INDICE
OBBLIGHI E RESPONSABILITA’ DEL CURATORE FALLIMENTARE IN MATERIA DI TUTELA AMBIENTALE
Pordenone, 21 ottobre 2014 xxxx. Xxxxxx Xxxxxxxx
INDICE
1. Premessa. pag. 3
2. Responsabilità del curatore in materia di tutela ambientale. pag. 4
3. Obblighi del curatore in materia di tutela ambientale. pag. 9
4. Credito per le spese di ripristino ambientale. pag.10
5. Allegati.
T.A.R. Sardegna Sez. II Sent. n.395/2008 pag.13
T.A.R. Toscana Sez. II Sent. n.663/2009 pag.17
Consiglio di Stato Sez. V Sent. n.3885/2009 pag.23
T.A.R. Toscana Sez. II Sent. n.137/2011 pag.42
T.A.R. Friuli Venezia Giulia Sez. I Sent. n.385/2012 pag.50
T.A.R. Veneto Sez. III Sent. n.1398/2012 pag.56
Consiglio di Stato Sez. V Sent. n.3274/2014 pag.68
1. PREMESSA.
Nell’anno 2006 é entrato in vigore il Testo Unico dell’Ambiente (T.U.A. o codice dell’ambiente), introdotto con il D.Lgs. 3 aprile 2006 n.152, il quale ha rivisitato tutta la precedente normativa relativa alla gestione dei rifiuti ed alla bonifica dei siti inquinati.
Con la nuova normativa vengono oggettivamente individuate sia le situazioni di fatto che determinano l’adozione di procedimenti finalizzati alla tutela ambientale, sia i soggetti tenuti a determinati interventi di tutela ambientale.
Ai fini che qui interessano concentriamo l’attenzione sui rifiuti in generale e sui siti inquinati.
In materia di rifiuti l’art.192 del codice dell’ambiente prevede, tra l’altro, il divieto di abbandono e di deposito incontrollato e, in caso di violazione, la responsabilità, con il relativo onere di rimozione, avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti, è attribuita all’autore della violazione e, in via solidale, al proprietario ed al titolare di diritti reali o personali di godimento sull’area interessata, ma solo se la violazione sia a questi “imputabile a titolo di dolo o colpa, in base agli accertamenti effettuati, in contradittorio con i soggetti interessati, dai soggetti preposti al controllo”; nel caso di persona giuridica, sono responsabili in solido la persona giuridica e gli “amministratori o rappresentanti della persona giuridica” ed i “soggetti che subentrano nei diritti della persona stessa”.
Le operazioni necessarie ed il termine entro il quale provvedere alla rimozione, all’avvio a recupero o allo smaltimento dei rifiuti vengono disposti con ordinanza del sindaco del comune competente, il quale, scaduto il termine, procede all’esecuzione “in danno” dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.
In materia di siti inquinati gli artt.239 e seguenti del codice dell’ambiente prevedono, tra l’altro, una serie di interventi a carico del responsabile dell’inquinamento ed estendono tali obblighi anche al proprietario dell’area interessata dall’inquinamento anche se estraneo alla condotta inquinante. In caso di inadempimento dei soggetti obbligati, l’art.250 del codice dell’ambiente attribuisce l’onere di realizzazione dell’intervento al Comune
territorialmente competente e, ove questi non provveda, alla Regione.
Quando interviene la dichiarazione di fallimento dei soggetti che il codice dell’ambiente individua quali destinatari degli obblighi di ripristino ambientale (rimozione, avvio a recupero e smaltimento di rifiuti o bonifica di siti inquinati), ci si interroga sugli obblighi e le responsabilità del curatore ed in particolare sulla sua legittimazione passiva in relazione a provvedimenti dell’autorità amministrativa che impongono determinati comportamenti ai fini di tutela ambientale.
In altri termini ci si chiede se il curatore:
a) possa essere destinatario di ordinanze sindacali che impongono la rimozione, l’avvio a recupero e lo smaltimento di rifiuti oppure la bonifica di siti inquinati a cagione della pregressa attività dell’impresa fallita;
b) possa ritenersi subentrato negli obblighi facenti capo all’impresa fallita e, conseguentemente, sia tenuto all’adempimento dei doveri derivanti dall’accertata responsabilità della fallita.
A tali interrogativi, come diremo di seguito, il supremo organo della giurisprudenza amministrativa ha recentemente dato risposta (vedasi allegata Sentenza n.3274 del 30.06.2014 del Consiglio di Stato, Sez. V) confermando un consolidato orientamento della giurisprudenza.
2. RESPONSABILITA’ DEL CURATORE IN MATERIA DI TUTELA AMBIENTALE.
Esiste un orientamento giurisprudenziale minoritario (come si vedrà, superato dalla più recente giurisprudenza amministrativa) che individua nel curatore fallimentare il destinatario degli obblighi di rimozione, avvio a recupero o smaltimento di rifiuti e di bonifica di siti inquinati, in quanto unico soggetto al quale spetta l’amministrazione e la disponibilità del patrimonio del fallito.
Secondo la prevalente dottrina e giurisprudenza amministrativa, invece, il curatore fallimentare non può essere destinatario di alcun obbligo di bonifica di siti inquinati o di
rimozione, avvio a recupero o smaltimento di rifiuti riconducibili all’attività posta in essere prima della dichiarazione di fallimento.
Le argomentazioni a sostegno dell’orientamento maggioritario sono diverse; una sintesi si può ricavare dall’iter argomentativo della citata Sentenza del Consiglio di Stato (Sez. V, n.3274 del 30.06.2014).
Il curatore, ribadisce il Consiglio di Stato nella pronuncia in commento, non è chiamato all'adempimento di obblighi che siano originariamente sorti in capo all'imprenditore (successivamente dichiarato fallito), neppure se concernano rapporti pendenti all'inizio della procedura concorsuale, o obblighi non adempiuti a causa dell'inizio della procedura concorsuale, ancorché scadenti successivamente alla dichiarazione di fallimento.
Il Consiglio di Stato ritiene pertanto di disattendere l'orientamento giurisprudenziale, in forza del quale “l'adempimento dell'obbligo di smaltimento dei rifiuti grava sulla curatela fallimentare (TAR Toscana, Sez. I, 3 marzo 1993, n. 196; Tar Toscana, Sez. II, 28 aprile 2000, n. 780), sulla base del fatto che la disponibilità dei beni, ivi compresi i rifiuti nocivi, entra giuridicamente nella titolarità del curatore e conseguentemente con essa anche il dovere di rimuoverli in applicazione delle leggi vigenti”; privilegiando, invece, altro orientamento della giurisprudenza amministrativa di primo grado (TAR Toscana, Sez. II, 1° agosto 2001, n. 1318), la quale evidenzia l'assenza di una corresponsabilità del fallimento, anche meramente omissiva, in relazione alle condotte poste in essere dall'impresa fallita.
Ciò in quanto la gestione del patrimonio del fallito è finalizzata alla liquidazione dell'attivo ed alla soddisfazione dei creditori e il potere del curatore di disporre dei beni fallimentari (secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto la vigilanza del giudice delegato) non comporta necessariamente il dovere di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela ambientale.
Peraltro il Consiglio di Stato afferma che “la soluzione opposta determinerebbe un sovvertimento del principio “chi inquina paga" scaricando i costi sui creditori che non presentano alcun collegamento con l'inquinamento”.
Né l’impostazione così ribadita potrebbe essere ribaltata in ragione del disposto dell’art. 192, comma 4, del d.lgs. n.152 del 2006.
Questo recita: “Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni.” Ai fini di un’eventuale applicazione della norma appena trascritta si pone la questione di stabilire se il Fallimento possa essere considerato alla stregua di un soggetto “subentrato nei diritti” della società fallita.
Xxxxxx, il Fallimento non può essere reputato un “subentrante”, ossia un successore, dell’impresa sottoposta alla procedura fallimentare.”
Il supremo organo della magistratura amministrativa evidenzia pertanto che il fallimento non può essere considerato un successore dell'impresa fallita; questa “conserva la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio: solo, ne perde la facoltà di disposizione, pur sotto pena di inefficacia solo relativa dei suoi atti, subendo la caratteristica vicenda dello spossessamento ” (art. 421 e art. 442 L. Fall).
“Correlativamente, il Fallimento non acquista la titolarità dei suoi beni, ma ne è solo un amministratore con facoltà di disposizione, laddove quest’ultima riposa non sulla titolarità dei relativi diritti ma, a guisa di legittimazione straordinaria, sul munus publicum rivestito dagli organi della procedura ” (art. 31 L. Fall. 3).
1 “La sentenza che dichiara il fallimento, priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento ”.
2 “Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori ”
3 “Il curatore ha l'amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell'ambito delle funzioni ad esso attribuite ”.
“Il curatore del fallimento, pertanto, pur potendo sottentrare in specifiche posizioni negoziali del fallito (cfr. l’art. 72 L. Fall.), in via generale “non è rappresentante, né successore del fallito, ma terzo subentrante nell'amministrazione del suo patrimonio per l'esercizio di poteri conferitigli dalla legge” (Cassazione civile, sez. I, 23/06/1980, n. 3926). Più ampiamente, la Suprema Corte (sez. I, 14 settembre 1991, n. 9605) ha difatti osservato quanto segue:
“Il fatto che alla curatela sia affidata l'amministrazione del patrimonio del fallito, per fini conservativi predisposti alla liquidazione dell'attivo ed alla soddisfazione paritetica dei creditori, non comporta affatto che sul curatore incomba l'adempimento di obblighi facenti carico originariamente all'imprenditore, ancorché relativi a rapporti tuttavia pendenti all'inizio della procedura concorsuale. Al curatore competono gli adempimenti che la legge (sia il X.X. 00-0-0000 x.000, xxxxx xxxx leggi speciali) gli attribuisce e tra essi non è ravvisabile alcun obbligo generale di subentro nelle situazioni giuridiche passive di cui era onerato il fallito. … Poiché in linea generale, come ricordato, il curatore, nell'espletamento della pubblica funzione, non si pone come successore o sostituto necessario del fallito, su di lui non incombono né gli obblighi dal fallito inadempiuti volontariamente o per colpa, né quelli che lo stesso non sia stato in grado di adempiere a causa dell'inizio della procedura concorsuale, ancorché la scadenza di adempimento avvenga in periodo temporale in cui lo stesso curatore possa qualificarsi come datore di lavoro nei confronti degli stessi dipendenti, o di alcuni di essi”.
Per quanto esposto, dunque, nei confronti del Fallimento non è ravvisabile un fenomeno di successione, il quale solo potrebbe far scattare il meccanismo estensivo, previsto dall’art. 194, comma 4, d.lgs. cit., della legittimazione passiva rispetto agli obblighi di ripristino che l’articolo stesso pone in prima battuta a carico del responsabile e del proprietario versante in dolo o colpa.”.
In altri termini si ritiene che il curatore non subentri nei rapporti giuridici dell’imprenditore fallito in quanto portatore di un interesse pubblico che si estrinseca nella liquidazione del
patrimonio fallimentare e nella soddisfazione dei creditori ammessi al concorso.
Inoltre a favore della dottrina e della giurisprudenza prevalenti depone anche il codice dell’ambiente.
Infatti dal complesso delle norme del codice dell’ambiente si desume che l’identificazione del soggetto obbligato al ripristino ambientale è sempre condizionata dall’elemento soggettivo di dolo o colpa e non ha quindi carattere oggettivo. In tal senso, per esempio, l’art.192 del codice dell’ambiente, il quale dispone che è obbligato alla rimozione, all’avvio a recupero ed allo smaltimento dei rifiuti, nonché al ripristino dello stato dei luoghi, il soggetto che viola il divieto di abbandono e di deposito incontrollato di rifiuti, mentre il proprietario o titolare di diritti reali o personali di godimento dell’area interessata è obbligato in solido solo se ha tenuto una condotta dolosa o colposa di concorso nella violazione del divieto (per esempio quando è configurabile una sua culpa in vigilando).
Inoltre anche dal sistema sanzionatorio previsto dal codice dell’ambiente si desume la carenza di legittimazione passiva del curatore laddove la sanzione penale viene comminata all’autore della violazione ovvero per l’inottemperanza agli obblighi di ripristino ambientale.
Infine occorre segnalare che parte della dottrina ritiene che i rifiuti, quando rappresentano solo un costo per la procedura, possono non essere acquisiti all’attivo ovvero il curatore può rinunciare alla loro liquidazione ai sensi dell’at.104-ter L. Fall. quando questa si prospetti chiaramente antieconomica. Altra dottrina, invece, ritiene che i rifiuti non possono nemmeno essere considerati “beni” suscettibili di acquisizione all’attivo fallimentare, da qui l’esclusione anche di profili di responsabilità di carattere meramente gestorio in capo al curatore.
Diversa è invece la circostanza dell’esercizio provvisorio dell’impresa disposto ai sensi dell’art.104 L. Fall., in tal caso il curatore assume la gestione dell’impresa e si rende responsabile dell’inquinamento e dei rifiuti prodotti nel xxxxx xxxxx xxx xxxxxxxx, xxxxx restando, ovviamente, la sua estraneità e l’esclusione della sua responsabilità per la
gestione pregressa.
In altri termini l’elemento discriminante deve essere individuato nel momento in cui si è verificata la condotta inquinante o l’abbandono dei rifiuti, a nulla rilevando il momento dell’accertamento dell’inquinamento o del rinvenimento dei rifiuti.
Pertanto nel caso in cui, a seguito dell’intervenuto fallimento ed in assenza di esercizio provvisorio ai sensi dell’art.104 L. Fall., il curatore rinvenga rifiuti nella proprietà immobiliare della fallita o nella proprietà di terzi in godimento alla fallita, non potrà essere destinatario di obblighi di rimozione, avvio a recupero e smaltimento di rifiuti o di bonifica di siti inquinati e delle conseguenze penali per inottemperanza a tali obblighi.
3. OBBLIGHI DEL CURATORE IN MATERIA DI TUTELA AMBIENTALE.
Il difetto di legittimazione passiva del curatore per gli obblighi di bonifica o rimozione, avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti non lo esonera dall’obbligo, quale pubblico ufficiale, di segnalare immediatamente alle autorità competenti, all’atto della individuazione, l’abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti o il pericolo, anche solo presunto, di contaminazioni, atteso che l’obbligo di segnalazione prescinde dalla responsabilità.
La comunicazione deve essere diretta al Comune, alla Provincia, alla Regione, all’A.R.P.A. ed all’Azienda per i Servizi Sanitari territorialmente competenti, nonché alla Procura della Repubblica.
Nel caso in cui il Comune competente avvii un procedimento per l’emissione di ordinanza per rimozione, avvio a recupero e smaltimento di rifiuti o bonifica e ripristino dello stato dei luoghi e quant’altro, il curatore non potrà esimersi dal segnalare all’ente locale tutte le circostanze utili all’individuazione del o dei responsabili degli illeciti ambientali, anche al fine di prevenire l’emissione di ordinanza nei confronti del fallimento, circostanza non rara nei piccoli comuni dove i servizi per l’ambiente vengono accorpati insieme a numerosi altri servizi (edilizia, urbanistica, ecc.) in un unico ufficio con pochi addetti che devono gestire
tutti i servizi tecnici comunali.
Se viene comunque emessa l’ordinanza nei confronti del fallimento, il curatore dovrà chiederne l’annullamento e la rettifica, dopo di che, in difetto, non resta altro che proporre ricorso avanti al Tribunale Amministrativo Regionale.
Il curatore dovrà comunque valutare l’interesse della procedura a procedere alla bonifica o allo smaltimento di rifiuti. Tale interesse non sussiste, ovviamente, quando viene accertata la presenza di rifiuti nella proprietà immobiliare di terzi, pertanto in tal caso il curatore dovrà astenersi da ogni intervento al fine di evitare le conseguenti spese in prededuzione. Infatti il terzo costretto a procedere a proprie spese alla bonifica o alla rimozione di rifiuti non potrà chiedere il rimborso in prededuzione delle spese sostenute, ma dovrà far valere il proprio credito in sede concorsuale mediante l’insinuazione al passivo, poiché l’obbligazione risarcitoria deriva dall’attività posta in essere dal fallito.
Nel caso in cui emerga, invece, un interesse della procedura a procedere in proprio alla bonifica o allo smaltimento di rifiuti, il curatore, trattandosi di atto di natura straordinaria, dovrà informare preventivamente il Giudice Delegato e chiedere l’autorizzazione al Comitato dei Creditori ai sensi dell’art.35 L. Fall.
4. CREDITO PER LE SPESE DI RIPRISTINO AMBIENTALE.
Abbiamo detto che il Sindaco può disporre, con ordinanza, le operazioni necessarie al ripristino ambientale, fissando un termine decorso il quale il Comune (o la Regione ove il primo non provveda) procede all’esecuzione “in danno” dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate.
Xxxxxxx detto anche che dal complesso della normativa ambientale si desume che nel caso di abbandono di rifiuti o di siti inquinati il Comune non può ordinare al curatore dell’impresa fallita di rimuovere, avviare a recupero e smaltire i rifiuti o bonificare il sito inquinato a proprie spese, perché la normativa attuale esclude che al curatore si possa addebitare direttamente un comportamento colposo o doloso e che in qualità di organo
della procedura sia destinatario di un obbligo di ripristino ambientale, salva l’ipotesi di rifiuti prodotti e fatti inquinanti verificatisi nel corso dell’esercizio provvisorio di cui all’art. 104 L. Fall.
L’intervento di ripristino ambientale da parte del Comune determina il sorgere di una obbligazione di rimborso delle somme anticipate in capo:
1) al soggetto responsabile dell’illecito ambientale;
2) al proprietario incolpevole del fondo inquinato interessato dalle operazioni di bonifica nel caso in cui sia impossibile identificare il soggetto responsabile, o sia impossibile esercitare azioni di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto o nel caso di infruttuosità delle stesse.
