UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CATANIA
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CATANIA
DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO PRIVATO GENERALE
XXIV CICLO
XXXXXXX XXXXXXXXXX
RIMEDI GENERALI DEL CONTRATTO E RIMEDI EDILIZI DELLA VENDITA.
Limiti e ragioni della specialità
TESI DI DOTTORATO
Coordinatore:
Xxxxx.xx Prof. XXXXXXXX XX XXXX
Tutor:
Xxxxx.xx Prof. XXXXX XXXXXXXXXX
ANNO ACCADEMICO 2010-2011
Capitolo I
Dazione di cosa viziata e mancante di qualità: delimitazione dei confini
1. Premesse generali 1
2. Delimitazione dei confini della fattispecie “dazione di cosa
viziata” (art. 1490 ss. c.c.) 10
3. La “mancanza di qualità, promesse o essenziali” (art. 1497 c.c.): fattispecie di incerta collocazione 24
Capitolo II
Interrelazioni tra disciplina generale del contratto e disciplina della garanzia edilizia nelle ricostruzioni tradizionali
1. Natura e fodamento della garanzia nella
tradizione dottrinale italiana 32
2. Segue. Garanzia ed inadempimento 39
3. Segue. Garanzia: tra errore e presupposizione 44
4. Segue. Garanzia come reazione all’inadempimento
di obblighi precontrattuali 49
5. La garanzia, tra vendita di specie e vendita di genere 58
Capitolo III
Dazione di cosa viziata o mancante di qualità e rimedi generali esperibili
1. Presupposti e funzioni della tutela risolutoria
“generale” e rimedi da garanzia 66
2. Azione di esatto adempimento e rimedi da garanzia 77
3. Segue. La vendita di beni di consumo 83
4. Presupposti e funzione della tutela invalidatoria e
rimedi da garanzia 86
5. Errore (art. 1429, n. 2, c.c.) e mancanza di qualità (art. 1497 c.c.) 96
Capitolo IV
La specialità dei rimedi da garanzia ed
IL CONCORSO CON LE TUTELE GENERALI DEL CONTRATTO
1. Il rapporto tra disciplina generale del contratto e disciplina speciale dei contratti 105
2. La specialità dei rimedi da garanzia 109
3. Le ricadute della specialità della garanzia sul concorso di tutela 113
4. Considerazioni conclusive 117
Bibliografia 121
Sentenze 134
Dazione di cosa viziata e mancante di qualità: delimitazione dei confini
SOMMARIO: 1. Premesse generali. – 2. Delimitazione dei confini della fattispecie “dazione di cosa viziata” (artt. 1490 ss. c.c.). – 3. La “mancanza di qualità, promesse o essenziali” (art. 1497 c.c.): fattispecie di incerta collocazione.
1. Premesse generali
Nella nostra tradizione dottrinale la garanzia per vizi redibitori è sempre stata una figura giuridica di incerta collocazione, sembrando destinata a fluttuare tra teoria generale del contratto e disciplina speciale (della vendita)1. Leggendo, infatti, la produzione scientifica che si è occupata dell‟argomento si ha come l‟impressione che la garanzia soffra, per dir così, di una “crisi di identità”, essendo definita ricorrendo ad istituti
1 L‟oscillazione tra rimedi generali e rimedi speciali connota anche la casistica giurisprudenziale, ove tende a predominare il ricorso ai principi generali validi per l‟inadempimento contrattuale o per i vizi del consenso, nella risoluzione di fattispecie di per sé collocabili nell‟ambito della garanzia per vizi e ciò al fine di divincolarsi dai ristretti termini di prescrizione e decadenza previsti per i rimedi edilizi. Si registra una “fuga” dalla garanzia, la quale legittima, anche, e soprattutto, sul piano pratico, lo studio dei rapporti tra teoria generale del contratto e disciplina speciale della vendita.
Sempre nell‟ottica della estensione temporale della tutela del compratore, ma rimanendo all‟interno della disciplina speciale, va segnalato un recente intervento della Suprema Corte (Cass., sez. un., 21 giugno 2005, n. 13294, in Corr. giur., 2005, 1688), ove si afferma che l‟impegno assunto dal venditore di eliminare i vizi che rendono la cosa compravenduta inidonea all‟uso cui è destinata «non costituisce una nuova obbligazione estintiva-sostitutiva dell‟originaria obbligazione di garanzia, prevista dall‟articolo 1490 del codice civile, ma consente al compratore di essere svincolato dai termini di decadenza e dalle condizioni di cui all‟articolo 1495 del codice civile ai fini dell‟esercizio delle azioni previste in suo favore dall‟articolo 1492 del codice civile, costituendo tale impegno un riconoscimento del debito, interruttivo della prescrizione». Xxxxxx è allora l‟intenzione giurisprudenziale di utilizzare il meccanismo ricognitivo al fine di liberare l‟acquirente dai limiti intrinseci all‟impianto di tutela delineato agli artt. 1490 ss. c.c., e ciò in un‟ottica di dilatazione dei confini della garanzia stessa. Si vedano sul punto le osservazioni di E. XXXXXXXXX, Garanzia per vizi ed impegno del venditore alla riparazione del bene: note critiche a margine di Xxxx. Sez. un. n. 13294/2005, in Riv. dir. civ., 2006, II, 469 ss., spec. 485 ss. e 501 ss.
generali “altro” da sé, piuttosto che essere qualificata in ragione delle sue peculiarità.
