CAPITOLO VI
CAPITOLO VI
Abuso di dipendenza economica e tutela dell’imprenditore debole1
SommArio: 1. Genesi della disposizione – 2. Ambito soggettivo di applicazione – 3. Ambito og- gettivo – 4. Eccessivo squilibrio di diritti e obblighi e assenza di reali alternative soddisfacenti sul mercato – 5. L’abuso dell’altrui stato di dipendenza economica – 6. La nullità del patto – 7. Abuso di dipendenza economica e «terzo contratto»
1. Genesi della disposizione
L’art. 9 della legge 18 giugno 1998, n. 192, introduce nel nostro ordinamento l’istituto dell’abuso di dipendenza economica, già noto ad altre esperienze stra- niere, e in particolare a quella francese e tedesca.
È vietato a una o più imprese di abusare dello stato di dipendenza economica in cui si trova, nei suoi o nei loro riguardi, un’impresa cliente o fornitrice.
Com’è ormai noto, l’iter legislativo che ha condotto all’introduzione di que- sto espresso divieto è stato segnato da un acceso dibattito sull’opportunità di inserire la disposizione nell’ambito della legge antitrust o, piuttosto, nell’alveo della disciplina sulla subfornitura nelle attività produttive di cui alla legge 18 giugno 1998, n. 1922.
Il legislatore del 1998 ha seguito quest’ultima opzione accogliendo i sug- gerimenti dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato che evidenziò
L’iter legislativo
1 Già in questi termini M. P. PignAloSA, Abuso di dipendenza economica e tutela dell’imprenditore debole, Commento all’art. 9, l. 18.6.1998, n. 192, in Codice commentato della concorrenza e del mercato, a cura di A. Catricalà e X. Xxxxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 2173 e ss.
2 Originariamente, sull’esempio degli ordinamenti d’oltralpe, l’istituto de quo era stato collo- cato in seno alla legge antitrust, attraverso l’estensione dell’ambito di applicazione della figura dell’abuso di posizione dominante. Segnatamente, un disegno della XII legislatura, nel dettare la disciplina della subfornitura, qualificava come abuso di posizione dominante, e non già dell’altrui dipendenza economica, ai sensi dell’art. 3, legge 10 ottobre 1990, n. 287 (c.d. legge antitrust), alcuni comportamenti posti in essere dai committenti dotati di una posizione di maggiore forza contrattuale rispetto ai subfornitori e pregiudizievoli per questi ultimi. Con la segnalazione dell’11 febbraio 1998 (AS121, in Bollettino n. 5/1998) l’Autorità reputò impropria la collocazione della norma relativa all’abuso di dipendenza economica all’interno della legge sulla concorrenza, stante la diversità ontologica tra questo divieto e l’abuso di posizione dominante.
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Natura ibrida dell’istituto
come la figura in esame afferirebbe «alla disciplina dei rapporti contrattuali tra le parti, con finalità che possono prescindere dall’impatto di questi rappor- ti sull’operare dei meccanismi concorrenziali (…….) e affonda le sue radici nella tematica dell’equilibrio contrattuale e più precisamente nella valutazio- ne del rapporto negoziale tra le parti». Viceversa, «le norme antitrust sono disposizioni generali dirette a tutelare il processo concorrenziale in relazione all’assetto di mercato»3.
A poco più di un anno dall’emanazione della legge n. 192/1998 emersero i problemi interpretativi e applicativi concernenti l’art. 9 della stessa.
In particolare, la Commissione Industria, Commercio e Turismo del Senato rilevò che la configurazione dell’istituto nell’ambito del diritto civile – anziché in quello della concorrenza – ne comportava l’azionabilità esclusivamente a ini- ziativa di parte, limitandone di fatto la praticabilità per le imprese interessate, le quali, trovandosi in uno stato di dipendenza economica, difficilmente avrebbero portato allo scoperto gli eventuali abusi delle controparti.
Quanto segnalato dalla relazione della Commissione indusse il legislatore a intervenire sul testo della disposizione in commento, nell’intento di favorirne l’attuazione e l’efficacia.
In particolare, con l’art. 11, legge 5 marzo 2001, n. 57, recante «disposi- zioni a tutela dell’apertura dei mercati», è stato modificato il 3° comma della disposizione in commento ed è stato, inoltre, aggiunto il comma 3 bis; di modo che, attualmente, oltre alla previsione di nullità del patto con il quale si realizza l’abuso, si è attribuita al giudice ordinario la competenza a conoscere delle azio- ni in materia di abuso di dipendenza economica, comprese quelle inibitorie e per il risarcimento dei danni; inoltre, è stato riconosciuto all’Autorità garante della concorrenza e del mercato – ferma restando l’eventuale applicazione dell’art. 3, legge 10 ottobre 1990, n. 287 –, qualora ravvisi che un abuso di dipendenza economica abbia rilevanza per la tutela della concorrenza, il potere di «proce- dere alle diffide e sanzioni previste dall’art. 15, l. 10 ottobre 1990, n. 287, nei confronti dell’impresa o delle imprese che abbiano commesso tale abuso» e ciò anche su segnalazione di terzi e in seguito all’attivazione dei propri poteri d’in- dagine.
