Contract
Il regolamento di condominio
Avv. Xxxxxxx Xxxxxxxx
Xxxxx xxx Xxxxxxxxxxxxxx xx Xxxxxxxxxx – Xxxx Xxxxxxxxxxx xx Xxxxxx Xxxxxxxx – ANNO 2017
Legum servi sumus ut liberi esse possimus.
(M.T. Xxxxxxxx, Pro Aulo Cluentio Habito).
INDICE
Premessa | pag. | 2 |
Capitolo I - Il regolamento assembleare | pag. | 4 |
Capitolo II - Il regolamento contrattuale | pag. | 6 |
Capitolo III - Le tabelle millesimali | pag. | 9 |
Bibliografia | pag. | 11 |
Premessa
Questo nostro lavoro affronta una tematica altamente interessante: quella del regolamento di condominio. In apertura è sembrato opportuno citare il pensiero di Xxxxx Xxxxxx Xxxxxxxx tratto dalla sua famosa orazione Pro Aulo Xxxxxxxx Xxxxxx: “Legum servi sumus ut liberi esse possimus”, poiché riteniamo che, per poter essere liberi, bisogna esser schiavi delle leggi e il regolamento condominiale nel suo piccolo rappresenta il complesso basilare di norme alle quali i condomini si devono uniformare per poter meglio convivere in libertà all’interno del condominio.
Il regolamento di condominio in base al fatto costitutivo può essere di due tipi: assembleare o contrattuale. Il regolamento assembleare è normato dall’art. 1138 del Codice Civile, che fissa a dieci il numero di condomini entro il quale è facoltativa la sua formazione, superata tale soglia scatta l’obbligo per l’Assemblea di condominio di dotarsi di un regolamento, in cui si indichino le norme sull’uso delle cose comuni e sulla ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione, senza ledere i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, né derogare alle disposizioni degli articoli 1118, II comma (irrinunciabilità del diritto del condomino sulle parti comuni), 1119 (indivisibilità delle parti comuni, salvo consenso unanime), 1120 (maggioranze qualificate per le innovazioni), 1129 (nomina revoca ed obblighi dell’amministratore), 1131 (rappresentanza dell’amministratore), 1132 (dissenso dei condòmini rispetto alle liti), 1136 (costituzione dell’assemblea e validità delle deliberazioni) e 1137 (impugnazione delle delibere) del Codice Civile, né tanto meno vietare di possedere o detenere animali domestici. Tale regolamento può essere formato o revisionato su iniziativa di ciascun condomino, deve essere approvato con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio e deve essere allegato al registro dei verbali delle assemblee e può essere impugnato nei termini indicati nell’art. 1107 c.c. Il regolamento assembleare è formato volontariamente dall’assemblea condominiale e,
come visto, non richiede l’unanimità dei condomini, ma solo una maggioranza qualificata; mentre il regolamento contrattuale, contrassegnato da un contenuto più incisivo in merito alla disciplina delle parti comuni e al regime dei piani o delle porzioni di piano in proprietà solitaria, è predisposto dal costruttore-venditore, unico proprietario originario del fabbricato, ed è accettato dagli acquirenti con gli atti di acquisto, o adottato con una convenzione ad hoc da tutti i condomini, che si impegnano ad osservarlo, per cui l’unanimità dei condomini è una prerogativa essenziale. Il regolamento contrattuale è anche detto regolamento esterno, perché la sua formazione avviene a opera di un terzo, ed è molto più stringente nel regolare i diritti dei singoli condomini rispetto al regolamento assembleare, poiché trae la sua forza vincolante dalla volontà dei condomini espressa
attraverso l’accettazione di una disciplina predisposta da persone esterne e destinata a divenire parte integrante del rogito e a resistere ai mutevoli voleri della maggioranza.
