Contract
IL TRIBUNALE DI RAVENNA
Riunito in Camera di Consiglio nelle persone dei Magistrati :
Xxxx. Xxxxx Xxxxxxx Presidente
Xxxx. Xxxxxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxx
Xxxx. Xxxxxxxxxx Xxxxxxx Xxxxxxx Rel
Nella procedura iscritta al n. 21/2015 promossa con ricorso depositato da:
M s.p.a. (già A s.p.a.), con sede legale in *
avente ad oggetto giudizio di omologazione di concordato preventivo. Ha emesso il seguente
DECRETO
1.Vicende del procedimento e piano concordatario sino alla data dell’adunanza ex art. 174 l.f.
In data 14 agosto 2015 la società ricorrente ha depositato ricorso ex art. 161 co. 6 l.f., come novellato dalla L. 134/2012 e succ. modd., chiedendo la concessione di un termine per il deposito del piano concordatario, della relazione del professionista attestatore, nonché della ulteriore documentazione prevista dall’art. 161 l.f.
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Nel termine concesso e poi prorogato da questo Tribunale, in data 29/01/2016 la società ricorrente ha depositato il piano preannunciato, fondato sul già intercorso affitto d’azienda stipulato con M. s.r.l. il precedente 5 agosto 2015.
Con decreto ex art. 162 l.f. in data 4 febbraio, al quale integralmente si rinvia e da ritenersi in questa sede trasposto, sia per quanto riguarda la qualificazione del concordato in esame come di carattere liquidatorio, sia per quanto riguarda la non applicabilità – ratione temporis – delle modifiche introdotte dalla legge di conversione del
d.l. 83/2015 in tema di voto e di rispetto della percentuale minima di soddisfacimento dei creditori chirografari, di cui all’art. 160 ult. co. l.f., sono state richieste talune integrazioni che in sintesi si ricapitolano: “…..
a) occorre depositare attestazione ex art. 160 co. 2 l.f. in ordine al non deteriore trattamento riservato ai creditori privilegiati falcidiati in ragione della ritenuta incapienza dei beni immobili destinati alla liquidazione (si noti che la relazione del xxxx. Xxxxx Xxxxxxxx pur intitolata “ex art. 160 comma 2 e 161 terzo comma” non reca alcuna compiuta disamina autonoma e critica delle perizie prodotte né alcun giudizio di verifica che la falcidia applicata agli ipotecari risulti rispettosa di quanto previsto dall’art. 160 co. 2 l.f.); tale perizia appare altresì necessaria al fine di praticare una eventuale falcidia dei crediti da rivalsa IVA – aspetto peraltro neppure sufficientemente chiarito nel ricorso – in virtù dell’orientamento espresso da Xxxx. 6 novembre 2013, n. 24970, secondo cui: “al credito di rivalsa dell'Iva spettante al cedente di beni o al prestatore di servizi va riconosciuto il privilegio speciale previsto dall'articolo 2758, comma 2, del Codice civile sui beni che hanno formato oggetto della cessione o ai quali si riferisce il servizio, salvo che sia diversamente previsto come espresso patto di concordato, in base all'articolo 160, comma 2, della legge fallimentare; in mancanza il creditore privilegiato ha diritto all'integrale soddisfazione nel concordato preventivo anche qualora il bene gravato dal privilegio non sia presente nel patrimonio del debitore”;
b) la ricorrente è altresì chiamata a chiarire le compensazioni operate nei confronti dei sigg.ri X. Xxxxxx e C. Xxxxxxxxx apparendo le stesse, allo stato, contrarie alla par condicio creditorum stante la pacifica natura non privilegiata del credito da compenso amministratori di società, così come affermata da costante giurisprudenza che rileva come
lo stesso “non gode del privilegio ex art. 2751-bis n. 1 C.C. né di quello previsto al n. 2 di tale norma, poiché non può qualificarsi né come credito da lavoro dipendente, né come credito per prestazione professionale o d’opera” sì che l’operazione potrebbe comportare un ingiustificato arricchimento di detti soggetti, ai danni della società in crisi, che invece attraverso il pactum de compensando rinuncia ad escutere un credito esigibile in moneta non concorsuale;
c) occorre approfondire la valutazione dei crediti commerciali e relativa attestazione, con esplicitazione da parte dell’esperto dei criteri utilizzati al fine di ritenere adeguata la svalutazione operata dalla società ricorrente (non è infatti l’apparente ingente svalutazione da Euro 8.059.490,62 ad Euro 3.632.511,90 quella rilevante, posto che il primo importo comprende i crediti verso società controllate da tempo oggetto di un fondo di svalutazione contabile, bensì la minimale svalutazione operata fra il credito nominale verso clienti terzi di Euro 3.964.976,70 e il predetto secondo importo a dover essere in questa sede motivatamente spiegato, considerata l’importanza di questa voce dell’attivo concordatario, di per sé sola superiore alle intere risorse attribuibili al ceto chirografario) ….”.
