenire all’interno di una famiglia anagrafica già esistente, in quanto la convivenza di fatto si riferisce solo ed esclusivamente alla coppia unita dai legami indicati dalla legge: ad esempio, in una famiglia anagrafica composta da intestatario xxxxxx, moglie, figlio, compagna del figlio, questi ultimi due potranno chiedere la registrazione della loro convivenza di fatto, che non cambierà i rapporti esistenti con gli altri componenti della famiglia, ma consentirà il rilascio di una specifica certificazione di “conviventi di fatto”. «In altri termini, all’interno di una famiglia anagrafica, composta da più di due persone, può esserci una coppia di conviventi di fatto, legati non da vincoli di parentela, affinità, adozione, tutela o da semplici vincoli affettivi, ma uniti stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale»8.
Il concetto di convivenza presuppone la coabitazione: tale aspetto è stato diversamente interpretato
dalla recente giurisprudenza «Chiunque abbia avuto modo di leggere l’ordinanza del Tribunale di Milano, sezione nona, del 31 maggio 2016 (est. Xxxxxxxx Xxxxxxx) si sarà reso conto immediatamente della logica applicata dal Tribunale, la quale tiene conto della nuova legge e riconosce un effetto rilevante alla registrazione anagrafica della dichiarazione dei conviventi ma, tuttavia, non vi attribuisce valore istitutivo di una nuova formazione famigliare che, al contrario, esisteva “di fatto” anche prima della legge n. 76. “In altri termini - afferma il Tribunale di Milano - il convivere è un “fatto” giuridicamente rilevante da cui discendono effetti giuridici ora oggetto di regolamentazione normativa”. Tant’è che la dichiarazione anagrafica è richiesta dalla legge 76 del 2016 «per l’accertamento della stabile convivenza», quanto a dire per la verifica di uno dei requisiti costitutivi ma non anche per appurarne
l’effettiva esistenza fattuale. In pratica, con queste considerazioni intese a supportare la decisione sul 55
singolo caso relativo a due conviventi non sposati e di cui uno addirittura già deceduto e nemmeno di
stato libero ma solo legalmente separato, il giudice Xxxxxxxx Xxxxxxx ha voluto affermare il diritto della Giurisprudenza di continuare ad applicare principi consolidati da tempo, anche dopo l’approvazione di una apposita legge considerata semplicemente regolatrice di un istituto famigliare già esistente. In pratica, secondo quanto affermato dal Tribunale di Milano, esiste una “mera convivenza” da tutelare anche al di fuori dei casi previsti dalla legge Cirinnà.
Se questa sarà la tesi prevalente o addirittura univoca elaborata dalla dottrina e dalla stessa Giurisprudenza, lo sapremo solo in futuro; al momento interessa capire se queste tesi siano applicabili, in concreto, anche alle funzioni assegnate dalla legge n. 76 del 2016 agli ufficiali d’anagrafe, chiamati in causa, per la prima volta, dai commi 36 e seguenti della legge.
Come ho già avuto modo di osservare, i Tribunali e gli ufficiali d’anagrafe si muovono in due mondi diversi, che hanno un unico vero punto di contatto: il reciproco rispetto delle rispettive competenze e prerogative. Da questo principio fondamentale ne deriva che:
- gli ufficiali d’anagrafe devono applicare la legge sulla base di una rigorosa interpretazione letterale, senza alcuna possibilità, nel caso si tratti di adottare provvedimenti che attengano a diritti soggettivi, di usufruire di alcuna discrezionalità decisionale;
- gli ufficiali d’anagrafe, come tutti gli organi della pubblica amministrazione, devono dare attuazione alle decisioni dei Giudici, che però riguardano il singolo caso sottoposto al loro giudizio, anche qualora la decisione si discostasse da quanto previsto dalla norma di carattere generale»9. In sostanza, si ritiene
8 X. XXXXXXXXXX, X. XXXXXXXX, X. PIOLA, La nuova disciplina delle unioni civili e delle convivenze, Rimini, 2016, p. 123.
9 X. XXXXXXX, «Le convivenze di fatto. Profili giuridici
di un istituto nuovo per l’anagrafe ma non per la Giurisprudenza. Prima parte», in pubblicazione su I servizi demografici, 2017, 1-2.
X. Xxxxxxxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
che la convivenza stabile sia un elemento imprescindibile per la registrazione della convivenza di fatto: naturalmente, come detto, l’autorità giudiziaria potrà decidere diversamente il singolo caso, ma questo non fa venire meno gli obblighi e gli adempimenti dell’ufficiale di anagrafe.
Conclusa regolarmente la registrazione della convivenza di fatto, la stessa potrà essere oggetto di certificazione da parte dell’ufficiale di anagrafe: deve invece essere previsto un certificato di convivenza di fatto, di contenuto specifico, che potrebbe essere del seguente tenore:
CERTIFICATO DI CONVIVENZA DI FATTO
Comune di .............
CERTIFICATO DI CONVIVENZA DI FATTO
(Art. 1, comma 36, legge 20 maggio 2016, n. 76)
L’Ufficiale D’Anagrafe Certifica
risultare da questa Anagrafe della Popolazione Residente la seguente Convivenza di fatto
Nome, Xxxxxxx, Nato/a a ............. il ..../..../...., CF ...............................
e
Nome, Xxxxxxx, Nato/a a ............. il ..../..../...., CF .................................
costituiscono una convivenza di fatto ai sensi dell’art. 1, comma 36 della legge 20 maggio 2016, n. 76, a seguito di dichiarazione resa all’Ufficiale d’Anagrafe del Comune di .............. in data ..............
56 In caso di stipula di contratto di convivenza:
“Con atto in data ........... depositato presso il Notaio .......... del Distretto Notarile di (oppure)
dell’Avvocato ............ iscritto all’Ordine di ..............., i conviventi di fatto Sig./a e Sig./a
............ hanno disciplinato i propri rapporti patrimoniali sottoscrivendo contratto di convivenza ai sensi dell’art. 1 comma 50 e seguenti della legge 20 maggio 2016, n. 76”.
Xxxxx, ...................
L’ufficiale d’anagrafe
......................................…
Nella certificazione è già previsto che venga indicata la stipula di un contratto di convivenza che presuppone che la convivenza di fatto sia già avvenuta e registrata. In tale ambito emerge una delle più rilevanti incongruenza della legge 76/2016 che, al comma 52 dell’art. 1, prevede che ai fini dell’opponibilità ai terzi, copia del contratto di convivenza debba essere trasmesso al comune di residenza dei conviventi «per l’iscrizione all’anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7» del D.P.R. 223/1989: sappiamo che l’art. 5 disciplina le convivenze anagrafiche (ad esempio, la convivenza dei frati in un convento, o la convivenza degli anziani in una casa di riposo) e l’art. 7 disciplina i casi di iscrizione anagrafica (per nascita, per esistenza giudizialmente dichiarata, per trasferimento di residenza, ecc.), e cioè si tratta di richiami normativi completamente infondati e palesemente errati! Ovviamente, gli ufficiali di anagrafe non potranno che riportare nella scheda anagrafica gli estremi del contratto di convivenza e delle variazioni che verranno eventualmente apportate allo stesso, oltre a riportare nella certificazione le relative notizie, ma sarebbe sicuramente auspicabile un chiarimento in merito.
Forma e pubblicità dei contratti di convivenza
di Xxxxx Xxx
Ufficio Studi del Consiglio Nazionale del Notariato
Premessa
La scelta del legislatore nel disciplinare i rapporti patrimoniali tra i c.d. “conviventi Cirinnà”1 è stata quella di non prevedere per questi rapporti - in senso diametralmente opposto al matrimonio o all’unione civile - alcun tipo di “regime primario” né un “regime patrimoniale di base”.
Sotto questo profilo la legge n. 76/2016 non introduce per le “convivenze Cirinnà” (ma anche per tutte le altre convivenze non inquadrabili nel comma 36) un elemento di discontinuità rispetto al passato. Anche dopo la dichiarazione anagrafica di “emersione” della convivenza ex art. 4 del
D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 (comma 37), infatti, resterà invariata la riconducibilità delle posizioni giuridiche proprietarie in capo ai singoli conviventi, nei confronti dei quali continueranno a prodursi gli effetti - “a favore e contro” - degli atti posti in essere.
Gli unici rapporti patrimoniali riconosciuti “di diritto” dalla legge n. 76/2016 alle (sole) convivenze disciplinate dal comma 36, sono quelli relativi alla “casa di comune residenza”, nella quale ha diritto di continuare ad abitare il convivente superstite - «salvo quanto previsto dall’art. 337-sexies del codice civile» - con tempi variabili a seconda della durata della convivenza e della presenza di figli (comma 42)2; al diritto al subingresso del conduttore superstite, nel contratto di locazione intestato al conduttore deceduto o che abbia manifestato volontà di recedere (comma 44)3; al diritto all’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, esteso ai conviventi di fatto, i quali si considerano facenti parti del
“nucleo familiare” che è titolo o causa di preferenza nelle graduatorie (comma 45); all’equiparazione 57
del convivente ai familiari dell’altro convivente titolare di impresa familiare, nella quale il primo presti stabilmente la propria opera, quanto alla partecipazione agli utili e ai beni acquistati con essi (comma 46); al diritto del convivente a percepire gli alimenti dall’altro convivente in caso di cessazione della convivenza, qualora sussista lo stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento (comma 65).
Conseguentemente se i conviventi ex comma 36 della legge n. 76/2016 hanno optato per un ménage “di base”, in cui i rapporti patrimoniali non sono regolati dal contratto previsto dai commi 50 e ss., al notaio chiamato a ricevere atti dispositivi nell’interesse della coppia convivente, non si richiederanno cautele particolari alle quali dovrà approcciarsi con modalità diverse da quelle fino ad oggi impiegate per gli stessi atti prima della legge Cirinnà.
Se nella nuova legge difetta un “regime primario” della coppia, come anche un “regime patrimoniale”
1 L’espressione è stata coniata da F. MECENATE, in La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze, Torino, 2016, p. 148.
2 La posizione del convivente more uxorio aveva già ricevuto protezione, quanto alla casa familiare, dalla giurisprudenza che aveva sancito che «la convivenza “more uxorio”, quale formazione sociale che dà vita ad un autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati
tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare. Ne consegue che l’estromissione violenta o clandestina dall’unità abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest’ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio», così Xxxx., 21 marzo 2013 n. 7214, in Giur. it., 2013, p. 2491.
3 Facoltà già riconosciuta al convivente superstite dall’art. 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392 come integrato dalla sentenza 7 aprile 1988, n. 404 della Corte Costituzionale.
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
da questa adottato, diverso è il caso in cui i conviventi decidano di disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune, con la stipulazione del contratto di convivenza. La cui forma e pubblicità sono regolati dai commi 51 e 52, nei quali è possibile cogliere alcune delle numerose incoerenze tra la legge Cirinnà e il sistema di diritto civile, tra le quali la possibile incidenza di quei contratti nel sistema della circolazione dei beni.
Il comma 51 prevede che la stipulazione, la modifica e la risoluzione dei contratti di convivenza debba avvenire «in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico».
Tale norma porta a chiedersi quale sia la ragione che ha spinto il legislatore ad imporre tutto questo formalismo - addirittura sanzionato con la nullità - per la stipulazione e le modifiche dei contratti di convivenza, quando invece un pari formalismo non è previsto per gli atti che danno origine alla convivenza stessa e soprattutto nessuna forma è prevista per lo scioglimento della convivenza che può avvenire anche sulla base di semplici comportamenti di fatto.
Le opzioni che in punto di forma del contratto di convivenza aveva a disposizioni il legislatore, così come individuate dalla dottrina, erano sostanzialmente riconducibili a tre posizioni.
Aderendo ad una prima ed autorevole opinione, per i contratti di convivenza si sarebbe potuto pervenire alla loro completa de-formalizzazione, partendo dal presupposto che il contenuto degli stessi
«possa essere desunto dal comportamento reale dei coniugi, nella loro vita comune, come espressione di una loro volontà attuosa»4.
Questa tesi è stata però criticata da chi5 ha escluso che dalla semplice instaurazione di una convivenza more uxorio possa scaturire, implicitamente, un accordo che non solo disciplini la prestazione della contribuzione reciproca tra i conviventi fissandone la misura a carico di ciascuno, ma addirittura regolamenti gli accrescimenti del patrimonio comune della coppia. In particolare si è osservato che
58 proprio l’originario rifiuto dei conviventi more uxorio di sottoporre i reciproci rapporti ad effetti giuridici, impedisce di desumere dal loro comportamento una volontà negoziale.
Pertanto secondo questa seconda opinione il contratto di convivenza e il suo contenuto deve risultare da una esplicita manifestazione di volontà delle parti, ancorché non necessariamente consacrata in un documento formale, salvo i casi in cui il rispetto di una determinata forma sia imposto per la natura dell’atto (ad esempio quando le parti pongano in essere una liberalità) oppure sia semplicemente raccomandabile, ad esempio quando il valore delle prestazioni reciproche sia squilibrato.
Infine, una terza posizione, riteneva che il problema della forma dei contratti di convivenza fosse sostanzialmente riconducibile alla prova del contenuto dell’accordo. Si osservava infatti che sebbene in linea puramente teorica potesse anche presumersi l’esistenza dell’accordo economico dall’esistenza della convivenza, da ciò tuttavia non poteva anche ricavarsi il contenuto dell’accordo che andava provato compiutamente e rigorosamente, non potendo certo ricavarsi (ad esempio) l’esistenza di un diritto alla divisione in parti uguali dell’intero compendio6.
La scelta della legge Cirinnà di imporre la forma autentica per la stipulazione dei contratti di convivenza, sebbene - come si dirà - declinata impropriamente dagli estensori della legge, fa comprendere la vera ragione che l’ha animata.
Non quella di stabilire una forma idonea per tutti i possibili contenuti dei contratti di convivenza.
4 X. XXXXXX, Problemi attuali della famiglia di fatto, in AA.VV. Una legislazione per la famiglia di fatto?, Napoli, 1988, p. 52. X. XXXXXXXX, «Contratto di convivenza, contribuzione e mantenimento», in Fam. e dir., 2015, p. 729.
5 X. XXXXXX, «Convivenza (contratti di)», in Contr. e xxxx., 1991, p. 395 e ss.; la stessa opinione manifesta l’A.
dopo la riforma in La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze, Torino, 2016.
6 X. XXXXXXXX, Le convenzioni patrimoniali tra conviventi more uxorio, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da X. Xxxxxxxx e X. Xxxxxxxx, II, p. 551 e ss.; analogamente
X. XXXXXXXX, «Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale», in Studi e materiali, 2013, 1, p. 20 e ss.
Forma e pubblicità dei contratti di convivenza
Per certi versi infatti la previsione sarebbe risultata inutile, poiché in molte ipotesi la forma dei contratti è stabilita direttamente dalla legge anche con modalità meno rigorose (si veda la forma minima stabilita dall’art. 1350 c.c. per i diritti immobiliari). In altri casi la forma autentica sarebbe risultata eccessiva, come quando ad esempio le parti si limitino a disciplinare, a favore del convivente debole, gli obblighi di contribuzione o la misura dei mezzi di sussistenza per i quali la previsione di un formalismo appare invero sproporzionato. In altre ipotesi, invece, la previsione sulla forma sarebbe apparsa difettosa, essendo preclusa la scelta sul tipo di forma da impiegare, quando tra le parti intervenga accordo a forma vincolata (ad es. un accordo di natura liberale che non consente di ricorrere alla scrittura privata autenticata).
La previsione della forma autentica non si spiega neppure se messa in correlazione con la necessità di attuare la pubblicità nei registi anagrafici, dal momento che come meglio si dirà in seguito, per questi registri non è previsto che siano alimentati da atti autentici.
Le dichiarazioni anagrafiche eseguite dai soggetti obbligati, come ci ricorda l’art. 13 del D.P.R. 30 maggio 1989 n. 223, sono effettuate su semplice scrittura privata, in conformità all’apposita modulistica, sottoscritte dinanzi all’ufficiale di anagrafe o a questo inviate con le modalità di cui all’art. 38 del T.U.
n. 445/2000, che contempla l’invio della documentazione, mediante fax o in via telematica, nonché dei documenti identificativi in “copia fotostatica non autenticata”.
La “forma autentica” per i contratti di convivenza, rafforzata con la sanzione civile della nullità, va probabilmente ricercata nell’intenzione del legislatore di vedere assicurata la trasformazione delle obbligazioni naturali che nascono nella convivenza di fatto in obbligazioni giuridiche.
L’obiettivo era quindi di avere certezza che una volta che la scelta della coppia convivente si fosse indirizzata verso la stipulazione del contratto, l’accordo transitasse da un atto formale in senso tecnico, così da ottenere quella sacralizzazione ufficiale dell’impegno di vita comune anche sotto il profilo economico.
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La forma del contratto di convivenza per l’emersione delle obbligazioni naturali
Per meglio comprendere le ragioni a base della scelta del legislatore di adottare per i contratti di convivenza il massimo dei formalismi, può essere utile ricordare il background giurisprudenziale che si stagliava sullo sfondo alla vigilia dell’emanazione della legge n. 76/2016.
La mancanza di uno statuto giuridico delle unioni di fatto e la diffusione sul piano sociologico di simili forme di convivenza, aveva spinto dottrina e giurisprudenza a ricercare nell’ambito del diritto positivo, gli istituti giuridici meglio adattabili alle elargizioni patrimoniali e alle prestazioni di assistenza effettuate dai conviventi nel corso del rapporto o alla fine della sua esistenza.
Lo scoglio da superare è sempre stato l’individuazione della “causa” giuridica del depauperamento/ arricchimento, cioè del titolo legale o negoziale idoneo a sorreggere lo spostamento patrimoniale altrimenti ingiustificato.
Ciò perché il nostro ordinamento esige che ogni arricchimento dipenda dalla realizzazione di un interesse meritevole di tutela, operando in mancanza lo strumento dell’azione generale di arricchimento (art. 2041 c.c.). Tale articolo costituisce una norma di chiusura nella disciplina delle obbligazioni e fornisce lo strumento di tutela esperibile in tutti i casi in cui tra due soggetti si verifica uno spostamento patrimoniale «senza una giusta causa»7.
Il problema appariva particolarmente spinoso in passato, quando i rapporti di convivenza “more uxorio” erano avvertiti nella società civile come qualcosa di non conforme alla morale comune e quindi non
7 Cass., 15 maggio 2009, n. 11330, in Fam. e dir., 2010,
c. 380.
X. Xxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
poteva ammettersi che fossero produttivi di obblighi giuridici (come invece il matrimonio), né tanto meno di obblighi di natura morale e/o sociale.
Fino alla metà degli anni cinquanta del secolo scorso, in un’epoca in cui l’adulterio e il concubinato erano previsti quali fattispecie di reato, gli scambi patrimoniali intervenuti tra conviventi - quasi sempre sotto forma di donazione - venivano considerati nulli per illiceità della causa o del motivo comune in quanto volti a far continuare o a remunerare una relazione “illecita”).
Successivamente, con l’evolversi dei costumi, le prestazioni di assistenza materiale e i contributi necessari al soddisfacimento delle esigenze della vita in comune, sovente forniti dall’uomo alla donna, cominciarono a qualificarsi come donazioni remuneratorie, effettuate a riparazione del «danno sofferto per la seduzione e la successiva convivenza»8 o comunque per «riparare ad un torto»9. Ciò imponeva, ai fini della validità delle attribuzioni, che fossero rispettate le regole in tema di forma della donazione, rimanendo peraltro applicabili per esse le norme in tema di riduzione, ed eventualmente quelle in tema di revocazione per indegnità o per sopravvenienza di figli, sempre che non fosse acclarata la loro finalità remuneratoria (l’art. 805 c.c. esclude la revocazione per le donazioni remuneratorie).
La giurisprudenza passò poi rapidamente alla loro qualificazione quale adempimento di obbligazione naturale, con superamento del requisito di forma e con applicazione della regola della loro irripetibilità ex art. 2034 c.c.
Inizialmente decidendosi che l’obbligo morale dovesse essere ricollegato - sulla scorta dei «principi etici che formano la coscienza comune» - al dovere di «riparare il danno derivante alla donna dalla convivenza more uxorio». Più precisamente la prestazione patrimoniale avrebbe compensato «il danno economico» da questa risentito «a causa della contrazione o dello svolgimento del rapporto», in termini di «perdita di diritti o di occasioni di diversa sistemazione»10.
Successivamente i giudici hanno poi abbandonato gradualmente il profilo più strettamente risarcitorio, ed hanno ravvisato nelle famiglie di fatto una di quelle formazioni sociali che, ai sensi dell’art. 2 Cost.,
60 consentono la realizzazione della persona umana. Il rilievo costituzionale attribuito a tali formazioni consentiva ormai di affermare serenamente che i doveri di solidarietà e reciproca assistenza, che
legano i componenti della famiglia di fatto al pari di quella legittima, rivestono a tutti gli effetti le caratteristiche degli obblighi di natura morale e sociale, non coercibili e non ripetibili secondo il disposto dell’art. 2034 c.c.11
Successivamente il problema che si poneva era di distinguere tra l’adempimento di un dovere morale e l’atto di liberalità.
È stato giustamente rilevato come il dovere morale contenga in sé anche il criterio quantitativo che consente di determinare la misura della prestazione, precisandosi che non può ritenersi adempimento di un’obbligazione naturale qualsiasi prestazione ma solo quella che in relazione al caso concreto si riveli «proporzionata ed adeguata»12.
Secondo tale linea di pensiero, per verificare se si è di fronte all’adempimento di un obbligo morale di solidarietà “familiare” e non di una donazione (anche se nell’ambito della convivenza), occorrerà tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, quali la durata e le caratteristiche della relazione esistente tra debitore e creditore, l’impegno profuso da entrambi i conviventi nella conduzione del ménage familiare, le rispettive capacità economiche e patrimoniali13.
È questa la tesi che si è sostanzialmente consolidata in giurisprudenza in tema di prestazioni tra
conviventi, la cui casistica offre un interessante punto di osservazione della problematica in esame.
8 Cass., 7 ottobre 1954, n. 3389, in Foro it., 1955, I, c. 847.
9 Cass., 12 ottobre 1955, n. 3046 in Rep. del Foro it., 1955, Voce “Donazione”.
10 Cass., 17 gennaio 1958, n. 84, in Foro it., 1959, I, c. 470.
11 Di recente Cass., 22 gennaio 2014, n. 1277, in Guida dir.,
2014, 12, p. 71.
12 X. XXXXXXXX, «Obbligazioni naturali e donazione», in Familia, 2002, p. 591 e ss.
13 Sul punto, ad esempio, il Tribunale di Modena, 26
maggio 2015, in Giur. xxx. - Xxxxxx 0000.
Forma e pubblicità dei contratti di convivenza
Ad esempio il Tribunale di Bologna14, ha escluso la ricorrenza di una donazione simulata - come tale riducibile dagli eredi - nell’ipotesi in cui un convivente aveva venduto all’altro convivente un immobile, e il venditore aveva rilasciato quietanza di pagamento. La circostanza che il prezzo non fosse stato in realtà pagato aveva portato il collegio a ritenere che si fosse in presenza di un “atto gratuito atipico” posto in essere per adempiere un’obbligazione naturale.
Ugualmente sono stati ricondotti all’adempimento di un dovere morale l’intestazione di buoni fruttiferi alla convivente, effettuata con lo scopo di fornirle i mezzi di sussistenza dopo la morte del disponente15; oppure l’emissione da parte di un convivente - poco prima di morire - di un cospicuo assegno a favore della compagna della propria vita, con la finalità di liberarsi degli obblighi morali e sociali verso la stessa16.