Il continuo oscillare dell’istituto dalla legge antitrust alla legge sulla sub- fornitura testimonierebbe la sua natura ibrida quale norma sospesa tra il diritto dei contratti e il diritto della concorrenza4. Il legislatore era ben con- sapevole che la scelta sistematica avrebbe inciso sulla ricostruzione della
3 Segnalazione AGCM 11 febbraio 1998, AS121, cit.
4 X. Xxxxxxx, La dipendenza economica nei rapporti tra imprese, in Squilibrio ed usura nei con- tratti, a cura di Xxxxxxx, Padova, 2002, p. 215; X. XxxXxxxxx, L’abuso di dipendenza economica tra disciplina della concorrenza e diritto dei contratti, Torino, 2004, p. 63; X. Xxxxx, L’abuso di dipendenza economica «fuori dal contratto» tra diritto civile e diritto antitrust, in Riv. dir. civ., 2000, 3, p. 390.
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natura e delle finalità dell’istituto. Invero, la collocazione nel corpo della legge sulla subfornitura, e quindi nel sistema privatistico, non può dirsi neu- tra sotto il profilo ermeneutico. Al contempo, però, l’attuale formulazione della disposizione in commento risente ancora dell’originaria intenzione di farne un’ipotesi di illecito concorrenziale, risultando, pertanto, di non facile lettura.
La contaminazione tra la natura contrattuale e quella concorrenziale, già pre- sente nell’originaria formulazione dell’art. 9, l. 18 giugno1998, n. 192, sembre- rebbe essere divenuta diritto positivo per opera dell’intervento legislativo del 2001, con il quale si è riconosciuto che l’abuso di dipendenza economica può avere rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato. Per questa ipotesi si è attribuito all’Antitrust una specifica competenza in materia di abuso di di- pendenza economica, senza eliminare le prerogative del giudice ordinario. In questo modo il legislatore del 2001 ha tracciato le linee di una doppia tutela: di diritto civile e di diritto antitrust, completando e integrando le due nature che compongono l’abuso di dipendenza economica5.
2. Ambito soggettivo di applicazione
Nel sancire il divieto di abusare dell’altrui stato di dipendenza economica, il legislatore ne individua i destinatari attivi e passivi utilizzando il termine «im- presa».
Il riferimento all’impresa, anziché all’imprenditore (art. 2082 cod. civ.), è una precisa scelta normativa, volta a recepirne il concetto economico adot- tato dalla legislazione antitrust italiana e comunitaria, ai sensi della quale è possibile attribuire questa qualifica a «qualsiasi entità che eserciti un’attivi- tà economica, a prescindere dal suo stato giuridico e dalle sue modalità di finanziamento»6.
A favore di una nozione economica e funzionale d’impresa, rilevante agli effetti dell’art. 9 in commento, deporrebbero la genesi e la lettera della dispo- sizione. Invero, l’uso del termine impresa si giustificherebbe avendo riguardo all’originaria intenzione del legislatore di inserire la disposizione sull’abuso di dipendenza economica nella legge antitrust; è infatti alle imprese, e non agli im- prenditori, che si rivolgono i precetti sostanziali della legge nazionale antitrust7. In questo senso si tende a negare ogni rilievo alle tradizionali classificazioni del genus imprenditore: il divieto di abusare dell’altrui dipendenza economica opererebbe, «sotto il profilo qualitativo», sia per l’imprenditore commerciale,
L’impresa
5 X. Xxxxxxx, Autonomia privata e contratto giusto, in Riv. dir. priv., 2000, p. 7.
6 Ph. fAbbio, L’abuso di dipendenza economica, Milano, 2006, p. 100; x. Xxxxx, op. cit., p. 402.
7 Ph. XXxxxx, op. cit., p. 101.
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L’imprenditore
debole
Irrilevanza della natura soggettiva della parte: struttura organizzativa
sia per quello agricolo, e «sotto il profilo quantitativo», sia per il piccolo, sia per quello medio-grande8.
In una diversa prospettiva si è invece individuata nella disposizione in esa- me una disciplina volta a tutelare l’imprenditore debole, sì ché il rimedio costi- tuito dalle azioni per abuso di dipendenza economica debba essere rivolto agli imprenditori persone fisiche, rispetto ai quali il riequilibrio contrattuale risul- ta fondato sulle esigenze esistenziali dei medesimi e delle loro famiglie. Ciò comporterebbe la necessità di «invertire la nozione di consumatore» e ritenere l’art. 9 riferito alle persone fisiche che stipulano con imprese contratti com- presi nell’attività imprenditoriale o professionale da loro svolta. La nozione di imprenditore debole che si vuole così costruire si porrebbe in connessione con quella di imprenditore – persona, beneficiando della tutela della dignità della persona umana9.
