DIRITTO GIURISPRUDENZIALE, RICONCETTUALIZZAZIONE DEL CONTRATTO E PRINCIPIO DI EFFETTIVITA’
DIRITTO GIURISPRUDENZIALE, RICONCETTUALIZZAZIONE DEL CONTRATTO E PRINCIPIO DI EFFETTIVITA’
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Di Xxxxxxx Xxxxxxxxxxx
D i r i t t o g i u r i s p r u d e n z i a l e , r i c o n c e t t u a l i z z a z i o n e d e l c o n t r a t t o e p r i n c i p i o d i e f f e t t i v i t à ( S t e f a n o P a g l i a n t i n i )
SOMMARIO: 1. Pienezza del rimedio giurisdizionale . - 2 … e riconcettualizzazione degli artt. 1421 e 1453 c.c.. – 3. Segue: causa in concreto e la parabola dell’art. 2744 tra principio di equivalenza e par condicio creditorum. – 4. Motivazione v. dispositivo in tre arresti emblematici.
– 5. L’effettività delle Corti tra equilibrio contrattuale (art. 1450) e danno da risoluzione (artt. 1526 e 1453 c.c.). – 6. Un caso eclatante: Cass. 12117/2014 e la rettifica atipica del contratto come risarcimento in forma specifica.– 7. Segue: l’interesse del minore tra” materializzazione” ed effettività della tutela.
1. Pienezza del rimedio giurisdizionale
Due le premesse del discorso che si andrà qui a svolgere.
La prima è scomponibile in due enunciati, connessi ma separati.
Dare una definizione, che non sia stipulativa, di giustizia contrattuale può, all’occorrenza1, mostrarsi opportuno ma non è indispensabile per decrittare la
a) del diritto ad un rimedio effettivo (art. 24 Cost.)3, cioè satisfattivamente rispondente al bisogno di protezione domandato, con un’intonazione che riannoda il canone costituzionale dell’effettività al come il contesto circostanziale rende l’interesse (giustiziabile) azionato manifesto;
b) di una concentrazione attuosa delle tutele4, andando selettivamente a censire i rimedi
metrica argomentativa dell’odierno decidere per
principi, almeno se si ha contezza del fatto che, allo stato, la c.d. dottrina delle Corti calibra l’incipiente opera di riconcettualizzazione processuale del contratto su di un canovaccio palesemente ispirato – piuttosto- ad una giustezza della decisione, sintagma questo declinabile, già provando qui a sunteggiare il discorso, nella triplice accezione “materializzata”2:
0 X. XXXXXXXX, Xxxxxxxxx contrattuale, in Enc. dir., Ann. VII, Milano, 2014, 448 ss.
2 V. DI MAJO, Giustizia e ‘materializzazione’ nel diritto delle obbligazioni e dei contratti tra (regole di) di fattispecie e (regole di) procedura, in Europa dir. priv., 2013, 796 ss., spec. 803 ss.
3 Un classico, al riguardo, sono le pagine, sistematizzanti il punto sulla questione, di ORIANI, Il principio di effettività della tutela giurisdizionale, Napoli, 2008, 11 e, nella letteratura civilistica, di là dai distinguo di dettaglio, X. XXXXXXXXXXX, Il “giusto rimedio” nel diritto civile, in Giusto proc. civ., 2011, 6 ss. e XXXXXXXXX, La nozione di rimedio nel diritto continentale, in Eur. dir. priv., 2007, 587 ss. che acutamente vede nel principio di effettività un ripudio del concettualismo.
4 V. CdS, 12 dicembre 2012, n. 6374, in Foro amm. CDS, 2012, 3283, con riguardo agli artt. 121 – 122 c.p. a., circa la caducazione del contratto a seguito di annullamento giurisdizionale o in via di autotutela della procedura amministrativa di aggiudicazione: non un’inefficacia automatica ma rimessa ad una specifica valutazione discrezionale del giudice, sull’assunto che l’annullamento dell’aggiudicazione faccia sorgere soltanto il potere in capo al giudice «di valutare se il contratto debba continuare o meno a produrre effetti». Sicché la suddetta inefficacia deve formare oggetto «di un’espressa pronuncia giurisdizionale».
meglio confacenti ad una policy promozionale di semplificazione che li concepisce sempre più come efficienti, nel senso di utilmente ancillari ad una definizione complessiva della controversia;
attraverso la verifica di una congruità/utilità del mezzo di tutela esperibile.
Se così è, nel lessico delle Corti, giusto sta dunque, già provando a ricapitolare, per pienezza ed adeguatezza circostanziale del rimedio
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c) di un’etica materiale che vuole il danno giurisdizionale, non anche per proporzionalmente
traslato su chi ne sia stato l’artefice oppure, nell’ottica di un superior risk bearer, sul terzo che possa sopportarlo con minor costo, evitando che il pregiudizio rimanga allogato là dov’è. Il tutto sul sottinteso di una responsabilità sociale, in chiave civil – costituzionale (artt. 101, comma 2 e 111, comma 1 Cost.), del giudizio ovvero, come non a caso scrive uno dei più rigorosi artefici di questa stagione, un’«etica del convincimento, certo, ma non disgiunta dalla weberiana etica della responsabilità»5.
Sintagma indicante, nella sua prima formulazione, il valore costituzionale di un’atipicità del diritto di azione, nell’ottica di un art. 24, comma 1 Cost. quale norma in bianco che le fattispecie costitutive di situazioni sostanziali «mettono automaticamente in moto»6, il canone di un’effettività della tutela giurisdizionale si salda, nella stagione presente, col profilo dei rimedi, intesi questi naturalmente nella loro versione continentale di mezzi immediatamente funzionali a soddisfare il bisogno di tutela espresso da un valore protetto7. E siccome, in questa veste che li vede rappresentati alla stregua di una «proiezione in executivis di una situazione giuridica soggettiva»8, i rimedi si atteggiano a dispositivi di una tutela giudiziale disposta sulla scorta di parametri involgenti
«l’adeguatezza …[e la] ragionevolezza [della regola d’azione dedotta]»9, l’effettività conosce il nuovo significato di un optimum della protezione, quale predicato indefettibile del valore tutelato, che passa
5 Così RORDORF, La nomofilachia nella dialettica Sezioni semplici – Sezioni Unite e Cassazione – Corte costituzionale, in La Cassazione civile. Lezioni dei magistrati della Corte suprema italiana, a cura di Acierno – Xxxxxx – Giusti, Bari, 2015, 537 s.
6 Così, nella celebre prolusione pisana del 1954, XXXXXXXX, La tutela giurisdizionale dei diritti nella Costituzione della Repubblica italiana, in Scritti giuridici, I, Teoria generale del processo, Milano, 2007, 7.
7 X. XXXXXXXXX, La nozione di rimedio nel diritto continentale, cit. 588; MESSINETTI, Sapere complesso e tecniche giuridiche rimediali, in Eur. dir. priv., 2005, 605 s. e XXXXXX, I rimedi, in ALPA – XXXXXXXXX – GUARNERI – XXXXXX – MONATERI – SACCO, La parte generale del diritto. 2. Il diritto soggettivo, in Tratt. Sacco, Torino, 2001, 107 s.
8 Cfr. XXXXXXXXX, La nozione di rimedio nel diritto continentale, cit. 591 e DI MAJO, La tutela civile dei diritti, Xxxxxx, 00000, 49 s.
9 Così XXXXXXXXX, op. ult. cit. 589.
congruo in quanto è nella misura, a mo’ per intendersi di un equo contemperamento degli interessi delle parti. Giusto, detto di un rimedio rispetto al valore protetto, è insomma sinonimo di uno strumento adeguato e flessibile o di necessità (per la sua infungibilità satisfattiva), ma non anche di proporzionale in senso stretto. D’altra parte, se è vero che giustizia contrattuale e rimodulazione giudiziale del regolamento negoziale sono vicende prossime, non è però meno pacifica la constatazione che, almeno nell’esperienza giurisprudenziale corrente, si danno più forme di rettifica della lex contractus che non sono espressione esclusiva, a mo’di suo distillato, di un equo bilanciamento tra valori antagonisti.
Quattro esempi, volendo immediatamente dare una concretezza analitica al discorso, possono tornare emblematicamente utili, specie se li si scompone all’insegna di un distico nel quale gli usi virtuosi si alternano ad altri espressione di un Richterrecht influenzato, viceversa, da un modello di “diritto leggero”, coll’appendice di un quinto, foggiato in sede di rideterminazione perimetrale dell’art. 2744 c.c., che vede un’effettività della tutela creditoria di recente praticata secondo una metrica proclive ad appannare la legge della par condicio creditorum,. Almeno, questo vuol dirsi, tutte le volte in cui il farsi di un’alienazione solutoria, valida perché non eccedente il valore del debito, si trovi ad interferire depauperativamente sul patrimonio del comune debitore10.
Prima però, nell’ordine espositivo, gli usi virtuosi.
2. … e riconcettualizzazione degli artt. 1421 e 1453 c.c.
1) Quando, nelle sentenze (quasi) gemelle 26242 e 26243/201511, le S.U. leggono l’art. 1421 alla stregua di una norma materiale e dispongono una rilevabilità officiosa della nullità pendente una qualsiasi domanda di impugnativa negoziale,
10 L’intuizione dell’antinomia è già ampiamente illustrata nella densa pagina di BARBIERA, Responsabilità patrimoniale, in Comm. c.c. Xxxxxxxxxxx, continuato da Busnelli, Milano, 2010, 213 ss., 289 ss., 305 s. e 316 s.
11 Consultabili per esteso in Studi Senesi, CXXVI (III Serie, LXIII), Supplemento 2014, “Xxxxxxx x xxxxxxxxxxxx”, Xxxxx, 0000, 5 – 140.
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compiono sì una reinterpretazione finalistica dei poteri del giudice12, a prevalente vocazione normativistica13, ma la mappatura dei principi, che danno di volta in volta ragione del rilievo d’ufficio, è tutt’uno con un catalogo di valori funzionali del
processo, come non a caso li si etichetta, aventi la
come si debba motivare quando una Corte sia chiamata a decidere in termini di coerenza sistematica, sul presupposto che, depennando questo o quel paradosso dell’irrilevabilità, l’art. 1421 torni ad essere una disposizione “giusta”. Lo stigma, insomma, sembra piuttosto essere quello di
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cifra distintiva di ricondurre l’attività del decidere al maggior coefficiente possibile di certezza e di giustezza14. L’obbiettivo, così potrebbe chiosarsi, è di evitare che la stessa sentenza divenga un “problema”, non anche di bilanciare dei diritti confliggenti. Se si inquadrano le sentenze de quibus da questa specola, quella che è sembrata una “fuga” nei principi si rivela, tutt’al contrario, un modo sofisticato di ritematizzare il ruolo della “fattispecie”15, non più figura che vale in sé ma in ragione del “valore” che il processo le fa esprimere. Ed infatti: l’art. 1421 interferisce colla rescissione perché l’art. 1450, facoltizzando il convenuto ad una riconduzione ad equità, produrrebbe l’effetto perverso, nell’ipotesi di un’offerta reputata congrua od accettata dall’impugnante, di attribuire ex post al contratto nullo una vincolatività di cui è sprovvisto ab initio, dandogli così legalmente esecuzione; l’art. 1421 interferisce coll’annullamento (art. 1441) giacché evita che il deceptus, per l’esiguità delle prove addotte o la complessità degli accertamenti da eseguire, trovandosi esposto al rischio di un rigetto, si risolva obtorto collo a convalidare il contratto piuttosto che a proseguire il processo. Sempre esemplificando, l’art. 1421 interferisce coll’art. 1463 perché evita la vischiosità di un giudizio sul fatto causativo (dell’impossibilità), bypassa la regola sul trasferimento del rischio, assicura, nel caso vi sia un affidamento meritevole ex art. 1338 c.c., una più appropriata modulazione delle vicende risarcitorie e restitutorie. Ecco perché la rilevabilità officiosa vince sull’automatismo di un effetto estintivo di legge.
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Nessun rischio perciò, benché lo si sia invece paventato, di uno smaccato interventismo giudiziale o di un dottrinarismo autoreferenziale: queste sentenze sono, in realtà, un raffinato esercizio di
12 Secondo l’idea corrente che vuole a) la ragione della rilevabilità d’ufficio legata al motivo per cui la nullità è comminata e b) tutte le cause di nullità eguali sub specie rationis perché ognuna di loro sarebbe tutela in atto di un interesse generale.
13 V., in special modo, IRTI, La nullità come sanzione civile, in
Contr. impr., 1987, 543 ss.
14 V. C. XXXXXXXXXXXX, Il pragmatismo dei principi: le Sezioni Unite ed il rilievo officioso delle nullità, in Nuova giur. civ. comm., 2015, II, 197 e, volendo, PAGLIANTINI, Spigolando a margine di Cass. 26242 e 26243/2014: le nullità tra sanzione e protezione nel prisma delle prime precomprensioni interpretative, ibid., II, 185 ss.
15 V., al riguardo, VERDE, Sulla rilevabilità d’ufficio delle nullità negoziali, in Riv. dir. proc., 2015, 749.
una motivazione intrisa di una ragione pragmatica16.
Proseguendo.
2) Quando le S.U., colla 8510/201417, hanno di recente riconosciuto al c.d. contraente fedele, che abbia mutato la domanda di adempimento in risoluzione, la facoltà di chiedere contestualmente pure il risarcimento del danno (e, se del caso, la restituzione delle prestazioni eseguite), il rilievo teleologico che tutto tiene è da rinvenire nella notazione del minus di tutela che la parte c.d. fedele altrimenti patirebbe se, ottenuto lo scioglimento del contratto, dovesse poi avviare un secondo processo per i danni: il tutto soltanto perché l’art. 1453, comma 2, c.c. è reputato di solito una norma processuale eccezionale in quanto contemplante una mutatio in deroga al codice di rito (artt. 183 e 345 c.p.c.). L’ottica dunque è quella –virtuosamente imperante- di un’intima strumentalità del processo alla substantia dell’interesse protetto: ma in filigrana si intravede pure quel canone decisorio del rimedio giurisdizionale sistemicamente più efficiente che, in tema di rilevabilità officiosa della nullità, ha fatto dire alle S.U. che un accertamento in via principale, e dunque con efficacia subito di giudicato, è di gran lunga preferibile ad uno incidentale: quest’ultimo infatti non giova all’attore rispetto ai terzi aventi causa dal convenuto, quand’anche costoro abbiano trascritto il loro titolo dopo la trascrizione della domanda originaria, perché un accertamento espresso (ma incidenter tantum) notoriamente è soltanto annotabile ex art. 2655 c.c., con effetto per di più a far data dal momento della formalità.
16 In special modo, X. XXXXXXXXXXXX, Il pragmatismo dei principi: le Sezioni Unite ed il rilievo officioso delle nullità, cit. 197.
17 X. Xxxx., sez. un., 11 aprile 2014, n. 8510, in Contratti 2014, 755 ss., la quale, seppur modellata sul periodare di chi, v. X. XXXXXXXXX, Proponibilità delle domande risarcitoria e restitutoria in corso di giudizio purché congiuntamente con quella di risoluzione del contratto inadempiuto, in Riv. dir. civ., 2012, I, 597 ss. ha per primo intuito la questione, vi decampa in quanto muove da una (più convincente) lettura in chiave processuale e non sostanziale dell’art. 1453, suscettibile viceversa, nell’impostazione dell’a. citato, di un’estensione analogica. Per un’attenta disamina del problema, colle relative indicazioni bibliografiche, si rinvia alla corposa nota, di seguito alla sentenza, di DELLACASA, Il cantiere dei rimedi contro l’inadempimento: ius variandi e risarcimento del danno tra disciplina legislativa e regole giurisprudenziali, in Contratti, 2014, 755 ss.
A mo’ di chiosa riassuntiva, già può dunque ragionarsi di una Cassazione che, sulla premessa di una strumentalità del processo al contenuto dei diritti18, utilizza il principio di effettività a mo’ di una clausola generale –interordinamentale (artt. 6
prendere sul serio, l’effettività della stagione presente è, come si diceva, la concretizzazione del principio (costituzionalizzato) di atipicità del diritto di azione23, un modo sintetico per indicare l’ammissibilità di ogni tecnica giurisdizionale
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CEDU e 47, comma 1 CDFUE) per incidens- possibile di attuazione dei diritti. Dove possibile sta
rivisitante la caratura di satisfattività che deve assistere un qualsiasi rimedio di tutela specifica e risarcitoria. Vedere nell’effettività il collante che innerva la relazione di interdipendenza costitutiva tra situazione soggettiva e tecnica di tutela, non ne fa però una nuova formula magica di cui le Corti si avvalgono come via di fuga dalle regole del sistema. Al netto di talune fattispecie dominate da note di assoluta eccezionalità19, l’effettività ad uso delle Corti ha invero le fattezze del canone governante la dialettica tra rilevanza dell’interesse protetto e modo in cui l’ordinamento ripartisce il costo della sua violazione, presentandosi dunque a mo’ di costrutto tecnico riequilibrante lo scarto tra il quantum di vantaggio normativamente incorporato in ciascun tipo di situazione individuale e l’utile conseguibile attraverso «l’utilizzo dello strumento processuale»20. Lo si potrebbe anche definire, in modo forse più espressivo, come un principio rivestito di una funzione di gap filling, la cui vivace problematicità è il riflesso di due fattori concorrenti: un’efficienza del rimedio tarata idealmente «fino ad un tendenziale grado zero [della lesione]»21, la mobilità, in quanto come tutti i principi non è traducibile in un’unica regola/fattispecie che lo inveri, dei parametri ai quali il giudice deve ispirarsi nel compiere volta per volta l’upgrading qualitativo di un’(obbiettiva) però meritevolezza di tutela22. Non dunque, nell’ottica (artificiosa) di una gerarchia assoluta, un principio – tiranno che tutto scardina ma neanche un valore – grimaldello che, appaiandosi a quello dell’equità, trascorre nell’idea di una giustizia del caso concreto. A volerla
18 Fondamentali, al riguardo, le pagine di PROTO PISANI, Appunti preliminari sui rapporti tra diritto sostanziale e processuale, in ID., La tutela giurisdizionale dei diritti, Napoli, 2003, 1 ss.; di COMOGLIO, Giurisdizione e processo nel quadro delle garanzie costituzionali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, 1070 e di XXXXX, Tutela specifica e tutela per equivalente. Situazioni soggettive e rimedi nelle dinamiche dell’impresa, del mercato, del rapporto di lavoro e dell’attività amministrativa, Milano, 2004, 59 ove il richiamo ad un «adeguamento» delle tecniche protettive «alla sostanza degli interessi espressi dal fatto giuridico».
19 V. infra § 5 e 6.
20 Così ORIANI, Il principio di effettività della tutela giurisdizionale, cit. 25.
21 La felice espressione si legge in XXXXX, Il difficile rapporto tra tutela specifica e per equivalente alla prova del caso CIR – FININVEST, in Riv. dir. proc., 2014, 850 ss.
22 V. PROTO PISANI, Il principio di effettività nel processo civile italiano, in Giusto proc. civ., 2014, 825 ss.
per non contraria «ad una norma generale o speciale di diritto», dovendosi nel contempo salvaguardare
«un tollerabile livello di certezza del diritto»24. Ma, entro questo perimetro, il processo deve dare attuazione alla legge25, orientandosi per il giusto rimedio di diritto civile26.
Ed infatti.
3) Con un’altra epifania di questo principio si spiega l’odierno primato, nei contratti di durata a tempo determinato, di un recesso per giusta causa in luogo di una diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c. Al riguardo già Xxxx. 6347/198527 aveva statuito di un recesso in autotutela del committente idoneo ad estinguere ante tempus un contratto d’appalto di servizi, schermando così un’obbligazione risarcitoria dell’art. 1671 comprensiva, altrimenti, delle spese sostenute dall’appaltatore e del suo mancato guadagno. La riflessione dottrinale successiva, in due contributi fondamentali28, ha dato una veste dogmatica a questa regola giurisprudenziale, affidandola al gioco combinato di due enunciati, rispettivamente
a) l’ineluttabile irrecuperabilità delle prestazioni ineseguite;
b) l’inutilità, se il ritardo maturato non è emendabile perché il tempo della prestazione mancata è essenziale, di una diffida ad adempiere, la quale paradossalmente rimetterebbe in termini il debitore29.