Diversamente, è stata escluso l’adempimento di obbligazione naturale e riconosciuta la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, nel caso di una donna che aveva amministrato per più di sei anni i beni immobili del proprio fidanzato. Quest’ultimo non aveva dimostrato in giudizio che il rapporto era sfociato in quella “comunanza di vita e di interessi” che avrebbe conferito giusta causa alle prestazioni gratuitamente eseguite17.
È evidente quindi che allorquando il limite di proporzionalità e adeguatezza veniva superato, ci si poneva il quesito della natura dell’attribuzione in surplus e dei possibili rimedi esperibili, sia da parte dell’ex convivente che si ritenga ingiustamente depauperato, sia da parte degli eredi legittimi del disponente.
La forma dei contratti di convivenza: la scelta della legge Cirinnà
L’esigenza di fondo del legislatore, dunque, era quella di prevedere un “impegno formalizzato” in capo ai conviventi, così da far emergere il contenuto degli accordi economici relativi al ménage. Al 61
contempo creando un vincolo giuridico in capo ai singoli, sulla falsariga di quanto prevede l’art. 143
c.c. per il matrimonio (e l’unione civile).
Il risultato a cui invece è pervenuto il comma 51 appare, come visto, per un verso sproporzionato e, per altro verso - alla luce della tipologia degli “atti autentici” individuati - del tutto inidoneo.
Quanto all’eccessività del formalismo prescritto (si noti, a pena di nullità), rispetto al fine perseguito, può essere sufficiente richiamare quanto già evidenziato in dottrina18, e cioè che ben potrebbe il contratto di convivenza limitarsi a disciplinare gli obblighi di contribuzione o la misura dei mezzi di sussistenza al convivente debole, oppure la disciplina del comodato della casa di residenza in caso di fine della convivenza, aspetti questi per i quali appare obiettivamente inadeguato il formalismo imposto.
La forma autentica avrebbe potuto avere un senso, probabilmente, se stabilita per la (sola) ipotesi in cui i conviventi avessero scelto un determinato regime patrimoniale, e quindi assoggettando il contratto di convivenza alla forma pubblica prescritta per le convenzioni matrimoniali tra coniugi, estendendo analogicamente a tale fattispecie negoziale, la disciplina dell’art. 162 comma 1 c.c. (atto pubblico ricevuto da notaio con la presenza dei testimoni ai sensi dell’art. 48 L.N.). Sia ai coniugi che ai conviventi è certamente comune l’esigenza di garantire certezza, legalità19 nonché l’espressione della
14 Sentenza 16 febbraio 2011, Xxxxxxx Xxxxxxxx, in Obbl. e contr., 2011, p. 463.
15 Corte d’Appello di Napoli, 5 novembre 1999, in Giur. nap., 2000, p. 232.
16 Trib. Roma 13 maggio 1995, in Gius., 1995, p. 3593.
17 Cass. 29 settembre 2015, n. 19304 in Guida dir., 2015,
n. 42, p. 22, ma si veda, in senso contrario, Xxxx. xxx., 15
marzo 2006, n. 5632, in Giust. civ., 2007, I, p. 1728.
18 X. XXXXXX, La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze, cit., p. 70.
19 X. XXXXXXXXX, Regime patrimoniale della famiglia, in Dig. civ., XVI, Torino, 1997, 386; X. XXXXXXXXX, Le convenzioni matrimoniali, in Tratt. Bonilini, Xxxxxxxx, XX, Xxxxxx, 0000.
X. Xxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
volontà libera e ponderata in una materia delicata ed importante quale quella della regolamentazione dei rapporti patrimoniali familiari.
Anche se, l’estensione ai contratti di convivenza, della forma vincolata prescritta dall’art. 162 per le convenzioni matrimoniali tra coniugi, non si sarebbe più spiegata se messa in correlazione con le finalità tutelate dalla legge Cirinnà. Se infatti nel rapporto patrimoniale tra coniugi la forma vincolata ex art. 162 c.c. è a protezione degli interessi economici che scaturiscono dalla famiglia fondata sul matrimonio (e oggi sull’unione civile), la stessa scelta se riferita al rapporto di convivenza disciplinato dal comma 36 della legge Xxxxxxx, si sarebbe mossa in senso diametralmente opposto rispetto alla generale volontà del legislatore, di non parificare le convivenze al matrimonio.
Sul piano dell’inadeguatezza, inoltre, non si riesce a comprendere come l’imposizione della forma autentica si rapporti all’altra scelta del legislatore di rendere facoltativa la stipulazione del contratto di convivenza (comma 50: «I conviventi di fatto possono …»).
È curioso osservare che in futuro potremmo avere “convivenze Cirinnà” regolate minuziosamente sotto il profilo patrimoniale da atto pubblico, e le stesse convivenze nelle quali restano privi di formale regolamentazione tutti i rapporti patrimoniali all’interno della coppia, quando invece sarebbe stato senz’altro opportuno dettare un “formalismo minimo” almeno riguardo ai conferimenti eseguiti da ciascun convivente alla vita in comune, in adempimento di quel dovere di reciproca assistenza morale e materiale, che è naturalmente connesso con la convivenza.
La prescrizione di una forma minima per quei conferimenti, alla luce degli orientamenti sopra ricordati, avrebbe consentito di delimitare i casi in cui le restituzioni e i rimborsi sono dovuti - in base al principio dell’ingiustificato arricchimento - e quelli in cui non lo sono, in base alla regola stabilita per le obbligazioni naturali20.
Una disposizione di tal fatta avrebbe senza dubbio mostrato la sua utilità non solo al termine della convivenza, per agevolare le operazioni di “dare e avere” nella coppia, ma anche durante la stessa,
62 potendo la formalizzazione delle singole attribuzioni, escludere in radice quello squilibrio tra le prestazioni erogate che porterebbe altrimenti a colorare di liberalità talune attribuzioni, con le note
conseguenze in tema di azione di riduzione e pignoramento ex art. 2929-bis c.c.
Atto pubblico, autenticazione del notaio e autenticazione dell’avvocato
La scelta del legislatore si è quindi chiaramente orientata, quanto alla forma per la validità del contratto di convivenza, tra l’atto pubblico notarile e la scrittura privata autenticata da notaio o da avvocato21. Xxxx’inadeguatezza della scelta dell’atto autentico rispetto alle finalità perseguite si è già detto.
Resta ora da dire della scelta compiuta dal legislatore, di aver ritenuto fungibili gli atti autentici di produzione notarile (atto pubblico e scrittura privata autenticata) con quello di produzione dell’avvocato.
L’accostamento operato dal comma 51 tra i primi due documenti e la scrittura privata autenticata dall’avvocato, appare pericolosamente disancorato dal sistema delle prove documentali, dando peraltro l’impressione di una forza che tutti questi atti sprigionerebbero in egual misura per sostenere la struttura documentale del contratto di convivenza.
Con una ambigua propagazione terminologica si giunge dapprima a ritenere equipollente la scrittura privata “autenticata” dal notaio a quella “autenticata” dall’avvocato e, successivamente, in sede di scelta della forma per il contratto di convivenza, a ritenere perfettamente fungibile l’opzione tra l’atto
20 X. XXXXX, «Unioni civili e convivenze», in Xxxxxxxxx.xx, 2016, 6, p. 211 e ss.
21 In senso contrario F. MECENATE, in La nuova
regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze, Torino, 2016, p. 155.
Forma e pubblicità dei contratti di convivenza
pubblico notarile e la scrittura privata autenticata dall’avvocato.
È possibile sostenere che il comma 51 abbia attribuito all’avvocato il potere di autenticare le sottoscrizioni - secondo quanto previsto dall’art. 2703 c.c. - apposte in calce agli accordi di convivenza, così come potrebbe fare il notaio?
La lectio degli articoli 2699 e 2703 c.c. conduce ad una risposta senz’altro negativa e che sgombra il campo dall’equivoco a base della (ri)costruzione operata dal legislatore nel comma 51, che solo apparentemente “equipara” la scrittura privata autenticata dal notaio a quella “autenticata” dall’avvocato.
L’attribuzione a quest’ultimo professionista di un potere certificativo che, sul piano terminologico, non si distingue da quello del notaio, non deve portare a ritenere che si tratti dell’attribuzione del potere di autentica formale ex art. 2703 c.c.
Se questa fosse stata la reale intenzione del legislatore, ci troveremmo in presenza di una vera e propria anomalia che non conosce precedenti nel sistema, il quale ruota attorno al principio di tipicità degli atti autentici o “fidefacienti”, vale a dire atti o provvedimenti produttivi di “certezze legali”, destinati a provare - fino a querela di falso - fatti o atti che il pubblico ufficiale competente a redigerli (es: giudice o notaio) attesta essere avvenuti alla sua presenza o da lui compiuti.
Con riferimento agli atti autentici trascrivibili nei registri immobiliari indicati dall’art. 2657 c.c., si è osservato che la “certezza legale” promanante da questa categoria di documenti, è eccezionale e prevista in maniera tassativa, «perché nessun privato … può imporre ad altri privati di assumere come certo un fatto che egli enunci in una propria dichiarazione, se non in base ad una precisa norma di legge»22.
Partendo da questa constatazione si comprende perché l’atto pubblico (art. 2699 c.c.) e la scrittura privata autenticata (art. 2703 c.c.), per gli effetti che l’ordinamento ne fa discendere (artt. 2700 e 2702 c.c.), possono provenire solo da pubblici ufficiali “espressamente” autorizzati dall’ordinamento a porli
in essere. 63
Il potere certificativo, dal quale deriva la fede privilegiata delle attestazioni provenienti dal pubblico
ufficiale autorizzato, tanto con riferimento all’efficacia dell’atto pubblico ex art. 2700 c.c., quanto in relazione al contenuto dell’autenticazione delle sottoscrizioni, ex art. 2703 c.c., è espressione di una funzione pubblica che viene delegata dallo Stato, e come tale può estrinsecarsi solo in ipotesi tassativamente predeterminate, nessun potere pubblico essendo configurabile in difetto di una norma dalla quale esso venga espressamente attribuito23.
Il solo tra i pubblici ufficiali che è investito di un generale potere certificativo (o potestà documentativa) è il notaio, definito dall’art. 1 della legge notarile (L. 16 febbraio 1913, n. 89) come il pubblico ufficiale istituito “per” ricevere atti e attribuire loro pubblica fede. Dal combinato disposto dell’art. 1 L. N. e 2699 c.c. emerge quindi una competenza generale a ricevere atti pubblici fidefacienti, attribuita in via primaria al notaio e, solo in presenza di un’espressa autorizzazione, ad altri pubblici ufficiali.
Quanto all’atto pubblico, quindi, non tutti gli atti formati dai pubblici ufficiali diversi da notaio sono atti di fede privilegiata ai sensi dell’art. 2699 c.c., rientrando nella previsione di questa norma soltanto gli atti che i pubblici ufficiali formano nell’esercizio di pubbliche funzioni certificative. Vale a dire funzioni delle quali devono essere espressamente investiti dalla legge, esulando viceversa dal perimetro di questa norma, tutti gli atti dei pubblici ufficiali che non siano espressione di dette funzioni24.
Perché possa parlarsi di atto pubblico, infatti, non è sufficiente che il documento sia formato da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, ma occorre anche - necessariamente - che la legge
22 X. XXXXXXX, in Trattato della trascrizione diretto da
X. Xxxxxxxxx e X. Xxxxxxx, Torino, 2014, III, p. 116 e ss. che riferisce l’affermazione del testo a M.S. XXXXXXXX, Diritto amministrativo, II, Milano, 1970, p. 1020 e 1025.
23 Cass., 24 luglio 1999 n. 8021, in Foro it., 2001, p. 680.
24 Cass., S.U., 9 aprile 1999, n. 215: nel caso di specie le
S. U. hanno escluso che potesse ricondursi nell’ambito dell’art. 2699 c.c. la corrispondenza che i pubblici ufficiali si scambiano tra loro o con i privati.
X. Xxx
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di un diritto civile postmoderno
attribuisca in modo non equivoco a quel pubblico ufficiale una specifica funzione certificativa e con ciò stesso, la capacità di essere fonte di produzione di pubbliche certezze.
Pertanto nell’individuazione (e delimitazione dei poteri certificativi) dei soggetti che possono qualificarsi come pubblici ufficiali, ai sensi dell’art. 2699 c.c., occorre adottare un’interpretazione equilibrata, evitando di ricomprendervi qualsiasi soggetto che agisca nell’esercizio di una funzione amministrativa o di pubblico servizio.
Questo spiega pertanto che se tutti gli atti pubblici sono documenti pubblici, non sempre tutti i documenti pubblici sono anche atti pubblici.
Le considerazioni sopra esposte che hanno portato ad individuare una competenza generale in capo al notaio nel ricevere atti pubblici, vanno riproposte anche per l’atto di autenticazione delle scritture private, che seppure di portata ridotta rispetto all’atto pubblico, resta pur sempre atto pubblico fidefaciente.
L’art. 2703 comma 1 c.c., infatti, quanto agli effetti coperti da pubblica fede, delinea - con struttura pressoché identica all’art. 2699 comma 1 c.c. - dapprima la (speculare) competenza esclusiva del notaio e (residualmente) degli altri pubblici ufficiali autorizzati espressamente ad eseguirla, ed in seguito l’efficacia probatoria della certificazione. Precisamente il pubblico ufficiale, certificando l’autenticità della sottoscrizione, attribuisce fede privilegiata alla circostanza dell’identificazione della parte e al fatto che questa ha sottoscritto dinanzi al pubblico certificatore, per il resto rimanendo il documento una comune scrittura privata.
Non possono quindi non valere anche in quest’ambito, i limiti al potere certificativo delineati dal legislatore per l’atto pubblico, poiché gli effetti che si ricollegano alla scrittura privata autenticata ex art. 2703 c.c., sono coincidenti con quelli della scrittura privata riconosciuta in giudizio (art. 215 c.p.c.), così come previsto dall’art. 2702 c.c., vale a dire la stessa efficacia probatoria dell’atto pubblico (fino a querela di falso), ancorché limitatamente alla «provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta».
64 Che solo la scrittura privata autenticata sia idonea a produrre quei particolari effetti probatori, si spiega, da un lato, con la specifica qualifica del soggetto che è abilitato a produrla, e quindi solo il
«notaio o altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato», e dall’altro lato con l’accentuato formalismo che ne presidia la formazione.
Riguardo al primo aspetto può richiamarsi quanto già detto per l’atto pubblico. E cioè che non ogni soggetto dotato della qualifica di pubblico ufficiale, è anche dotato dell’idoneo potere certificativo a porre in essere un’autenticazione produttiva degli effetti previsti dall’art. 2703 c.c.
Si pensi al Segretario Comunale che per quanto sia qualificabile come pubblico ufficiale, non è anche provvisto del potere di eseguire istituzionalmente quel tipo di autenticazione per ogni scrittura privata, ma solo per le ipotesi espressamente indicate dal legislatore. Così come appunto previsto dall’art. 97 lett. c) del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), in cui il legislatore lo ha autorizzato (oltre che a «rogare tutti i contratti nei quali l’ente è parte») ad
«autenticare scritture private ed atti unilaterali nell’interesse dell’ente».
Non sussiste quindi una competenza generale di autenticazione dei segretari comunali per tutti gli atti negoziali, ma unicamente una competenza specifica, confinata all’autenticazione degli atti dai quali emerge un interesse dell’ente nel quale opera. Xxxxxxxxxsi, a contrario, che ove si voglia rintracciare un potere generale di autenticazione del Segretario Comunale, occorra guardare al settore nel quale quest’ultimo opera “naturalmente”, e cioè quello relativo agli atti che intercorrono nei rapporti tra privati e Pubblica Amministrazione (e quindi all’art. 21 del D.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445), e non invece agli atti negoziali tra privati, per i quali quel dipendente pubblico non può certamente essere ritenuto “autorizzato” ad apporre l’autentica dell’art. 270325.
25 Cass., 3 aprile 1998, n. 3426; Cass., 19 agosto 2004, n. 16266; Presidenza del Consiglio dei Ministri, circolare 21 ottobre 1968, n. 778/8/1; Ministero dell’interno, circolare
28 marzo 1980, n. 1068.15900; Ministero dell’interno,
circolare 23 ottobre 1971, n. 21.
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Quanto all’altro aspetto, che pure impedisce di ricollegare l’efficacia di prova legale alla «provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta», esso è legato al formalismo che il notaio26 e il pubblico ufficiale abilitato all’autentica ex art. 2703 c.c., sono chiamati a porre in essere.
Da questa norma e dagli art. 72 L.N. e 86 R.N. emerge il nucleo essenziale dell’autentica formale, comune al notaio o agli altri pubblici ufficiali, consistente in una specifica attività di documentazione. Più precisamente dovrà risultare dal testo dell’autentica la dichiarazione (o attestazione) del soggetto che la redige, di aver previamente identificato il sottoscrittore, che quest’ultimo ha sottoscritto dinanzi a lui, nonché l’indicazione del luogo e della data in cui è stata compiuta.
Inoltre, ma solo per il notaio, dalla formula di autentica dovrà risultare anche l’eventuale presenza dei testimoni27, dei fidefacienti28, l’apposizione della formula di autentica “di seguito alle firme” e dell’impronta del sigillo, provvedendo altresì alla repertoriazione e registrazione dell’atto autenticato. Dato indefettibile dell’autentica c.d. formale, quindi, è la necessità che le firme siano apposte in presenza del pubblico ufficiale, con la conseguenza che in difetto della certezza di tale circostanza, non essendo stato ciò documentato, si è in presenza di un’autentica “minore” o “vera di firma”.
L’autentica minore non ha una disciplina generale di riferimento, essendo richiamata di volta in volta da leggi speciali per specifiche esigenze, e per tali ragioni viene attribuita a soggetti non titolari di poteri certificativi. Si pensi ad esempio alla girata dei titoli azionari (art. 12, X.X. 00 marzo 1942, n. 239), oppure alla domanda di trasformazione di rendite nominative in titoli al portatore (art. 8, L. 12 agosto 1957, n. 752) o, ancora, all’accertamento dell’identità del sottoscrittore dell’originale del telegramma nei modi stabiliti dai regolamenti dell’amministrazione postale (art. 2705 comma 4 c.c.). La “vera di firma” si caratterizza per una ridottissima attività certificativa del pubblico ufficiale, benché anche in questo tipo di autentica egli sia previamente tenuto ad identificare - per quanto in forma estremamente sintetica - il sottoscrittore e raccoglierne la firma alla sua presenza, essendo questi passaggi imprescindibili per ricondurre le dichiarazioni contenute nel documento al sottoscrittore. Del
compimento di tali attività, però, non vi è alcuna traccia nella formula di “autenticazione” che appare 65
estremamente scarna, ricorrendo di norma dopo la sottoscrizione, l’espressione “vera la firma di…”
o “tal è la firma di … ”.
Né sussiste nelle varie leggi che hanno previsto l’autentica minore, alcun obbligo di documentare quelle attività per la validità sostanziale della stessa.
La differenza tra i due tipi di autentiche, quindi, risiede nelle attestazioni che compie (o, nel caso della vera di firma, non compie) il pubblico ufficiale e che efficacemente la giurisprudenza ha posto in evidenza. Si è chiarito infatti che l’autenticazione di firma risultata apocrifa, in cui il notaio abbia attestato falsamente che la firma è stata apposta in sua presenza da persona da lui previamente identificata, integra il reato di falsità in atto pubblico originale (art. 479 c.p.), «in quanto il mendacio si estende a circostanza inerente l’attività del pubblico ufficiale (identificazione del sottoscrittore) e cade sotto la di lui diretta percezione (sottoscrizione in sua presenza)». Diverso, invece, è il caso di falsa attestazione della verità della firma nell’autentica cosiddetta minore, «in cui il notaio si limita a fare una dichiarazione personale di scienza, avente valore limitato (fede non privilegiata) che non
26 Oltre alle modalità di esecuzione e al controllo sul contenuto del documento ex art. 28 L.N., il notaio che pone in essere l’autentica formale è chiamato ad assolvere ad una serie di formalità di complessità variabile, come appunto quelle prescritte dalla legge notarile o dalle leggi speciali (formalità redazionali, iscrizione a repertorio, registrazione fiscale, obbligo del notaio di eseguire le formalità pubblicitarie, menzione della presenza dei testimoni ove necessario).
27 L’art. 1 della legge 2 aprile 1943, n. 226, come modificato dall’art. 12 comma 3 della legge 28 novembre
2005, n. 246, prevede che «Nell’autenticazione delle sottoscrizioni delle scritture private è necessaria la presenza dei testimoni, qualora lo ritenga il notaio o una parte ne richieda la presenza. In tal caso il notaio deve farne espressa menzione nell’autenticazione».
28 Quando al notaio non risulti possibile procedere all’identificazione diretta dei sottoscrittori, potrà servirsi dei fidefacienti di cui all’art. 49 L.N per acquisire la certezza in ordine all’identità personale delle parti (Cass., 17 maggio 1986, n. 3274, in Riv. not., 1986, p. 734).
X. Xxx
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presuppone le formalità dell’art. 2703 c.c., in questo caso se la firma o la data risultano false o non vere, il fatto integra il reato di cui all’art. 480 c.p. (falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in certificati)»29.
Ma la differenza tra autentica “formale” e autentica “minore” oltre che sul piano formale si registra anche su quello sostanziale.
Quando infatti è il notaio a redigere l’autentica formale, all’accentuato formalismo sopra illustrato corrispondono anche penetranti controlli sostanziali, stante la perfetta equiparazione tra atto pubblico e autentica formale, finalizzati al controllo di legalità sul contenuto del documento (che è invece assente nell’autentica minore). Il notaio infatti è obbligato in base al nuovo art 28 L.N. (modificato dalla legge n. 246/2005), a porre in essere quel controllo tutte le volte in cui è richiesto di documentare la conclusione di assetti negoziali, sicché il divieto di porre in essere atti contrari a norme imperative, ordine pubblico o buon costume riguarda sia atti ricevuti che autenticati. Rispetto all’attività notarile ciò denota in modo ancora più marcato la sostanziale fungibilità tra autentica formale e atto pubblico e l’assoluta diversità tra autentica formale e autentica minore.
Il controllo di legalità sostanziale sul contenuto del documento che viene sottoscritto spiega l’affermazione - in precedenza appena accennata - secondo cui il campo di applicazione elettivo dell’autentica formale è quello degli atti negoziali (per quanto non sia impedita una sua eventuale utilizzazione per altri scopi).
Questo perché il contenuto dei negozi giuridici è quello che necessita di un maggior controllo da parte del pubblico ufficiale autenticante. I negozi giuridici sono destinati a modificare gli assetti patrimoniali dei soggetti che li sottoscrivono (non così, invece, le istanze rivolte alla P.A.), sicché l’impiego delle rigorose prescrizioni formali previste dal codice civile e dalla legge notarile, giustificano che per i contratti tra privati sia applicato il più rigoroso tra i meccanismi legali di riconoscimento della sottoscrizione, ben potendo la regola di autonomia privata stabilita dalle parti, atteggiarsi secondo
66 uno schema negoziale atipico del quale deve anche essere valutata la meritevolezza con i principi dell’ordinamento.
Si aggiunga anche che il controllo di legalità espletato dal notaio sul contenuto della scrittura privata da autenticare, si giustifica anche per quelle da trascrivere o iscrivere in pubblici registri. Data la sostanziale fungibilità tra atto pubblico e scrittura privata autenticata ai fini della produzione degli effetti negoziali desiderati, è fondamentale che solo le scritture private autenticate da notaio o da pubblici ufficiali espressamente delegati dalla legge, siano idonee ad alimentare i pubblici registri immobiliari e commerciali, fonte di conoscenza per i terzi delle vicende giuridico patrimoniali. È da ricordare infatti che solo le scritture private autenticate da notaio e destinate alla pubblicità immobiliare e commerciale, vengono per legge conservate dal notaio tra i suoi atti (art. 72, ult. comma, L.N.).
