Efficacia del contratto
Efficacia del contratto
Quando si parla di efficacia del contratto ci si riferisce alle modificazioni della situazione giuridica che allo stesso
conseguono.
Gli effetti giuridici, comunque, non sono prodotti direttamente dal contratto ma sono disposti dall’ordinamento.
I contraenti mirano, senza subbio, a modificare la situazione giuridica (art. 1321). Il prodursi di effetti giuridici non costituisce però un requisito indispensabile per la presenza del contratto.
L’esistenza del contratto, infatti, potrà essere affermata o negata non alla luce degli effetti giuridici che ne conseguano ma per la presenza in concreto degli elementi che lo caratterizzano come l’accordo fra due o più parti volto a regolare rapporti giuridici patrimoniali.
Le regole dettate dalle parti non esauriscono quasi mai gli effetti che scaturiscono dalla conclusione del contratto. Ad essi contribuisce anche l’ordinamento mediante norme inderogabili e dispositive (che operano, cioè, in mancanza di diversa pattuizione dei contraenti), nonché il rinvio agli usi e all’equità.
Secondo l’art. 1374, infatti, “il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità”.
Integrazione del contratto
• La norma dell’art. 1374 c.c. ha carattere cogente nel senso che le parti non possono escluderne l’operatività in via di principio, non nel senso che non possano regolare in modo diverso il loro rapporto da quanto previsto dagli usi o
dall’equità. Soltanto la violazione di norme imperative determina, infatti, la nullità del contratto.
• L’ordine gerarchico delle fonti che concorrono ad integrare il regolamento dettato col contratto deve ritenersi tassativa, nel
senso che non si può ricorrere agli usi in presenza di fonti legislative, né all’equità in presenza di norme o usi.
• Al fenomeno dell'integrazione debbono essere ricondotte sia le norme dispositive o suppletive , che vengono a dotare l'atto negoziale di uno specifico contenuto (salvo diversa volontà delle parti), sia le norme di carattere cogente, le cui prescrizioni vengono a far parte del contratto pur quando si riscontrasse una diversa e contrastante manifestazione di intento delle parti.
• Quest'ultimo fenomeno spesso origina un contenuto imposto: si pensi alla sostituzione automatica delle determinazioni delle parti con i contenuti normativamente previsti come inderogabili (cfr. art. 1339 c.c. ). Anche quando entrasse in gioco questo meccanismo, nonostante l'ampiezza dell'intervento della legge e l'incidenza dell'integrazione di contenuti e clausole legislativamente predeterminate, il contratto mantiene pur sempre il proprio carattere di atto di autonomia
privata, promanante dalla volontà delle parti. Ne segue che tutti gli obblighi comunque scaturenti dall'atto danno vita a vincoli di natura contrattuale, la cui eventuale violazione importa inadempimento secondo le regole dettate in tema di responsabilità contrattuale.
• In mancanza di norme di legge (o di regolamenti), trovano applicazione gli “usi normativi”: ossia comportamenti costantemente seguiti dalla collettività nella convinzione della loro conformità ad un dovere giuridico.
Integrazione degli effetti o del contenuto del contratto?
• Si tratta di una questione controversa, la cui importanza si apprezza in chiave sistematica.
• Se, infatti, è pur vero che il contratto come accordo perfezionato dalle parti non può essere materialmente modificato dalla legge, è altrettanto vero che la legge, facendo derivare dal contratto effetti diversi dalla volontà dei contraenti, finisce per assegnare al contenuto del contratto un significato diverso da quello voluto dalle parti stesse.
• Del resto, il combinato disposto di cui agli artt. 1339 e 1419 c.c. fa riferimento ad un meccanismo sostitutivo di clausola, nel senso della caducazione di una parte dell'atto e conseguente introduzione nel medesimo di un contenuto diverso, imposto dalla legge.
• Se, dunque, si ammette che il contenuto stesso del contratto è il risultano non solo dell’autonomia ma anche dell’incidenza di fonti eteronome (legge, usi, equità), ne consegue che, essendo stato sottratto alla volontà dei privati il monopolio nella costruzione della regola contrattuale, il contratto è chiamato a svolgere più funzioni, non solo quella di autoregolamentazione degli interessi delle parti ma anche quella di perseguire interessi di carattere generale.
• Diviene in tal modo più semplice riconoscere il potere correttivo del giudice del regolamento contrattuale nell’interesse dell’ordinamento, al fine di evitare che l’autonomia delle parti contrasti con gli interessi
generali per i quali essa risulta meritevole di tutela. Utilizzando, in particolare, la clausola generale di buona fede quale fonte legale di integrazione/correzione del contratto, «al fine di evitare che
l’autonomia contrattuale travalichi i limiti entro cui appare meritevole di
tutela» (Trib. Treviso, 18 ottobre 2018).
• È possibile distinguere due forme di equità:
Equità e buona fede
• 1) integrativa, che si ha quando il legislatore rinuncia a predisporre la disciplina legale di particolari aspetti di una fattispecie e preferisce affidare al giudice il compito di intervenire caso per caso (es., la liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c.; riduzione della penale manifestamente eccessiva ex art. 1384 c.c.);
• 2) sostitutiva, che comporta l'attribuzione al giudice del potere di sostituire integralmente l'applicazione della norma con una
propria decisione equitativa.
• Nell’art. 1374 c.c. l’equità viene in rilievo come fonte di integrazione del contratto, contribuendo a determinare gli effetti giuridici che il contratto produrrà, ed a contemperare gli interessi delle parti relativamente all'affare concluso in concreto.
• L' equità di cui fa menzione l'art. 1374 va intesa, secondo la giurisprudenza, non come richiamo a norme extragiuridiche,
bensì nel senso che il contratto deve esser valutato secondo criteri di logica giuridica (Cass., n. 5862/1994 ).
• L’equità interviene, peraltro, soltanto ove le lacune del regolamento contrattuale non siano colmabili con la legge o con gli usi, né può essere utilizzata per contrastare gli interessi voluti dalle parti, salvo espressa previsione di legge (es., artt. 1384 e 1468 c.c.).
• Secondo parte della dottrina, ulteriore e fondamentale fonte integrativa del contratto può essere considerata la buona fede di cui all'art. 1375 c.c., norma in forza della quale l'esecuzione del contratto deve appunto avvenire conformemente a principi di correttezza.
• Si obietta, di contro, che tale disposizione concerne la fase di esecuzione del contratto e non è, quindi, rivolta ad individuare obblighi ulteriori rispetto a quelli dedotti dalle parti, ma solo a puntualizzare il modo nel quale gli obblighi già individuati devono essere attuati.
• L’obbligo di buona fede permea, tuttavia, l'intero rapporto contrattuale, dalla fase delle trattative e della formazione dell’accordo (art. 1337 c.c.), a quella dell’interpretazione (art. 1366 c.c.) e a quella dell’esecuzione (art. 1375 c.c.).
La fonte degli effetti
• Gli effetti giuridici, che costituiscono la risposta dell’ordinamento all’atto di autonomia privata, sono sempre
ricollegati al contratto dalla legge, che costituisce, quindi, l’unica fonte diretta degli stessi.
