COLLEGIO DI COORDINAMENTO – DEC. N. 14555/2020 – PRES. LAPERTOSA – REL. SIRENA
COLLEGIO DI COORDINAMENTO – DEC. N. 14555/2020 – PRES. LAPERTOSA – REL. SIRENA
Garanzie personali - Fideiussione omnibus - intese restrittive della concorrenza – clausole contrattuali riproduttive - nullità – fattispecie (l. n. 287/1990; d. lgs. n. 385/1993, art. 117; cod. civ., artt. 1346; 1418 – 1420; 1474).
Le clausole delle fideiussioni c.d. omnibus che riproducano schemi contrattuali uniformi accertati dall’autorità competente quali intese restrittive della concorrenza sono nulle, con conseguente applicazione della disciplina in materia di nullità del contratto (o di sue clausole) stabilita dal codice civile (IMCS).
FATTO
La ricorrente ha affermato che: x il 30 aprile 2014, avrebbe stipulato con la banca resistente un contratto di fideiussione omnibus per garantire le obbligazioni di una società commerciale; x tale contratto sarebbe tuttavia nullo; x nelle sue clausole sarebbero infatti riprodotti gli artt. 2, 6 e 8 dello schema uniforme predisposto dall’ABI, i quali, secondo quanto accertato dalla Banca d’Italia mediante il provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005, si porrebbero in contrasto con il divieto di intese restrittive della libertà di concorrenza che è sancito dall’art. 2 della legge n. 287 del 1990; x il 7 maggio 2018, la ricorrente avrebbe receduto dal suddetto contratto; x solo mediante le comunicazioni periodiche della banca resistente, la ricorrente avrebbe appreso di aver sottoscritto una fideiussione omnibus; x in precedenza, sarebbe stata infatti convinta di aver garantito fino al massimo del 50% di un finanziamento di € 40.000,00; x non informandola adeguatamente, la banca resistente avrebbe pertanto violato il principio di buona fede.
Ciò posto, la ricorrente ha chiesto che: -in via principale, sia accertato che, stante la nullità del contratto di fideiussione stipulato con la banca resistente, non è debitrice nei confronti di quest’ultima; -in via subordinata, sia accertato che, il 7 maggio 2018, ha receduto da tale contratto.
La banca ha resistito al ricorso, affermando che: x questo Arbitro non potrebbe pronunciarsi nel merito della controversia, in quanto le violazioni dei divieti antitrust allegate dalla ricorrente sarebbero di esclusiva competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa dei Tribunali Ordinari di Milano, Napoli e Roma; x il contratto di fideiussione omnibus stipulato con la ricorrente non sarebbe comunque nullo; x il 19 marzo 2018, a seguito della concessione di un nuovo finanziamento di € 24.000,00 al debitore principale, la ricorrente avrebbe dichiarato di tener ferma la fideiussione rilasciata; x alla data del 25 novembre 2019, il debito del debitore principale sarebbe ammontato a € 17.465,00; x non sarebbe stata comunicata a tale debitore alcuna decadenza dal beneficio del termine.
Ciò posto, la banca resistente ha chiesto che: -in via pregiudiziale, il ricorso sia dichiarato inammissibile per materia; -nel merito, il ricorso sia respinto.
Nella seduta del 26 marzo 2020, il Collegio ABF di Roma, il quale era territorialmente competente a pronunciarsi sul ricorso in questione, ha deciso di sottoporne l’esame a questo Collegio, ritenendo che la questione della nullità dei contratti stipulati “a valle” di un’intesa anticoncorrenziale sia di particolare importanza e volendo evitare l’insorgere di contrasti interpretativi con altri Collegio territoriali.
Mediante l’ordinanza di rimessione (n. 8577 dell’11 maggio 2020), in particolare, il Collegio ABF di Roma ha rilevato che la giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia non risulta univoca, richiamando inoltre la decisione del Collegio ABF di Milano n. 16588 del 4 luglio 2019, secondo la quale il contratto “a valle” di un’intesa concorrenziale sarebbe integralmente nullo.
DIRITTO
(…)
Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990.
Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810).
Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990.
Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto.
Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento.
Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca
resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso.
Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili».
Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente.
Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio.
La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale.
L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta.
Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principi di diritto:
1. Qualora un contratto riproduca uniformemente i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni contrattuali che un’intesa anticoncorrenziale ha fissato in precedenza, le relative clausole contrattuali sono nulle.
2. Per quanto riguarda il prezzo di acquisto o di vendita, in particolare, la nullità della relativa clausola importa la nullità dell’intero contratto, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare tale lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari).
3. Per quanto riguarda le altre condizioni contrattuali, la loro nullità importa la nullità dell’intero contratto soltanto quando esse siano essenziali. Quando esse siano invece accessorie, il contratto resta valido per il resto.
4. A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”.
5. Si tratta di una nullità che può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse.
6. Alla nullità (parziale ovvero totale) del contratto consegue il diritto del ricorrente di domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove esse siano state nel frattempo eseguite.
7. Qualora il ricorrente provi di aver subìto un danno a causa dell’intesa anticoncorrenziale, potrà pretenderne il risarcimento a titolo di responsabilità extracontrattuale della parte che abbia partecipato a tale intesa.