Altra differenza tra le due autentiche è quella che attiene al sistema di conservazione degli atti da parte del notaio30 (non presente in altre professioni) e che fa comprende perché a seguito delle riforme attuate con le leggi n. 80/2005 e 263/2005, solo la scrittura privata autenticata da notaio riveste anche la qualità di titolo esecutivo (relativamente alle sole obbligazioni pecuniarie in essa contenute), assimilandone il regime di esecuzione a quello proprio dei titoli di credito previsti dall’art. 474, comma 2, n. 2 c.p.c. (xxxxxxxx, assegno e altri titoli di credito con efficacia esecutiva).
Solo il notaio infatti, obbligato per legge a conservare nei suoi atti gli atti autenticati secondo quanto previsto dall’art. 72 L.N., potrebbe essere in grado di rispettare il precetto dell’art. 476 co, 1 in base al quale «non può spedirsi senza giusto motivo più di una copia in forma esecutiva alla stessa parte».
29 Orientamento consolidato: Cass. pen., 8 gennaio 1987,
(dep.) n. 62; Cass. pen., 20 ottobre 1981 (dep.), n. 9226,
in Vita not. 1982, 1334; Cass. pen., 31 marzo 1979 (dep),
n. 3362; Cass. civ., 30 marzo 1967, n. 691 in Riv. not., 1967, p. 669 che chiarisce che l’efficacia probatoria della
sottoscrizione nell’autentica minore è contestabile anche senza querela di falso.
30 A cui si devono aggiungere anche le ispezioni biennali periodiche da parte degli Archivi notarili, che sono parte del sistema disciplinare e sanzionatorio dei notai.
Forma e pubblicità dei contratti di convivenza
Tali considerazioni portano ad escludere, quindi, che quella attribuita all’avvocato dal comma 51 della legge n. 76/2016, sia un potere di autentica equiparabile a quella del notaio, dovendosi invece ritenere che a tale professionista sia stato riconosciuto il potere di eseguire una c.d. “autentica minore”31.
Difettando nell’avvocato la posizione di terzietà rispetto alle parti dell’atto, a tale professionista non può essere stato attribuito, in via generale ed astratta, il c.d. potere certificativo, vale a dire quello di produrre atti fidefacienti, destinati a provare - fino a querela di falso - fatti o atti che il pubblico ufficiale competente a redigerli (es: giudice o notaio) attesta essere avvenuti alla sua presenza o da lui compiuti. Non essendo qualificabile l’avvocato come pubblico ufficiale, lo stesso non è titolare, in via generale, di un potere certificativo che gli consenta di generare atti produttivi di certezze legali.
Né specificamente connesso allo svolgimento della professione di avvocato vi è anche il potere di autenticazione delle sottoscrizioni in calce ad atti negoziali nel senso dell’art. 2703 c.c., ma solo quello di certificare l’autografia delle sottoscrizioni, e cioè di attestare l’autenticità delle firme apposte dinanzi a lui nei casi in cui la legge lo autorizza.
Ciò si evince dallo stesso art. 83 c.p.c. in materia di procura alle liti, laddove viene precisato che un conto è il conferimento del mandato difensivo connesso (“in calce o a margine”) all’atto giudiziario, ed un altro conto è il conferimento dello stesso mandato difensivo in assenza di quella connessione documentale.
Mentre al terzo comma viene precisato che per la procura alle liti contenuta all’interno dell’atto dal quale scaturisce l’attività difensiva, è ritenuta idonea la «certificazione dell’autografia della sottoscrizione» proveniente dal difensore, nel secondo comma dell’art. 83 c.p.c. viene precisato che lo stesso mandato difensivo, al di fuori dell’ipotesi eccezionale del terzo comma, deve essere conferito
«con atto pubblico o scrittura privata autenticata», e quindi con atto ricevuto o autenticato da notaio
31 Neppure potrebbe sostenersi che all’avvocato sia stato attribuito il potere di compiere un’autentica amministrativa, dal momento che non si è in presenza di un’istanza da rivolgere alla Pubblica Amministrazione. La disciplina di riferimento dell’autentica amministrativa è dettata dall’art. 21 del D.P.R. n. 445/2000, il quale stabilisce che «le sottoscrizioni delle istanze da presentare nei confronti della P.A. possono essere autenticate» oltre che da notaio anche da «cancelliere, segretario comunale, dal dipendente addetto a ricevere la documentazione o da altro dipendente incaricato dal Sindaco». Questa norma
- che ha un contenuto sostanzialmente identico a quella contenuta nella precedente legge n. 15 del 1968 - disciplina la forma dell’autentica delle sottoscrizioni apposte in calce alle istanze da inoltrare alla pubblica amministrazione, chiarendo che la forma minima impiegabile è quella
c.d. “amministrativa” e quindi un tipo di autentica per la quale sono richieste minori prescrizioni di forma e di sostanza rispetto all’autentica c.d. formale. Ciò si spiega con il fatto che dall’istanza rivolta alla P.A. - da cui prende avvio il procedimento amministrativo - scaturiscono una serie di effetti tipici predeterminati, riconducibili all’emanazione del provvedimento o al rigetto dell’istanza da parte dell’amministrazione. Compreso anche il fatto che il mutamento delle posizioni giuridiche delle parti istanti deriva in ogni caso, esclusivamente, dal provvedimento della P.A. che valuta la conformità a legge della richiesta presentata. Tali aspetti chiariscono, quindi, come il procedimento amministrativo presenti
rispetto ad altri procedimenti (es. quello giurisdizionale), 67 connotati di minore formalità che giustificano anche la minore rigorosità del procedimento di autenticazione
delle sottoscrizioni. È noto infatti che per quanto il nucleo essenziale dell’autentica amministrativa coincida con quello dell’autentica c.d. formale disciplinata dagli articoli 2703 c.c., 72 L.N. e 86 R.N. (attestazione da parte del pubblico ufficiale competente che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza), quest’ultima è caratterizzata - come detto nel testo - dall’assolvimento di una serie di formalità certamente più complesse, come appunto quelle prescritte dalla legge notarile o dalle leggi speciali (formalità redazionali, iscrizione a repertorio, registrazione fiscale, obbligo del notaio di eseguire le formalità pubblicitarie, menzione della presenza dei testimoni ove necessario). La differenza tra autentica formale e amministrativa, però, non è limitata solo a tali profili, venendo infatti in evidenza sia la limitazione dei pubblici ufficiali che possono utilizzare la prima, sia l’assoluta inidoneità della seconda per autenticare firme apposte in calce ad atti negoziali, aspetti questi evidenziati nel testo.
Per F. MECENATE, op. cit., p. 162, l’autentica dell’avvocato è un’asseverazione rilasciata da soggetto abilitato, analoga a quelle che provengono da altri professionisti, come ad esempio (nella materia dell’edilizia) per l’asseverazione che si rinviene in calce alla relazione del progettista abilitato che accompagna la presentazione della denuncia di inizio attività ex art. 23 D.P.R. n. 380/2001.
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Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
o da altro pubblico ufficiale autorizzato (artt. 2699; 2703 c.c.).
E che l’autenticazione delle sottoscrizioni compiuta dal notaio e quella eseguita dall’avvocato, corrispondano a modalità totalmente diverse di attestazione dell’autografia dei sottoscrittori, lo evidenzia la stessa Cassazione penale che ha ravvisato nella falsa attestazione dell’avvocato sull’autenticità della sottoscrizione di una procura ad litem, il reato di falso in certificazione commesso da esercente la professione forense ex art. 481 c.p. e non invece il più grave reato di falso ideologico commesso da pubblico ufficiale ex art. 479 c.p.32
D’altra parte connesso al potere di “autentica” che l’art. 51 attribuisce all’avvocato, non vi è anche l’obbligo in capo a tale professionista, di arrestarsi nell’esercizio di quel potere ove ravvisi un contenuto contra legem nelle pattuizioni di carattere patrimoniale del contratto di convivenza.
L’attestazione di conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico, che devono accompagnarsi
alla certificazione dell’autografia della sottoscrizioni delle parti, fanno riferimento infatti ai contenuti contra legem individuati dal successivo comma 57 che non devono essere inseriti nei registri anagrafici (preesistenza di vincolo matrimoniale, unione civile o convivenza; persona minore di età, interdetto giudiziale, ecc.) e che determinano la nullità del contratto di convivenza impedendo la formalizzazione della convivenza stessa.
Si tratta di un’attestazione che deve essere resa espressamente dal solo avvocato ma non dal notaio, il quale autenticando le sottoscrizioni è tenuto ad osservare il disposto dell’art. 28 L.N. che gli fa divieto di autenticare atti «espressamente proibiti dalla legge» sotto ogni profilo (patrimoniale e non patrimoniale)33.
Il controllo di legalità espletato dal notaio sul contenuto della scrittura privata autenticata, si giustifica anche in funzione della pubblicità immobiliare per la quale sono titoli idonei la sentenza, l’atto pubblico, la scrittura privata autenticata da notaio o accertata giudizialmente. Stante la sostanziale fungibilità tra atto pubblico e scrittura privata autenticata ai fini della produzione degli effetti negoziali desiderati,
68 è fondamentale che solo le scritture private autenticate da notaio o da pubblici ufficiali espressamente autorizzati dalla legge, possano alimentare i pubblici registri immobiliari e commerciali, fonte di
conoscenza per i terzi delle vicende giuridico patrimoniali. Certezza ed affidabilità delle risultanze dei registri immobiliari costituiscono strumenti di protezione di tutti gli interessi coinvolti, che non sono solo quelli dei soggetti concretamente interessati alla singola formalità, ma anche quelli generali della collettività alla sicurezza dei traffici giuridici. Ciò è stato recepito dal legislatore che ha giudicato solo la scrittura privata autenticata da notaio quale titolo idoneo (come l’atto pubblico) per attuare la pubblicità nei pubblici registri (cfr. art. 2657 c.c.).
Di tale impostazione potrà trovarsi conferma anche nei recenti provvedimenti di de- giurisdizionalizzazione.
In tema di negoziazione assistita dagli avvocati, disciplinata dal D.l. n. 132/2014, il legislatore attribuisce all’avvocato solo il potere di “certificare” l’autografia della sottoscrizione delle parti in calce all’accordo che compone la controversia (art. 5 comma 2), mentre se con lo stesso accordo le parti concludono uno dei contratti soggetti a trascrizione, sarà necessario che le sottoscrizioni delle parti siano “autenticate” da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
Analogamente, in materia di mediazione civile e commerciale, il potere che l’art. 11 comma 3 del D.lgs. n. 28/2010 attribuisce al mediatore, dinanzi al quale viene concluso l’accordo amichevole tra le parti in lite, è sempre circoscritto alla «certificazione dell’autografia della sottoscrizione» che è potere diverso da quello che lo stesso comma riserva al pubblico ufficiale autorizzato, di autenticare le
32 Cass. pen., 26 novembre 2002, n. 3135, dep. 22 gennaio
2003; Xxxx. xxx., 00 xxxxxx 0000, x. 00000 (xxx. il 14
giugno 2005).
33 Della violazione del divieto di ricevere o autenticare atti
espressamente proibiti dalla legge il notaio risponde sul piano disciplinare con la sospensione da sei mesi ad un anno dalla professione.
Forma e pubblicità dei contratti di convivenza
sottoscrizioni apposte in calce al medesimo accordo nel caso in cui contenga uno dei contratti soggetti a trascrizione ex art. 2643 c.c.
Anche nella legge Cirinnà è possibile rinvenire il medesimo cliché rappresentato dal potere certificativo attribuito all’avvocato e dal potere di autenticazione riservato al notaio in caso si debba procedere a trascrizione nei registri immobiliari. Nel comma 60 è dato leggere infatti che «resta in ogni caso ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza»34.
In conclusione la forma minima prescritta per i contratti in parola, idonea anche all’inserimento nell’Anagrafe, è quella della scrittura privata “autenticata” (rectius: certificata come autentica) dall’avvocato nel senso sopra precisato, vale a dire la certificazione dell’autografia delle sottoscrizioni mediante apposizione della c.d. vera di firma, a cui si accompagna anche l’attestazione da parte di questo professionista della conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico del contratto.
Tale forma potrebbe però non essere sufficiente nell’ipotesi in cui il contenuto del contratto di convivenza risulti eventualmente arricchito da accordi negoziali patrimoniali da trascrivere nei registri immobiliari, essendo necessaria allora la forma autentica di provenienza notarile, rappresentata dall’autenticazione c.d. formale ex art. 2703 c.c. e 72 L.N. o addirittura l’atto pubblico con la presenza dei testimoni se il negozio da stipulare richieda tale forma solenne. In queste ultime ipotesi il notaio non sarà anche tenuto ad effettuare alcuna attestazione di conformità dell’accordo a norme imperative o all’ordine pubblico, chiamato ordinariamente a verificarne il rispetto per ogni atto negoziale per il quale è richiesto il suo intervento. Intervento notarile - si noti - che sarà una scelta obbligata quando una delle parti sia straniera, analfabeta, affetta da cecità, o priva dell’udito e della parola, applicandosi in tale ipotesi i formalismi prescritti dalla legge notarile e delle leggi speciali a garanzia delle parti (artt. 48, da 54 a 57 L.N. e L. 3 febbraio 1975 n. 18).
La pubblicità dei contratti di convivenza 69
Il comma 52 prevede che «ai fini dell’opponibilità ai terzi, il professionista che ha ricevuto l’atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione ai sensi del comma 51, deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223».
È stato già segnalato che il sistema pubblicitario apprestato dalla legge n. 76/2016 per la pubblicità dei contratti di convivenza sia senz’altro inadeguato35, e credo che difficilmente si possa dissentire da questa affermazione.
A parte l’erroneo richiamo all’art. 5, concernente non la “famiglia anagrafica” (contemplata nell’art. 4), ma le “convivenze anagrafiche” (quelle, cioè, costituite per motivi religiosi, di cura, di pena e simili), l’art. 1 della L. 24 dicembre 1954, n. 1228 (Ordinamento delle anagrafi della popolazione residente), dopo aver detto che «nell’anagrafe sono registrate le posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze», prosegue affermando che «gli atti anagrafici sono atti pubblici».
Da questa disposizione si comprende come per stabilire se l’iscrizione nei registri anagrafici dei contratti di convivenza possa o meno produrne l’ “opponibilità” ai terzi, non debba essere solo considerata l’estraneità di questi contratti e del loro contenuto dal novero delle informazioni registrabili
34 È vero che questa norma è collocata solo nella disposizione che disciplina la risoluzione e il recesso dal contratto, e non anche nel comma 51 che si riferisce alla nascita del contratto. Tuttavia sarebbe incongruo sostenere che nel caso in cui la stessa esigenza scaturisca nella fase
costitutiva del rapporto, la competenza notarile sia stata allargata all’avvocato in assenza di esplicita previsione.
35 X. XXXXXX, «La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali ed il contratto di convivenza», in Fam e dir., 2016, 10, p. 953 e ss.
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di un diritto civile postmoderno
nell’Anagrafe (destinataria - si sottolinea - delle informazioni sulle persone e non sui contratti)36, ma debba essere anche verificata quale sia la rilevanza giuridica delle risultanze anagrafiche e delle certificazioni rilasciate dagli ufficiali anagrafici.
Ai fini che qui interessano sancire che gli atti anagrafici sono “atti pubblici”, in realtà, non chiarisce
- se non che si tratta di atti accessibili al pubblico - se alle registrazioni anagrafiche possa essere riconosciuta l’efficacia di atti facenti fede fino a prova contraria. È di fondamentale importanza infatti che il notaio o chiunque si debba approvvigionare di informazioni certe ed affidabili, lo possa fare consultando un sistema pubblicitario in grado di fornire certezze legali sugli atti destinati alla conoscibilità mediante quel sistema.
Questo perché il notaio in particolare, quando è chiamato a ricevere atti negoziali, anche non dispositivi, di beni di proprietà dei conviventi, crea atti fidefacienti destinati a loro volta ad essere inseriti in un sistema di pubblicità, alimentato solo da atti produttivi di certezze legali (i registri immobiliari o quelli di stato civile).
L’intervento del notaio nei rapporti patrimoniali tra conviventi, in sostanza, segna un passaggio fondamentale, perché immette sul binario delle certezze legali, una categoria di rapporti che fino a quel momento potevano contare solo su un sistema di pubblicità notiziale o informativa37.
Questa infatti è la natura della pubblicità attuata nell’anagrafe, dal momento che le informazioni contenute nelle rispettive schede, secondo quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza, danno luogo a semplici presunzioni, superabili con prove contrarie38 senza che sia necessario ricorrere alla querela di falso o ad altri specifici procedimenti giudiziari, come invece per lo stato civile.
Gli atti compiuti dall’ufficiale di anagrafe, infatti, non sono né certazioni, con le quali si crea una realtà nuova, prima inesistente, attribuendosi una qualità giuridica (es. il certificato di sana e robusta costituzione), né accertamenti, caratterizzati da una o più verifiche circa l’esistenza di qualità o di modi di essere tecnici di cose e persone e che si concludono con un giudizio valutativo. Sono invece semplici
70 trascrizioni di dichiarazioni altrui (rese da soggetti privati o da ufficiali di stato civile), rispetto alle quali è sempre possibile dimostrare l’esistenza di una realtà diversa.
Da qui quindi la ridotta efficacia probatoria delle risultanze anagrafiche che, inevitabilmente, si riflette sulle certificazioni rilasciate dall’ufficiale competente. Queste, deve essere ricordato, sono l’unico strumento per il notaio di conoscere gli atti conservati presso l’anagrafe, se si considera quanto disposto dall’art. 37 del D.P.R. n. 223 del 1989, in base al quale «è vietato alle persone estranee all’ufficio di anagrafe l’accesso all’ufficio stesso e quindi la consultazione diretta degli atti anagrafici». Quindi il notaio non può ispezionare gli atti che si trovano presso l’anagrafe, diversamente da altri registri pubblici presso i quali ha accesso.
Quanto agli effetti delle certificazioni rilasciate dall’ufficiale di anagrafe, deve essere richiamata la distinzione - pacifica in dottrina - tra certificazioni in senso proprio ed improprio, ed in cui solo le prime sono produttive di certezza legale39.
36 Si tratta di concetto ampiamente condiviso, si veda X. XXXXXX, «Unioni civili tra persone dello stesso sesso e convivenze: il non facile ruolo che la nuova legge affida all’interprete», in Corr. giur., 2016, 7, p. 893; X. XX XXXX,
«I contratti di convivenza», in Nuove l. civ. comm., 2016, 4,
p. 702; X. XXXXXX, op. ult. cit., p. 948.
37 L’intervento notarile nei rapporti patrimoniali tra conviventi è una circostanza che potrebbe risultare particolarmente utile nell’ipotesi di atti dispositivi nell’ambito della convivenza. In questo caso l’emersione della comunione legale (nell’ipotesi che le parti del contratto di convivenza abbiano scelto tale regime per disciplinare il loro ménage) potrebbe risultare dalla
trascrizione dell’atto sulla base di una interpretazione evolutiva dell’art. 2659 c.c. non modificato dalla riforma.
38 Cass., 3 maggio 1976, n. 1572; Cass., S.U., 23 marzo 1972, n. 892, in Giust. civ., 1972, p. 822.
39 Cfr. X. XXXXXXXXXX, Certificazione (diritto amministrativo),
in Enc. giur. Treccani, vol. 6°, 1988, p. 1 in particolare p. 3; X. XXXXXXXX, op. cit., p. 797; X. XXXXX, Atti del Comune e obbligo di allegazione del Certificato di destinazione urbanistica, in AA.VV., Condono Edilizio, Collana Studi del CNN, Milano, 1999, p. 209 e ss.; X. XXXXXXX, «La circolazione giuridica dei terreni: analisi delle linee direttrici dello statuto di tali beni», in Studi e materiali, Quaderni semestrali, 2004, p. 545 e ss.
Forma e pubblicità dei contratti di convivenza
La certificazione in senso proprio consiste nella trascrizione integrale o parziale di un preesistente atto di certezza, risultante da registri pubblici o equiparati, e volto a mettere in circolazione e a disposizione di chiunque quella certezza. Fungendo il certificato da veicolo della certezza che si rinviene altrove, le certificazioni proprie devono essere assunte da ogni operatore giuridico esprimendo l’«unica rappresentazione possibile della realtà».
Gli atti di certezza legale, incidendo profondamente sull’autonomia privata e sulle libertà costituzionali, sono rigorosamente e tassativamente disciplinati dalla legge.
Completamente diversa invece sono le certificazioni improprie, nelle quali è assente la riproduzione documentale di certezze precostituite. In questa categoria si raggruppano tutti quegli atti che costituiscono il risultato di un’attività di accertamento e di valutazione, compiuta volta per volta e prima della loro emanazione, da pubbliche autorità o da “altri soggetti equiparati” nell’esercizio delle proprie competenze40.
Le certificazioni improprie quindi sono atti contenenti giudizi, indagini, analisi compiute dal soggetto emittente e che esprimono “dichiarazioni di scienza”, non idonee a creare certezze legali ed ammettendosi pertanto contro di esse prova contraria. Esse costituiscono certezze informative o notiziali, ponendosi come un’indicazione, una guida, la cui fondatezza può essere sempre disattesa. Sulla base di quanto detto sulla ridotta efficacia probatoria delle registrazioni anagrafiche, è evidente che la certificazione delle stesse, che altro non è se non una attestazione della loro esistenza riprodotta in un documento, produce effetti giuridici della stessa intensità e quindi non può essere considerata una certificazione propria.
Tale è d’altra parte l’orientamento della giurisprudenza che ha infatti ritenuto che i certificati rilasciati dagli uffici anagrafici comunali, se costituiscono prova delle risultanze dei relativi registri (e cioè che all’interno di una determinata scheda anagrafica risultino determinate informazioni), non valgono però a dimostrare la corrispondenza di quelle risultanze alla reale situazione di fatto. Le risultanze
dei certificati anagrafici costituiscono pertanto null’altro che semplici presunzioni, che possono essere 71
superate con prove contrarie41.
Xxx si guardi alle convivenze di fatto, tale conclusione appare in tutta la sua verità.
Le iscrizioni delle dichiarazioni anagrafiche non hanno l’efficacia di acclarare con efficacia preclusiva, la situazione di fatto dichiarata rispetto a determinati soggetti. Proprio perché di fatto e non formalizzata, la convivenza potrebbe venire meno e ciò non risultare dall’anagrafe perché la relativa dichiarazione non sia avvenuta.
Al contrario, le risultanze dei registri dello stato civile da questi formalmente risultanti, costituiscono certezze legali relativamente allo status familiare di determinati soggetti, anche se a chi consulta quei registri risulti incontrovertibilmente uno status reale diverso. Pertanto tali certezze legali, finché non siano rimosse con appositi procedimenti previsti dall’ordinamento, si impongono a chiunque come l’unica rappresentazione possibile, cosicché la verità legale si impone dunque alla verità reale42.
Se per i dati che tradizionalmente sono inseriti nei registri anagrafici, le relative certificazioni non costituiscono fonte di certezza legale, a maggior ragione occorre pervenire alla stessa conclusione per quelle informazioni non contemplate dalla legge del 1954 - come i contratti di convivenza e il loro contenuto - che dopo la legge Xxxxxxx arricchiscono la scheda anagrafica e delle quali pure l’ufficiale di anagrafe andrebbe a dare contezza nella certificazione rilasciata.
Questo vale per l’esistenza del contratto di convivenza, la cui certificazione varrà nei limiti sopradetti; per cui un’eventuale scioglimento della convivenza per mutuo dissenso, non dichiarata dalle parti o
40 Cfr. X. XXXXXXXX, op. cit., p. 799.
41 Cass., S.U., 23 marzo 1972, n. 892, cit.; di recente Cass., 14 maggio 2013, n. 11550, in Giust. civ. Mass., secondo la quale «le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo dell’effettiva abituale
dimora, il quale è accertabile con ogni mezzo di prova, anche contro le stesse risultanze anagrafiche, assumendo rilevanza esclusiva il luogo ove il destinatario della notifica dimori, di fatto, in via abituale».