• L’ordinamento, in adesione al principio dell’autonomia privata, tende a conformare questi effetti alle regole dettate dalle parti, provvedendo, quando non risultino sufficientemente complete, ad integrarle con gli usi e l’equità.
• Si può quindi ipotizzare un concorso di fonti nella determinazione degli effetti che conseguono al contratto:
regole contrattuali, leggi, usi ed equità.
• Il concorso è disciplinato nel senso di attribuire prevalenza alla regola contrattuale, oltre che sugli usi e
sull’equità, anche sulla legge, se la norma miri solo ad integrare la disciplina concordata dalle parti (legge dispositiva o suppletiva). La legge prevale invece su tutte le altre fonti qualora detti una norma inderogabile (legge imperativa).
• Le norme dispositive prevalgono sugli usi e sull’equità. Gli usi infine prevalgono sull’equità.
• Nell’ambito di questi effetti denominati “legali” (perché trovano la loro fonte nella legge) si distinguono gli “effetti naturali” che conseguono a norme dispositive e possono verificarsi o meno a seconda che i contraenti non abbiano, oppure abbiano, dettato una regola diversa e gli “effetti necessari”, i quali, essendo contemplati da norme inderogabili (imperative), operano anche contro la volontà dei contraenti.
• Tra le fonti eteronome di integrazione (degli effetti) del contratto riveste evidentemente un ruolo determinante la buona fede qualora si ritenga che sia da considerate una fonte legale ex art. 1374, essendo l’obbligo relativo sicuramente inderogabile. Ma non è di questa opinione Xxxxxxxxxx.
L’efficacia del contratto ed i terzi
• Il principio di relatività del contratto (art. 1372, comma 2), risponde all’esigenza di rispettare la sfera giuridica altrui, la quale non può essere modificata né con atti vantaggiosi, né con atti svantaggiosi se non nei casi espressamente previsti dal legislatore.
• Gli effetti che il contratto non può, di regola, produrre nei confronti dei terzi sono, però, solo gli effetti diretti, cioè quelli che trovano la loro causa produttiva direttamente nel contratto. In una compravendita, ad esempio, gli effetti diretti sono il trasferimento della proprietà del bene (o di altro diritto) e le obbligazioni che nascono dal contratto.
• Vi sono, invece, effetti ricollegabili al contratto soltanto indirettamente (effetti riflessi), i quali possono ripercuotersi sui terzi; ad esempio, il trasferimento della proprietà di un appartamento ha conseguenze
riflesse sul soggetto estraneo al contratto di compravendita (terzo) conduttore (inquilino) dell’immobile, che avrà di fronte un nuovo locatore. Sono indiretti anche gli effetti che il contratto comporta come “fatto” e non come atto di autonomia privata (es. diritto del mediatore di percepire la provvigione nel caso di conclusione del contratto).
• Un’eccezione al principio di relatività del contratto è costituita dai contratti collettivi di lavoro, che hanno efficacia diretta nei confronti di tutti gli aderenti alle organizzazioni collettive stipulanti. L’eccezione si giustifica in ragione carattere necessariamente collettivo degli interessi regolati da tali contratti.
• Altra eccezione è costituita dal contratto a favore di terzi. In questo caso la ragione della deroga al principio generale sta nel fatto che l’estensione dell’efficacia è vantaggiosa per il terzo.
Contratto a favore di terzi
• L’art. 1411, dopo aver disposto che “il terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della stipulazione” (comma 2), prevede che la situazione possa essere “revocata o modificata dallo stipulante, finché il terzo non abbia dichiarato di volerne profittare” (comma 3), e dispone che il terzo si può rifiutare di profittare della stipulazione (comma 4).
• Se, dunque, per l’operatività del contratto nella sfera del terzo non occorre un’esplicita adesione di questi, la volontà del terzo è però tutt’altro che irrilevante: egli può, infatti,
paralizzare l’efficacia del contratto nei suoi confronti comunicando di non voler profittare della stipulazione.
• Non si può, quindi, sostenere che il contratto a favore di terzi costituisca uno strumento per
imporre regole a terzi.
• La validità della stipulazione a favore di un terzo è condizionata all’esistenza di un interesse dello stipulante alla stessa (art. 1411, comma 1): interesse che può essere economico o morale.
• Ipotesi specifiche di contratto a favore di terzi: trasporto di cose da consegnare a persona diversa dal mittente (art. 1875 c.c.), rendita vitalizia a favore di un terzo (art. 1875 c.c.);
l’assicurazione sulla vita propria a favore di un terzo (art. 1920 c.c.).
Mancanza originaria o sopravvenuta dell’interesse dello stipulante
• Lo stipulante deve avere interesse – a pena di invalidità del contratto – all’attribuzione del diritto al terzo.
• In caso di revoca della pattuizione o di rifiuto del terzo di volerne beneficiare, tuttavia, il diritto rimane a suo beneficio «salvo che diversamente risulti dalla volontà delle parti o dalla natura del contratto» (art. 1411, comma 3).
• In considerazione della natura accidentale della pattuizione in favore del terzo, si è ritenuto
che sia possibile estendere la soluzione al caso di mancanza originaria o sopravvenuta dell’interesse dello stipulante.
• L’indicazione non convince, ben potendo una clausola accessoria avere rilevanza primaria ai fini della realizzazione in concreto degli interessi perseguiti con il contratto. Come è indubbiamente in questo caso, integrando la clausola a favore del terzo la funzione concreta che il contratto è rivolto a perseguire.
• Si deve, dunque, ritenere che la mancanza e la illiceità dell’interesse dello stipulante determinino la nullità della clausola, che, per il rilievo primario della stessa, è destinata ad estendersi all’intero contratto ex art. 1419, comma 1, c.c.
Contratto a danno di terzi
• Vi sono molte ipotesi in cui il contratto lede interessi di terzi.
• Si pensi, ad. es., al contratto simulato in danno dei terzi; il patto di esclusiva fra produttore e commerciante che precluda al secondo la possibilità di rifornirsi da altri produttori, che risultano, dunque, danneggiati; la doppia vendita immobiliare.
• Tali effetti dannosi per i terzi sono, tuttavia, effetti indiretti del contratto, non effetti
diretti (attribuzione di diritti o obblighi al terzo).
• Le ipotesi, più precisamente, danno luogo ad una responsabilità “extracontrattuale da contratto” (in quanto il contratto attua un piano pregiudizievole per il terzo) o ad una responsabilità extracontrattuale per induzione all’inadempimento mediante contratto.
• Nell’ambito della nozione si fanno rientrare anche contratti che costituiscono illeciti penalmente rilevati (c.dd. reati-contratto), quali, ad es., i reati associativi sanzionati ex artt. 416 e 416 bis c.p. (associazione per delinquere e associazione di stampo mafioso), nonché i reati che consistono in un semplice accordo volto alla realizzazione di un illecito, come ad esempio il reato ex art. 304 c.p. di cospirazione politica mediante accordo.