23 Nitidamente PROTO PISANI, op. ult. cit. 827.
24 Così, significativamente, dapprima PROTO PISANI, op. ult. cit. 000 x xxx XXXXXXX, Xx xxxxxxxxxxxx nella dialettica Sezioni semplici – Sezioni Unite e Cassazione – Corte costituzionale, cit. 543.
25 Cfr. PROTO PISANI, op. loc. ult. cit.
26 V. ampiamente X. XXXXXXXXXXX, Il “giusto rimedio” di diritto civile, cit. 7 s.
27 X. Xxxx. 00 dicembre 1985, n. 6347, in Giust. civ., 1986, 1394 ss. Successivamente, eccependo in giudizio la compensatio lucri cum damno dell’appaltatore, x. Xxxx. 0 gennaio 2003, n. 77, in Rep. Foro it., 2003, voce Appalto, n. 64. 28 L’allusione è alla pagina di DE NOVA, Recesso e risoluzione nei contratti: appunti da una ricerca, ora in ID., Il contratto. Dal contratto atipico al contratto alieno, Padova, 2011, 643 ed amplius a quella di X. XXXXXXXXX, Vincolo contrattuale e recesso unilaterale, Milano, 1985, 41 s., rinverdita poi in GABRIELLI – PADOVINI, Recesso (dir. priv.), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, 35.
29 Si era già imbastita questa disamina in PAGLIANTINI, La
risoluzione dei contratti di durata, Milano, 2006, 98 ss. e 106 ss. La riprende, di recente, PADOVINI, Risoluzione e recesso, in Obbl. e contr., 2012, 86 ss.
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Il trittico di Cass.14781/2012, 10400/2008, 11642/2003 30, con un art. 1671 apparentato al disposto di quell’art. 1725, comma 0, x.x., xxxx xx xxxxxx xxxxx esime il mandante che receda dal risarcire i danni, ha trasformato in massima
consolidata il precedente del 1985, con un sindacato
L’inadempimento, è vero35, non dà di per sé causa alla risoluzione, frutto (tendenzialmente) di una scelta del creditore36, fungendo piuttosto da
35 Dopo di che, vero che la scelta per la risoluzione introduce un medio tra l’inadempimento ed i danni, sicché questi, alla
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giudiziale che ribalta il credito risarcitorio quando l’inadempimento dell’appaltatore sia riconosciuto grave sub art. 1455. Di fatto qui il principio di effettività duplica la legittimazione del committente, affrancando nel contempo una risoluzione per atto unilaterale la quale, nell’area dei contratti di durata e ad esecuzione prolungata, non è vista più come un rimedio appannante la forza di legge del contratto. Dunque un’effettività come principio che, trasformando una lacuna assiologica in tecnica31, ottimizza, si potrebbe dire, l’interesse del recedente ad una riorganizzazione più efficace della propria attività d’impresa.
Ma v’è di più.
Archiviando l’immagine tralatizia che ne ha fatto per decenni una sanzione32, il riscoprire che la risoluzione è anzitutto estinzione di due prestazioni, in quanto scambio del diritto alla prestazione promessa con una «attribuzione diversa consistente
… nell’acquisto della liberazione»33, squaderna uno scenario nel quale si intravede che è la stessa idea di una necessaria giudizialità della fattispecie sub art. 1453, se vuol darsi un’effettività al potere dispositivo del creditore non inadempiente34, a mostrarsi talora claudicante, segnando per conseguenza il passo.
30 X. Xxxx. 0 settembre 2012, n. 14781, in Guida al dir., 2012,
fasc. 44, 65; Cass. 22 aprile 2008, n. 10400, in Rep. Foro it., 2008, voce Appalto, n. 80 (sulla scorta, per altro, di Xxxx. 30 marzo 1985, n. 2236, in Giust. civ., 1986, I, 511) e Cass. 29 luglio 2003, n. 11642, in Rep. Foro it., 2003, voce Appalto, nn. 62 e 67
31 Per tutti x. XXXXXXX, I principi generali del diritto e la scienza giuridica, in AA. VV. (a cura di), I principi generali del diritto. Atti dei convegni lincei, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 1992, 318 ss
32 Tutti i riferimenti in BELFIORE, Risoluzione del contratto per inadempimento, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 1316 ss. e SIRENA, La risoluzione del contratto come sanzione dell’inadempimento: il problema dei rimedi risarcitori e restitutori, in Studi in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx, a cura di Xxx Xxxxx, Napoli, 2013, III, 2139 ss.
33 Così nitidamente GRASSO, Eccezione d’inadempimento e risoluzione del contratto (Profili generali),Napoli, 1973, 47.
34 V. la diffusa indagine di DELLACASA, Risoluzione per inadempimento e ricorso al processo, in Riv. dir. civ., 2015, spec. 72 ss., sulla quale si è provato a riflettere, nel quadro di una disamina sulla minima unità effettuale della risoluzione per inadempimento, in PAGLIANTINI, Eccezione (sostanziale) di risoluzione e dintorni: appunti per una nuova mappatura dei rimedi risolutori, in ODCC, 2015, in corso di stampa.
lettera, non potrebbero reputarsi conseguenza dell’altrui inesecuzione ex art. 1223 c.c.. Epperò il nostro modello risolutorio non è accostabile tel quel a quel § 326 BGB ove il contraente deluso, spirato inutilmente il termine per l’esecuzione della controparte inadempiente, può scegliere tra il risarcimento dell’interesse positivo e lo scioglimento del contratto, senza dunque il cumulo dei due rimedi «che sono, pertanto, in concorrenza elettiva» (x. XXXXXX, Natura e funzione della risoluzione per inadempimento alla luce dell’autonomia del risolvente, in Lib. oss. dir., 2015, 5). In quest’ottica, escludere che il risarcimento del danno ammonti all’interesse positivo, perché irriferibile direttamente alla condotta dell’inadempiente, rischia di complicare ulteriormente un dato riferibile piuttosto, come si suggerisce nel testo, alla differentia specifica tra i risarcimenti ex art. 1218 e 1453 c.c. Scarto che è un corollario, lo si vedrà, del principio di corrispettività.
36 V., da ultimo, XXXXXXX, Xxxxxx precisazioni in tema di responsabilità contrattuale, in Eur. dir. priv. 2014, 98 s. La ragione dell’avverbio parentetico è condensabile così: è indubbio che la risoluzione, in quanto estinzione retroattiva tanto della prestazione che della controprestazione, sintetizzi un giudizio di valore del risolvente, se è vero che costui, optando per lo scioglimento, riformula il giudizio sulla convenienza dell’affare ed al contratto come «fonte di uno specifico assetto qualitativo del patrimonio» (così BELFIORE, Inattuazione dello scambio per causa imputabile al debitore e tecniche di tutela del creditore: la conversione della prestazione in natura in prestazione per equivalente, in Riv. crit. dir. priv., 1987, 227 ss., spec. 230) preferisce il recupero della prestazione dovuta onde imprimergli una destinazione diversa. Vista da questa angolazione, è innegabile che la risoluzione stilizzi un rimedio a tutela di un interesse che «non si lascia appiattire senza residui su quello avuto presente dall’art. 1174 c.c. (così XXXXXXX, op. ult. cit. 99). Se il contraente deluso è colui che ha eseguito la prestazione caratteristica e, nel contempo, questa si è rivalutata, va da sé che abbia un interesse alla restituzione (v. DE NOVA, Il contratto e le restituzioni, in Le azioni di restituzione da contratto, Milano, 2012, 7 ss.). Epperò non è da sottovalutare l’incidenza che su questo giudizio di valore può avere un contesto circostanziale contingente trasformante in virtuale l’alternativa di una scelta solo nominalmente espressione del diritto di autodeterminazione patrimoniale del
c.d. contraente fedele. Di fatto il binomio risoluzione – lucro cessante, per un contraente deluso che non abbia più interesse ad un adempimento in forma specifica, fa capitalizzare «un valore non inferiore all’equivalente della prestazione manca[ta]» (così TRIMARCHI, Il contratto: inadempimento e rimedi, Milano, 2010, 60) soltanto nei casi in cui costui a) sia debitore di un prezzo ovvero laddove b) la prestazione tipica, che abbia ricevuto nel frattempo esecuzione, sia restituibile in natura ed egli vanti un interesse specifico a riaverla dall’accipiens inadempiente. Quando invece, per effetto della risoluzione, l’attore recupererebbe la disponibilità di un bene mobile od immobile che, complice un’esigenza impellente di liquidità per soddisfare un interesse non patrimoniale (predominante), poniamo la cura o l’assistenza di un proprio congiunto, non ha più motivo di conservare, mancherà evidentemente una ragione a recuperare la prestazione tipica che abbia nel frattempo eseguito. V., in una prospettiva parallela, DE NOVA, Il contratto e le restituzioni, cit. 7 ss. Epperò, siccome per lo stesso motivo, ove la prestazione
fatto costitutivo del diritto alla risoluzione. E tuttavia, sulla premessa di un’autosufficienza dell’effetto liberatorio rispetto all’appendice risarcitoria, perché un danno non c’è37, è accreditabile una risoluzione self executing,
conseguire in natura», si scivolerebbe nel cortocircuito sistematico di accreditare il risolvente di un interesse né più né meno corrispondente a quello proprio di chi agisce in adempimento sub art. 145341. Il che, per la ragione che l’inadempiente
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alternativa alla diffida sub art. 1454 c.c. e non può essere chiamato a rispondere di un
concorrente a quella giudiziale, esaltando così l’autonomia del c.d. contraente fedele. Nel quadro di una rilettura ammodernante l’art. 1453, visto dalle Corti come una disposizione che piuttosto gerarchizza il rapporto tra risoluzione ed azione di condanna, il monopolio della giudizialità è stato così progressivamente sfilacciato, ritagliandogli un perimetro che potrebbe circoscriversi ai casi di una risoluzione con risarcimento, formula questa conducente per altro all’evocazione di un danno che non può essere quello dell’art. 1218 c.c.38, pari cioè al valore della prestazione dovuta, dal momento che, come si sa, la retroattività dell’effetto liberatorio ex art. 1458, comma 1, c.c. non può coesistere con un danno emergente, cioè con una
«obbligazione sostitutiva dell’obbligo originario di prestazione»39: qui, giust’appunto, non più dovuta essendosi l’obbligo estintosi ex tunc. Danno da risoluzione, giova evidenziarlo, è sinonimo di lucro cessante, del profitto netto cioè che il contraente deluso avrebbe percepito «con l’esecuzione del contratto»40: altrimenti, siccome è proprio del risarcimento ex art. 1218 attribuire per equivalente al creditore la stessa utilità che non ha «potuto
promessa rimasta inadempiuta sia a sua volta tipica, è plausibile pensare che il al contraente fedele non interesserà più riceverla in idem corpus, pure l’adempimento in forma specifica finirebbe per rivelarsi privo di una caratura satisfattiva. Xxxxxxxx da qui la constatazione che, nell’ipotesi sunteggiata, il solo interesse del contraente insoddisfatto sarà quello ad avere un risarcimento sostitutivo della prestazione in natura. Il che però sottende l’idea di un art. 1453 nel quale il concorso elettivo è pure tra una risoluzione ed un risarcimento per equivalente, nell’ottica di una conservazione del contratto affidata però al medio di una conversione della prestazione in natura nel suo equivalente pecuniario. Il tutto, beninteso, al netto dell’ipotesi in cui la prestazione inadempiuta non sia più suscettibile di esecuzione in forma specifica. V. infra § 5, testo e note.
37 Senza che «ciò influisca sulla risoluzione»: così XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento. Premesse generali, in XXXXXXXXX – X. XXXXXXXXX – TAMPONI, La risoluzione, in Tratt. Bessone, XIII, Torino, 2011, 34.
38 Il tentativo più raffinato di assimilare il danno dischiuso dagli artt. 1218 e 1453 è in LUMINOSO, Della risoluzione per inadempimento, in Comm. Scialoja – Branca, Bologna – Roma, 1990, 199 ss.
39 Così XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, in Il contratto inadempiuto. Realtà e tradizione del diritto contrattuale europeo, a cura di Vacca, Torino, 1999, 237.
40 Cfr. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit. 239 e DI MAJO, La responsabilità contrattuale, Torino, 1997, 104.
interesse al quale il risolvente ha scelto di rinunciare, scopertamente non può essere. Epperò, quando si dia il caso di un (nudo) effetto liberatorio e di un’estinzione più lucro cessante che, nell’economia del risolvente, sono percepiti come equivalenti, in quanto alternativamente ma in modo paritario soddisfano l’interesse di costui ad un’integrità del patrimonio, risoluzione e risarcimento tornano ad essere “fratelli separati”, senza che la giudizialità sia occasione di un qualche valore aggiunto. Se il proprium di questa si lega infatti ad un danno che finisce per fare da marcatore di identità, in quanto la risoluzione in senso proprio è esercizio di un potere dispositivo – novativo, secondo la nota formula di una vicenda acquisitiva (l’effetto liberatorio) abbinata contestualmente ad una estintiva (la perdita del diritto di credito)42, ebbene allora il presupposto della domanda cessa di avere una qualche ragion d’essere. Quale correttivo, ad impedire che una risoluzione per atto di parte trascorra in un abuso, si dà pur sempre invero l’accertamento giudiziale sull’importanza dell’inadempimento ex art. 1455 c.c. Una risoluzione per atto di parte a rischio e pericolo dell’intimante43, con un giudice che vaglia se esistono i presupposti sulla legittimità dello scioglimento opposto, nel senso di correttamente esercitato. Almeno a far data da Xxxx. S.U. 2009/55344, v’è concordia d’altronde sul fatto che il recesso sub art. 1385, al pari della risoluzione giudiziale, ha come presupposto la gravità dell’inadempimento45.
41 L’intuizione è già in X. XXXXXXXX XX., Risoluzione per inadempimento: retroattività e risarcimento del danno, in Xxx. xxx. xxx., 0000, X, 00.
42 Resa icasticamente, nel segno di un potere di disposizione novativa alla CICALA maniera ( L’adempimento indiretto del debito altrui. Disposizione “novativa” del credito ed estinzione dell’obbligazione nella teoria del negozio, Napoli, 1968, 154 ss.), da X. XXXXXX, Eccezione d’inadempimento e risoluzione del contratto (Profili generali), cit. 46 (c. vo nel testo), discorrendo di una parte adempiente la quale «per acquistare deve perdere».
43 V. pure, ma con argomenti (in parte diversi) DELLACASA, Risoluzione per inadempimento e ricorso al processo, cit. 56 – 59.
44 X. Xxxx., sez. un., 14 gennaio 2009, n. 553, in Corr. giur., 2009, 333 ss.
45 Il tutto allo scopo di «confermare la forza del vincolo assunto» (così DI XXXX, Le tutele contrattuali, cit. 222). Il che indirettamente però assevera come il proprium dell’art. 1372 vada in realtà ravvisato in una forza di legge che sussiste fin
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Nell’economia del discorso abbozzato dalle Corti, la cifra di un’effettività, che orienta ed indirizza la selezione della species risolutoria più acconcia, è limpida: se il contratto è divenuto inutile perché l’inadempimento inveratosi è insanabile,
epperò nel contempo il liberarsi tempestivamente e
alla scelta del modo di produzione dell’effetto liberatorio. D’altronde, pur realizzando diversamente l’interesse creditorio52, se risoluzione e manutenzione, nell’economia dell’art. 1453, comma 1, hanno un’equivalenza satisfattiva, per quale ragione, se il solo effetto liberatorio basta al
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senza costo dal dover corrispettivamente adempiere già soddisfa, il potere di rifiuto del contraente x.x. xxxxxx funge da quid mostrante le sembianze bivalenti del fatto impeditivo (della propria prestazione) ed estintivo (del contratto)46. Ergo, sull’assunto acclarato che ben si dà fattualmente un interesse alla risoluzione in purezza47, quale interesse che va oltre quello alla prestazione, la riscomposizione del dato normativo vede dunque il delinearsi di un concorso elettivo che non è più soltanto di azioni, l’art. 1453 mettendo notoriamente risoluzione ed attuazione coattiva sullo stesso piano (comma 1), ma pure di modi di provocare la prima. Pure chi è propenso a ritenere che la giudizialità della risoluzione si incardini sul fatto di una pronuncia che «”innova” sull’ordinamento contrattuale esistente»48, riconosce come l’agevolare l’”uscita” dal contratto sia, nel senso più pregnante del termine, un modo per tutelare il valore della libertà di contrarre49.
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Né il dato, di una risoluzione (stragiudiziale), senza risarcimento epperò satisfattiva50, deve stupire.
Se il posterius risarcitorio imprigiona la libertà del risolvente infeudandola nel processo, perché non l’estinzione del rapporto contrattuale (v. ex adverso art. 1463) bensì la quantificazione del danno è appannaggio del giudice51, la novitas giurisprudenziale de qua riqualifica la libertà sull’an del risolvere, associandole quella relativa
quando l’inadempimento, di là dalla natura della fattispecie risolutoria, non sia grave.
46 V., seppure in una prospettiva tutta incentrata sul binomio tutela dichiarativa –costitutiva, XXXXX, Le azioni di impugnativa negoziale. Contributo allo studio della tutela costitutiva, Milano, 1998, 340 ss.
47 Non foss’altro perché, al pari della risoluzione giudiziale, un recesso per giusta causa, in virtù dell’effetto demolitorio retroattivo che lo connota, comunque mette l’intimante nella condizione di agire successivamente colla mera azione di ripetizione dell’indebito. In dottrina v., al riguardo, GRASSO, Natura e funzione della risoluzione per inadempimento alla luce dell’autonomia del risolvente, cit. 1. Ergo il risarcimento del danno si pone come rimedio «eventuale» (x. XXXXXX, op. loc. ult. cit.).
48 Così DI MAJO, Le tutele contrattuali, Torino, 2009, 201.
49 Cfr DI MAJO, op. ult. cit. 223 (il principio «è che la exit dal contratto permane sempre nella disponibilità del contraente che abbia ad esso interesse» (neretto nel testo).
50 I due piani sono «distinti e autonomi … anche se complementari»: così CARNEVALI, La risoluzione per inadempimento. Premesse generali, cit. 34.
00 X. XXXXXXXXXX, Xxxxxxx del diritto civile, cit. 176 – 178.
contraente deluso in quanto è attributivo di un’utilità reputata equivalente alla prestazione attesa, si dovrebbe incorniciarlo in un domanda giudiziale ? Qui il valore dell’effettività, di cui le Corti fanno uno sperimentato uso, evita, per poco che si rifletta, che i tempi ed i costi transattivi del processo vanifichino in pieno l’interesse a stipulare un contratto di rimpiazzo, parimenti vantaggioso, utilizzando la prestazione dovuta in forza di quello pendente. Cass. 8510/2014, come si è visto, amplia l’oggetto della mutatio libelli per innervare un bisogno di tutela che verrebbe altrimenti eluso. Ebbene, non è che lasci intravedere un ammanco protettivo meno stringente l’ipotesi, al cospetto di un inadempimento definitivo, frustrante definitivamente l’interesse alla prestazione, di un contraente deluso assoggettato all’onere (indefettibile) di una domanda giudiziale di tipo costitutivo (Gestaltungsklageanspruch). E poi, nota tutt’altro che di risulta, non è forse esatto che l’art. 1372 c.c., pur a volerne fare una norma principio alla mengoniana xxxxxxx00, recita non già di un contratto che può essere sciolto «nei soli casi ammessi» bensì per «cause ammesse» dalla legge ?, sicché le norme sulla risoluzione difficilmente possono leggersi come un insieme di prescrizioni contrassegnate dall’attributo dell’eccezionalità.