42 X. XXXXXXXXXX, op. cit., p. 3.
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Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
- si noti - non denunciata dal professionista perchè non tenuto a farlo (cfr. comma 61) - renderà vana la certificazione dell’esistenza del contratto che, per l’effetto, risulterà a sua volto sciolto. Ma varrà, a fortiori, per la certificazione del contenuto del contratto da parte dell’ufficiale di anagrafe, rispetto al quale quest’ultimo effettuerà una vera e propria valutazione giuridica sul contenuto del contratto di convivenza, e quindi sulle lettere b) e c) del comma 53, ma soprattutto sul comma 54, vale a dire sulle modifiche del regime patrimoniale scelto.
Sotto questo profilo, quindi, la certificazione emessa è senz’altro impropria.
Ma c’è un altro aspetto che rende la pubblicità in esame totalmente inaffidabile ed è rappresentato dalla circostanza che la certificazione dell’ufficiale di anagrafe potrebbe basarsi su una copia (cfr. comma 52) non conforme del contratto di convivenza (si è già detto che questa è una scelta del legislatore corrispondente a quanto stabilito dalla legislazione anagrafica, che per la forma delle dichiarazioni da inserire nello schedario anagrafico prevede la semplice scrittura privata).
Nell’ipotesi in cui la copia del contratto di convivenza sia stata effettuata dall’avvocato, che lo abbia redatto in conformità al comma 51, questa è certamente copia non conforme all’originale secondo quanto prescritto dal codice civile e dal TU sulla documentazione amministrativa, non essendo l’avvocato né «depositario pubblico autorizzato» (artt. 2714 e ss. c.c.), né «pubblico ufficiale dal quale è stato emesso o presso il quale è depositato l’originale» (art. 18 D.P.R. 445/2000).
Pertanto ad eccezione dell’ipotesi in cui la copia depositata sia di provenienza notarile ovvero, seguendo un’interpretazione evolutiva del comma 51, prodotta dallo stesso ufficiale di anagrafe al quale - anziché essere trasmessa la copia - venga esibito l’originale del contratto (art. 18 D.P.R. 445/2000:
«l’autenticazione delle copie può essere fatta dal pubblico ufficiale… al quale deve essere prodotto il documento»), la certificazione dell’ufficiale di anagrafe si baserà su una copia non autentica di cui è incerta la reperibilità dell’originale, non essendo l’avvocato obbligato per legge a tenere un archivio degli atti.
72 La reperibilità dell’originale sarà sempre possibile, invece, quando è il notaio a ricevere ed autenticare il contratto di convivenza, che nella funzione di deposito e conservazione degli atti originali ricevuti
o autenticati (e, dopo la cessazione del notaio, presso l’Archivio notarile) ha il suo punto di forza. Ciò permette in ogni tempo alle parti di consultare il documento originale ed ottenerne copia e, allo Stato, di procedere alle attività ispettive biennali ordinarie o a quelle straordinarie.
Sulla base di queste considerazioni è seriamente dubitabile che con il sistema approntato dalla legge n. 76/2016 si sia attuata l’opponibilità ai terzi del contratto di convivenza di cui al comma 5243.
43 La mancata attuazione di un regime di pubblicità dichiarativa per i contratti di convivenza, che li renda pienamente opponibili erga omnes analogamente a quanto stabilito dall’art. 162 comma 4 c.c. per le convenzioni matrimoniali, è destinata a creare non pochi problemi in sede di circolazione dei diritti reali immobiliari. Particolarmente nell’ipotesi in cui i “conviventi Cirinnà” abbiano scelto in sede di stipulazione del contratto, di assoggettare i rapporti patrimoniali della convivenza al regime della comunione dei beni (comma 53 lett. c).
Il tema meriterebbe un’ampia e specifica trattazione ma esulerebbe, evidentemente, dall’ambito del presente contributo. Non può non evidenziarsi, in ogni caso, che se la finalità del legislatore sia stata quella di replicare il funzionamento del regime della comunione legale nei rapporti tra coniugi anche in quelli tra conviventi, tale obiettivo sembra destinato a non essere raggiunto.
Ciò che infatti porta ad escludere per le convivenze la configurazione negoziale di un regime patrimoniale
analogo alla comunione legale tra i coniugi, risiede essenzialmente nell’assenza di un analogo sistema di pubblicità. D’altra parte la dottrina aveva già escluso, prima della legge 76/2016, la possibilità di introdurre pattiziamente tra i conviventi un regime della circolazione dei beni e della responsabilità patrimoniale, modellata sulla falsariga degli acquisti degli atti di alienazione e delle responsabilità previsti per i coniugi in regime di comunione legale. E ciò per la fondamentale considerazione che
«il coinvolgimento delle posizioni giuridiche dei terzi determinato da quel regime, ha correttamente portato ad escludere che i xxxxx xxxxxxx tra conviventi, in assenza di specifiche previsioni di legge, potessero avere effetti esterni alla loro sfera come invece ne ha il regime di comunione legale» (G. VILLA, «Il contratto di convivenza nella legge sulle unioni civili», in Riv. dir. civ., 2016, 5, p. 1331 e ss., che richiama dottrina in tal senso).
Da tali considerazioni discende che non essendo riconducibile il regime patrimoniale adottato
Forma e pubblicità dei contratti di convivenza
In linea con i primi commentatori può osservarsi che il meccanismo pubblicitario prescelto dal legislatore, non garantendo in concreto una reale affidabilità del sistema, in quanto basato su notizie e informazioni acquisite con modalità non autentiche, non sembra nemmeno lontanamente paragonabile a quelli - come ad esempio i registri immobiliari - che attuano la c.d. pubblicità dichiarativa, e quindi una piena opponibilità ai terzi, degli atti inseriti.
A meno che l’opponibilità ai sensi del comma 52, nelle intenzioni del legislatore, vada intesa non come pubblicità dichiarativa, preclusiva delle situazioni giuridiche diverse da quelle rappresentate, ma come semplice pubblicità informativa o notiziale delle vicende patrimoniali della coppia convivente, in conformità a quanto già stabilito per tutte le altre risultanze anagrafiche.
73
convenzionalmente dai conviventi al regime legale della comunione dei beni di cui agli articoli 177 e ss. c.c., si porrà per il notaio rogante un problema rilevantissimo in sede di negoziazione dei beni già in comunione (a mani riunite o per quote?) e per quelli che i conviventi andrebbero ad acquistare. Per questi ultimi, in particolare, dovrà escludersi un “automatismo” dell’acquisto in comunione analogo a quello che si verifica durante il matrimonio, verificandosi invece un acquisto automatico in comunione ordinaria qualora all’atto di acquisto intervengano entrambi i conviventi.
Dovrà ritenersi possibile, invece, «modellare meccanismi che impegnino i conviventi, rispettivamente, a rendere comuni beni acquistati separatamente durante la convivenza o ad imporre l’intervento dell’uno per i debiti contratti dall’altro nell’interesse comune». In quest’ultimo caso, a ben vedere, sembrerebbe delinearsi la figura del
c.d. negozio configurativo, con il quale alla fattispecie legale si
sovrappone una volontà umana che la indirizza (si pensi, ad esempio, ai casi in cui un comportamento volontario contribuisce al perfezionamento dell’accessione, ovvero il comportamento di chi concorre ad agevolare l’usucapione di un bene o la prescrizione di un diritto). In tutti questi casi per attrarre l’effetto legale nell’area dell’autonomia privata è necessario individuare un legame, giuridicamente rilevante, tra intento e risultato (X. XXXXXXX, Donazioni indirette, in Trattato dei contratti diretto da X. Xxxxxxxx x X. Xxxxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 222). Con il negozio configurativo le parti attribuiscono un significato ai loro futuri comportamenti e precisamente ai comportamenti necessari per la produzione di effetti ex lege. Quando i conviventi richiamano la disciplina della comunione legale dei beni, da un lato invocano l’applicazione al loro rapporto del “regime primario” delle norme sull’amministrazione dei beni comuni, e dall’altro dettano una “regola procedimentale” per i futuri negozi.
X. Xxx
La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali e il contratto di convivenza
di Xxxxxxx Xxxxxx
Giudice Tribunale di Torino Professore a contratto, Università di Torino
Introduzione. La definizione di «convivenza di fatto»: carattere «familiare» ed estensione della stessa
Il considerevole lasso di tempo sprecato e la quantità di energie profuse nel lungo processo che ha portato all’affermazione (peraltro solo parziale) dei basilari principi di civiltà giuridica che stanno alla base della riforma qui in commento, hanno purtroppo distolto l’attenzione da quelli che sono i veri problemi della disciplina introdotta con la riforma. Ci si intende riferire a quelle gravi ed imperdonabili lacune, a quei difetti di coordinamento con il sistema (civilistico e pubblicistico) vigente, a quelle irrimediabili «cadute» di tecnica legislativa e a quelle aperte dimostrazioni di assoluta ignoranza dei più elementari principi dell’ordinamento, che, già segnalate in altra sede con riguardo al profilo delle unioni civili1, si squadernano in tutta la loro gravità nella disciplina della «convivenza di fatto», proprio con particolare riferimento ai delicatissimi profili di carattere patrimoniale2.
Va detto, a mo’ di premessa, che, prima ancora di entrare nel dettaglio delle relazioni di tipo patrimoniale tra conviventi, la novella tenta di fornire una definizione del rapporto che, per l’appunto, quelle relazioni dovrebbero presupporre3. Peraltro, chiamando «“conviventi di fatto” due persone
74 maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione
civile» (comma 36, art. 1, L. 20 maggio 2016, n. 76, «Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze», in G.U. n.118 del 21 maggio 2016, in vigore dal 5 giugno 2016), il legislatore omette di colmare, già da subito, la gravissima lacuna costituita dalla mancata specificazione dei limiti di rilevanza dei citati rapporti di parentela o affinità, prevista invece per gli impedimenti matrimoniali (e dell’unione civile), per i quali sono espressamente individuati i gradi (di parentela e affinità) entro cui la creazione del rapporto non viene consentita (cfr. art. 87 c.c., richiamato per l’unione civile dall’art. 1, comma 4, lett. c), della riforma qui in commento)4. Il problema, atteso il carattere eccezionale della disposizione, non sembra superabile mercé il ricorso all’analogia rispetto al matrimonio. Alla convivenza more uxorio, dunque, tra parenti e affini in qualsiasi grado (anche eventualmente remoto), non saranno applicabili le disposizioni speciali dettate dalla
1 Cfr. X. XXXXXX, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, in AA.VV., La nuova regolamentazione delle unioni civili e delle convivenze – legge 20 maggio 2016, n. 76, Torino, 2016, p. 30 e ss.
2 Ai fini del contenimento del presente lavoro nei termini quantitativi imposti dalle regole redazionali relative a questo commento, si è omessa la solita nota introduttiva dedicata all’elencazione dei contributi dottrinali in materia: una parte di essi sarà ricavabile di volta in volta (anche mercé gli ulteriori rinvii) dalle citazioni inserite nelle note che seguono.
3 Sul tema della definizione della convivenza, dei suoi limiti, dell’ammissibilità di una convivenza e di un
contratto di convivenza, ad es., tra soggetti legati da matrimonio con xxxxx, ma separati ed altre questioni del genere v. per tutti X. XXXXXX, I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, Padova, 2012, p. 4 e ss.
4 La lacuna è stata segnalata anche nel parere del Comitato per la legislazione della Camera dei Deputati, emesso il 12 aprile 2016 (disponibile al sito web seguente: xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxxxxxxx.xx/xx- content/uploads/2016/04/Parere-del-Comitato-per-la- Legislazione-della-Camera.pdf), secondo cui «al comma 36, si dovrebbe specificare il grado di parentela e di affinità che rappresenta un impedimento alla convivenza di fatto».
La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali e il contratto di convivenza
riforma in esame.
Un punto, se non altro, può darsi per fermo. Come si è detto in altra sede per l’unione civile5, anche in relazione alla convivenza di fatto il legislatore italiano riconosce tale formazione sociale, espressamente, come «famiglia», come appare desumibile dalla semplice lettura, ad es., dei commi 45 e 61, secondo periodo, del testo in commento, o dall’art. 230-ter c.c., introdotto dal comma 46.
Nessun dubbio, poi, sul fatto che la parte della riforma destinata ai «conviventi di fatto» si applica non
solo alle coppie formate da soggetti di sesso diverso, bensì anche alle coppie omosessuali i cui membri non intendano celebrare un’unione civile. Il contrario avviso, già comparso in alcuni dei primissimi commenti6, soffre dell’influenza dell’errata visione che ha condotto a trasfondere in unico, certo non brillante, testo legislativo le risposte (rectius: i conati di risposta) a due istanze fondamentalmente diverse, se non addirittura opposte tra di loro: vale a dire, da un lato, la richiesta da parte del mondo (rectius: di una parte del mondo) omosessuale di aprire il matrimonio alle coppie dello stesso sesso e, dall’altro, l’esigenza di fornire regole agevoli e «leggere» per le coppie (omosessuali o eterosessuali che siano), le quali consapevolmente desiderino convivere senza assumere i diritti e i doveri nascenti dal matrimonio o dall’unione civile7.
Segue. La posizione dei conviventi «vincolati» da matrimonio ed i riflessi sui contratti di convivenza
Considerazioni analoghe a quelle presentate nel § precedente valgono per la convivenza che si caratterizzi per l’essere i partners - o anche uno solo di essi - privi dello stato libero. Per questa ragione sarà opportuno anticipare qui considerazioni che valgono per la specifica materia dei contratti di convivenza.
Chi scrive aveva avuto modo di chiarire in altre sedi (cui si fa rinvio, al fine di non appesantire la 75
presente trattazione), prima dell’approvazione della novella in esame, che l’assenza di stato libero in
capo ad uno o ad entrambi i partners ben difficilmente avrebbe potuto dispiegare conseguenze sulla validità di eventuali contratti di convivenza8. Oggi, a fronte di una normativa che, come quella in esame, limita espressamente la nozione di convivenza di fatto alle persone «non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile», appare inevitabile concludere che le disposizioni in esame non possano trovare applicazione con riguardo ai casi di convivenze composte da soggetti di cui uno sia legato o civilmente unito ad una terza persona (o, ovviamente,
5 Cfr. X. XXXXXX, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 38 e ss., 52 e ss.
6 Cfr. ad es. X. XXXXXXXX e X. XXXXXXX, «Coppie di fatto: la legge “segue” i giudici», in Il Sole 24 ore, Lunedì 9 Maggio 2016 - N. 126, p. 26. Le Autrici danno assolutamente per scontato che le norme novellamente introdotte dalla riforma del 2016 sulle convivenze di fatto si applichino esclusivamente alle coppie eterosessuali.
7 Quest’ultimo profilo verrà approfondito ed ampliato infra: v. §§ “Segue. Sulla possibilità di apporre termini o condizioni” e ss.
8 X. XXXXXX, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano, 1991, p. 209 e ss.; ID., I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 4 e ss. La questione si sarebbe, invero, dovuta affrontare non già sotto il profilo della causa, visto che il legame more uxorio si pone,
in rapporto al contratto di convivenza, alla stregua di un semplice motivo. Anche su questo piano si sarebbe presentato però il problema della possibilità di ascrivere alla categoria dei motivi illeciti pure quello consistente nella lesione di un diritto (relativo) altrui (nella specie, i diritti alla fedeltà, coabitazione, assistenza morale e materiale). L’argomentazione decisiva riposava peraltro sulla constatazione che ogni contratto diretto a porre le basi economiche di una convivenza, anche se illecita, ha come proprio motivo primario non già la violazione del diritto altrui, bensì appunto la concreta predisposizione di quei mezzi idonei a consentire alla coppia di convivere. Era dunque palese l’assenza, nel contratto in esame, di uno dei requisiti fondamentali di cui all’art. 1345 c.c., vale a dire la circostanza che il (comune) motivo illecito si qualifichi come quello esclusivamente determinante del consenso dei contraenti.
X. Xxxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
entrambi siano legati o civilmente uniti a terze persone), a prescindere dal fatto che il matrimonio (o l’unione civile) sia in uno stato di crisi che abbia dato luogo ad una separazione legale9.
In altre parole, occorre constatare che il riformatore del 2016, fuorviato dalla confusione concettuale derivante dall’aver trattato nel medesimo testo normativo di due situazioni così radicalmente diverse, quali l’unione civile e la convivenza di fatto10, ha ritenuto di dover individuare, anche in relazione alla convivenza more uxorio, qualcosa di analogo ad una categoria di «impedimenti», ad instar di quanto accade per il matrimonio e l’unione civile. Il sospetto testé rappresentato è, del resto, destinato a ricevere conferma dalla considerazione delle norme in materia di nullità del contratto di convivenza11. Ora, va considerato che, come si chiarirà anche in seguito, qualsiasi contratto diretto a regolare i rapporti patrimoniali tra i conviventi a causa della convivenza è «contratto di convivenza», secondo la definizione della novella, che di tale negozio ha fatto un contratto nuovo e tipico. È evidente quindi che un soggetto che si trovi nella situazione descritta dalla legge come impeditiva, proprio a causa della citata norma sulla nullità, non potrà stipulare quel tipo di contratto. Ne deriva dunque che il notaio che riceverà l’atto pubblico contenente un contratto di convivenza, o il notaio o l’avvocato che ne autenticheranno la relativa scrittura privata, dovranno accertarsi dello stato libero di entrambe le parti contraenti, anche in considerazione del fatto che, come previsto dal comma 51 dell’art. 1 della novella qui in commento, essi dovranno attestare la conformità degli accordi «alle norme imperative e all’ordine pubblico».
Quanto appena detto non vale (e si ritorna così al principio generale di applicazione dei rimedi di diritto comune) per gli effetti diversi dall’ammissibilità della stipula di contratti di convivenza, così come per quelli non legati a profili disciplinati dalla riforma, proprio perché lì non sussistono specifiche norme impeditive. Ne consegue che i conviventi, pure se ancora vincolati da precedente matrimonio, ben potranno invocare rimedi (non espressamente vietati dalla novella, anzi da questa addirittura ignorati) quali l’obbligazione naturale, l’arricchimento ingiustificato, la tutela possessoria, etc.
76
Gli effetti patrimoniali della convivenza e i (gravi) silenzi della riforma (rinvio)
Sarà il caso di far presente, a questo punto, che, quanto agli effetti patrimoniali, la riforma in commento appare quanto mai deludente.
Xxxxx è detto, infatti, con riguardo al tema «classico» (e statisticamente assai più ricorrente e rilevante nel contenzioso tra ex conviventi, rispetto, ad esempio, al contratto di convivenza) della sussistenza di un’obbligazione naturale di assistenza morale e materiale ed ai rimedi in qualche modo ad essa connessi, nei casi in cui il soggetto naturaliter «obbligato» abbia, sì, «adempiuto», ma poi si sia pentito (o, come sovente accade, sia passato a miglior vita, lasciando eredi ferocemente determinati a «recuperare» quanto dal loro dante causa, a loro avviso, ingiustamente «sperperato») e richieda in restituzione l’esborso effettuato o, al contrario, mai abbia soddisfatto il dovere morale e sociale di cui sopra, pur di fronte all’ «adempimento» del partner, con le relative conseguenze in tema di possibile esperimento dell’azione di arricchimento ingiustificato e di ripetizione dell’indebito.
L’argomento non può essere qui svolto per ragioni di spazio, per cui si rinvia ad altri lavori dello scrivente12. In questa sede sarà opportuno soffermarsi soprattutto sul contenuto delle principali tra le scarsissime disposizioni consacrate al tema dei rapporti patrimoniali tra conviventi, vale a dire
9 Per approfondimenti, impossibili nella presente sede, cui è stato imposto il rispetto di rigorosi limiti di spazio, cfr.
X. XXXXXX, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 61 e ss.
10 Sulle ragioni di tale confusione e commistione v. infra, § “Segue. Sulla possibilità di apporre termini o condizioni”.
11 Cfr. il comma 57, che fulmina di nullità gli accordi conclusi «…a) in presenza di un vincolo matrimoniale, di un’unione civile o di un altro contratto di convivenza; b) in violazione del comma 36…».
12 Cfr. X. XXXXXX, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 107 e ss.
La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali e il contratto di convivenza
i commi da 50 a 64, dedicati, per l’appunto, ai contratti di convivenza. Altre questioni d’ordine patrimoniale attengono alla disciplina della sorte, dopo la rottura, della casa familiare13, nonché all’impresa familiare14.
Il contratto di convivenza: considerazioni generali; tipicità del negozio e contenuto esclusivamente patrimoniale
Le numerose elaborazioni dottrinali e la casistica giurisprudenziale15 in tema di contratti di convivenza sembrano aver lasciato del tutto indifferente il riformatore del 2016. Lo stesso è a dirsi per la ricca messe di modelli e clausole che, nel 2013, nel perdurante vuoto normativo, un’iniziativa del Consiglio Nazionale del Notariato, unica nel suo genere, si era premurata di raccogliere e vagliare criticamente
- sotto la direzione e il coordinamento del xxxx. Xxxxx Xxxxxxxx e dello scrivente - nel contesto dell’elaborazione di un vero e proprio vademecum per la tutela patrimoniale del convivente more uxorio in sede di esplicazione dell’autonomia negoziale16.
Nessuno (o quasi), invero, dei temi ivi affrontati e ampiamente discussi risulta essere stato preso minimamente in considerazione dal testo qui in commento.
Il comma 50 apre la trattazione (si fa per dire) del tema, con l’affermazione di principio secondo cui
«I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza».
Trattasi di enunciazione certamente opportuna, sebbene stricto iure superflua. Pur essendo, infatti, quasi universalmente accettata la tesi dell’ammissibilità di contratti di convivenza, l’espressa previsione a livello legislativo era comunque auspicabile, per almeno due motivi. Da un lato, per la funzione, per così dire, «promozionale» dell’intervento, che avrebbe dovuto contribuire alla realizzazione dello
scopo di evitare la proposizione, in futuro, di lunghe ed intricate controversie giudiziarie; dall’altro, in 77
considerazione del fatto che la previsione dell’ammissibilità della stipula di contratti di convivenza si
sarebbe potuta (e ragionevolmente dovuta: ma parlare di ragionevolezza con questo legislatore appare esercizio del tutto vano!) accompagnare alla espressa soluzione per via legislativa di alcuni dei rilevanti nodi ermeneutici che dottrina e giurisprudenza non avevano mancato nel corso degli ultimi anni di segnalare.
Purtroppo, la soluzione concretamente prescelta è una tale miseria intellettuale e giuridica da vanificare del tutto la funzione «promozionale» sopra evidenziata. Quanto alla soluzione dei problemi «tecnici», come si dirà tra poco, il numero delle questioni sollevate ex novo dalla novella appare decisamente superiore a quello dei pochissimi interrogativi risolti.
13 Per la cui disamina si fa rinvio a X. XXXXXX, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 123 e ss.
14 Su cui cfr. X. XXXXXX, «Ancora sulla pretesa gratuità delle prestazioni lavorative subordinate rese dal convivente more uxorio», Nota a Cass., 19 settembre 2015, n. 19304, in Fam. e dir., 2016, p. 132 e ss. (in particolare 149 e ss., per una disamina della presente riforma).
15 Per la trattazione del tema e per una serie di richiami dottrinali e giurisprudenziali al riguardo si fa rinvio a X. XXXXXX, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 151 e ss.; ID., I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 81 e ss., 89 e ss. Per alcuni rilevanti contributi successivi cfr. inoltre A. SPADAFORA,
Rapporto di convivenza more uxorio e autonomia privata, Milano, 2001, p. 163 e ss.; X. XXXXXXXX, «Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale», in Giust. civ., 2014,
p. 133 e ss.; S. DELLE MONACHE, «Convivenza more uxorio e autonomia contrattuale (Alle soglie della regolamentazione normativa delle unioni di fatto)», in Riv. dir. civ., 2015, p. 944 e ss.