Quindi, se è intervenuta la dichiarazione di fallimento nei confronti del responsabile dell’illecito ambientale, il Comune (o la Regione) dovrà far valere il proprio credito mediante l’insinuazione al passivo secondo le regole di cui agli artt.93 e 101 L. Fall. Trattasi dunque di credito concorsuale, non di debito della massa, anche se l’intervento di ripristino ambientale avviene dopo il fallimento, in quanto riconducibile ad eventi verificatisi durante l’esercizio dell’impresa o comunque prima del fallimento.
Per il caso di bonifica di siti inquinati l’art.253 del codice dell’ambiente attribuisce il privilegio speciale immobiliare ai sensi dell’art.2748, secondo comma, c.c., quindi con preferenza rispetto ai creditori ipotecari. Il privilegio speciale in questione insiste sulla proprietà immobiliare interessata dagli interventi dell’ente territoriale, pertanto, ove gli interventi in questione riguardino un’area che la fallita deteneva in godimento il credito avrà natura chirografaria.
Il credito in questione avrà invece natura prededucibile nel caso in cui gli interventi dell’ente locale siano imputabili all’attività svolta nel corso dell’esercizio provvisorio di cui all’art. 104 L. Fall.
Xxxxxxx appena detto che ove sia impossibile identificare il soggetto responsabile dell’inquinamento, o sia impossibile esercitare azioni di rivalsa o nel caso di infruttuosità
della stessa, l’obbligazione di rimborso si estende al terzo proprietario del fondo, anche se al medesimo non sia imputabile un concorso nel comportamento illecito. Egli pertanto è costituito ex lege garante dell’adempimento dell’obbligato principale, tuttavia l’art.253 del codice dell’ambiente limita la sua responsabilità patrimoniale al valore di mercato del fondo.
Vi è poi una ulteriore garanzia a favore dell’ente territoriale costituita dall’onere reale sul sito inquinato. In sostanza il fondo è gravato ex lege dall’obbligazione in questione. L’onere reale è sempre opponibile al fallimento indipendentemente dal momento in cui è stato effettuato l’intervento dell’ente territoriale ed indipendentemente dal fatto che la condotta inquinante sia imputabile al fallito o alla gestione del curatore. Inoltre non essendo prevista alcuna forma di pubblicità nei pubblici registri immobiliari, non è applicabile l’art.45 L.Fall. 4
L’onere reale, vincolando il fondo al soddisfacimento del credito dell’ente territoriale, obbliga anche i successivi proprietari del fondo stesso.
Non è chiaro quale sia la sorte dell’onere reale in caso di vendita del fondo in sede fallimentare. Parte della dottrina e giurisprudenza ritengono che il vincolo reale non venga meno con la vendita forzata, mentre altra dottrina ritiene applicabili in xxx xxxxxxxxx x’xxx.0000 x.0 x.x. (xxx prevede estinzione dell’ipoteca con la pronuncia del provvedimento di trasferimento del diritto espropriato) e l’art.586 c.p.c. (che prevede con il decreto di trasferimento l’ordine del Giudice dell’esecuzione di cancellazione dei pignoramenti e delle ipoteche) per cui vi sarebbe l’estinzione del vincolo al momento del trasferimento della proprietà. A favore di quest’ultima tesi sembra deporre l’art.108 L. Fall. che al secondo comma recita “ ………. una volta eseguita la vendita e riscosso interamente il prezzo, il giudice delegato ordina, con decreto, la cancellazione delle iscrizioni relative a diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo”.
4 “Le formalità necessarie per rendere opponibili ai terzi, se compiute dopo la data della dichiarazione di fallimento, sono senza effetto rispetto ai creditori.”
5. ALLEGATI.
Sent. n.395/2008 – Ric. n.478/2005 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SARDEGNA SEZIONE SECONDA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 478/2005 proposto da FALLIMENTO “FAS FERRIERE ACCIAIERIE SARDE spa IN LIQUIDAZIONE”, in persona dei curatori dr. Xxxxxxxxx Xxxxxxxx e dr. Xxxxxxx Xxxxxx, autorizzati dal Giudice delegato ai Fallimenti e dr. Xxxxxxxxx Xxxxxxxx e dr. Xxxxxxx Xxxxxx in proprio rappresentati e difesi, per mandati a margine dell'atto introduttivo, dall' avv. Xxxxxxxx Xxxxx Xxxxx, presso il cui studio in Cagliari, Xxx Xxxxxxx x. 00, sono elettivamente domiciliati;
contro
- il COMUNE DI ELMAS in persona del Sindaco in carica
- il Sindaco del Comune di Elmas,
rappresentati e difesi dall'avv. Xxxxx Xxxxxx, con domicilio eletto presso il suo studio in Cagliari, Via Tigellio n. 18
per l' annullamento
dell’ordinanza n. 21 del 23.3.2005 con la quale il Sindaco ha ordinato ai curatori fallimentari di provvedere agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva l’inquinamento (previa predisposizione di progetto preliminare e definitivo di bonifica).
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio e memoria dell'Amministrazione comunale;
Vista la memoria prodotta dai ricorrenti a sostegno delle proprie difese; Designato relatore il Consigliere Xxxxxx Xxxxx;
Uditi alla pubblica udienza del 14.11.2007 gli avv.ti come da separato verbale. Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Il Sindaco di Xxxxx ha ordinato con provvedimento n. 21 del 23.3.2005 ai curatori fallimentari (FAS) di provvedere agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti stante la situazione di grave inquinamento rinvenuta nella zona (previa predisposizione di progetto preliminare e definitivo di bonifica).
Con ricorso notificato il 3.5.2005 e depositato il successivo 6.5 i curatori Xxxxxxxx x Xxxxxx, autorizzati dal giudice fallimentare, hanno impugnato la suddetta ordinanza.
I ricorrenti hanno chiesto l'annullamento dell'atto impugnato, previa sospensiva e col favore delle spese, deducendo i seguenti motivi di gravame:
- illegittima individuazione, quale soggetto passivo, dei Curatori fallimentari, che non hanno alcuna responsabilità in ordine all’inquinamento verificatosi a seguito dell’attività industriale esercitata dalle Ferriere-Acciaierie sarde, attività cessata nel mese di ottobre 1994
– insussistenza di colpa o di dolo in capo ai curatori.
Alla Camera di consiglio del 25.5.2005 l'istanza di sospensione del provvedimento impugnato è stata accolta con ordinanza n. 216/05.
Si è costituita in giudizio l'Amministrazione resistente, contestando, con memoria, la fondatezza del gravame.
Con ulteriore memoria depositata in vista dell'udienza di merito i ricorrenti insistevano per l'accoglimento dell'impugnazione.
Alla pubblica udienza del 14 novembre 2007 i procuratori delle parti hanno chiesto porsi il ricorso in decisione, insistendo nelle rispettive conclusioni.
DIRITTO
Il ricorso è fondato.
La giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che i curatori fallimentari non possono essere i destinatari di ordini di bonifica/disinquinamento, sorti quali effetto della (precedente) attività industriale posta in essere dal soggetto fallito. (cfr. TAR Lazio Latina 12.3.2005 n. 304; TAR Abruzzo 17.12.2004 n. 1393; CS. X 00.0.0000 x. 0000;XXX
Xxxxxxx II 1.8.2001 n. 1318)
Si è affermato, in sostanza, che la peculiare posizione dei curatori non può essere interpretata in termini di “subentro” delle responsabilità del soggetto fallito.
Il Consiglio di Stato ha espressamente affermato (nella pronunzia succitata del 2003) che neppure la “disponibilità” dei beni fallimentari può assumere rilievo ai fini che qui interessano.
La sfera di poteri e di doveri dell’attività della curatela, diretta alla sola liquidazione e non anche alla gestione dell’attività, non consente di qualificare come soggetti passivi i curatori fallimentari.
In mancanza di corresponsabilità del fallimento, in relazione alle condotte poste in essere dall’impresa fallita, non è possibile coinvolgere tale organo nel progetto di bonifica e di disinquinamento delle aree.
In conclusione il ricorso va accolto.
Le spese sono opportunamente compensate tenuto conto della caratteristica soggettiva del ricorrente.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVOREGIONALE PER LA SARDEGNA - SEZIONE SECONDA
accoglie il ricorso in epigrafe e, per l'effetto, annulla il provvedimento impugnato. Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Cagliari, nella Camera di Consiglio del 14 novembre 2007, con l'intervento dei Signori Magistrati:
- Xxxxx Xxxxx - Presidente;
- Xxxx Xxxxxxxx - Consigliere;
- Xxxxxx Xxxxx - Consigliere, estensore.
Depositata in segreteria il 11.03.2008
Sent. n.663/2009 – Ric. n.1431/2005 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA TOSCANA SEZIONE SECONDA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1431 del 2005, proposto da: Curatore Fallimento Soc. Cartiera del Brennero S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. Natale Giallongo, Xxxxxxxxx X. Xxxxx, con domicilio eletto presso Natale Giallongo in Firenze, xxx Xxxxxxxx Xxxxxxx X. 00;
contro
Comune di Bagni di Lucca, rappresentato e difeso dall'avv. Xxxxxxxx Xxxxxxxxx, con domicilio eletto presso Xxxxxxxxx Xxxx in Firenze, xxx Xxxxxxxx X. 00;
per l'annullamento
previa sospensione dell'efficacia,
per impugnare l'ordinanza del Sindaco di Bagni di Lucca del 12 Luglio 2005, notificata il
20 successivo, con la quale si ingiunge allo stesso curatore, nonchè al legale rappresentante della Cartiera Wrapping Paper s.r.l., di eseguire:
la bonifica della situazione venutasi a creare sia in ordine allo stato di chiusura della Cartiera Wrapping Paper, sia in ordine alla residua presenza di acque di lavorazione ed impasto nelle strutture impiantistiche;
l'eliminare dei rifiuti abbandonati sui piazzali esterni residui di imballaggio cisternette vuote, cassoni metallici ecc;
mettere in sicurezza gli impianti stessi, rimuovendo i residui di lavorazione (acque di lavorazione ed impasto che dovranno essere classificati e smaltiti come rifiuti) se non diversamente riutilizzabili.
inibire l'accesso ai non addetti ai lavori, alle persone non autorizzate ed ai cittadini in genere e per ottenere l'annullamento della medesima, previa sospensione dell'efficacia esecutiva della stessa.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Bagni di Lucca; Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 02/04/2009 il xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxxx e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Xxxxxxxx e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con atto notificato in data 8 settembre 2005 e depositato il 15 settembre seguente, la nominata curatela ha impugnato il provvedimento in epigrafe indicato chiedendone- previa la sospensione (la relativa istanza è stata accolta con ordinanza 798/95)- l’annullamento per i seguenti motivi:
La curatela fallimentare non potrebbe essere destinataria degli obblighi previsti dall’art. 14 del dc. Lgs. 5.2.1997 n. 22 e pertanto palese sarebbe la sua violazione in quanto la curatela non ha abbandonato alcun rifiuto, non è titolare di diritti reali o personali sull’area inquinata, la violazione commessa non sarebbe imputabile a titolo di dolo o colpa a carico della fallita Cartiera del Brennero, bensì dell’affittuaria azienda Cartiera Wrapping Paper, né al curatore fallimentare in quanto l’illecito avrebbe dovuto essere commesso dalla fallita società anteriormente alla dichiarazione di fallimento, non essendovi stato successivamente a tale dichiarazione svolgimento alcuno di attività da parte della curatela.
In base al disposto dell’art. 18 del d.m. 25.10.1999 n. 471, comma 5, nel caso di sito inquinato soggetto a procedura esecutiva o concorsuale il Comune avrebbe dovuto chiedere l’ammissione al passivo – ai sensi degli artt. 93 e 101 del medesimo decreto –
per una somma corrispondente all’onere di bonifica preventivamente determinato in via amministrativa.
I rifiuti oggetto del provvedimento impugnato non sarebbero stati prodotti dalla società fallita bensì dall’affittuaria e del resto mancherebbe un accertamento delle responsabilità della stessa fallita. In ogni caso l’obbligo di bonifica non potrebbe ricadere sul fallimento, succedendo il curatore soltanto per i rapporti patrimoniali e non personali.
Si è costituito il comune di Bagni di Lucca chiedendo il rigetto del ricorso. Il ricorso è fondato.
La questione relativa all’individuazione del soggetto cui imputare l’obbligo della messa in sicurezza e della bonifica di terreni inquinati di proprietà di persone fisiche o giuridiche per le quali è stato dichiarato il fallimento, è stata esaminata in ogni suo aspetto dalla giurisprudenza amministrativa che è pervenuta - ormai da tempo - a un orientamento consolidato sulla non imputabilità di tale obbligo alla curatela fallimentare, che consente al Collegio di provvedere alla decisione del presente ricorso, ai sensi dell’art. 26 della legge 1034 del 1971, con sentenza succintamente motivata su tutti i motivi di gravame.
Può richiamarsi in proposito un precedente in termini di questa Sezione 1.8.2001 n. 1318. Tale pronuncia, che ha trovato anche puntuale conferma nella decisione n. 4328 del 29.7.2003 della V^ Sez. del Cons. di Stato, ha svolto una puntuale analisi della normativa del dec. Lgs. 22 del 1997 e di quella anteriore (D.P.R. 915 del 1982) osservando innanzi tutto che l'ordine di smaltimento dei rifiuti non può essere volto indiscriminatamente nei confronti del proprietario o comunque del soggetto che ha la disponibilità dell'area interessata, occorrendo l’accertamento di una responsabilità derivante da un comportamento illecito dello stesso con riferimento all'art. 130/R del Trattato dell'Unione Europea (introdotto dall'Atto Unico Europeo del 1986), volto a sancire il noto principio per cui "chi inquina, paga" e all'art. 18 della l. 349 del 1986 (istitutiva del Ministero dell'Ambiente), in base al quale già era evincibile la regola per cui la responsabilità del danno ambientale consegue al compimento di fatti dolosi o colposi, e non già alla
(individuazione della) mera qualità di proprietario dell'area. De resto, il comma 3 dell'art.
14 cit. reca l'espressa (diversamente dalla generica locuzione "soggetti obbligati" contenuta nell'art. 9 del D.P.R. 915/82) più puntuale indicazione degli stessi, individuandoli negli autori della violazione dei divieti posti dai due precedenti commi. Con il che escludendo in nuce la configurabilità di una responsabilità (di carattere oggettivo, o, più propriamente) propter rem del proprietario, ritenendo necessario l'accertamento della responsabilità di illecito in capo al destinatario dell’ordine stesso.
Applicando tali principi alla posizione del curatore fallimentare - segnatamente per quanto concerne la legittimazione passiva di quest'ultimo rispetto all'impartito ordine di smaltimento – la pronuncia richiamata, che in tutto merita di essere condivisa non sussistendo elementi per pervenire a un diverso orientamento, ha osservato come i rifiuti prodotti dall'imprenditore fallito non costituiscano "beni" da acquisire alla procedura fallimentare (e, quindi non formino oggetto di apprensione da parte del curatore) e che in assenza dell’individuazione di una univoca, autonoma e chiara responsabilità del curatore stesso sull'abbandono dei rifiuti nessun ordine di ripristino può essere imposto dal Comune alla curatela fallimentare. Ne consegue che alla stregua di quanto sopra osservato, essendo in tutto identica la fattispecie in esame rispetto al precedente richiamato, si dimostri del tutto carente sul piano probatorio l’estensione della responsabilità e dei conseguenti adempimenti ripristinatori a carico della curatela della fallita società Cartiera del Brennero.
Il potere di disporre dei beni fallimentari (secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato) non comporta del resto necessariamente il dovere di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti. Il richiamo, poi, alla disciplina del fallimento e della successione nei contratti evidenzia che la curatela fallimentare non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell'imprenditore fallito.
Per completezza va poi aggiunto che non risulta che il fallimento sia stato autorizzato a proseguire l'attività precedentemente svolta dall'impresa fallita, anzi risulta che la Cartiera del Brennero, prima della dichiarazione di fallimento, aveva dato in affitto l’azienda alla Cartiera Wrapping Paper s.r.l., destinataria anch’essa dell’ordinanza impugnata. Pertanto, l'obbligo di bonifica del sito non potrebbe essere nemmeno collegato allo svolgimento di operazioni potenzialmente inquinanti da parte dell’impresa fallita. In definitiva, l'Amministrazione comunale, in assenza dell’ascrivibilità soggettiva della condotta preordinata allo scarico abusivo dei rifiuti, avrebbe potuto alla stregua di quanto stabilito dall'ultima parte del III comma dell'art. 14 del D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, procedere all'esecuzione d'ufficio "in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate", insinuando eventualmente il relativo credito nel passivo fallimentare in caso di comprovata responsabilità nella gestione dell’attività condotta dalla Cartiera del Brennero (come del resto previsto dal V comma dell'art. 18 del D.M. 25 ottobre 1999 n. 471, in base al quale "nel caso in cui il sito inquinato sia oggetto ... delle procedure concorsuali di cui al
X.X. 00 marzo 1942 n. 267, il Comune domanda l'ammissione al passivo ai sensi degli artt. 93 e 101 del decreto medesimo per una somma corrispondente all'onere di bonifica preventivamente determinato in via amministrativa").
In conclusione, le considerazioni di cui sopra danno contezza della fondatezza delle censure proposte nel ricorso avverso l'ordinanza sindacale n. 138 del 12.7.2005 e pertanto, il ricorso va accolto con l’annullamento del provvedimento impugnato nella parte in cui l’ordine degli adempimenti imposti è esteso alla curatela ricorrente.
Le spese seguono la soccombenza secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana – Sezione 2^, accoglie il ricorso di cui in epigrafe e per l’effetto annulla nella parte di cui in motivazione l’ordinanza impugnata.