Capitolo I
Il regolamento assembleare
L’assemblea può formare il regolamento in seguito alla costituzione del condominio, coesistendo nello stesso edificio più proprietà separate. L’efficacia del regolamento è vincolante nei confronti di tutti i condomini (contrari e assenti inclusi), dei loro eredi e aventi causa e trae origine dalla delibera assembleare approvata con la maggioranza prevista. Le norme generali ed astratte del regolamento riguardano chiunque diventi titolare della situazione soggettiva di condomino. Il regolamento, pertanto, costituisce la legge interna del condominio e, chi vi entra, ne resta soggetto automaticamente solo perché è divenuto condomino. Il potere dell’assemblea di emanare norme eteronome si giustifica considerando l’assemblea come una autorità privata, istituita direttamente dalla legge.
Il regolamento assembleare disciplina il settore della gestione, quindi ciò che concerne l’amministrazione in senso lato delle cose, degli impianti e dei servizi comuni: in modo specifico, l’uso e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi di ciascuno; la tutela del decoro dell’edificio; l’amministrazione, nell’ambito della quale rientrano la nomina e la revoca dell’amministratore; l’approvazione del preventivo delle spese e del rendiconto; la decisione delle opere di manutenzione ordinaria e straordinaria. Possono, inoltre, formare oggetto del regolamento altre attività di amministrazione, quali le innovazioni, quelle modifiche materiali e funzionali delle parti comuni dirette a migliorarne il godimento nell’interesse di tutti, al fine di conseguire un’utilizzazione più proficua delle parti comuni, senza pregiudizio di alcuno dei partecipanti. All’assemblea condominiale, vista la sostanziale identità delle materie comprese tra le sue attribuzioni deliberanti, ex artt. 1129 e 1135 x.x., x xxxxxxxxxxxxxx, xx xxx. 0000 x.x., xxxxx riconosciuti identici poteri sia se deliberi su singole questioni concrete sia se emani norme con carattere generale ed astratto. In materia di uso delle parti comuni, di ripartizione delle spese, di tutela del decoro dell’edificio e di amministrazione, il contenuto ed i limiti del regolamento assembleare sono definiti dalla funzione di gestione nel rispetto, ex art. 1138 c.c. e art. 72 disp. att. c.c., dei diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino e non possono, in alcun modo, menomare i diritti di ciascun partecipante, quali derivano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni e, ovviamente, dalla legge.
La trascrizione non è necessaria sia per l’efficacia del regolamento assembleare nei confronti degli aventi causa dai condomini, sia per l’osservanza delle deliberazioni da parte dei successivi acquirenti, essendo il semplice perfezionamento degli atti sufficiente per l’esistenza del vincolo interno senza limitazioni personali e temporali; l’efficacia dipende dalla natura normativa, così come stabilita dalla legge nei confronti di tutti coloro che del condominio vengono a far parte.
Il terzo comma dell’art. 1138 c.c. statuisce che il regolamento può essere impugnato a norma dell’articolo 1107 c.c., secondo il quale “ciascuno dei partecipanti dissenzienti può impugnare davanti all’autorità giudiziaria il regolamento della comunione entro trenta giorni dalla deliberazione che lo ha approvato. Per gli assenti il termine decorre dal giorno in cui è stata loro comunicata la deliberazione. Decorso il termine indicato senza che il regolamento sia stato impugnato, questo ha effetto anche per gli eredi e gli aventi causa dai singoli partecipanti”. Per ciò che riguarda i soggetti legittimati ad impugnare ed i termini, la norma non si discosta dal tenore del secondo e terzo comma dell’art. 1137 c.c. Bisogna chiarire se oggetto dell’impugnazione sia propriamente il regolamento o la delibera che lo approva. Tenendo presente la distinzione tra le ipotesi di annullabilità e di nullità, posto che per quanto non espressamente disciplinato l’impugnazione dei regolamenti approvati a