16 Cfr. Consiglio Nazionale del Notariato, Guida operativa in tema di convivenza. Vademecum sulla tutela patrimoniale del convivente more uxorio in sede di esplicazione dell’autonomia negoziale. Contratti di convivenza open day, 30 novembre 2013, Roma, 2013 (il testo è disponibile, tra l’altro, al seguente sito web: xxxx://xxx.xxxxxxxxxxxxxx. it/wwwnotaileccocomoit/Downloads/Guida%20 operativa_Contratti%20di%20convivenza.pdf.
X. Xxxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
Tornando al citato comma 1, andranno comunque evidenziati gli scarsi «punti fermi» che sembrano individuabili.
In primo luogo va considerato che il riformatore del 2016 ha inteso tipizzare il contratto di convivenza. Ci troviamo così di fronte, ora, ad un nuovo contratto tipico, sebbene non ritenuto «degno» di essere inserito nel corpus del codice civile17.
In secondo luogo va sottolineata la (se non altro) chiara presa di posizione in tema di contenuto dei contratti in oggetto, volta per l’appunto ad escludere che il «contratto» (e non «patto», «accordo»,
«pattuizione», «negozio», «convenzione» o altro) possa avere ad oggetto rapporti diversi da quelli patrimoniali (come è invece il caso, ad es., per il Pacs francese).
Un cenno ai profili non patrimoniali si può forse cogliere altrove, in particolare nel comma 36, che parla di reciproca assistenza non solo materiale, ma anche «morale». In quella sede non si stabilisce, però, la sussistenza di un dovere giuridico in tal senso, limitandosi la disposizione a prevedere che, perché possa parlarsi di «convivenza di fatto», le due parti siano «unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale». Il piano è dunque quello delle constatazioni e dei presupposti della fattispecie, non quello dei rapporti giuridici che dalla fattispecie discendono. La riforma sembra quindi presupporre che vincoli giuridici di assistenza morale e materiale non nascano né dal rapporto di fatto, né dalla stipula di un contratto di convivenza. Anche «l’indicazione della residenza» sembra non formare oggetto di alcun obbligo (cfr. il comma 53, lett. a): comunque la mancata effettuazione di tale fissazione non risulta essere sanzionata, a differenza di ciò che accade tra i coniugi, laddove analogo comportamento, ove riferibile ad un coniuge, è punibile (ancorché in modo non automatico) con l’addebito della separazione personale18.
Il contratto di convivenza: forma e impossibilità di conclusione per fatti
78 concludenti
Il comma 51 prevede che «Il contratto di cui al comma 50, le sue modifiche e la sua risoluzione, sono redatti in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico».
L’imposizione delle citate formalità, se sicuramente commendevole (ma il discorso vale solo per l’atto pubblico in presenza di testimoni) per ciò che attiene alla scelta del regime patrimoniale degli acquisti, particolarmente se si ammette - come in effetti si vedrà a tempo debito19 - che i conviventi possano dar vita a regimi diversi, in tutto o in parte da quello ex artt. 177 e ss. c.c., viene ad introdurre una prescrizione eccessivamente onerosa per quanto riguarda profili quali l’obbligo di contribuzione o l’accordo volto a fornire al convivente debole i mezzi di sussistenza, o altre provvigioni (si pensi, ad es., all’abitazione nella casa familiare o in altri immobili), nel caso di crisi del rapporto. Sul punto va tenuto presente che, come si dirà, un contratto di convivenza può anche non contenere alcuna disposizione in tema di regime patrimoniale degli acquisti: peraltro, anche in tale caso il citato requisito formale
«pesante» viene imposto.
Si noti, poi, che la pessima qualità della tecnica legislativa adottata sembra, almeno a tutta prima, porre un problema di non poco conto.
Ed invero, l’espressa menzione, prima dell’inciso «a pena di nullità», della «forma scritta» sembra
17 Xxxx’atipicità del contratto di convivenza, in relazione alla situazione anteriore alla riforma del 2016, cfr. X. XXXXXXXX, op. cit., p. 146 e ss.
18 Cfr. Cass., 6 marzo 1979, n. 1400, in Giur. it., 1981, I, 1, c. 994, con nota di Xxxxxxx Xxxxxxx; Cass., 13 maggio
1986, n. 3168, in Foro it., 1986, I, c. 2147; in Vita not., 1986, I, p. 775; in Dir. fam. pers., 1986, I, p. 958; in Giust. civ., 1987, I, p. 1537; Cass., 3 ottobre 2008, n. 24574.
19 V. infra, § “Segue. La concreta estensione del principio di libertà contrattuale”.
La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali e il contratto di convivenza
voler esprimere l’idea che la regola formale ad substantiam investa non già le due alternative dell’atto pubblico e della scrittura privata autenticata (da notaio o avvocato), bensì la «forma scritta» in generale. Si apre dunque, almeno come tesi astratta, la possibilità di una lettura che ammetta la stipula di un contratto di convivenza per semplice scrittura privata. Viene infatti da chiedersi per quale ragione sarebbe menzionata expressis verbis la forma scritta, posto che non sembrano immaginabili atti pubblici o scritture private autenticate che il requisito della forma scritta non soddisfino! A convincere, peraltro, della non percorribilità di tale via soccorre il successivo comma 52, che, ai fini della pubblicità dell’accordo, considera solo i casi dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata.
La disposizione in materia di forma, pur a fronte delle citate criticità, possiede, se non altro, l’unico pregio di porsi in controtendenza rispetto alla china, presa da una parte della dottrina, anche di quella più recente, circa la possibilità di desumere la conclusione di un contratto di convivenza dal comportamento dei partners, «come espressione di una loro concorde volontà attuosa»20. In altri termini, secondo la teoria qui criticata, la semplice instaurazione di una convivenza more uxorio dovrebbe indurre a ritenere l’esistenza di un accordo implicito diretto, quanto meno, alla prestazione della contribuzione reciproca, se non alla ripartizione in misura uguale degli incrementi di ricchezza accumulati durante il ménage. La proposta, riecheggiante assai da vicino la tesi dell’implied cohabitation contract, che tanta fortuna ha avuto oltre Oceano, è stata da chi scrive in altra sede criticata21. Non vi è dubbio, comunque, che, per effetto della riforma qui in commento, ogni contratto riconducibile alla fattispecie in esame dovrà non solo risultare frutto di un’esplicita manifestazione di volontà delle parti, ma andrà rivestito della forma richiesta ora dalla legge.
Quanto sopra varrà anche in relazione a tutti quegli accordi che prima della riforma si sarebbero potuti costituire vuoi verbis (si pensi, ad es., alla determinazione della contribuzione o del mantenimento o alla concessione di un comodato sulla casa familiare), vuoi anche solo con il semplice rispetto della forma scritta (si pensi ancora alla concessione di un comodato sulla casa familiare o alla costituzione
di un diritto reale su di essa, ecc.). È chiaro, infatti, che il contenuto del contratto descritto dal comma 79
53 cit., per come testualmente presentato («Il contratto può contenere…»), può essere il più vario e si
estende ad abbracciare tutti, senza distinzione alcuna, i possibili «rapporti patrimoniali relativi alla loro [i.e.: dei conviventi] vita in comune» (cfr. il comma 50). Qualunque tipo di accordo così caratterizzato, dunque, andrà considerato (anche a prescindere dalla sua possibile astratta riconducibilità a figure negoziali diverse: comodato, donazione, mandato, mantenimento vitalizio, ecc.) alla stregua di un contratto di convivenza e come tale sottoposto alle regole formali di cui sopra.
Il contratto di convivenza e la sua «pubblicità»
Dispone il comma 52 che, «Ai fini dell’opponibilità ai terzi, il professionista che ha ricevuto l’atto in forma pubblica o che ne ha autenticato la sottoscrizione ai sensi del comma 51 deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica
20 X. XXXXXX, Problemi attuali della famiglia di fatto, in AA.VV., Una legislazione per la famiglia di fatto?, Napoli, 1988,
p. 52; contra F. X’XXXXXX, La famiglia di fatto, Milano, 1989, p. 423. In Francia è rimasta isolata l’opinione secondo cui il giudice, valutando il comportamento delle parti, potrebbe ritenere l’esistenza di un «contrat tacite d’aide et d’assistance mutuelle», che obbligherebbe i conviventi «tant pendant l’union que après la rupture à subvenir aux besoins éventuels du partenaire» (D. GANANCIA, «Droits et obligations résultant du concubinage», in Gaz. pal., 1981, Doctrine,
p. 19). Per la dottrina più recente, orientata nel senso criticato nel testo, cfr. X. XXXXXXX, Il contenuto atipico dei negozi familiari, Milano, 2001, p. 66 e ss.; M.C. VENUTI, I rapporti patrimoniali tra i conviventi, in AA.VV., Le relazioni affettive non matrimoniali, a cura di Xxxxx, Torino, 2014,
p. 287; X. XXXXXXXX, «Contratto di convivenza, contribuzione e mantenimento», in Fam. e dir., 2015, p. 729.
21 Cfr. X. XXXXXX, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 69 e ss.
X. Xxxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
30 maggio 1989, n. 223». Ora, l’indicazione dell’iscrizione all’anagrafe ai sensi degli artt. citt. non sembra possedere alcun senso compiuto. Le disposizioni in tema di anagrafe, a differenza di quelle (rectius: di taluni profili di quelle) in tema di stato civile, hanno esclusivamente ad oggetto persone: certo non contratti22. Se dunque non interverrà una modifica normativa della disciplina dell’anagrafe, non si riesce a comprendere come la disciplina in commento potrà ricevere concreta attuazione.
Al di là di tali profili tecnici vi è però un dubbio ancora più radicale.
Che significa, concretamente, «opponibilità ai terzi»? Certo non si parla qui dell’opponibilità della convivenza. Convivenza e contratto di convivenza sono fattispecie ben distinte. Xxxx, quest’ultimo non viene in alcun modo in considerazione23 quando il riformatore prevede, ad es., l’opponibilità, a determinati effetti, del rapporto more uxorio in sé e per sé considerato a certi soggetti: si pensi agli eredi del proprietario della casa di residenza comune (comma 42), o al locatore di quest’ultima (comma
44) o, ancora, agli enti o istituti che procedono alla redazione delle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare (comma 45). Soggetti, questi, tutti che sono sottoposti a determinati effetti derivanti dal rapporto di convivenza di fatto tra due persone con cui vengono in qualche modo in relazione, a prescindere dalla sussistenza di un contratto di convivenza.
Se dunque si considera che il comma qui in esame tratta della sola opponibilità del contratto di convivenza (e non della convivenza in sé) e che, in difetto di disposizioni specifiche in deroga, vale per il contratto il principio generale scolpito nell’art. 1372 c.c., attesa l’assoluta povertà dei contenuti individuati dalla riforma (per i contenuti non menzionati e certamente possibili, come si dirà in seguito, difettano comunque principi espressi in deroga alla regola della privity of contract, per cui sarebbe vano ulteriormente strologare al riguardo), resta che l’unico punto in relazione al quale siffatta opponibilità potrebbe avere un qualche rilievo sarebbe quello del regime di comunione legale. Ma anche con riguardo a tale aspetto, come si dirà a tempo debito24, la disposizione non sembra possedere alcun senso compiuto.
80
Il contratto di convivenza e i contenuti mancati
Prima di esaminare i contenuti del contratto di convivenza previsti dalla riforma in commento sarà il caso di spendere qualche parola su almeno alcune delle numerosissime situazioni e possibili pattuizioni sulle quali la predetta ha (non si comprende se per dolo o colpa) omesso di esprimersi.
In primo luogo occorrerà esternare il più vivo rammarico per la mancata riproduzione di tre disposizioni assai rilevanti, pur contenute nella prima versione del c.d. «testo Cirinnà»25, vale a dire le seguenti:
«3) i diritti e le obbligazioni di natura patrimoniale derivanti per ciascuno dei contraenti dalla cessazione del rapporto di convivenza per cause diverse dalla morte;
4) che in deroga al divieto di cui all’articolo 458 e nel rispetto dei diritti dei legittimari, in caso di morte di uno dei contraenti dopo oltre sei anni dalla stipula del contratto spetti al superstite una quota di eredità non superiore alla quota disponibile. In assenza di legittimari, la quota attribuibile parzialmente può arrivare fino a un terzo dell’eredità;
5) che nei casi di risoluzione del contratto di cui all’articolo 17 della presente legge sia previsto
22 Ciò balza agli occhi sulla base della semplice lettura dei richiamati artt. 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223.
23 Se non, eventualmente, quale elemento indiziario (certo mai come elemento costitutivo) nel caso in cui, in un possibile processo, si contestasse la sussistenza del rapporto di fatto.
24 V. infra, § Il regime dei beni e degli acquisti. La comunione tra conviventi introdotta dalla novella. Principali problemi posti dal rinvio agli artt. 177 e ss. c.c.
25 Cfr. il comma 4 dell’art. 14 di tale d.d.l., come risultante alla data del 2 luglio 2014 (il documento è disponibile al seguente indirizzo web: xxxx://xxx.xxxxxx.xx/xxx/00/ BGT/Schede/Ddliter/46051.htm).
La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali e il contratto di convivenza
l’obbligo di corrispondere al convivente con minori capacità economiche un assegno di mantenimento determinato in base alle capacità economiche dell’obbligato, al numero di anni del contratto di convivenza e alla capacità lavorativa di entrambe le parti».
In particolare, la prima delle tre citate disposizioni, sostanzialmente riproduttiva di quanto già stabilito da svariati ordinamenti di diverse parti del mondo già numerosi anni fa, avrebbe consentito, saggiamente, ai contraenti di predeterminare le conseguenze patrimoniali di un’eventuale rottura dell’unione, con possibili (e benefiche) ricadute anche sul versante degli accordi prematrimoniali26. Sarà però qui il caso di osservare che non solo una previsione tanto opportuna è stata (non si comprende perché) stralciata dal d.d.l., ma che, addirittura, si potrebbe dubitare ora della possibilità per le parti di inserire comunque una clausola del genere, alla luce di quanto disposto dal comma 56, che fa divieto di sottoporre il contratto a condizione o a termine27.
La seconda delle sopra citate previsioni normative, inopinatamente estirpata dal d.d.l., sarebbe venuta a porre un’eccezione al divieto dei patti successori. Certo, essa avrebbe posto un problema di «coerenza» con l’assenza di un’analoga previsione nei rapporti inter coniuges28, ma avrebbe potuto comunque produrre l’effetto di un auspicabile lancio di un sasso in acque da troppo tempo stagnanti e che neppure le infelici modalità con cui l’introduzione del patto di famiglia è stata realizzata29 hanno saputo smuovere30.
Infine, l’eliminazione, nel testo definitivo, dell’originaria previsione ad hoc sull’assegno di mantenimento viene a porre il dubbio che una disposizione negoziale del genere non sia consentita, anche se al risultato affermativo può forse pervenirsi per altra via31.
La prima constatazione in materia di contenuto dei contratti di convivenza è dunque quella per cui la disposizione sembra segnalarsi più per ciò che essa non dice (o non dice più), che non per quanto espressamente indicato.
26 Significative al riguardo le esperienze, ad esempio, dell’Australia e della Catalogna, per una disamina delle quali si fa rinvio a X. XXXXXX, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 78 e ss.
27 Su questo punto specifico e sulla possibilità di superare tale obiezione v. infra, § “Segue. Sulla possibilità di apporre termini o condizioni”.
28 Non per niente si veda al riguardo quanto stabilito dalle varie proposte di legge in tema di contratti prematrimoniali (su cui v. per tutti X. XXXXXX, «Suggerimenti per un intervento in tema di accordi preventivi sulla crisi coniugale», in Fam. e dir., 2014, p. 88 e ss.).
29 Cfr. ad es. X. XXXXXX, Il patto di famiglia, Padova, 2006,
passim.
30 Si tenga poi conto del fatto che l’introduzione di siffatto tipo di pattuizioni avrebbe consentito di affrontare una serie di questioni, vale a dire quelle legate alla successione mortis causa di uno dei conviventi, rimasta totalmente negletta dalla riforma qui in commento. Xxxxx dire al riguardo che, da un lato, il partner non solo non è considerato legittimario, ma neppure successibile ex lege, in assenza di testamento. Ma non basta ancora. Nessuna disposizione «agevolativa» di tipo fiscale è stata prevista per la successione testamentaria del convivente, trattato quindi alla stregua di un qualsiasi estraneo al nucleo familiare del de cuius, con la conseguenza che il convivente il quale intenda assicurare la tranquillità economica al proprio partner anche dopo la propria morte potrà, sì,
81
istituirlo erede, ma, in tal modo lo esporrà al prelievo fiscale previsto per la successione di un qualunque estraneo alla famiglia del de cuius.
Vero è che oggi l’area delle famiglie «costrette» a rimanere fuori dal vincolo matrimoniale (o paramatrimoniale, nel caso dell’unione civile) si è considerevolmente ristretta al passato: alla coppia gay che vuole acquisire pieni diritti successori può oggi consigliarsi di scegliere l’unione civile, mentre sempre più rari sono i casi di conviventi eterosessuali che non possono unirsi in matrimonio per la perdurante presenza di un precedente vincolo coniugale, ove si considerino le novità introdotte dal c.d. «divorzio breve». Resta il fatto che per una serie di motivi, talora pienamente legittimi (desiderio di non pregiudicare le aspettative di eventuali figli di primo letto, timore di dover affrontare seri problemi e rilevanti spese in caso di rottura di un legame della cui solidità non si è ancora pienamente certi), talora meno (desiderio di non perdere una pensione di reversibilità), sembrerebbe de iure condendo (ma, come detto, quest’occasione è stata persa!) corretto preservare, da un lato, la possibilità delle parti di non unirsi in matrimonio, attribuendo, dall’altro, taluni effetti successori (ancorché non coincidenti con quelli discendenti dal vincolo da coniugio) ad un rapporto affettivo sfociato in una convivenza more uxorio di una certa durata.
31 V. infra, § “Segue. Sulla possibilità di fissare (o, per
converso, di escludere) limiti temporali alla contribuzione tra conviventi”.
X. Xxxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
Il contratto di convivenza e il «regime primario» di contribuzione. Il contratto di mantenimento
Se, come si è visto, la riforma non contiene disposizioni sul «regime primario» della convivenza di fatto, essa prevede invece (una volta tanto, del tutto condivisibilmente) che le parti possano liberamente intervenire sul punto stabilendo, nel contratto di convivenza «b) le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo» (cfr. il comma 53, lett. b).
La formulazione della norma appare, almeno sul piano formale, esente da critiche. Essa risulta ricalcata sul disposto dell’art. 143 c.c., sostanzialmente prevedendo che possa costituire oggetto di vincolo negoziale ciò che tra conviventi non forma oggetto di obbligo (civile) ex lege, ma solo di obbligazione naturale32. Su questo specifico punto la riforma presenta dunque il non trascurabile pregio di spazzar via, una buona volta per tutte, le residue perplessità, sollevate da una parte peraltro del tutto minoritaria della dottrina, sull’ammissibilità di contratti di convivenza diretti alla previsione per via negoziale di un dovere civilmente vincolante di contenuto analogo a quella che, in assenza di contratto, sarebbe una mera obbligazione naturale: in altre parole, si allude qui alla nota questione della possibilità di «trasformare» un’obbligazione naturale in obbligazione civile33.
In primo piano si pone pertanto l’impegno reciproco di contribuire alle necessità del ménage mediante la corresponsione (periodicamente o una tantum) di somme di denaro, ovvero tramite la messa a disposizione di propri beni o della propria attività lavorativa, eventualmente anche soltanto domestica34. La validità di tale impegno, che dovrebbe fissare altresì misura e modalità della contribuzione di ciascuno, non sembrava potersi contestare già prima della riforma qui in commento35. Lo stesso dovrebbe dirsi per la validità di una promessa avente a oggetto la reciproca assistenza materiale per il caso di necessità36. Al riguardo potrebbe rivelarsi di una certa utilità la previsione (ancorché non
82 contemplata, ma certo non esclusa dalla riforma) di eventuali situazioni alla stregua di «cause di giustificazione» per il mancato adempimento dell’obbligo contributivo, come per esempio nel caso in cui una delle parti dovesse trovarsi senza sua colpa nell’impossibilità di ricevere reddito (si pensi alla disoccupazione involontaria).
Prima della novella qui in esame la dottrina italiana pareva orientata a individuare quale possibile contenuto dei contratti di convivenza anche l’obbligo unilaterale di corresponsione di somme di denaro a titolo di mantenimento da parte del partner più abbiente in favore di quello più bisognoso37. L’osservazione conserva, ad avviso dello scrivente, valore. Ma c’è da chiedersi se invece non convenga optare per forme negoziali più collaudate, quali per esempio il contratto di mantenimento vitalizio38.
32 Sullo sviluppo storico e la realtà attuale di tale idea v. per tutti X. XXXXXX, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 83 e ss.; ID., I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 33 e ss.
33 Il tema è approfondito in X. XXXXXX, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 156 e ss.; ID., I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 92 e ss.; ulteriori elaborazioni del tema in X. XXXXXXXX, op. cit., p. 143 e ss.
34 Sul punto, per i necessari approfondimenti, cfr. X. XXXXXX, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 241 e ss.; ID., Le prestazioni lavorative del convivente more uxorio, Padova, p. 114 e ss.; per la dottrina successiva cfr. X. XXXXXXXX, «I contratti tra conviventi “more uxorio”», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, p. 752 e ss.; E. DEL PRATO,
«Patti di convivenza», in Familia, 2002, p. 982 e ss. Sul peculiare punto dei rapporti tra contratto di convivenza e contribuzione cfr. X. XXXXXXXX, op. cit., p. 722 e ss.
35 Cfr. per tutti, nonché per i richiami alla dottrina straniera, X. XXXXXX, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 241 e ss.; ID., I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 116 e ss.
36 Cfr. K.F. XXXXXXXX, «Vermögensrechtliche Fragen während des Zusammenlebens und nach Trennung Nichtverheirateter», in XXX, 0000, p. 685.
37 Cfr. X. XXXXXXXX, La famiglia di fatto. Realtà attuale e prospettive, Roma, 1989, p. 92; cfr. inoltre X. XXXXXXX, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983, p. 165.
38 È il suggerimento di X. XXXX, «Contratto di mantenimento e proprietà temporanea», Nota a Xxxx., 11
La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali e il contratto di convivenza
Rinviando ad altra sede l’approfondimento di questo discorso39, va però ricordato il già evidenziato carattere generale della formulazione contenuta al comma 53 cit., in merito all’individuazione dei contorni del contratto di convivenza.
In forza di tale principio le regole della novella concernenti questo tipo di negozio dovranno trovare applicazione, pur in presenza di rapporti riconducibili a fattispecie negoziali tipiche o atipiche, eventualmente prevalendo per specialità rispetto a queste ultime40.
Segue. Modo e misura della contribuzione convenzionale tra conviventi
Come già detto, del tutto analogamente a quanto avviene tra coniugi (peraltro, per questi ultimi, per effetto di un’obbligazione che nasce ex lege quale naturale effetto del matrimonio e non già, come tra conviventi, per via della stipula di un contratto), non vi è dubbio che la contribuzione potrà esplicarsi non solo tramite la compartecipazione alle spese del ménage, bensì anche (in tutto o in parte) mettendo a disposizione il proprio contributo lavorativo domestico e/o uno o più locali idonei ad ospitare lo svolgimento della vita familiare (si pensi alla residenza principale e/o alla residenza per le vacanze, ecc.).