Condanna il comune di Bagni di Lucca al pagamento, in favore della parte ricorrente, delle
spese di giudizio nella misura di euro 2000,00 oltre accessori di legge e l’onere di cui all’art. 21, comma 6 bis, del d.l. 223/06, come modificato dalla legge 248/06.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 02/04/2009 con l'intervento dei Magistrati:
Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Presidente, Xxxxxxxxx Xxxxxxxx Xxxxxxx, Consigliere
Xxxxxxxxx Xxxxxx, Primo Referendario Depositata in segreteria il 17.04.2009
Reg. Dec. n.3885/09 – Ric. n.3387, 3388, 3389/2005 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE QUINTA SEZIONE
ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello nr. 3387- 2005 proposto da d’XXXXXX XXXXXXX, rappresentato e difeso dall’avv. Xxxxxxxxxx Xxxxxxx e dall’avv. Xxxxx Xxxxxxxx ed elettivamente domiciliato in Roma alla via della Mercede, 54 presso lo studio Menghini;
contro
COMUNE DI XXXXX in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Xxxxxxxx Xxxxxxxxx e Xxxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx ed elettivamente domiciliato in Roma alla via Cosseria, 51 presso lo studio Xxxxxxxxx;
ARPA AGENZIA REGIONALE PER LA PROTEZIONE AMBIENTALE DEL PIEMONTE in
persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Xxxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxx ed elettivamente domiciliata in Roma presso il loro studio in xxx Xxxxxxxxx, 00;
nonché sul ricorso
in appello nr. 3388- 2005 proposto da XXXXXX XXXXXXXX, rappresentato e difeso dall’avv. Xxxxxxxxxx Xxxxxxx e dall’avv. Xxxxx Xxxxxxxx ed elettivamente domiciliato in Roma alla via della Mercede, 54 presso lo studio Menghini;
contro
COMUNE DI CIRIÈ in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Xxxxxxxx Xxxxxxxxx e Xxxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx ed elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio Xxxxxxxxx; xxx Xxxxxxxx, 0;
ARPA AGENZIA REGIONALE PER LA PROTEZIONE AMBIENTALE DEL PIEMONTE in
persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Xxxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxx ed elettivamente domiciliata in Roma presso il loro studio in xxx Xxxxxxxxx, 00;
ed in ultimo
sul ricorso in appello nr. 3389- 2005 proposto da MILLENNIUM PROJECT SRL ED XXXXXXXXXX XXXXXX, rappresentati e difesi dall’avv. Xxxxxxxxxx Xxxxxxx e dall’avv. Xxxxx Xxxxxxxx,
ed elettivamente domiciliati in Roma alla via della Mercede, 54 presso lo studio Menghini; contro
COMUNE DI CIRIÈ in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Xxxxxxxx Xxxxxxxxx e Xxxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx ed elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio Xxxxxxxxx;
ARPA AGENZIA REGIONALE PER LA PROTEZIONE AMBIENTALE DEL PIEMONTE in
persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Xxxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxxx ed elettivamente domiciliata in Roma presso il loro studio in xxx Xxxxxxxxx,. 00;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Torino Sezione II
- n. 2207 del 2004;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’appellato ;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa;
Alla camera di consiglio del 3 marzo 2009 relatore il Consigliere Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx. Uditi gli avv.ti Carrozzo, Montanaro e Xxxxxxx;
Xxxxxxxx e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O
Con la sentenza impugnata dagli appellanti in epigrafe indicati, il Tar Piemonte- Torino, Sezione II ha rigettato i ricorsi nr.1940 /2003, 1941/2003 e 1942/2003 proposti dagli odierni appellanti avverso l’ordinanza n. 15 del 29 ottobre 2003 prot 25767, adottata ai sensi dell’art. 8 comma 2 del d.m. 25 ottobre 1999 n. 471 dal responsabile del Settore Urbanistico Ambientale del Comune di Ciriè, con cui si ordina di “provvedere ad adottare i necessari interventi di messa in sicurezza d’emergenza, di bonifica e ripristino ambientale, ai sensi del D.M. 25 ottobre 1999 n. 471 e della presupposta relazione dell’ARPA – Dipartimento Provinciale di Torino, prot. n. 28388/LL del 16/9/2003 e dei rapporti di prova di acqua sotterranea nn. TO 004598 , TO 004599, TO 004600 del 8 agosto 2003, nonché i motivi aggiunti proposti da Xxxxxxx x’Xxxxxx ed Xxxxxxxx Xxxxxx rivolti avverso il provvedimento del Comune di Ciriè – Responsabile della Sezione Ambiente e responsabile del Settore Urbanistico Ambientale del 14 maggio 2004 prot. n. 11819.
La vicenda è relativa a fatti di inquinamento verificatisi nel Comune di Ciriè, in particolare nell’area occupata in passato dallo stabilimento chimico IPCA –Interchim , che hanno costretto il Comune ad intervenire, unitamente agli organi tecnici regionali preposti al fine di debellare gli inquinamenti rilevati.
Oggetto della controversia è, in particolare, l’inquinamento rilevato su terreni adiacenti le aree già occupate dall’IPCA, riscontrato sin dal 1980 su un’area di proprietà del sig. Xxxxxxxx Xxxxxx, poi successivamente passata nella disponibilità del sig. Xxxxxxx x’Xxxxxx e poi della Millennium project srl.
Su tali aree adiacenti l’area IPCA si erano installate diverse aziende, facenti capo ai predetti proprietari, la ditta Blotto poi la ditta DSA con amministratore il sig. d’Antino.
Nel xxxxx xxx 0000 xx Xxxxxxxxx xx Xxxxxx provvide d’ufficio allo svuotamento di alcune cisterne sotterranee ricolme di rifiuti non trattati ed allo smaltimento dei predetti rifiuti.
Il Comune di Ciriè dispose altresì un intervento di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale di una vasca interrata, ritenuta colma di rifiuti pericolosi, successivamente il sito in questione è venne inserito nel Piano regionale di bonifica delle aree inquinate ai
sensi della legge regionale n. 42 del 2000, ed alla adozione di una variante alla strumentazione urbanistica locale, operata con d.g.r. 16 luglio 2001 n. 4-3482, con cui l’area veniva individuata come “sito inquinato” con apposizione del relativo onere reale ai sensi della normativa vigente , approvazione del progetto di bonifica ed affidamento dell’intervento mediante gara di appalto ed avvio dei lavori nel marzo del 2003.
L’ARPA, in conseguenza di ciò, avviava una serie di accertamenti, e si arrivava all’adozione di una prima ordinanza del 12 dicembre 2001 da parte del Comune di Ciriè con cui si intimava ai responsabili la bonifica del sito.
Tale ordinanza veniva sospesa dal giudice amministrativo per assenza della comunicazione di avvio del procedimento.
L’amministrazione comunale prendeva atto di tale circostanza e rinnovava l’attività anche in forza di nuovi accertamenti dell’ARPA che evidenziavano, per il sito in loc. Borche n. 20, il superamento dei livelli di concentrazione limite accettabili per le acque sotterranee ai sensi dell’art. 3 comma 1 del D.M. n. 471 del 1999.
Successivamente si giungeva all’adozione dell’ordinanza n. 15 del 2003 (atto impugnato). I motivi del ricorso di primo grado n. 1940 del 2003 erano i seguenti:
1) Carenza di legittimazione passiva del sig. x’Xxxxxx, poiché , nel frattempo era fallita la ditta DSA sicché l’ordinanza avrebbe dovuto essere notificata al curatore fallimentare.
2) Violazione e falsa applicazione di legge, con riferimento all’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997 ed all’art. 8 del d.m. n. 471 del 1999. Eccesso di potere per erronea valutazione dei fatti e dei presupposti; travisamento dei fatti ; illogicità e contraddittorietà (motivo comune anche agli altri ricorsi; dedotto in tal caso come primo motivo): si contestavano nel metodo e nel merito gli accertamenti dell’ARPA e la riconducibilità degli inquinamenti alle ditte dei ricorrenti. Il Comune non avrebbe dovuto ignorare che sul sito si era svolta, in passato, attività industriale da parte di altre ditte che aveva portato a situazioni di acclarato inquinamento.
3) Eccesso di potere per carenza di istruttoria e difetto assoluto di motivazione .
Violazione di legge con riferimento all’art. 3 della legge n. 241 del 1990 (motivo comune a tutti i ricorsi). I provvedimenti adottati sarebbero stati decisi a seguito di un’istruttoria carente e difetterebbero di motivazione sufficiente.
4) Eccesso di potere per sviamento, ingiustizia manifesta e disparità di trattamento (motivo comune a tutti i ricorsi). L’amministrazione avrebbe agito solo per ragioni di celere ripristino , senza valutare le effettive responsabilità personali e senza considerare le pregresse attività industriali sul sito.
Nei giudizi di primo grado si sono difesi il Comune e l’ARPA.
L’atto impugnato con i motivi aggiunti comunicava agli interessati, ai sensi dell’art. 7 comma 3 del d.m. n. 471/1999, l’inefficacia delle misure adottate, la necessità di procedere alla caratterizzazione del sito, ordinando loro di predisporre il piano di caratterizzazione.
Avverso detto atto insorgevano, con quattro motivi aggiunti, d’Xxxxxx Xxxxxxx e Xxxxxx Xxxxxxxx, lamentando che l’amministrazione comunale si era limitata a criticare gli interventi posti in essere senza fissare le prescrizioni e gli interventi integrativi richiesti dalla normativa regolamentare applicabile; nel merito sostenevano l’idoneità degli interventi posti in essere ai fini della futura messa in sicurezza, rilevavano che la diffida a predisporre il piano di caratterizzazione era illegittima perché non rientrava fra le prescrizioni e gli interventi integrativi richiesti dalla norma di cui all’art. 7 del d.m. n. 471/1999 in quanto attinente la successiva fase di bonifica e non quella di messa in sicurezza. In ultimo lamentavano il provvedimento impugnato difettava di comunicazione di avvio del procedimento. Il Comune inoltre avrebbe dovuto accertarsi che sul sito non vi fossero più rifiuti abbandonati, mentre risultava che questi, tossici e nocivi, risultavano ancora presenti in una vasca interrata di proprietà del Comune su cui aveva svolto attività industriale la ex Interchim ritenuta la più probabile fonte degli inquinamenti che si volevano ora fare bonificare ai ricorrenti.
Il Tar Piemonte, con la sentenza impugnata, disponeva la riunione dei ricorsi e definiva il
quadro fattuale rilevando che in località Borche n. 20 avevano operato diverse attività industriali e che risultava una incontestabile situazione di inquinamento delle falde sottostanti il terreno.
In particolare il Tar rilevava che , nell’area in questione , erano individuabili due siti confinanti : uno , di proprietà oggi del Comune di Ciriè sul quale in passato avevano operato le ditte IPCA ed Intechim ed un altro di proprietà della Blotto srl oggi della Millennium Project srl e della Redglow Finance Limited con sede alle Isole Vergini.
All’interno del secondo sito è presente una vasca interrata di cemento armato posta lungo il confine fra le due proprietà.
Tale manufatto, utilizzato quale deposito di rifiuti ritenuti tossici, era stato prima acquistato dalla società IPCA e poi concesso in comodato alla Interchim.
La vasca in questione era stata oggetto di un provvedimento sindacale di messa in sicurezza , bonifica e ripristino (ordinanza n. 239/1998) di cui erano stati destinatari Xxxxxxxx Xxxxxx e l’immobiliare Alessandra sas di Xxxxxx Xxxxxxx.
A seguito di tale provvedimento il Comune di Criè avviava un generale programma di risanamento delle aree non esclusivamente di sua proprietà , nell’ambito del quale si svolgevano le campagne di accertamenti dell’ARPA in corso sin dal 1998.
In particolare, nell’area per cui è processo l’ARPA effettuava campionamenti di acque sotterranee nella rete dei pozzi di monitoraggio presenti nelle diverse cisterne interrate , collocate sotto la via che costituisce la viabilità interna del comprensorio industriale (pozza A a monte del complesso industriale, pozzo B a valle dell’ “ex Blotto e DSA” e lateralmente rispetto all’area Interchim e pozzo C a valle della porzione Blotto e DSA ma a monte di quella “ex Interchim”).
Lo scorrimento delle acque di falda andava dal pozzo A al pozzo C.
In particolare nel pozzo C erano stati rinvenuti solventi clorurati sostanze corrispondenti alle tipologie di rifiuti stoccati nell’area “ex Blotto e DSA” .
In ultimo il Tar ricordava l’impulso decisivo dato dall’ARPA all’adozione degli atti comunali,
ricostruendo minuziosamente la corrispondenza intercorsa fra gli enti fino all’adozione dell’atto impugnato.
Nel merito il Tar ha respinto il primo motivo del ricorso n. 1940 del 2003 rilevando che l’omessa notifica del provvedimento al curatore fallimentare al più avrebbe inciso sulla eseguibilità del provvedimento ma non sulla sua legittimità.
Sul secondo motivo del ricorso n. 1940/2003 (e primo motivo degli altri due) il Tar ha ritenuto che gli atti dell’ARPA non rivelino alcuna istruttoria, attesa la natura delle sostanze inquinanti rilevate (solventi clorurati trattati in passato dall’impianto DSA), l’attività svolta dalle ditte ricorrenti, la collocazione delle cisterne nel comprensorio.
Il Tar rilevava inoltre che la situazione dello scorrimento delle acque monitorate , dal pozzo A al pozzo C, passando sotto lo stabilimento ex Blotto-DSA ed in prossimità delle cisterne ad esso asservite risulta elemento sufficiente ad affermare la riconducibilità delle contaminazioni al sito ex Blotto-DSA mentre la presenza nei pozzetti A e C dei solventi clorurati in diversa composizione e la scarsità di tali contaminanti nel pozzetto B si spiegava con il fenomeno della diffusione dei pennacchi contaminanti (ambiti di diffusione delle sostanze inquinanti a valle del punto di immissione originario), che si presentano molto stretti ortogonalmente in presenza di sostanze poco solubili come i solventi clorurati (ciò che spiegava la mancata estensione al pozzetto B che è situato lateralmente rispetto al pozzo C).
In ultimo il Tar rilevava che le sostanze tossiche lavorate dall’ex IPCA e dall’ex Interchim erano diverse dai solventi clorurati individuati nell’ordinanza impugnata.
Quanto alla cisterna – oggetto anche dei motivi aggiunti - ritiene il Tar che essa non possa aver valore decisivo in presenza di molti manufatti interrati asserviti alle aree ex Blotto ed ex DSA.
In sostanza la sentenza ritiene che siano stati individuati individuati i responsabili dell’inquinamento con ragionamento fondato su elementi indiziari, gravi , precisi e concordanti e non sviato da alcun intento persecutorio.
Sull’atto impugnato con i motivi aggiunti il Tar rileva che l’intervento di messa in sicurezza d’emergenza posto in essere dai ricorrenti era consistito nello scavo di una trincea nel terreno, perpendicolarmente alla strada principale ove si trovano le cisterne interrate nelle quali avrebbe origine il riscontrato inquinamento delle acque di falda.
Lo scavo della trincea – ritiene il giudice di primo grado – non sarebbe idoneo a rimuovere le fonti inquinanti presenti nel sito né ad impedire il contatto con le stesse, specie per la sua scarsa profondità.
La comunicazione di avvio del procedimento poi non sarebbe dovuta poiché l’ordinanza prot. n. 11819 del 14 maggio 2004 di verifica della idoneità della messa in sicurezza non sarebbe altro che una conseguenza di quanto disposto dall’ordinanza n. 15 del 2003 (atto originariamente impugnato).
Quanto al contenuto del provvedimento del 14 maggio 2004 il giudice amministrativo di primo grado ritiene che l’amministrazione non avrebbe dovuto necessariamente imporre ai privati prescrizioni integrative e che era in sua facoltà accorpare il giudizio sulla verifica della messa in sicurezza con l’imposizione del piano di caratterizzazione nel rispetto dei termini di cui all’art. 10 del dm. n. 471/1999.
In ultimo il Tar rileva che la relazione dell’ARPA individua inquinamenti in tutto il sito e non solo nelle cisterne; che le cisterne comunque non erano state bonificate ma solo svuotate e lavate senza rimozione di tutte le caditoie e le tubazioni di servizio e senza ulteriori indagini sotto i serbatoi per verificarne la tenuta, mentre la riconducibilità degli inquinamenti alla vasca interrata rimaneva , in sostanza, una mera ipotesi.
Appellano avverso la sentenza gli originari ricorrenti in primo grado, riproponendo le stesse questioni e criticando la decisione.
Nel corso del giudizio di appello si è svolta una consulenza tecnica di ufficio : il Consigliere delegato dal Collegio ha posto al CTU il seguente quesito: “accerti il CTU, esaminati gli atti di causa, se l’inquinamento sia dipeso, in tutto od in parte, dall’attività svolta dalle aziende appellanti”.
La consulenza ha risposto al quesito nei termini seguenti: “l’inquinamento da solventi clorurati riscontrato nell’area in cui hanno svolto la loro attività prima la Blotto e successivamente la DSA è riconducibile alle attività di recupero solventi da esse esercitata. Al confine Sud est con l’area Interchim può esserci stato un contributo derivante da quest’ultima. L’area a sud della vasca Interchim risulta inquinata a causa delle perdite di quest’ultima e non dalle attività Blotto/DSA. L’area posta a sud degli stoccaggi Blotto (punto G) risulta contaminata in relazione alle attività che sono state svolte a monte (distillazione e/o stoccaggio).”
D I R I T T O
I ricorsi in appello vanno riuniti per connessione- essendo proposti avverso la stessa sentenza – e vanno respinti per infondatezza.
Giova principiare dal primo motivo del ricorso originario nr. 1940 del 2003, concernente il difetto di legittimazione passiva, riproposto dall’appellante signor Xxxxxxx x’Xxxxxx.
Occorre in proposito rilevare che l’ordinanza di cui all’art. 8 del D.M. n. 471/1999 ha quale destinatario il “responsabile” della contaminazione e non il curatore fallimentare, sicché ineccepibilmente l’amministrazione non ha considerato legittimato il curatore.
Si è ritenuto inoltre in giurisprudenza – con pronuncia di questa Sezione che è bene richiamare - che il potere del curatore di disporre dei beni fallimentari (secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato) non comporta, necessariamente, il dovere di adottare particolari comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti (CdS V n. 4328/2003) e che la curatela fallimentare non subentri negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell'imprenditore fallito a meno che non vi sia una prosecuzione nell’attività (nella specie, l'impresa dichiarata fallita era stata destinataria di un decreto provinciale di sospensione dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di smaltimento dei pneumatici e, allo stesso tempo, di un'ordinanza sindacale diretta alla bonifica dei siti inquinati).