Il contratto con prestazione al terzo
• Non è sufficiente per la configurabilità di un contratto a favore di terzo che quest’ultimo riceva un vantaggio economico diretto dal contratto cui è estraneo, essendo necessario che il contratto gli attribuisca un diritto.
• Quando, dunque, i contraenti abbiano inteso indicare il terzo come destinatario della prestazione senza attribuirgli alcuna pretesa al riguardo si rientra nella diversa ipotesi del contratto con prestazione al terzo (es., delegazione di pagamento).
Contratto con effetti protettivi per terzi
• La figura del contratto con effetti protettivi nasce nell’ambito della dottrina tedesca come strumento per superare il problema della tipicità degli illeciti extracontrattuali che caratterizza il codice civile tedesco ed è stata accolta anche nel nostro ordinamento per tutelare quei soggetti che necessariamente o istituzionalmente sono coinvolti nel contratto.
• Può infatti ipotizzarsi che il contratto abbia ad oggetto una pluralità di prestazioni e che, oltre al diritto alla prestazione principale, sia garantito l’ulteriore diritto a che non siano arrecati danni a terzi; terzi che, se danneggiati, in quanto anch’essi “protetti” dal contratto, possono agire sulla base dello stesso, facendo valere una responsabilità di tipo contrattuale qualora vedessero pregiudicata la posizione che quel contratto mira a tutelare.
• Il contratto viene in tal modo integrato da obblighi che trovano il proprio fondamento nei principi della buona fede e della correttezza, superandosi così la concezione tradizionale che vuole gli effetti contrattuali limitati al contenuto dell’accordo ed alle parti che lo hanno stipulato.
• Il presupposto dell’estensione ai terzi della tutela è che essi si trovino esposti al rischio di danni in occasione
dell’esecuzione del contratto in ragione della loro particolare posizione rispetto ad una delle parti.
• Si ritiene, in definitiva, che i doveri di protezione che fanno parte del rapporto obbligatorio e che sono finalizzati a tutelare il contraente-creditore della prestazione dai danni alla persona e/o alle cose che
possano verificarsi in occasione dell’esecuzione del contratto si estendono ai terzi che si trovino esposti, per la loro particolare situazione rispetto ad una delle parti, allo stesso rischio di danni ai quali è esposto il contraente-creditore della prestazione.
Segue: il danno da nascita indesiderata
• La partoriente, in caso di inesatta diagnosi prenatale o di omissione di informazioni, vede leso il suo diritto ad una procreazione cosciente e responsabile.
• Ciò la legittima ad agire per il risarcimento del danno.
• Molto discussa è stata la posizione del padre del nato disabile.
• L’apertura nei suoi confronti al risarcimento si è avuta con la sentenza della Cass. n. 14488 del 2004, secondo la quale il contratto tra gestante e medico è un “contratto con effetti protettivi a favore di terzo”, sottolineando, inoltre, che nel caso in cui la gestante sia privata del suo diritto di scelta, vi siano delle ripercussioni anche nei confronti del padre, il quale non è da ritenersi soggetto estraneo al contratto.
• Recentemente, con l’ordinanza del 5 febbraio 2018, n. 2675 è stato confermato
l’orientamento giurisprudenziale oramai consolidato (prima con la Cass., n. 14488/2004 e poi con la Cass., n. 20320/2005) in forza del quale, “il padre rientra tra coloro in virtù dei quali la mancata o inesatta esecuzione della prestazione può qualificarsi come inadempimento, con tutte le conseguenze sul piano risarcitorio”.
Promessa del fatto del terzo
• La parte che, per contratto, promette la prestazione di un terzo assume una valida obbligazione contrattuale, ma obbliga solo se stessa: se il terzo rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto promesso, il promittente dovrà indennizzare l’altro contraente (art. 1381 c.c.).
• La giurisprudenza ha talora ritenuto che il promittente assuma, nei confronti dell’altro contraente, una obbligazione avente ad oggetto una prestazione propria: quella di adoperarsi affinché il terzo si obblighi o compia il fatto promesso. Con la conseguenza che, mentre il mancato comportamento del terzo comporta l’obbligo del promittente di indennizzare il promissario (art. 1381), se il promittente è inadempiente alla
promessa, perché nulla fa perché si realizzi il fatto del terzo o addirittura concorra perché ciò non si verifichi, risponde del risarcimento del danno da inadempimento (art. 1218 c.c.).
• La costruzione non convince, dato che, da un lato, se si trattasse di un’obbligazione di fare, essa dovrebbe
considerarsi adempiuta dall’aver il promittente fatto tutto il possibile per la realizzazione del fatto del terzo,
rimanendo, quindi, inspiegabile perché debba comunque corrispondere un indennizzo al promissario, e, dall’altro lato, l’indennizzo è dovuto per il solo fatto che il terzo non voglia attuare il comportamento promesso, senza aver riguardo alla circostanza che il promittente abbia fatto tutto il possibile per indurre il terzo ad attuare il comportamento promesso.
• Sembra, dunque, più coerente ritenere che la prestazione dedotta in contratto sia non una prestazione di facere ma una prestazione di garanzia: il promittente si obbliga a corrispondere all’altro contraente un indennizzo per l’eventualità che il terzo non accetti di obbligarsi o non compia il fatto cui l’altro contraente ha interesse.
• Il promittente assume, cioè, come in ogni obbligazione di garanzia, il rischio di un evento non dipendente dalla
propria volontà.
Promessa del fatto del terzo e fideiussione
• La promessa del fatto del terzo differisce dalla fideiussione per il fatto che il terzo non è legato da precedenti vincoli nei confronti del promissario: l’impegno di chi promette l’altrui adempimento di obbligazione già sorta non è fatto del terzo, ma fideiussione.
Promessa del fatto del terzo e vendita di cosa altrui
• La promessa del fatto del terzo differisce dalla vendita di cosa altrui poiché chi vende la cosa altrui assume, per l’art. 1478 c.c., una obbligazione avente ad oggetto il fatto proprio, consistente nell’acquisto della proprietà del bene, mentre nel caso del fatto del terzo la promessa che il terzo venderà la cosa di sua proprietà ha direttamente ad oggetto il consenso del terzo proprietario al trasferimento della proprietà.
L’estensione dell’efficacia del contratto ai terzi su loro iniziativa
• Accollo: il creditore può aderire alla convenzione tra debitore e il terzo con cui quest’ultimo si assume il debito dell’altro, rendendo irrevocabile la stipulazione in suo favore (art. 1273, comma 1 c.c.).
• Transazione nelle obbligazioni solidali: l’art. 1304 c.c. prevede che la transazione stipulata dal creditore con uno dei debitori in solido e quella stipulata dal debitore con uno dei creditori in solido sono efficaci, rispettivamente per gli altri debitori e per gli altri creditori, se costoro dichiarino di volerne profittare.
• La cessione del contratto, per effetto della quale il terzo si sostituisce ad una delle parti (art. 1406) che è liberata dalle obbligazioni assunte verso il contraente ceduto (art. 1408), salvo che quest’ultimo abbia dichiarato di non volerla liberare, ma è tenuta a garantire al cessionario la validità del contratto (art. 1410).