Una delle questioni dibattute e non risolte dalla riforma è se l’accordo sulla contribuzione possa derogare rispetto ai criteri di proporzionalità di cui all’espressione «in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo», che il comma 53 b) ripropone in questa sede, sulla falsariga di quanto disposto dall’art. 143 c.c. per i coniugi e dall’art. 1, comma 11, della legge qui in commento, in relazione ai partners di un’unione civile omosessuale.
La questione ha fatto oggetto, anni or sono, di una decisione di merito41. Diversamente da quanto
opinato da quella sentenza, miglior partito sembra proprio quello che consiglia la possibilità per
i conviventi di regolare liberamente quantità e modalità di contribuzione, anche eventualmente a 83
prescindere dal criterio della proporzionalità, posto che l’inderogabilità di tale regola è sancita da una
norma (art. 160 c.c.) che il codice civile riferisce ai soli coniugi e che la riforma di cui qui si discute ha esteso ai soli partners dell’unione civile (cfr. art. 1, comma 13, terzo periodo, della novella qui in esame), tacendo invece in relazione ai soggetti del contratto di convivenza.
Segue. Sulla possibilità di fissare (o, per converso, di escludere) limiti temporali alla contribuzione tra conviventi
Un problema legato a siffatto tipo di negozi riguarda la possibilità della previsione di eventuali limiti d’ordine temporale all’obbligo di contribuzione così fissato. In proposito, si può innanzitutto ritenere valida anche un’espressa subordinazione degli effetti del vincolo obbligatorio alla durata del rapporto di fatto, in quanto una clausola del genere verrebbe a concretare una condizione risolutiva ordinariamente (e non meramente) potestativa. Inutile dire che una siffatta cautela appare consigliabile per il partner che figuri quale unico (o prevalente) obbligato e voglia porsi al riparo dal rischio di dover continuare ad adempiere anche dopo la rottura del legame.
Come si è invero dimostrato in altra sede42, la presupposizione non sembra poter giocare alcun
novembre 1988, n. 6083, in Foro it., 1989, I, c. 1171.
39 Cfr. X. XXXXXX, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 82 e ss.
40 Per approfondimenti al riguardo cfr. X. XXXXXX, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 86 e ss.
41 Trib. Savona, 29 giugno 2002, in Fam. e dir., 2003, p. 596, con nota di Xxxxxxxx. Per l’illustrazione del caso e per la relativa critica si fa rinvio a X. XXXXXX, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 87 e ss.
42 Cfr. X. XXXXXX, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto,
X. Xxxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
ruolo nel contesto dei rapporti tra conviventi. D’altro canto, come si dirà tra breve43 la possibilità di introdurre clausole del genere di quello qui illustrato non appare contraddetta dalla disposizione della novella che fa divieto di apporre termini o condizioni al contratto di convivenza.
Assai più delicato appare invece l’aspetto della possibilità di pattuire una durata minima del periodo di corresponsione della contribuzione (consistente eventualmente anche nella prestazione lavorativa, specie se domestica) o del mantenimento, indipendentemente dalla durata del ménage.
Una simile clausola - una delle poche in grado di costituire una vera garanzia per il convivente
«debole» - già ritenuta valida prima della riforma in commento44, si deve confrontare ora con il disposto dell’art. 1, comma 54, lett. b), della novella, che concede ad ognuna delle parti un diritto di recesso dal contratto di convivenza, il cui esercizio ben potrebbe travolgere una pattuizione del genere di quello qui descritto. In realtà, attesa l’evidente disponibilità dei diritti (patrimoniali) di cui qui si discute, la disposizione appena citata potrà formare oggetto di rinunzia nel contratto di convivenza, o, comunque, di una clausola nella quale si specifichi che l’eventuale esercizio del diritto di recesso non travolgerà l’effetto dell’attribuzione del diritto di percepire un assegno (o del diritto di abitazione, ecc.), in termini e limiti derivanti dall’accordo delle parti.
Lo strumento contrattuale è poi sicuramente idoneo a regolamentare il diritto di abitazione del partner che non sia proprietario dell’appartamento ove si svolge il ménage. Il tema è stato affrontato in altra sede, cui si fa rinvio45.
Segue. Sulla possibilità di apporre termini o condizioni
Come già accennato, l’infelicissima tecnica legislativa attraverso cui si è attuata la riforma qui in commento viene a presentare ex novo un problema in ordine alla possibilità di prevedere la cessazione
84 della contribuzione, sotto ogni possibile forma (anche, ad es., di assegno di mantenimento o di messa a disposizione di un immobile), in caso di rottura dell’unione. Xxxx, a ben vedere, la questione appare
ancora più generale e viene a porsi con riguardo a qualsiasi previsione negoziale che leghi l’erogazione di una prestazione patrimoniale, nel contratto di convivenza, così come il suo eventuale venir meno, ad un avvenimento futuro ed incerto, così come ad un termine (iniziale o finale) certo.
In effetti, una quanto mai improvvida disposizione della novella stabilisce che «Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti» (cfr. art. 1, comma 56, della riforma in esame), laddove, prima dell’introduzione di questa disposizione normativa, non si dubitava in dottrina che le prestazioni oggetto di un contratto di convivenza ben potessero essere temporalmente legate alla durata stessa del ménage o comunque collegate ad una condizione, tanto sospensiva che risolutiva, così come ad un termine, tanto iniziale che finale46.
cit., p. 139 e ss.; ID., Le prestazioni lavorative del convivente more uxorio, cit., p. 83 e ss.
43 V. infra, § “Segue. Sulla possibilità di apporre termini o condizioni”.
44 Cfr. per tutti X. XXXXXX, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 139 e ss.; ID., I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 119 e ss.
45 Come è accaduto, ad es., nei casi risolti da Xxxx., 8 giugno 1993, n. 6381, in Nuova giur. civ. comm., 1994, I, p. 339, con nota di Xxxxxxxxxx; in Corr. giur., 1993, p. 947, con nota di X. Xxxxxxx; in Vita not., 1994, p. 225; Trib. Savona, 7 marzo 2001, in Fam. e dir., 2001, p. 529,
con nota di Xxxxxxxxx; Trib. Palermo, 3 febbraio 2002, in Gius., 2003, p. 1506. Sul tema cfr. X. XXXXXX, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 285 e ss.; ID., «Famiglia di fatto e convivenze: tutela dei soggetti interessati e regolamentazione dei rapporti patrimoniali in vista della successione», in Fam. e dir., 2006, p. 661 e ss.; X. XXXXXX, L’assegnazione della casa familiare nella separazione, nel divorzio e nella convivenza, Torino, 2003, p. 104 e ss. Per la situazione successiva alla riforma qui in commento cfr.
X. XXXXXX, I rapporti patrimoniali nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto, cit., p. 123 e ss.
46 Sul punto v. per tutti X. XXXXXX, I diritti dei conviventi.
La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali e il contratto di convivenza
Ora, a fronte dell’evidente assurdità delle conclusioni cui si perverrebbe se si volesse applicare anche alle clausole qui in esame il citato comma 56, va considerato, in primis, che le relative disposizioni sembrano il frutto di un evidente fraintendimento legislativo di quelle che sono le finalità di un contratto di convivenza nella libera unione.
La ragione vera della presenza del citato scampolo di prosa normativa risiede nell’ottica radicalmente errata in cui i conati di riforma degli ultimi decenni si sono andati muovendo in Italia.
Come dimostra la storia dei disegni di legge in materia e come (inutilmente) denunciato più volte da chi scrive47, alla chiarezza dei testi (e, prima ancora, delle idee) non ha potuto giovare il tipo d’approccio costantemente prescelto dall’italico legislatore nell’accostarsi ai problemi delle coppie omosessuali e delle famiglie di fatto. Un approccio che sempre ha manifestato una certa qual dose di confusione, talora evidente, tra le due radicalmente diverse prospettive che un intervento normativo in questo settore avrebbe dovuto perseguire. Da un lato, quella che mirava a porre fine, una buona volta per tutte, alla persistente discriminazione verso le persone omosessuali in merito alla possibilità di suggellare con il vincolo matrimoniale la propria unione affettiva. Dall’altro, quella che aveva per scopo la soluzione di una serie di problemi giuridici inevitabilmente destinati a sorgere da una convivenza tra persone (di sesso diverso, così come dello stesso sesso) che, però, coscientemente, per le più svariate ragioni, avessero liberamente escluso la via del matrimonio.
Quest’ultima, e solo quest’ultima, era la considerazione che si sarebbe dovuta porre alla base di un’ipotetica disciplina ad hoc dei contratti di convivenza. Disciplina che avrebbe dovuto, quindi, mirare alla costituzione, per via negoziale, di un rapporto giuridico fonte di reciproci diritti e doveri che possono anche per taluni aspetti assomigliare a quelli di due soggetti i quali vivano, come si soleva affermare nei secoli passati, in schemate matrimoniali, ma che da questi divergano per modo di costituzione e di cessazione, nonché per qualità, quantità ed intensità di effetti.
L’evidente confusione delle due ben diverse prospettive ha portato ai risultati attuali: da un lato
l’attribuzione, a chi faceva valere istanze di parità di trattamento rispetto alle coppie eterosessuali, 85
di un evidente ed avvilente minus rispetto al matrimonio; dall’altra, l’imposizione a chi chiedeva una
regolamentazione «leggera» di una forma di unione diversa da quella coniugale, di pesi, oneri ed orpelli para-matrimoniali, del tutto superflui, se non addirittura dannosi. Questo è proprio il caso del citato comma 56, che si «giustifica» in un’ottica puramente «matrimoniale», posto che, mentre ha un senso stabilire che il matrimonio, per la «gravità» del vincolo che lo caratterizza, e, soprattutto, per il fatto di essere un negozio giuridico essenzialmente personale, non possa essere sottoposto a termini o condizioni48, non ha, invece, costrutto alcuno stabilire lo stesso principio per un contratto che, come quello di convivenza, si colloca all’interno di un genus caratterizzato dalla patrimonialità degli effetti e per il quale l’apposizione di termini e condizioni risulta un quid del tutto «normale». Tant’è vero che, anche nel campo coniugale, l’apponibilità di termini e condizioni (non al negozio matrimoniale in sé, ma) alle relative convenzioni patrimoniali appare in tutto e per tutto ammissibile49.
In definitiva, le ragioni di cui sopra non possono indurre se non ad una forma di interpretazione restrittiva della disposizione contenuta nel citato comma 56. Si deve, cioè, ritenere che il divieto di termini e condizioni attenga a quei soli elementi accidentali che siano eventualmente apposti al contratto nel suo complesso e non già a questa o quella peculiare statuizione patrimoniale, a questa o
Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 119 e ss.
47 Cfr. ad es. X. XXXXXX, «I contratti di convivenza nei progetti di legge (ovvero sull’imprescindibilità di un raffronto tra contratti di convivenza e contratti prematrimoniali)», in Fam. e dir., 2015, p. 173 e ss.
48 Sull’art. 108 c.c. cfr. X. XXXXXXXX, Il matrimonio, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Xxxx, Messineo e Xxxxxxx, continuato da Xxxxxxxxxxx, Milano,
2015, p. 365.
49 Sul tema della possibilità per i coniugi di sottoporre a termini o condizioni l’efficacia delle convenzioni matrimoniali cfr. X. XXXXXX, «L’autonomia negoziale nei rapporti patrimoniali tra coniugi (non in crisi)», in Familia, 2003, p. 671 e ss.; ID., La comunione legale tra coniugi, nel Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu, Messineo e Mengoni, continuato da Xxxxxxxxxxx, II, Milano, 2010, p. 1669 e ss.
X. Xxxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
quella particolare clausola. Del resto, proprio in questi termini letterali sembra esprimersi la norma:
«Il contratto di convivenza» (e non: questo o quel particolare effetto di esso) «non può essere sottoposto a termine o condizione».
Il regime dei beni e degli acquisti. La comunione tra conviventi introdotta dalla novella. Principali problemi posti dal rinvio agli artt. 177 e ss. c.c.
Fonte di gravissime perplessità è data dall’assetto concretamente impresso dal d.d.l. al regime patrimoniale dei beni e degli acquisti operati in corso di convivenza, sulla base del combinato disposto della lett. c) del comma 53 e del successivo comma 54 dell’art. 1 della novella.
Va considerato, in primo luogo, che le citate disposizioni non elencano quali siano tutti i regimi astrattamente a disposizione dei conviventi, limitandosi a menzionare (con una semplice relatio) quello della comunione legale tra coniugi. Peraltro il citato comma 54, attribuendo ai conviventi la possibilità di «modificare» il regime scelto nel contratto di convivenza, sembra sottintendere che vi possano essere anche opzioni di tipo diverso.
Non solo. Poiché la frase in cui si sostanzia la citata lett. c) è retta dall’espressione «Il contratto può contenere: …» (può, per l’appunto, e non: deve), se ne desume che l’unico regime ivi menzionato, cioè quello della comunione legale, in realtà, tra conviventi «legale» (i.e.: «normale», in assenza di deroghe) non è, essendo chiaro che ben può essere stipulato un contratto di convivenza che nulla preveda sul punto. La prima considerazione è dunque quella secondo cui, se i conviventi stipulano un contratto di convivenza nel quale non fanno menzione del regime (e a maggior ragione, ovviamente, se non stipulano alcun contratto di convivenza), essi continueranno a vivere «senza regime» e dunque ad essi non saranno applicabili gli artt. 177 ss. c.c.50
86 Il problema vero è posto però dai casi in cui, per loro (dis)avventura, gli ardimentosi conviventi dovessero proprio optare per siffatto regime comunitario.
Al riguardo è sfuggito al frettoloso riformatore che la comunione legale tra coniugi (così come ora tra i partners dell’unione civile) è un regime che, inter coniuges, va, come si dice, «per legge» ed opera non solo quando l’acquirente dichiara di esservi soggetto, ma anche quando un qualsiasi acquisto rilevante ex art. 177, lett. a), c.c., sia effettuato, anche «separatamente», da uno dei due soggetti a tale regime sottoposti.
Inoltre, il regime coniugale legale, richiamato sic et simpliciter dalla norma qui in commento, si colloca, come noto, all’interno di un (peraltro bislacco e criticatissimo) sistema di pubblicità «in negativo», risultante dal raffronto tra i registri di stato civile (non quelli anagrafici!) e i pubblici registri immobiliari, per cui, allorquando un qualsiasi soggetto vende o acquista beni immobili o mobili registrati, i terzi potenziali aventi causa dovrebbero essere in grado di sapere se quel trasferimento ha inciso su di una situazione di comunione legale, vuoi ex latere venditoris, vuoi ex latere emptoris; lo stesso è a dirsi, naturalmente, per i creditori, che sono trattati in modo assai differenziato, in relazione alla «categoria» cui appartengono (se, cioè creditori «della comunione» o creditori «personali»), a seconda che essi tentino di agire in executivis contro beni comuni o, viceversa, personali dei coniugi: cfr. artt. 186, 187, 188, 189 e 190 c.c.51
50 In tal caso, se, per avventura, i conviventi dovessero procedere ad acquisti comuni, le norme che entrerebbero in gioco sarebbero quelle della comunione ordinaria e non certo quelle della comunione legale tra coniugi (e tra partners dell’unione civile). La considerazione, pur di carattere lapalissiano, ha, se non altro, il pregio di confermare la tesi prevalente secondo la quale il regime patrimoniale
legale inter coniuges non può essere analogicamente esteso per via interpretativa ai conviventi (neppure se legati da un contratto di convivenza, che di tale regime non faccia menzione). Sul punto v. per tutti X. XXXXXX, I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Xxxxxx, xxx., x. 00 x xx. 00 Xxx xxxx xxx. per tutti X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1381 e ss.
La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali e il contratto di convivenza
Nulla di tutto ciò appare immaginabile in relazione alla comunione di cui qui si discute, che è à la fois
«legale», per effetto del rinvio espresso «alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile», e «convenzionale», perché nasce pur sempre da un accordo. A parte il gioco di parole, sarà però opportuno ricordare, per evitare ogni equivoco, che comunque il «regime legale» (nel senso di «normale» e «automatico») dei conviventi, ancorché legati da apposito contratto di convivenza, è e resta pur sempre, come detto, la più totale assenza di qualsiasi regime. Il regime di comunione, che è legale (sempre nel senso di «normale» e «automatico») per coniugi e partners dell’unione libera, entrerà in funzione per i conviventi solo a condizione che ciò sia stato espressamente pattuito nel contratto di convivenza redatto nei modi e nelle forme descritti (si fa per dire) dalla novella (commi 50 e ss.).
Ora, ciò che scandalizza l’interprete non è tanto la circostanza che un regime legale possa scaturire da una manifestazione negoziale: chi scrive ha già trattato dell’argomento in altra sede, con riguardo proprio ai casi di comunione (legale) tra coniugi nascente non ex lege, ma da apposita convenzione52, con conclusioni che debbono ora trasporsi anche ai partners dell’unione civile. Ciò che lascia sbigottiti, invece, è che non si siano minimamente affrontate, neppure a livello di mero abbozzo, le conseguenze dell’introduzione di un regime come quello di cui agli artt. 177 e ss. c.c. nel campo delle relazioni tra conviventi.
Qui, tanto per fermarsi alle lacune più vistose, se non verrà istituito un adeguato sistema pubblicitario, il terzo non si troverà mai e poi mai in condizione di sapere se il bene rispetto al quale intende porsi quale avente causa o creditore agente in executivis sia di proprietà esclusiva del suo dante causa/ debitore, ovvero in contitolarità con il (la) convivente. Inutile dire che, per le ragioni già illustrate53, non può certo ritenersi idonea la prescrizione secondo cui il professionista che ha ricevuto o autenticato il contratto «deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione all’anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223» (comma 52).
L’unico caso, invero, astrattamente immaginabile di sicura opponibilità di tale situazione è infatti quello 87
in cui il convivente eventualmente pretermesso all’atto dell’acquisto immobiliare o mobiliare (con
riguardo ad un bene mobile registrato) abbia avuto l’accortezza di proporre domanda d’accertamento della ricaduta in comunione di tale acquisto e l’abbia tempestivamente trascritta sui pubblici registri immobiliari contro il proprio convivente (che, a questo punto, sarà piuttosto da ritenere ex tale…).
Segue. La concreta estensione del principio di libertà contrattuale
Nulla viene poi stabilito dalla riforma sui limiti alla libertà negoziale dei conviventi in sede di determinazione del concreto assetto dei reciproci rapporti. Qui, l’unico labilissimo accenno al riguardo risiede nel tenore del già citato comma 54, secondo cui «Il regime patrimoniale scelto nel contratto di convivenza può essere modificato in qualunque momento nel corso della convivenza con le modalità di cui al comma 51».
Da quanto sopra può desumersi, innanzi tutto, che ai conviventi che avessero optato per la comunione è consentito tornare a quella situazione di «assenza di regime» che caratterizza i partners i quali, anche eventualmente in presenza di un contratto di convivenza, non avessero però previsto la comunione (oppure, naturalmente, non avessero stipulato alcun contratto di convivenza). Siffatta situazione, si badi, non è perfettamente coincidente con quella dei coniugi in regime di separazione dei beni, per i quali vige comunque un «regime», che comporta l’applicazione di regole speciali (si pensi ad es.
52 X. XXXXXX, «La comunione legale di fonte negoziale: riflessioni circa i rapporti tra legge e contratto nel momento genetico del regime patrimoniale tra coniugi»,
in Dir. fam. pers., 2011, p. 835 e ss.
53V. supra, § “Il contratto di convivenza e la sua
«pubblicità»”.
X. Xxxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
a quanto stabilito dagli artt. 217, 218 e 219 c.c.), non riferibili (per lo meno, in assenza di apposita convenzione, come si dirà tra un attimo) allo status di chi non è coniugato54.
A questo punto diviene però indispensabile tentare di comprendere se l’espressione «può essere modificato» si limiti a quanto testé esposto, ovvero sottenda la possibilità di introdurre modifiche convenzionali ai due regimi testé individuati, sì da immaginare, da un lato, la creazione di una comunione convenzionale del genere di quella descritta dagli artt. 210 e 211 c.c., o, tutto all’opposto, di un regime di separazione in cui le regole di cui agli artt. 217, 218 e 219 c.c. vengano introdotte per via pattizia.
Non vi è dubbio che, in omaggio al generale principio di libertà contrattuale, cui il legislatore non sembra certo aver inteso qui derogare55, le «modifiche» possono estendersi a ricomprendere tutte quelle previsioni che norme imperative, ordine pubblico, o buon costume non vietino. Al di là di quanto così grossolanamente disposto dai citati commi 53 e 54, le parti potranno così continuare a dar vita a situazioni di contitolarità del genere di quelle preconizzate già diversi anni or sono dallo scrivente, quali ad es. comunioni (ordinarie) derivanti da impegni di carattere obbligatorio, se non addirittura da negozi traslativi ad effetti eventuali e differiti, assunti in sede di contratto di convivenza56: il tutto, naturalmente, con il limite di opponibilità ai terzi solo nel pieno rispetto delle regole generali di sistema a tal fine preposte. E così l’eventuale comunione convenzionale che dovesse abbracciare anche immobili di cui ciascuno dei conviventi era titolare prima dell’inizio del rapporto more uxorio sarà opponibile solo a condizione di risultare da un atto assoggettato a trascrizione sui pubblici registri immobiliari, e così via.
Al di là dei poteri appena descritti, non vi è dubbio che, nonostante l’assordante silenzio della riforma, i contratti di convivenza ben potranno contenere ulteriori provvidenze di tipo patrimoniale rispetto a quelle sopra (e infra) descritte: si pensi, tanto per riportare un paio di esempi, alla libera costituibilità di vincoli di destinazione nell’interesse della famiglia, ex art. 2645-ter c.c.57, alla istituzione di trusts
88 familiari, eventualmente «interni»58 e via dicendo.
Dies a quo e dies ad quem di operatività del regime di comunione tra conviventi. Risoluzione del contratto di convivenza
Dubbi di una certa serietà investono poi l’identificazione dei due momenti più rilevanti per il regime patrimoniale: vale a dire quelli che ne marcano, rispettivamente, l’insorgere e la cessazione.
Quando inizia il regime?
Nel campo matrimoniale la risposta a questa domanda appare relativamente semplice, atteso che il dies a quo di operatività della comunione legale è identificabile, in assenza di opzione per un regime diverso, con quello di celebrazione delle nozze; nel caso di scelta del regime di separazione, la comunione entra in gioco a decorrere dal successivo momento dell’eventuale stipula della relativa convenzione.
54 Sul punto e sull’impossibilità di qualificare la separazione dei beni tra coniugi come «non regime» cfr. X. XXXXXX, Il regime di separazione dei beni tra coniugi. Artt. 215-219, in Il codice civile. Commentario fondato e già diretto da Xxxxxxxxxxx, continuato da Xxxxxxxx, Milano, 2005, p. 25 e ss.
55 Principio, si noti, che, tra l’altro, sicuramente governa anche la materia delle convenzioni matrimoniali e dunque i rapporti patrimoniali inter coniuges: cfr. X. XXXXXX, Contratto e famiglia, in AA.VV., Trattato del contratto, a cura di Xxxxx, VI, Interferenze, a cura di Xxxxx, Milano, 2006,
p. 147 e ss.
56 Cfr. X. XXXXXX, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, cit., p. 260 e ss.
57 Su cui v. per tutti X. XXXXXX, «Atto di destinazione e rapporti di famiglia», in Giur. it., 2016, p. 254 e ss.
58 Per chi crede a tale ultima possibilità, naturalmente,
su cui non ci si può in questa sede intrattenere; per i richiami v. per tutti X. XXXXXX, Le destinazioni patrimoniali nell’intreccio dei rapporti familiari, in AA.VV., Trattato dei contratti, diretto Xxxxxxxx ed X. Xxxxxxxxx, 19, I contratti di destinazione patrimoniale, a cura di Xxxxx e Ciatti, Torino, 2014, p. 147 e ss.