Secondo altra impostazione, le norme imperative che regolano i contratti tra imprenditori e legittimano il giudice a intervenire sul contenuto dei medesimi, non sarebbero legate alla natura soggettiva della parte, in quanto rilevante non sarebbe l’attività economica in sé considerata, ovvero l’assumere la qualità di imprenditore e poi d’imprenditore commerciale, ma l’effettiva struttura organiz- zativa dell’impresa, indipendentemente dalla forma d’imputazione soggettiva e dalla sua concreta collocazione sul mercato10. Dal che conseguirebbe, in partico- lare, che la disciplina sull’abuso di dipendenza economica non si applichi quan- do l’impresa manchi di autonomia decisionale e organizzativa, come accade nei gruppi di società – vuoi fondati su partecipazioni azionarie, vuoi su particolari vincoli contrattuali –, ancorché il contratto infragruppo coinvolga due imprendi- tori in condizione di squilibrio economico e di diseguale forza contrattuale11. Ad ogni modo, l’esclusione dei gruppi di società dall’ambito di applicazione della disposizione in commento trova ragione nell’osservazione secondo la quale il fenomeno dei contratti tra imprese presuppone logicamente e normativamente l’impresa concorrente. Quando manchi un’autonomia decisionale e organizza- tiva, la tutela non è garantita dalle norme che postulano l’invalidità e il potere correttivo del giudice, ma dalla disciplina del gruppo d’imprese che «assurge a stregua del pregiudizio derivante dalla violazione dei principi di corretta gestio- ne societaria e imprenditoriale»12. In quest’ottica, l’impresa cliente o fornitrice economicamente dipendente non sarebbe legittimata ad agire ex art. 9 per otte-
8 X. Xxxxx, op. cit., p. 403.
9 X. xxXXx, Imprenditore debole, imprenditore-persona, abuso di dipendenza economica,«terzo contratto», in Contr. e impr., 2009, n. 1, p. 142.
10 X. Xxxxxxx, Il contratto asimmetrico tra parte generale, contratto di impresa e disciplina della concorrenza, in Riv. dir. civ., 2008, 1, p. 530.
11 D’altronde, la società capogruppo può legittimamente dirigere e coordinare la società control- lata, con la possibilità anche di determinare uno squilibrio nei diritti e negli obblighi derivanti dai contratti conclusi tra le parti.
12 X. Xxxxxxx, op. cit., p. 531; contra: X. X. xxxxxxx, L’impresa dipendente, Napoli, 2004, p. 275.
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nere la nullità di un’intesa infragruppo consistente nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, ovvero nell’imposizione di condizioni contrattuali ingiusti- ficatamente gravose o discriminatorie. In altri termini, l’art. 9 contemplerebbe soltanto le condotte che danneggiano direttamente l’impresa dipendente: e non sarebbe tale l’intesa intervenuta a monte tra i partecipanti del gruppo e, in attua- zione della quale, una o più imprese dello stesso abbiano opposto un rifiuto di contrarre illegittimo, oppure applicato condizioni inique13.
Dalla lettura della disposizione in commento si evince che lo stato di di- pendenza può sussistere, tanto nei confronti di una sola impresa, quanto nei confronti di «più imprese». Il legislatore sembrerebbe riferirsi a una situazio- ne che si potrebbe qualificare di «dipendenza collettiva», o di «dominanza plurima», ove il potere di dominio è esercitato da più imprese indipendenti, ciascuna delle quali non detiene singolarmente una posizione di forza rile- vante ai sensi dell’art. 914. E questa situazione di potere collettivo rappre- senterebbe, pur sempre, una situazione di dominio relativo e non assoluto, in quanto l’accertamento della stessa prescinderebbe dalla rilevanza della quota di mercato complessivamente detenuta dalle imprese interessate. In partico- lare, si tratterebbe dell’ipotesi in cui una pluralità di imprese operanti allo stesso livello del processo produttivo, pur non detenendo complessivamente un’elevata quota di mercato, siano comunque in grado di determinare, non individualmente, ma solo qualora agiscano di concerto, un eccessivo squili- brio di diritti e obblighi nei rapporti verticali con un’altra impresa. In questa ipotesi, pertanto, il criterio legale di accertamento della dipendenza econo- mica dovrebbe avere a oggetto, non la singola impresa, bensì il complesso di soggetti che si suppone detengano la posizione di dominio relativo. Si avrà allora dipendenza economica collettiva «qualora più imprese rappresentino, non singolarmente, ma nel loro complesso, le uniche alternative reali e soddi- sfacenti per l’impresa dipendente»15.
Una diversa impostazione vorrebbe, invece, far coincidere la dominanza plu- rima, testè richiamata, con la nozione di posizione dominante collettiva di cui all’art. 3 l. antitrust, in forza della parziale sovrapposizione delle fattispecie, nonché dell’identità delle formule, e al contempo comprendere anche ipotesi ulteriori, sul presupposto che la dipendenza economica possa derivare, non solo da situazioni di potere di mercato, aventi carattere obiettivo e generale, ma an- che da circostanze soggettive attinenti alla condizione individuale dell’impresa dipendente e ai rapporti che questa intrattiene con la controparte16.
Dipendenza collettiva
e dominanza plurima
Dominanza plurima – dominanza collettiva
13 Ph. XXxxxx, op. cit., p. 169; contra: X. XXxxXxXxX, I «gruppi paritetici» nella disciplina antimo- nopolistica, in Riv. soc., 2003, p. 289.
