Cass. civ., sez. III, 30.09.08, n. 24333, Pres.Vittoria, Rel. Talevi
Cass. civ., sez. III, 30.09.08, n. 24333, Pres.Vittoria, Rel. Talevi
Per stabilire se un contratto abbia natura di mandato o di mediazione non è sufficiente fare riferimento all'esistenza o meno di un potere di rappresentanza in capo alla persona incaricata del compimento dell'affare (in quanto anche il mediatore può assumere la rappresentanza dell'intermediato), nè è sufficiente avere riguardo all'oggetto dell'incarico (potendo la mediazione essere preordinata alla stipula di qualsiasi contratto, ivi compresi quelli di finanziamento), occorrendo, invece avere riguardo alla natura vincolante o meno dell'incarico, in quanto mentre il mandatario ha l'obbligo di eseguirlo, il mediatore ha la mera facoltà di attivarsi per mettere in relazione le parti.
FATTO
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nell'impugnata decisione lo svolgimento del processo è esposto come segue.
"Su ricorso della società FIDIA S.r.l. il Pretore di Pavia pronunciò, in data 27.2.1999, ingiunzione di pagamento a carico della società BANCHI MAISON S.r.l. per la somma di L. 36.043.000.
La ricorrente aveva allegato di aver dato esecuzione ad un incarico conferitole dalla BANCHI MAISON S.r.l., consistente nel porre in essere tutte le pratiche utili e necessarie per farle ottenere dal MINISTERO DEL COMMERCIO CON L'ESTERO, e con l'intervento del MEDIOCREDITO CENTRALE, un finanziamento agevolato di L. 2.503.000.000 in base alla L. n. 394 del 1981, nel contesto di un programma di introduzione commerciale nei paesi dell'Est europeo. Aveva anche precisato che la mandante le aveva promesso un compenso pari al 2% dell'importo finanziato nel caso in cui le pratiche fossero andate a buon fine; che tale esito si era in concreto verificato, poichè il MINISTERO aveva in effetti stipulato con la BANCHI MAISON S.r.l. il contratto di finanziamento; che pertanto essa aveva maturato il complessivo credito di L. 60.072.000, di cui le era stato pagato però in acconto solo l'importo di L. 24.028.800, residuando, così, il minor credito di L. 36.043.000, I.V.A. compresa.
Avverso il decreto ingiuntivo propose opposizione la BANCHI MAISON S.r.l. con atto di citazione notificato il 20.4.1999. Si costituì in causa la FIDIA resistendo all'opposizione.
Con sentenza n. 68/2003 pubblicata in data 14.2.2003 il Tribunale di Pavia, nel frattempo succeduto all'adito Pretore, ha respinto l'opposizione condannando l'opponente anche alla rifusione delle spese di lite sostenute dall'opposta.
Il Tribunale è pervenuto a tale decisione ritenendo infondate le due domande riconvenzionali proposte dalla BANCHI MAISON con l'atto di opposizione e inammissibile l'ulteriore domanda da
essa svolta per la prima volta in occasione dell'udienza di precisazione delle conclusioni. Con la prima domanda l'opponente aveva chiesto l'annullamento, ai sensi dell'art. 1439 cod. civ., del contratto intercorso con la FIDIA, sostenendo di essere rimasta vittima di raggiri dolosi. A tale riguardo aveva precisato che, pur essendo stato in effetti stipulato il contratto di finanziamento, in esso era stato previsto che la materiale erogazione delle somme finanziate avrebbe potuto avvenire solo se fosse stata prodotta, a garanzia di ogni obbligo restitutorio, una fideiussione rilasciata da un istituto di credito gradito al MEDIOCREDITO CENTRALE; che pur dinanzi a tale condizione la BANCHI MAISON si era indotta a stipulare il contratto, promettendo alla FIDIA il pagamento del compenso e pagandole poi anche un acconto, solo per effetto dei raggiri posti in essere dal Sig. M.S., incaricato della FIDIA con cui essa aveva trattato, avendole costui assicurato che sarebbe stato facile ottenere la garanzia fideiussoria richiesta per la erogazione del finanziamento, mentre poi di fatto nè lui, nè la FIDIA avevano svolto alcuna concreta attività per consentirle l'ottenimento di tale garanzia, in questo modo impedendo anche la concreta erogazione del finanziamento.