Le integrazioni richieste sono state fornite nel termine di 15 gg. all’uopo concesso ed il Tribunale di Ravenna, a quel punto, salva ogni successiva verifica da pare dei C.G. nominandi e/o emersione di fatti rilevanti anche ex art. 173 l.f., con decreto in data 20 febbraio 2016 ha ammesso la società M. s.r.l. (già A. s.r.l.) alla procedura di Concordato Preventivo, nominando Giudice Delegato il xxxx. Xxxxxxxxxx Xxxxxxx e quali Commissari Giudiziali i dott.ri M. M. e X. Xx M. di Ravenna.
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Con il medesimo decreto il Tribunale ha disposto la convocazione dei creditori per l’udienza del 25 maggio 2016 ed ordinato il deposito su conto vincolato delle somme di cui all’art. 163 co. 2 n. 4) l.f., quantificate in Euro 90.000.
Si deve qui ricordare che la società debitrice ha proposto l’ammissione ad un concordato preventivo di liquidatoria, essenzialmente caratterizzato dai seguenti aspetti:
a) affitto d’azienda intervenuto antecedentemente al deposito del ricorso prenotativo di cui all’art. 161 co. 6, contenente promessa irrevocabile d’acquisto dell’azienda – condizionatamente alla omologazione – al prezzo di Euro 1.400.000, con rinuncia dell’affittuaria ad imputare in conto prezzo i canoni medio tempore pagati;
b) alienazione di un cospicuo compendio immobiliare parzialmente gravato da più ipoteche;
c) incasso dei crediti e valorizzazione di ogni altra posta attiva.
La ricorrente propone(va), pertanto, di ricavare un attivo concordatario complessivo di Euro 13.894.073,51 Euro con il quale soddisfare integralmente i crediti prededuttivi e privilegiati (ma con parziale declassamento in chirografo dei privilegi speciali ipotecari incapienti), destinando la somma di Euro 2.515.770,34 per il pagamento dei creditori chirografari, pari approssimativamente all’11,26% del debito privo di cause legittime di prelazione. Il piano ha previsto un orizzonte temporale sino al 30/09/2019 al fine di provvedere alla esecuzione del concordato.
L’iter successivo è stato caratterizzato dalla procedura competitiva ex art. 163 bis
l.f. (in quanto norma immediatamente applicabile al presente concordato e comunque rispondente al superiore principio di competizione e trasparenza delle cessioni in ambito concordatario) in relazione all’offerta di acquisto già formulata dall’affittuaria M. s.r.l., dal conseguente rinvio dell’adunanza dei creditori ex art. 174 l.f. alla data dell’08/07/2016 nonché dal deposito, in data 29/06/2016, della relazione ex art. 172 l.f. contenente un parere sostanzialmente favorevole in ordine alla fattibilità del concordato (ma motivato soprattutto in ragione delle possibile venir meno dell’offerta di acquisto dell’azienda da parte dell’affittuaria) pur dandosi atto di sensibili criticità:
a) relative alla pressoché completa assenza di garanzie per i creditori in ordine
al realizzo effettivo dei valori legati alla liquidazione dell’asset immobiliare
(pari ad Euro 6.207.560 complessivi) e dello stesso importo di Euro
1.976.000 da incassare per canoni di affitto e successiva cessione dell’azienda;
b) concernenti altresì le responsabilità in capo all’organo gestorio e sindaci, principalmente a fronte della vicenda relativa alla rinuncia ad un credito di ben 3.194.634,43 Euro nei confronti della Sea Style s.r.l. (società appartenente allo stesso gruppo e con sede in Tunisia), pur continuando a finanziare ulteriormente detto ente, così da dover poi in seguito affrontare due importanti svalutazioni di crediti a bilancio di oltre 2.000.000 Euro al 30/06/2014 e di oltre 4.000.000 Euro il 14 agosto 2015, in vista della predisposizione della proposta di concordato, pur dandosi atto della difficile fruttuosità di una eventuale azione proposta in ambito fallimentare.