La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali e il contratto di convivenza
Il vero problema è, semmai, legato al fatto che tra conviventi, a differenza di ciò che accade nel caso della coppia coniugata, fa difetto un negozio personale formale, solenne e provvisto di data certa quale il matrimonio (o, per le coppie omosessuali, la stipula dell’unione civile), la convivenza di fatto essendo definita dalla stessa legge in commento alla stregua della situazione di «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile».
Ora, l’unico elemento che sia qui fornito di una data certa è costituito, per l’appunto, dal contratto di convivenza (o dalla sua «modifica», necessitante delle stesse forme). Del resto, come già detto, la novella è chiara nel legare la comunione al contratto di convivenza e non alla convivenza. Dovrà quindi concludersi che il regime eventualmente «previsto» sarà operativo a decorrere dalla stipula del contratto di convivenza.
L’interrogativo che sorge spontaneo, però, a questo punto, è se la concorde volontà dei paciscenti possa determinare un dies a quo diverso, legato o ad un termine iniziale, o ad una condizione sospensiva. Qui, da un lato, l’ampia facoltà di modifica «in qualunque momento nel corso della convivenza», prevista dal testo normativo, e dall’altro l’evidente irriferibilità della condicio iuris di cui alla regola si nuptiae sequantur, sembrerebbero convincere dell’ammissibilità di un accordo di tal genere. Non si dimentichi, del resto, che l’opinione prevalente, storicamente fondata ed assolutamente preferibile (oltre che evidentemente armoniosa rispetto alla concezione contrattuale) in materia di convenzioni matrimoniali, consente l’apposizione di termini e condizioni a queste ultime. Non si comprenderebbe, pertanto, perché mai analoga regola non dovrebbe valere per i contratti di convivenza.
L’unico dubbio sembrerebbe però suggerito dall’improvvida disposizione, già ricordata, di cui al comma 56, a mente della quale «Il contratto di convivenza non può essere sottoposto a termine o condizione. Nel caso in cui le parti inseriscano termini o condizioni, questi si hanno per non apposti».
Si sono peraltro già esposte le ragioni59 che consigliano di limitare l’operatività della regola ai soli
elementi accidentali eventualmente apposti al contratto nel suo complesso e non già a singole clausole 89
di esso. Sembra dunque doversi affermare la possibilità di far decorrere il regime di comunione a
partire da un termine iniziale o dall’avverarsi di una condizione sospensiva eventualmente previsti nel contratto di convivenza.
Venendo ora al tema dell’accertamento del dies ad quem di operatività del regime va detto che, anche con riguardo a questo delicato profilo, le norme in commento tacciono del tutto. Inutile ricordare la capitale importanza dell’accertamento di questo momento, a decorrere dal quale l’effetto coacquisitivo scolpito nell’art. 177, lett. a), c.c., per gli acquisti operati dopo tale data, viene meno.
Neppure soccorre più di tanto, in questa sede, il richiamo alle norme in tema di comunione legale tra coniugi. L’art. 191 c.c. individua60, come noto, inter coniuges, gli eventi idonei a determinare lo scioglimento del regime legale, alcuni dei quali possono considerarsi riferibili anche ai conviventi: dichiarazione di assenza o di morte presunta, separazione giudiziale dei beni, mutamento convenzionale di regime, fallimento, scioglimento convenzionale di azienda ai sensi dell’ult. cpv. dell’art. 191 c.c.
Peraltro, l’evento più rilevante dal punto di vista statistico, vale a dire la crisi del rapporto di convivenza, non viene preso in considerazione nei suoi effetti sul regime, laddove ben difficilmente sembra prospettabile un’estensione analogica delle disposizioni di cui al citato art. 191 c.c. in materia di crisi coniugale. Queste ultime, infatti, appaiono strettamente legate ad una «ritualizzazione» (annullamento del matrimonio, separazione e divorzio, nelle rispettive variegate forme di manifestazione procedurale: giurisdizionali o meno che siano), cui la crisi della famiglia di fatto rimane, per effetto della novella qui in esame, del tutto estranea.
Le uniche norme della riforma qui in commento latamente riferibili al caso in esame sembrano essere
59 V. supra, § “Segue. Sulla possibilità di apporre termini o condizioni”.
60 Non senza problemi: cfr. per tutti X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1681 e ss.
X. Xxxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
costituite da quelle di cui ai commi 59, 60 e 61 dell’art. 1 della presente riforma.
Poiché, peraltro, le disposizioni in esame appaiono carenti in ordine alla cessazione del regime di comunione, non rimarrà che concludere nel senso che il dies ad quem del regime di comunione tra conviventi va identificato nei momenti seguenti.
(a) In caso di scioglimento del contratto di convivenza concordato o unilaterale: nel momento in cui
«la risoluzione viene redatta nelle forme di cui al comma 51». Inutile soggiungere che, con riguardo allo specifico problema dell’eventuale riconciliazione, per la coppia (dapprima non più e poi di nuovo) convivente non varrà il principio dottrinale e giurisprudenziale di automatica ricostituzione del regime legale61, essendo il dato normativo piuttosto chiaro nel collegare la nascita (e dunque, pure l’eventuale rinascita) della comunione tra conviventi alla (necessaria) stipula di un contratto.
(b) In caso di matrimonio o unione civile tra i conviventi stessi o tra un convivente ed altra persona: nel momento in cui tali eventi hanno luogo. Qui potrà aggiungersi che quanto disposto dai commi 62 e 63 non sembra rilevare ai fini dello scioglimento del regime, trattandosi di attività meramente complementare e successiva.
(c) Per le altre cause descritte dall’art. 191 c.c. varranno le regole elaborate con riguardo ad ogni singola causa di scioglimento della comunione legale; così, ad es., in caso di morte di uno dei contraenti, l’effetto estintivo si produrrà dal momento in cui tale evento ha luogo, e così via62.
Appare quasi superfluo aggiungere che la parte aggiunta all’attuale comma 60 dal «maxiemendamento» presentato al Senato il 25 febbraio 2016 non risulta di alcuna utilità. Stabilire, infatti, che «Qualora il contratto di convivenza preveda, a norma del comma 53, lettera c), il regime patrimoniale della comunione dei beni, la sua risoluzione determina lo scioglimento della comunione medesima e si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro primo del codice civile» significa esprimere un’ovvietà addirittura deprimente (è come dire che «se si verifica una causa di scioglimento del regime legale, si applicano le norme in tema di
90 scioglimento del regime legale»).
Stabilire, poi, che «Resta in ogni caso ferma la competenza del notaio per gli atti di trasferimento
di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza» significa stabilire una cosa gravemente errata, posto che nel nostro ordinamento risulta ancora vigente l’art. 1350 c.c., che non impone - purtroppo, come più volte spiegato dallo scrivente63 - l’atto notarile per la validità di un trasferimento immobiliare64. Se, invece, l’intento è solo quello di chiarire che quella dell’atto pubblico continua ad essere (unitamente alla scrittura privata autenticata o verificata) l’unica forma idonea alla trascrizione di un titolo negoziale sui pubblici registri immobiliari ex art. 2657 c.c., si afferma allora un principio risaputo. A quest’ultima lettura induce il confronto con quanto stabilito dall’art. 5, D.l. 12 settembre 2014, n. 132, conv. in L. 10 novembre 2014, n. 162, in materia di negoziazione assistita, laddove si prevede la necessaria autentica da parte di un «pubblico ufficiale a ciò autorizzato» degli atti
«soggetti a trascrizione», al fine di consentire l’effettuazione di siffatta pubblicità.
61 Per questi temi v., in relazione alla situazione anteriore alla novella di cui alla L. 6 maggio 2015, n. 55, X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi, II, cit., p. 1818 e ss.; e, per la situazione successiva, ID., «“Divorzio breve”, separazione legale e comunione legale tra coniugi», in Fam. e dir., 2015, p. 615 e ss.
62 Cfr. sul tema X. XXXXXX, La comunione legale tra coniugi,
II, cit., p. 1709 e ss., 1718 e ss., 1745 e ss., 1777 e ss., 1868 e ss.
63 Cfr. ad es. X. XXXXXX, Prestazioni «una tantum» e trasferimenti tra coniugi in occasione di separazione e divorzio, Collana «Biblioteca del Diritto di Famiglia», Milano, 2000, p. 259 e ss.
64 Sul punto v. da ultimo, ad es., Cass., Sez. Un., 1° febbraio 2016, n. 2951, secondo cui «Il diritto al risarcimento dei danni subiti da un bene spetta al titolare del diritto di proprietà al momento dell’evento dannoso, quale risulta anche da scrittura privata, salva cessione del credito».
La convivenza di fatto. I rapporti patrimoniali e il contratto di convivenza
Il regime patrimoniale della rottura (contenziosa o consensuale) della convivenza di fatto
In caso di rottura inter vivos della convivenza di fatto, il comma 65 dell’art. 1 in esame prevede che «il giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente e gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell’articolo 438, secondo comma, del codice civile. Ai fini della determinazione dell’ordine degli obbligati ai sensi dell’articolo 433 del codice civile, l’obbligo alimentare del convivente di cui al presente comma è adempiuto con precedenza sui fratelli e sorelle».
Al riguardo si è correttamente rilevato in dottrina65 che apprezzabile è la scelta di riservare al convivente meno abbiente una certa tutela patrimoniale, nel caso di rottura della convivenza, proporzionata alla durata della stessa. È opportuno, infatti, che la solidarietà familiare si manifesti anche all’interno del rapporto fra conviventi, differenziando però le unioni di breve durata da quelle protrattesi nel tempo. Il c.d. «maxiemendamento» presentato dal Governo al Senato il 25 febbraio 2016 ha eliminato un’evidente discrasia contenuta nelle prime due versioni del «d.d.l. Cirinnà», che, con una duplice disposizione, prevedevano tanto il diritto agli alimenti, che quello al mantenimento66. La soluzione concretamente adottata ha però un sapore certamente «punitivo» per il partner debole. Nulla impedisce, peraltro, come già detto, alla libertà negoziale delle parti di pattuire, vuoi durante la convivenza ed in contemplation della rottura, vuoi eventualmente all’atto in cui essa si realizza, l’obbligo per l’ex convivente «forte» di contribuire in vario modo (messa a disposizione di beni, erogazione di assegno mensile, prestazione una tantum, ecc.) al mantenimento dell’ex partner.
Inutile aggiungere, poi, che, in considerazione del tenore della norma in questione, l’ex convivente
avente diritto ad una prestazione alimentare (o ad un assegno di mantenimento, alla corresponsione
del quale il partner si fosse eventualmente obbligato) non potrà avvalersi dei rimedi processuali e degli 91 interventi cautelari concessi a garanzia del mantenimento del coniuge (o del partner dell’unione civile) separato (o separando). Il contributo andrà chiesto per le vie ordinarie ed eventualmente preceduto (o accompagnato), le cas échéant, da una «comune» domanda di sequestro conservativo, ex art. 671 c.p.c.
Quanto poi all’ipotesi di una rottura consensuale della convivenza di fatto, va considerato che nessuna norma sembra trattarne espressamente, se si eccettua lo spunto che si può ricavare dal comma 59, lett. a), in cui si prevede che «59. Il contratto di convivenza si risolve per: a) accordo delle parti».
Nessuna previsione stabilisce se tale accordo possa contenere previsioni in merito ai rapporti patrimoniali degli ex conviventi. Ancora una volta, però, il richiamo ai principi generali in tema di libertà contrattuale deve indurre a ritenere ammissibili veri e «propri contratti della crisi della convivenza di fatto», secondo una serie di schemi e previsioni più volte in altre sedi illustrate dallo scrivente67. In tal modo si potrà anche porre rimedio al grave errore compiuto dal riformatore del 2016 nella non approvazione di quella disposizione che, pure, compariva nella prima versione del «testo unificato Cirinnà», secondo cui, nei casi di risoluzione del contratto si sarebbe potuto prevedere «l’obbligo di corrispondere al convivente con minori capacità economiche un assegno di mantenimento determinato in base alle capacità economiche dell’obbligato, al numero di anni del contratto di convivenza e alla capacità lavorativa di entrambe le parti»68.
65 X. XXXXXXX, «Modelli familiari, disciplina applicabile e prospettive di riforma», in Nuove leggi civ. comm., 2015, p. 627. 66 Sul punto, anche per le relative critiche, cfr. X. XXXXXXX, op. cit., p. 627.
67 Cfr. X. XXXXXX, I diritti dei conviventi. Realtà e prospettive tra Italia ed Europa, cit., p. 171 e ss.
68 V. supra, § “Il contratto di convivenza e i contenuti mancati”.
X. Xxxxxx
Unioni civili e contratti di convivenza - Profili fiscali
di Xxxxxxx Xxxxxxxxxx
Notaio in Perugia
Unioni civili
Nell’unico articolo composto di ben 69 commi della legge ‘Cirinnà’ (come si indicherà anche in modo breviloquente nel prosieguo la legge 20 maggio 2016, n. 76 pubblicata sulla G.U. n. 118 del 21 maggio 2016 e in vigore al 5 giugno 2016) risulta delineata la disciplina di tre fattispecie affatto diverse, vale a dire le ‘unioni civili’ (commi da 1 a 35), le convivenze ‘di fatto’ (commi da 36 a 49, e comma 65) ed i contratti di convivenza (commi da 50 a 64 con esclusione del solo comma 55 afferente alla materia del trattamento dei dati personali).
Muovendo le mosse pertanto dalla prima delle tre fattispecie (e cioè dalle ‘unioni civili’ e riservando ai paragrafi successivi la riflessione sulle altre due), va qui subito rilevato il dettato del comma 20 a tenore del quale «Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole “coniuge”, “coniugi” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso».
Inoltre, si precisa che tale previsione non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella legge nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184 (in materia
92 di adozione).
L’equiparazione o, rectius, la ‘sovrapposizione’ dei concetti e dei lemmi ‘coniuge’ e ‘coniugi’, da un lato, con quelli di ‘parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso’, dall’altro, e ciò con riferimento a leggi, atti aventi di forza di legge, regolamenti, ecc. appare, per così dire’, ‘funzionale’’. Essa opera - dovrebbe operare - con la finalità di rendere effettiva la tutela dei diritti ed assicurare l’adempimento degli obblighi derivanti dalla unione civile tra le parti della stessa1.
Di fatto, però, la ricaduta sul piano pratico di tale equiparazione finisce per essere ampia e di vasta portata, e ciò in quanto, anche attraverso una lettura in filigrana della ratio legis e dei lavori preparatori, appare chiaro che il legislatore della novella - salvo quanto ha espressamente individuato con riferimento alle norme del codice civile non richiamate e alla legge n. 184/83 - intende rendere ad ampio spettro la tutela dei diritti e l’adempimento degli obblighi legati allo status di ‘parte della unione civile’.
Ed infatti prevedendo la esclusione di tale equiparazione con riferimento solo alle norme del codice civile non espressamente richiamate dalla legge Cirinnà stessa e alle norme della legge n. 184/83, indirettamente ne legittima l’applicazione a tutte le norme del codice civile richiamate e a tutte le altre norme previste da testi legislativi e normativi diversi dal codice civile stesso, segnatamente in ambito fiscale, con consequenziale applicazione delle riflessioni già maturate in tale ambito.
Si può così ritenere estensibile alle ‘unioni civili’ tutto il patrimonio ideologico, in verità ragguardevole, contenuto in documenti della prassi amministrativa e in arresti e sentenze giurisprudenziali in ordine alla rilevanza della residenza ‘del nucleo familiare’ ai fini della spettanza delle agevolazioni fiscali in
1 Interessanti le riflessioni sul punto rinvenibili nel recente saggio a firma di X. XXXXXXXXXXXX, «Considerazioni a margine della legge sulle unioni civili: il concorso alle
pubbliche spese nella prospettiva dell’effettiva attuazione dei diritti», in Riv. dir. trib., 2016, 4, parte prima, p. 511 e ss.
Unioni civili e contratti di convivenza - Profili fiscali
materia di acquisto della ‘prima casa’2.
Si possono d’altra parte ritenere operanti, sempre nella stessa materia, gli impedimenti collegati con lo stato di ‘coniuge’ comproprietario di altro immobile nel medesimo Comune ove è posto quello da acquistare con le dette agevolazioni (salvo poi verificare se le parti della unione civile abbiano espresso o meno opzione diversa da quella del regime di comunione legale in apposita convenzione stipulata con atto pubblico).
Riflettiamo sul fatto che ora è normativamente sancito dalla legge Cirinnà (comma 12 art. 1) un diritto di ciascuna delle parti della unione civile a concordare l’indirizzo della vita familiare e a fissare la residenza comune, spettando a ciascuna di esse di attuare l’indirizzo concordato, proprio così come avviene per i coniugi. Sicché pare logico estendere anche alle parti della unione civile gli stessi ‘caveat’ e gli stessi benefici già esistenti nel vigente sistema giuridico (fiscale in particolare) in relazione ai benefici/agevolazioni di cui s’è detto per gli acquisti fatti da coniugi, in particolare se versino in regime di comunione legale. Se infatti un sistema (fatto da limitazioni ma anche da benefici, sul piano fiscale) deve operare, deve poter operare, appunto, nella sua complessità, senza lacune e sbavature, ma anzi realizzando in sé, in tal modo, la più ampia coerenza interna e attuando quella ragionevolezza del sistema stesso che è anche un principio di rango costituzionale.
La detta equiparazione parimenti, in questa prospettiva, consentirebbe la detraibilità degli interessi passivi corrisposti a fronte di mutui contratti per l’acquisto dell’unità immobiliare da adibire ad abitazione principale dell’altra parte dell’unione civile (diversa - per ipotesi - da quella che ha contratto
2 Occorre qui allo scopo ricordare quell’indirizzo giurisprudenziale della Cassazione ormai consolidato per il quale è alla residenza del ‘nucleo familiare’ piuttosto che a quella del singolo coniuge che bisogna aver riguardo per argomentare sulla meritevolezza e spettanza delle agevolazioni prima casa. In un recente arresto (Cass. civ., sez. trib., 27 gennaio 2016, n. 1494) viene affermato che il contribuente che si è avvalso delle agevolazioni “prima casa” mantiene le agevolazioni fiscali anche qualora non possa trasferire la propria residenza anagrafica entro diciotto mesi, a condizione che si dimostri che l’acquisto è avvenuto pendente il regime della comunione legale dei beni e si fornisca la prova della destinazione dell’immobile
- appunto - a “residenza della famiglia” (eventualmente dimostrando che l’altro coniuge ha trasferito la propria residenza nell’immobile in oggetto).
Nella fattispecie uno degli acquirenti, un dipendente ‘civile’ della Nato, aveva acquistato l’immobile in regime di comunione legale dei beni, nel Comune di Aviano, ove di fatto viveva stabilmente con la famiglia, ma non aveva potuto ottenere la formale iscrizione nei registri dell’anagrafe della popolazione in forza del particolare regime che compete ai militari e ai civili che lavorano presso le basi Nato. La Suprema Corte, pur escludendo che ricorresse un’ipotesi di forza maggiore, ha però riconosciuto la spettanza dei benefici, rilevando che
«la norma tributaria va letta ed applicata nel senso che diventa prevalente l’interesse della famiglia rispetto a quello dei singoli coniugi, per cui il metro di valutazione dei requisiti per ottenere il beneficio deve essere diverso in considerazione della presenza di un’altra entità, quale la famiglia (Xxxx., sez. trib., n. 16355/2013; Cass.,
sez. trib., n. 2109/2009). Si ritiene, quindi, superato il previgente orientamento che affermava il diritto pro quota all’agevolazione a favore del solo coniuge residente (Cass.,
sez. trib., n. 8463/2001)». 93
Qualche tempo prima in altro arresto della Suprema Corte (Cass. civ., sez. V, 29 luglio 2015, n. 16026) si era poi precisato ancor più nettamente che, avendo rilievo solo la residenza della famiglia, non è determinante ai fini del riconoscimento dei benefici la circostanza che uno dei coniugi non abbia la residenza nel Comune ove è sito l’immobile acquistato in regime di comunione legale dei beni, e ciò in ogni caso in cui il bene sia divenuto oggetto della comunione ex art. 177 c.c., e quindi sia in caso di acquisto separato che in quello di acquisto congiunto del bene stesso. Xxxxxx è stato accolto il ricorso del contribuente che aveva sostenuto la tesi per la quale i benefici vanno riconosciuti anche se solo uno dei coniugi ha trasferito la propria residenza nell’immobile acquistato in quanto rappresentante della famiglia intesa, appunto, come entità autonoma distinta dai coniugi singolarmente. Inoltre la CTR Umbria nella sentenza 145 marzo 2013 dep. il 23 settembre 2013 ha ritenuto che non si verifichi decadenza dalle agevolazioni già concesse al coniuge in comunione legale (senza intervento dell’altro che quindi non ha reso in atto dichiarazione di essere residente nel Comune ove è sito l’immobile): ciò che conta - ha sostenuto l’organo giudicante - è la co-abitazione reciproca e la residenza del ‘nucleo familiare’ nel detto Comune; e all’uopo ha richiamato per avvalorare la tesi Cass. n. 13085/2003 e anche Cass. 14237/2000 (che ha ritenuto possibile i benefici per l’acquisto della ‘prima casa’ anche se mancano i requisiti in testa al coniuge non intervenuto).
X. Xxxxxxxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
il mutuo stesso): ciò in quanto l’art. 15 del Tuir prevede appunto che per abitazione principale, ai fini della detraibilità, si intende quella nella quale il contribuente o ‘i suoi familiari’ dimorano abitualmente. Inoltre dovrebbero operare a favore dell’altra parte dell’unione civile - stante la totale applicazione dei meccanismi successori, in materia di successione legittima e necessaria ai sensi del comma 21 art. 1 della legge in commento e stante la necessità di rendere ‘effettiva’ la tutela dei diritti di spettanza di ciascuna parte - anche le disposizioni circa le particolari esenzioni fiscali operanti in detta materia (pensiamo a titolo solo esemplificativo alla esenzione da imposta di successione e donazione dei trasferimenti di compendi aziendali o quote di partecipazione societaria alle condizioni stabilite dal comma 4-ter dell’art. 3 del D.lgs. n. 346/90) o alla franchigia di cui al detto ultimo testo unico, Così come scatterà a carico della parte dell’unione civile sopravvissuta all’altra parte venuta a mancare e a cui la prima succede l’obbligo della presentazione della dichiarazione di successione ex art. 28 T.U. n. 346 (e quindi anche la particolare causa di esenzione prevista dal comma 7 se l’eredità devoluta alla parte sopravvissuta ha un valore non superiore a euro centomila e non comprende beni immobili o diritti reali immobiliari). Troverà applicazione anche la presunzione di liberalità prevista dall’art. 26 del Tur e quindi l’obbligo di dichiarare negli atti ove tale presunzione possa operare gli estremi delle eventuali donazioni anteriormente fatte dal donante al donatario (parte dell’unione civile) e i relativi valori alla data degli atti stessi, a norma dell’art. 57 comma 2 del T.U. n. 346/90.
Inoltre, in caso di scioglimento dell’unione civile l’art. 1 della legge n. 76/2016 sancisce l’applicabilità di molte delle disposizioni sullo scioglimento del matrimonio recate dalla legge 1° dicembre 1970,
n. 898. Ora, stante il disposto dell’art. 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74 che a sua volta stabilisce l’esenzione dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa di «tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio …», tale regime esentativo dovrebbe trovare applicazione ‘de plano’ anche a tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento delle unioni civili.
94 Pertanto gli orientamenti già espressi dall’A.F. in materia dovrebbero agevolmente ritenersi estensibili anche alle unioni civili3.
La convivenza e i relativi contratti
La rilevanza del rapporto di convivenza more uxorio o, come si esprime la legge n. 76/2016, ‘di fatto’, va ben intesa4.