A detta dell'opponente, essa non si sarebbe mai indotta a concludere il contratto se fosse mancata l'azione ingannatrice con la quale le era stato fatto credere di poter ottenere agevolmente la garanzia fideiussoria. Aveva pertanto chiesto, in via consequenziale, che il Giudice adito dichiarasse che nulla era dovuto alla FIDIA e che condannasse quest'ultima alla restituzione della somma di Euro 12.409,43, pari a L. 24.028.800, già versatale in acconto.
Riguardo a tale complessa domanda il Tribunale ha ritenuto, anzitutto, che l'incarico conferito dalla BANCHI MAISON alla FIDIA avesse natura mediatoria, e che per buon fine dell'affare, atto a far sorgere l'obbligo di pagamento della pattuita provvigione, dovesse intendersi l'approvazione - in effetti avvenuta - del finanziamento, per ottenere il quale la FIDIA aveva svolto la sua attività di intermediaria. Ha escluso invece che la necessità di fornire una garanzia fideiussoria per ottenere la concreta erogazione del finanziamento fosse condizione necessaria per il maturare del compenso mediatorio e che tale necessità fosse stata dalla FIDIA, o dal suo procacciatore d'affari M.S., rappresentata ingannevolmente al legale rappresentante della BANCHI MAISON, che del resto aveva sottoscritto il contratto di finanziamento pur consapevole che, alla luce della pattuizione in esso specificamente inserita, sarebbe stato necessario procurarsi una garanzia fideiussoria per ottenere le somme finanziate.
Con la seconda domanda, proposta in via subordinata, l'opponente aveva chiesto che il Giudice adito dichiarasse che il comportamento ingannatorio del responsabile della FIDIA e dell'agente di quest'ultima, sig. M.S., aveva comunque indotto il legale rappresentante della BANCHI MAISON a pattuire il compenso di cui alla citata lettera d'incarico con le modalità e con le scadenze ivi descritte, piuttosto che con riferimento al momento dell'effettiva erogazione del finanziamento,
come invece gli era stato promesso verbalmente, e che conseguentemente dichiarasse, in relazione al danno così subito, che ex art. 1440 cod. civ., nulla avrebbe dovuto essere pagato alla FIDIA fino al momento dell'effettiva erogazione del finanziamento.
Anche tale domanda è stata ritenuta infondata dal Tribunale sulla base delle medesime considerazioni sopra illustrate.
Con la terza domanda, proposta per la prima volta in ulteriore subordine nell'udienza di precisazione delle conclusioni, l'opponente aveva chiesto che il Tribunale dichiarasse che l'affare di cui alla ripetuta lettera d'incarico per la pratica di finanziamento agevolato non era stato condotto a buon fine e che pertanto nulla era dovuto alla FIDIA o, comunque, che le era dovuta una somma inferiore a quella pattuita in relazione all'opera prestata, con ogni conseguente provvedimento.
Sul punto, come s'è detto, il Tribunale ha ritenuto che fosse stata tardivamente proposta una domanda nuova, e, quindi, l'ha dichiarata inammissibile.
Per la riforma di tale sentenza ha interposto gravame avanti a questa Corte d'Appello la BANCHI MAISON (ora in veste di S.p.A.) con atto di citazione notificato in data 3.4.2003.
Si è costituita in giudizio l'appellata società FIDIA resistendo al gravame. Così integrato il contraddittorio, negata poi all'appellante la sospensione della provvisoria esecuzione dell'impugnata sentenza e precisate di seguito le conclusioni - conformemente agli atti introduttivi - nei termini letteralmente trascritti in epigrafe, questa Corte ha infine trattenuto la causa in decisione all'udienza del 2.3.2004, concedendo alle parti - nei limiti temporali previsti dagli artt. 190 e 352 cod. proc. civ.
- i termini, rispettivamente, di cinquanta e di venti giorni per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
Con sentenza 19.5-1.6.2004 la Corte d'Appello di Milano, definitivamente pronunciando, provvedeva come segue:
"1) respinge l'appello confermando, per l'effetto, l'impugnata sentenza n. 68/2003 del Tribunale di Pavia, pubblicata in data 14.2.2003;
2) condanna l'appellante all'integrale rifusione delle spese di lite sostenute dall'appellata nel presente grado, liquidate per tale fase in Euro 3.990,73 (di cui Euro 4,00 per anticipi esenti, Euro 73,24 per esborsi, Euro 557,72 per diritti, Euro 3.000,00 per onorari ed Euro 355,77 per spese generali di studio al 10%), oltre ai competenti oneri fiscali e previdenziali".