Nel dettaglio del diritto vivente, si contano più forme manifestative di questa risoluzione unilaterale che il principio di effettività, giova ripeterlo, dischiude innovando. Volendole rapidamente censire, si va dall’eccezione sostanziale di risoluzione nei contratti di prestazione professionale (Cass. 8033/1993 e Cass. 5928/2002)54, al rifiuto dell’adempimento tardivo
52 Nell’ottica di un’attuazione diretta (manutenzione coattiva del contratto) ed indiretta (il liberarsi dall’obbligo corrispettivo).
53 In I principi generali del diritto e la scienza giuridica, ora in Scritti, I, a cura di Xxxxxxxxxx – Albanese – Nicolussi, Milano, 2011, 241.
54 Camuffata sub art. 1460, mettendo in non cale la funzione cautelare dell’eccezione di inadempimento. Per extenso Cass. 19 luglio 1993, n. 8033, e Cass. 23 aprile 2002, n. 5928 sono consultabili, rispettivamente, in Rep. Foro it., 1993, voce Professioni intellettuali, n. 77 ed in Danno e resp., 2003, 754 ss. Il loro canovaccio argomentativo è poi riprodotto in almeno due decisioni successive: x. Xxxx. 27 luglio 2007, n. 16658, in Rep. Foro it., 2007, voce Professioni intellettuali, n. 168 e Cass. 26 febbraio 2014, n. 4781, (inedita) nonché in una serie articolata di pronunce di merito, tra le quali, x. xxxxxx Xxx. Xxxxxxx, 00 maggio 2004, in Resp. civ. prev., 2005, 378.
esonerante da una domanda riconvenzionale di risoluzione (Cass. S.U., 6224/1997)55, passando per il medio di una dichiarazione stragiudiziale di recesso parimenti preclusiva ex art. 1453, comma 2 (Cass. 6134/1979)56, non trascurando nel contempo
1175 c.c, per così dire di sponda in quanto conseguenza di un venire contra factum proprium60. Di là dalle variabili di dettaglio, quelle testé elencate sono ipotesi emblematiche perché tutte illustranti la differentia specifica corrente tra
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il caso del rigetto di inadempimenti specifici l’interesse alla risoluzione della parte che abbia già
infondati, con un contratto che allora si dà come risolto per mutuo dissenso (Cass. 3744/1982 e Xxxx. 10217/1994)57, e la fattispecie di un recesso ottenuto combinando intimazione stragiudiziale e principio di non contestazione (art. 115 c.p.c.)58, immaginando, nello specifico, una preclusione extraprocessuale di merito all’esercizio dell’azione di adempimento che volesse intentare un debitore inadempiente rimasto, dopo la notifica del recesso, colpevolmente inerte59. Un recesso dunque, che si fonda sul dovere di correttezza e buona fede ex art.
55 Per extenso x. Xxxx., S.U., 9 luglio 1997, n. 6224, si legge in Giust. civ., 1998, I, 825 ss., con nota di X. XXXXXXX, Rifiuto dell’adempimento tardivo e risoluzione del contratto. Nella giurisprudenza successiva, iterativamente, x. Xxxx. 5 settembre 2006, n. 19074, in Riv. dir. civ., 2007, II, 509 ss., con nota di DELLACASA, Offerta tardiva della prestazione e rifiuto del creditore: vantaggi e inconvenienti di una risoluzione “atipica”.
56 Nel dettaglio, Cass. 23 novembre 1979, n. 6134, in Giur. it., 1980, I, 1, 559 ss. Decisione, questa, antesignana ma lasca in ragione del percorso argomentativo –discutibile – che mostra di voler prediligere. Il difetto, segnatamente, sta nel fatto di chiamare implicitamente in causa l’art. 1174 c.c., visto che chi abbia inteso come risolto stragiudizialmente il contratto sarebbe assimilabile ad un creditore che non abbia più interesse alla prestazione, per giustificare lo sciogliersi di un rapporto che già viceversa, e più propriamente, si deve reputare estinto in virtù di una scelta potestativa originata, come si è cercato di evidenziare, da un inadempimento definitivo od essenziale. L’equivoco, per chi ben rifletta, sta tutto qui giacché, se dando per buona un’interpretazione estensiva dell’art. 1453, comma 2 si riconosce all’intimazione stragiudiziale l’effetto preclusivo di una successiva pretesa all’adempimento, l’immagine che si para davanti è quella di un contratto risolto e non di uno stato di risolubilità prossimo a consolidarsi in quanto l’estinguersi di un’obbligazione importerebbe il venir meno pure di quella corrispettiva, in una maniera gemella così all’ipotesi di estinzione automatica che si legge nell’art. 1463 c.c Amplius in PAGLIANTINI, Eccezione (sostanziale) di risoluzione e dintorni: appunti per una nuova mappatura dei rimedi risolutori, cit.
57 In ragione dell'impossibilità di esecuzione del contratto per effetto della scelta ex articolo 1453, comma 2 di entrambi i contraenti. X. Xxxx. 18 giugno 1982, n. 3744, in Giur. it., 1983, I, 1, 963 e Cass. 29 novembre 1994, n. 10217, in Arch. loc., 1995, 326. Nello stesso senso, Cass. 25 maggio 1992, n. 6230, in Rep. Foro it., 1992, voce Contratto in genere, n. 379; Cassazione 29 aprile 1993, n. 5065, in Contratti, 1993, 527.
58 X. XXXXXXX, Art. 115, in CARRATTA - XXXXXXX, Dei poteri del giudice. Art. 112-120, nel Comm. cod. proc. civ. a cura di Xxxxxxxxx, Bologna, 2011, 483 ss., e spec. 493.
59 La variabile prospettabile potrebbe essere quella di una dichiarazione stragiudiziale di recesso vista a guisa di una proposta di risoluzione consensuale che si perfeziona, nel silenzio del debitore, mediante un’accettazione tacita: così XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento. Premesse generali, cit. 45.
adempiuto e quello di chi, per non averlo fatto ovvero avendovi provveduto in maniera del tutto esigua, veda nell’effetto liberatorio la vicenda sufficiente, ripristinando già questa così com’era il suo patrimonio. Di qui il sottinteso che l’art. 1453 contempli non una bensì due fattispecie, il contratto inadempiuto (da eseguire) e quella del contratto parzialmente eseguito, con un diritto potestativo di scioglimento del contraente deluso che, nella prima, manifesta pleno iure, cioè nella sua interezza, la propria efficienza ablativa. Tutto infatti si lega al tasso di satisfattività che, per il contraente risolvente, abbia il conseguire un’utilità diversa da quella contrassegnante la prestazione dovuta. In un contesto siffatto, il corredo risarcitorio/restitutorio vale per quello che è, stigma identificante le situazioni ove si abbia un’insufficienza dello scambio tra credito e prestazione dovuta. Il danno da risoluzione, come si diceva, completa la tutela e non è un calco del risarcimento ex art. 1218 c.c., non foss’altro per la ragione che soltanto questo si
60 Immaginando, perciò, che lo scioglimento stragiudiziale del contratto sia motivo portante - ZEUNER, Die objektiven Grezen der Rechtskraft im Rahmen rechtlicher Sinnzusammenhänge, Tübingen 1959, 172-173- che non può essere rimesso in discussione in un futuro giudizio avente ad oggetto la domanda di adempimento promossa da chi non abbia tempestivamente contestato la fondatezza del recesso.
È bene segnalare, onde evitare equivoci, che la fattispecie descritta è prossima ma non riproduce quella suggerita da chi –
v. DI MAJO, Le tutele contrattuali, cit. 176 s.- immagina un risarcimento del danno da affidamento, ripristinante la situazione patrimoniale pregressa al contratto (non andato a buon fine), relativo alla liquidazione delle voci che abbiano mutato «in peggio» il patrimonio del contraente c.d. fedele. Xxxxxxx XXXXXXX – CRUCIANI, Il danno contrattuale, in Il nuovo contratto, a cura di Monateri – Del Prato – Marella – Somma – Xxxxxxxxxx, Bologna, 2007, 1076 - 1087, 1144 ss., 1152 ss. Nell’esempio di questa dottrina, di là dai dubbi che solleva la risarcibilità in sé dell’interesse negativo (v. infra nt. 62 e § 5, testo e note), il nodo da sciogliere rimane quello di un interesse negativo domandato senza che il contratto sia risolto e dunque, almeno in punto di stretto diritto, ancora pienamente idoneo a valere come titolo per l’esigibilità delle prestazioni corrispettivamente dovute. Il che viene letto da DI MAJO, op. ult. cit. 177, immaginando che, col domandare il danno da affidamento, la parte c.d. fedele «abbia rinunciato a far valere l’inadempimento, ponendo così “fine” al contratto». Ebbene, preme evidenziare che, se così fosse, dovrebbe supporsi che le parti possano allora convenire di risolvere consensualmente il contratto in via stragiudiziale, legittimando il contraente deluso ad agire successivamente per i danni., quantificati limitamento alle sole spese.
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surroga alla prestazione mancata61. Al netto di tutte le sottodistinzioni che si possono enunciare62, coglie limpidamente il punto chi nota come il danno di cui tratta l’art. 1453 sia un epifenomeno del principio di corrispettività. Chi domanda la risoluzione, giova
coerentemente organico all’estinzione del vincolo. Nasce di qui, dal fatto incontrovertibile che il danno da inadempimento, quale «altro modo di essere [di un’] obbligazione inadempiuta» inconcepibile tuttavia senza l’obbligazione corrispettiva del
ripeterlo, simultaneamente si spoglia infatti del
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dovere di adempiere la prestazione di cui è debitore. E se le due prestazioni simul stabunt simul cadent, giacché solo il dovere di prestare del risolvente è causa di quella «obbligazione inadempiuta» di cui a sua volta «il risarcimento ex art. 1218 è anzitutto l’equivalente»63, va da sé che non un interesse positivo in senso forte quanto e piuttosto uno di tipo debole, circoscritto perciò al mancato guadagno64, è
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61 Coglie felicemente il punto MONTANARI, Il danno da risoluzione, Napoli, 2013, 9 ss. e, già prima, tanto XXXXXX, Risoluzione del contratto per inadempimento e tutela risarcitoria, in ID., Saggi sull’eccezione d’inadempimento e la risoluzione del contratto, Napoli, 1993, 35 ss. che DI MAJO, Le tutele contrattuali, cit. 23 (adempimento e risarcitorio quali vicende che «condividono la comune finalità di attuazione del contratto, sia pure in forme diverse, l’uno in natura, l’altro per equivalente»). Non si trascuri poi, sempre nell’ottica di un affrancarsi della risoluzione dal risarcimento, che l’inadempimento per ritardo ex art. 1218 è un minus rispetto all’inadempimento grave rilevante ai fini risolutori.
00 X. XXXXXXX, Xx tutela risarcitoria nella risoluzione del contratto per inadempimento, in Giur. it., 1985, I, 1, 375 s.
63 Cfr. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit. 240 (pure per la citazione che segue).
64 Diventa una questione collaterale domandarsi, poi, se il canovaccio di un concorso elettivo sia replicabile pure tra le poste di danno, con un risolvente, ove l’interesse negativo dovesse sopravanzare quello positivo, che si orienta per il primo. In dottrina l’interpretazione favorevole è autorevolmente sostenuta (v. DI MAJO, Le tutele contrattuali, cit. 173 s., con una pregnante disamina del c.d. reliance interest); X. XXXXXXXXX, Il contratto: inadempimento e rimedi, cit. 98 ss., spec. 102 – 104, ma tendenzialmente nel perimetro assai ristretto del danno agli interessi non patrimoniali pregiudicati dall’inadempimento), con però la controindicazione, non certo declassabile a contrappunto di dettaglio, di un art. 1453 che sembra riconnettere tanto l’effetto liberatorio quanto il danno risarcibile al fatto “inadempimento”. Il che lascerebbe intendere come i pregiudizi liquidabili possano avere una rilevanza per legge se e nella misura in cui riferiti a questo fatto mentre l’interesse negativo è danno da affidamento (art. 1338 c.c.). Se ben si riflette, l’irrisarcibilità delle spese che il risolvente abbia inutilmente sostenuto per approntare l’adempimento della propria prestazione ovvero «per preparare l’utilizzazione della prestazione che gli [era] stata promessa» (così XXXXXXXXX, Il contratto: inadempimento e rimedi, cit. 102), voci classiche del
c.d. reliance interest (v., per un’attenta ricostruzione, MONTANARI, Il danno da risoluzione, cit. 201 ss. e 223 ss.) eziologicamente sono riconducibili all’attività di spesa, non già all’inadempimento: ed ex art. 1223 risarcibili sono soltanto i danni che risultino conseguenza diretta ed immediata dell’inadempimento. Dopo di che, la circostanza che le suddette spese, a valle della risoluzione, siano percepite come inutili, non conta: per l’elementare (mal nel contempo indiscutibile) ragione che, come limpidamente si scrive, «l’”inutilità” è un giudizio, e non un evento che consegua causalmente all’inadempimento» (cfr. XXXXXXXXX, op. loc. ult. cit.). Né, come verrà istintivo convenire, può ammettersi che l’inutilità
diventi un escamotage che aggira il difetto di un nesso causale. Il c.d. danno da affidamento, per aver confidato infruttuosamente sul buon esito dell’affare, si riconnette in realtà al contratto come fatto storico, di cui è poi rivendicata un’anima «tortious» (v. DI MAJO, Le tutele contrattuali, cit. 173), non al contratto come promessa. E dire che l’affidamento
«permane anche in caso di inadempimento» (cfr. DI MAJO, op. ult. cit. 177) ha più la valenza di una notazione descrittiva che ricostruttiva.
Il problema, insomma, non si radica nella circostanza che l’interesse negativo sia voce di danno che si può dare nelle sole ipotesi di culpa in contrahendo, quale interesse alla non stipulazione del contratto, se è vero che la giurisprudenza più recente si mostra proclive ad ammettere, come si sa, un interesse negativo associabile alla stipula di un contratto valido epperò sconveniente. X., al riguardo, Xxxx., S.U., 19 dicembre 2007, n. 26725, in Foro it., 2008, I, 784 ss. Certo, è stilizzabile più di un’ipotesi nella quale il risolvente potrebbe accampare la pretesa ad un danno negativo: se, poniamo, 100 è il prezzo di acquisto convenuto per una res che, all’atto della consegna ha visto accresciuto il suo valore commerciale (poniamo 120), l’interesse positivo liquidabile, in caso di inadempimento del venditore e conseguente risoluzione, sarà pari a 20. E tuttavia, se prima della consegna lo stesso bene, il cui valore di mercato è giust’appunto cresciuto fino alla quotazione di 120, risulta che poteva acquistarsi aliunde per 80, va da sé che l’interesse negativo accampato dal compratore sarebbe superiore in quanto pari a 40 (120 - 80). Donde, se l’ordinamento ammettesse un concorso elettivo tra i due risarcimenti, è in re ipsa che il compratore risolvente sceglierebbe l’interesse negativo in quanto maggiore di quello positivo. E tuttavia un concorso di tal fatta avrebbe l’effetto di una protezione eccessiva per il contraente deluso, se è vero che l’inadempiente si troverebbe così accollato un doppio rischio, quello di un aumento interinale del valore commerciale del bene compravenduto (non consegnato) e quello del ribasso legato al prezzo negoziabile in base al contratto di rimpiazzo non stipulato. Il risultato è così condensabile: ammettendo la risarcibilità sub art. 1453 c.c. dell’occasione alternativa perduta, il contraente fedele otterrebbe un profitto (40) superiore tanto a quello che avrebbe lucrato (20) se il contratto fosse stato regolarmente eseguito quanto al danno riconnesso alla mancata stipula del contratto (100 – 80), scopertamente perciò un profitto carente di causa e motivo di «una penalizzazione eccessiva per il venditore inadempiente» (così TRIMARCHI, Il contratto: inadempimento e rimedi, cit. 101). Se il bene compravenduto è una res fungibile, nel senso di reperibile altrimenti sul mercato, ammettendo la risarcibilità di un interesse negativo si grava l’inadempiente, già onerato del rischio di una sopravvenienza incrementante il prezzo di mercato, pure del rischio connesso alla minor convenienza del contratto risolto rispetto ad uno sostitutivo non stipulato. E poi, non è forse vero che le spese relative all’approntamento della prestazione non ricevuta (es. acquisto di macchinari ovvero assunzione di personale), ove il contratto avesse ricevuto regolare esecuzione, sarebbero state comunque a carico del risolvente, andando così a ridurre il lucro conseguibile dall’affare? Chi lo nega, al netto delle spese che siano riutilizzabili in altre operazioni contrattuali (ad es. per la riparazione dell’immobile o il suo sgombero da materiali), di fatto ipostatizza un interesse strumentale che dovrebbe risultare assorbito da quello all’esecuzione.
contraente deluso, sporga ex art. 145365, il chiosare che il risarcimento da risoluzione vale sempre e soltanto da fattore ottimizzante il potere dispositivo del creditore66. Chi tuttora diversamente ragiona omette di considerare che il concorso elettivo, tipico
b) redistribuire in modo unilateralmente orientato il rischio di una sopravvenienza negativa causante, per il creditore turista, un’impossibilità di fruire della prestazione, secondo il modello di una risoluzione ex art
D i r i t t o g i u r i s p r u d e n z i a l e , r i c o n c e t t u a l i z z a z i o n e d e l c o n t r a t t o e p r i n c i p i o d i e f f e t t i v i t à ( S t e f a n o P a g l i a n t i n i )
dell’esperienza tedesca, tra un (pieno) interesse 1463 c.c. per causa concreta irrealizzabile
positivo e risoluzione, è conseguenza del fatto che, in quel sistema, il risarcimento è l’equivalente monetario di una prestazione sì ineseguita epperò provvista di causa perché a farle da sponda c’è una controprestazione del risolvente che rimane «a sua volta dovuta»67. Ergo, al contrario della logica che governa l’art. 1453 c.c., non c’è ragione perché lì il quantum debeatur sia al netto del profitto che il contraente fedele matura in ragione del proprio effetto liberatorio. E dunque, rectius pour cause, lì il risarcimento non è una differenza bensì la somma di un danno emergente e di un lucro cessante.
Ma, ed ecco la felice interpolazione delle Corti, se il (solo) caducarsi simultaneo delle prestazioni già si dà per il risolvente come soddisfacente, in quanto l’utilità di rimpiazzo conseguita o conseguibile scherma tanto il lucro cessante quanto l’equivalente della prestazione dovutagli, la domanda giudiziale diventa un quid pluris che, nella logica di un’effettività della tutela, non trova spiegazione alcuna.
3. Segue: causa in concreto e la parabola dell’art. 2744 tra principio di equivalenza e par condicio creditorum.
Residuano gli ultimi due casi, cominciando
4) dalla formula magica della causa in concreto, stilema valutativo (e non dogmatico) che le Corti maneggiano in maniera polivalente, che si trovino a dover
a) saggiare l’utilità per le parti del contratto, com’è in Cass., S.U. 4628/201568, che ha concluso per la validità del preliminare di preliminare;
00 X. XX XXXX, Xx tutele contrattuali, cit. 220.
66 X. XXXXXXXXXXX, Eccezione (sostanziale) di risoluzione e dintorni: appunti per una nuova mappatura dei rimedi risolutori, cit.
67 Così XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit. 241.E v. incidentalmente pure NIVARRA, Alcune precisazioni in tema di responsabilità contrattuale, cit. 88 quanto alla circostanza che la pretesa risarcitoria sub art. 1218 è
«solo il riflesso della nuova regola alla quale il vincolo viene assoggettato a seguito del sopravvenire dell’impossibilità imputabile».
68 X. Xxxx., S.U., 6 marzo 2015, n. 4628, in Dir. civ. cont., 2015, con nota critica di XXXXX, Da “inconcludente superfetazione” a quasi contratto: la parabola ascendente del “preliminare di preliminare”.