14 Ph. fAbbio, op. cit., p. 152; x. Xxxxx, op. cit., p. 410.
00 X. Xxxxx, op. cit., p. 410.
16 Ph. XXxxxx, op. cit., p. 152 e ss., il quale, attento all’esperienza tedesca, ha evidenziato che mentre l’art. 9 utilizza l’espressione generica «una o più imprese», il § 20, Abs., GWB stabilisce,
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La giurisprudenza afferma che, per quanto concerne i soggetti destinatari del divieto di abuso di dipendenza economica, la norma ha un ambito di applicazio- ne notevolmente più ampio rispetto a quello delimitato dall’art. 1, l. 18 giugno 1998, n. 192, comprendendo ogni realtà imprenditoriale in grado di condizionare in maniera incisiva il rapporto con altra impresa17.
3. Ambito oggettivo
Interpretazione
estensiva
Circa l’ambito di applicazione oggettivo, si pone la questione se il divieto di abusare dell’altrui dipendenza economica riguardi i soli rapporti di subfornitura, come definiti dall’art. 1, legge 18 giugno 1998, n. 192 o, diversamente, abbia una portata generale.
È opinione prevalente che il divieto operi per qualsiasi relazione commer- ciale che realizzi la c.d. integrazione di filiera, e non già per il solo contratto di subfornitura18. I precedenti stranieri – richiamati espressamente dal legislatore, e aventi portata generale – l’iter legislativo, ma soprattutto la lettera della legge, costituiscono argomenti a sostegno dell’interpretazione estensiva dell’art. 9 in commento. Del resto, nonostante il divieto sia collocato in una legge di setto- re, il tenore letterale della disposizione è tale da renderla operativa per qual- siasi relazione commerciale, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di subfornitura. Decisiva, al riguardo, appare l’osservazione secondo la quale, diversamente dagli altri disposti della legge 18 giugno 1998, n. 192, l’art. 9 non contempla le figure dei «subfornitori» e dei «committenti», ma più in generale quelle di imprese «clienti» e «fornitrici».
Quanto alla genesi, deve rammentarsi che l’intenzione del legislatore non era quella di inserire l’abuso di dipendenza economica in una legge di settore, ma nella più generale legge antitrust, e solo la segnalazione al governo operata
invece, che la dipendenza può sussistere anche nei confronti di un’«associazione di imprese». Quanto alla normativa da applicare all’associazione d’imprese dominante nel contesto dell’art. 9, si prospetta l’alternativa di ricondurre questa ipotesi nella disciplina del «cartello dominante», oppure, qualora l’associazione svolga direttamente un’attività di impresa, distinta da quella degli associati, all’interno della «dominanza individuale».
17 Trib. Bari, 6 maggio 2002.
18 Ex multis: X. xXXx, X. xXxxxxxXx, La nuova disciplina del contratto di subfornitura (industriale): scampolo di fine millennio o prodromo di tempi migliori? in Riv. dir. priv., 1998, 4, p. 725; X. xx xxxxxXx, Abuso di dipendenza economica e contratto xxxxx, Xxxxxx, 0000, p. 30; Ph. fAbbio, op. cit. p. 102; X. XXxxxxX, Abuso di dipendenza economica, in La subfornitura, a cura di De Nova, Milano, 1998, p. 78; X. XXxxxxx, Abuso di dipendenza economica ed autonomia privata, Milano, 2003, p. 132; X. xXxXxxxxxX, Buona fede oggettiva, contratti di impresa e diritto europeo, in Xxx. xxx. xxx., 0000, 0, x. 000; c. oSti, L’abuso di dipendenza economica, in Xxxxxxx xxxxxxxxxxx xxxxxx, 0000, 0, x. 00; x. xxxXxxxx, Subfornitura industriale, abuso di dipendenza economica e tutela del contraente debole: i nuovi orizzonti della buona fede contrattuale, in Rass. dir. civ., 1999, 3, p. 643; X. Xxxxx, Il contratto del duemila, cit. passim; G. villA, Invalidità e contratto tra imprenditori, in Il terzo contratto, a cura di X. Xxxxx, X. Xxxxx, Xxxxxxx, 2008, p. 119.
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dall’Antitrust, ha indotto lo stesso a compiere una scelta diversa. Ciò è in linea con le principali esperienze europee: sia il § 20, 2° Abs, GWB, sia il Code de Commerce, quali precedenti espressamente richiamati dal legislatore, hanno un ambito di applicazione non settoriale, ma generale, comprendendo tutti i rapporti tra imprese19.
Va anche rilevato il tentativo di distinguere, in tale prospettiva, i negozi di scambio dai negozi di gestione: i primi implicano una valutazione di conve- nienza e lo svolgimento di calcoli economici dei soggetti, da cui potranno deri- vare guadagni o perdite, «propri di ogni esercizio di libertà ed esposti al rischio dell’errore o della congiuntura»; i secondi intercorrono tra professionisti e sono caratterizzati dall’attività professionale, da entrambi organizzata per finalità in- dividuali, e realizzano «una integrazione di processo, ossia la conformazione di modalità organizzative funzionali al rapporto». In questi ultimi negozi «il gioco può toccare la struttura organizzativa del dominato» esponendolo a un rischio ulteriore rispetto al semplice svantaggio: «il rischio relativo alla propria integrità economica, ossia al proprio modo di essere imprenditore». Il proprium della do- minanza relativa troverebbe così il proprio ambito, non già in qualsiasi tipologia contrattuale, ma soltanto nella classe di contratti bilateralmente commerciali, i quali hanno per oggetto modalità organizzative dell’impresa e non semplici scambi di beni o di xxxxxxx00.