In data 8 luglio 2016 si è pertanto celebrata l’udienza ex art. 174 l.f.
Con successivo decreto del 3 agosto 2016 il Tribunale di Ravenna, visto il verbale dell’adunanza dei creditori e le successive dichiarazioni di voto pervenute, ha rilevato il raggiungimento delle maggioranze di legge:
Voti favorevoli (compresi i taciti): Euro 19.379.475,71
Voti contrari: Euro 1.975.246,57
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Maggioranza necessaria: Euro 10.677.362,14 Pertanto, ai sensi dell’ art. 180 l.f., fissava l’udienza camerale del 23/09/2016.
2.Le sopravvenienze negative successive e il comportamento della debitrice
A questo punto del procedimento, con informativa depositata il 12/13 settembre 2016, i Commissari giudiziali hanno dato conto dell’esito di una verifica compiuta dalla Guardia di Finanza comportante (secondo una quantificazione provvisoria effettuata dall’Agenzia delle Entrate) un onere complessivo aggiuntivo di circa 268.215,20 Euro, di cui Euro 133.627,98 per sanzioni, di per sé tale da trovare capienza nei fondi rischi appostati dalla debitrice ma pure sempre impattante sugli stessi in modo inizialmente imprevisto e tale da elidere sostanzialmente l’importanza dei fondi stessi rispetto al possibile esito non soddisfacente dell’attività liquidatoria prevista nel piano. Inoltre, a seguito dell’inadempimento della debitrice ad obblighi restitutori connessi a finanziamenti agevolati, si è dato conto della emersione di una sopravvenienza passiva di ben Euro 557.202,85 ritenuta come privilegiata anche in forza dell’art. 8 bis della Legge 24/03/2015,
n. 33 che ha ampliato l’area di applicazione del privilegio prevalente su ogni altro (ad eccezione delle prelazioni legate a spese di giustizia o ex art. 2751 bis c.c.) agli obblighi restitutori nei confronti del beneficiario finale e dei terzi prestatori di garanzia connesse alle erogazioni del Fondo di garanzia PMI. L’impatto di questa sopravvenienza privilegiata è da ritenersi estremamente rilevante, secondo i Commissari giudiziali, tanto da ridurre la soddisfazione ragionevolmente attesa dai creditori chirografari dal 9,25% allo 0,40%.
Tale informativa è stata comunicata ai creditori ai sensi dell’art. 179 co. 2 l.f. e contestualmente l’udienza ex art. 180 l.f. è stata differita al 05/10/2016.
In vista di detta udienza la società E. s.p.a., ritenuto che:
a) le riserve in ordine alla carenza di garanzie per i creditori già espresse dai C.G. non fossero state superate da alcuni impegni unilaterali ed alternativi di M. a pagare un futuro ed eventuale maggior canone di locazione degli immobili;
b) permanessero incertezze legate alla capacità di M. (l’affittuaria) di far fronte agli impegni assunti e per converso connesse alla liquidazione di immobili dalla prima occupati per lo svolgimento dell’attività;
c) fossero emerse ulteriori e dirimenti problematiche ostative alla fattibilità della proposta concordataria, sia per quanto riguarda il maggior debito fiscale nascente dalla verifica della GdF terminata il 13 luglio 2016, sia collegato ai maggiori debiti privilegiati emersi;
tanto premesso ha quindi proposto opposizione alla omologazione del concordato, alla luce della conseguente entità irrisoria delle somme riservate ai chirografari e del venir meno della fattibilità del concordato, chiedendo per converso la declaratoria di fallimento della debitrice.
Nel corso dell’udienza la banca MPSiena, ai sensi dell’art. 179 l.f. ha modificato il proprio voto in negativo per la somma di Euro 1.387.413,16 e si è preso atto di una ulteriore sopravvenienza negativa derivante dalla revoca di un finanziamento agevolato (L. n. 46/82) per complessivi Euro 1.647.180 da parte del Ministero dello Sviluppo Economico con conseguente ulteriore maggiorazione del passivo privilegiato per l’importo di Euro 1.116.948,30 rispetto a quanto previsto nel piano.
I Commissari giudiziali con atto depositato il 26/09/2016 hanno espresso parere negativo ex art. 180 l.f., rilevando l’insufficienza dell’offerta migliorativa avanzata da M. intesa a mettere a disposizione dei creditori, per l’ipotesi di riconoscimento della natura privilegiata della pretesa di Euro 557.202,85 avanzata da Banca del Mezzogiorno Medio Credito Centrale, la somma di Euro 350.000.