• Subcontratto: una parte del contratto utilizza questa sua posizione per stipulare con un terzo un contratto nuovo dello stesso tipo e con contenuto identico, seppur con un ruolo invertito rispetto a quello rivestito nel contratto base.
Opponibilità del contratto ed efficacia indiretta
• L’opponibilità del contratto è impropriamente considerata un’ipotesi di efficacia indiretta (o riflessa) del contratto.
• Impropriamente in quanto essa incide spesso sull’efficacia diretta del contratto, risolvendo il contrasto tra effetti inconciliabili di due contratti ugualmente validi.
• Nella doppia vendita operata dal proprietario di un medesimo bene dovrebbe prevalere chi ha acquistato per primo (prior in tempore, potior in iure), avendo a quel momento l’originario proprietario del bene perduto la legittimazione a disporne ulteriormente.
• Ragioni di sicurezza del traffico e di tutela dei terzi hanno invece indotto il legislatore a far prevalere il contratto la cui esistenza sia stata resa conoscibile per prima, riconoscendogli efficacia (diretta) e negandola
all’altro che pure è stato concluso anteriormente.
La conoscibilità legale e opponibilità
• La conoscibilità legale dei contratti che costituiscono, modificano od estinguono diritti reali su beni immobili e su beni mobili registrati è attuata attraverso la trascrizione nei pubblici registri.
• Funzione analoga, per i beni mobili non registrati, va attribuita al trasferimento del possesso.
• Se il conflitto riguarda contratti con i quali il credito è stato ceduto oppure abbia formato oggetto di pegno, il criterio di prevalenza è costituito dall’opponibilità della cessione al debitore, opponibilità che si realizza con la notifica della cessione o con l’accettazione da parte del debitore.
• Se il conflitto, infine, si presenta tra contratti con i quali siano costituiti diritti personali di godimento sullo stesso bene, il criterio di prevalenza è dato dalla priorità nel godimento e, se nessuno dei contraenti lo ha conseguito, dalla priorità del contratto.
La doppia vendita immobiliare
• In caso di contrasto tra diversi contratti di alienazione di beni immobili (o mobili registrati) è
quindi la priorità nella trascrizione che decide, a prescindere dalla buona fede dell’acquirente, quale di essi produca effetti.
• La risoluzione del conflitto non comporta l’inefficacia totale del contratto che non abbia prevalso: ne preclude l’effetto tipico (attribuzione della proprietà del bene all’acquirente) ma non elimina l’effetto vincolante per le parti.
• E’, quindi, possibile ritenere che l’alienante debba rispondere nei confronti dell’acquirente
per evizione ex art. 1483, o, secondo altra tesi, per inadempimento, ovvero, secondo un’opinione ancora diversa, in via extracontrattuale.
• Per quanto riguarda l’acquirente che abbia prevalso perché ha trascritto per primo pur avendo acquistato dopo, è, come detto, irrilevante il suo stato soggettivo di buona o mala fede.
• Ciò non toglie che si possa configurare, qualora se ne accerti la mala fede, una sua
responsabilità extracontrattuale nei confronti dell’altro acquirente, dipendente dall’avere concorso con l’alienante ad impedire che si realizzasse l’assetto di interessi programmato.
La simulazione
• Realizza un complesso regolamento di interessi: le parti perseguono un determinato risultato mediante la
creazione di una situazione apparente.
• Rilevanza centrale riveste il c.d. accordo simulatorio: l’intesa con cui le parti dichiarano di volere un determinato scopo per la realizzazione del quale frappongono una diversa situazione di apparenza destinata, di regola, ad ingannare i terzi.
• Secondo una risalente convinzione, la simulazione sarebbe caratterizzata da un contrasto tra volontà e
dichiarazione: la prima, interna ed occulta; la seconda apparente e ostentata nei confronti dei terzi.
• In realtà il contrasto è tra due dichiarazioni, entrambe volute e coordinate per perseguire un risultato pratico interno oltre quello apparente (c.d. procedimento simulatorio).
• La simulazione può essere assoluta o relativa.
• Si ha simulazione assoluta quando le parti, pur esteriorizzando un nuovo assetto di interessi, non intendano in alcun modo modificare la situazione esistente (ad es. si dichiara di vendere un bene contro un corrispettivo ma non si vuole né il trasferimento del bene né il pagamento del prezzo).
• Si ha simulazione relativa (oggettiva) quando le parti non vogliono realizzare l’assetto di interessi esteriorizzato ma uno del tutto diverso (c.d. simulazione relativa totale, come quando, ad es., dichiarano di vendere un bene mentre intendono attuare una donazione) o diverso soltanto in parte (c.d. simulazione relativa parziale, qualora, ad es. la simulazione riguardi soltanto la determinazione del prezzo della vendita).
• La simulazione relativa può essere anche soggettiva (c.d. interposizione fittizia di persona).
La simulazione come collegamento tra due contratti
• Secondo una parte della dottrina, nella simulazione sarebbero ravvisabili due contratti distinti seppur collegati: quello dissimulato, volto regolare gli effetti realmente voluti dalla parti e quello simulato.
• Non sarebbe di ostacolo a tale ricostruzione la mancanza di una volontà diretta a produrre l’effetto esternato nel contratto simulato, in quanto una tale mancanza non lo priverebbe del suo carattere di autoregolamento.
• Ciò anche nella simulazione assoluta, potendo il contratto dissimulato, volto a privare di effetti il contratto simulato, essere assimilato all’accordo risolutorio per mutuo dissenso.
• Né la circostanza che l’ordinamento considera il negozio simulato efficace nei confronti dei terzi in buona fede può indurre a escludere che abbia natura negoziale, dato che alle parti non compete determinare gli effetti giuridici del contratto.
La simulazione come fenomeno unitario
• Altra parte della dottrina ritiene, invece, che il fenomeno simulatorio si caratterizza per
l’unità dell’intento negoziale, costituendo l’essenza della simulazione l’intento simulatorio, cioè l’intesa tra le parti, vincolante per entrambe, di porre in essere un atto solo per
l’apparenza, senza attribuirvi effetti giuridici o attribuendovi effetti diversi.
• E’ proprio tale intesa a distinguere la simulazione dalla duplice riserva mentale, come tale irrilevante.
• E’, ancora, l’intesa simulatoria che spiega la simulazione nei negozi unilaterali recettizi (art. 1414, comma 3, c.c.).
• Il risultato realmente voluto e celato dal contratto simulato è espresso dall’accordo simulatorio, il quale di regola è richiamato da una c.d. controdichiarazione che le parti sono solite porre in essere per documentare il complessivo fenomeno simulatorio.
• Una tale ricostruzione della simulazione appare condivisa dalla giurisprudenza più recente (Cass., S.U., n. 18213/2015), secondo la quale il procedimento simulatorio si sostanzia in un accordo simulatorio e in una successiva, quanto unica, convenzione negoziale, sia
nell’ipotesi di simulazione assoluta, sia nell’ipotesi di simulazione relativa. In entrambi i casi, infatti, l’atto stipulato è unico, mentre la c.d. controdichiarazione non è altro che uno strumento probatorio idoneo a fornire la chiave di lettura del negozio apparente.