Degna di considerazione è poi la proposta di circoscrivere la protezione of- ferta dal divieto di abuso di dipendenza economica solo ai quei contratti che,
«dando forma giuridica ad operazioni economiche caratterizzate da investimenti specifici e difficilmente riconvertibili, indeboliscono una parte» in quanto la pri- vano di alternative soddisfacenti sul mercato.21
Infine, deve registrarsi la tendenza a estendere l’applicazione del divieto anche al di fuori dell’ambito contrattuale e, cioè, in un contesto caratterizzato dall’assenza di un accordo tra le parti: tendenza confortata sul piano testuale dal riferimento al rifiuto di vendere o di comprare e alla interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto, quali fattispecie di abuso; ciò che, di regola, sem- brerebbe escludere un rapporto preesistente, se non altro contrattuale e ancora in corso22.
Nello stesso senso si sono espressi anche alcuni giudici di merito, i quali, richiamando le condotte di cui al 2° comma dell’art. 9, hanno evidenziato come
Negozi
di scambio – negozi
di gestione
Applicazione al di fuori dell’ambito contrattuale
19 Ph. XXxxxx, op. cit., p. 105; l. c. nAtAli, L’abuso di dipendenza economica nel sistema italiano e francese, in Contr, 2006, 10, p. 934.
20 X. XxxXxxx, Dominanza relativa e illecito commerciale, in Il terzo contratto, a cura di X. Xxxxx,
X. Xxxxx, Xxxxxxx, 2008, p. 160.
21 X. XXxxxx, L’abuso di dipendenza economica: il contratto e il mercato, Napoli, 2004, p. 112.
22 X. XxxXxxxxx, op. cit., p. 76; l. Delli priScoli, L’abuso di dipendenza economica nella nuova legge sulla subfornitura: rapporti con la disciplina delle clausole abusive e con la legge antitrust, in Gco, 1998, I, 833; G. gitti, La determinazione del contenuto, in Il terzo contratto, a cura di Xxxxx, Villa, Bologna, 2008, p. 93; oSti, op. cit., p. 20; x. xxxxx, op. cit., p. 393.
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Interpretazione
restrittiva
Nozione
l’abuso possa manifestarsi anche in un contesto «extra-contrattuale» e in assenza di relazioni pregresse23.
Isolata è insomma rimasta l’interpretazione restrittiva del divieto in commen- to che ne vorrebbe circoscritto l’ambito di applicazione ai soli contratti di sub- fornitura industriale definiti dall’art. 1, legge n. 192 del 1998, corroborata dal solo fragile appiglio della sua collocazione sistematica24.
Divisa è invece la giurisprudenza. Le pronunce, relativamente più risalenti, circoscrivono l’ambito di applicazione del divieto di abuso dell’altrui dipenden- za economica ai soli rapporti di subfornitura25; altre, al contrario, lo estendono a
«tutti i rapporti contrattuali tra imprese in cui si rinviene un potenziale squilibrio di potere contrattuale, e non solo ai rapporti di subfornitura»26.
4. Eccessivo squilibrio di diritti e obblighi e assenza di reali alternative sod- disfacenti sul mercato
Il legislatore non detta una definizione di dipendenza economica, ma la identi- fica indirettamente attraverso l’individuazione del potere che a essa si contrap- pone27.
La dipendenza economica è infatti descritta come la «situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra im- presa, un eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi».
23 Trib. Bari, 6 maggio 2002; Trib. Catania, 5 gennaio 2004.
24 A. muSSo, La subfornitura, in Comm. Xxxxxxxx, Branca, Bologna-Roma, 2003, p. 843; X. xxxXxxx, x. xxxxxxx, L’abuso di dipendenza economica, in La disciplina del contratto di subfor- nitura nella legge n. 192 del 1998, a cura di Sposato, Xxxxxx, Torino, 1999, p. 124, osserva che l’estensione dell’ambito di applicazione della disposizione, oltre il contratto di subfornitura, of- frirebbe agli operatori professionali una tutela «irragionevolmente più favorevole rispetto a quella prevista a tutela dei consumatori».
25 Trib. Roma, 29 luglio 2004; Trib. Taranto, 22 dicembre 2003; Trib. Bari, 2 luglio 2002.
26 Trib. Parma, 15 ottobre 2008; Trib. Isernia, 12 aprile 2006; Trib. Trieste, 21 settembre 2006; Trib. Catania, 5 gennaio 2004; Trib. Bari, 22 ottobre 2004; Trib. Taranto, 17 settembre 2003; Trib. Roma, 5 novembre 2003; Trib. Bari, 6 maggio 2002. Si veda in particolare, Trib. Roma, 5 febbraio 2008, n. 2688, che, pur condividendo l’opinione interpretativa che applica il divieto di abusare dell’altrui dipendenza economica oltre il contratto di subfornitura, si sofferma diffusamente sulla sua portata, precisando che lo stesso «non possa essere esteso ad ogni ipotesi di dipendenza eco- nomica tra imprese, quale che sia il rapporto che la determina», sulla premessa che il legislatore non ha inteso considerare tutte le situazioni di dipendenza economica tra imprese, «ma solo quelle che, come la subfornitura, si collocano in un contesto nel quale diverse imprese si coordinano per la realizzazione di un unico processo economico, dando luogo ad una integrazione “verticale” delle rispettive attività». Corollario di questa impostazione è che i contratti, come quelli bancari, non riconducibili alla dinamica rappresentata, rimarrebbero estranei all’ambito di applicazione della disposizione in commento e non potrebbero dar luogo alla sanzione di nullità comminata dalla disposizione in esame.