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A quel punto, per fronteggiare tali sopravvenienze negative, la società concordataria ha proposto in udienza un apporto da parte della società collegata F. s.r.l., consistente nel netto ricavo della vendita di un terreno appartenente a questa società stimato dal tecnico di parte Geom. O. in Euro 1.607.855,08.
L’udienza ex art. 180 l.f. è stata così in via ultimativa rinviata al 9 novembre 2016, autorizzando i C.G. a presentare una memoria di supplemento al proprio parere ex art. 180
l.f. che consentisse di analizzare l’effettività dell’apporto del terzo e la solvibilità di detta società.
Il parere espresso dai C.G. con memoria depositata il 03/11/2016, sulla scorta di un parere legale e dell’incarico attribuito ad uno stimatore per la parte immobiliare ha portato tuttavia ad accertare:
a) che la contabilità di M. s.p.a. non conteneva alcuna indicazione – nonostante detta posta avesse natura di passività potenziale – del debito privilegiato di Euro 1.116.948,30;
b) che il cespite immobiliare offerto quale apporto del terzo era già stato in precedenza pignorato e quindi non può ritenersi nella disponibilità della società F. s.r.l. promittente l’apporto né, tantomeno, in quella della società debitrice in concordato;
c) che il bene immobile di F. s.r.l. ha un indice di edificabilità decisamente inferiore a quella ipotizzata dal Geom. O.; pertanto in luogo di una valutazione stimata dal perito di parte in Euro 2.373.730 (da cui detrarre comunque l’entità del credito ipotecario di Euro 766.874,92) il tecnico incaricato dai C.G. (vds., all. 10 alla memoria 03/11/2016) ha individuato il valore del bene in Euro 1.073.000 da cui detrarre un debito ipotecario di ben 852.216,21 con un possibile apporto netto in favore della procedura che, nella migliore delle ipotesi, ammonta ad appena Euro 220.783,79 del tutto insufficiente a colmare l’incremento delle passività privilegiate derivanti dalle sopravvenienze ricordate;
d) il parere del legale pure sentito dai C.G. (vds. p. 23 della memoria 03/11/16) ha inoltre ritenuto che la promessa di apporto da parte del terzo F. s.r.l. (peraltro largamente ridimensionato nella sua entità effettiva alla luce di quanto detto sub. C) non attribuirebbe alcun potere coercitivo a vantaggio degli organi della procedura, né in ordine alla possibilità di vendere il bene del terzo – tenuto altresì conto del pignoramento già avvenuto – né tantomeno in ordine alla effettiva destinazione delle somme, ove anche eventualmente ricavate in eccesso rispetto alle spese ed ai crediti ipotecari, a vantaggio dei creditori concordatari;
e) le verifiche sulla solvibilità di F. s.r.l. hanno inoltre portato C.G. a motivatamente
rilevare (vds. p. 33 della memoria) che detta società versa ormai da tempo in stato di crisi finanziaria e per tale ragione si ritiene non idonea a fornire garanzie al ceto creditorio di M. s.p.a.
I C.G. hanno quindi concluso affermando che “allo stato, infatti, la mancanza di prospettive di soddisfazione per il ceto creditorio chirografario, conduce a concludere come la proposta concordataria non sia ideona ad asservire il fine cui è destinata. Si conferma pertanto, allo stato, la valutazione contraria all’omologa già espressa nel parere reso ex art. 180 l.f. non sussistendone i presupposti di legge”. I C.G. hanno pertanto ritenuto orami inattuale ed irrealizzabile quelle percentuali di possibile soddisfacimento dei chirografari che essi stessi avevano inizialmente considerato, secondo un ragionamento logico ineccepibile che trae il proprio fondamento dall’emersione delle sopravvenienze passive indicate.