Effetti della simulazione tra le parti
• Regola generale è che il contratto simulato non produce effetti tra le parti (art. 1414, comma 1). Nella simulazione assoluta, dunque, non si realizza alcun effetto. Non perché il contratto simulato sia nullo, come ritenuto generalmente dalla giurisprudenza, ma perché
l’ordinamento sceglie di dare rilevo alla volontà espressa dalle dalle parti nell’accordo simulatorio: gli effetti del contratto simulato non si producono perché così è stato dai contraenti stabilito nell’accordo simulatorio.
• Diversa è la situazione nella simulazione relativa, disponendo l’art. 1414, comma 2, che se le parti hanno voluto concludere un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto dissimulato, purché ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma.
• Ferma, dunque, anche in questo caso l’inefficacia del contratto simulato, produce effetto tra le parti il contratto dissimulato, quale contratto realmente voluto. Purché ne sussistano i requisiti di sostanza di forma.
• Ciò significa che il contratto dissimulato deve essere lecito (ad es., sarebbe nullo una vendita che dissimula una donazione di cose future in violazione del divieto di cui all’art. 771 c.c.), oltre che soddisfare i requisiti di forma. I più ritengono, peraltro, che tale requisito debba ritenersi soddisfatto quando l'atto simulato abbia la forma prescritta per la validità del contratto dissimulato (ad es., una vendita che dissimuli una donazione deve essere stipulata per atto pubblico e alla presenza di due testimoni).
Effetti della simulazione rispetto ai terzi
• L’efficacia della simulazione nei confronti dei terzi tocca il problema dell’opponibilità della simulazione ai terzi, che è risolto sulla base del principio della tutela della buona fede dei terzi e, cioè,
dell’affidamento (irrilevante è la natura dell’acquisto se a titolo oneroso o gratuito).
• La regola è che le parti del contratto simulato, come pure gli aventi causa o i creditori del simulato alienante, non possono opporre la simulazione ai terzi che, in buona fede, hanno acquistato diritti dal titolare apparente (cioè da chi risulti titolare in base all’atto simulato) (art. 1415, comma 1).
• Il contratto simulato che abbia ad oggetto il trasferimento di diritti, produce, quindi, effetti indiretti nei confronti dei terzi, in quanto costituisce il presupposto per un valido trasferimento dei diritti stessi dal simulato acquirente ai terzi in buona fede.
• Tale efficacia indiretta trova la sua ragione nell’inopponibilità a questi terzi dell’accordo simulatorio,
derivante dalla mancata conoscenza dello stesso.
• Deve, quindi, essere negata quando l’acquisto del terzo sia avvenuto posteriormente alla trascrizione
della domanda di simulazione, con cui si nega efficacia al contratto simulato (art. 2652, n. 4).
• I terzi (aventi causa o creditori del simulato alienante) possono far valere la simulazione nei confronti delle parti quando la stessa arrechi pregiudizio ai loro diritti (art. 1415, comma 2), in modo da far valere la realtà contro l’apparenza (ma soccombono rispetto agli aventi causa dal titolare apparente).
Effetti della simulazione nei confronti dei creditori
• Nei rapporti con i creditori i beni rilevano in funzione di garanzia.
• I creditori muniti di garanzia reale sono tutelati direttamente dall'art. 1415, quali aventi causa
dall'apparente titolare. Per i creditori chirografari valgono le regole seguenti.
• Ai creditori del titolare apparente che, in buona fede, abbiano compiuto atti di esecuzione sul bene da costui simulatamente acquistato, la simulazione non può essere opposta (art. 1416, comma 1).
• L’opposto interesse dei creditori del simulato alienante alla conservazione della garanzia sul suo patrimonio è tutelato consentendo loro di far valere la simulazione (art. 1416, comma 2)
• Nel contrasto tra creditori del simulato alienante e creditori del simulato acquirente, ciascuno dei quali ha interesse a che il bene sia considerato nel patrimonio del proprio debitore, è data la preferenza ai primi, qualora il loro credito sia anteriore all’atto simulato. Ciò in quanto essi
tendono ad evitare un danno (diminuzione della garanzia patrimoniale) conseguente all’atto di alienazione simulato, mentre i creditori del simulato acquirente tendono ad acquisire un vantaggio. D’altra parte, per i creditori posteriori il patrimonio del debitore al momento della nascita del credito risultava già privo del bene simulatamente alienato. A meno che non fossero stati a conoscenza della simulazione. Ma in tal caso sarebbero in mala fede e, dunque, non meritevoli di una tutela prevalente sui creditori in buona fede del simulato acquirente.
Azione di simulazione
• L’azione volta ad accertare la simulazione, in quanto diretta ad accertare
l’inefficacia del contratto simulato (che la giurisprudenza tende a considerare nullo), non incontra preclusioni temporali.
• L’accertamento è soltanto negativo, in riferimento alla simulazione assoluta, è anche positivo nel caso della simulazione relativa, con riguardo
all’accertamento del negozio dissimulato.
• Se, dunque, oltre all’accertamento dell’inefficacia del negozio simulato, si intenda far valere i diritti che discendono dal negozio dissimulato, rispetto a questi opera la prescrizione ordinaria decennale (art. 2946).
• Ciò riduce l’interesse ad agire oltre un tale termine per accertare la simulazione del negozio apparente.
La prova della simulazione tra le parti
• E’ difficilmente acquisibile attraverso il contratto apparente: proprio perché tale, la prova non può che fondarsi su elementi estranei al contrato stesso.
• Tra le parti, opera il fondamentale limite dell’art. 2722, per cui la prova per testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea.
• Limite richiamato dall’art. 2729, comma 2, per cui le presunzioni non si possono ammettere
nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni.
• Resta, peraltro, ammissibile la prova mediante confessione o giuramento decisorio nel caso in cui per la validità del contratto dissimulato non sia richiesta la forma scritta ad substantiam.
• In definitiva, in presenza di una controdichiarazione scritta, le parti possono provare la simulazione allegando tale dichiarazione.
• In assenza di controdichiarazione scritta, si applicano le normali regole relative alla prova dei contratti, sia in relazione alla prova testimoniale (art. 2721 ss.), sia alle presunzioni semplici (art. 2729, comma 2).
Segue: l’ammissibilità della prova testimoniale
• Con la precisazione che si ritengono applicabili le eccezioni al divieto della prova testimoniale di cui all’art. 2724 anche alle scritture private dissimulate relative a contratti di compravendita immobiliare.
• In termini, tuttavia, diversi a seconda che si tratti di simulazione assoluta o relativa (Cass., n. 10240/2007).
• Nel primo caso, infatti, l’accordo simulatorio, pur essendo riconducibile tra i patti per i quali opera il divieto di cui all’art. 2722, non rientra tra gli atti per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem, avendo natura ricognitiva dell’inesistenza (o, meglio, dell’inefficacia) del contratto
apparentemente simulato, sì che la prova testimoniale è ammissibile in tutte e
tre le ipotesi contemplate dall’art. 2724.