Contro questa decisione ha proposto ricorso per cassazione la BANCHI MAISON s.p.a.. Ha resistito con controricorso la FIDIA s.r.l. in liquidazione.
La BANCHI MAISON s.p.a. ha depositato memoria. DIRITTO
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia "Violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. c.c., artt. 1703 e segg. x.x. x xxxxx xxxx. 0000 x xxxx. x.x., xxxxx xx relazione all'art. 2697 c.c..
Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)" esponendo doglianze che hanno anzitutto ad oggetto la natura del contratto (mandato o mediazione) e che possono essere riassunte come segue. La Corte d'Appello di Milano ha affermato che il rapporto scaturente dall'incarico conferito dalla Banchi Maison srl alla Fidia srl era di mandato e non di mediazione (come ritenuto dal primo Giudice) in quanto l'incarico di espletare "tutti gli adempimenti connessi con il perfezionamento delle pratiche sembrava per l'appunto implicare all'occorrenza anche la eventuale sottoscrizione di atti negoziali" e che nell'incarico era stato delegato "a tal fine anche il potere di agire in suo nome e per suo conto", pervenendo alla conclusione "che la qualità di rappresentante ad negotia di una delle parti e la qualità di mediatore sono incompatibili" e "tale clausola fa trasmigrare direttamente ... la fattispecie ... nella tipologia contrattuale nominata, qual è appunto il mandato", (pagg. 10-11 sentenza impugnata). La Corte milanese ha omesso di applicare la regola di cui all'art. 1362 c.c., per la quale nell'interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole; ed ha omesso di eseguire un'approfondita indagine alla luce delle risultanze di causa dalle quali risulta che nessuna attività negoziale, anche con poteri rappresentativi, è stata svolta dalla Fidia srl.. Espletare in nome e per conto altrui adempimenti che si concretano in trasmissione e deposito di documenti sottoscritti dal proprio assistito, fornire consulenza ed assistenza per il perfezionamento della pratica di finanziamento, vuoi dire soltanto compiere un'attività esecutiva riguardante adempimenti tecnico-pratici e di cooperazione materiale e di assistenza, restando esclusa ogni attività di natura negoziale o di natura giuridica avente rilevanza esterna in nome e per conto di colui che ha conferito l'incarico.
L'attività diretta a mettere in contatto due o più parti e a cooperare materialmente al fine di far concludere tra le stesse un contratto, costituisce mediazione, che non viene meno per l'unilateralità dell'incarico e per il fatto che la provvigione è a carico di una sola parte. E' stato precisato poi che nell'ambito di un rapporto di intermediazione finanziaria, l'assunzione di compiti di consulenza non pregiudica la neutralità e l'imparzialità che contraddistinguono l'attività del mediatore (Cass. 2.6.1992 n. 6677). Ne consegue altresì che la Corte d'Xxxxxxx doveva dichiarare sia la nullità dell'incarico mediatorio, sia il conseguente difetto di titolo al compenso provvigionale, risultando pacifico, ed in ogni caso mancando la prova dell'iscrizione della Fidia srl nel ruolo dei mediatori ai sensi della L. n 39 del 1989.
Le doglianze sopra riassunte debbono ritenersi fondate.
In estrema sintesi la Corte basa in effetti la sua tesi circa la non configurabilità nella specie di un rapporto di mediazione, essenzialmente sulla sussistenza della sopra citata rappresentanza nel compimento di attività di vario tipo ("... che avrebbero potuto essere, in mancanza di esplicita limitazione, anche di natura giuridica ...") e sull'affermazione che "... la qualità di rappresentante ad negotia di una delle parti e la qualità di mediatore sono incompatibili ...".
Indubbiamente chi cerca di far accordare le parti per la conclusione di un negozio giuridico non può svolgere anche il ruolo di rappresentante diretto di una delle parti; ma, a parte la circostanza che una siffatta rappresentanza è possibile con riferimento agli atti relativi all'esecuzione del contratto concluso (art. 1761 c.c.), va rilevato che il Giudice di secondo grado non ha esposto una motivazione sufficiente (anzitutto) circa la distinzione (con riferimento alle problematiche riguardanti lo specifico negozio giuridico in questione) tra incarico configurante una rappresentanza diretta ed incarico configurante una rappresentanza in diretta.