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A questo punto, per completezza motivazionale, si devono evidenziare due accadimenti ulteriori che, a prescindere dalla dubbiezza delle giustificazioni fornite nel corso dell’udienza del 9 novembre, di cui si dirà subito infra, “colorano” il comportamento della debitrice in chiave nettamente negativa, sia in ordine all’affidabilità a far fronte agli impegni concordatari sia, in termini più generali, a ricercare una soluzione concretamente idonea a ristrutturare il debito offrendo un soddisfacimento ai creditori chirografari non irrisorio (se non addirittura nullo, come più certamente indicato dai C.G.), potendo invece trasmodare in un contegno del tutto dilatorio, dannoso per le ragioni creditorie, volto unicamente a rinviare temporalmente la pronuncia di fallimento. Elementi tutti che integrano quella che dottrina e giurisprudenza hanno indicato come abuso dello strumento concordatario:
I)
Con informativa depositata l’8 novembre 2016, quindi il giorno precedente a quello della udienza ex art. 180 l.f., si è appreso che il legale rappresentante di M. s.r.l., sig. F. ha tentato di prelevare (poco importano le modalità, se per giroconto o con emissione di assegni circolari) tutta la liquidità giacente presso il Credito di Romagna, pari a circa
3.000.000 di Euro; detto tentativo non è andato a buon fine solo perchè è stato riferito dall’istituto di credito ai C.G. (ed ammesso in udienza dallo stesso interessato) ed in considerazione dell’entità del prelievo e dell’assenza di ragioni giustificative, che hanno portato i C.G. ad esprimere al riguardo, sentito il G.D., un doveroso parere contrario;
II)
Nonostante la pendenza dell’istanza di fallimento proposta dalla società E. s.p.a., la società ricorrente ha depositato – sempre in data 8 novembre 2016 – un atto di rinuncia alla domanda di concordato preventivo, caratterizzante in modo ancora più marcatamente abusivo il contegno tenuto alla debitrice dopo l’adunanza dei creditori di cui all’art. 174 l.f..
3. La richiesta di omologazione
Nulla quaestio in ordine ai profili relativi alla competenza territoriale, stante la non contestata coincidenza della sede effettiva della società ricorrente con quella legale, posta nel circondario di Ravenna.
Ciò posto, in ordine logico giuridico deve censirsi l’atto di rinuncia alla domanda di concordato preventivo depositato dalla debitrice in data 08/11/2016. Rispetto a tale tipologia di atto si può convenire, in via di principio, che il debitore resta libero di proporre o meno una soluzione concordataria alla propria crisi di impresa (rectius insolvenza in questo caso) e che, quindi, può anche rinunciare alla domanda di concordato. Tale libertà,
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tuttavia, incontra a parere di questo Collegio alcuni limiti: a) che nei confronti del debitore già sia stata proposta una domanda di fallimento (posto che in tal caso la soluzione della crisi esce, per così dire, da una sfera puramente privata per acquisire un rilievo pubblicistico); b) che sia già stata avanzata una proposta concorrente ai sensi del novellato art. 163 l.f. (fattispecie non ricorrente nel caso concreto ma significativa del rilievo non esclusivamente individuale che il legislatore ha attribuito alla vicenda concordataria, assegnando ai creditori, come si legge nella relazione di accompagnamento alla novella del 2015, il potere non più soltanto di accettare o rifiutare una proposta da altri formulata, bensì quello di farsi parte attiva nella ristrutturazione del debito, introducendo quella che è stata definita “contendibilità dell’impresa in crisi”); c) che la rinuncia configuri essa stessa un abuso dello strumento concordatario (principio questo orami pacifico in giurisprudenza, su cui da ultimo Tribunale di Napoli Nord, 25 febbraio 2015 “Il ricorrente può liberamente rinunciare alla domanda di concordato preventivo, anche con riserva, fino all’emissione del decreto di omologa, a condizione che non agisca in violazione del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato e ingiustificato sacrificio delle ragioni dei creditori, e con l’intento di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali è stata concessa la facoltà di rinuncia. L’istituto dell’abuso del diritto trova infatti applicazione anche in materia fallimentare, la quale, ancorché sia disciplinata da una legge speciale, radica il proprio impianto nei principi generali civilistici” ed in termini più generali la nota Cassazione Sez. Un. Civili 15 maggio 2015, secondo cui “La domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, presentata dal debitore non per regolare la crisi dell'impresa attraverso un accordo con i suoi creditori, ma con il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento, è inammissibile in quanto integra gli estremi di un abuso del processo, che ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l'ordinamento li ha predisposti”).