(Cass. 16315/2007 e Cass. 26958/2007)69;
c) ovviare all’insufficienza comparativa dei rimedi di impugnazione, segnatamente della risoluzione e dell’annullamento, rispetto alla nullità, ratio testuale di quella App. Milano 3459/2013 che recita di un derivato irrazionale, e per ciò stesso difettante di una causa meritevole di tutela, quando, per il gioco di costi occulti e/o di un’incompletezza nell’informare, non si abbia una misurabilità bilaterale dell’alea negoziata70;
d) testare la meritevolezza di un trust liquidatorio (Cass. 10105/2014) o la fattibilità di una procedura paraconcorsuale (Cass., S.U., 1521/2013)71.
Ora, nulla quaestio sulla circostanza che il nomen causa non abbia qui una qualche ascendenza tecnica, palesandosi come una nozione spuria che
«si esaurisce e [si] consuma» nell’economia di un determinato patto72. Il fatto è che, nel recitativo delle Corti, “causa” è divenuto un artificio tecnico di conformazione giudiziale degli effetti contrattuali, una regola sostanziale che, sempre più coll’utilizzo costruttivo dell’argomento costituzionale, o vale da forma colla quale si giuridicizza un dato interesse (a – d) o funge da strumento preposto al realizzarsi di un’«ortopedia attuosa» del rapporto (b - c)73, premiante la pretesa o l’utilità ritenuta più meritevole di tutela. Rebus sic
69 X. Xxxx. 00 luglio 2007, n. 16315, in Giur. it., 2008, I, 857 ss
e Cass. 20 dicembre 2007, n. 26958, in Contratti, 2008, 786 ss., per una disamina delle quali sia consentito il rinvio a PAGLIANTINI, La c.d. risoluzione per causa concreta irrealizzabile, in Studi in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxxxxx, a cura di X. Xxx Xxxxx, Napoli, 2013, III, 1599 ss.
00 X. X. XXXXXXXXXX, Xxxxx xxxxx. Il contratto e la circolazione della ricchezza, Torino, 2015, 498 ss. e, per chi lo volesse, PAGLIANTINI, I derivati tra meritevolezza dell’interesse ed effettività della tutela: quid noctis?, in Eur. dir. priv., 2015, 383 ss.
71 V., rispettivamente, Cass. 9 maggio 2014, n. 10105, con nota di GALLARATI, La Corte di Cassazione si pronuncia sui trust liquidatori dell’intero patrimonio del debitore, in Riv. dir. banc., xxxxxxxxxxxxxxx.xx, 13, 2014 e Cass., S.U., 23 gennaio
2013, n. 1521, in Foro it. 2013, I, 1569 ss.
72 Così IRTI, Un diritto incalcolabile, in Riv. dir. civ., 2015, 17, ma non mero corrosivo è il periodare di ROPPO, Causa concreta: una storia di successo? Dialogo (non compiacente, né reticente) con la giurisprudenza di legittimità e di merito, in Riv. dir. civ., 2013, 957 e di XXXXXXXX, L’artificio della causa contractus, Xxxxxx, 0000.
73 Il felice sintagma è di NIVARRA, Rimedi: un nuovo ordine del discorso civilistico?, in Eur. dir. priv., 2015, 600.
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stantibus, l’appellativo è quello di causa, ma sarebbe più appropriata un’enunciazione analitica atta a tradurla nel quid operativamente sotteso al suo utilizzo, quid evocativo rispettivamente
a) di una selezione, rispetto al diritto dedotto nel processo, del rimedio giurisdizionale performativo, esaltando così le ragioni di opportunità legate al dato fattuale;
b) di quella «mobilità dei rimedi»74 che fa da substrato al paradigma dottrinale espresso nel fortunato binomio “forme” e “tecniche” di tutela75;
c) di un bilanciamento degli interessi, coagulato intorno ai τόποι dell’abuso del diritto e di una buona fede solidarizzata ex art. 2 Cost.
Ora, se sub a) e b) il discorso ancora tiene, perché il principio costituzionalizzato di effettività della tutela (art. 24, comma 1) implica, come si notava, il prius dell’esistenza ex iure di un interesse protetto, senza dunque che sia il posterius del rimedio a giuridicizzarlo76, sub c) il cortocircuito sistematico è palese per le ragioni concorrenti
-che un bilanciamento in via equitativa, con un giudice soggetto alla legge ed una giurisdizione che si svolge in un processo pur sempre retto dalla
-una buona fede che diviene sinonimo di solidarietà sociale o elemento di qualificazione di una fattispecie, se da un lato confonde il piano dell’atto (abuso è difetto di giuridicità) con quello del rapporto, dall’altro stravolge l’ordine gerarchico dell’art. 1374 c.c. Per una buona fede/solidarietà sociale non può certo darsi infatti quella sussidiarietà disposta per gli usi e l’equità in quanto
«sarebbe essa stessa una fonte “legale”78 e poi, se non prima ancora, c’è da considerare che, nella veste di regola legislativa primaria, una buona fede così effigiata dovrebbe intendersi come sovraordinata alle norme codicistiche, in quanto queste di secondo livello, con un crescendo che porterebbe ad una (inammissibile) duplicazione delle regole d’azione applicabili, dovendosi immaginare un giudice ammesso a discostarsi dalla misura appropriativa/restitutoria di legge (art. 1385, comma 2),se reputata incongrua rispetto all’ordinamento del caso concreto79. Viene inoltre da chiedersi, in un contesto siffatto, quale sarebbe il valore aggiunto di una normativa consumeristica o per i rapporti d’impresa asimmetrici (l. 192/1998, d. lgs. 231/02, l. 129/04 ed art. 62 l. 221/2012), se, per il tramite di una buona fede costituzionalizzata,
D i r i t t o g i u r i s p r u d e n z i a l e , r i c o n c e t t u a l i z z a z i o n e d e l c o n t r a t t o e p r i n c i p i o d i e f f e t t i v i t à ( S t e f a n o P a g l i a n t i n i )
legge, rispettivamente artt. 101, comma 2 e 111,
comma 1 Cost., è consentito soltanto nelle ipotesi normativamente previste;
-l’abuso del diritto, in quanto vizio del potere come atto di autonomia, non è apparentabile alla buona fede quale fonte di obblighi (Cass. 20106/2009)77;
74 X. XXXXXXX, op. ult. cit. 606.
75 Notoriamente coniato da DI MAJO, Forme e tecniche di tutela, in Processo e tecniche di attuazione dei diritti, a cura di Xxxxxxxxx, Napoli, 1989, 11 ss.
76 Il che «significa che il rimedio non si sostituisce al diritto o all’obbligo sostanziale ma intende fornire ma intende fornire uno strumento di tutela adeguata, in presenza di violazioni di interessi e diritti»: così VETTORI, Il contratto europeo tra regole e principi, Torino, 2015, 23.
77 Cass. 18 settembre 2009, n. 20106, in Foro it., 2010, I, 85 ss., in una fattispecie ove il problema da risolvere consisteva di fatto nell’inapplicabilità, perché posteriori, di almeno due nullità testuali tornanti utili allo scopo (artt. 9, comma 3 l. 192/98 e 3, comma 3 l. 129/04). All’inconveniente, è notorio, la Cassazione ha pensato di ovviare scegliendo come via di fuga un recitativo declinante in termini di responsabilità un recesso, sì ad nutum ma con obbligo di preavviso, da qualificarsi oggi, in una situazione corrispondente a quella decisa, abusivo in sé, a motivo giust’appunto del profitto illegittimamente lucrato a seguito della mancata internalizzazione dell’avviamento, dal professionista dominante o dall’affiliante in danno della controparte. Ora, e di qui la critica serrata alla pronuncia, il fatto è che il vizio di un potere, causa di invalidità perché sottende una qualificazione negativa dell’atto (x. XXXXXXXXXX, Eclissi del diritto civile, cit. 111 e X’XXXXX, Recesso ad nutum, buona fede e abuso del diritto, in Contratti, 2010, 5 ss.), non è traducibile in un’obbligazione risarcitoria, notoriamente di stretta pertinenza della buona fede quale regola di condotta
reggente il rapporto tra le parti. La bizzarra crasi compiuta da una Corte che lega l’abusività del recesso alla buona fede, sovrappone così un problema di inqualificazione, perché l’abuso del diritto è carenza del fatto impeditivo che fa da esimente all’atto di esercizio che sia dannoso (XXXXXXXXXX, op. ult. cit. 116), con una responsabilità, per il contravvenire ad una regola di condotta in executivis, slealtà ipotizzabile nella specie se si fosse evidenziato l’effetto “sorpresa” del recesso stante l’affidamento colposamente indotto nei concessionari automobilistici da una pregressa condotta dell’intimante che aveva poco prima sollecitato degli investimenti. Dunque una slealtà sub art. 1375 c.c., riferita segnatamente alle modalità che erano state seguite per intimarlo. Recesso scorretto, nonostante il preavviso congruo, perché improvviso non in quanto abusivo (per l’impretendibile locupletazione di utilità economiche altrui). Sulla premessa di questo cortocircuito argomentativo, l’equivoco di Cass. 20106/2009 si radica allora nell’omessa considerazione che un sindacato causale, in un contratto di durata a tempo indeterminato, su di un recesso determinativo ad nutum è un ossimoro, giacché trasforma surrettiziamente in giustificato un recesso che la legge autorizzava ratione temporis ed autorizza tutt’oggi allo stato puro, senza un vaglio cioè sul suo scop.: naturalmente fuori dal perimetro normativo entro cui nel frattempo questa forma di recesso è stato fatto oggetto di un divieto (art. 9, comma 3 l. 192/98, art. 3, comma 3 l. 129/04 ed art. 62 l. 221/2012). In dottrina v. D’AMICO, Recesso ad nutum, buona fede e abuso del diritto, cit. 18.
78 Così X’XXXXX, Applicazione diretta dei principi costituzionali e integrazione del contratto, in D’AMICO – XXXXXXXXXXX, Nullità per abuso ed integrazione del contratto, Torino, 2015, 18 ss. e spec. 29 .
79 X. X’XXXXX, Applicazione diretta dei principi costituzionali e integrazione del contratto, cit. 23, nt. 55 e, nella diversa prospettiva di una rilettura dell’art. 7 d. lgs. 231/02, PAGLIANTINI, Spigolature sull’art. 7, commi 1 e 2 del D. Lgs. 231/02, in BENEDETTI – XXXXXXXXXXX, Ritardi di pagamento, Milano, 2016, 189 ss.
qualsiasi contraente potesse reclamare uno statuto protettivo bonificante la propria situazione di subalternità o di inferiorità. Bypassando d’emblée la distinzione, alla quale soggiacciono pure le norme costituzionali80, tra regole e principi, l’immagine
alla vendita e con un interesse sì contrario ma al (solo) connesso contratto di leasing. Insomma, l’interdipendenza tra il contenuto dell’obbligo di buona fede in pendenza della condizione, da un lato, e la prospettiva di una tecnica di tutela improntata al
D i r i t t o g i u r i s p r u d e n z i a l e , r i c o n c e t t u a l i z z a z i o n e d e l c o n t r a t t o e p r i n c i p i o d i e f f e t t i v i t à ( S t e f a n o P a g l i a n t i n i )
sagace di un diritto povero, «nel quale tutto si canone dell’effettività, dall’altro, fanno vedere nel
riduce a responsabilità civile o a solidarietà»81, rende plasticamente lo stato dell’arte.
È in questo interstizio che albergano gli usi non virtuosi sovrapponenti costrutti argomentativi diversi: l’effettività del rimedio, nell’ottica già chiovendiana del «tutto quello e proprio quello»82, suppone infatti normativamente come dato il diritto cui l’attore aspira, mentre col valore di una solidarietà sociale giuridicizzata si coltiva viceversa la correlata aspirazione di coniarlo, dando per di più come acclarata, quando invece è ancora tutta da tematizzare, la sua diretta riferibilità al contratto. Xxxx. 25422/201483, sulla finzione di avveramento della condizione in un caso che vedeva una vendita abbinata ad un leasing, sentenziando il diritto dell’alienante – produttore al pagamento del prezzo nonostante una clausola della suddetta vendita legittimasse l’acquirente – concedente a recedere dal contratto ove l’aspirante utilizzatore non avesse più sottoscritto il contratto di leasing84, coglie senz’altro nel segno. Epperò, giova evidenziarlo, il punto focale del ragionamento giudiziale è laddove il farsi applicazione dell’art. 1359 c.c. viene implicitamente presentato a guisa del solo modo col quale, stante un rifiuto che non si appuntava su di un qualche difetto del manufatto commissionato, il diritto del venditore – produttore poteva trovare tutela, con una finzione di avveramento così innescata da un’iscrizione della condotta denegativa dell’aspirante utilizzatore nel disposto dell’art. 1228 c.c.: norma quest’ultima neutralizzante la circostanza che la condotta ostativa all’inverarsi della condizione era qui di un soggetto terzo rispetto
80 V. diffusamente D’AMICO, Applicazione diretta dei principi costituzionali e integrazione del contratto, cit. 20 ss.
81 Così XXXXXXXXXX, Eclissi del diritto civile, cit. 113.
00 X. XXXXXXXXX, Xxxxx perpetuatio iurisdictionis, in Saggi di diritto processuale civile, Roma, 1930, 273 ss.: anche se potrebbe tornare utile ricordare che l’idea di un processo che deve attuare «qualunque volontà di legge che garantisca un bene» è già nel celebre Dell’azione nascente dal contratto preliminare, in Riv. dir. comm., 1911, 96 ss.
83 X. Xxxx. 0 dicembre 2014, n. 25422, in Rep. Foro it., 2014, voce Contratto in genere, n. 332 espressiva di un indirizzo delle corti sempre più incline ad ampliare le maglie dell’art. 1359: v., rispetto ad una condizione mista, Cass. 3 giugno 2010, n. 13469, in Contratti, 2011, 41 ed in dottrina XXXXXXX, Xxxxxxxx est in obligatione: ex lege (sulla finzione di avveramento e la condizione potestativa), in Riv. dir. civ., 1998, I, 9 ss.
84 Dunque un tipico esempio, com’è in uso nella pratica, di vicenda traslativa sospensivamente condizionata al gradimento dell’utilizzatore, espresso colla sottoscrizione del c.c. verbale di consegna.
terzo un delegato dell’acquirente al quale è stato demandato l’adempimento di un obbligo contrattuale (ritiro del bene). Si potrebbe parlare di un canone dell’effettività che serve a limitare dall’esterno uno degli interessi coinvolti nel bilanciamento per evitare che questa arrechi danni eccessivi all’altro, smentendo nel contempo la qualifica di eccezionalità di un art. 1359 c.c. che la Cassazione, viceversa, mostra ormai da qualche tempo di leggere evolutivamente85.
5) ultimo, ma non in termini di importanza, il nuovo volto che Xxxx. 10986/2013 e Cass. 1625/2015 stanno provando a stilizzare dell’art. 2744 c.c., interpolandovi il quid di una proporzionalità tra entità del debito e res data in garanzia, con una riscoperta di quel patto marciano che ha un effetto legalizzante per il lease back86. Deve allora supporsi, domanda, che un pagamento traslativo al giusto prezzo rappresenti la strategia argomentativa colla quale le Xxxxx tentano adesso di rimodernare una nullità del patto commissorio incentrata abitualmente sulla presunzione assoluta di coercizione del debitore disponente in funzione di garanzia ? Se così fosse, dettaglio non da poco, il canone della giustizia contrattuale fungerebbe da punto esatto di connessione del disporre cavendi causa col prodursi di un effettivo pregiudizio per il debitore, soppiantando va da sé il valore di una tutela della libertà morale di quest’ultimo col modello di una prestazione in facultate solutionis retta dal principio di equivalenza. Con un costrutto di pari spessore, si potrebbe però pure notare che Xxxx. 10986/2013 e Xxxx. 1625/2015, per il modo in cui argomentano, rendono plausibile l’argomento che corra più di un’implicazione tra il rivisitare il nucleo minimo dell’art. 2744 ed il declinare in termini di effettività la tutela creditoria87. Tutto sta a vedere, come subito si evidenzierà, se l’ordito
85 Il binomio art. 1359 ed effettività è già in X. XXXXXXXXXXX, Il “giusto rimedio” nel diritto civile, cit. 8.
86 V., rispettivamente, X. Xxxx. 9 maggio 2013, n. 10986, in Vita not., 2013, 719 ss. e Xxxx. 28 gennaio 2015, n. 1625, in Fall., 2015, 795 ss., con nota di XXXXXXX, Sale and lease back, patto marciano e fallimento del venditore – utilizzatore. Nonché in Riv. not., 2015, 182. In argomento, volendo, PAGLIANTINI, I misteri del patto commissorio, le precomprensioni degli interpreti e il diritto europeo della direttiva 2014/17/UE, in Nuove leggi civ. comm., 2015, II, 181 ss.
00 X. XXXXXXX, Xx xxxxxxxxxxxx delle ragioni del creditore. Bilanciamento di interessi, in Giust. civ., 2014, 566 ss.
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dell’art. 2744, oltre a considerare le ragioni del debitore, non lasci intravedere una qualificazione concorrente del divieto.
È indubbio, infatti, che la nuova metrica argomentativa della Corte veda il patto commissorio
colla foggia di una fattispecie che realizza
generica sui beni residui del debitore91. Se non fosse che un trasferimento solutorio abdicativo nel contempo della garanzia generica non cancella il danno inferto ai restanti creditori allorché il patrimonio del debitore risulti incapiente. Non è vero d’altro canto che, per l’equivalenza satisfattiva
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un’estinzione «alternativa del credito»88, con una causa cavendi che vira perciò, quando la prestazione dovuta non sia effettuata nel termine previsto, in una solvendi, declinando così la nullità del trasferimento solutorio in ragione della circostanza che vi sia una garanzia eccedente il credito. La clausola di stima rimodula la convenzione commissoria, obbligando il venditore a restituire quanto corrisponde alla differenza tra i due valori: e tanto basta per immunizzare un patto che di fatto snatura l’obbligazione, se è vero che il convenire ex ante un effetto reale satisfattivo cancella l’alea dell’inadempimento. Collo schermo di una stima della garanzia reale attualizzata al tempo dell’inadempimento, Cass. 10986/2013 e Cass. 1625/2015 riperimetrano così, in chiave perequativa, l’art. 2744 sul sottinteso, per altro, che un’espropriazione convenzionale del credito sia ancillare anche alla tutela dell’interesse del debitore, nella misura in cui se non altro ne favorisce l’accesso al finanziamento89. Il che, seppur esatto, non azzera però il livello di problematicità di una disposizione la quale, in sintonia con questi arresti, si è d’altronde talora letto come se comminasse una nullità di protezione90.
D i r i t t o g i u r i s p r u d e n z i a l e , r i c o n c e t t u a l i z z a z i o n e d e l c o n t r a t t o e p r i n c i p i o d i e f f e t t i v i t à ( S t e f a n o P a g l i a n t i n i )
Di nuovo infatti compendiando il discorso: è esatto che una clausola di stima scaccia il pericolo di un approfittamento ai danni del debitore, epperò alla ratio dell’art. 2744, potrebbe sostenersi, neanche si può dire estranea la tutela degli altri creditori dell’obbligato, per i quali una datio in solutum convenuta ex ante ha il significato di una sottrazione del bene alla loro garanzia. Xxxx che il pattuire ammesso dalla Corte è soltanto quello contemplante un trasferimento della garanzia reale sufficiente a rimborsare il credito, lasciando perciò intendere che l’attribuzione è sì reputata estintiva dell’obbligazione, ma perché questa estinzione vale pure ad impedire la (diversa) lesione che viceversa sarebbe sottesa al plus di un mutuante il quale contemporaneamente non perdesse la garanzia
88 Così ANELLI, L’alienazione in funzione di garanzia, Milano, 1996, 89.
89 X. xxx. 00, § 0 xxxxxxxxx 00/0000/XX xx merito ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2013/36/UE e del regolamento (UE) n. 1093/2010.