27 X. xxxXxxxxx, op. cit., p. 77; x. Xxxxx, op. cit., p. 399. Contra: X. XXxxX, L’abuso di dipendenza economica: profili generali, in La subfornitura nelle attività produttive, a cura di Xxxxxxx, Napoli, 1998, p. 327.
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Il legislatore precisa, inoltre, che la stessa «è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mer- cato alternative soddisfacenti». Dunque, il potere di determinare un eccessivo squilibrio di diritti e obblighi, e la reale assenza di alternative soddisfacenti, sono i criteri che la legge assegna all’interprete per verificare l’esistenza di una dipendenza economica.
Sul rapporto che lega questi criteri non è dato registrare in dottrina una con- vergenza di opinioni.
Diffusa è la tesi che individua nella mancanza di alternative soddisfacenti sul mercato il solo criterio legale di accertamento della dipendenza economica, reputando sostanzialmente trascurabile la valutazione dell’eccessivo squilibrio di diritti e obblighi. Non sarebbe la sproporzione tra le prestazioni in sé e per sé a giustificare la tutela offerta dalla disposizione in commento, ma la circostanza che la stessa non sia il frutto di una libera scelta28.
Meno netta è, per un verso, la posizione che assegna al criterio dell’eccessivo squilibrio una funzione residuale, «prestandosi a catturare quelle situazioni di dipendenza economica che non siano immediatamente riconducibili al parame- tro della mancanza di alternative»29; per altro versante, il tentativo di attribuire all’eccessivo squilibrio di diritti e obblighi un «valore soltanto indiziario del- la dipendenza economica», prospettando la necessità di verificare se l’iniqui- tà dell’assetto privato di interessi derivi da un’errata valutazione in ordine alla convenienza dell’affare, ovvero dalla assenza di reali alternative soddisfacenti; soltanto nell’ipotesi in cui questo giudizio dia esito negativo, vi sarebbero i pre- supposti di applicazione del divieto30.
Deve infine segnalarsi la tendenza ad ancorare l’accertamento della dipen- denza economica a entrambi i criteri: l’eccessivo squilibrio tra diritti e obblighi e l’assenza di reali alternative soddisfacenti. Questa soluzione troverebbe con- ferma, sul piano letterale, nella congiunzione «anche» utilizzata dal legislatore nel secondo capoverso dell’art. 9, 1° comma, volto a collegare l’ultima parte del primo comma con quella immediatamente precedente31.
La giurisprudenza, pur riconoscendo alla mancanza di reali alternative soddi- sfacenti un rilievo centrale ai fini della valutazione della sussistenza della dipen- denza economica, non affida a siffatto criterio un ruolo esclusivo32.
Criteri per verificare l’esistenza dell’abuso
Rapporto tra i criteri: le soluzioni
degli interpreti
28 X. xXXx, x. xXxxxxxXx, xx. xxx., x. 000; l. delli priScoli, op. cit., p. 839; x. xxxxx, xx. xxx., x. 000; diversamente orientato, però, X. XXxxxxX, op. cit., p. 79.
29 Ph. XXxxxx, op. cit., p. 124.
30 X. Xx xxxxxXx, op. cit., p. 22.
31 X. XXxxxxx, op. cit., p. 139; x. xxxxxxx, op. cit., p. 31.
32 In particolare, si sottolinea come il legislatore abbia lasciato spazio ad altri parametri, dei quali ha omesso la specificazione, a causa della eterogeneità degli stessi (Trib. Bari, 6 maggio 2002; Trib. Catania, 5 gennaio 2004). Inoltre, pur riconoscendo che la dipendenza economica debba es- sere valutata tenendo conto anche della reale possibilità di reperire sul mercato alternative soddi- sfacenti, si è esclusa l’operatività di questo criterio, qualora il contratto sia stato concluso median-
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Eccessivo squilibrio di diritti e obblighi
Art. 9 l. n. 192/98 e art. 33 cod. cons.
Differente
logica di protezione
Si pone allora il problema, da un lato, di comprendere quale sia il contenuto da dare al criterio dell’eccessivo squilibrio di diritti e obblighi e, dall’altro, di precisare quando difetti la reale possibilità di reperire sul mercato alternative soddisfacenti.
Quanto alla clausola generale «eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi», uti- lizzata dal legislatore al 1° comma della disposizione in commento, è opinione diffusa che la stessa comprenda nella sua formula, oltre la giustizia normativa, anche il profilo dell’iniquità economica, legittimando sia un controllo normativo sul contenuto del contratto sia un sindacato sull’equità economica33.
Diversamente, taluno attribuisce rilievo allo squilibrio normativo solo qualo- ra si traduca in uno squilibrio economico34, mentre altri circoscrive il controllo giudiziale al solo squilibrio normativo35.