3 Vedi le circolari dell’agenzia delle Entrate 27/E del 21 giugno 2012 e 2/E del 21 febbraio 2014, ove, come noto, nella prima circolare l’A.F. precisa che il regime di esenzione può trovare applicazione anche all’accordo omologato dal tribunale, a beneficio dei figli, a condizione che esso sia espressamente qualificato quale «elemento funzionale e indispensabile ai fini della risoluzione della crisi coniugale»; e nella seconda circolare ove l’A.F. ritiene che il regime di esenzione sia sopravvissuto anche alla norma soppressiva di agevolazioni ed esenzioni fiscali (di cui al comma 4 art. 10 D.lgs. n. 23/2011) trattandosi di un regime funzionale alla disciplina di particolari istituti, che hanno un’applicazione ampia, la cui riferibilità ai trasferimenti immobiliari è solo eventuale e prescinde dalla loro natura onerosa o gratuita. Va anche ricordata (in ipotesi di negoziazione assistita intercorsa tra coniugi che intendano addivenire alla separazione
o allo scioglimento e/o cessazione degli effetti civili del vincolo coniugale) la ris. n. 65/E del 2015 che ha ritenuto possibile l’applicazione del trattamento agevolato di che trattasi all’accordo concluso dai coniugi «sempreché dal testo dell’accordo medesimo, la cui regolarità è stata vagliata dal Procuratore della Repubblica, emerga che le disposizioni patrimoniali, contenute nello stesso, siano funzionali e indispensabili ai fini della risoluzione della crisi coniugale».
4 In generale sul tema della ‘convivenza’ v. X. XXXXX,
«Convivenza more uxorio e autonomia privata (ancora sui presupposti e modalità di rilevanza della famiglia senza matrimonio)», in Giur. it., 1980, I, p. 543; X. XXXXXXX, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983, p. 143 e ss.; X. XXXXXX, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano, 1991, p. 151 e ss.; X. XXXXX, Autonomia privata e causa familiare. Gli accordi traslativi tra i coniugi in occasione
Unioni civili e contratti di convivenza - Profili fiscali
Qui ci troviamo di fronte ad una unione che deve essere stabile e caratterizzata da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, tra due persone maggiorenni non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile (comma 36).
Inoltre la nuova legge prevede solo come ‘possibilità’ che i conviventi di fatto disciplinino i loro rapporti patrimoniali con un ‘contratto di convivenza’ redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata (come si preciserà nel prosieguo). Ma in mancanza di tale contratto il legame ‘di fatto’ sussiste ugualmente e comporta parimenti la produzione di una griglia di situazioni giuridiche previste dai commi 38 (diritti stabiliti dall’ordinamento penitenziario), 39 (diritto reciproco di visita, di assistenza morale e di accesso alle informazioni personali in caso di malattia o di ricovero), 40 (facoltà di designazione dell’altro convivente quale rappresentante dell’altro per le fattispecie ivi indicate), 42 e 44 (diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza di proprietario del convivente deceduto per il tempo e nelle circostanze stabilite dal comma stesso o di succedere nel contratto di locazione già stipulato dal convivente conduttore, poi deceduto), 45 (godimento di titolo o causa di prelazione nelle graduatorie per assegnazione di alloggi di edilizia popolare derivante dalla situazione di convivenza di fatto), 46 ( diritto alla partecipazione agli utili dell’impresa familiare, ai beni acquistati con essi e agli incrementi dell’azienda), 48 (possibilità per un convivente di essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno dell’altro convivente dichiarato interdetto, inabilitato o sia beneficiario dell’amministrazione di sostegno; 49 (diritto al risarcimento del danno per il fatto illecito consumato da terzi nei confronti dell’altro convivente), 65 (diritto del convivente a ricevere dall’altro gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento in caso di cessazione della convivenza di fatto e sempre in base ad un provvedimento giudiziale).
Ma sul piano fiscale tale rapporto di ‘convivenza’ non risulta significativo né rilevante, se si fa qualche
rara eccezione, anche sul piano della prassi perseguita dall’A.F.
Così ad esempio nella legge di Stabilità per il 2016 (n. 208/2015) al comma 75 art. 1 (poi peraltro non
riprodotto nella legge di Bilancio per il 2017) era stabilito che «Le giovani coppie costituenti un nucleo 95
familiare composto da coniugi o da conviventi more uxorio che abbiano costituito nucleo da almeno tre
anni, in cui almeno uno dei due componenti non abbia superato i trentacinque anni, acquirenti di unità immobiliare da adibire ad abitazione principale, possono beneficiare di una detrazione Irpef del 50 per cento delle spese documentate sostenute, dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2016, per l’acquisto di mobili ad arredo della stessa unità abitativa» (detrazione calcolata su un ammontare complessivo non superiore a 16.000 euro e non cumulabile con l’ordinario bonus arredi).
Inoltre, in una circolare di qualche tempo fa (n. 64/E dell’11 marzo 2014) l’Amministrazione
Finanziaria già aveva dato opportune istruzioni ai suoi uffici affinché, nella valutazione della ‘capacità contributiva’ di ogni singolo contribuente per addivenire ad eventuale accertamenti sintetici del reddito complessivo delle persone fisiche, venga presa in considerazione quella che è la reale produttività reddituale di tutto il suo nucleo familiare (dal punto di vista anagrafico), anche laddove in esso figurino solo conviventi di fatto e non anche o non solo soggetti legati da rapporto di coniugio o parentela5.
della separazione personale e del divorzio, Milano, 1996;
X. XXXXXXXX, Autonomia privata e potere di disposizione nei rapporti familiari, Padova, 1997, p. 495.
5 In sede di selezione viene attribuito ad ogni contribuente il lifestage risultante dalla c.d. “famiglia fiscale” presente nell’anagrafe tributaria, determinata in base ai dati delle dichiarazioni presentate dai contribuenti e, pertanto, costituita dal contribuente, dal coniuge (anche se non fiscalmente a carico), dai figli e/o dagli altri familiari fiscalmente a carico.
La famiglia anagrafica, invece, comprende anche i figli maggiorenni e gli altri familiari conviventi, nonché i conviventi di fatto, non
fiscalmente a carico.
È possibile, quindi, riscontrare la non coincidenza della “Famiglia fiscale” rispetto alla “Famiglia Anagrafica”.
Pertanto, il competente Ufficio dell’Agenzia delle entrate, una volta selezionato il soggetto nei cui confronti intraprendere le attività di controllo …, prima ancora di inviare formale invito ai sensi dell’art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973, effettuerà i necessari riscontri sulla situazione familiare del contribuente, aggiornando la composizione del nucleo familiare. Ciò consentirà di evitare la selezione di coloro che, con il reddito complessivo dichiarato dalla famiglia, giustificano l’apparente scostamento individuale.
X. Xxxxxxxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
In ogni caso - all’infuori di quanto detto - non emerge una particolare attenzione del legislatore fiscale al rapporto di convivenza, e di fatti non è emersa nemmeno nella stesura del testo di legge qui in commento.
Ciò - è da sottolineare - sia pure a dispetto del rilievo che tale condizione di convivenza sta assumendo progressivamente nella elaborazione giurisprudenziale e in parte, prima ancora della emanazione della novella al vaglio, aveva già assunto in talune norme del sistema positivo6.
Il regime fiscale dei ‘contratti di convivenza’
Come si notava, nella legge 20 maggio 2016 n.76 non emerge alcuna disciplina del profilo fiscale delle ‘convivenze’; sicché - quanto alle imposte indirette e quindi con riferimento agli atti e ai negozi giuridici ad esse afferenti, e segnatamente ai cd. ‘contratti di convivenza’7 destinati a disciplinare i
6 Per la elaborazione giurisprudenziale basti pensare ai recenti arresti della Cassazione n. 7/2014 (che ha sancito la spettanza della tutela possessoria a favore del convivente non proprietario rispetto al convivente proprietario che voglia estromettere con violenza il primo dall’abitazione comune, di proprietà solo del secondo) oppure alla sentenza n. 3548/2013 (che ha dichiarato il diritto del convivente a subentrare nel contratto di locazione in caso di decesso del convivente conduttore originario e ciò anche se a questi sia subentrato per successione la figlia, poi a sua volta deceduta e che di fatto abbia lasciato la
96 detenzione della casa al convivente sopravvissuto): al riguardo come è noto già la Corte Costituzionale con
sentenza 24 marzo -7 aprile 1988, n. 404 aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 6 ella legge n. 392/78 nella parte in cui non prevede tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio; così pure nella giurisprudenza di merito sono già emersi orientamenti che hanno riconosciuto al convivente superstite la qualifica di detentore qualificato (Trib. Milano 8 gennaio 2003) e che hanno esteso a suo favore il diritto di subentrare nel contratto di locazione in caso di morte (ma non per altra causa di cessazione della convivenza) dell’altro convivente conduttore.
Nello stesso ordine di idee si collocano quegli arresti giurisprudenziali per cui la tutela possessoria del convivente viene estesa nei confronti dei terzi: anche chi eredita la casa non può ad esempio escludere e mettere alla porta il convivente del defunto (Cass. n. 19423/14). E in caso di separazione, è indiscussa l’assegnazione del tetto familiare al genitore affidatario dei figli minori o non autonomi (Cass. n. 17971/15).
La giurisprudenza di merito ha anche riconosciuto il diritto del convivente a ricevere assistenza morale dall’altro: i versamenti sul conto del partner sono ritenuti obbligazioni naturali non ripetibili (Tribunale di Treviso, sentenza 258/15).
Il convivente è anche tutelato come vittima di maltrattamenti familiari, considerata, a prescindere dall’effettiva durata del rapporto, la prospettiva di vita
comune con la quale aveva instaurato la convivenza (Tribunale di Bari, sentenza 3289/15).
Mentre per le norme di diritto positivo che fondano la rilevanza della relazione di convivenza a titolo solo di esempio si può qui ricordare tra le altre la legge n. 154/2001 che ha esteso ai conviventi l’applicabilità delle misure contro la violenza nelle relazioni familiari, l’art. 30 L. 354/1975, che nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, consente ai condannati e agli internati l’ottenimento da parte del magistrato di sorveglianza di un permesso di recarsi a visitare, con le cautele previste dal regolamento penitenziario, l’infermo oppure l’art. 337-sexies c.c., in base al quale il godimento casa familiare viene meno se l’affidatario del figlio conviva more uxorio, o ancora l’art. 408 c.c. che ricomprende la persona stabilmente convivente tra i soggetti che il giudice deve preferire nella nomina dell’amministratore di sostegno.
7 Contratti consacrati come validi e legittimi proprio dalla legge Xxxxxxx, forse sulla scia di una datata Raccomandazione del Consiglio d’Europa già del 1988 diretta a impedire che i contratti di convivenza vengano considerati nulli dalle relative disposizioni nazionali per il solo fatto di essere stati stipulati tra persone «living together as an unmarried couple». Sia consentito con riferimento alla problematica al vaglio il richiamo a X. XXXXXXXX - X. XXXXXXXXXX, Accordi patrimoniali tra conviventi ed attività notarile, Milano, 2009.
In generale in dottrina in ordine alla materia dei contratti di convivenza X. XXXXXXXX, «I contratti tra conviventi “more uxorio”», in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1994, p. 737 e ss.; X. XXXXXXX, «Tentativo d’inventario per il “nuovo” diritto di famiglia: il contratto di convivenza», in Riv. crit. dir. priv., 2001, p. 335 e ss.; X. XXXXXXX, Il contenuto atipico dei negozi familiari, Xxxxxx Xxxxxx, 2001, p. 66 e ss.; X. XXXXXXXXX, Rapporto di convivenza more uxorio e autonomia privata, Milano, 2001, p. 163 e ss.; A.M. XXXXXXXXXX XX XXXX, Convivenza e famiglia di fatto. Ricognizione del tema nella dottrina e nella giurisprudenza, in I contratti di convivenza, a cura di Xxxxxxx e Xxxxxxx, Torino, 2002, p. 303; X. XXXXXXXX, «Le contribuzioni tra i conviventi fra obbligazioni naturali e contratto», in Fam. e dir., 2003,
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rapporti patrimoniali relativi alla vita in comune dei conviventi, come recita il comma 50 dell’unico articolo della legge - è l’interprete che soggiace all’onere di individuare l’applicazione del relativo regime e di eventuali norme di esenzione e/o di agevolazione in ambito fiscale.
Una premessa all’uopo è ineludibile; e cioè che ai fini della individuazione del trattamento fiscale delle fattispecie contrattuali al vaglio (espressione della cd. ‘contrattualizzazione’ dei rapporti tra conviventi) assume capitale importanza la valorizzazione del profilo causale delle fattispecie poi perfezionate. Ed invero la individuazione della discriminante tra gratuità, da un lato, ed onerosità o contrattazione comunque non (necessariamente) gratuita dall’altro, è il necessario presupposto dell’attività (talora non agevole), rimessa all’interprete, finalizzata all’applicazione del corretto trattamento fiscale. Il ricorso allo strumento contrattuale da parte dei conviventi - ora legittimato dall’ espresso dettato legislativo - può infatti giustificarsi non solo per finalità le più diverse (da quelle programmatiche e compilative a quelle destinative ed attributive), ma anche con colorazioni causali assolutamente differenziate a seconda dei soggetti protagonisti della ‘convivenza’ e delle situazioni concrete che i medesimi, proprio mercé la stipula del regolamento pattizio, intendono talora ‘normalizzare’ o altre volte ‘definire’, magari con riferimento a tempi trascorsi o, al contrario, futuri. Per ipotesi, è lecito chiedersi: la costituzione di un diritto di abitazione da parte di un convivente a favore dell’altro su di un immobile di proprietà del primo, magari a titolo di riconoscimento o di rimunerazione degli apporti arrecati da quest’ultimo al ménage familiare (e al di fuori pertanto delle ipotesi ‘legali’ di diritto alla ‘continuazione’ dell’abitazione ai sensi del comma 42 dell’unico articolo della legge Cirinnà) è atto sicuramente ‘gratuito’ (soggetto al regime impositivo del T.U. n. 346/90 in materia di imposta di successione e donazione) o è atto (in qualche modo) oneroso, in quanto indirettamente compensativo delle prestazioni (di ampio respiro) rese dal convivente beneficiario in quello stesso ambito familiare? E, soprattutto, ponendosi nell’ottica dell’Erario, potrà essere apertamente propugnata in contratto dai conviventi/contribuenti una colorazione della causa ‘concreta’ dell’atto così stipulato (magari
invocando il trattamento fiscale previsto per gli atti a titolo oneroso, talora più docile rispetto a 97
quello previsto per gli atti ‘gratuiti’, data l’assenza di una qualche franchigia), pur in assenza di un
corrispettivo pecuniario o di una controprestazione ‘immediata’ posta su di un piano di percepibile ed incontestabile sinallagmaticità rispetto a quella resa dal convivente ‘costituente’ o ‘destinante’? e allargando la prospettiva, la ‘giuridicizzazione’ di eventuali obbligazioni ‘naturali’ a carico dell’uno o dell’altro convivente, attraverso il rimedio contrattuale, può avere una rilevanza anche sul piano fiscale o deve solo arretrare, relegata nella sfera dei motivi e della intenzionalità soggettiva, senza alcun ‘riverbero’ su quel piano medesimo?
Si tratta di interrogativi doverosi per chi vuole, senza pretesa di formulare inscalfibili verità giuridiche, tentare un approccio, sia pure esplorativo, della materia al vaglio, sotto la lente d’ingrandimento del relativo regime fiscale applicabile.
Limiti applicativi della legge n. 74/87
Il primo banco di prova, quello, per così dire, ‘naturalmente’ più immediato, in cui l’interprete è chiamato a verificare l’applicazione, anche se solo in via analogica o estensiva, di un regime di esenzione da ogni imposta e/o tassa, è quello offerto dalla legge n. 74/87 (recante norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimoni), il cui art. 19 - come noto - recita: «Tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione
p. 601; X. XXXXXXXX, «I contratti di convivenza», in Fam., pers. e succ., 2006, p. 43 e ss.; X. XXXXXXXX - X. XXXXXXXXXX, op. cit.; X. XXXXXXXX, «Contratto di
convivenza, contribuzione e mantenimento», in Contratti, 2015, p. 722 e ss.; X. XXXXXXXXXX, «Convivenza more uxorio e contratto», Nuova giur. civ., 2015, 11, p. 20671.
X. Xxxxxxxxxx
Contratti di convivenza e contratti di affidamento fiduciario quali espressioni
di un diritto civile postmoderno
degli effetti civili del matrimonio nonché ai procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti ad ottenere la corresponsione o la revisione degli assegni di cui agli articoli 5 e 6 della legge 1° dicembre 1970, n. 898 , sono esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa».
La norma, oggetto di applicazione estensiva agli atti afferenti al procedimento di separazione tra coniugi in forza di una ‘storica’ sentenza della Corte Costituzionale, nasce ed opera però con riguardo ad una ‘ratio’ semplificativa dei percorsi giurisdizionali che soggetti astretti dal vincolo coniugale abbiano intrapreso per definire materie e questioni attinenti al loro rapporto nell’ambito di un procedimento, appunto, di separazione o divorzile e per consentire - come la medesima Corte ebbe a precisare nella sentenza 11 giugno 2003, n. 202 - di soddisfare «l’esigenza di agevolare, e promuovere, nel più breve tempo, una soluzione idonea a garantire l’adempimento delle obbligazioni che gravano, ad esempio, sul coniuge non affidatario della prole».
È xxxxxx chiedersi: questa medesima ‘ratio’ attiene anche alle dichiarazioni di volontà negoziali poste a fondamento delle vicende contrattuali perfezionate dai ‘conviventi’ per regolare i loro rapporti patrimoniali? E, peraltro, quale sarebbe il ‘procedimento’ nell’ambito del quale queste vicende contrattuali, per ipotesi, vanno a collocarsi, per fruire del regime di esenzione ai sensi dell’art. 19 citato?
Risulta evidente che lo scenario di patologia procedimentale presupposto per il trattamento fiscale di favore dall’art. 19 qui difetta, perché non esiste alcuna procedura della quale si debba semplificare l’articolazione o lo svolgimento.
Da un’altra prospettiva, peraltro, è pur vero che, soprattutto in riferimento a materie che abbiamo formato oggetto di espressa disciplina nel contratto di ‘convivenza’, si potrebbe porre la necessità di una tutela giurisdizionale più agile e snella, soprattutto se si ha riguardo al rapporto di ‘convivenza’ come costitutivo di una “formazione sociale” ove si svolge la personalità dei conviventi, ai sensi dell’art. 2 Cost.
98 Potrebbe ad esempio verificarsi l’esigenza di ricorrere alla tutela giurisdizionale per l’adempimento di obblighi cui siano tenuti entrambi i conviventi, con riferimento alla prole, di cui, secondo il nuovo
dettato dell’art. 316 c.c., essi abbiano la ‘responsabilità genitoriale’. All’uopo, proprio nella citata sentenza della Corte Cost. n. 202/2003 si è dichiarata legittima l’applicazione del regime tributario di favore anche in ‘mancanza del rapporto di coniugio fra le parti’ per un provvedimento di condanna al contributo di mantenimento a favore della prole. Secondo la Corte infatti «ciò che rileva è che si è in presenza di ... provvedimento di quantificazione del contributo di mantenimento a favore della prole, in relazione al quale ricorrono le stesse considerazioni che militano a favore dell’esenzione tributaria qualora lo stesso sia assunto in tema di separazione e di divorzio».
Ma siffatta è fattispecie diversa da quella che forma oggetto di un contratto di convivenza, le cui pattuizioni di contenuto patrimoniale hanno generalmente un contenuto programmatico od organizzativo, e attengono ad un rapporto che non nasce di regola già patologico, o a situazioni che potrebbero innescare un procedimento contenzioso semmai solo in una fase successiva, ma non in quella genetica. Ragione per la quale, al momento in cui quelle pattuizioni vengono convenute, non ricorre la eventuale esigenza - collegata alla relativa tutela giurisdizionale - di un alleggerimento dell’onere fiscale indotto dalla loro stipula.
Pertanto l’applicazione in via estensiva o analogica del regime tributario di favore al vaglio ai contratti di convivenza non pare operazione, allo stato attuale, concettualmente possibile, in assenza di un espresso intervento legislativo in tal senso, e soprattutto a fronte della formulazione letterale del regime di esenzione di cui all’art. 19 più volte citato.
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La imposizione indiretta dei contratti di convivenza
Una prima constatazione appare propedeutica a quanto si andrà esponendo nel prosieguo.
Il legislatore della novella non ha indicato i contenuti ‘obbligatori’ degli stipulandi contratti di convivenza, ma quelli ‘possibili’. Il comma 53 dell’unico articolo della legge usa la locuzione “il contratto può contenere”, ed indica solo tre dei molteplici ambiti in cui si può articolare la fitta rete di rapporti patrimoniali intercorrenti tra i conviventi, ambiti riferiti solo:
a) alla indicazione della residenza
b) alle modalità di contribuzione
c) al regime patrimoniale della comunione.
È giocoforza pensare allora che i soggetti dell’ordinamento, interessati a consacrare in un contratto, gli accordi, le intese e gli impegni che attengano ai loro rapporti patrimoniali quali conviventi, addivengano alla disciplina anche di molti altri profili che non sono stati menzionati tra quelli ritenuti solo ‘possibili’ dal legislatore della novella e diano vita a regolamenti dei reciproci interessi ben più incisivi e dettagliati rispetto a quelli che il legislatore stesso non abbia potuto pensare; il che ancora una volta evidenza l’importanza dell’inquadramento fiscale di questi contratti.
Xxxxxx, dinanzi alla situazione di anomia fiscale dell’istituto in parola (contratto di convivenza) e a fronte della implausibile applicazione del regime di esenzione di cui si è ampiamente detto nel paragrafo che precede, è giocoforza procedere all’analisi della ‘intrinseca natura e degli effetti giuridici’ del singolo contratto e delle clausole di cui esso consta, per argomentare in ordine al suo trattamento fiscale.
E all’uopo una prima fondamentale distinzione va operata tra fattispecie contrattuali che non espongano alcun riferimento e non deducano a proprio oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, e quelle che al contrario facciano emergere un profilo di patrimonialità di siffatte prestazioni (o se si
vuole di effettiva ‘capacità contributiva’ dei contraenti), dovendo poi operare un ulteriore distinguo 99 nell’ambito delle seconde tra quelle che costituiscono o meno oggetto (mediato o immediato) di un regolamento contrattuale con o senza efficacia traslativa.
Convenzioni (e clausole) non aventi ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale
Orbene, per le dette convenzioni e clausole non aventi ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, risulterà applicabile (ed una sola volta, qualunque sia il numero delle convenzioni e clausole riportate nell’unico documento sottoposto alla registrazione8) l’imposta di registro in misura fissa. Così pertanto dicasi - e a solo scopo esemplificativo - per quelle convenzioni con cui i contraenti/conviventi facciano riferimento ad un inventario dei beni e stabiliscano una presunzione di titolarità, precisino il significato da attribuire alle attribuzioni patrimoniali, concordino l’instaurazione di un regime di comunione o esplicitino che resta in vigore il regime di separazione per tuti gli acquisti che ciascuno di essi andrà a perfezionare in costanza di convivenza; o ancora siglino un accordo preventivo sulla cessazione della convivenza o si accordino per la regolamentazione dei rapporti parentali di un figlio minorenne di un ex-convivente more uxorio riconosciuto o infine dettino norme ‘programmatiche’ circa le modalità di assistenza in caso di malattia o circa la durata del contratto di convivenza. Segnatamente potrebbero rientrare tra tali fattispecie contrattuali tutte quelle convenzioni che (se, fossimo nell’ambito delle categorie concettuali della famiglia originata da una unione coniugale, potremmo dire) attengano al regime primario (e quindi al profilo ‘contributivo’ piuttosto che a quello ‘distributivo) della unione fra conviventi.
8 Circ. n. 44/E del 7 ottobre 2011.
X. Xxxxxxxxxx