00 X. XXXXXXX, Xx invalidità, in I contratti in generale, a cura di
X. Xxxxxxxxx, Torino, 20062, II, 1547.
di cui si è già detto tra risoluzione e manutenzione92, una giurisprudenza consolidata esclude da tempo che, fallito l’inadempiente, vi sia una legittimazione della parte c.d. fedele ad agire in risoluzione contro la massa in quanto la vicenda restitutoria finirebbe per stralciare uno o più cespiti da quel patrimonio destinato a soddisfare paritariamente i creditori ? E se il credito da risoluzione è concorsuale93, onde evitare che il soddisfare l’interesse del singolo creditore noccia agli altri, non è lo stesso per ogni pagamento volontario seppur al giusto prezzo ?94
Risultato, leggere il patto commissorio cogli occhiali dell’effettività, anziché con quelli di una debitoris suffocatio, produce il (vistoso) risultato di trasformarlo in una modalità di estinzione secondaria dell’obbligazione, lecita fintanto che sia retta dal principio di equivalenza, perché l’effetto traslativo funge da surrogato satisfattivo atipico dell’adempimento95. Quid però di una giustizia esterna, calcolando che il discorso sulla “mancata
91 Che così la Cassazione reinterpreti il divieto di patto commissorio lo si deduce da una massima ufficiale della 1625/2015 fedelmente iterativa di più passi della motivazione, segnatamente laddove il periodare argomentativo insiste su di procedimentalizzarsi della clausola marciana contemplante una stima del bene «entro tempi certi e con modalità definite, che assicurino la presenza di una valutazione imparziale, in quanto ancorata a parametri oggettivi automatici oppure affidata a persona indipendente ed esperta, la quale a detti parametri farà riferimento (art. 1349 c.c.), al fine della correttezza determinazione dell’an e del quantum dell’eventuale differenza da corrispondere all’utilizzatore. La pratica degli affari potrà poi prevedere diverse modalità concrete di stima, purché siano rispettati detti requisiti» (c. vo aggiunto).
92 V. supra § 2, testo e note.
93 Cass. 12 gennaio 2007, n. 578, in Foro it., 2007, I, 2466 ss. nonché Cass. 26 maggio 2000, n. 6952, in Mass. Giust. civ., 2000, 1121. In dottrina, per tutti, x. XXXXXX, L’esercizio della risoluzione per inadempimento di un contratto di leasing immobiliare traslativo e divieto di azioni esecutive ex art. 168 l. fall., in Scritti in onore di Xxxxxxx Xx Xxxx, Milano, 2015,
94 Che anestetizza inter partes, come si si legge in Cass. 1625/2015, il pericolo di una «lesione dal trasferimento del bene in garanzia». La previsione, nella prassi commerciale, di stime affidate a tecniche diverse rimane infatti vincolata al solo obbiettivo di un «surplus … senz’altro restituito». In dottrina v. DI ROSA, L’operazione di sale and lease back tra normotipo astratto e fattispecie concreta, in Riv. dir. civ., 2015, I, 1136 ss.
95 La felice espressione, nella prospettiva di una modalità estintiva diversa dall’adempimento ma che soddisfa il creditore, si deve a MOSCATI, I modi di estinzione tra surrogati dell’adempimento e vicende estintive liberatorie, in Tratt. delle Obbl., III, I modi di estinzione, a cura di Xxxxxxx e Burdese, Padova, 2008, 4-7.
sproporzione” tiene fin quando il mutuante sia il solo creditore, molto meno allorché i creditori siano più d’uno e l’immobile attribuito rappresenti il solo cespite o comunque quello più capiente sul quale potersi soddisfare. Sebbene la par condicio sia
«l'ordinamento permette la realizzazione coattiva dei diritti del creditore, purché sia tutelato pure il diritto del debitore a pagare al creditore quanto in effetti gli spetti»100: col che l’art. 2744 rimane sì una norma formalizzante un “divieto di risultato”
D i r i t t o g i u r i s p r u d e n z i a l e , r i c o n c e t t u a l i z z a z i o n e d e l c o n t r a t t o e p r i n c i p i o d i e f f e t t i v i t à ( S t e f a n o P a g l i a n t i n i )
ormai ridotta a principio debole, l’immagine di un ma, questo il punto, allo stesso modo in cui lo sono
trasferimento solutorio valido in quanto equo stinge di fatto in un patrimonio separato, con un eventus damni inemendabile perché, eccettuata la nicchia dei casi di frode, un’azione revocatoria ex art. 2901
c.c. sarebbe qui inutile. Piaccia o no, è vero che, rispetto ai restanti creditori, un pagamento solutorio vale come se si trattasse di un vincolo che si
«aggiunge [a quello] delle tipiche garanzie reali»96. Il bene alienato è infatti espunto dal patrimonio, tanto è vero che soltanto un adempimento ha l’effetto di ricollocarlo nella garanzia generica97.
La recentissima Cass. 888/201498, a proposito di un leasing traslativo immobiliare, nella parte in cui esclude che la sproporzione sia ammortizzata da una clausola contemplante, in caso di inadempimento di un utilizzatore già tenuto a restituire l’intero finanziamento, la vendita dell’immobile con accredito del prezzo a quest’ultimo, di fatto non risolve. La Corte infatti ragiona di un’equivalenza che qui non vi sarebbe complice l’indeterminata genericità della clausola de qua, «la cui attuazione [era] rimessa alla piena discrezionalità della concedente quanto a tempi, modalità e condizioni di vendita e quanto a tempi e modalità con cui il corrispettivo [avrebbe dovuto] essere riversato in favore dell'utilizzatore».
Paradossi, uno dei tanti verrebbe da chiosare, della giustizia contrattuale, valore che si dà per contrapposizione e dunque «irrimediabilmente relativa»99. Potrà pure esser vero, infatti, che
96 Così BIANCA, Diritto civile. 7. Le garanzie reali. La prescrizione, Milano, 2012, 279. Non è vero, d’altra parte, che l’assimilazione della risoluzione ad un rimedio di soddisfazione alternativa dell’interesse creditorio, dunque ad una solutio onerosa, spiega la persistente revocabilità della risoluzione di diritto, compiuta in forza di una clausola risolutiva espressa, prodottasi entro i sei mesi precedenti l’inizio della procedura fallimentare? X. Xxxx. Xxxxxx, 0. Febbraio 2003, in Giur. mil., 2003, 413. Il che sottende una qualificazione della risoluzione come un atto oneroso per il fallito, iscrivibile per ciò stesso nel disposto dell’art. 67 l. fall., quantunque non sia imputabile all’insolvente.
97 Tanto più che, se il presupposto indefettibile è il ricorrere di un giusto prezzo abbinato alla restituzione della differenza rispetto al maggior valore, allora va da sé che valide finiranno per essere pure quelle clausole marciane ove, anziché subordinare all’inadempimento l’evento traslativo, a questo sia ancorato il consolidarsi di un effetto reale «già realizzato, [stabilizzarsi] che si verificherà solo ove sia corrisposta l’eventuale differenza» (x. Xxxx. 1625/2015).
98 Cass. 17 gennaio 2014, n. 888, per la quale v. infra § 5.
99 Cfr. PIRAINO, Il diritto europeo e la “giustizia contrattuale”, in Eur. dir. priv., 2015, 243.
gli artt. 1851, 1982, 2798 e 2803 c.c.
4. Motivazione v. dispositivo in tre arresti emblematici.
Seconda premessa.
In tempi di una giurisprudenza divenuta fonte – fatto o meta - fonte e di una nomofilachia il cui perimetro è però segnato dal diritto vivente101, coglierebbe nel segno chi, senza tante perifrastiche, notasse come la c.d. dottrina delle Corti, esemplifica in realtà un problema di motivazione della regola d’azione applicata, se è vero che non è inconsueto notare una precarietà non del dispositivo ma del costrutto argomentativo governante l’intervento giudiziale. L’inventario di arresti, la cui motivazione somiglia ad un bricolage valoriale, è tutt’altro che esiguo: due sentenze, fra le più discusse nell’ultimo periodo, non sembrano tuttavia meritare le critiche corrosive di cui sono state fatte spesso oggetto.
Nell’ordine.
Cass., S.U. 18128/2005102, sulla riducibilità officiosa di una penale eccessiva, ha alimentato un nugolo di polemiche originate però, questa è l’impressione, da un autentico misunderstanding dottrinale: per la banale ragione che, senza stressare un art. 1384 c.c. estraneo all’idea di una proporzionalità solidaristica in vista di una strategia neoconformativa dell’atto di autonomia privata sub art. 2 Cost.103, bastava più linearmente notare che,
100 Così Cass. 1625/2015, cit. in motivazione.
101 Rispettivamente PIZZORUSSO, Fonti del diritto (artt. 1- 9 disp. prel.), in Comm. cod. civ. Scialoja – Branca, a cura di Xxxxxxx, Bologna – Roma, 20112,705 ss. e RORDORF, La nomofilachia nella dialettica Sezioni semplici – Sezioni Unite e Cassazione – Corte costituzionale, cit. 541.
102 X. Xxxx., S.U. 13 settembre 2005, n. 18128, consultabile in più di un luogo – v., in special modo, Eur. dir. priv., 2005, 1087 ss. ed ivi il commento di X. XXXXX, La clausola penale tra risarcimento e sanzione: lineamenti funzionali e limiti dell’autonomia privata – nonché, prima ancora, Cass. 24 settembre 1999, n. 10511, in Foro it., 2000, I, c. 1929 ss. Successivamente, sempre nella prospettiva di una riducibilità della penale eccessiva ove il precetto costituzionale di solidarietà e l’interesse contrattuale procedono controvertibilmente appaiati,x. Xxxx. 6 ottobre 2011, n. 20481, in Riv. giur. edil., 2011, I, 16121 ss. e Xxxx. 10 gennaio 2008, n. 246, in Guida al dir., 2008, fasc. 13, 95.
103 Così, criticamente, ALESSI, Transazioni commerciali e redistribuzione tra le parti del costo del ritardato pagamento: per una lettura del D.Lgs. n. 231/2002 al riparo dall’ambiguo
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se normativamente la liquidazione del danno è affare delle Corti104, questo potere –giova ripeterlo- per legge si riespande quando, in ragione di un’autonomia privata che lo abbia messo tra parentesi, risulta disatteso il principio di una
corrispondenza tra pregiudizio patito, in
carente di effettività sub specie restitutionis ovvero un risarcimento quale tecnica di protezione ammessa per ovviare all’insufficienza di tutela del contraente leso108.
Nessuno, d’altronde, si è stupito di Xxxx. 20260/2006109, la cui fattispecie constava di una
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conseguenza dell’inadempimento, e danno da risarcire.
D i r i t t o g i u r i s p r u d e n z i a l e , r i c o n c e t t u a l i z z a z i o n e d e l c o n t r a t t o e p r i n c i p i o d i e f f e t t i v i t à ( S t e f a n o P a g l i a n t i n i )
Allo stesso modo, e proseguendo, niente di dirompente sentenzia Cass. 21255/2013105, a leggerla beninteso nel senso non già di un dictum espressivo di un panaquilismo risarcitorio quanto e piuttosto di una decisione improntata all’idea di una tutela obbligatoria che si dà quando, per ragioni giuridiche contingenti legate ad un mutamento azionario irreversibile, quella di annullamento sia preclusa, perché destinata a tradursi in una sostanziale ablazione del diritto di CIR, stante la sua sopravvenuta inutilità106. Gli è infatti che una sentenza costitutiva di annullamento ripara ad un danno quando, per il medio degli artt. 2033 e 2037, comma 2, c.c., riesca a rimuovere la perdita, degradando a virtuale viceversa quando l’esecuzione interinale del contratto impugnabile abbia irreversibilmente pregiudicato una successiva restitutio107. Sulla questione si tornerà più avanti: basti qui notare che la coerenza validante da principio dogmatico il canone di un’effettività ex art. 24 Cost. potrebbe trovare la sua cifra nel rilevare come, se l’impossibilità di una restitutio in integrum vanifica la retroattività della sentenza di annullamento, perché la rimozione ex tunc del contratto viziato non è acconcia a restaurare pienamente l’interesse violato, risponde ad un valore di intrinseca giustezza sistemica il dischiudersi di un’azione risarcitoria, autonoma perché concepita in luogo di un’impugnativa che non si può, non già che non s’abbia da fare. Ergo un risarcimento supplente di un annullamento
richiamo all’”equità”, in Studi in onore di Xxxxxxx Xxxxxxx,
Torino, 2009, III, 6.
104 V., coll’abituale rigore, XXXXXXXXXX, Eclissi del diritto civile, cit. 178.
105 Edita in più luoghi, Cass. 17 settembre 2013, n. 21255, è consultabile in Foro it., 2013, I, 3121 ss.
106 Si è già espresso in tal senso D’AMICO, Responsabilità precontrattuale anche in caso di contratto valido? (L’isola che non c’è), in Giust. civ., 2014, 197 ss. E v. in particolare XXXXX, Il difficile rapporto tra tutela specifica e per equivalente alla prova del caso CIR – FININVEST, cit. ove il rilievo che,
«quando non vi sia né la possibilità né l’utilità del risultato, la via della tutela specifica non dev’essere percorsa ad ogni costo», per la controindicazione manifesta che avrebbe «l’onere di instaurare e proseguire un giudizio sostanzialmente inutile e defatigante».
107 Sia consentito il rinvio a PAGLIANTINI, Tutela per equivalente di un contratto annullabile e principio di effettività: appunti per uno studio, in ID., Nuovi profili del diritto dei contratti, Torino, 2014, 223 ss.
mutuataria che aveva taciuto il fallimento del marito, con una banca mutuante risoltasi ad agire vittoriosamente in via risarcitoria senza impugnare il contratto. Ed allora, almeno è ragionevole pensarlo, nessuno si dovrebbe stupire se una qualche corte sentenziasse che una responsabilità per danni può sostituirsi all’annullamento quando questo sia un rimedio antieconomico. Si pensi all’acquirente di un immobile, ingannato dal venditore, il quale abbia fatto eseguire degli importanti lavori di ristrutturazione: chiaro che l’annullamento del contratto – qui – risulterà più pregiudizievole di un risarcimento che, assecondando un interesse conservativo, corregga lo scambio. Non diversamente, va da sé, nel caso deceptus sia una società che abbia pianificato, intorno ai titoli azionari acquistati con raggiro, una strategia di investimenti che non si può più arrestare, ad es. perché i titoli in sovrapprezzo sono quelli di una holding. Xxxx, chi sia vittima di un dolo determinante può chiedere il risarcimento in sostituzione dell’annullamento110.
5. L’effettività delle Corti tra equilibrio contrattuale (art. 1450) e danno da risoluzione (artt. 1526 e 1453 c.c.).
A mo’ di consuntivo, verrà allora istintivo notare come, nel catalogo concisamente riportato, non si contano, in realtà, casi nei quali i canoni di una giustizia commutativa o distributiva, affidata al potere di rettifica contrattuale del singolo giudice, operino in presa diretta. Semmai si assiste, come si è lucidamente osservato111, talora ad un uso abusivo dei principi od alla rifusione spuria dello standard minimo di categorie dogmatiche accreditate. E
108 V., al riguardo, X’XXXXX, Responsabilità precontrattuale anche in caso di contratto valido? (L’isola che non c’è), cit. nonché XXXXXXXX, La responsabilità “deliberativa”nelle società di capitali, Torino, 2004, 233 e 239 ss.
109 X. Xxxx. 00 settembre 2006, n. 20260, in Resp. civ. prev., 2007, 2113 ss, con nota di CHESSA, Dolo omissivo del cliente e responsabilità nei confronti della banca.
110 Altro è poi correttamente notare che la «vittima non può adoperare il contratto annullabile tenendolo in vita apposta per fabbricarsi in tal modo perdite che altrimenti non esisterebbero»: v. SACCO, in SACCO – DE NOVA, Il contratto, Torino, 20043, I, 573.
111 Così CATAUDELLA, L’uso abusivo di principi, in Riv. dir. civ., 2014, 747 ss.
tuttavia ben più frequente è un approccio rimediale che cerca di coniugare realismo e attualità, evitando che l’interesse sostanziale protetto esca dal processo insoddisfatto.
Tanto per intendersi, e pescando (quasi) alla
specificazione serve soltanto a che il giudice, constatato che non si tratta di un espediente dilatorio, possa sostituirsi alla parte nella valutazione di adeguatezza mentre, stante l’attitudine di questo diritto potestativo ad evitare
D i r i t t o g i u r i s p r u d e n z i a l e , r i c o n c e t t u a l i z z a z i o n e d e l c o n t r a t t o e p r i n c i p i o d i e f f e t t i v i t à ( S t e f a n o P a g l i a n t i n i )
rinfusa dalle crestomazie giurisprudenziali correnti. una sentenza di rescissione, non può essere
Cass. 10976/2014 ha censurato –è vero- una decisione di merito che, rigettata come incongrua un’offerta di riduzione ad equità, opposta dal convenuto per neutralizzare l’effetto rescissorio, aveva pronunziato la rescissione del contratto, accantonando la sua richiesta in subordine di rimettersi alla determinazione integrativa del giudice, compiuta sulla base delle risultanze istruttorie acquisite nel corso del processo, quanto alla definizione della maggior somma necessaria ad eliminare lo squilibrio. La sentenza112, che ha dalla sua una serie tutt’altro che angusta di precedenti113, non va però classificata come l’epifenomeno di un generale potere giudiziale di correzione/integrazione del sinallagma iniquo. Lungi dal forzare la lettera dell’art. 1450, il decisum de quo si deve infatti al triplice argomento
-di una natura processuale, a mo’ dunque di domanda di un provvedimento giudiziale costitutivo, riconosciuta alla suddetta offerta114, che se non ha a configurarsi a guisa di una proposta di modifica consensuale del contratto impugnato può ben essere a contenuto indeterminato perché rimesso alla determinazione integrativa del giudice in qualità di arbitratore115,
-non è officiosa (in quanto espressamente subordinata ad un atto di iniziativa dell’offerente)
-non scade in una pura equità integrativa, addivenendosi in realtà ad una conformazione giudiziale delle condizioni contrattuali modellata su parametri tratti da un accertamento istruttorio compiuto nel contraddittorio delle parti116.
Il sottinteso di questo indirizzo, in altri termini, è che, se l’offerta è un atto unilaterale recettizio, e l’attore non vi presta adesione, il recitativo corrente che la vuole provvista di un minimo di
112 Nel dettaglio Cass. 19 maggio 2014, n. 10976, una scheda della quale si legge Annuario del contratto 2014, a cura di X’Xxxxxx e Roppo, Torino, 2015, 166.
113 V., tra le più nitide, Cass. 28 febbraio 2013, n. 5050 e Cass. 23 aprile 1994, n. 3891. Ma già prima, per l’offerta come atto plurivoco, x. Xxxx. 00 xxxxx 0000, x. 000, xx Xxxx xx., 1954, I,
755 s.
114 In dottrina, per un quadro analiticamente compiuto, v. di recente D’XXXXXX, L’offerta di equa modificazione del contratto, Milano, 2006, 26 ss.; XXXXX, Il contratto, in Tratt. dir. priv., a cura di Xxxxxx e Zatti, Milano, 20112, 842 s. e XXXXXXXX – RICCIO, Rescissione del contratto, Artt. 1447 – 1452, in Comm. Scialoja – Branca, a cura di Xxxxxxx, Xxxxxxx
- Xxxx, 0000, 218 ss.
115 Cass. 6 febbraio 1970, n. 257, in Giust. civ., 1970, I, 562.
116 X. Xxxx. 00 maggio 2014, n. 10976, cit. (in motivazione).
irricevibile una sua modalità di esercizio che affidi alla Corte la determinazione contenutistica idonea a realizzare l’effetto conservativo del contratto.
Nulla di sorprendente perciò, delineandosi qui piuttosto una rettifica giudiziale pur sempre mediata dall’autonomia dell’offerente, con una revisione che supplisce all’inadeguatezza del riequilibrio offerto. Xxxx. 3347/1989117, d’altronde, ne aveva già fatto una figura paradigmatica accomunante le fattispecie degli artt. 1450 e 1467.
Continuando.