• Nel secondo caso, invece, la prova per testi, essendo diretta a dimostrare
l’esistenza del negozio dissimulato, del quale quello apparente deve rivestire il necessario requisito di forma, la prova testimoniale è ammessa soltanto
nell’ipotesi di cui al n. 3 dell’art. 2724.
• La prova per testimoni è ammessa senza limiti soltanto se la domanda
proposta dalle parti è diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato
(art. 1417).
La prova della simulazione fatta valere dai terzi
• I terzi, compresi i creditori, possono accertare la simulazione avvalendosi di tutti i mezzi di prova (art. 1416), in quanto nei loro confronti la simulazione rileva come mero fatto giuridico.
• I terzi sono tenuti a provare il pregiudizio che subiscono dal contratto apparente e perciò l’interesse alla inefficacia del contratto.
• Non devono, invece, provare anche l’intento degli autori del contratto simulato di danneggiarli. Tale prova si deve, invece, dare ove si voglia agire per il risarcimento dei danni da fatto illecito (Cass., n. 1404/2001).
• Non sono terzi gli eredi che intendono accertare la simulazione di atti dispositivi del de cuius, subentrando gli eredi nell'insieme dei rapporti giuridici della persona deceduta e, dunque, trovandosi nelle sue stesse condizioni (Cass., n. 7834/2008).
• Nessuna limitazione probatoria incontra, peraltro, l'erede che agisca in qualità di legittimario, per la tutela, cioè, di un diritto suo proprio, a condizione che egli abbia contestualmente proposto domanda di riduzione della donazione dissimulata (Cass., n. 7048/2008).
I diversi tipi di efficacia del contratto
• Sono ad “effetti obbligatori” i contratti che comportano la costituzione, modificazione o estinzione di rapporti giuridici obbligatori, ad “effetti reali” quelli che comportano direttamente la costituzione o il trasferimento di diritti.
• L’idoneità dei c.d. contratti di alienazione a produrre effetti reali discende dal principio consensualistico recepito nel nostro ordinamento, che afferma la sufficienza del semplice consenso a determinare l’effetto traslativo o costitutivo.
• Il principio però può trovare applicazione solo se il bene oggetto di trasferimento esiste, sia individuato e possa costituire oggetto di disposizione da parte dell’alienante.
• Da questo presupposto si deduce l’efficacia, invece, meramente obbligatoria dei contratti di alienazione che abbiano ad oggetto cose determinate solo nel genere, cose future o cose altrui.
• La distinzione tra contratti ad efficacia reale e contratti ad efficacia obbligatoria, comunque, non è assoluta perché anche nei primi, all’effetto reale si accompagnano sempre effetti obbligatori (come quello di consegnare la cosa o di comportarsi secondo buona fede).
Segue: efficacia immediata e differita
• L’efficacia del contratto può essere immediata o differita (se i contraenti lo hanno sottoposto a condizione sospensiva o se abbiano inserito un termine iniziale).
• Quando poi l’efficacia è subordinata al verificarsi di un evento futuro ed incerto, quale quello dedotto in condizione, essa non è solo differita ma anche eventuale.
• Non tutti gli effetti vengono, comunque, sospesi: anche in questi casi si produce, infatti, a seguito della conclusione del contratto, l’effetto fondamentale proprio di tutti i contratti, ossia il vincolo contrattuale. Vincolo dal quale i contraenti possono sciogliersi solo per “mutuo consenso o per causa ammessa dalla legge”.
• Diversa dall’immediatezza dell’efficacia del contratto è l’immediatezza
dell’esecuzione dello stesso, cioè della realizzazione del risultato programmato: un contratto ad efficacia immediata può essere ad esecuzione differita (es., vendita di cose specifiche a consegna ripartita) ed un contratto ad efficacia differita può essere ad esecuzione immediata (es., contratto preliminare c.d. ad «effetti» anticipati, ma sarebbe meglio dire ad esecuzione anticipata) .
La sostituzione nell’attività giuridica
• Non sempre è possibile curare direttamente tutti i propri interessi. I rapporti economici, in particolare, sono spesso contraddistinti dal ricorso alla sostituzione nell’attività giuridica, che determina una dissociazione tra autore formale dell’atto e titolare dell’interesse regolato: il soggetto che agisce giuridicamente (c.d. sostituto o gestore) realizza un interesse non proprio ma di un altro soggetto (c.d. sostituito o gerito).
• Non per tutti gli atti la sostituzione è tuttavia consentita.
• A tutela del donante, in particolare, la sostituzione non è consentita nella donazione in cui l’individuazione del donatario o dell’oggetto della donazione non può essere delegata ad altri: è ammessa solo la possibilità di demandare a terzi la scelta del donatario, nell’ambito di una pluralità di soggetti designati dal donante, e
quella dell’oggetto della donazione, nell’ambito di più cose indicate dal donante o entro i limiti di valore dallo stesso stabiliti.
• Il contratto di donazione rientra, infatti, nella categoria dei negozi giuridici personalissimi (che annovera, tra gli altri, il matrimonio e il testamento), la cui funzione non consente la sostituzione di altri all’interessato.
• Il tratto comune della sostituzione è la gestione nell’interesse altrui, quale connotato sostanziale del c.d. rapporto gestorio.
• Spesso, a tale dato di carattere sostanziale, se ne accompagna un altro di carattere formale, costituito dal potere del gestore di incidere direttamente la sfera giuridica del sostituito, attribuendogli gli effetti degli atti compiuti: è questo il fenomeno della rappresentanza, con il quale ad un soggetto è conferito il potere rappresentativo di altro soggetto (c.d. rapporto rappresentativo).
Rappresentanza volontaria, legale e organica
• Nel caso di sostituzione volontaria si ha rappresentanza e il contratto concluso dal rappresentante in nome e per conto del rappresentato: “produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato” (art. 1388). Qui la sostituzione nell’attività giuridica è voluta dall’interessato, sicché non può apparire in contrasto con i principi che riconoscono l’autonomia privata.
• L’autonomia privata non appare in alcun modo compromessa anche nei casi in cui la sostituzione è disposta dalla legge in quanto il potere di sostituzione è attribuito nei confronti di chi non ha la capacità d’agire perché non l’ha conseguita (minori) o perché ne è stato privato (interdetto). Tale sostituzione disposta
nell’interesse del sostituto non toglie, infatti, al medesimo poteri che sia in grado di esercitare.
• Quando il rappresentato ricorre all’istituto della rappresentanza lascia al rappresentante una sfera di autonomia decisionale sui termini del contratto sia pure nell’ambito di direttive da lui delineate.
• Nel caso in cui, invece, il rappresentante abbia solo il compito di nuncius, vale a dire di portavoce di una volontà già minuziosamente precisata, si è fuori dalla fattispecie della rappresentanza.
• Nella rappresentanza, che comporta la sostituzione di un soggetto ad un altro nello svolgimento di un’attività
giuridica, si ha la possibilità di individuare due soggetti distinti (sostituto e sostituito).