Ne consegue che non può accettarsi che la legittimazione passiva sia del curatore (poiché ciò, inoltre, determinerebbe un sovvertimento del principio “chi inquina paga” scaricando i costi sui creditori che non presentano alcun collegamento con l’inquinamento).
Il coinvolgimento del curatore resterà indispensabile nella fase esecutiva, come esattamente ritenuto dal Tar, ma il suo mancato coinvolgimento quale destinatario formale dell’azione amministrativa non inficia la legittimità del provvedimento impugnato.
Nel merito la CTU svolta nel corso del giudizio di appello e datata 27 marzo 2008 conferma le risultanze istruttorie derivanti dall’attività di accertamento tecnico dell’ARPA poste a fondamento dei provvedimenti impugnati.
In sostanza la consulenza afferma l’esistenza di un nesso di causalità fra le attività delle parti appellanti e la contaminazione dell’area in questione.
Va premesso che nell'attuale sistema normativo, l'obbligo di bonifica dei siti inquinati grava in primo luogo sull'effettivo responsabile dell'inquinamento stesso, mentre la mera qualifica di proprietario o detentore del terreno inquinato non implica di per sé l'obbligo di effettuazione della bonifica.
In tal senso disponeva la disciplina anteriore all'attuale Codice dell'Ambiente, vale a dire il D.Lgs. 22/1997 (c.d. decreto "Ronchi") ed il DM 471/1999 (comunque applicabili ratione temporis alla presente causa), ed allo stesso modo era orientata la giurisprudenza (si vedano, fra le tante, TAR Lombardia, Milano, sez. I, 8.11.2004, n. 5681, per la quale l'ordine di bonifica può essere posto a carico dei proprietari <<solo se responsabili o corresponsabili dell'illecito abbandono>> ed ancora TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 7.9.2007, n. 5782, con la giurisprudenza ivi richiamata; e sez. IV, 18.12.2007, n. 6684; per la giurisprudenza del Consiglio di Stato cfr. CdS VI 5 settembre 2005 nr. 4525).
La fattispecie del mero abbandono o deposito di rifiuto -che coinvolge anche i proprietari delle aree - va distinta da una situazione di vero e proprio inquinamento di un determinato sito, che è invece disciplinata dall'art. 17 dello stesso decreto legislativo.
Tale norma disciplina la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti
inquinati ponendone l'obbligo a carico dei responsabili dell'inquinamento (comma 2); demanda al Comune (comma 9), ove i responsabili non provvedano o non siano individuabili, la realizzazione d'ufficio dei relativi interventi; e dispone che detti interventi costituiscano onere reale sulle aree inquinate (comma 10), mentre la relativa spesa è assistita da privilegio speciale immobiliare sulle aree stesse oltre che da privilegio generale mobiliare (comma 11).
Essa, in particolare, recita, al comma 2: “chiunque cagiona, anche in maniera accidentale, il superamento dei limiti di cui al comma 1, lettera a), ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di superamento dei limiti medesimi, è tenuto a procedere, a proprie spese, agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate e degli impianti dai quali deriva il pericolo di inquinamento”.
In esecuzione di detti principi, il regolamento attuativo (d.m. 25 ottobre 1999 n. 471, recante criteri, procedure e modalità per la messa in sicurezza, la bonifica e il ripristino ambientale dei siti inquinati ai sensi dell'art. 17 del D. Lgs. n. 22/1997) prevede che la diffida ad eseguire i necessari interventi sia rivolta dal Comune, con propria ordinanza, al responsabile dell'inquinamento (art. 8, comma 2) e che l'ordinanza sia notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell'articolo 17, commi 10 e 11, del d.lg. n. 22/1997 (art. 8, comma 3).
Il suindicato assetto normativo sul dovere di bonifica è stato confermato dal vigente X.Xxx. 152/2006 (che ha abrogato il D.Lgs. 22/1997): l'obbligo di bonifica è posto pertanto in capo al responsabile dell'inquinamento, che le Autorità amministrative hanno l'onere di ricercare ed individuare (artt. 242 e 244 D.Lgs. 152/2006), mentre il proprietario non responsabile dell'inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera "facoltà" di effettuare interventi di bonifica (art. 245); nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, le opere di bonifica saranno realizzate dalle Amministrazioni competenti (art. 250), salvo, a fronte delle spese da esse sostenute, l'esistenza di un privilegio speciale immobiliare sul fondo, a tutela del credito per la bonifica
e la qualificazione degli interventi relativi come onere reale sul fondo stesso, onere destinato pertanto a trasmettersi unitamente alla proprietà del terreno (art. 253).
Il complesso di questa disciplina è rispondente ai dettami del diritto comunitario ed, in particolare, al principio “chi inquina paga” che va - come è tradizione nella giurisprudenza comunitaria – interpretato in senso sostanzialistico, in modo da non pregiudicare l’efficacia del diritto comunitario (per un richiamo all’effettività come criterio guida nell’interpretazione del diritto comunitario ambientale cfr. Xxxxx xx xxxxxxxxx Xx 00 giugno 2000 in causa Arco).
Il principio “chi inquina paga” consiste, in definitiva, nell’imputazione dei costi ambientali (c.d. esternalità ovvero costi sociali estranei alla contabilità ordinaria dell’impresa) al soggetto che ha causato la compromissione ecologica illecita (poiché esiste una compromissione ecologica lecita data dall’attività di trasformazione industriale dell’ambiente che non supera gli standards legali).
Ciò, sia in una logica risarcitoria ex post factum, che in una logica preventiva die fatti dannosi, poiché il principio esprime anche il tentativo di internalizzare detti costi sociali e di incentivare – per effetto del calcolo dei rischi di impresa - la loro generalizzata incorporazione nei prezzi delle merci, e, quindi, nelle dinamiche di mercato dei costi di alterazione dell’ambiente (con conseguente minor prezzo delle merci prodotte senza incorrere nei predetti costi sociali attribuibili alle imprese e conseguente indiretta incentivazione per le imprese a non danneggiare l’ambiente).
Esso trova molteplici significative applicazioni nel campo della disciplina dei rifiuti e del danno ambientale.
Con specifico riguardo alla contaminazione dei siti, pare rilevante quanto stabilito dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004, “sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale”.
Anche tale direttiva è conformata dal principio “chi inquina paga” che emerge dal diciottesimo considerando della direttiva: “ secondo il principio “chi inquina paga,
l’operatore che provoca un danno ambientale o è all’origine di una minaccia imminente di tale danno, dovrebbe di massima sostenere il costo delle necessarie misure di prevenzione o di riparazione. Quando l’autorità competente interviene direttamente o tramite terzi al posto di un operatore, detta autorità dovrebbe far sì che il costo da essa sostenuto sia a carico dell’operatore. E’ inoltre opportuno che gli operatori sostengano in via definitiva il costo della valutazione del danno ambientale ed eventualmente della valutazione della minaccia imminente di tale danno.”
La direttiva non si applica al danno di carattere diffuso – ma tale non è il caso di specie - se non in presenza di un nesso causale tra il danno e l’attività di singoli operatori.
Va quindi precisato, alla luce di tale esigenza di effettività della protezione dell’ambiente, che, ferma la doverosità degli accertamenti indirizzati ad individuare con specifici elementi i responsabili dei fatti di contaminazione, l’imputabilità dell’inquinamento può avvenire per condotte attive ma anche per condotte omissive, e che la prova può essere data in via diretta od indiretta, ossia, in quest’ultimo caso, l’amministrazione pubblica preposta alla tutela ambientale si può avvalere anche di presunzioni semplici di cui all’art. 2727 cod. civ, (le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato), prendendo in considerazione elementi di fatto dai quali possano trarsi indizi gravi precisi e concordanti, che inducano a ritenere verosimile, secondo l’ “id quod plerumque accidit” che sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori.
Ai sensi dell’art. 2729 del cod. civ. “le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti.” Orbene tale norma - che spiega il proprio effetto diretto nel giudizio civile - pone un principio generale che consente alla pubblica amministrazione , specie quando deve svolgere complesse attività di indagine su fatti che non sono a sua diretta conoscenza ma che, per essere illeciti, sono conosciuti dai privati, il ricorso alla prova logica, alle presunzioni semplici, ad indizi gravi precisi e concordanti (per un’applicazione
del principio in materia di accertamenti di illeciti anticoncorrenziali cfr. CdS VI 29 febbraio 2008 n. 760 per un’applicazione in tema di urbanistica va ricordato che si è ritenuta ravvisabile l'ipotesi di lottizzazione abusiva, prevista dall’ articolo 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, solo quando sussistono elementi precisi ed univoci da cui possa ricavarsi agevolmente l'intento di asservire all'edificazione, per la prima volta, un'area non urbanizzata C.d.S., sez. V, 13 settembre 1991, n. 1157) per la prova di determinati fatti.
Né il difetto della prova testimoniale nel processo amministrativo ( arg. ex art. 2729 comma 2 cod. civ. ) esclude la possibilità per la pubblica amministrazione di ricorrere a presunzioni semplici, poiché il canone costituzionale dell’imparzialità della pubblica amministrazione e la previsione del sindacato giudiziario sugli atti della medesima (artt. 97 e 113 Cost.) nonché delle preventive garanzie procedimentali (artt. 3 e 7 della legge n. 241 del 1990) sono sufficienti per ritenere che vi sia un sistema equilibrato di pesi e contrappesi nel riconoscimento del potere – sindacabile dal giudice amministrativo - della
p.a. di ricostruzione dei fatti rilevanti ai fini dell’adozione di provvedimenti amministrativi sfavorevoli ai privati , anche a mezzo di presunzioni semplici ove ciò sia imposto dalla natura degli accertamenti da espletare (come nel caso di illeciti anticoncorrenziali, di lottizzazioni abusive , di gravi fatti di inquinamento et similia).
Il potere esercitato nella specie è disciplinato dall’art. 8 del d.m. n. 471/1999 titolato “Ordinanze” che recita:
“1. Qualora i soggetti e gli organi pubblici accertino nell'esercizio delle proprie funzioni istituzionali una situazione di pericolo di inquinamento o la presenza di siti nei quali i livelli di inquinamento sono superiori ai valori di concentrazione limite accettabili di cui all'Allegato 1 ne danno comunicazione alla regione, alla provincia ed al comune.
2. Il comune, ricevuta la comunicazione di cui al comma 1, con propria ordinanza diffida il responsabile dell'inquinamento ad adottare i necessari interventi di messa in sicurezza d'emergenza, di bonifica e ripristino ambientale ai sensi del presente regolamento.
3. L'ordinanza di cui al comma 2 è comunque notificata anche al proprietario del sito ai sensi e per gli effetti dell'art. 17, commi 10 e 11, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 e successive modifiche ed integrazioni.
4. Il responsabile dell'inquinamento deve provvedere agli adempimenti di cui all'art. 7, comma 2, entro le quarantotto ore successive alla notifica dell'ordinanza. Se il responsabile dell'inquinamento non sia individuabile o non provveda e non provveda il proprietario del sito inquinato nè altro soggetto interessato, i necessari interventi di messa in sicurezza d'emergenza, di bonifica e ripristino ambientale o di messa in sicurezza permanente sono adottati dalla regione o dal comune ai sensi e per gli effetti dell'art. 17, commi 9, 10 e 11 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.”
Va rilevato che il potere è attivabile anche a fronte di una situazione di mero pericolo di inquinamento come imposto dal principio comunitario di precauzione come enunciato sin dalla Conferenza di Rio del 2004 (secondo l'art. 15 del documento conclusivo della Conferenza « in caso di rischi di danni gravi o irreversibili, l'assenza di certezza scientifiche non deve servire come pretesto per rinviare l'adozione di misure efficaci volte a prevenire il degrado dell'ambiente ») e dal principio di doverosa prevenzione dei danni, ciò che anticipa ulteriormente l’orizzonte degli eventi rilevanti ai fini dell’emissione del provvedimento ordinatorio in esame.
Nella specie - in ogni caso - ci si trova di fronte ad inquinamenti conclamati ed indiscutibili, perché comportanti il superamento dei c.d. limiti tabellari - che, nonostante il lungo tempo decorso dagli eventi , non sono ancora stati bonificati.
L’ARPA ha condotto numerose campagne di monitoraggio, risalenti almeno al 1998, mirate inizialmente ad individuare l’eventuale contaminazione delle acque sotterranee nell’ambito della bonifica della contigua frazione dello stabilimento in esame ove era ubicata la ex Interchim.
A tale scopo erano stati predisposti i pozzi piezometrici denominati 1 , 2 e 3 scavati nei pressi dei settori interessati dalle operazioni di movimentazione e allentamento dei rifiuti
della Interchim spa.
In sito vi erano già i pozzi di controllo A, B, C – nelle aree di pertinenza delle ditte ex Blotto e DSA - sui quali furono effettuati prelievi e campionamenti.
La posizione dei pozzi rispetto all’area ex Interchim è stata già descritta: il pozzo A è a monte dell’intero complesso industriale (quindi non è necessariamente interessato dall’attività Interchim ), il pozzo B è posto lateralmente rispetto all’area Interchim (ed al flusso delle acque di falda individuato dal consulente), il pozzo C è comunque a monte dell’area ex Interchim.
Le sostanze contaminanti non sono presenti a monte dello stabilimento gestito dagli appellanti ma sono presenti a valle dello stesso ( in particolare nel pozzo C) .
Inoltre nello stabilimento degli appellanti sono presenti cisterne interrate contenenti le sostanze tossiche riscontrate nel pozzo C (i solventi clorurati) che, presenti in tutta l’area
– cfr. pag. 10 della consulenza – sono in elevate concentrazioni sull’asse dei serbatoi interrati di pertinenza dello stabilimento degli appellanti e nell’area sud dell’insediamento Blotto (punto G) .
La dinamica e la direzione della falda che passa sotto lo stabilimento degli appellanti – individuate dalla CTU a pag. 8 con direzione, secondo la stagione, da NNW a SSE o da NNE a SSW - sono incompatibili o comunque coerenti con l’ipotesi di esclusione della provenienza dell’inquinamento da fonti esterne.
Lo stabilimento ex Interchim è posto a valle dei piezometri (in particolare del pozzo C) nei quali è stata rilevata la presenza di contaminanti.
La natura delle attività svolte dallo stabilimento ex Blotto ed ex DSA è stata analizzata a fondo dalla consulenza nei paragrafi “Descrizione del sito”, “Attività svolte e relative autorizzazioni”, “ulteriori informazioni ricavabili dal sopralluogo” ed “inquinamento originato dalle ditte Blotto e DSA”.
I dati raccolti confermano che lo stabilimento degli appellanti trattava solventi clorurati (tra cui trielina, polietilene, cloruro di vinile) e vari altri scarti di lavorazione, i terreni adiacenti
presentano tracce di tali sostanze in diversi punti, dovute presumibilmente a perdite da serbatoi, impianti di lavorazione o da operazioni di trasferimento dei liquidi, perdite di condotte, di sistemi di pompaggio e della vasca interrata di raccolta degli sversamenti posta nel locale distillazione.
Il sopralluogo effettuato dal consulente ha consentito di accertare che è ben possibile formulare ipotesi diverse ed ulteriori – tutte comunque verosimilmente addebitabili allo stabilimento - da quella del mero sversamento dai serbatoi interrati poiché le “condotte (nelle quali venivano convogliati tali rifiuti tossici) sono collegate fra loro con flangie normali, la pompa non ha tenute particolari, la valvola di emergenza della sovrapressione scarica direttamente nel locale distillazione… anche le pavimentazioni non sembrano in grado (almeno in parte) di trattenere le eventuali perdite di solventi clorurati che… hanno una elevata capacità di penetrazione attraverso i solidi”.
Se tali dati si leggono unitariamente alle indagini dell’ARPA sulle cisterne interrate il quadro indiziario si presenta completo ed esauriente.
In ultimo va considerato che la CTU dimostra che la vasca interrata – invocata dalle difese degli appellanti – posta nell’estremo lembo sud –est dell’area in oggetto può aver generato contaminazione ,in ragione della direzione di scorrimento della falda solo a valle del sito di cui si controverte e quindi non può aver influito la falda in corrispondenza del piezometro C (vedasi consulenza nel paragrafo denominato “inquinamento originato dalla vasca interrata di proprietà Blotto ma in comodato d’uso alla Interchim”).
Le circostanze indiziarie considerate dall’amministrazione e corroborate dalla CTU sono sufficienti – per gravità, precisione e concordanza – a fare concludere nel senso ritenuto dal provvedimento impugnato circa l’esistenza di un nesso causale fra la contaminazione rilevata e l’attività dello stabilimento gestito nel tempo dagli appellanti.
In particolare sono infondati il secondo ed il terzo motivo del ricorso di primo grado nr. 1940 del 2003 ed il primo ed il secondo motivo del ricorso di primo grado nr. 1941 e 1942 del 2003, tutti riproposti con l’atto di appello di ciascuna delle parti interessate
soccombenti in primo grado.
Va esaminato poi il preteso vizio di sviamento dell’azione amministrativa riproposto con gli atti di appello a pag. 37/38 (quarto motivo del ricorso di primo grado n. 1940 del 2003 e terzo dei ricorsi nr. 1941 e 1942 del 2003).
Non vi è alcun indizio di intento persecutorio da parte del Comune, anzi la CTU svolta ha confermato la ragionevolezza delle acquisizioni istruttorie e delle valutazioni compiute dall’ente locale e dall’ARPA.
Gli indizi sono sufficienti ed il Comune ha agito, nel rispetto della regola del contraddittorio procedimentale, dopo numerose e lunghe campagne di monitoraggio, su sollecitazione di un organo tecnico regionale , senza che vi siano segni procedimentali specifici di sviamento nel senso innanzi detto, indotto dall’intento di ripristinare a tutti i costi l’ambiente senza una doverosa azione di accertamento delle responsabilità.