Sembra allora determinarsi un legame indissolubile, da meglio definire, tra la figura de qua e la disciplina generale del contratto.
La difficile qualificazione giuridica della garanzia, d‟altronde, era già stata messa in luce dai commentatori del Codice civile abrogato; si affermava, infatti, come la teoria dei vizi redibitori giacesse su di un terreno
«infido», collocato tra la teoria dell‟inadempimento e quella dell‟errore, rischiando di perdere la sua autonomia per divenire inadempimento o errore, ovvero altro da sé2.
Stesse valutazioni possono essere estese alla garanzia prevista e disciplinata dal Codice civile del 1942, essendone pressoché immutata la disciplina3.
Con l‟entrata in vigore del “nuovo” codice civile riprende il dibattito, sorto sotto la vigenza del Cod. civ. del 1865, intorno alla natura giuridica della garanzia; in particolare, la dottrina si interroga sulla possibile riconducibilità della fattispecie “dazione di cosa viziata” alla teoria dell‟errore4 o alla teoria dell‟inadempimento5. Xxxxxx, giova precisare, lo
2 X. XXXXX, La compravendita e la permuta, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da X. Xxxxxxxx, Torino, 1937, 121.
A. NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita dei beni di consumo e categorie dogmatiche, in Europa dir. priv., 2003, 525 ss., e spec. 535, nota 16, ritiene invece che la teoria dei vizi non è «equidistante tra errore e inadempimento: quella relativa ai vizi è una tutela che prescinde dai vizi del consenso, è tutela sinallagmatica in funzione del fatto oggettivo – la cosa è viziata o non ha le qualità che doveva avere – per cui, non risultando realizzato il risultato atteso dal compratore, non è realizzato lo scambio contrattuale».
3 Unica importante novità nel passaggio dal codice abrogato a quello attualmente in vigore è infatti rappresentata dall‟introduzione dell‟ipotesi della “mancanza di qualità” (art. 1497 c.c.), nonché dalla estensione alla stessa dei ristretti termini di decadenza e prescrizione, previsti in origine per la sola garanzia redibitoria; scelta normativa finalizzata alla riduzione del vasto contenzioso che si era formato in merito alla distinzione concettuale tra “vizi” e “mancanza di qualità”. Stesso contenzioso connota oggi però la contrapposizione tra vizi-mancanza di qualità, da un lato, e aliud pro alio datum, dall‟altro (per ulteriori indicazioni sul punto si rinvia a X. XXXXXXXXX, Redibitoria (azione), in Enc. giur. Treccani, XXVI, Roma, 1991, 7).
4 Si vedano a tal riguardo X. XXXXXXXXX, Verità, errore ed opinione circa la paternità dell’opera d’arte compravenduta (nota a Trib. Milano, 12 giugno 1947), in Giur. it., 1948, I, 2, 193 e X. XXXXXXXXXX, Errore o inadempimento?, in Riv. dir. civ., 1961, I, 259,
studio teso a comprendere il complesso fenomeno della garanzia ha preso altre direzioni ancora, fruendo di figure quali la responsabilità precontrattuale6 e la presupposizione7.
Volendo sintetizzare i diversi orientamenti elaborati dalla dottrina, è possibile affermare che in tema di fondamento della garanzia si contrappongono due opposte prospettive: l‟una legata al momento formativo del contratto di compravendita (teoria dell‟errore e della responsabilità per illecito in contrahendo), l‟altra, invece, legata al
i quali ritengono la disciplina dell‟errore assorbente nel solo caso di vendita di specie, rinviando invece alla disciplina dell‟inadempimento nel caso di vendita generica.
Da ultimo la tesi dell‟errore è stata sostenuta da X. XXXXXXXXX, I singoli contratti, in Commentario del codice civile, 3° ed., Torino, 1991, 67 ss., il quale così conclude: «il rimedio contro il vizio della cosa reagisce, […], ad una deficiente rappresentazione dell‟effettiva consistenza dell‟oggetto del contratto, nel momento della stipulazione, sicché meglio andrebbe accostato al fenomeno dell‟errore, che si presenta in relazione al contenuto del contratto come essenziale per la gravità del difetto, anche se non sempre riconoscibile».
5 La prospettiva dell‟inadempimento contrattuale è stata sostenuta da X. XXXXXX, La compravendita, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Xxxx e Messineo, 2° ed., Milano, 1962, il quale qualifica la garanzia come sanzione contro l‟irregolarità incolpevole dell‟attribuzione patrimoniale.