maggioranza segue le regole concernenti l’impugnazione delle deliberazioni assembleari in generale. Poiché l’istanza di annullamento può essere proposta dai condomini contrari o assenti entro il termine di trenta giorni, si tratterà sicuramente di annullabilità, che incide sulla delibera di approvazione, essendo difficile pensare a un vizio formale che riguarda le norme regolamentari che disciplinano il funzionamento dell’assemblea, in quanto il vizio finisce per risolversi in una difformità dalle statuizioni inderogabili di cui agli artt. 1136 e 1137 c.c. L’annullabilità si riferisce, quindi, non ai regolamenti, ma alle delibere che li approvano senza l’osservanza delle regole relative alla formazione degli atti. Diversa la disciplina della nullità: in questo caso, il vizio può riguardare sia la delibera di approvazione, sia le norme regolamentari. Sussistono delibere nulle per illiceità e per impossibilità dell’oggetto, ma anche delibere approvate regolarmente, che però adottano un regolamento con disposizioni viziate dall’impossibilità o dall’illiceità dell’oggetto. Poiché l’assemblea non può deliberare su materie non comprese tra le sue attribuzioni, né menomare i diritti, che ai singoli derivano dalla legge, dagli atti d’acquisto o dalle convenzioni, né tanto meno violare le norme imperative, le delibere di approvazione o le norme regolamentari affette da questi vizi devono considerarsi nulle e improduttive di qualsiasi effetto e di conseguenza sono impugnabili in ogni tempo, da parte di chiunque abbia interesse.
Capitolo II
Il regolamento contrattuale
Il regolamento contrattuale ha origine da due atti: la convenzione e il patto. La convenzione è un accordo fra i partecipanti al condominio, mediante il quale tutti i condomini si attribuiscono diritti o si obbligano reciprocamente all’osservanza di un determinato testo. Il patto è un particolare accordo, contenuto negli atti di acquisto dei piani o delle porzioni di piano, in virtù del quale gli acquirenti accettano il regolamento predisposto dal venditore, che di solito è l’unico originario proprietario.
A norma dell’art. 1322 c.c., i regolamenti contrattuali possono costituire, modificare o estinguere i rapporti giuridici patrimoniali riguardanti sia le parti comuni, sia le unità immobiliari in proprietà solitaria.
Le disposizioni regolamentari fissano limiti ai diritti sulle parti comuni o sui piani o le porzioni di piano; ovvero impongono oneri o veri e propri pesi sulle cose comuni a vantaggio dei piani o delle porzioni di piano; oppure stabiliscono pesi su talune unità immobiliari a vantaggio di altre unità.
La giurisprudenza tende a definire i rapporti come obbligazioni o come oneri reali. La dottrina, invece, ammette la costituzione di servitù prediali reciproche non solo tra le unità immobiliari in proprietà separata esistenti nello stesso edificio, ma anche sulle parti comuni in favore dei piani o delle porzioni di piano in proprietà esclusiva. La scelta dell’una o dell’altra soluzione comporta riflessi importanti quanto all’efficacia dei vincoli e delle relative pretese rispetto alle parti stipulanti e soprattutto ai loro aventi causa.
L’efficacia nei confronti di coloro i quali acquistano in un secondo momento le unità immobiliari esige la trascrizione del regolamento nei pubblici registri immobiliari. Ma la trascrivibilità delle obbligazioni o degli oneri reali non è prevista, in quanto dalla legge è ammessa soltanto la trascrizione della costituzione o della modifica dei diritti reali: quindi, delle servitù prediali (art. 2643 n. 4 c.c.). Avuto riguardo all’individuazione normativa dei diritti reali, alla loro specificità ed ai poteri dell’autonomia privata, è di certo ammissibile la costituzione sulle unità immobiliari in proprietà esclusiva esistenti nello stesso edificio di servitù prediali reciproche; ma è del pari ammissibile la costituzione sulle cose, gli impianti ed i servizi comuni di servitù prediali a vantaggio dei piani o delle porzioni di piano in proprietà esclusiva.