Ne consegue il rigetto dei ricorsi di appello anche su tale punto.
In ultimo circa i motivi aggiunti che sono stati riproposti, sinteticamente, nelle ultime due pagine dei diversi atti di appello il Collegio ritiene che la loro riproposizione non conduca alla riforma della sentenza impugnata.
Va osservato che la CTU ha accertato l’ininfluenza della vasca in uso all’Interchim sugli inquinamenti rilevati e contestati agli appellanti e che non vi sono elementi specifici prospettati in appello che provino la sufficienza dell’intervento di messa in sicurezza d’emergenza del sito solo mediante lo scavo di una trincea di imprecisata profondità, potendosi per ogni altro aspetto ritenere priva di vizi la sentenza di primo grado (infatti è una mera facoltà per la p.a. dettare prescrizioni ed elementi integrativi ai sensi dell’art 7 comma 3 del d.m. cit. e legittima la richiesta di redazione di un piano di caratterizzazione peraltro eseguito dagli appellanti nelle more del giudizio).
Le spese del giudizio seguono la soccombenza liquidate come in dispositivo.
P. Q. M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge i ricorsi in appello
indicati in epigrafe.
Condanna gli appellanti, in solido fra loro, al pagamento delle spese processuali a favore delle parti resistenti, che liquida, per l’intero, in euro 15000 (quindicimila) e quindi in euro 7500 (settemilacinquecento) per ciascuna parte resistente, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, il 3 marzo 2009 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.V -, riunito in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Xxxxxx Xxxxxx Presidente
Xxxxxxx Xxxxxxx Consigliere
Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx Consigliere
Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxxx est.
Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxxxxxx Consigliere
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
X.xx Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxxxxxx x.xx Xxxxxx Xxxxxx
Depositata in segreteria il 16.06.2009
Sent. n.137/2011 – Ric. n.736/2008 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA TOSCANA SEZIONE SECONDA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 736 del 2008, proposto dal rag. Xxxxxx Xxxxxxxxxx, quale curatore del Fallimento “Risparmio di Xxxxxxx Xxxxxxx & C. S.n.c.”, rappresentato e difeso dall’avv. Xxxxxxxx Xxxxx e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Firenze, via dei Xxxxxxxxxx, n. 2
contro
Comune di Montescudaio
Xxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxx
nei confronti di
per l’annullamento,
previa sospensione dell’efficacia,
- dell’ordinanza del Comune di Montescudaio n. 9 (prot. gen. 1137) del 19 febbraio 2008, con cui è stato ingiunto al sig. Xxxxxx Xxxxxxxxxx, quale curatore fallimentare della “Risparmio di Xxxxxxx Xxxxxxx & C. S.n.c.”, ed ai sigg.xx Xxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxx, quali soci della stessa, di presentare entro trenta giorni dalla notificazione un piano di bonifica dell’immobile (capannone industriale sito in via Poggio Gagliardo n. 29) individuato al catasto fabbricati al foglio 22, part. 67, sub. 14), per la rimozione di ogni residuo dei materiali combusti depositatisi nell’area in esame in conseguenza dell’incendio del capannone;
- di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenziali. Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dal ricorrente;
Vista l’ordinanza n. 490/2008 del 15 maggio 2008, con cui è stata accolta l’istanza cautelare;
Vista la memoria conclusiva depositata dal ricorrente; Visti tutti gli atti della causa;
Nominato relatore nell’udienza pubblica del 10 dicembre 2010 il dott. Xxxxxx Xx Xxxxxxxxxx; Udito il difensore presente della parte costituita, come da verbale;
Xxxxxxxx e considerato in fatto ed in diritto quanto segue
FATTO e DIRITTO
1. A seguito del fallimento della società “Risparmio di Xxxxxxx Xxxxxxx & C. S.n.c.”, nonché dei soci illimitatamente responsabili, Xxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxxxx Xxxxx, veniva nominato curatore del fallimento il rag. Xxxxxx Xxxxxxxxxx.
1.1. Nell’attivo del fallimento il curatore rinveniva un immobile, già di proprietà della società fallita, ubicato nel Comune di Montescudaio e consistente in un capannone industriale, che in data 16 luglio 2005 era stato interessato da un incendio, con conseguente danneggiamento della struttura e deposito, al suo interno, di materiale combusto.
1.2. Di tale capannone il giudice delegato disponeva, con provvedimento del 21 febbraio 2008, la vendita senza incanto, ponendo a carico dell’aggiudicatario eventuali oneri per la bonifica dell’area. Tuttavia, il 26 febbraio 2008 veniva notificata al predetto sig. Volterrani l’ordinanza del Comune di Montescudaio n. 9/2008 (prot. gen. n. 1137) del 19 febbraio 2008, recante ingiunzione a carico del medesimo (nella sua veste di curatore del fallimento), nonché dei sigg.xx Xxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxx, quali soci della società fallita, di presentare entro trenta giorni un piano di bonifica per la rimozione di ogni residuo dei materiali combusti depositatisi a seguito dell’incendio del capannone.
2. Avverso l’ora vista ordinanza del Comune di Montescudaio è insorto il sig. Volterrani, nella sua veste di curatore del fallimento, impugnandola con il ricorso in epigrafe (dopo averne chiesto senza esito il ritiro alla P.A.) e chiedendone l’annullamento, previa sospensione.
2.1. A supporto del gravame, ha dedotto le doglianze di:
- violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 della l. n. 241/1990 e 192 del d.lgs. n. 152/2006, e dell’art. 97 Cost., eccesso di potere per violazione del giusto procedimento, violazione dei principi di buon andamento e correttezza e per lesione del contraddittorio, in quanto la P.A. avrebbe adottato l’ordinanza gravata omettendo la previa comunicazione di avvio del procedimento, né nella vicenda in esame potrebbe invocarsi l’art. 21-octies, comma 2, della l. n. 241/1990;
- violazione e/o falsa applicazione degli artt. 14 e 17 del d.lgs. n. 22/1997 (ora artt. 192 e segg. del d.lgs. n. 152/2006, nonché dell’art. 18 del d.m. n. 471/1999, eccesso di potere per carenza assoluta di presupposti e difetto di istruttoria, giacché la disciplina di settore individua quali soggetti tenuti alla bonifica il responsabile dell’inquinamento ed il proprietario o titolare di diritto reale/personale di godimento sull’area, cui la violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, cosicché la curatela non potrebbe essere destinataria dell’obbligo di ripristino ambientale (per fatti, peraltro, verificatisi all’epoca in cui l’immobile in discorso era ancora nella disponibilità della società), non subentrando negli obblighi strettamente correlati alla responsabilità del fallito e potendo al più la P.A. recuperare le somme anticipate per l’intervento mediante insinuazione al passivo del fallimento;
- violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e 17 del d.lgs. n. 22/1997 sotto differente profilo ed eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti e difetto di istruttoria, perché anche laddove si ritenesse che la curatela fallimentare possa essere destinataria passiva dell’ordine di rimozione dei rifiuti, nel caso di specie non sarebbe ascrivibile al curatore rag. Volterrani nessun comportamento colpevole, essendosi egli attivato (con un’istanza al Comune) per scongiurare i rischi connessi alla situazione di inquinamento e
tenuto conto dell’inottemperanza dei soci falliti a precedenti ordinanze emesse dal Comune di Montescudaio nei loro confronti.
2.2. Il Comune di Montescudaio, pur ritualmente evocato, non si è costituito in giudizio.
2.3. Nella Camera di consiglio del 15 maggio 2008 il Collegio, considerata la precedente adozione, da parte del Comune, di ordinanze per la messa in sicurezza e la rimozione dei materiali combusti a carico dei titolari della società fallita, ritenuta l’impossibilità di accollare al curatore del fallimento oneri di bonifica direttamente riconducibili a situazioni perfezionatesi in capo all’impresa fallita in epoca antecedente al fallimento e considerata, da ultimo, la possibilità per il Comune di eseguire ex officio la bonifica, insinuando il relativo credito al passivo fallimentare, con ordinanza n. 490/2008 ha accolto l’istanza incidentale di sospensione.
2.4. In vista dell’udienza di merito, il ricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle conclusioni già rassegnate.
2.5. All’udienza pubblica del 10 dicembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
3. Si può prescindere dall’esame della censura (violazione dell’art. 7 della l. n. 241/1990) di natura formale-procedimentale dedotta dal ricorrente con il primo motivo, attesa la fondatezza, nel caso di specie, di quelle di natura sostanziale contenute nel secondo e nel terzo motivo.
3.1. In particolare, deve essere condivisa, alla luce della prevalente giurisprudenza espressasi sulla questione, la doglianza del ricorrente, per cui la curatela fallimentare non può essere destinataria di ordinanze sindacali dirette alla bonifica di siti inquinati, per effetto del precedente comportamento commissivo od omissivo dell’impresa fallita (C.d.S., Sez. V, 29 luglio 2003, n. 4328). Al riguardo si è, infatti, sottolineata l’erroneità delle argomentazioni per cui: a) la disponibilità dei beni, anche di quelli classificati come rifiuti nocivi, entrerebbe giuridicamente nella titolarità del curatore, sul quale graverebbe, per conseguenza, il dovere di rimuoverli secondo le leggi vigenti; b) il fallimento subentra negli obblighi facenti capo all’impresa fallita e perciò sarebbe tenuto all’adempimento dei doveri
derivanti dall’accertata responsabilità della stessa impresa, come dimostrerebbe tra l’altro la disciplina della legge fallimentare sulla prosecuzione dei contratti facenti capo all’impresa fallita. In realtà, se l’ordinanza impugnata è rivolta al fallimento per effetto dell’inottemperanza dell’impresa a precedenti provvedimenti (com’è avvenuto sia nella fattispecie analizzata dalla giurisprudenza ora riportata, sia nel caso oggetto del ricorso in epigrafe), la curatela fallimentare deve esser considerata estranea alla determinazione degli inconvenienti sanitari riscontrati nell’area interessata. Non basta, a far scattare un obbligo in capo alla curatela, il riferimento alla disponibilità giuridica degli oggetti qualificati come rifiuti inquinanti: il potere di disporre dei beni fallimentari, secondo le regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato, non comporta necessariamente – per la giurisprudenza del Consiglio di Stato in commento, le cui affermazioni il Collegio condivide – il dovere di adottare particolari comportamenti attivi, volti alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica dei fattori inquinanti. D’altro lato, è proprio il richiamo alla disciplina del fallimento e della successione nei contratti a dimostrare che la curatela fallimentare non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell’imprenditore fallito, non potendosi invocare l’art. 1576 c.c., poiché l’obbligo di mantenimento della cosa locata in buono stato riguarda i rapporti tra conduttore e locatore e non si riverbera, direttamente, sui doveri fissati da altre disposizioni, dirette ad altro scopo (C.d.S., Sez. V, n. 4328/2003, cit.).
3.2. Sulla questione si è espresso anche questo Tribunale Amministrativo (T.A.R. Toscana, Sez. II, 1° agosto 2001, n. 1318), che, mutando il proprio precedente orientamento (T.A.R. Toscana, Sez. I, 3 marzo 1993, n. 196; id., Sez. II, 28 aprile 2000, n. 780), ha evidenziato come, in linea di principio, i rifiuti prodotti dall’imprenditore fallito non siano beni da acquisire alla procedura fallimentare e, quindi, non formino oggetto di apprensione da parte del curatore. L’esclusione della possibilità di sussumere legittimamente i rifiuti nel compendio fallimentare fa, perciò, scartare l’ipotizzabilità di profili di responsabilità di carattere meramente gestorio in capo al curatore. La sentenza in
rassegna precisa, inoltre, che per una diversa conclusione sarebbe necessario individuare un’univoca, chiara ed autonoma responsabilità in capo al curatore fallimentare nell’abbandono dei rifiuti di cui trattasi, che, però, va esclusa quando il fatto si è verificato in epoca antecedente all’apertura della procedura fallimentare, richiedendo la normativa di riferimento (a partire dal d.lgs. n. 22/1997) l’accertamento della responsabilità da illecito in capo al destinatario dell’ordine. In mancanza dell’ascrivibilità alla curatela fallimentare di una condotta illecita o di un comportamento corresponsabile, alla P.A. non resta che procedere all’esecuzione d’ufficio ed al recupero delle somme anticipate con insinuazione del relativo credito al passivo fallimentare, in conformità, del resto, all’art. 18, comma 5, del d.m. n. 471/1999 (T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 1318/2001, cit.).
3.3. Facendo applicazione del suesposto orientamento al caso qui in esame, non può che concludersi per la fondatezza del secondo e del terzo motivo di ricorso. Infatti, da un lato, l’ordinanza gravata fa riferimento a due ordinanze emesse nei confronti dei soci della società fallita, rimaste inottemperate (la n. 30/05 e la n. 34/05), dando espressamente atto nel dispositivo che i predetti soci (sigg.ri Xxxxx ed Xxxxxxx Xxxxxxx) erano proprietari all’epoca dei fatti dell’immobile e dell’area su cui insistono i residui di materiali combusti a seguito dell’incendio del capannone. Dall’altro, nessun addebito sul piano soggettivo, di nessun genere, viene mosso nei confronti della curatela fallimentare, evocata in aggiunta ai succitati sigg.xx Xxxxxxx quale soggetto destinatario dell’ordine. In particolare, nessuna menzione viene fatta circa un’eventuale autorizzazione del fallimento a proseguire l’attività svolta in precedenza dall’impresa fallita (ciò che avrebbe potuto legittimare un collegamento dell’obbligo di bonifica all’effettuazione di operazioni potenzialmente inquinanti: C.d.S., Sez. V, n. 4328/2003, cit.). Donde la fondatezza del gravame.
3.4. Ad una diversa conclusione non si potrebbe pervenire neanche aderendo alla tesi che configura l’illecito ambientale come illecito permanente. In base a detta tesi si è affermata l’applicabilità della normativa di cui all’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997 a qualsivoglia situazione di inquinamento in atto al tempo dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 22 cit.,
indipendentemente dal momento del verificarsi del fatto generatore dell’attuale situazione patologica: ciò, però, a condizione che il soggetto che aveva posto in essere la condotta all’epoca in cui non vigeva ancora il d.lgs. n. 22/1997 fosse lo stesso che operava al tempo del verificarsi dell’inquinamento, dopo tale data (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 19 aprile 2007, n. 1913). Per quanto sopra detto, si deve escludere che una simile identità sia ipotizzabile tra il fallito e la curatela fallimentare. Sul punto, il Collegio ritiene di aderire in toto alle osservazioni avanzate dal curatore fallimentare nell’istanza di riesame dell’ordinanza gravata e, poi, riprodotte nel ricorso, in base alle quali, al di fuori dell’esercizio provvisorio (caso non verificatosi), il curatore non è il produttore dei rifiuti, né lo diventa con la dichiarazione di fallimento, poiché non sostituisce il fallito e la procedura fallimentare ha uno scopo liquidativo e non già amministrativo o continuativo dell’impresa fallita. Peraltro, quando (come nella fattispecie per cui è causa) è il fallito ad aver prodotto i rifiuti e cagionato un danno all’ambiente, sullo stesso grava l’onere per il relativo smaltimento, da soddisfare, come già esposto, con l’insinuazione al passivo fallimentare del credito sorto in capo alla P.A. che ha anticipato le relative spese.
4. In definitiva, il ricorso è fondato, in virtù della fondatezza del secondo e del terzo motivo e con assorbimento del primo. Conseguentemente, va disposto l’annullamento dell’impugnata ordinanza del Comune di Montescudaio, nella parte in cui ingiunge la presentazione del piano di bonifica per l’area interessata in capo al curatore fallimentare.
5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo nei confronti del Comune di Montescudaio, con compensazione nei confronti delle altre parti evocate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), così definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per conseguenza, annulla il provvedimento impugnato nei termini di cui in motivazione.
Condanna il Comune di Montescudaio al pagamento di spese ed onorari di causa, che liquida in via forfettaria in complessivi € 3.000 (tremila/00), più gli accessori di legge, compensando le spese nei confronti delle altre parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella, Camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2010, con l’intervento dei magistrati:
Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Presidente Xxxxxxxx Xxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxxxxxx
Xxxxxx Xx Xxxxxxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxxxxxx, Xxxxxxxxx Xxxxxxxxxx in segreteria il 21.01.2011
Sent. n.385/2012 – Ric. n.27/2012 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL FRIULI VENEZIA GIULIA SEZIONE PRIMA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 27 del 2012, proposto da: Fallimento Centro Recupero Carta S.p.A., rappresentato e difeso dall'avv. Xxxxx Xxxxxxxxxx, con domicilio eletto presso Xxxxxxx Xxxxxxxx Xxx. in Trieste, xxx Xxxxxxxxxx Xxxxxxx 0;
contro
Comune di Xxxxxx del Friuli, rappresentato e difeso dall'avv. Ino Pupulin, con domicilio eletto presso Segreteria Generale T.A.R. in Trieste, p.zza Unita' D'Italia 7;
nei confronti di Societa' Emme i Srl, non costituita in giudizio;
per l'annullamento
-dell'ordinanza del sindaco del comune di Xxxxxx del Friuli prot. n. 4952, contenente l'ordine di procedere alla rimozione e smaltimento dei rifiuti plastici e di diversa natura depositati dalla società fallita, in frazione Joannis di Xxxxxx del Friuli e costituita da 1 capannone e da 3 strutture metalliche di cui 2 con copertura telonata;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Xxxxxx del Friuli; Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2012 il xxxx. Xxxx Xxxxxxxxxx e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Xxxxxxxx e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il presente ricorso si inserisce nella vicenda conseguente al fallimento del ” Centro di recupero carta spa” in liquidazione; infatti il Comune, con la nota Sindacale dd. 23 settembre 2011, ha richiesto al curatore fallimentare di procedere alla rimozione e smaltimento dei rifiuti riferiti all’attività dell’azienda fallita ed ha poi adottato l’impugnato ordine di procedere alla rimozione e smaltimento degli stessi.