E’ben vero che a sostegno della propria rinuncia la ricorrente ha richiamato una decisione della C. App. Milano. La stessa tuttavia, da un lato non si occupa dell’ipotesi in cui la rinuncia stessa si caratterizzi come abusiva (e su tale qualificazione si richiama, onde evitare duplicazioni, tutto quanto già evidenziato al parg. 2 sotto il profilo del comportamento della debitrice successiva all’udienza ex art. 174 l.f.). Dall’altro, tale decisione attiene in realtà alla questione della rinuncia alla domanda non abusiva come ipotesi che comporta il venir meno della legittimazione speciale del P.M. ad avanzare domanda di fallimento. Ma tale principio non è alla fattispecie in esame trasponibile (anche ove non si volesse condividere la natura abusiva della rinuncia) posto che mentre le riforme della legge fallimentare a partire dal 2006/2007 in avanti hanno reso eccezionale e tassativa la legittimazione del P.M. a richiedere il fallimento di un imprenditore, tale ratio non ricorre affatto nel caso di domanda di fallimento proposta da un creditore, che ha infatti una legittimazione generale e diretta a richiedere il fallimento del proprio debitore insolvente. Il che nel caso di specie è quanto precisamente avvenuto.
Sul carattere abusivo della rinuncia non sembrano occorrere particolari ulteriori elementi indizianti: a) la mancata registrazione di una posta passiva prevedibile e potenziale e resa poi concreta dalla revoca del finanziamento operata dal MISE; b) l’offerta solo apparente dell’apporto di un terzo, rivelatasi in realtà giuridicamente indisponibile perché oggetto di pignoramento (ed il relativo regime di notifica e pubblicità legale esclude qualunque ignoranza scusabile), avente indice di edificabilità di circa la metà rispetto a quanto dichiarato dal perito della società in concordato e quindi insufficiente a colmare le criticità oggettivamente sopravvenute rispetto al momento del voto; c) il tentativo di prelievo di somme ingentissime operato dal l.r. della debitrice, che non trova alcuna giustificazione né
in un commissariamento della banca (che a tutto concedere da tempo era operativo senza alcuna incidenza sull’equilibrio patrimoniale della medesima), né soprattutto avrebbe giustificato una modalità così improvvisa e repentina (di fatto subito dopo il deposito della memoria dei C.G. i quali hanno “scoperto” la natura del tutto apparente ed insufficiente dell’apporto offerto dalla società F. s.r.l.) oltre che non comunicata agli organi della procedura (si ricorda infatti che questi ne sono venuti a conoscenza unicamente attraverso l’istituto di credito che li ha interpellati in ordine alla legittimità del prelievo stesso quale atto non di ordinaria amministrazione).
A quel punto l’atto di rinuncia in esame, ad oltre un mese di distanza dalla prima udienza ex art. 180 l.f. tenutasi in data 5 ottobre 2016, conoscendo l’istanza di fallimento proposta da E. s.p.a., appare un caso paradigmatico di utilizzo degli strumenti processuali per una finalità diversa ed ulteriore rispetto a quella tipica prevista dalla legge che configura chiaramente quell’abuso dello strumento concordatario che la giurisprudenza unanime e lo stesso legislatore (con la recente novella del 2015) hanno inteso reprimere.
Superato pertanto l’elemento ostativo rappresentato dalla predetta rinuncia abusiva e quindi inefficace, la richiesta di omologazione della domanda di concordato non può trovare accoglimento sotto più profili concorrenti ed autonomamente sufficienti ad escluderne un vaglio positivo.
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Si ricorda, preliminarmente, quanto al giudizio cui il Tribunale è chiamato ad operare in sede di omologazione, che la nota Cass. S.U. 23 gennaio 2013, n. 1521, ha affermato che “il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, non restando questo escluso dall’attestazione del professionista, mentre resta riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti; il controllo di legittimità del giudice si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo; il controllo di legittimità si attua verificando l’effettiva realizzabilità della causa concreta della procedura di concordato; quest’ultima, da intendere come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento, finalizzato al superamento della situazione di crisi dell’imprenditore, da un lato, e all’assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro”.
In primo luogo il carattere abusivo del comportamento tenuto dalla debitrice attinge gli stessi profili di legittimità della proposta. Così come nel caso di frode ai creditori, infatti, il
S.C. ha chiarito che il voto non potrebbe validare il comportamento decettivo o abusivo tenuto dal debitore (cfr. Cass. 26 giugno 2014, n. 14552, secondo cui “La rilevanza, ai fini e per gli effetti di cui all’articolo 173 LF, della natura fraudolenta degli atti posti in essere dal debitore e potenzialmente decettivi nei riguardi dei creditori, è ravvisabile anche nell’ipotesi in cui l’inganno effettivamente realizzato sia stato reso noto ai creditori prima del voto. Se, infatti, così non fosse, se cioè l’accertamento degli atti fraudolenti ad opera del commissario potesse essere superato dal voto dei creditori che, informati della frode, siano ugualmente disposti ad approvare la proposta concordataria, non si capirebbe perché il legislatore ricollega, invece, immediatamente alla scoperta degli atti in frode il potere-dovere del giudice di revocare l’ammissione al concordato e ciò senza la necessità di alcuna presa di posizione sul punto da parte dei creditori”).