Con il regolamento contrattuale si possono porre in essere anche obbligazioni collegate con le parti comuni, cui fanno riscontro altrettanti diritti di credito, o semplici regole di comportamento, concernenti l’uso o la gestione delle parti comuni. Scoprire l’intenzione dei contraenti e stabilire quale tipo di rapporto essi abbiano posto in essere raffigura il risultato
dell’attività di interpretazione, da compiersi con i consueti canoni riguardanti l’ermeneutica contrattuale. Le servitù si trascrivono sui registri immobiliari, mentre le obbligazioni propter rem e gli oneri reali non si trascrivono (art. 2643 n. 4 c.c.).
Ben più ampio, vario ed incisivo il contenuto del regolamento contrattuale, da cui possono derivare la costituzione, la modifica o l’estinzione dei diritti concernenti le parti di uso comune o i piani e le porzioni di piano; possono, quindi, derivare effetti che si risolvono in un incremento o in una diminuzione patrimoniale non insignificanti. Le norme regolamentari, cui fanno seguito attività ed operazioni materiali determinanti il risultato della modifica patrimoniale, positiva o negativa, sostanzialmente esprimono il potere di disposizione.
I confini del regolamento contrattuale vengono definiti sia dal potere di disposizione proprio della privata autonomia (stabilito dall’art. 1322 c.c., con riferimento alla meritevolezza degli interessi) sia dalla configurazione tipica del condominio, determinata dalle norme imperative, ai cui principi i condomini non possono derogare neppure con il negozio. Entro questi margini, per contratto i partecipanti possono disporre dei diritti e degli obblighi sulle cose, sugli impianti e sui servizi comuni, nonché sulle unità immobiliari in proprietà solitaria, quindi possono regolare meglio i profili attivi e passivi della situazione soggettiva di condominio, con i relativi diritti ed obblighi, circoscriverli, estenderli o rinunziare ad essi; allo stesso tempo, possono disciplinare il godimento e la destinazione dei piani o delle porzioni di piano in proprietà solitaria. La trascrizione del contratto di vendita, cui è allegato il regolamento di condominio, o del regolamento contrattuale costituente un atto a sé, rende il regolamento conoscibile dai terzi (art. 2644 comma 1 c.c.), quindi conoscibile anche dai successivi acquirenti delle unità immobiliari. Ciò significa che, in seguito alla trascrizione, il regime dell’immobile determinato dalla disciplina predisposta da un certo regolamento di condominio non può essere contestato. In seguito alla trascrizione non si può ignorare e revocare in dubbio la situazione giuridica dell’immobile,
configurata anche dai diritti e dai pesi trascritti che lo riguardano.
Può apparire contraddittorio che i vincoli statuiti dai regolamenti assembleari ai nuovi acquirenti si applichino comunque, in virtù della loro efficacia normativa, mentre quelli fissati dai regolamenti contrattuali non si trasferiscano se non in virtù della trascrizione, o dell’accettazione espressa. La diversa regola si giustifica in ragione del differente contenuto, in quanto i regolamenti assembleari attengono alla collaborazione e si esauriscono nella disciplina della gestione delle cose, degli impianti e dei servizi comuni; i regolamenti contrattuali, invece, riguardano anche l’attribuzione e possono incidere sul regime della disposizione delle parti comuni e delle unità immobiliari in proprietà solitaria.
Il regolamento contrattuale deve essere interpretato secondo i canoni dell'ermeneutica contrattuale (artt. 1362-1371 c.c.) e può essere modificato solo in virtù di un nuovo regolamento con il consenso di tutti i partecipanti. In effetti, però, per modificare le clausole che riguardano l’uso delle parti comuni, la ripartizione delle spese, la tutela del decoro dell’edificio e l’amministrazione, avendo natura meramente regolamentare, è sufficiente una semplice deliberazione dell’assemblea con le maggioranze previste dall’art. 1136, comma 2, c.c., poiché l’effettiva natura negoziale riguarda solamente le clausole che incidono sulla sfera dei diritti soggettivi o delle obbligazioni dei partecipanti.