Inoltre con riferimento alla prima si è limitata ad una enunciazione (v. in particolare a pag. 10) sostanzialmente apodittica ("...
delegandole a tal fine anche il potere di agire in suo nome e per suo conto ...", senza chiarire adeguatamente sulla base di quali elementi si dovrebbe ritenere che la BANCHI MAISON abbia conferito alla FIDIA una vera e propria procura (ed in realtà il Giudice non ha neppure usato espressamente detto nomeniuris); e senza precisare nèperchè detta procura sarebbe stata necessaria (o soltanto utile) per il raggiungimento dello scopo voluto dai contraenti; nè, in particolare per quali atti la FIDIA avrebbe potuto e/o dovuto agire in nome e per conto della controparte (spendendone dunque il nome).
Con riferimento alla seconda poi (alla quale soprattutto il Giudice sembra aver voluto fare riferimento) manca una concreta e compiuta comparazione tra mandato e mediazione con riferimento alle risultanze processuali sul punto.
Invero per risolvere la questione non basta rilevare che con la lettera in questione la BANCHI MAISON ha conferito alla FIDIA l'incarico di espletare n tutti gli adempimenti relativi alla istruttoria ed al perfezionamento delle pratiche più opportune per ottenere l'erogazione dei contributi e finanziamenti in nostro favore" (oltre che il "... potere di rappresentarla nel compimento di attività ..."). Infatti anche nella mediazione (se contrattuale) il cliente da incarico al mediatore di svolgere tutti gli adempimenti più opportuni (ed in genere ogni attività utile) per ottenere che si addivenga alla stipulazione del contratto voluto; e la differenza tra mediazione e mandato non consiste dunque nè nella natura nè nel contenuto delle funzioni oggetto dell'incarico. In particolare lo svolgimento di atti di natura giuridica non può costituire un decisivo elemento discriminante; infatti, se è vero che il mandato è il contratto col quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti
giuridici per conto dell'altra (art. 1703 c.c.), spesso vengono svolte attività giuridiche (oltre che materiali) pure nella mediazione.
Detta differenza va invece individuata nel fatto che a differenza di quanto accade nel mandato, in cui chi accetta l'incarico volto alla conclusione di un affare è tenuto all'obbligo di curarne l'esecuzione (cioè a svolgere una determinata attività giuridica, con diritto al compenso da parte del mandante indipendentemente dal risultato conseguito e, quindi, anche se l'affare non è andato a buon fine), a tale obbligo non è, invece, tenuto il mediatore, il quale, interponendosi in maniera neutrale e imparziale tra due contraenti, ha non l'obbligo contrattuale (quanto meno come regola generale; e salvo eccezioni derivanti da specifici accordi contrattuali i quali possono anche prevedere esplicitamente od implicitamente il sorgere dell'obbligo stesso), ma soltanto l'onere (se vuoi conseguire il diritto al pagamento della provvigione) di metterli in relazione, appianarne le divergenze e farli pervenire alla conclusione dell'affare (cfr., tra le altre, Cass. Sentenza n. 9380 del 27/06/2002).
Anche con riferimento a tale diversità tra i due istituti giuridici ed alla sua applicazione in concreto nella fattispecie non sussiste una motivazione adeguata.
E' opportuno precisare che non è solo la comune prassi commerciale a veder diffondersi sempre più la figura di mediatori che si occupano di promuovere la stipula di mutui od altre operazioni finanziarie; ma è anche la stessa legge a prevedere espressamente, nell'ambito dei mediatori, una categoria nella quale vanno inquadrati i soggetti che svolgono attività di intermediazione per i contratti di finanziamento (cfr. Cass. Sentenza n. 4800 del 17/05/1999: "Per effetto dell'integrazione della L. 3 febbraio 1989, n. 39, ad opera del D.M. 21 dicembre 1990, n. 452, recante il regolamento di attuazione della legge, il quale ha previsto una quarta sezione del ruolo dei mediatori destinata agli agenti in servizi vari, nella quale vengono iscritti gli agenti che svolgono attività per la conclusione di affari relativi al settore dei servizi, nonchè tutti gli altri agenti che non trovano collocazione in una delle altre tre sezioni precedenti, devono essere iscritti in detta sezione, atteso il suo carattere residuale, in particolare, i soggetti che svolgono attività di intermediazione per i contratti di finanziamento (per i quali è stata successivamente prevista dalla L. n. 108 del 1996, l'istituzione di un apposito albo) con la conseguenza, che in difetto di iscrizione, non compete al mediatore finanziario per l'opera prestata il diritto al compenso (art. 2231 cod. civ.))".