Il ricorso deduce i seguenti motivi:
1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 192 decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, anche con riferimento alle norme della legge fallimentare che escludono la legittimazione passiva a carico del curatore fallimentare per obblighi di smaltimento dei rifiuti della società fallita; nell’assunto del difetto di legittimazione passiva del Curatore Fallimentare quanto agli obblighi di smaltimento ex art. 192 citato il quale semmai ed in via subordinata graverebbe sulla Ditta proprietaria dell' area concessa in locazione alla Ditta KRONE SRL.
2) Eccesso di potere per erroneità dei presupposti e difetto di istruttoria con riferimento alle risultanze delle indagini della autorità giudiziaria penale; difetto di motivazione, anche con riferimento alla memoria istruttoria ex art.10 legge 7.8.1990 n. 241; in via subordinata, stante il ritenuto carattere assorbente della censura sul difetto di legittimazione passiva del Curatore Fallimentare oggetto del primo motivo di ricorso, viene contestata la legittimità del passo di motivazione dell'ordinanza del Sindaco che opera un (sommario) riferimento agli atti dell'indagine penale in corso di svolgimento, deducendo l’erroneità del presupposto assunto dalla ordinanza del Comune: che cioè la semplice sottoscrizione senza riserve del verbale valga a determinare un obbligo di smaltimento conseguente in capo al Curatore.
Si ricorda anche che l'attività di liquidazione affidata al Curatore Fallimentare trova il suo fondamento e la sua disciplina nell'inventario redatto dopo la dichiarazione di fallimento, sulla base delle direttive stabilite dal Giudice Delegato del Tribunale, precisando che dal
relativo estratto si evincerebbe che non vi figura il materiale già oggetto del sequestro penale.
3) violazione e falsa applicazione dell'art. 192 d.lgs n. 152/2006; eccesso di potere per contradditorietà e per erroneità dei presupposti; difetto di motivazione e di istruttoria con riferimento al contratto di locazione 26.7.2005 sottoscritto dalla proprietaria soc. Xxxx.x.xxx;
La ricorrente ricorda che nella memoria procedimentale presentata dal Curatore era stata formulata esplicita richiesta di estensione dell'indagine amministrativa anche con riferimento alla responsabilità per condotta omissiva in capo alla proprietaria degli immobili in Xxxxxx Soc. Emme I Srl., responsabilità che viene esclusa dall'ordinanza impugnata “… anche in ragione del limitato lasso di tempo intercorso tra la stipula e il sequestro operato in data 22.6.2006".
La ricorrente sostiene che tale ultima considerazione in ordine al lasso di tempo sarebbe viziata e contraddittoria, poiché la durata di esecuzione contrattuale raggiunge gli 11 mesi e quindi un periodo significativo nel quale la Società proprietaria poteva e doveva verificare il rispetto dei presupposti di legge per la legittimità delle attività svolte in loco, tanto più che il contratto sottoscritto conteneva un esplicito riferimento alla Legge 15 dicembre 2004 n. 308, in tal modo evidenziando la consapevolezza delle parti sulla necessità che la condotta della Ditta KRONE e del Signor Xxxxxxxx presentasse i requisiti autorizzativi e normativi che rendevano lecito il deposito dei materiali nei siti di Xxxxxx.
La contraddittorietà della motivazione risulterebbe dal riferimento contenuto nell' ordinanza sindacale all' accertamento operato dall' ARPA Dipartimento di Udine, inviato anche alla proprietaria Soc. Emme.r. srl che ne ha avuto per l'effetto piena conoscenza. Secondo questa indagine infatti "solo minima parte di quanto depositato all'interno del capannone potrebbe non essere classificato come rifiuto ovvero: balle di carte colorata, big bags depositate su pallet e non ancora utilizzati, bobine di film plastico senza
stampigliatura". Pertanto viene ritenuta evidente la natura di rifiuto con riferimento alla grande massa di materiale in corso di accumulazione, durante i mesi, sul piazzale e nelle tettoie di pertinenza.
La mancata vigilanza da parte della società proprietaria sarebbe stata pertanto esclusa dal Comune sulla base di una semplice interpretazione dello strumento contrattuale, senza che risulti compiuta alcuna specifica indagine istruttoria, che era stata espressamente sollecitata nella memoria presentata dalla deducente Curatela Fallimentare in sede di partecipazione al procedimento.
A conferma del coinvolgimento della Società proprietaria si osserva anche che lo stesso verbale di dissequestro a restituzione dei rifiuti solidi dd. 1. 10.2008 risulta sottoscritto anche dal Signor XXXXXXXXX Xxxxxxxxx, in qualità di legale rappresentante in carica pro tempore della EMME.I. Sr1, notificataria anch’essa del ricorso in oggetto.
Si è costituito in giudizio il Comune di Xxxxxx del Friuli controdeducendo per il rigetto del ricorso.
Il ricorso è fondato per la evidente fondatezza del primo motivo di ricorso che si rivela anche assorbente.
Il Collegio infatti non ha intenzione di discostarsi dalla pressochè costante giurisprudenza che ha escluso la legittimità di ordini di rimozione di rifiuti relativi all’attività dell’azienda fallita rivolti alla curatela fallimentare, da ritenersi pacificamente non responsabile dell’inquinamento.
Le due sentenze di questo TAR citate dall’ordinanza impugnata e, apparentemente, di diverso avviso erano in realtà motivate da situazioni di fatto le cui particolarità non si ritrovano nel caso di specie. Infatti, la più recente sentenza 27.5.2010 n. 359 afferma la legittimazione del Curatore fallimentare in considerazione della mancata ottemperanza da parte della Società poi fallita ad una precedente ordinanza sindacale già contenente l'affermazione dell'obbligo di asporto dei rifiuti industriali e divenuta ormai inoppugnabile, nonché dell'esistenza di contratto di locazione dell'immobile riferibile direttamente alla
società poi fallita ed in cui era subentrato il curatore fallimentare. Nel presente giudizio, invece, l’obbligo di rimozione non preesisteva ed il contratto di locazione è intercorso esclusivamente tra due società commerciali diverse da quella interessata dalla dichiarazione di fallimento del "Centro Recupero Carta", da cui deriva la nomina a Curatore della odierna ricorrente Dott.ssa Toneatto.
A sua volta la sentenza N. 564 del 3.9.2007 prende in considerazione unicamente la carenza di legittimazione a provvedere da parte dei soci della società fallita cui un’ordinanza, emessa dopo la dichiarazione di fallimento, risultava direttamente indirizzata, lasciando impregiudicata la questione relativa alla possibile iscrizione di responsabilità alla curatela, che non può ritenersi implicita nell’osservazione che, a norma dell'art. 88 della legge fallimentare, il curatore del fallimento, con la presa in consegna dei beni aziendali, ne diviene detentore.
Nel caso di specie il Comune nulla dice circa la responsabilità della curatela fallimentare che non può quindi ritenersi legittima destinataria dell’ordine di rimozione per mancanza dei presupposti richiesti dall’art. 192 decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152; infatti l’ipotesi di responsabilità della Curatela Fallimentare sarebbe configurabile nella sola ipotesi in cui il Tribunale Fallimentare competente abbia ritenuto di autorizzare il Curatore all'esercizio provvisorio, al sensi dell'art. 90 L.F., ipotesi che consente di superare le finalità solo liquidatorie delle operazioni affidate al Curatore, per cui quest'ultimo avrebbe assunto veste di titolare dell'attività di impresa, continuando a realizzare l'attività precedentemente svolta, anche per le operazioni potenzialmente inquinanti e, con riferimento al caso di specie, potrebbe essere ritenuto responsabile di non aver provveduto al tempestivo utilizzo anche di quella parte dei rifiuti che possano essere derivati dal mancato tempestivo utilizzo delle materie prime secondarie che erano state stoccate per il trattamento e la commercializzazione da parte dell’impresa fallita.
Inoltre il compendio di Xxxxxxx di Xxxxxx non è oggetto di alcun rapporto contrattuale di locazione sottoscritto dalla Soc. Centro Recupero Carta SPA. Pertanto il Curatore non si è
trovato nella condizione di dover o poter esercitare la facoltà di recesso, che allo stesso è espressamente riconosciuta dall'art. 80 della L.F., e non ha potuto neppure valutare se sussiste l'interesse della procedura fallimentare ai singoli rapporti contrattuali in essere, dato che non vi è alcun possesso né detenzione dell'area.
Per tutte le considerazioni che precedono il ricorso è fondato e deve essere accolto.
Le spese tranne il contributo unificato che segue la soccombenza possono essere compensate tenuto conto del fatto che le precedenti sentenze di questo TAR possono aver ingenerato confusione nel Comune.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla l’atto impugnato.
Condanna il Comune di Ajello del Friuli a rifondere alla parte ricorrente l’importo del contributo unificato ai sensi di legge e compensa tra le parti le restanti spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2012 con l'intervento dei magistrati:
Xxxxxxx Xxxxxxx, Presidente Xxxx Xx Xxxxxxxx, Consigliere
Oria Settesoldi, Consigliere, Estensore Depositata in segreteria il 31.10.2012
Sent. n.1398/2012 – Ric. n.1153, 1485, 1512/2011 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL VENETO SEZIONE TERZA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1153 del 2011, proposto da: Fallimento Xxxxxxxxxxxx Xxx, rappresentato e difeso dall’avv. Xxxx Xxxxx, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Xxxxx Xxxxxx in Venezia – Mestre, Xxxxxxxx Xxxxxxxx Xx Xxxxx, 0;
contro
Comune di Ponte di Piave, in persona del Sindaco pro tempore, non costituitosi in giudizio;
Provincia di Treviso, in persona del Presidente pro tempore, non costituitasi in giudizio;
nei confronti di
Hypo Alpe-Adria Bank Spa, rappresentata e difesa dall’avv. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, con domicilio presso la Segreteria del T.A.. ai sensi dell’art. 25 cod. proc. amm.; Fallimento Opera Srl, rappresentato e difeso dagli avv.ti Xxxxx Xxxxxxxxx e Xxxxxx Xxxxxx, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R. ai sensi dell’art. 25 cod. proc. amm.; sul ricorso numero di registro generale 1485 del 2011, proposto da: Fallimento Opera Srl, rappresentato e difeso dagli avv.ti Xxxxx Xxxxxxxxx e Xxxxxx Xxxxxx, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R. ai sensi dell’art. 25 cod. proc. amm.; contro
Comune di Ponte di Piave, in persona del Sindaco pro tempore, non costituitosi in giudizio;
Provincia di Treviso, in persona del Presidente pro tempore, non costituitasi in giudizio;
nei confronti di
Fallimento Xxxxxxxxxxxx Xxx, rappresentato e difeso dagli avv.ti Xxxx Xxxxx e Xxxxxx Xxxxxx, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Xxxxx Xxxxxx in Venezia – Mestre, Xxxxxxxx Xxxxxxxx Xx Xxxxx, 0; Hypo Alpe Adria Bank Spa, rappresentata e difesa dall’avv. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R. ai sensi dell’art. 25 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1512 del 2011, proposto da: Xxxx Xxxx – Adria – Bank Spa, rappresentata e difesa dall’avv. Xxxxxxxxx Xxxxxxxxx, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R. ai sensi dell’art. 25 cod. proc. amm.;
contro
Comune di Ponte di Piave, in persona del Sindaco pro tempore, non costituitosi in giudizio;
Provincia di Treviso, in persona del Presidente pro tempore, non costituitasi in giudizio;
nei confronti di
Fallimento Quadrifoglio Xxx, rappresentato e difeso dagli avv. Xxxx Xxxxx e Xxxxxx Xxxxxx, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Xxxxx Xxxxxx in Venezia – Mestre, Xxxxxxxx Xxxxxxxx Xx Xxxxx, 0; Fallimento Opera Srl, rappresentato e difeso dagli avv.ti Xxxxx Xxxxxxxxx e Xxxxxx Xxxxxx, con domicilio presso la Segreteria del T.A.R. ai sensi dell’art. 25 cod. proc. amm.; per l’annullamento
quanto al ricorso n. 1153 del 2011:
- dell’ordinanza n. 1 del 17.5.2011 prot. n. 5.745 del responsabile del servizio ecologia del Comune di Ponte di Piave, notificata in data 24.5.2011, nella parte in cui gli adempimenti dalla stessa imposti sono indirizzati al fallimento della Società Quadrifoglio s.r.l ed al suo curatore.
quanto al ricorso n. 1485 del 2011:
- dell’ordinanza del responsabile del servizio ecologia del comune di Ponte di Piave, n. 1 del 17.5.2011 prot. n. 5745 notificata il 23/5/2011, nella parte in cui viene ordinato al fallimento Opera s.r.l., in liquidazione di procedere allo smaltimento dei rifiuti depositati presso l’area non autorizzata in xxx xxxxx xxxxxxxxx x. 00 e di trasmettere al Comune di Ponte di Piave, alla Provincia di Treviso e a Arpav – dipartimento provinciale di Treviso, entro 30 gg. dal ricevimento, un dettagliato programma il quale dovrà contenere le informazioni sulla caratterizzazione (con verbali di campionamento e referti analitici) e quantità dei rifiuti rinvenuti;
quanto al ricorso 1512 del 2011:
- dell’ordinanza n. 1 del 17.5.2011 prot. n. 5.745 del responsabile del servizio ecologia del Comune di Ponte di Piave, nella parte in cui gli adempimenti dalla stessa imposti sono indirizzati al ad Hypo Alpe Adria Bank Spa nella qualità di proprietaria dell’immobile.
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Hypo Alpe-Adria Bank Spa e del Fallimento Opera Srl e del Fallimento Quadrifoglio Srl, nonché di Hypo Alpe Adria Bank Spa e del Fallimento Quadrifoglio Srl e del Fallimento Opera Srl;
Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 ottobre 2012 il dott. Xxxxxxx Xxxxxx e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Xxxxxxxx e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ordinanza n. 1 prot. n. 5745 del 17 maggio 2011, il responsabile del servizio ecologia del Comune di Ponte di Piave ha ordinato al fallimento della Società Quadrifoglio Srl, al fallimento della Società Opera Srl e ad Hypo Alpe Adria Bank Spa, in qualità quest’ultima di proprietaria dell’immobile, di presentare un programma per la caratterizzazione e rimozione dei rifiuti abbandonati in un capannone e nell’area pertinenziale dello stesso,
sito in via delle Industrie al n. 28, costituiti da vernici e pitture esauste o scadute e imballaggi, ritenendo a tali soggetti addebitabile la responsabilità del loro abbandono.
Va premesso che la Società Mobel Forniture Srl, che in seguito ha cambiato la propria denominazione sociale in Società Quadrifoglio Srl, si è rivolta ad Hypo Alpe Adria Bank Spa per ottenere in locazione finanziaria (leasing), in qualità di utilizzatrice, il predetto immobile, e che Hypo Alpe Adria Bank Spa, il 17 aprile 2007, in qualità di concedente, ha acquistato l’immobile a questo scopo, stipulando lo stesso giorno il contratto di leasing, in forza del quale l’immobile è stato direttamente consegnato alla Società Quadrifoglio Srl.
A seguito dell’inadempimento del pagamento dei canoni, Hypo Alpe Adria Bank Spa in data 25 luglio 2008 ha comunicato la risoluzione di diritto del contratto di leasing e, a fronte del mancato pagamento del debito e della mancata consegna dell’immobile, il 10 ottobre 2008 ha presentato istanza di fallimento, dichiarato poi dal Tribunale di Treviso con sentenza n. 154 del 3 dicembre 2008.
Il curatore del fallimento della Società Quadrifoglio, con nota del 2 febbraio 2009, ha comunicato l’impossibilità di riconsegnare l’immobile, in quanto era emerso che lo stesso era nella disponibilità di altra Società, la Società Opera Srl, anch’essa fallita, in forza di un contratto di affitto di ramo di azienda sottoscritto in violazione delle clausole contenute nel contratto di leasing.
In tale occasione il curatore del fallimento ha informato Hypo Alpe Adria Bank Spa e le autorità preposte alla tutela ambientale dell’esistenza di una notevole quantità di rifiuti speciali.
Dopo varia corrispondenza intercorsa tra il Comune, i curatori fallimentari delle Società Quadrifoglio Srl e Opera Srl, e Hypo Alpe Adria Bank Spa, in cui a vario titolo tali Società facevano presenti le ragioni per le quali ritenevano di non essere tenute alla rimozione dei rifiuti, il Comune di Ponte di Piave ha adottato nei confronti di tutti i soggetti coinvolti l’ordinanza di rimozione rifiuti n. 1 prot. n. 5745 del 17 maggio 2011.
Tale ordinanza è impugnata con ricorso r.g. 1153 del 2011 dal fallimento di Xxxxxxxxxxxx Xxx per le seguenti censure:
I) incompetenza del dirigente del Comune ad adottare un’ordinanza di rimozione rifiuti che per l’art. 192 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, deve essere adottata dal Sindaco;
II) violazione e falsa applicazione degli artt. 192 e seguenti del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, e difetto di presupposti per l’omessa considerazione che l’immobile era nella disponibilità materiale della Società Opera Srl, e non nella disponibilità della Società Quadrifoglio Srl, e che il contratto di affitto di ramo d’azienda prevedeva in un’apposita clausola che la Società Opera Srl si era obbligata a smaltire tutti i rifiuti speciali e le vernici scadute presenti nell’immobile, e perché l’ordine di rimozione non può essere pronunciato nei confronti del fallimento cui non sia addebitabile l’abbandono dei rifiuti;
III) violazione dell’art. 192, comma 3, del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, e del principio di partecipazione, per il mancato accertamento dell’imputabilità al fallimento, a titolo di dolo o colpa, dell’abbandono dei rifiuti, carenza di istruttoria e difetto di motivazione.