Con il procedimento di impugnazione si fanno valere i vizi del negozio che approva il regolamento. Si fa valere, cioè, l’invalidità del contratto e se ne inficiano gli effetti. Oggetto dell’impugnazione non sono le norme regolamentari in sé, ma l’atto, da cui le norme promanano, con il quale le parti si sono impegnate ad osservare il regolamento.
Al regolamento contrattuale si applicano le disposizioni concernenti l’invalidità dei contratti. I casi di impugnazione per nullità o annullabilità non sono frequenti, il contenzioso in materia riguarda prevalentemente l’interpretazione e la portata delle clausole.
Quanto alla nullità, è possibile la mancanza dei requisiti indicati dall’art. 1325 c.c., ma non probabile, perché l’accordo, la causa, l’oggetto e la forma non mancano ogniqualvolta che l’unico proprietario originario e gli acquirenti, oppure i condomini, si accordano per regolare l’uso e la ripartizione delle spese, la tutela del decoro dell’edificio e l’amministrazione, o per disciplinare il godimento e la destinazione delle unità immobiliari in proprietà esclusiva. Lo stesso discorso vale per il motivo illecito comune a tutti, che determina la conclusione del contratto. Per contro, non è difficile pensare all’illiceità della causa per contrarietà alle norme imperative, che sussiste quando le disposizioni regolamentari si pongono in contrasto con le norme dichiarate inderogabili dall’ultimo comma dell’art. 1138 c.c., o quando sono contrarie al buon costume. Ovviamente, la nullità può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse (art. 1421 c.c.), senza termini di tempo (art. 1422 c.c.).
Quanto all’annullabilità, il contratto può essere inficiato dai vizi previsti dagli artt. 1425- 1440 c.c. Una delle parti stipulanti può essere legalmente incapace di contrattare (art. 1425) o incapace di intendere e di volere (art. 428); il consenso può essere dato per errore (artt. 1428, 1429, 1431), estorto con violenza (art. 1434) o carpito con dolo (art. 1439). In questi casi, l’annullamento può essere domandato solo dalla parte, nel cui interesse è stabilito dalla legge (art. 1441), e l’azione si prescrive in cinque anni (art. 1442). Il provvedimento giurisdizionale che accoglie l’istanza, sia esso dichiarativo o costitutivo, incide sull’atto e si riverbera sui suoi effetti, posto che l’invalidità del contratto fa venir meno i diritti e le obbligazioni che ne sono scaturiti.
Capitolo III
Le tabelle millesimali
Anche le tabelle millesimali possono essere assembleari o contrattuali. Tuttavia le differenze originate dal fatto costitutivo non vengono adeguatamente sottolineate dalla dottrina e dalla giurisprudenza dominanti. Per il secondo comma dell’art. 68 disp. att. c.c., le tabelle, che esprimono in millesimi il valore degli appartamenti rispetto a quello dell’intero edificio, devono essere allegate al regolamento di condominio. A norma dell’art. 69 disp. att. c.c., le tabelle possono essere rivedute o modificate quando sono conseguenza di un errore o quando è notevolmente alterato il rapporto originario tra i valori dei piani per le mutate condizioni dell’edificio. Per contro, sono numerose le questioni che riguardano la formazione, la funzione, l’impugnazione e la revisione, e che non trovano una chiara soluzione in dottrina ed in giurisprudenza.
Per la giurisprudenza (Cass., sez. II, 8 luglio 1964, n. 1801; Cass., sez. II, 20 maggio 1966,
n. 1307; Cass., sez. II, 27 dicembre 1967, n. 3012; Cass., sez. II, 6 maggio 1968, n. 1358; Cass., sez. II, 9 agosto 1996, n. 7359) la formazione non rientra nella competenza dell’assemblea, ma esige l’accordo di tutti i condomini: l’atto costitutivo, perciò, configura la natura negoziale dell’atto di approvazione delle tabelle e la sua classificazione nella categoria del negozio di accertamento. Da cui si ha la nullità delle tabelle approvate in assemblea a semplice maggioranza. Decisamente contraria la dottrina più autorevole, che ammette che le tabelle possano essere approvate con la stessa maggioranza che adotta il regolamento.