Non sembra inutile aggiungere che la giurisprudenza ha riconosciuto la compatibilità della mediazione con la sussistenza di un particolare rapporto contrattuale (non implicante il conferimento di una procura) tra mediatore ed uno dei contraenti (x. Xxxx. Sentenza n. 14582 del 22/06/2007: "E' configurabile il diritto alla provvigione del mediatore per l'attività di mediazione
prestata in favore di una delle parti contraenti quando egli sia stato contemporaneamente procacciatore d'affari dell'altro contraente.
Infatti, se è vero che, normalmente, il procacciatore d'affari ha diritto al pagamento solo nei confronti della parte alla quale sia legato da rapporti di collaborazione, è anche vero che tale "normale" assetto del rapporto può essere derogato dalle parti, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, ben potendo il procacciatore, nel promuovere gli affari del suo mandante, svolgere attività utile anche nei confronti dell'altro contraente con piena consapevolezza e accettazione da parte di quest'ultimo. Di conseguenza, essendo il procacciatore di affari figura atipica, i cui connotati, effetti e compatibilità, vanno individuati di volta in volta, con riguardo alla singola fattispecie, occorre avere riguardo, in materia, al concreto atteggiarsi del rapporto, e in particolare alla natura dell'attività svolta e agli accordi concretamente intercorsi con la parte che non abbia conferito l'incarico").
Va aggiunto infine che la L. 3 febbraio 1989, n. 39. "MODIFICHE ED INTEGRAZIONI ALLA L.
21 marzo 1958, n. 253, CONCERNENTE LA DISCIPLINA DELLA PROFESSIONE DI MEDIATORE" ha previsto (all'art. 2) pure la figura degli "AGENTI CON MANDATO A TITOLO ONEROSO"; e che il regolamento citato nella suddetta sentenza (Decreto 21 dicembre 1990, n. 452 "REGOLAMENTO RECANTE NORME DI ATTUAZIONE DELLA L. 3 febbraio 1989, n. 39, SULLA DISCIPLINA DEGLI AGENTI DI AFFARI IN MEDIAZIONE") ha ribadito all'art. 3, la sussistenza di detta figura.
In conclusione la Corte di merito, per pervenire alla conclusione della sussistenza di un mandato e non di una mediazione avrebbe dovuto affrontare una vasta gamma di problematiche che ha invece omesso di considerare.
Sulla base dei rilievi che precedono (tutti esplicitamente od implicitamente oggetto del motivo di ricorso sopra citato) deve concludersi che la motivazione contenuta nell'impugnata decisione è costituita da un percorso argomentativo logicamente (e giuridicamente) non compiuto e esauriente; e deve quindi ritenersi insufficiente.
L'impugnata decisione va dunque cassata sul punto.
Tale decisione ha carattere assorbente (l'eventuale sussistenza di un rapporto di mediazione comporterebbe infatti la necessità di iscrizione nel ruolo sopra citato con le relative implicazioni) sulle altre doglianze, che potranno essere riproposte in sede di rinvio (in particolare sulla residua parte del primo motivo concernente il "...
momento del sorgere del diritto al compenso ..."; sul secondo motivo con cui la ricorrente denuncia "Violazione o falsa applicazione degli artt. 1175, 1176, 1439 e 1440 c.c.. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)"; e sul
terzo motivo con cui si denuncia "Violazione e falsa applicazione dell'art. 208 c.p.c., anche in relazione all'art. 104 disp. att. c.p.c.nonchè mancanza e/o insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia").
Il Giudice del rinvio va individuato in altra sezione della Corte di Appello di Milano. A quest'ultimo va rimessa anche la decisione sulle spese del giudizio di Xxxxxxxxxx.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nella parte indicata in motivazione;
cassa l'impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte di Appello di Milano.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2008. Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2008