Occorre evidenziare come l’eccessivo squilibrio di diritti e obblighi costi- tuisca un elemento della fattispecie dell’abuso di dipendenza economica e, al contempo, delle clausole vessatorie disciplinate dal codice del consumo.
Tuttavia, nonostante la vicinanza letterale della clausola in esame con la cor- rispondente clausola prevista dall’art. 33 cod. cons., il controllo dell’equi- librio contrattuale si atteggia in modo diverso nei contratti dei consumatori e nei contratti tra imprese conclusi in contesti di asimmetria di potere con- trattuale36. Invero, a differenza di quanto previsto per il divieto di abuso di dipendenza economica, nei contratti conclusi dal consumatore con il profes- sionista, l’art. 34 cod. cons. sottrae dalla valutazione del carattere vessatorio della clausola la determinazione dell’oggetto del contratto e l’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, «purché tali elementi siano indivi- duati in modo chiaro e comprensibile»; non sono altresì considerate vessato- rie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale.
Per cogliere la ratio delle diverse discipline di tutela, occorre evidenziare la differente logica di protezione dell’imprenditore debole e del consumatore. Quest’ultimo versa in una situazione di strutturale debolezza dovuta a un’asim- metria informativa che limita il potere di negoziare il contenuto del contratto. Per contro, l’imprenditore economicamente dipendente si trova in una situazione
te l’adesione del cliente alle condizioni generali di contratto, sul presupposto che la contrattazione di settore è pressoché uniforme (Trib. Trieste, 21 settembre 2006).
33 X. Xxxxxxx, De jure belli: l’equilibrio del contratto nelle impugnazioni, in Xxx. xxx. xxx., 0000, 0,
x. 00; X. XXxXxxx, Abuso di autonomia negoziale e disciplina dei contratti tra imprese: verso una nuova clausola generale?, in Riv. dir. civ., 2005, 6, p. 683; X. XxxXxxxx, op. cit., p. 649; x. xxxxx, Xx xxxxxxxxx xxx xxxxxxx, xxx., x. 00; G. VillA, op. cit., p. 118.
34 X. XXxxxxx, op. cit., p. 154.
35 A. P. XxXxXx, Il contraente debole, Torino, 2006, p. 221.
36 X. xXxxxxx, op. cit., p. 172; X. xXxxxXxxxxx, L’abuso di dipendenza economica tra legge spe- ciale e disciplina generale del contratto, in Squilibrio ed usura nei contratti, a cura di Xxxxxxx, Padova, 2002, p. 70; X. xxxxx, xx. xxx., x. 000.
Xxxxxxxx XX – Abuso di dipendenza economica e tutela dell’imprenditore debole 123
di debolezza, non già per incapacità a negoziare, bensì per mancanza di alterna- tive soddisfacenti sul mercato37.
Inoltre, l’asimmetria dell’impresa dipendente non è presunta o valutata con criteri generali e astratti relativi al profilo soggettivo dei contraenti, come nel caso del consumatore, ma deve essere accertata in concreto38.
va altresì tenuto presente che i contratti dei consumatori sono tendenzialmen- te “di massa”, collocandosi per lo più in contesti concorrenziali nei quali non si pone un problema tanto di equilibrio economico delle prestazioni, quanto di controllo sulla parte normativa del contratto. Ben diversa è invece la situazione che si prospetta nelle relazioni contrattuali tra imprese. Tale situazione risponde, generalmente, al modello della contrattazione individuale e il contratto costitui- sce l’esito di complesse trattative sicché l’eventuale abuso dell’imprenditore che si trovi in una posizione di dominanza relativa sull’altra parte si realizza, soli- tamente, proprio sul terreno delle condizioni economiche del rapporto, a causa dell’assenza di reali alternative39.
Infine, anche con riguardo agli interessi protetti, si può registrare una differen- za tra le disposizioni richiamate: l’art. 9 l. n. 192/1998, diversamente dall’art. 33 cod. cons., non si limita a tutelare gli interessi del solo contraente debole, poiché seppur attraverso la mediazione dell’interesse particolare del singolo imprendi- tore a non subire abusi, persegue l’ulteriore finalità di tutelare la funzionalità e la stabilità del mercato40. Questa esigenza sembra infatti affiorare dall’ultima parte del 1° comma, laddove si prevede che «la dipendenza economica è valutata te- nendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti».
Quanto alla verifica in concreto della sussistenza di una dipendenza econo- mica, una recente giurisprudenza ritiene non necessaria l’effettività dell’ec- cessivo squilibrio di diritti e obblighi, essendo sufficiente la sua potenzialità41. L’ipotizzabilità di una dipendenza economica, però, non comporta automati- camente l’effettiva conclusione di un contratto fortemente squilibrato a favo- re di una parte e, quindi, che si sia in presenza di un abuso vietato. Occorre
37 X. Xx xxxxxXx, op. cit., p. 94; x. xXxXxxxxxX, Xxxx e ombre nell’immagine del terzo contratto, in Il terzo contratto, a cura di X. Xxxxx, X. Xxxxx, Xxxxxxx, 2008, p. 319.