Con ricorso r.g. 1485 del 2011 il fallimento della Società Opera Srl impugna la predetta ordinanza per le seguenti censure:
I) violazione e falsa applicazione dell’art. 192, comma 3, e dell’art. 239 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, difetto di legittimazione passiva, difetto di presupposto e travisamento perché non è stata svolta un’indagine finalizzata all’accertamento della responsabilità nell’abbandono dei rifiuti e dell’eventuale addebitabilità alla Società Opera Srl, che ha cessato la propria attività ben prima dell’adozione dell’ordinanza di rimozione dei rifiuti, e comunque per la non addebitabilità della responsabilità al fallimento;
II) violazione e falsa applicazione dell’art. 192 e dell’art. 239 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, difetto di legittimazione passiva, di presupposto, illogicità, travisamento e contraddittorietà, perché è la stessa motivazione dell’ordinanza impugnata ad escludere espressamente che la Società Opera Srl, nel breve tempo intercorso tra la stipula del
contratto di affitto, il 14 novembre 2008, e la data di risoluzione del contratto, avvenuta il 30 gennaio 2009, possa aver prodotto i rifiuti abbandonati;
III) violazione e falsa applicazione dell’art. 192 e dell’art. 239 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, difetto di presupposto, travisamento e illogicità manifesta perché non può essere impartito un ordine di rimozione relativamente a rifiuti che, in parte, sono all’interno del capannone;
IV) violazione dell’art. 239 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, difetto di presupposto, travisamento, difetto di istruttoria e motivazione perché non è stata verificata la sussistenza di una contaminazione o di un rischio di contaminazione;
V) violazione e falsa applicazione dell’art. 192, comma 3, del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, ed incompetenza, perché l’ordinanza è stata adottata dal dirigente anziché dal Sindaco, come previsto dalla norma citata.
Con ricorso r.g. 1512 del 2011 l’ordinanza di rimozione è impugnata da Hypo Alpe Adria Bank Spa per le seguenti censure:
I) violazione dell’art. 192 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, perché nessun addebito a titolo di dolo o colpa nell’abbandono dei rifiuti può essere posto a carico di Hypo Alpe Adria Bank Spa, che non ha mai avuto la materiale detenzione dell’immobile, essendosi limitata ad acquistarlo per cederlo in leasing alla Società Quadrifoglio Srl;
II) contraddittorietà tra l’istruttoria e il dispositivo del provvedimento impugnato, e tra la motivazione e il dispositivo, e violazione dell’art. 192 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, per la mancata congruenza tra l’accertata produzione dei rifiuti da parte della Società Quadrifoglio Srl, l’accertata assunzione dell’obbligo contrattuale di smaltirli da parte della Società Opera Srl, e l’ordine impartito al proprietario incolpevole;
III) violazione degli artt. 239 e 240 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, per la mancata verifica dell’eventuale superamento dei livelli di contaminazione e la mancata verifica dell’estraneità della ricorrente.
In tutti e tre i giudizi si sono reciprocamente costituiti i ricorrenti in qualità di controinteressati, mentre non si è costituito il Comune di Ponte di Piave.
Le domande cautelari proposte dai ricorrenti sono state respinte con ordinanze n. 575 del 7 luglio 2011 quanto al ricorso r.g. 1153 del 2011, proposto dal fallimento Xxxxxxxxxxxx Xxx; con ordinanza n. 819 del 19 ottobre 2011, quanto al ricorso r.g. 1485 del 2011, proposto dal fallimento della Società Opera Srl; e con ordinanza n. 726 del 6 settembre 2011, quanto al ricorso r.g. 1512 del 2011 proposto da Xxxx Xxxx Adria Bank Spa.
Avverso le ordinanze di reiezione della domanda cautelare hanno proposto appello il fallimento della Società Opera Srl e Hypo Alpe Adria Bank Spa.
La quinta Sezione del Consiglio di Stato con ordinanze, rispettivamente n. 334 del 24 gennaio 2012 e n. 5498 del 14 dicembre 2011, ha motivatamente accolto le domande cautelari proposte in primo grado.
Alla pubblica udienza del 25 ottobre 2012, la causa è stata trattenuta in decisione.
I ricorsi, di cui va disposta la riunione in quanto soggettivamente ed oggettivamente connessi, sono fondati e devono essere accolti.
In primo luogo sono fondate le censure di incompetenza del responsabile del servizio ecologia ad adottare l’ordine di rimozione dei rifiuti abbandonati.
Infatti, come chiarito dalla giurisprudenza (cfr. ex pluribus Consiglio di Stato, Sez. V, 25 agosto 2008, n. 4061; Tar Xxxxxx Xxxxxxx, Bologna, Sez. II, 26 gennaio 2011, n. 61) anche di questo Tribunale (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 20 ottobre 2009, n. 2623; id. 14 gennaio 2009, n. 40) l’art. 192 comma 3, Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, norma speciale
sopravvenuta rispetto all’art. 107 comma 5, Dlgs. 18 agosto 2000, n. 267, attribuisce espressamente al sindaco la competenza a disporre, con ordinanza, le operazioni necessarie alla rimozione ed allo smaltimento dei rifiuti previste dal comma 2.
Tale previsione, sulla base degli ordinari criteri preposti alla soluzione delle antinomie normative (criterio specialistico e criterio cronologico), prevale sul disposto dell’art. 107 comma 5, Dlgs. n. 267 del 2000.
Tale rilievo comporta pertanto di per sé l’annullamento dell’ordinanza impugnata, fermo restando che la questione andrà rimessa al Sindaco, che è l’organo individuato come competente dalla norma ad adottare le ordinanze di rimozione dei rifiuti.
Nel caso di specie, atteso che si è di fronte ad un vizio di incompetenza di tipo infrasoggettivo, che è quello che si verifica nell’ambito dello stesso ente, poiché l’Amministrazione è evocata in giudizio nella sua unitarietà indipendentemente dallo specifico riferimento soggettivo all’organo che ha emanato l’atto impugnato, non vi è pericolo che una pronuncia di merito sugli altri motivi di ricorso possa, in violazione del principio del contraddittorio, dettare regole di condotta nei confronti di soggetti rimasti estranei al giudizio, e pertanto il rilevato vizio di incompetenza non assume carattere assorbente delle ulteriori censure (cfr. Tar Veneto, Sez. III, 28 aprile 2008, n. 1136; Tar Lombardia, Brescia, 1 giugno 2001, n. 398) e possono pertanto essere esaminati gli ulteriori motivi di ricorso al fine di orientare la successiva attività dell’Amministrazione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 30 agosto 2004, n. 5654).
Come è noto nella disciplina comunitaria in materia di ambiente costituisce un principio cardine il principio “chi inquina paga” (cfr. art. 191, comma 2, del Trattato) e l’art. 192 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, nel declinare tale principio, reca innanzitutto il divieto ad abbandonare i rifiuti, disponendo che alla loro rimozione, recupero e smaltimento sono tenuti l’autore dell’abbandono e i titolari di diritti reali o personali di godimento sull’area, ai quali l’abbandono sia imputabile a titolo di dolo o colpa.
Alla luce di tale quadro normativo, l’ordinanza impugnata risulta illegittima:
- nella parte in cui dispone la rimozione dei rifiuti a carico del fallimento della Società Opera Srl, perché questa non è l’autrice dell’abbandono;
- nella parte in cui pone a carico di Hypo Alpe Adria Bank Spa l’obbligo di rimozione, perché è da escludere, tenuto conto delle circostanze concrete, che quest’ultima abbia concorso a titolo di dolo o colpa, per una condotta omissiva o per culpa in vigilando, all’abbandono dei rifiuti;
- nella parte in cui pone l’obbligo di rimozione al fallimento della Società Quadrifoglio perché, ferma restando la responsabilità della Società nell’abbandono dei rifiuti, nessun addebito può essere mosso al fallimento.
Più in dettaglio, per quanto riguarda il ricorso r.g. 1512 del 2011 proposto dal fallimento Opera Srl, va accolto il secondo motivo, con il quale si lamenta la mancata considerazione che il periodo nel corso del quale tale Società ha avuto la disponibilità dell’immobile è talmente breve da escludere che i rifiuti possano essere stati prodotti ed abbandonati dalla stessa, e pertanto nessun addebito può esserle mosso.
Infatti è la stessa ordinanza impugnata ad affermare che “la Società Opera Srl, sulla base del contratto d’affitto di ramo d’azienda e su quanto sopra specificato, non può aver prodotto le quantità di rifiuti riportate nella perizia di stima visto il breve periodo intercorso dalla data di stipula del contratto di affitto (14.11.2008) e la data di risoluzione del contratto stesso (30.01.2009)” e nella motivazione reca anche l’indicazione che il curatore del fallimento della Società Opera Srl, con nota del 6 dicembre 2010 ha precisato che la predetta Società, in forza del contrato di affitto del ramo d’azienda, come ricordato stipulato il 14 novembre 2008, ha poi cessato effettivamente l’attività a fine novembre 2008, ben prima della stessa data di risoluzione del contratto.
La circostanza che il contratto di affitto prevedesse l’obbligo della Società Opera Srl di smaltire i rifiuti non può rilevare nel senso di attribuire a questa la responsabilità nella rimozione dei rifiuti, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 192 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, perché questo è un obbligo contrattuale intervenuto tra le parti interessate, che non produce effetti nei confronti di xxxxx, e che quindi può al limite rilevare, nei rapporti tra le curatele fallimentari, come inadempimento dell’obbligazione pattiziamente assunta.
Per quanto riguarda il ricorso r.g. 1512 del 2011 è fondato il primo motivo, con il quale si lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato per aver posto gli oneri conseguenti all’abbandono dei rifiuti a carico della Società Hypo Alpe Adria Bank Spa.
Dalla documentazione versata in atti risulta infatti che la Società Hypo Alpe Adria Bank Spa ha acquistato l’immobile su incarico della Società Quadrifoglio Srl, che lo ha scelto, al solo scopo di concederlo alla stessa in locazione finanziaria, e pertanto nell’esercizio dell’attività creditizia dato che il contratto assolve solamente lo scopo di soddisfare i bisogni finanziari dell’utilizzatore, e Hypo Alpe Adria Bank Spa non ha mai avuto la detenzione dell’immobile, in quanto questo è stato consegnato dal venditore direttamente all’utilizzatore del contratto di leasing.
Risulta inoltre che i rifiuti presenti nell’immobile non sono estranei all’esercizio dell’attività imprenditoriale che vi si svolgeva, di realizzazione di componenti di mobili, atteso che i rifiuti sono costituiti da vernici scadute, polveri di essicazione, acetone di distillazione, necessari alla laccatura degli elementi scomposti dei mobili, ed inoltre, dalla concatenazione degli eventi – la Società Hypo Alpe Adria Bank Spa ha risolto il contratto di leasing per il mancato pagamento dei canoni, ha ottenuto la dichiarazione di fallimento della Società Quadrifoglio Spa, ed ha appreso dalla curatela fallimentare dell’esistenza di materiali qualificabili come rifiuti – si desume che la Società Hypo Alpe Adria Bank Spa non ha avuto conoscenza diretta della presenza di materiali qualificabili come rifiuto (e tali solo in quanto non più commerciabili).
Ritiene pertanto il Collegio che il Comune non abbia assolto all’onere, sullo stesso incombente, al fine di poter legittimamente emettere l’ordine di rimozione a carico del proprietario dell’immobile Hypo Alpe Adria Bank Spa, di provare che l’abbandono dei rifiuti sia addebitabile ad un suo comportamento doloso o colposo, anche solamente omissivo consistente in culpa in vigilando, tenuto conto della condotta concretamente esigibile nel caso di specie, e tali conclusioni non possono fondatamente essere contrastate citando l’esistenza di una clausola, contenuta nel contratto di leasing, secondo cui il proprietario dell’immobile si sarebbe riservato la facoltà di svolgere accertamenti e controlli, perché una tale previsione di per sé nulla prova circa una effettiva responsabilità nell’abbandono dei rifiuti.
Per quanto riguarda il ricorso r.g. 1153 del 2011 proposto dal fallimento della Società Quadrifoglio Srl, poiché l’abbandono dei rifiuti è addebitabile all’attività di impresa svolta dalla predetta Società prima del fallimento, e non al fallimento, è fondato e deve essere accolto il terzo motivo.
Infatti l’impresa non è stata ammessa all’esercizio provvisorio, l’immobile non era neppure nella materiale detenzione del fallimento perché nella disponibilità della Società Opera Srl, e il curatore ha appreso dell’esistenza di materiali qualificabili come rifiuti solo a seguito del sopralluogo svolto con il curatore del fallimento della Società Opera Srl.
Sotto tale profilo va rilevato che la giurisprudenza, da cui il Collegio non ravvisa motivo per discostarsi, ha chiarito che nei confronti del curatore fallimentare non è configurabile alcun obbligo ripristinatorio in ordine all’abbandono dei rifiuti in assenza dell’accertamento univoco di un’autonoma responsabilità del medesimo, conseguente alla presupposta ricognizione di comportamenti commissivi, ovvero meramente omissivi, che abbiano dato luogo al fatto antigiuridico (cfr. Tar Toscana, Sez. II, 19 marzo 2010, n. 700; Tar Campania , Salerno, Sez. I, 18 ottobre 2010, n. 11823; Tar Calabria, Catanzaro, Sez. II, 9 settembre 2010, n. 2556; Tar Toscana, Sez. II, 17 aprile 2009, n. 663; Consiglio di Stato,
Sez. V, 25 gennaio 2005, n. 136; Tar Lombardia, Milano, Sez. II, 10 maggio 2005, n.
1159; Tar Lazio, Latina, 12 marzo 2005, n. 304; Consiglio di Stato, Sez. V, 29 luglio 2003,
n. 4328; Tar Toscana, Sezione II, 1 agosto 2001, n. 1318), perché altrimenti gli effetti economici della rimozione dei rifiuti verrebbero posti a carico dei creditori del fallimento, soggetti sicuramente estranei, fino a prova contraria, alla condotta dell’abbandono dei rifiuti.
Da quanto esposto, nel contesto fattuale così delineato, e applicando le disposizioni contenute nell’art. 192 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152, discende che il Comune è tenuto a procedere all’esecuzione d’ufficio, recuperando le somme anticipate mediante insinuazione del relativo credito nel passivo fallimentare del fallimento della Società Quadrifoglio Srl, mentre nessuna pretesa può essere vantata nei confronti del fallimento
della Società Opera Srl, in quanto quest’ultima Società, come sopra precisato, non è responsabile dell’abbandono dei rifiuti, e nessuna pretesa può essere vantata neppure nei confronti di Hypo Alpe Adria Bank Spa, proprietaria dell’immobile, alla quale l’abbandono dei rifiuti non può essere addebitato a titolo di dolo o colpa.
Per completezza va tuttavia sottolineato che, qualora dallo svolgimento delle indagini ambientali dovesse essere accertata la necessità di bonificare l’area a causa del superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione, Hypo Alpe Adria Bank Spa potrà essere chiamata a rispondere degli oneri di bonifica nei limiti del valore dell’immobile, in ragione dell’onere reale gravante sul sito ai sensi dell’art. 253 del Dlgs. 3 aprile 2006, n. 152.
I ricorsi indicati in epigrafe vanno pertanto accolti nel senso sopra precisato, e deve ritenersi assorbita ogni ulteriore censura non espressamente esaminata.
Le peculiarità della controversia giustificano tuttavia l’integrale compensazione delle spese tra le parti del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, disposta la riunione dei ricorsi in epigrafe indicati, definitivamente pronunciando li accoglie e, per l’effetto, annulla l’ordinanza n. 1 prot. n. 5745 del 17 maggio 2011, del responsabile del servizio ecologia del Comune di Ponte di Piave, nel senso precisato in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 25 ottobre 2012 con l’intervento dei magistrati:
Xxxxxxxx Xx Xxxxxx, Presidente
Xxxxxxx Xxxxxx, Xxxxx Xxxxxxxxxxxx, Estensore Xxxxx Xxxxxxxxxx, Primo Referendario Depositata in segreteria il 19.11.2012
Sent. n.3274/2014 – Ric. n. 1016/2011 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE QUINTA SEZIONE
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 1016 del 2011, proposto dal Fallimento della Società Marconi di X. Xxxxxxxxx & C. S.a.s., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Xxxxx Xxxxxxxxxx e Xxxxxxxxx Xxxxxxxx Di Toritto, con domicilio eletto presso il secondo in Xxxx, xxx xx Xxxxx Xxxxxxxx,
x. 0;
contro
Comune di Pavia di Udine, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dall'avv. Xxxxxxx Xxxxxxxx, con domicilio eletto presso il medesimo in Xxxx, xxx Xxxxx Xxxxxx, x. 0;
nei confronti di
De Xxxxx Xxxx e Xxxxxxx Xxxxxx, rappresentati e difesi dagli avv. Xxxxxxxxx Xxxxxxx e Xxxxx Xxxxx, con domicilio eletto presso il secondo in Xxxx, xxx Xxxxxx Xxxxx, x. 00/X; per la riforma
della sentenza del T.A.R. FRIULI-VENEZIA-GIULIA, SEZIONE I, n. 359/2010, resa tra le parti, concernente rimozione smaltimento rifiuti plastici.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Pavia di Udine e dei signori (omissis); Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 maggio 2014 il Cons. Xxxxxx Xxxxxxx e uditi per le parti gli avvocati Xxxxx Xxxxxxxxxx, Xxxxxxx Xxxxxxxx e Xxxxx Xxxxx;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La Provincia di Udine con nota del 4 luglio 2008 comunicò al Comune di Pavia di Udine che presso l’area, con annesso capannone industriale, sita in Xxx Xxxxxxxxx xxxxx xxxxxxxx xx Xxxxxxxxx, xxxxxxxx in locazione dai signori (omissis) alla società Marconi di
G. G. & C. s.a.s., era stato depositato in modo incontrollato un rilevante volume di rifiuti, non protetti da copertura e tenuti in loco senza che fosse stato realizzato alcun sistema di captazione e trattamento delle acque meteoriche di dilavamento. La Provincia invitò quindi il Sindaco di Pavia di Udine agli adempimenti di competenza ai sensi dell’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006, ai fini dello smaltimento di tali rifiuti tramite ditte autorizzate e per il ripristino dello stato dei luoghi.