• Tale possibilità manca nell’attività svolta dagli organi delle persone giuridiche. La persona giuridica, infatti, agisce solo attraverso i suoi organi, sicché, quando questi operano, l’attività è direttamente imputata alla stessa.
• Non è, quindi, possibile nella rappresentanza organica operare una scissione fra soggetto che pone in essere
l’attività e soggetto sul quale ricadono gli effetti giuridici dell’attività stessa.
Rappresentanza indiretta
• Nel mandato senza rappresentanza il mandante “può esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato” (art. 1705) e “può rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario” (art. 1706); i creditori del mandatario, inoltre, ricorrendo determinate condizioni, non possono far valere le loro ragioni sui beni acquistati a nome proprio dal mandatario in esecuzione del mandato (art. 1707).
• Questa normativa ha indotto a configurare, accanto alla rappresentanza diretta,
caratterizzata dall’agire in nome e per conto del rappresentato, anche una rappresentanza indiretta, caratterizzata da un’attività di gestione esercitata in nome proprio, alla quale, però, sono ricondotti effetti diretti per il gerito.
• Se, tuttavia, si amplia il concetto di rappresentanza fino a ricomprendere ipotesi in cui
l’effetto diretto nei confronti dell’interessato si produce senza che sia necessaria la spendita del suo nome, sarebbe meglio parlare, in conformità dell’art. 1387 c.c., di rappresentanza legale.
• L’efficacia diretta nella sfera giuridica dell’interessato appare, del resto, criterio sufficiente
per distinguere l’attività rappresentativa, pur svolta in nome proprio, dall’attività di gestione nell’interesse altrui (artt. 2028 ss.).
La procura
• Il negozio tipicamente rivolto ad attribuire il potere di rappresentanza è la procura, che è un negozio giuridico unilaterale, indirizzato al soggetto che si designa come rappresentante e al quale consegue l’attribuzione allo stesso del potere di agire a nome e nell’interesse dell’autore del negozio, senza necessità che la dichiarazione sia comunicata al terzo nei confronti del quale il rappresentante è legittimato ad operare.
• Alla ricezione della dichiarazione non consegue, per il destinatario anche la nascita di un obbligo di esercitare il potere conferitogli. Obbligo che si ha, invece, nei casi in cui il potere di rappresentanza si inserisce nel quadro di un rapporto contrattuale come nel mandato o nel rapporto di lavoro subordinato.
• Se, tuttavia, il designato inizia l’attività, deve portarla a termine. Il suo comportamento, infatti, assume il senso di accettazione dell’incarico conferitogli.
• La procura non ha poi effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere (art. 1392).
• Per la valida attribuzione del potere di rappresentanza processuale (art. 77 c.p.c.) la giurisprudenza ritiene
indispensabile che la procura venga attribuita a chi sia in pari tempo anche rappresentante sostanziale.
• La procura può essere generale o speciale. Nel caso di procura che sia conferita a più persone (passivamente collettiva) il potere di rappresentanza può essere attribuito, congiuntamente o disgiuntamente, a ciascuno dei rappresentanti: qualora non si rinvengano precisazioni al riguardo si deve ritenere che sia stato attribuito disgiuntamente (art. 1716).
La revoca e l’estinzione della procura
• La revoca della procura è sempre possibile se il potere di rappresentanza sia stato conferito nell’esclusivo interesse del rappresentato che conserva perciò la possibilità di togliere al rappresentante i poteri da lui stesso conferitigli, salvo essere tenuto al risarcimento dei danni nell’ipotesi che sia stata pattuita
l’irrevocabilità e che manchi una giusta causa di revoca.
• Nel caso di rappresentanza conferita anche nell’interesse del mandatario o di terzi, la revoca non è efficace, salvo che sia stato diversamente pattuito o che ricorra una giusta causa (art. 1723). Per la revoca non si esige la stessa forma della procura. Resta comunque salva la possibilità per le parti di prevedere l’adozione di una forma specifica.
• La revoca può essere anche tacita, infatti, “la nomina di un nuovo mandatario per lo stesso affare o il compimento di questo da parte del mandante comportano la revoca del mandato”(art. 1724).
• Il potere di rappresentanza conferito con la procura si estingue, oltre che a seguito di revoca della stessa, anche: 1) per la scadenza del termine o per il compimento, da parte del rappresentante, dell’attività giuridica per la quale è stata conferita la procura; 2) per la rinuncia del rappresentante; 3) per la morte, interdizione o l’inabilitazione del rappresentante o del rappresentato; 4) per il fallimento del rappresentante.
• A tutela dell’affidamento dei terzi, le modificazioni e la revoca della procura non sono opponibili se non sono state portate a loro conoscenza con mezzi idonei o, comunque, se non si provi che gli stessi ne erano a conoscenza al momento della conclusione del contratto.
• Le altre cause di estinzione non sono opponibili se i terzi le abbiano ignorate senza colpa (art. 1396).
Il negozio concluso dal rappresentante
• Il contratto concluso dal rappresentante è annullabile se la sua volontà risulta viziata. Quando però il vizio riguarda elementi predeterminati dal rappresentato, il contratto è annullabile solo se era viziata la volontà di questo (art. 1390).
• Nei casi in cui è rilevante lo stato di buona o di mala fede, di conoscenza o d'ignoranza di determinate circostanze, si ha riguardo sempre alla persona del rappresentante, salvo che si tratti di elementi predeterminati dal rappresentato. In nessun caso comunque il rappresentato che è in mala fede può giovarsi dello stato d'ignoranza o di buona fede del rappresentante (art. 1391).
• Il contratto concluso dal rappresentante non deve essere comunque vietato al rappresentato, essendo altrimenti invalido (art. 1389, comma 2).
• Quanto alla capacità, è sufficiente che il rappresentante abbia la capacità d’intendere e di volere, avuto riguardo alla natura e al contenuto del contratto, richiedendosi la capacità di agire unicamente al rappresentato (art. 1389, comma 1).
L’abuso di potere rappresentativo
• L’attività del rappresentante è finalizzata, esclusivamente al soddisfacimento di interessi del rappresentato. Ciò non comporta, comunque, che la validità del contratto concluso dal rappresentante sia condizionata all’effettivo soddisfacimento degli interessi del rappresentato. In concreto, il contratto potrà fallire lo scopo, ma la circostanza, se addebitabile a negligenza del rappresentante, potrà influire sui rapporti tra rappresentato e rappresentante, che potrà essere chiamato a rispondere dei danni, ma non incide sulla validità del contratto concluso dal rappresentante.
• Se, però, l’attività del rappresentante non sia finalizzata al perseguimento dell’interesse del rappresentato ma al perseguimento di interessi (propri o di altri) che con questi contrastino, il potere di rappresentanza è attuato per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito e si configura un abuso di rappresentanza.
• La legge ravvisa l’abuso, o lo suppone, nel caso in cui si manifesti un conflitto di interessi tra rappresentato e rappresentante (art. 1394), e contempla (art. 1395) un’ipotesi specifica nella quale il conflitto si manifesta: quella del contratto che il rappresentante conclude con se stesso.