38 X. XxXxxx, Il terzo contratto. Il problema, in Il terzo contratto, a cura di X. Xxxxx, G. Villa, Bo- logna, 2008, p. 24; Ph. XXxxxx, op. cit., p. 29.
39 G. D’Amico, op. cit., p. 74.
40 X. XxXxxx, «Nullità» e tutela del «contraente debole», in Contr. e impr., 2001, 3, p. 1183.
41 Trib. Parma, 15 ottobre 2008. Il carattere meramente potenziale dello squilibrio è sottolineato anche in dottrina sulla scorta della formulazione della disposizione in commento e, in particolare, dell’espressione «sia in grado di determinare», che sembrerebbe richiedere solo un giudizio pro- gnostico e non anche la ricorrenza in concreto di un eccessivo squilibrio; si vedano X. XxXxxx, op. cit., p. 18; Ph. fAbbio, op. cit. p. 125; X. Xxxxx, op. cit. p. 395. così, proprio il trascorrere da una situazione potenziale a una attuale, segnerebbe il passaggio dallo stato di dipendenza economica all’abuso della dipendenza stessa, così X. XXxxxx, op. cit., p. 118.
124 manuale del diritto dei consumatori
Le alternative soddisfacenti
a questo fine il perpetrarsi di una o più condotte tra quelle indicate dal 2° comma dell’art. 9.
Circa le alternative soddisfacenti, la giurisprudenza ha affermato che deve trattarsi non di una mera possibilità, astratta e ipotetica, ma di concreta oppor- tunità che il mercato offre per il raggiungimento di un risultato comunque utile per l’impresa. Si precisa, inoltre, che il termine soddisfacente deve essere riferito alla realizzazione dell’interesse dell’imprenditore, vanificato dall’abuso42.
Sulla scia dell’esperienza tedesca, previa delimitazione del mercato in cui opera l’impresa relativamente dominante, si suggerisce di articolare in due fasi l’accertamento della dipendenza economica: una prima, diretta a verificare l’esi- stenza sul mercato di alternative oggettive; una seconda, logicamente conse- guenziale alla prima, tesa a stabilire se le alternative siano soddisfacenti, e se la possibilità di farvi ricorso sia reale43. Una volta accertata l’esistenza di alternati- ve oggettive sul mercato, occorrerà verificare se le stesse siano anche reali, cioè praticabili dall’imprenditore dipendente, dando rilievo in questo modo anche ai quei profili che attengono specificamente alla condizione individuale del sogget- to dipendente. Invero, la valutazione della situazione di dipendenza presuppone la determinazione del costo concorrenziale dell’alternativa per l’impresa dipen- dente: l’entità complessiva dei costi che quest’ultima è destinata ad affrontare per rivolgersi a un’impresa diversa da quella che si assume dominante (c.d. costi di commutazione)44.
42 Trib. Bari, 6 maggio 2002.
43 Ph. XXxxxx, op. cit., p. 131; x. xxxxx, xx. xxx., x. 000.
00 X. Xxxxx, op. cit., p. 407. Persuasiva è la tesi di importare nel nostro ordinamento le quattro situazioni tipiche di dipendenza economica individuate in un parere del 1973 dal Bundestagsaus- schuss für Wirtschaft ed entrate nella tradizione applicativa del § 20 II, Abs.1, GWB. Al fondo di simile scelta riposa la considerazione secondo la quale queste categorie di dipendenza possano rappresentare, per concretezza e onnicomprensività, utile punto di riferimento per la difficile valu- tazione che il giudice è chiamato a operare ai sensi dell’art. 9 in esame. Di tal ché si distingue: a) la dipendenza da assortimento, qualora un’impresa, per mantenere inalterata la propria capacità con- correnziale, abbia bisogno di disporre nel proprio assortimento di un prodotto fornito da un’altra impresa; b) la dipendenza da penuria, allorché un’impresa, a seguito di un’improvvisa riduzione delle fonti di approvvigionamento di un prodotto naturalmente scarso, non abbia alternative con- correnzialmente accettabili rispetto all’instaurazione di relazioni commerciali con un determinato fornitore; c) la dipendenza dell’impresa, quando un’impresa cliente o fornitrice, in seguito a du- rature relazioni commerciali instaurate con altra impresa, abbia adattato la propria organizzazione aziendale alla domanda o all’offerta di quest’ultima, in modo da rendere non reale la possibilità di rivolgersi ad altre imprese senza subire uno svantaggio nella concorrenza; d) la dipendenza del fornitore, qualora questi abbia come proprio cliente unicamente o principalmente altra impresa (X. Xxxxx, op. cit., p. 408). Queste quattro situazioni sono suscettibili di essere ricondotte in due grandi categorie di dipendenza, a seconda che l’esigenza per un’impresa di contrattare con altra sia dovuta alle caratteristiche qualitative del bene o del servizio da questa offerto o alle condizioni del mercato, oppure sia dovuta alle caratteristiche soggettive delle parti. Nella prima categoria dovrebbero enuclearsi la c.d. dipendenza da assortimento e la c. d. dipendenza da penuria; nella seconda, per converso, la c.d. dipendenza del fornitore e dell’impresa. Elementi sintomatici di una dipendenza di tipo soggettivo sono: la convertibilità e l’ammontare degli investimenti compiuti