In secondo luogo, non può in questa sede non escludersi la fattibilità della stessa proposta concordataria.
Correttamente, pertanto, la recente decisione resa da Trib. Bergamo, 9 ottobre 2014 ha affermato che:
“in linea di principio, non v’è dubbio che il tema dell’effettivo valore dei beni ceduti alla
massa dei creditori con lo scopo di realizzare la causa del concordato preventivo (la soluzione/gestione della crisi attraverso il soddisfacimento di tutti i creditori in un lasso di tempo ragionevolmente breve) inerisca alla cd. fattibilità economica del piano e sia, quindi, devoluto alle valutazioni che la massa dei creditori esprime con il voto, favorevole o sfavorevole, alla proposta (Cass., Sezioni Unite, n. 1521/13). Tuttavia qualora il commissario abbia l’evidenza di una sopravvalutazione dei beni di entità significativa, e comunque tale da determinare una prognosi di certa impossibilità di soddisfacimento dei creditori chirografari, e sia in grado di dimostrarla previo ricorso all’accertamento tecnico eseguito da un c.t.u. di cui abbia chiesto ed ottenuto la nomina da parte del giudice delegato, il tribunale, verificato che gli accertamenti degli organi della procedura non si prestino a rilievi di incoerenza (e per fare ciò vanno considerate anche le eventuali deduzioni e contestazioni del debitore), non può che prendere atto del fatto che, in questa ipotesi, il tema del valore dei beni ceduti alla massa dei creditori incide direttamente sulla cd. fattibilità giuridica del concordato e, come tale, rientra nella sua sfera di cognizione”.
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Ed ancora “L'art. 180 l.f. prevede che il Tribunale debba controllare definitivamente i requisiti di ammissibilità già delibati a norma dell'art. 162 l.f. in fase di ammissione, ivi compreso il profilo della «fattibilità del piano» di cui all'art. 161 l.f. e non vi è dubbio che a tale espressione non possa non essere attribuito quantomeno il significato di controllo circa l'effettiva realizzabilità della proposta concordataria, tale non essendo necessariamente ogni proposta che venga approvata dalla maggioranza dei creditori. Il Tribunale, investito del giudizio di omologa ex art. 180 l.f., in presenza di espressa opposizione all'omologazione da parte di un creditore dissenziente, è legittimato a rivedere ha rivisto in senso negativo i requisiti di ammissibilità del piano concordatario, tra cui è prevista dall'art. 161 l.f. la sua concreta fattibilità, in quanto nella fattispecie concreta non si poneva tanto la questione di poter pagare i creditori chirografari solo nella misura del 3,10% del loro credito anziché nella misura del 15% promessa nel piano, ma appunto di non poterli pagare affatto: ciò innegabilmente confligge in modo insuperabile con la causa concreta dell'istituto giuridico del concordato preventivo prevista dalla legge” (Appello Firenze 11 luglio 2016).
Calato nella fattispecie in esame, nella quale la pressoché assenza e comunque insufficienza dei beni pretesamente destinati a fornire la c.d. “nuova finanza” rende del tutto privi di soddisfacimento i creditori chirografari, il principio che precede appare pienamente applicabile e comporta, anche per questa via, il rigetto dell’omologazione del concordato.