In una fattispecie di leasing traslativo immobiliare, Cass. 888/2014118, è vero, ha applicato analogicamente l’art. 1526, comma 2, c.c. ad una penale, giudicandola manifestamente eccessiva, contemplante l’attribuzione al concedente, per il caso di inadempimento dell’utilizzatore, tanto dell’intero finanziamento corrisposto quanto della proprietà dell’immobile. Come la Corte ha fatto puntualmente notare, nulla questio sulla circostanza che sia meritevole di tutela l’interesse del concedente alla restituzione della somma erogata visto, rispettivamente:
a) che, in seno a questa operazione economica, i canoni corrisposti sono il corrispettivo non del godimento del bene bensì di un versamento rateale del prezzo anticipato in vista «dell'esercizio finale dell'opzione di acquisto» e
b) che l’intestazione medio tempore della proprietà assolve esclusivamente ad una precipua funzione di garanzia, l’interesse tipico del concedente non essendo volto ad una tutela reale ma ad una per equivalente rispecchiante il differenziale utile dell’operazione119. Di qui la legittimità a pretendere, in caso di risoluzione per inadempimento, al netto di quelli già versati, il pagamento delle rate rimaste insolute e quello anticipato dei canoni non ancora scaduti. E tuttavia, se è indubbio che la pattuizione di una penale abbia una sua razionalità intrinseca nel caso in cui al rilascio dell’immobile non facesse seguito la
117 X. Xxxx. 00 xxxxxx 0000, x. 0000, xx Xxxx xx., 1990, I, 564.
118 X. Xxxx. 00 gennaio 2014, n. 888, cit.
119 Come si legge nella motivazione, questo interesse ad una realità rimediale non v’è perché l’immobile non figura « fra i beni di … proprietà alla data della conclusione del contratto, né costitui[sce] oggetto della sua attività commerciale; è stato scelto e acquistato presso terzi dall'utilizzatrice in funzione delle sue personali esigenze e solo pagato dalla società di leasing».
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restituzione integrale della somma prestata120, non lo è di meno il notare che, quando così non sia, il cumulo delle due voci si sostanzia in un surplus sprovvisto di una giusta causa perché eccedente il margine di guadagno programmato in executivis,
con un saldo patrimoniale netto per il concedente
affidamento sull’assunto che il contratto valga pure da “fatto storico” occasionante un danno123, quantifica discutibilmente in sovrappiù. In quanto erogate in adempimento di un obbligo contrattuale, codeste spese rappresentano infatti un costo intrasferibile giacché in executivis sarebbero
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superiore al vantaggio deducibile da un esatto adempimento. Insomma, se l’ipotesi di un’alternatività dei due cespiti dischiude un risarcimento insufficiente, la variabile di una loro sommatoria può tradursi, è esatto, in «un quid pluris rispetto all'interesse e ai danni effettivi subiti dal concedente»121. Donde l’enunciato sulla pattuibilità di penali contemplanti o la restituzione del finanziamento compensata da una titolarità dominicale dell’immobile riconosciuta all’utilizzatore o il diritto di quest’ultimo di imputare il valore dell'immobile a quanto dovuto in restituzione delle rate a scadere, il tutto convenendolo però ex ante onde evitare un ius variandi ad nutum del concedente in sede di inadempimento.
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Di nuovo, però, nessuna giustizia contrattuale in senso stretto, piuttosto una revisione dell’equilibrio sinallagmatico evitante il rischio che l’inadempimento divenga occasione, per il concedente, di un utile maggiore del profitto lucrabile se il contratto venisse regolarmente eseguito. Cass. 888/2014, perciò, liquida correttamente un danno che, viceversa, Xxxx. 17562/2005, per la quale il danno da risoluzione ingloba pure le spese sostenute in vista dell’adempimento122, dunque un danno da
120 Ove s’intende il valore commerciale di quest’ultimo non ne coprisse l’intero importo.
121 X. Xxxx. 00 gennaio 2014, n. 888, cit., in motivazione. La questione, per poco che si rifletta, arieggia quella, di cui sopra si è discusso (nt. ), quanto al ristoro di un interesse negativo nel danno da risoluzione: ammessa da chi, sulla scorta del rilievo che normativamente si conterebbe almeno un caso di responsabilità contrattuale provvista di un interesse negativo (art. 1711), declina la tutela risarcitoria riconnettendo l’oggetto del risarcimento non alla coppia affidamento/inadempimento bensì all’illecito di chi abbia dato causa alla risoluzione (v. LUMINOSO, Della risoluzione per inadempimento, cit., 352 ss.). Epperò, potrebbe replicarsi, se il risolvente potesse davvero scegliere, nell’ottica di una piena interscambialità tra i due danni, tra l’opporre l’inadempimento (lucro cessante) e l’eccepire la mera inefficacia sopravvenuta del contratto (interesse negativo, secondo la doppia veste delle spese inutilmente sostenute e delle occasioni perdute), non otterrebbe “tutto quello e proprio quello” ma, per le ragioni di cui prima si diceva, ben di più.
122 X. Xxxx. 00 agosto 2005, n. 17562, in Corr. giur. 2005, 1684 ss., con nota di XXXXXXXXX, Risoluzione per inadempimento del preliminare di compravendita e danno risarcibile ed in Nuova giur. civ. comm., 2006, I, 689, con nota di CUCCOVILLO, Spese sostenute dalla parte non inadempiente: tra risoluzione del contratto per inadempimento e interesse negativo. Più di recente, in senso conforme, Cass. 28 novembre
comunque rimaste a carico della parte non inadempiente124, riducendo il suo lucro cessante. Chi, ragionando diversamente, muove dal combinato disposto degli artt. 1479, comma 2 e 1493, comma 1, in tema di evizione e di vizi della cosa venduta, e ne ricava un principio generale di risarcibilità delle suddette spese, dà intanto per indiscusso quel che invece è tuttora controverso, cioè che le fattispecie de quibus non si iscrivano, secondo il modello della garanzia, nell’area della culpa in contrahendo125, col che la risarcibilità dell’interesse negativo non avrebbe nulla di bizzarro. Pure però a concedere che la responsabilità de qua contrattuale126, residuano almeno due argomenti schermanti il conio di un principio generale che faccia dell’interesse negativo un danno risarcibile ex art. 1453: a) i rimborsi dovuti da un venditore, che vi è tenuto financo non sia in colpa, hanno più una funzione restitutoria che risarcitoria, atteggiandosi perciò a «complemento della restituzione del prezzo»127; b) l’elencazione dei debiti restitutori, “spese” e “pagamenti” fatti “per il contratto”, è tassativa e non include tutte le voci contrassegnanti l’interesse negativo nella colpa precontrattuale128, sicché le spese strumentali all’adempimento, si pensi al tasso degli interessi corrispettivi prodotti da un mutuo acceso per finanziare l’operazione di acquisto non andata a
2014, n. 25351, in Rep. Foro it., 2014, voce Contratto in genere, n. 373. In dottrina, in senso adesivo, SICCHIERO, La risoluzione per inadempimento, Artt. 1453 – 1459, in Il Codice Civile. Commentario, fondato da Xxxxxxxxxxx e diretto da Xxxxxxxx, Milano, 2007, 461 s. Criticamente invece, ed in modo persuasivo, VILLA, Danno e risarcimento contrattuale, in Tratt. del contratto, V, Rimedi – 2, a cura di Xxxxx, Milano, 2006, 935 – 939.
123 Quella che DI MAJO, Le tutele contrattuali, cit. 173 s. chiama elegantemente l’«anima “tortious” del contratto».
124 V., nel senso del testo, XXXXXXXXX, La risoluzione per inadempimento. Premesse generali, cit. 35.
125 Notoriamente MENGONI, Risolubilità della vendita di cosa altrui e acquisto “a non domino”, in Riv. dir. comm., 1949, I,
282 e, nella dottrina più recente, in luogo di tanti, XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit. 238.
126 Non per inadempimento di un’obbligazione ma conseguente all’oggettiva «violazione del “valore” traslativo del contratto»: così D’AMICO, La compravendita, in Tratt dir. civ. CNN, diretto da X. Xxxxxxxxxxx, Napoli, 2013, I, 392 (c. vo nel testo).
127 Così TRIMARCHI, Il contratto: inadempimento e rimedi, cit.
102 e TURCO, Interesse negativo e responsabilità precontrattuale, Milano, 1990, 644.
128 Puntualmente VILLA, Danno e risarcimento contrattuale, cit. 937.
buon fine, verrebbero comunque a presentarsi come off label. Torna l’assunto che l’inadempimento risolutorio «va ben oltre l’affidamento»129 e non legittima una riallocazione surrettizia (unilateralmente orientata) delle perdite130.
all’adempimento occasionato dalla variabile di un inadempimento efficiente)136 e quello dogmatico (l’inadempimento delude l’interesse alla prestazione, il che già di per sé colloca questo risarcimento oltre l’interesse negativo)137 in una
D i r i t t o g i u r i s p r u d e n z i a l e , r i c o n c e t t u a l i z z a z i o n e d e l c o n t r a t t o e p r i n c i p i o d i e f f e t t i v i t à ( S t e f a n o P a g l i a n t i n i )
Altrimenti la risoluzione verrebbe sì qui ad essere cornice di effettività la quale, riannodando il danno
una sanzione.
Risultato, qui il canone di un’effettività della tutela evita che, per il tramite di un’interpretazione estensiva di norme speciali, il risolvente venga ristorato di costi che di fatto lo premiano del cumulo di un interesse positivo e negativo. Xxxx. 14899/2011131, escludendo che le spese corrisposte al mediatore a titolo di provvigione siano annoverabili tra quelle accessorie alla vendita e risarcibili in caso di risoluzione, dà una rappresentazione più avvertita del problema. Al pari, per verità, in una fattispecie di risoluzione promossa dal promittente venditore, di Xxxx. 21438/2013132, tranchant nell’escludere la risarcibilità per le spese e le imposte legate alla perdurante disponibilità del bene, premessa logica opposta perciò all’idea di un risolvente arbitro di decidere quale forma di danno domandare (il c.d. reliance interest). Gli è che, più in generale, il danno da risoluzione, volendo stipulativamente etichettabile come un danno consequenziale133, nulla ha a che spartire coll’interesse negativo: tanto in termini assoluti, perché la retroattività è funzionale al gioco delle restituzioni e non purga certo un inadempimento comunque fattualmente prodottosi134, che relativi (a mo’ di cumulo o di concorso elettivo). Cass. 14744/2002, in tema di clausola risolutiva espressa135, se ne avvede, calando l’argomento tradizionale (il disincentivo
129 Così DI MAJO, Le tutele contrattuali, cit. 220, nt. 41 (c.vo nel testo).
130 Neanche ricorrendo all’idea, per suggestiva che possa essere di un contrattualizzarsi di tutti gli interessi che si specchiano nell’operazione economica, da cui poi l’idea di una «pari tutela contrattuale riservata all’interesse di affidamento rispetto a quello di adempimento» : così DI MAJO, Le tutele contrattuali, cit. 174 e 176 s. Diverso è il discorso, al quale qui però neanche si può accennare brevemente, di un lucro cessante che non vi sia, perché l’operazione programmata sarebbe stata comunque in perdita, non avendo il risolvente di mira un profitto. Caso nel quale il risarcimento dell’interesse negativo evita che l’inadempimento rimanda senza conseguenze per chi ne è stato artefice. X. XXXXX, Xxxxx e risarcimento contrattuale, cit. 939. 131 Cass. 6 luglio 2011, n. 14899, in Foro it., 2011, I, 3348 ss.
132 X. Xxxx. 00 settembre 2013, n. 21438, in voce Rep. Foro it.,
2013, voce Danni civili, n. 120.
133 Secondo la ben nota definizione che ne dà DI MAJO, Le tutele contrattuali, cit. 220 s.
134 V., in luogo di tanti, GRASSO, Risoluzione del contratto per inadempimento e tutela risarcitoria, cit. 36 s. e XXXXXXXX, Della risoluzione per inadempimento, cit. 216.
135 Cass. 17 ottobre 2002, n. 14744, in Mass. Giust. civ., 2002,
1814.
patito dal risolvente alla sinallagmaticità del rapporto138, impedisce che l’interesse positivo liquidabile si trasformi in una overcompensation, preludio ad un arricchimento ingiustificato. Tecnicamente però, e per inciso non soltanto nel caso di una risolubilità per impossibilità imputabile al debitore, fattispecie nella quale, per l’oggettiva inattuabilità in forma specifica del contratto, «è ovvio che [al contraente deluso] spetti l’equivalente»139, nessuna overcompensation dischiude il riconoscere che l’art. 1453, comma 1 contempli pure l’alternativa rimediale tra una risoluzione ed un risarcimento surrogante un adempimento in natura ancora possibile ma inutile. È proprio infatti ammettendo la variabile di un risarcimento per equivalente, quando il ritardo abbia tolto interesse ad un adempimento in natura sì
136 V., per tutti, CARNEVALI, La risoluzione per inadempimento. Premesse generali, cit. 34.
000 Xxx. XXXXXXXXXX, Xx risoluzione del contratto nel diritto italiano, cit. 239.
138 V., con succosa incisività, NIVARRA, Alcune precisazioni in tema di responsabilità contrattuale, cit. 99 («l’interesse del creditore si arricchisce necessariamente della considerazione del sinallagma»).
139 Così TRIMARCHI, Il contratto: inadempimento e rimedi, cit. 60 e, traendo spunto dall’art. 1553 che legittima il contraente evitto, il quale non abbia più interesse a riavere la cosa data, a domandare il valore della cosa evitta, BELFIORE, Inattuazione dello scambio per causa imputabile al debitore e tecniche di tutela del creditore: la conversione della prestazione in natura in prestazione per equivalente, cit. 233 ss. L’ovvio è qui da intendere nel senso che l’art. 1453 sarebbe una norma rimedialmente zoppa se, quando la prestazione promessa e rimasta insoluta non sia più suscettibile di esecuzione in forza specifica, si avesse un contraente c.d. fedele gravato dell’onere di una risoluzione che gli addossa il costo del recupero di un res, ormai espunta dal suo patrimonio e che costui potrebbe non avere più interesse a vedersi restituire. X. XXXXXX, Risoluzione del contratto per inadempimento e tutela risarcitoria, cit. 40 s. Si pensi al mutamento della domanda di adempimento in quella di risarcimento quando il promittente alienante convenuto in giudizio dal promissario acquirente abbia alienato a terzi il bene già promesso in vendita, rendendo così impossibile il trasferimento coattivo, originariamente domandato, ex art. 2932
c.c. Ammettendo infatti che la tutela sinallagmatica contempli la variante di un risarcimento sostitutivo altro invero non si fa che a) liquidare a costui una somma pari all’equivalente pecuniario della prestazione dovutagli assecondando nel contempo b) un suo interesse alla definitività, dell’assetto patrimoniale contrattualmente programmato, senz’altro meritevole di tutela. Sunteggiando al massimo il discorso, la conversione de qua adempie indirettamente il contratto, visto che il contraente fedele rimane obbligato all’esecuzione corrispettiva, addossando all’inadempiente null’altro che il costo proprio dell’adempimento in natura.
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tuttora possibile ma non più rispondente all’aspettativa del creditore e nel contempo questi non vanti però un interesse all’obbligazione restitutoria140, che si dota il credito de quo di un rimedio effettivo, nel senso di conducente al bisogno
di tutela domandato, secondo una cifra di flessibilità
agglutinabile intorno all’idea di una conversione suscettibile d’essere abbinata ad un inadempimento imputabile divenuto definitivo145, che trova pienamente riscontro sul terreno dell’effettività. Canone, questa, che, nel recitativo degli arresti citati, scopertamente sterilizza dei costi transattivi
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rimediale internalizzante pure la gestione di sopravvenienze oggettive mutanti legittimamente il giudizio di convenienza subiettiva del creditore141. La differenza, tra il lucro cessante della risoluzione ed il «plusvalore economico legato all’operazione contrattuale»142, illustra d’altra parte a dovere lo scarto esistente tra una risoluzione ed una manutenzione del contratto per equivalente, con un art. 1455 che, come viene fatto acutamente notare143, si presta meglio dell’art. 1256, comma 2 a perimetrare i casi nei quali una conversione pecuniaria dell’originaria prestazione non sacrifica l’interesse dell’inadempiente. Escludendo che violi il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, il trittico di Cass. 6181/2011, 17688/2010 e 2613/2001144, secondo le quali è ammissibile la variatio della domanda di adempimento in quella di risarcimento per equivalente senza il coevo esercizio dell’azione di risoluzione, ben sintetizza una casistica giurisprudenziale, variegata certo ma di fatto
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140 Perché ad es. tramite la risoluzione la parte fedele verrebbe a recuperare la disponibilità di un bene che, diversamente dall’inadempiente, non può alienare facilmente, col risultato di doversi accollare le spese di gestione interinale e quelle occorrenti per ricollocare la res sul mercato. Oppure può darsi il caso di una risoluzione occasionante un danno al contraente insoddisfatto, danno conseguente al recupero del bene che costui aveva giudicato come dismesso (ad es. una partita di merce delle cui spese di deposito il venditore dovrà tornare a farsi carico).
141 X. Xxxx. Sez. lav., 16 giugno 2009, n. 13953, in Rep. Foro it., 2009, Contratto in genere, n. 446.
142 Così MONTANARI, Il danno da risoluzione, cit. 126 ma secondo una prospettiva, tendente viceversa ad assimilare le due poste risarcitorie, che non convince.
143 X. XXXXXXXXX, Il contratto: inadempimento e rimedi, cit. 62 mentre per l’art. 1256, comma 2, si orienta LUMINOSO, Della risoluzione per inadempimento, cit. 139. Muove invece dal presupposto della costituzione in mora, unito alla circostanza che sia decorso inutilmente un congruo lasso di tempo nel quale il debitore possa provvedere ad adempiere, GRISI, La mora debendi nel sistema della responsabilità per inadempimento, in Riv. dir. civ., 2010, I, 78 ss.
144 X. Xxxx. 00 marzo 2011, n. 6181, in Giust. civ., 2012, I, 492
ss.; Cass. 28 luglio 2010, n. 17688, in Contratti, 2011, 136 ss. e
Cass. 22 febbraio 2001, n. 2613, in Foro it., 2001, I, 2244 ss. Epperò, quasi alla rinfusa, potrebbero citarsi pure, tanto è diffusa la pratica di questo ius variandi giurisprudenziale, Cass. 1 marzo 1995, n. 2346, in Rep. Foro it, 1995, voce Appalto, n.
47 e Cass. Sez. lav., 27 marzo 2004, n. 6161, in Rep. Foro it., 2004, Contratto in genere, n. 569. In dottrina v., per tutti, DELLACASA, Il cantiere dei rimedi contro l’inadempimento: ius variandi e risarcimento del danno tra disciplina legislativa e regole giurisprudenziali, cit.
altrimenti zavorranti il diritto di autodeterminazione patrimoniale del creditore insoddisfatto. Domandato infruttuosamente l’adempimento in natura, perché il debitore convenuto permane inadempiente, l’escludere una mutatio avrebbe invero l’effetto di orientare verso una risoluzione più dispendiosa magari, avuto riguardo ai costi ancillari al recupero della cosa, di un adempimento per equivalente che pur sconta il rischio di un’illiquidità per insolvenza della controparte146. D’altro canto, la circostanza che le Corti pratichino questo ius variandi pure quando si faccia questione di una risoluzione non già che il contraente insoddisfatto non vuole bensì che non è pronunziabile, in quanto ad es. i vizi denunziati non sono gravi nella misura di legge (art. 1668, comma 2 c.c.)147, non impastoia in realtà il discorso, se è vero che di massima il rimedio di un risarcimento in sostituzione della prestazione è saldamente ancorato dalla Cassazione al materializzarsi di un’inesecuzione -della prestazione promessa- di una gravità tale per cui, nella stessa ipotesi, la parte c.d. fedele «potrebbe optare per la risoluzione del contratto»148.