• L’emergere del conflitto di interessi rende il contratto annullabile ad istanza del rappresentato, se il conflitto era
conosciuto o riconoscibile dal terzo contraente.
• Del pari annullabile è il contratto che il rappresentante conclude con se stesso, salvo che il rappresentato abbia autorizzato specificatamente il rappresentante a concludere il contratto o ne abbia prefissato minuziosamente il contenuto.
• Il legislatore, nel disporre l’annullabilità e non la nullità del contratto, ha tenuto conto dell’eventualità che il rappresentante non abbia causato alcun danno al rappresentato e del suo possibile interesse a stabilizzare gli effetti del contratto rinunciando al potere di impugnarlo.
Il difetto di potere rappresentativo
• Si è fuori dalla rappresentanza quando chi agisce in nome di altri sia privo del potere di sostituirlo.
• Non si distingue, al riguardo, tra eccesso e mancanza di potere rappresentativo o tra mancanza originaria e mancanza
sopravvenuta.
• Il contratto concluso da chi, senza averne i poteri, operi come rappresentante non vincola chi è stato falsamente rappresentato.
• Il contratto non vincola direttamente neppure il falso rappresentante. Costui, però, può essere chiamato dal terzo
contraente a rispondere dei danni che questi “ha sofferto per avere confidato senza sua colpa nella validità del contratto”
(interesse c.d. negativo) .
• Malgrado la formulazione della norma, che fa esplicito riferimento all’invalidità, il contratto concluso dal falso rappresentante non è né annullabile né nullo, ma inefficace.
• L’annullabilità comporterebbe, infatti, l’efficacia, sia pure temporanea, del contratto: efficacia che qui non si riscontra. La nullità, invece, appare incompatibile con la circostanza che il contratto è vincolante per il terzo.
• Il contratto concluso dal falso rappresentante, è, quindi, valido ma, salvo l’effetto fondamentale del vincolo contrattuale, inidoneo a produrre effetti.
• Il falso rappresentato ha il potere di rendere efficace il contratto ratificandolo.
• La ratifica è un negozio unilaterale, con il quale il titolare dell’interesse regolato col contratto manifesta l’intento di
volerlo rendere efficace nei propri confronti, e può anche essere implicita: risultare cioè anche da atti o comportamenti.
• Deve però rivestire la stessa forma che sarebbe stata richiesta per la procura (art. 1399).
• La legge non pone un termine all’esercizio del potere di ratifica che, quindi, è assoggettato alla prescrizione ordinaria (10 anni).
• Il terzo contraente può, peraltro, invitare l’interessato a pronunciarsi al riguardo, assegnandogli un termine “scaduto il quale, nel
silenzio, la ratifica s’intende negata”.
La rappresentanza apparente
• Il fenomeno della c.d. rappresentanza apparente (o apparenza colposa) costituisce una risposta equitativa della giurisprudenza alle esigenze di tutela dell'affidamento del terzo nella contrattazione.
• Secondo un consolidato orientamento, infatti, “Il principio dell’apparenza del diritto, riconducibile a quello più generale
della tutela dell’affidamento incolpevole, può essere invocato con riguardo alla rappresentanza, allorché,
indipendentemente dalla richiesta di giustificazione dei poteri del rappresentante a norma dell’art. 1393, non solo vi sia la buona fede del terzo che abbia concluso atti con il falso rappresentante, ma vi sia anche un comportamento colposo del rappresentato, tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente. In relazione a tale principio, spetta al giudice di merito accertare se, riguardo alle circostanze obiettive del caso concreto, il comportamento tenuto dal rappresentante sia stato tale da ingenerare nel terzo il ragionevole convincimento sulla corrispondenza della situazione reale a quella apparente” (Cass., n. 17243/2010; n. 15743/2004; n. 2725/2007; Cass. n. 13084/2004; n. 204/2003).
• L’ipotesi è diversa dalla procura tacita, non essendo ravvisabile alcun conferimento di potere. Sussiste, invece, un contegno che oggettivamente è in grado di suscitare l’affidamento circa l’esistenza di una procura in realtà inesistente. I casi più significativi sono in tema di rapporti patrimoniali tra i coniugi (coinvolgimento della responsabilità del coniuge non partecipe all’atto compiuto dall’altro) e in materia di società di fatto per l’apparenza del vincolo sociale.
• Parte della dottrina ritiene l’indicazione non giustificata dal quadro normativo, dal quale potrebbe discendere unicamente la responsabilità extracontrattuale del falso rappresentato ma non l’assoggettamento al contratto concluso dal falsus procurator.
• La circostanza, in particolare, che l’apparenza trovi espressa tutela solo nei casi di cui all’art. 1396 c.c. dovrebbe escludere una sua più ampia rilevanza in tema di rappresentanza.
• Si obietta, tuttavia, che la rappresentanza apparente è applicazione del principio generale di apparentia iuris ricavabile
da una pluralità di disposizioni come gli artt. 534, co. 2, 1189, 1153, 1415 c.c.
Contratto concluso sotto falso nome o con nome xxxxxx
• Fermo restante l’inefficacia del contratto nei confronti della persona il cui nome è stato falsamente utilizzato, la qualità e l’identità dei soggetti in genere non rileva ai fini della validità del contratto.
• Nei casi in cui siano, invece, essenziali, si parla di contratti caratterizzati dall’intuitu personae.
• Le conseguenze possono, quindi, essere diverse a seconda delle circostanze concrete: determinare l’annullabilità per errore sull’identità del contraente (art.
1429, n. 3, c.c.); causare la nullità del contratto, quando con le false generalità si miri ad eludere un espresso divieto legale (art. 1471, nn. 1 e 2, c.c.); essere assolutamente irrilevante (acquisto in negozio di un bene di consumo pagato in contanti).
Il contratto per persona da nominare
• Può essere ricondotta alla rappresentanza la figura del contratto per persona da nominare.
• Essa è caratterizzata dalla circostanza che, nel momento della conclusione del contratto, una delle parti si riserva “la facoltà di nominare successivamente la persona che deve acquistare i diritti e assumere gli obblighi nascenti dal contratto stesso” (art. 1401).
• Per effetto della clausola, l’individuazione del contraente resta sospesa fino a quando non sia fatta la dichiarazione di nomina e questa non sia accettata dalla persona nominata (art. 1402).
• Se la dichiarazione di nomina non è resa nel termine, indicato dalla legge, di 3 giorni dalla stipulazione del contratto o nel diverso termine stabilito dalle parti, il contratto è efficace nei confronti delle parti originarie (art. 1405). Anche se la parte abbia dichiarato di volere concludere il contratto non per sé o per persona da nominare ma esclusivamente per persona da nominare, non facendo l’art. 1401 alcuna differenza al riguardo.
• Se la nomina è resa validamente in conformità di una previa procura o, in mancanza, sia stata accettata dalla persona nominata (art. 1402, comma 2), “la persona nominata acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dal contratto con effetto dal momento in cui questo fu stipulato” (art. 1404).