Sulla esiziale incidenza delle menzionate sopravvenienze passive da revoca e/o restituzione di finanziamenti agevolati in sede privilegiata (o comunque, il che è lo stesso in questa sede, sulla impossibilità di ritenere precauzionalmente le risorse corrispondenti destinabili ai creditori chirografari) si veda la seguente prima pronuncia edita dopo la legge di conversione n. 33 del 2015:
“Il credito da restituzione delle somme liquidate a titolo di perdite dal Fondo di garanzia gestito da Banca del Mezzogiorno / MCC - quale Gestore del Fondo di garanzia ex L. 662/96- è assistito dal privilegio generale di cui agli artt. 1 e 9, comma 5, del d.lgs. 123/98 e dell'art. 8 bis D.L. 3/2015. La disciplina dettata dall’art. 9 del D.Lgs. 123/98 è applicabile anche alle prestazioni di garanzia ex L. 662/96. L’art. 8 bis D.L. 3/2015, convertito con modificazioni nella Legge 33/2015 ha natura interpretativa dell’art. 2 Comma 100 lett. a) della L. 662/96. La ratio della novella legislativa di cui all'art. 8 bis
D.L. 3/2015, convertito con modificazioni in legge 33/2015 è evidentemente finalizzata a dirimere le controversie già sorte in ordine alla natura giuridica del credito del Fondo ex
L. 662/96” (Trib. Como, 28/09/2016 che evidenzia come soltanto l’eventuale giudicato endofallimentare possa impedire un’applicazione retroattiva della predetta norma di
interpretazione autentica).
La domanda di fallimento viene decisa con separato e coevo provvedimento, non essendo a tale fine necessario alcuna ulteriore fissazione d’udienza. Mutatis mutandis, infatti, il S.C. ha da tempo ritenuto che “il debitore che abbia presentato istanza di ammissione al concordato preventivo in pendenza della procedura fallimentare a suo carico, non deve essere sentito in camera di consiglio per l'esercizio del suo diritto di difesa qualora ne sia stata già disposta l'audizione prima della dichiarazione di fallimento, ed abbia avuto la possibilità di svolgere tutte le difese nel corso della procedura” (Cassazione civile, sez. I, 07 Maggio 2010, n. 11113; più recentemente Cass. 22 giugno 2016 con riferimento all’art. 162 l.f.) laddove nel caso di specie la sussistenza della richiesta di apertura della procedura concorsuale maggiore contenuta nell’opposizione era conosciuta già, quantomeno, dalla udienza dello scorso 5 ottobre e nel rinvio concesso, di oltre un mese e quindi persino superiore al termine a comparire previsto dall’art. 15 l.f. la società debitrice non ha inteso sul punto ulteriormente replicare pur potendo ragionevolmente ritenere che la declaratoria di fallimento potesse rappresentare un prevedibile sviluppo della successiva udienza del 9 novembre 2016.
IL XXXX.xx
Soltanto in data odierna è pervenuta una PEC da parte della debitrice che, oltre ad essere tardiva e contenente allegati irrilevanti (non essendo certo questa la sede per discutere di tentativi di pagamento del credito vantato dal soggetto istante che già in udienza il legale di altro creditore ha definito come potenzialmente contrari alla par condicio creditorum, né influendo sulle valutazioni una mera lettera di contestazione inviata al MISE) contengono l’ammissione – neppure evidenziata dal sig. F. in udienza – dell’avvenuto prelievo della somma in assegni circolari di Euro 1.750.000 nonostante l’assenza di autorizzazione ex art. 167 lf, determinando un ulteriore evento abusivo e comportante la revoca dell’ammissione alla procedura (e comunque in questa sede per semplicità il rigetto dell’omologazione). Il che rafforza le considerazioni tutte già precedentemente svolte.
Peraltro, sotto una diversa ottica, che si rappresenta in via sussidiaria rispetto alle considerazioni tutte che precedono, può anche convenirsi con quanto affermato da Tribunale di Treviso, 8 giugno 2015 che (sia pure con riferimento alla rinuncia ad un concordato “in bianco” in pendenza di istanza di fallimento) ha ritenuto in motivazione che “…è pur vero che il debitore in preconcordato è libero di rinunciare alla domanda, tuttavia, non è altrettanto libero di sottrarsi alle conseguenze che dalla rinuncia derivano, trattandosi pur sempre di un'anomala interruzione del procedimento equiparabile al suo esito negativo per mancata osservanza del termine, in cui comunque risulta l'illegittima, o addirittura abusiva, fruizione del blocco delle azioni esecutive e cautelari per un certo tempo” con la conseguenza che la rinuncia comporta l’inesigibilità di ulteriori termini a difesa e la necessaria, a quel punto, declaratoria di fallimento.
PQM
Il Tribunale di Ravenna, in composizione collegiale, rigetta la richiesta di omologazione del concordato preventivo proposto da M. s.p.a. (già A. s.p.a.).
Con separato e coevo provvedimento si affronta la domanda di fallimento avanzata dall’opponente E. s.p.a.
Manda alla cancelleria per le comunicazioni e la pubblicazione sul registro delle imprese. Ravenna, 10 novembre 2016.