In ottemperanza all’invito il Sindaco emise in data 14 agosto 2008 l’ordinanza n. 33/2008 per la rimozione, l’avvio a recupero o smaltimento dei rifiuti ed il ripristino dello stato dei luoghi: più specificamente, “al fine di rimuovere la situazione di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente” veniva ordinato al sig. Xxxxxxxxx X., quale socio accomandatario e legale rappresentante della s.a.s. Marconi di G. G. & C. (di seguito, la MARCONI), nonché ai signori (omissis), nella loro qualità di comproprietari pro indiviso dell’area in locazione alla società, di rimuovere e smaltire i rifiuti in siti idonei nel termine perentorio di 90 giorni dalla notifica dell’ordinanza (effettuata il 18 agosto 2008).
Successivamente la MARCONI, con fax trasmesso al Comune il 15 novembre 2008, in relazione a talune difficoltà a procedere alle operazioni prescrittele presentò una richiesta di proroga del termine assegnato dall’ordinanza. La scadenza prescritta venne perciò prorogata con la successiva ordinanza sindacale n. 63 del 10 dicembre 2008 di 60 giorni, vale a dire fino al 15 gennaio 2009.
Le due ordinanze nn. 33 e 63/2008 non furono impugnate.
In data 19 dicembre 2008 pervenne però al Comune una comunicazione a firma del dott. Xxxxxx X. segnalante che la società ed il suo socio accomandatario erano stati dichiarati falliti con sentenza emessa dal Tribunale di Udine due giorni prima, provvedimento che lo aveva nominato curatore.
Il successivo 10 marzo 2009 il legale dei proprietari dell’immobile informò il Comune che i suoi clienti, essendo ancora in corso il contratto di locazione con la curatela, non avevano la disponibilità materiale dell’area e perciò la possibilità di intervenire per ottemperare all’impartito ordine di rimozione, asporto e ripristino, e che, di conseguenza, essi avevano invitato il curatore del fallimento a dare esecuzione all’ordinanza sindacale.
Lo stesso Comune, poiché nella richiesta di proroga dell’ordinanza sindacale n. 33/2008 il
X. aveva segnalato che avrebbe incaricato dello smaltimento la ditta Bruneco s.r.l. di Xxxxxxxx, richiese a quest’ultima di quantificare il costo di tale operazione, onere che, in presenza di un quantitativo di rifiuti stimato in circa 4.000 tonnellate, venne preventivato in circa € 600.000.
Nella notte tra il 5 e il 6 ottobre 2009 presso l’immobile occupato dai rifiuti divampò indi uno spaventoso incendio, con la fuoriuscita di fumi maleodoranti per parecchie ore: i relativi sopralluoghi consentirono di rilevare che presso l’area ed il capannone rimanevano ancora abbandonati considerevoli quantitativi di rifiuti, in particolare rifiuti in plastica provenienti da raccolta differenziata. Da qui il permanere di una situazione di potenziale pericolo per l’incolumità stessa della cittadinanza.
Ne seguiva la nota prot. n. 16221 in data 14 ottobre 2009 del Comune, che richiedeva al curatore, quale avente causa nel contratto di locazione della fallita XXXXXXX e soggetto avente la disponibilità dell’immobile, di dare corso alle attività a suo tempo prescritte dalle riferite ordinanze.
Il Fallimento della XXXXXXX proponeva a quel punto ricorso al locale T.A.R. avverso quest’ultima nota, nonché contro le ordinanze da essa richiamate.
A sostegno dell’impugnativa veniva dedotto un unico mezzo, variamente articolato, denunciandosi il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 192 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
In sostanza, si contestava sotto diversi profili la titolarità in capo all’organo fallimentare dell’obbligo di adempiere le prescrizioni richiamate dalla nota sindacale, opponendo che il Fallimento era estraneo all’illecito ambientale e che comunque esso sarebbe stato privo di poteri gestori eccedenti la liquidazione della società ed il soddisfacimento della massa dei creditori (la quale non avrebbe potuto essere sottoposta al depauperamento discendente dagli ingenti costi implicati dalla misura ripristinatoria).
Secondo la ricorrente, in definitiva, l’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006 addosserebbe gli obblighi in questione al responsabile dell’illecito e, solidalmente, al proprietario dell’area (o titolare di altro diritto di godimento) cui la violazione sia imputabile a titolo di dolo o colpa, ma i detti obblighi non avrebbero potuto essere estesi ad essa Curatela.
Si costituivano in giudizio in resistenza al ricorso il Comune di Pavia di Udine nonché, nella dedotta veste di controinteressati, i sigg. (omissis), comproprietari dell’area in locazione, chiedendo il rigetto del gravame.
All’esito il Tribunale adìto, con la sentenza n. 359/2010 in epigrafe, dichiarava il ricorso inammissibile, osservando:
- che la nota sindacale del 14 ottobre 2009 indirizzata al curatore fallimentare rivestiva la natura di un semplice invito o mera comunicazione illustrativa ed era quindi sprovvista di contenuto provvedimentale;
- che le due ordinanze sindacali nn. 33 e 63 del 2008, pur lesive degli interessi della XXXXXXX, erano rimaste inoppugnate a tempo debito;
- che, ad ogni modo, la ricorrente non aveva dedotto specifici motivi di censura – anche a prescindere dalla tardività della relativa impugnazione – nei confronti delle ordinanze suddette.
A titolo di completezza, infine, il Tribunale osservava comunque che il ricorso risultava, oltre che inammissibile, anche infondato nel merito, per la ragione che il curatore era subentrato all’impresa fallita nel rapporto di locazione dell’immobile interessato, prendendolo in consegna, e doveva pertanto ritenersi subentrato anche nell’obbligo di dare esecuzione alle ordinanze indicate.
Avverso tale sentenza la parte soccombente spiegava quindi il presente appello, riproponendo le proprie domande e doglianze e sottoponendo a critica gli argomenti posti a base della pronuncia impugnata.
Resistevano all’appello l’Amministrazione comunale ed i comproprietari dell’area, deducendone con le loro rispettive memorie l’infondatezza.
L’appellante, dal canto suo, insisteva nelle proprie doglianze e deduzioni con una successiva memoria.
Ciascuna delle parti costituite presentava, infine, uno scritto di replica, sviluppando ulteriormente i propri argomenti e controdeducendo alle tesi avversarie.
Alla pubblica udienza del 13 maggio 2014 la causa è stata trattenuta in decisione. L’appello è fondato.
1 La Sezione deve esaminare preliminarmente il primo mezzo d’appello, con il quale è stata sottoposta a critica la declaratoria di inammissibilità emessa dal T.A.R. sul ricorso di prime cure sul presupposto che questo investisse un atto privo di natura provvedimentale. In proposito va osservato che la nota del 14 ottobre 2009 diretta dal Comune al Fallimento, se nella parte richiamante le pregresse ordinanze nn. 33/2008 e n. 63/2008 rivestiva valenza di atto meramente confermativo, aveva invece una portata autonoma dove, innovando sul versante della relativa legittimazione passiva, richiedeva l’adempimento degli obblighi scaturiti dalle stesse ordinanze ad un soggetto diverso (il Fallimento) dal loro destinatario (la MARCONI), sul presupposto che il primo fosse succeduto al secondo.
Va altresì rilevato che la nota sotto questo nuovo profilo non si risolveva in un mero invito, ma rivestiva nei riguardi del Fallimento una natura prescrittiva.
Basti dire che il suo testo: si apriva con il richiamo alla vincolatività delle prescrizioni imposte dalle pregresse ordinanze, e con la sottolineatura che le medesime erano rimaste inadempiute; rimarcava l’urgenza del provvedere alla relativa esecuzione; enunciava il principio che il curatore fallimentare, per la posizione rivestita, doveva ritenersi “tenuto a dare ottemperanza all’ordinanza di rimozione e smaltimento”; ed infine, tutto ciò posto, si concludeva con la “richiesta” al curatore, “a tutti gli effetti, … di dare al più presto corso alle attività … prescritte”.
Alla detta nota, che non configurava quindi un mero “invito”, vanno riconosciute natura provvedimentale e carica lesiva nella parte in cui l’atto si indirizzava ad un soggetto nuovo considerandolo quale successore negli obblighi imposti dalle precedenti ordinanze, delle quali richiedeva a tutti gli effetti l’adempimento.
Da ciò l’impugnabilità della nota sotto lo stesso profilo.
2 Venendo al merito delle critiche mosse dal Fallimento, va anticipato che questo a ragione ha escluso di essere tenuto all’adempimento delle pregresse ordinanze nn. 33/2008 e 63/2008 emesse a carico della società MARCONI.
2a La Sezione, dato subito atto che è pacifico che il Fallimento non sia stato autorizzato, nella specie, alla prosecuzione dell’attività della società fallita, sul thema decidendum non può non richiamarsi al proprio precedente, motivato pronunciamento di cui alla decisione
n. 4328 del 29 luglio 2003.
“12 La questione da esaminare … consiste nello stabilire se la curatela fallimentare possa essere destinataria di ordinanze sindacali dirette alla bonifica di siti inquinati, per effetto del precedente comportamento omissivo o commissivo dell'impresa fallita.
13 Al riguardo, il comune sostiene che la responsabilità del fallimento deriva dalla inottemperanza ai precedenti provvedimenti adottati nei confronti della società (…).
14 Inoltre, l'amministrazione espone che le "migliaia di tonnellate dei pneumatici inquinanti", oggetto dell'ordinanza impugnata, sono uscite dalla disponibilità della società fallita, entrando a far parte della massa fallimentare, gestita ed amministrata dal curatore. 15 In tal senso, secondo l'appellante, si pone un orientamento giurisprudenziale, in forza del quale l'adempimento dell'obbligo di smaltimento dei rifiuti grava sulla curatela fallimentare (TAR Toscana, Prima Sezione, 3 marzo 1993, n. 196; Tar Toscana, Seconda Sezione, 28 aprile 2000, n. 780), poiché la disponibilità dei beni, anche di quelli classificati come rifiuti nocivi, entra giuridicamente nella titolarità del curatore e conseguentemente con essa anche il dovere di rimuoverli in applicazione delle leggi vigenti.
16 In termini più generali, il comune sostiene che il fallimento subentra negli obblighi facenti capo all'impresa fallita e, quindi, è tenuto all'adempimento dei doveri derivanti dall'accertata responsabilità della stessa impresa.
17 A tal fine, il comune appellante richiama, fra l'altro, le disposizioni della legge fallimentare riguardanti la prosecuzione dei contratti facenti capo all'impresa fallita.
18 Nessuno degli argomenti proposti è persuasivo.
19 In primo luogo, proprio l'amministrazione comunale evidenzia che l'ordinanza sindacale è rivolta al fallimento in conseguenza dell'inottemperanza dell'impresa ad un precedente provvedimento. In tal modo, si evidenzia l'estraneità della curatela fallimentare alla determinazione degli inconvenienti sanitari riscontrati nell'area.
20 In questo senso, si pone, del resto, anche una parte della giurisprudenza amministrativa di primo grado (TAR Toscana, Sezione Terza, 1 agosto 2001, n. 1318), la quale evidenzia l'assenza di una corresponsabilità del fallimento, anche meramente omissiva, in relazione alle condotte poste in essere dall'impresa fallita.
21 In secondo luogo, il riferimento alla disponibilità giuridica degli oggetti, qualificati dal comune come rifiuti inquinanti, non è sufficiente per imporre l'adempimento di un obbligo gravante sull'impresa fallita.
Il potere di disporre dei beni fallimentari (secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato) non comporta necessariamente il dovere di adottare particolari comportamenti attivi, finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti.
22 In terzo luogo, poi, proprio il richiamo alla disciplina del fallimento e della successione nei contratti evidenzia che la curatela fallimentare non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell'imprenditore fallito.
Non assume alcun rilievo la disposizione contenuta nell'art. 1576 del codice civile, poiché l'obbligo di mantenimento della cosa in buono stato locativo riguarda i rapporti tra conduttore e locatore e non si riverbera, direttamente, sui doveri fissati da disposizioni dirette ad altro scopo.
23 Si deve aggiungere, poi, che il fallimento non è stato autorizzato a proseguire l'attività precedentemente svolta dall'impresa fallita. Pertanto, l'obbligo di bonifica del sito non potrebbe essere nemmeno collegato allo svolgimento di operazioni potenzialmente inquinanti.
24 In definitiva, quindi, l'appello deve essere rigettato” (C.d.S., Sez. V, n. 4328/2003 cit.). La Sezione ha ribadito questa chiara impostazione con la successiva decisione n. 3885 del 16 giugno 2009.
La nuova pronuncia, nel convalidare, sulla scia del riferito precedente giurisprudenziale, l’atto dell’Amministrazione che in un caso simile aveva escluso la legittimazione passiva del curatore, ha puntualizzato che la soluzione opposta “determinerebbe un sovvertimento del principio “chi inquina paga" scaricando i costi sui creditori che non presentano alcun collegamento con l'inquinamento”.
2b Né l’impostazione così ribadita potrebbe essere ribaltata in ragione del disposto dell’art. 192, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006.
Questo recita: “Qualora la responsabilità del fatto illecito sia imputabile ad amministratori o rappresentanti di persona giuridica ai sensi e per gli effetti del comma 3, sono tenuti in
solido la persona giuridica ed i soggetti che siano subentrati nei diritti della persona stessa, secondo le previsioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni.” Ai fini di un’eventuale applicazione della norma appena trascritta si pone la questione di stabilire se il Fallimento della MARCONI possa essere considerato alla stregua di un soggetto “subentrato nei diritti” della società fallita.
Xxxxxx, il Fallimento non può essere reputato un “subentrante”, ossia un successore, dell’impresa sottoposta alla procedura fallimentare.
La società dichiarata fallita, invero, conserva la propria soggettività giuridica e rimane titolare del proprio patrimonio: solo, ne perde la facoltà di disposizione, pur sotto pena di inefficacia solo relativa dei suoi atti, subendo la caratteristica vicenda dello spossessamento (art. 42 R.D. n. 267/1942 : “La sentenza che dichiara il fallimento, priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento”; art. 44: “Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori”).
Correlativamente, il Fallimento non acquista la titolarità dei suoi beni, ma ne è solo un amministratore con facoltà di disposizione, laddove quest’ultima riposa non sulla titolarità dei relativi diritti ma, a guisa di legittimazione straordinaria, sul munus publicum rivestito dagli organi della procedura (art. 31 R.D. n. 267/1942: “Il curatore ha l'amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell'ambito delle funzioni ad esso attribuite”). Il curatore del fallimento, pertanto, pur potendo sottentrare in specifiche posizioni negoziali del fallito (cfr. l’art. 72 R.D. n. 267/1942), in via generale “non è rappresentante, né successore del fallito, ma terzo subentrante nell'amministrazione del suo patrimonio per l'esercizio di poteri conferitigli dalla legge” (Cassazione civile, sez. I, 23/06/1980, n. 3926).
Più ampiamente, la Suprema Corte (sez. I, 14 settembre 1991, n. 9605) ha difatti osservato quanto segue:
“Il fatto che alla curatela sia affidata l'amministrazione del patrimonio del fallito, per fini conservativi predisposti alla liquidazione dell'attivo ed alla soddisfazione paritetica dei creditori, non comporta affatto che sul curatore incomba l'adempimento di obblighi facenti carico originariamente all'imprenditore, ancorché relativi a rapporti tuttavia pendenti all'inizio della procedura concorsuale. Al curatore competono gli adempimenti che la legge (sia esso il X.X. 00-0-0000 n.. 267, siano esse leggi speciali) gli attribuisce e tra essi non è ravvisabile alcun obbligo generale di subentro nelle situazioni giuridiche passive di cui era onerato il fallito. … Poiché in linea generale, come ricordato, il curatore, nell'espletamento della pubblica funzione, non si pone come successore o sostituto necessario del fallito, su di lui non incombono né gli obblighi dal fallito inadempiuti volontariamente o per colpa, né quelli che lo stesso non sia stato in grado di adempiere a causa dell'inizio della procedura concorsuale, ancorché la scadenza di adempimento avvenga in periodo temporale in cui lo stesso curatore possa qualificarsi come datore di lavoro nei confronti degli stessi dipendenti, o di alcuni di essi.”.
Per quanto esposto, dunque, nei confronti del Fallimento non è ravvisabile un fenomeno di successione, il quale solo potrebbe far scattare il meccanismo estensivo, previsto dall’art. 194, comma 4, d.lgs. cit., della legittimazione passiva rispetto agli obblighi di ripristino che l’articolo stesso pone in prima battuta a carico del responsabile e del proprietario versante in dolo o colpa.
2c La Sezione deve conseguentemente concludere che gli obblighi imposti dalle pregresse ordinanze sindacali nn. 33/2008 e n. 63/2008 non possono essere riversati sul Fallimento della MARCONI (risultando privo di specifica rilevanza il punto – peraltro controverso tra le parti - del subentro del Fallimento nel rapporto locatizio instaurato dalla società).
Non compete alla Sezione pronunciarsi, invece, sulla posizione dei comproprietari dell’immobile, in quanto estranea alla controversia; e per la stessa ragione non mette conto occuparsi nemmeno dei modi in cui l’Amministrazione, una volta eventualmente operata l’esecuzione in danno prevista dal comma 3 dell’art. 192 cit., possa recuperare a carico della società fallita le somme così anticipate (il tema esula addirittura dai confini della giurisdizione amministrativa).
3 In definitiva l’appello va accolto, e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere accolto il ricorso di primo grado e annullata la nota n. 16221 del 14 ottobre 2009 con esso impugnata.
Si ravvisano, tuttavia, ragioni sufficienti a giustificare la compensazione tra le parti delle spese processuali del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, lo accoglie, e per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado e annulla l’atto sindacale con esso impugnato. Compensa tra le parti le spese processuali del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 13 maggio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Xxxxx Xxxxxxxx, Presidente FF Xxxxxx Xxxxx, Consigliere
Xxxxxx Xxxxxxx, Consigliere, Estensore Xxxxx Xxxxxxxxxxxx Xxxxxxxxx, Consigliere Xxxxx Xxxxxxxxx, Consigliere
Depositata in segreteria il 30.06.2014