A mo’ di xxxxxx potrebbe allora notarsi che l’attenzione per una Materialisierung degli interessi suggella un’interpretazione evolutiva dell’art. 1453 nel quale convivono principi e regole, nell’ottica di una geometria variabile dei rimedi deducibili dall’inadempimento di un contratto a prestazioni corrispettive. Rimedi che, stando ad un’interpretazione finalistica della norma in questione, mutano a seconda di come si manifesti
145 V., pur nella diversità di argomenti, TRIMARCHI, Il contratto: inadempimento e rimedi, cit. 61 ed xxxxxxx XXXXX, Inadempimento e fondamento dell’obbligazione risarcitoria, in Studi in onore di Xxxxxx Xxxxxxxxxx, a cura di F. Ruscello, II, Napoli, 2009, 117 (e nt. 20).
146 La calzante notazione, che si deve a DELLACASA, Il cantiere dei rimedi contro l’inadempimento: ius variandi e risarcimento del danno tra disciplina legislativa e regole giurisprudenziali, cit., sfugge a Cass. 14 marzo 2013, n. 6545, la cui massima, nel corso del giudizio di trasferimento coattivo non può domandarsi la condanna generica del costruttore inadempiente al risarcimento del danno, in luogo ben s’intende della risoluzione, perché, in assenza di un ius variandi previsto dalla legge, questa sarebbe una domanda inammissibile in quanto nuova, è rimasta però isolata.
147 Il rilievi si legge in DELLACASA, op. loc. ult. cit.
148 Così TRIMARCHI: Il contratto: inadempimento e rimedi, cit. 62.
l’intendimento ad uscire “senza danno” da un rapporto ineseguito «per colpa di altri»149.
Non è un’acquisizione da poco.
6. Un caso eclatante: Cass. 12117/2014 e la rettifica atipica del contratto come risarcimento in forma specifica.
A tutta prima, un singolare connubio di
effettività e giustizia contrattuale ope iudicis è
000 X. XX XXXX, Xx tutele contrattuali, cit. 221, nt. 42. Onde evitare che l’enunciazione suoni descrittiva, sembra opportuno procedere a qualche esemplificazione.
a) Proposta domanda di risoluzione del contratto, in ragione della preclusione di cui al comma 2 dell’art. 1453, non potrà giudizialmente domandarsi l’adempimento ed a motivo di quanto prescrive il terzo comma l’inadempiente non potrà ovviare al proprio ritardo. Xxxx, se non fosse che niente impedisce al risolvente di domandare stragiudizialmente l’adempimento: il che, viene istintivo pensare, ove l’inadempiente vi aderisse, farà decadere la domanda di risoluzione «per cessazione della materia del contendere» (cfr. DI MAJO, Le tutele contrattuali, cit. 203);
b) quando un contratto sia stato vicendevolmente eseguito, ma all’adempimento esatto di una parte corrisponda quello gravemente difettoso della controparte, in realtà la conseguente risoluzione, che sia accordata con xxxxxxx xxxxxxxxxxxx, conosce il correttivo occasionato da una ripetizione per equivalente. La c.d. “compensazione atecnica” di cui discorre DE NOVA, Il contratto e le restituzioni, cit. 9 s., avendo riguardo alla risoluzione di un contratto d’appalto ex art. 1668, comma 2, con deduzione dal restituendo acconto sul prezzo della differenza tra il corrispettivo pattuito (per un’opera eseguita a regola d’arte) ed il quantum necessario per un adempimento correttivo, bilancia il conflitto affidandolo al correttivo di una riduzione del credito restitutorio;
c) se il contraente x.x. xxxxxx ha eseguito la prestazione caratteristica (una partita di merce od un terreno), ove la controparte inadempiente sia prossima al fallimento, l’interesse alla restituzione, cioè ad una risoluzione del contratto, si impone quando il costo transattivo connesso al recupero del bene sia preferibile, perdurando l’inadempimento della corrispettiva prestazione caratteristica, ad un risarcimento sostitutivo che sarebbe in moneta fallimentare;
d) in un contratto di durata, come sentenziato tanto da Xxxx. 24 maggio 1993, n. 5838 (in Giur. it., 1994, I, 1, 1376 ss.) che da Cass. 6 dicembre 2011, n. 26199 (in Contratti, 2012, 123 ss, con nota di F.P. XXXXX, Autonomia privata ed effetti della risoluzione del contratto ad esecuzione continuata o periodica e, già prima, per chi lo voglia, PAGLIANTINI, La risoluzione dei contratti di durata, cit. 128 ss.), è ben ammissibile, sulla premessa di una scindibilità del rapporto contrattuale, che il contraente insoddisfatto proponga domanda di risoluzione (per le prestazioni future) e contemporaneamente di adempimento per la prestazione corrispettiva rimasta inadempiuta. All’obiezione che si tratterebbe di una risoluzione senza inadempimento può infatti replicarsi che compete all’attore decidere da quale momento far decorrere gli effetti retroattivi della risoluzione, se dalla domanda o dal prodursi dell’inadempimento. Con una preferenza, evidentemente, per prima variabile quando si dovesse avere che costui ha esattamente eseguito la prestazione corrispettiva.
E, naturalmente, si potrebbe continuare.
Ora, per chi ne avesse voglia, combinando tutte le variabili qui esposte con quelle che si leggono nelle note 36, 133 e 134, si ottiene un quadro che vede esaltato il profilo di una disponibilità delle conseguenze occasionate dalla violazione di un contratto a prestazioni corrispettive. Con tutto quello che ne consegue nei termini di un’interpretazione storicizzata in chiave di effettività dell’art. 1453 c.c.
Cass.12117/2014150, sulla violazione dell’obbligo di reimpiego di una somma liquidata ad un minore a titolo di risarcimento danni, somma nella specie trasformata nel prezzo corrisposto dal padre per l’acquisto di un immobile in nome e conto proprio. Facendo scopertamente mostra di voler ottimizzare la tutela della minore, si è disposto, su impugnazione della stessa divenuta maggiorenne, l’annullamento del contratto limitatamente alla parte che vedeva il padre nella veste di amministratore occulto, mutando così il titolare dell’effetto acquisitivo.
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Chiarito che è innegabilmente calzante ragionare di una Corte che ha qui di fatto compiuto un’eterointegrazione dell’acquirente, viene allora spontaneo domandarsi, ma Cass. 12117/2014 può catalogarsi come un esempio sintomatico di pragmatismo valoriale, corroborante l’idea di un giudicare ormai trasformatosi nel modulo discorsivo di una «pura e nuda decisione, [rinveniente] fondamento [soltanto] in sé stessa»151 ?
Ora, di primo acchito è così che dovrebbe concludersi: e, di nuovo cercando di sintetizzare il discorso, per tre ragioni principalmente.
Xxxxx, notoriamente il genitore che si comporta da amministratore infedele, contravvenendo al provvedimento autorizzativo del giudice tutelare, incorre in responsabilità, con un’azione civile per danni che mette in non cale quella di annullamento anche a tutela dei terzi di buona fede, creditori dell’originario acquirente o aventi causa, altrimenti esposti al rischio di impugnative imprevedibili. Cass. 1341/1981 e, prima ancora, Cass. 2299/1978152, sono, al riguardo, ineccepibili: qui
150 L’ordinanza, Cass. 29 maggio 2014, n. 12117, è edita in più di una rivista: limitando la citazione ai contributi più ragionati
x. XXXXXXX, Annullamento del contratto ex art. 322 c.c. e potere di rettifica, in Fam. dir., 2015, 455 ss.; XXXXXXXX, L’annullamento parziale del contratto stipulato dal genitore in nome e per conto proprio in violazione dei provvedimenti del giudice tutelare nell’interesse del minore: tante questioni ancora aperte, in Vita not., 2015, 617 ss. e BONA, L’annullamento parziale del contratto e l’”eterointegrazione del contraente”, in Foro it., 2014, I, 2498 ss.
151 Così N. IRTI, Un diritto incalcolabile, cit. 17.
152 Rispettivamente Cass., 10 marzo 1981, n. 1341, in Foro it., 1982, I, 508 ss. (relativa ad un’alienazione, in nome e per l’intero, di un immobile di cui il genitore era comproprietario assieme al figlio minorenne) e Xxxx., 11 maggio 1978, n. 2299 (vendita di beni mobili, di proprietà dei figli minori, stipulata in nome proprio da un genitore che aveva poi impugnato l’atto), ivi, 1978, I, 2516 ss.
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invece, nonostante il genitore acquirente non avesse agito in nome altrui, si accantona il difetto di una qualche contemplatio domini, statuendo che il pregiudizio inferto all’interesse patrimoniale del minore è emendabile rettificando giudizialmente
l’effetto acquisitivo, foggiando per conseguenza una
ove il recupero del contratto sia ancora possibile e non tardivo155;
β) al più, siccome il sottinteso della norma è che la parte in errore non abbia nel frattempo subito un qualche pregiudizio, può ragionarsi di una disposizione che osta ad impugnative
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caducazione involgente la (sola) parte del contratto relativa alla persona del compratore.
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Secondo, l’ampliamento dello spettro applicativo riconosciuto all’annullamento ex art. 322 c.c. avviene decampando, senza tante nuances, dai presupposti di operatività della disposizione de qua, a tutta prima per contro inapplicabile, se è vero che il genitore non aveva agito in rappresentanza della figlia, spendendone irregolarmente il nome ma a titolo personale153. Come si è ben notato, difettava nella specie «un atto di esercizio della potestà riconoscibile»154, esorbitandosi da questa: tanto per l’alienante che per i terzi.
Terzo, una rilettura evolutiva dell’art. 1432 c.c. autorizzerebbe, secondo la Corte, la sostituzione subiettiva di una delle parti contraenti, quand’è pacifico viceversa che nessuna manipolazione correttiva della lex contractus trova sponda nell’art. 1432, norma che si limita a rimettere al giudice unicamente il controllo sull’attitudine di un’offerta di rettifica a neutralizzare la caducazione di un contratto sì annullabile, perché viziato da un errore essenziale riconoscibile, ma, e proprio in ragione della variatio proposta, ancora riconducibile ad una (bilateralmente) utile misura effettuale. Rigorosamente intesa, la rettifica de qua non ne contempla una etichettabile come atipica in quanto l’art. 1432, nell’ordine
α) è un disposto ancillare al recupero di una volontà ipotetica, il contratto che doveva essere e non è stato a cagione di un errore determinante, secondo una logica conservativa prevalente soltanto
153 Sulla pertinenza dell’art. 322, in linea coll’opinione corrente, ai casi di carenza di autorizzazione e di atti dispositivi compiuti contravvenendo alle condizioni prescritte dal giudice tutelare (prezzo pattuito inferiore a quello indicato, ), v., in luogo di tanti, RUSCELLO, La potestà dei genitori. Rapporti patrimoniali, in Il Codice Civile. Commentario, fondato e già diretto da Xxxxxxxxxxx, continuato da Xxxxxxxx, artt. 320 – 323, Milano, 2007, 192 ss.; SESTA, Rappresentanza e amministrazione. Il diritto di famiglia, II, a cura di Xxxxxxxxx – Sesta, in Tratt. diretto da Xxxxxxx, IV, Torino, 1999, 287 e DE CRISTOFARO, sub art. 322, in CIAN – XXXXXXXXX, Commentario breve al codice civile, Xxxxxx, 00000, 422 s. (ed ivi pure una ricognizione sulla tendenza prevalente a qualificare l’autorizzazione del giudice tutelare a mo’ di condicio iuris o di elemento costitutivo del negozio, incidente per conseguenza sulla legittimazione a contrattare).
154 X. XXXXXXX, Annullamento del contratto ex art. 322 c.c. e potere di rettifica, cit. 457. In giurisprudenza x. Xxxx. Xxxxxx, 00 dicembre 1996, in Riv. not., 1997, 440 s.
opportunistiche, legate alla fase genetica piuttosto che a quella attuativa dell’autoregolamento di interessi156, ma non più di questo;
γ) dopo di che, coordinando i due enunciati, l’immagine che si ha è quella di un giudice legittimato, nel conflitto tra le parti, a dichiarare la validità dell’offerta od a rigettarla157, ma in alcun modo è accreditabile la variabile discrezionale di una Corte provvista del potere di sentenziare una determinazione integrativa del regolamento negoziale. Per di più se, come testé notato, la rettifica può aversi soltanto alla condizione che il contratto, nel frattempo, non abbia inferto un pregiudizio alla controparte, in Cass. 12117/2014 non v’era alcun titolo per invocarla, stante la circostanza che il denaro della minore già era stato corrisposto come prezzo.
Risultato, sulla scorta del trittico esposto, viene facile concludere che l’ordinamento del caso concreto158, non può spingersi fino a teorizzare
δ) un’estensione analogica dell’art. 1432 compiuta modificando la legittimazione subiettiva a domandarla, non l’alienante ma per di più un terzo, camuffato da parte in virtù di una lettura creativa dell’art. 322 includente pure, come si diceva, la fattispecie dell’art. 320, comma 4159; a seguire, e pour cause,
ε) che l’art. 322 divenga una norma materiale agglutinante pure i casi di violazione dei doveri di amministrazione, inerenti al rapporto interno ed irriconoscibili per giunta dai terzi. A ragionare nel modo che suggerisce la Corte si ha infatti un’annullabilità parziale subiettiva che produce l’effetto perverso di rovesciare sul venditore la probatio diabolica di accertare, quando il prezzo sia
155 X. XXXXX, Il contratto, cit. 802 e CATAUDELLA, I contratti. Parte generale, Torino, 20144, 98, nt. 130.
156 V., per tutti, X. XXXXXX, La rettifica del contratto, Milano, 1973, 26 ss. e 77 ss.
157 V., tra i tanti, X. XXXXXX, sub art. 1444, in Dei contratti in generale, a cura di Navarretta - Orestano, Torino, 2011, IV, 292 (ove il rilievo che, se «l’errante contest[a] le modificazioni offerte e insist[e] nel chiedere l’annullamento, graverà» pur sempre unicamente «sul giudice il compito di valutare se le condizioni offerte siano effettivamente rispondenti all’interesse dell’errante»).
158 Tradottasi qui in un’ortopedia subiettiva del titolo assicurante il realizzarsi di quanto il giudice tutelare aveva autorizzativamente disposto ma poi era andato disatteso dal padre.
159 Col che però comunque contravvenendo ad un art. 1432 che
non legittima il contraente caduto in errore.
stato corrisposto da un acquirente con figli minori ovvero costui dovesse risultare pure amministratore di un incapace legale, la provenienza del denaro, nonostante abbia stipulato a titolo personale;
ζ) di là infatti dalla sua formulazione lessicale,
l’effetto che questa offerta ha di rendere l’autoregolamento di interessi non più impugnabile. Per inciso, nella specie:
η) non c’era una qualche volontà viziata meritevole di tutela, neanche sub art. 1429 n. 3 c.c.,
“gli atti compiuti senza osservare le norme dei bensì un’incapacità legale, per di più di un terzo e
precedenti articoli possono essere annullati”, l’art. 322 è plausibilmente qualificabile come species di quell’art. 1425, ove l’annullamento prescinde dall’affidamento della controparte, perché ne riproduce la ratio, essendo pacifico che l’incapacità legale dell’altro contraente, eccettuata l’ipotesi dell’art. 1426, esclude l’esistenza di un affidamento meritevole di tutela160. Il fatto di negoziare col rappresentante di un incapace legale, rende ictu oculi –plausibilmente- inescusabile l’errore sulla necessita dell’autorizzazione del giudice tutelare. Epperò, se il contraente è a conoscenza del fatto che la propria controparte agisce iure proprio e non in rappresentanza del figlio minore, va da sé che la rilevanza del suo affidamento si riespanda. Bene, siccome un affidamento non può fungere da fatto impeditivo intermittente, nell’economia di una fattispecie invero o lo si contempla o se ne prescinde totalmente (artt. 1434 e 1973 c.c.)161, avrebbe allora per lo meno del curioso pensare ad un art. 322 annoverante due forme normativamente diverse di annullabilità.
E non solo.
Di là dalla circostanza che la rettifica atipica coniata dalla Corte non ha a nulla a che spartire colla nozione (accreditata) di annullabilità parziale, oggettiva e subiettiva162, gli è che, e pure questa critica verrà spontanea, l’art. 1432 stilizza, per le ragioni poc’anzi evidenziate, un rimedio ad iniziativa di parte e non (para)officioso163: farne una norma che documenterebbe la fattispecie nascosta di un riaggiustamento giudiziale del
non di una delle parti, il tutto pure a dare per buono, nonostante sia quanto meno controvertibile, un’estensione dell’art. 1432 non ad un vizio quanto, e più propriamente, alla condizione giuridica di uno dei contraenti164;
θ) mirando al ripristino coattivo dell’obbligo giudiziale di reimpiego rimasto inadempiuto165, perché l’ortopedia subiettiva del titolo in questo si traduce, in realtà la Cassazione ha mascherato qui da rettifica un risarcimento disposto in forma specifica. Xxxxxx, il fatto è che, per restaurare l’originario vincolo di destinazione impresso giudizialmente al denaro, la Corte ha nella sostanza escogitato un costrutto argomentativo che approdasse ad un’applicazione in toto degli artt. 1445 e 2652 n. 6 c.c166. Trattandosi infatti di un’annullabilità parziale subiettiva disposta ex art. 322, quanto verrà poi qui a dischiudersi è una causa di incapacità legale la quale, notoriamente, pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, nonostante l’anteriorità temporale della loro trascrizione.
7. Segue: l’interesse del minore tra” materializzazione” ed effettività della tutela.
Torna così l’interrogativo iniziale: Cass. 12117/2014 è l’emblema di un decidere per principi
«validi in sé e per sé» giacché «tutto abbracciano ed a tutto rispondono»167 ?, alla maniera di quel
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rapporto contrattuale, significa sovvertire la ratio di
un precetto che vede, come si diceva, il sindacato giudiziale circoscritto al vaglio di congruità di un negozio giuridico, unilaterale e potestativo, per
160 X. XXXXXXXX, La potestà dei genitori, cit., 193 s.
161 Così parrebbe doversi rettificare l’osservazione, seppur pertinente, di BRANDANI, L’annullamento parziale del contratto stipulato dal genitore in nome e per conto proprio in violazione dei provvedimenti del giudice tutelare nell’interesse del minore: tante questioni ancora aperte, cit.
162 V., da ultimo, XXXXXXX, L’annullabilità parziale del contratto, in Riv. dir. civ., 2008, II, 569 ss. e XXXXXXXX, Dell’annullabilità del contratto, in Il Codice Civile. Commentario, fondato e già diretto da Xxxxxxxxxxx, continuato da Xxxxxxxx, Artt. 1425 – 1426, Milano, , 36 ss.
163 V., in luogo di tanti, CATAUDELLA, I contratti. Parte generale, cit. 98, nt. 130 e ROSSELLO, L’errore nel contratto, in Il Codice Civile. Commentario, fondato e già diretto da Xxxxxxxxxxx, continuato da Xxxxxxxx, Artt.. 1427 – 1433, Milano, 2004, 197 ss.
164 Per l’opinione prevalente che (persuasivamente) limita la disposizione ai casi di errore x. XXXXXXX, Obbligazioni e contratti, Napoli, 200914, 1003 s. e, già prima, P. BARCELLONA, Profili della teoria dell’errore nel negozio giuridico, Milano, 1962, 196.
165 Il che è palese in quel passo della motivazione ove si legge
«di pieno ripristino dei … diritti [della figlia], come se l’abuso di potere del rappresentante legale non si fosse verificato».
166 All’argomento, formalmente corretto, che qui non sarebbe direttamente l’incapace a negoziare, donde il delinearsi di un ostacolo a ricomprendere il disposto dell’art. 322 nel novero delle fattispecie di annullamento per incapacità legale, può plausibilmente opporsi il favor per un’interpretazione estensiva finalizzata a tutelare chi è risultato vittima di un’amministrazione infedele del suo legale rappresentante.