In dottrina si discute se il funzionamento dell’assemblea condominiale presupponga l’approvazione delle tabelle. All’affermazione che il difetto comporti l’invalidità di qualsivoglia delibera, la Suprema Corte di Cassazione con due note pronunzie (Cass., sez. II, 3 dicembre 1999,
n. 13505; Cass., sez. II, 23 giugno 1998, n. 6202) ha risposto osservando che l’approvazione delle tabelle non raffigura un prerequisito della validità del funzionamento dell’assemblea, in quanto elemento essenziale per la sua costituzione e per il computo delle maggioranze occorrenti per la votazione e per la gestione è la determinazione del valore proporzionale tra il piano o la porzione di piano, di cui ciascuno è proprietario, e l’intero edificio, che può sempre essere calcolato e utilizzato, anche se non espresso in millesimi.
In tema di impugnazione, nascono incertezze circa la legittimazione passiva in base alla configurazione dell’atto di approvazione, posto che per l’impugnazione delle tabelle approvate con una delibera assembleare la legittimazione passiva spetta senz’altro all’amministratore, mentre per l’impugnazione delle tabelle contrattuali la legittimazione fa capo a tutte le parti stipulanti il negozio giuridico. È risaputo, infatti, che l’amministratore può essere convenuto in giudizio per qualunque azione che concerne le parti comuni dell’edificio, secondo il primo comma dell’art.
1131 c.c., e che tale disposizione viene interpretata estensivamente, per cui la legittimazione passiva dell’amministratore si ritiene sussistere in relazione a qualsiasi azione concernente l’impugnativa delle delibere assembleari (Cass., sez. II, 7 febbraio 1998, n. 1302; Cass., sez. II, I luglio 1997, n. 5843; Cass., sez. II, 19 novembre 1992, n. 12379). Nulla quaestio per l’impugnativa delle tabelle approvate dall’assemblea. Per l’impugnazione delle tabelle approvate per contratto, invece, la legittimazione dell’amministratore in luogo di quella di tutti gli stipulanti, per rendere più agevole la chiamata in giudizio del condominio, potrebbe sostenersi sulla base degli interessi afferenti alle cose comuni e sulla considerazione che la norma sopra ricordata deroga alla disciplina concernente la pluralità dei soggetti passivi (Cass., sez. II, 26 febbraio 1996, n. 1485).
Quanto alle modifiche delle tabelle millesimali, non esistono gravi contrasti circa l’identificazione dei fatti materiali che le giustificano, quanto alla revisione, invece, il concetto di errore può essere ricondotto volta per volta o all’art. 1428 c.c. o alla discrepanza tra la realtà materiale e di fatto e le tabelle. Le controversie concernenti la natura dell’atto di approvazione delle tabelle si riflettono sui fatti che legittimano la revisione. Quanto all’errore, che giustifica la revisione delle tabelle, ai sensi dell’art. 69 n. 2 disp. att. c.c., si fa consistere nella divergenza tra i valori reali dei piani o delle porzioni di piano, rapportati a quello dell’edificio, e le tabelle millesimali derivanti da innovazioni e ristrutturazioni successive all’atto che le approva (Cass., sez. II, 22 novembre 2000, n. 15094; Cass., sez. II, 19 febbraio 1999, n. 14089). L’errore, dunque, non coincide con l’errore vizio del consenso, disciplinato dagli art. 1428 ss., ma si concreta nella divergenza obbiettiva tra il valore attribuito nelle tabelle, senza che in proposito rilevi il carattere negoziale della formazione (Cass., sez. un., 9 luglio 1997, n. 6222). Nonostante questa autorevole presa di posizione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, talora si continua a sostenere che sia rilevante l’accertamento circa la natura negoziale o contrattuale delle tabelle, poiché in caso di tabella contrattuale l’errore rileva solo in quanto abbia determinato un vizio del consenso (Cass., sez. II, I marzo 2000, n. 22253).
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