167 Così IRTI, Calcolabilità weberiana e crisi della fattispecie, in Riv. dir. civ., 2014, 989. Curioso è pure l’obiter su di una pretesa operatività, nella specie, di un’annullabilità ex art. 1394
c.c. in luogo ed a scapito dell’art. 322, reputato normalmente norma speciale esclusiva: curiosa perché, se l’estensibilità dell’art. 1394 alle situazioni di rappresentanza legale fosse
costrutto che, Oltralpe, Xxxxxxxx Xxxxx causticamente bolla col neologismo di una principolâtrie168.
Dipende, verrebbe da osservare, in special modo da come l’interprete intenda declinare il concetto di
applicazione normativa.
chiosa170, «un’inezia» la (discutibile) estensione della disciplina consumeristica ai contratti B2B ?
L’impressione, per la verità, è che il ragionamento sia più complesso. Principalmente, di nuovo sunteggiando al massimo il discorso, per due motivi.
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È di tutta evidenza, infatti, che il sofisticato escamotage ideato dalla Corte trovi la sua ragion d’essere nella virtualità satisfattiva connotante gli altri rimedi, penali (art. 570, comma 2, n. 1) e civili (artt. 330 e 334), all’uopo prospettabili, dei rimedi inidonei a traslare sul genitore infedele il costo dell’accadimento dannoso visto che pure un risarcimento per equivalente, nei modi cui all’art. 2043 c.c., ha una valenza compensativa evanescente se l’autore dell’illecito verserà, com’era plausibile supporre che ivi fosse, in una situazione di dissesto patrimoniale. Si aggiunga, valorizzando vieppiù l’interesse del minore, che la retroattività della sentenza di annullamento, unitamente alla sua opponibilità nelle forme descritte sub θ) ai creditori dell’originario acquirente, produrrà l’effetto virtuoso, è questo un sottinteso che aleggia vistosamente in motivazione, di travolgere l’ipoteca giudiziale ed il pignoramento ov’anche trascritti anteriormente (art. 2652 n. 6 c.c.). Il tutto coll’annesso risultato utile a cascata di assicurare al minore l’inespropriabilità dell’immobile acquistato169. Alle corte: la singolare annullabilità parziale subiettiva, di cui la Corte fa questione, evita alla figlia una doppia perdita secca, che sarebbe viceversa immanente ad un’azione civile per danni extracontrattuali. Un annullamento necessitato, perciò, dal risultato consunto cui la tutela per equivalente, ancorché esperibile, condurrebbe.
Tornando così all’incipit del discorso: è forse vero che certe reinterpretazioni creative delle Corti fanno sembrare, come ironicamente altrove si
Primo, è evidente la precomprensione assiologica che impregna il ragionamento della Corte: il rango costituzionalmente primario dell’interesse protetto (la tutela del minore), nell’ottica di un’effettività dell’apparato rimediale che gli fa da corona, scandisce un argomentare orientato alle conseguenze reinterpretante il disposto degli artt. 322 e 1432 c.c. sul duplice presupposto però che
a) la “rettifica” de qua non importava un qualche nocumento all’alienante (il quale, finanche colla modifica dell’intestazione formale del bene, non ha visto messo a repentaglio il suo diritto al corrispettivo) e
b) che il ripristino coattivo dello status quo ante non incocciava in un qualche «principio inderogabile di legge»171. Con una formula compendiosa potrebbe perciò ragionarsi di un’effettività della tutela che è stata intesa come principio orientante l’interprete nella selezione del rimedio applicabile, ovviando ad una lacuna di protezione fortemente sospetta altrimenti ex art. 24 e 111 Cost172. Il tutto avviene, è evidente, in danno dell’affidamento incolpevole nutrito dai terzi creditori di un acquirente che doveva in realtà palesarsi, è ragionevole supporlo, come un imprenditore decotto (rimasto, per di più, contumace)173. Xxxxxx, al riguardo, nulla quaestio sulla circostanza che pure costoro vantino un interesse meritevole di tutela: epperò, nell’ottica di un bilanciamento, viene fatto di pensare che la loro situazione sia perdente rispetto alla plusvalenza assiologica che assiste il diritto della minore. Non
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xxxxxxxx, si avrebbe come effetto di dimidiare quella protezione del minore intorno alla quale ruota l’intera decisione. Gli è infatti che il requisito di una riconoscibilità del conflitto prelude ad una tutela di quel terzo di buona fede che, per contro, l’art.
322 non contempla stante la preminenza, sulle regola di circolazione giuridica, della cornice protettiva da riservarsi all’incapace. Il tutto al netto, per altro, della circostanza che l’atto del genitore, essendosi tradotto in un acquisto a proprio nome, difficilmente sembra riconducibile all’ambito del conflitto, come sarebbe per es. se il padre avesse acquistato il bene come rappresentante legale ma a condizioni svantaggiose. Qui in realtà, riducendo la fattispecie concreta alle sue coordinate basiche, quel che il genitore aveva compiuto era uno storno illecito di denaro, visto che l’immobile era stato acquistato usando come prezzo quel risarcimento danni liquidato in favore del patrimonio della minore.
000 X. X. XXXXX, Xx proportionnalité comme principe, in Sém jur., 2009, fasc. 25, 53 ss.
169 V., puntualmente, XXXXXXX, Annullamento del contratto ex art. 322 x.x. x xxxxxx xx xxxxxxxxx, xxx.
000 Xx allude a NIVARRA, Tutela dell’affidamento e apparenza nei rapporti di mercato, in Oltre il soggetto razionale. Fallimenti cognitivi e razionalità limitata nel diritto privato, a cura di Xxxxx Xxxxxxx e Xxxx Xxxxx, Roma, 2015, 118, nt. 15 o, ancor più corrosivamente, a XXXXXXXXXX, Eclissi del diritto civile, cit. 196, nt. 247 (che discorre di uno «pseudo - principio»). Ma, in senso ben diverso, v. X. XXXXXXXXXXXX, Ingiustizia del danno e tecniche attributive di tutela aquiliana (le regole di responsabilità civile ed il caso Cir c. Fininvest), in Nuova giur. civ. comm., 2014, II, 357, nt. 16 e DI MAJO, La “via di fuga” nel torto aquiliano, in Eur. dir. priv., 2013, 1114.
171 X. Xxxx. 00 maggio 2014, n. 12117, cit. (in motivazione).
172 Ed al fatto di un civilista al quale sempre più «tocca di rendere concreta la tutela fi più alto livello», allude espressamente XXXXXXX, La salvaguardia delle ragioni del creditore. Bilanciamento di interessi, cit. 573.
173 Nell’intento, con tutta probabilità, «di agevolare la difesa della figlia, nella speranza di vederle attribuire ope iudicis il bene immobile» (così XXXXXXX, Annullamento del contratto ex art. 322 c.c. e potere di rettifica, cit. ).
dunque una «presa di posizione dinanzi ad un episodio di vita», sull’assunto che un giudizio improntato ai valori non sia «propriamente giudizio»174, quanto e piuttosto un decidere ruotante intorno ad una regola che non svilisce l’interesse
aveva irrimediabilmente compromesso la fattibilità delle restituzioni, sicché un suo annullamento, per l’impossibilità giuridica e materiale di operare una riduzione in pristino, avrebbe rappresentato per CIR un rimedio inutile donde, per la sua uniqueness
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materiale del danneggiato175. Opporre, com’è stato funzionale, una sostituibilità della tutela risarcitoria.
correttamente osservato176, che i crediti de quibus potrebbero ben essere di lavoro dipendente, complica ma non scompagina l’economia del discorso in quanto lascia intendere che potrebbe aversi, all’occorrenza, un diverso riaggiustamento della regola pattizia.
Secondo, il contesto situazionale di Cass. 12117/2014 è in realtà speculare a quello sottinteso a CIR – Fininvest: là, come si notava, si era avuta un’esecuzione della transazione impugnabile che
174 Così IRTI, Un diritto incalcolabile, cit. 17.
175 Limpidamente DI MAJO, La “via di fuga” nel torto aquiliano, cit. 1114.
176 Xx XXXXXXX, Annullamento del contratto ex art. 322 c.c. e potere di rettifica, cit. 459. Una lettura alternativa della vicenda, nel tentativo di farla apparire meno dirompente, è quella suggerita da XXXXXXXX, L’annullamento parziale del contratto stipulato dal genitore in nome e per conto proprio in violazione dei provvedimenti del giudice tutelare nell’interesse del minore: tante questioni ancora aperte, cit. 625 s. il cui ragionamento, seppur suggestivo, è tuttavia confutabile: immaginare, infatti, una convalida della minore, sub art. 1444, che così si approprierebbe degli effetti del contratto, urta con tutta una serie di argomenti. Vero infatti che l’art. 184, comma 1, c.c. per il caso dell’atto di disposizione compiuto dal coniuge in comunione legale senza il consenso dell’altro, sottende una forma di convalida del coniuge pretermesso che pure non era parte del contratto. Anche infatti a ritenere, il che per altro è alquanto discusso da chi non a caso ragiona di un contraente occulto (x. XXXXXX, L’amministrazione della comunione legale, in Regime patrimoniale della famiglia, a cura di Xxxxxx e Xxxxx, in Diritto di famiglia, diretto da Xxxxx, III, Milano, 20122, ) che il coniuge convalidante non solo dia definitività alla vicenda traslativa ma divenga automaticamente parte del contratto a tutti gli effetti, resta il corposo ostacolo di un parallelismo lasco (se non inesistente) tra le due fattispecie. Il coniuge pretermesso convalidante, al pari di quello che, in virtù di quanto dispone l’art. 180, comma 2, dia il consenso preventivo all’atto di disposizione, pure giova ripeterlo a considerarlo parte, si aggiunge al coniuge stipulante mentre, nella fattispecie de qua, l’atto di convalida della figlia avrebbe subiettivamente un effetto sostitutivo e non additivo. In un contesto siffatto, il richiamo a Cass., S.U., 24 agosto 2007, n. 17952, in Corr. giur., 2008, 507 ss., la quale ha sentenziato, nell’ipotesi di un preliminare di compravendita immobiliare stipulato disgiuntamente da un coniuge in regime di comunione legale, che entrambi gli sposi sono litisconsorti necessari, da cui l’onere per l’altro contraente, che voglia domandare l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c, di convenirli in giudizio, a ben vedere non risolve. Vi osta infatti la circostanza che il dictum della Cassazione si comprende nell’ottica di una contitolarità della res alienata mentre, nella fattispecie de qua, il denaro era di titolarità esclusiva della figlia. Insomma, pure a voler arieggiare l’art. 184, comma 1, c.c., la convalida de qua modifica sì il contenuto del contratto: epperò aggiunge, non sostituisce. Ergo, non è richiamabile come archetipo nel caso de quo, dove l’ortopedia contrattuale è puramente sostitutiva.
Tutto al contrario qui ove invece si aveva una tutela di impugnazione, a motivo di una conclamata impossibilità di eliminare il danno per equivalente, dischiusasi come il solo rimedio in grado di assicurare un ristoro per il danno patito. E da qui, come si diceva, la rilettura degli artt. 322 e 1432 c.c.: ma è l’estrema singolarità della fattispecie, in quel viluppo eccezionale di circostanze identificative in combinazione tra di loro, che ha indotto la Cassazione ad oltrepassare l’utilizzo, altrimenti insuscettibile di pretermissione, dei
«rimedi “ordinari” che, … in ogni altra occasione, sarebbero rimasti intatti»177. Dei rimedi che qui cedono a quello “giusto”, in quanto misura più adeguata alla fattispecie concreta178.
Cass. 12117/2014 e Cass. 21255/2013 dunque si toccano179: se, quando per un’incertezza delle restituzioni conseguenti alla caducazione retroattiva del contratto, può aversi una domanda di risarcimento danni suppletiva all’impossibilità di una restitutio in integrum, non si vede per quale ragione, quando si possa rimuovere il danno soltanto in forma specifica e l’interesse processualmente dedotto sia di rango primario, dovrebbe darsi una mera tutela per equivalente, tecnica che non scalza il pregiudizio e non dissuade. Sunteggiando perciò al massimo, Xxxx. 12117/2014 stilizza, come si è disposto in CIR – Fininvest con un’inversione però dell’ordine dei fattori, un annullamento subiettivo che diviene, in realtà, un surrogato infungibile del risarcimento danni onde evitare che il pregiudizio rimanga allogato là dov’è ( e si aggravi). Il principio di effettività, nella versione del «diritto ad un prodotto giustiziale atipico ed elastico nell’ottica rimediale»180, dà quella copertura tecnica altrimenti mancante,
177 Così, riferito al caso Cir – Fininvest, XXXXX, Il difficile rapporto tra tutela specifica e per equivalente alla prova del caso CIR – FININVEST, cit.
178 V., in termini consimili, X. XXXXXXXXXXX, Il “giusto rimedio” nel diritto civile, cit. 5.
179 Sulla premessa, giova ripeterlo, che il proprium argomentativo di Xxxx. 21255/2013 stia nell’inutilità dei rimedi contrattuali, seppure esperibili, rispetto al bisogno di tutela «cui l’attore [abbia] diritto»: così XXXXX, Il difficile rapporto tra tutela specifica e per equivalente alla prova del caso CIR – FININVEST, cit. e X. XXXXXXXXXXXX, Effettività della tutela e rimedio risarcitorio per equivalente: la Cassazione sul caso CIR c. Fininvest, in Resp. civ. prev., 2014, 46 s.
180 Cfr. ORIANI, Il principio di effettività della tutela giurisdizionale, cit. 66 e X. XXXXXXXXXXX, Il “giusto rimedio” nel diritto civile, cit. 3.
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preludio ad annoverare, ma a prezzo di un misunderstanding interpretativo non da poco, il decisum in oggetto tra i casi (rariores) di una giustizia del caso concreto181. Quando l’equità nulla ha a che spartire col problema in discussione
perché, se il rimedio è la risposta ad un bisogno di
ricorrenti rappresentino il 50% del capitale azionario perché si limita a rendere possibile la convocazione di una nuova assemblea nella quale i soci dissenzienti presumibilmente si opporranno ancora. Xxxx, riaffiora l’immagine di un risarcimento come rimedio doppiante
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tutela, potendo ben darsi un interesse che occasioni
«una pluralità di bisogni», potrà ben aversi il caso di una «pluralità di rimedi »che si scambiano di posto (change of remedies)182.
Cass. 12117/2014 senza dubbio è un unicum, pur se l’inefficacia flessibile ed a geometria variabile del contratto ex art. 122 c.p.a., in conseguenza dell’aggiudicazione, costituisce forse il riferimento sistematico più prossimo183. Non si può dire altrettanto, viceversa, per Xxxx. 21255/2013, sub art. 2377 trovandosi un precedente di merito che le è apparentabile184.
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La narrativa del fatto è sintetizzabile così: chiamato a pronunziarsi su di una domanda di risarcimento danni, presentata nei confronti di soci ostruzionisti i quali avevano fatto rigettare per ben tre volte consecutive il progetto di bilancio presentato dagli amministratori col risultato di provocare poi lo scioglimento della società per impossibilità di funzionamento della stessa, Trib. Catania conclude statuendo che i soci legittimati ad impugnare la delibera assembleare possono domandare altresì il risarcimento di quei danni che l’annullamento non riesca a riparare stante l’assunto che la tutela risarcitoria ex art. 2377, comma 4 non ha un «carattere eccezionale»185. Orbene, per quanto la stringatezza della motivazione si presti ad alimentare equivoci, il sentenziare che la sussidiarietà della tutela risarcitoria è una regola contemplante delle eccezioni, lungi dall’incrinare il ragionamento lo corrobora. Gli è, infatti, che una sentenza annullante una deliberazione negativa di rigetto del bilancio serve a ben poco quando i soci
181 Così, invece, DE MEO, Annullamento parziale della compravendita stipulata dal genitore in pregiudizio del figlio minore ed etero integrazione della parte acquirente, in Contratti, 2015, 9 ss.
182 Cfr. XXXXXXXXX, La nozione di rimedio nel diritto continentale, cit. 588.
183 Una flessibilità esaltante il potere discrezionale del giudice, se è vero che spetta all’apprezzamento delle Corti la valutazione se l’inefficacia debba operare ex nunc o ex tunc, in ragione delle deduzioni delle parti, di quanto sia grave la condotta imputata alla stazione appaltante e della situazione fattuale nel frattempo creatasi. Senza dimenticare la dimensione crescente di una discrezionalità che può tradursi nelle sanzioni alternative dell’art. 123. In argomento, per tutti, x. XXXXX, Il diritto europeo dei contratti e l’evoluzione del diritto interno, in Novecento giuridico, a cura di X. Xxxxxxxxxxx e X. Xxxxxxxxx Xxxxxxx, Napoli, 2013, 303 ss.
184 Il riferimento è a Trib. Catania, 10 agosto 2007, in Riv. dir. comm., 2009, II, 17 ss.
185 Cfr. Trib. Catania, 10 agosto 2007, cit. (in motivazione).
l’annullamento quando questo sia inutile per la sua conclamata inidoneità a reintegrare efficacemente l’interesse leso. Un’interscambiabilità dei rimedi che Xxxx. 12117/2014 pratica non per rettificare la giustezza di un atto di autonomia quanto e piuttosto per recuperare un’utilità ingiustificatamente sottratta. Letta inforcando questi occhiali, Cass. 12117/2014 è argomentativamente discutibile ma nel contempo esprime una logica rimediale la quale, dando normativamente per presupposto l’an della protezione, riveste l’interesse protetto colle modalità esplicative proprie della «tutela più efficiente»186. Tra le forme protettive disponibili187, a fare s’intende dell’effettività un «principio ermeneutico del diritto vigente»188, coniugante ius litigatoris ed ius constitutionis.
Nella prolusione napoletana del 1958, Xxxxxxxx offre una sua personale versione della jheringhiana “lotta per il diritto”, identificando il mestiere del giurista colla «formulazione di teorie … le quali non abbiano in uggia il concreto»189. L’impressione, ribaltando il titolo di quella prolusione, è che il principio di effettività, privilegiando un’argomentazione orientata alle conseguenze, stia innovando il diritto contrattuale attraverso il processo, spostando il baricentro dal fondamento di un istituto agli interessi che questo o quel rimedio mirano a soddisfare. Il tutto con una cifra, detto di
186 Così VETTORI, Il contratto europeo tra regole principi, cit. 23 e XXXXX, Tutela specifica e tutela per equivalente, cit. 72 (sul principio di effettività come canone che impatta «sui mezzi di tutela giurisdizionale per correggere in via interpretativa i difetti di previsione normativa disseminati nel sistema»).
187 In Cass. 21255/2013, si legge che «qualora il fisiologico dipanarsi della vicenda sostanziale impedisca, sul piano obbiettivo, qualsivoglia possibilità di ripristino della situazione quale sarebbe stata in pendenza di una sentenza incorrotta, alla parte non può accollarsi l’onere di instaurare e proseguire un giudizio sostanzialmente inutile (perché inutilmente defatigante)». Ebbene, se al sintagma “sentenza incorrotta” si sostituisce quello di “autorizzazione tutelare” e l’inutilità viene riferita ad un risarcimento dei danni del tutto vacuo, il parallelismo tra le due sentenze diventa marcatamente vistoso, trasformando Cass. 12117/2014 in un arresto che cerca di offrire la massima realizzazione all’interesse ivi tutelato. L’effettività diviene il canone, come scrive MESSINETTI, La sistematica rimediale, in MAZZAMUTO (a cura di), Le tutele contrattuali e il diritto europeo. Scritti per Xxxxxx di Majo, Napoli, 2012, 104 s.
188 Così PROTO PISANI, Il principio di effettività nel processo civile italiano, cit. 830.
189 V. ANDRIOLI, Progresso del diritto e stasi del processo, in
Scritti giuridici, I, Teoria generale del processo, cit. 64.
passata, più calzante di quanto non mostrino di fare certi cascami dei diritti secondi rispetto al diritto comune patrimoniale. L’allusione è al novellato art. 1284, commi 4 e 5 c.c.
Ma qui, com’è intuitivo, si aprirebbe tutto un altro discorso.
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