Simile prospettiva è stata più di recente ripresa da X. X. XXXXXX, La vendita e la permuta, in Trattato di diritto civile italiano, fondato da Vassalli, II, 2° ed., Torino, 1993, 709 s., collocando la garanzia nell‟alveo della responsabilità contrattuale per inadempimento dell‟impegno traslativo del venditore.
Entrambi gli autori ritengono i rimedi edilizi applicazione dei principi generali validi in tema di inadempimento contrattuale; la dialettica tra rimedi generali e rimedi speciali è dunque superata incardinando i secondi nel più vasto terreno dei primi.
Xxxxxxx, invece, che la garanzia dia adito ad una ipotesi di responsabilità contrattuale speciale, A. LUMINOSO, Xxxxxxx, in Digesto civ., XIX, Torino, 1999, 637 ss.; in particolare, la specialità della responsabilità per vizi discenderebbe non dalla natura dei rimedi concessi ma dalle peculiarità della fattispecie stessa, connotata dal fatto che l‟inadempimento deriva da anomalie antecedenti alla conclusione del contratto.
La disciplina della garanzia altro non è che specificazione delle più generali regole della responsabilità contrattuale per X. XXXXXXX PISU, Garanzia e responsabilità nelle vendite commerciali, Milano, 1983, 284.
6 Per la teoria della responsabilità precontrattuale si rinvia alle indicazioni bibliografiche offerte da X. XXXXXXX PISU, Garanzia e responsabilità nelle vendite commerciali, cit., 84 ss., nonché al § 4 del Capitolo II.
7 L‟idea secondo cui la garanzia offrirebbe un rimedio contro lo squilibrio determinato dalla falsa rappresentazione del compratore sui motivi che lo hanno indotto a contrarre è sostenuta, in Italia, da X. XXXXXXXXX, La tutela del compratore per i vizi della cosa, Napoli, 1959.
Per una serrata critica della figura della presupposizione si veda A. XXXXXXXX, La presupposizione, in Trattato di diritto privato, diretto da Xxxxxxx, XIII, 4, Il contratto in generale, Torino, 2003.
momento esecutivo (teoria dell‟inadempimento)8. La teoria della presupposizione, invece, si colloca a metà delle due posizioni viste, in quanto figura tradizionalmente collegata sia alla conclusione del vincolo contrattuale – ponendosi come fattispecie d‟invalidità – sia al suo regolare e fisiologico funzionamento – qualificandosi come fattispecie di risolubilità9.
Ciò premesso, occorre sin d‟ora chiarire come finalità della presente indagine non sia tanto riuscire ad individuare natura e fondamento concettuale della garanzia, quanto piuttosto interrogarsi sul senso e sulla portata della specialità dei rimedi edilizi, nel raffronto con i rimedi contrattuali “generali”. E proprio a tal fine è sembrato utile ricordare, rinviando ad una successiva disamina, le varie teorie elaborate dalla dottrina in tema di fondamento della garanzia; queste, infatti, assumono rilievo nella misura in cui permettono di osservare la figura in esame per il tramite di istituti di parte generale.
Analogo approccio è fruibile nello studio di una differente fattispecie, quale è la vendita di cosa mancante di qualità promesse o essenziali per l‟uso cui è destinata, disciplinata dall‟art. 1497 x.x. Xxxxx la norma de qua è tradizionalmente collocata in una posizione ibrida, tra garanzia, errore ed inadempimento10.
8 Predomina la prospettiva esecutiva-effettuale anche in quelle voci dottrinarie che ricostruiscono la garanzia come effetto contrattuale a carattere assicurativo, effetto il cui realizzarsi è condizionato dalla violazione della lex contractus; è la posizione espressa da
X. XXXXXXX, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, in Riv. dir. comm., 1953, I, 3 ss. Per ulteriori indicazioni in merito alla tesi citata si rinvia a X. XXXXXXX PISU, Garanzia e responsabilità nelle vendite commerciali, cit., 68 ss.
9 Si rinvia ad A. BELFIORE, La presupposizione, cit., 1, il quale così presenta la controversa figura della presupposizione: «Nell‟uso corrente, il termine “presupposizione” designa un criterio di organizzazione dell‟esperienza giuridica ignoto al diritto scritto, ed ha lo specifico compito di segnalare una fattispecie d‟invalidità e/o di risolubilità del contratto (del negozio) non riconducibile (usualmente ritenuta non riconducibile) in via diretta e puntuale agli enunciati del codice».
10 L‟esatta delimitazione della previsione in commento tra errore ed inadempimento rappresenta questione ampiamente dibattuta ed approfondita in dottrina; si rinvia, per il momento, alle osservazioni di P. BARCELLONA, Errore (dir. priv.), in Enc. dir., XV, Milano, 1966, 246; X. XXXXXX, Errore e inadempimento nel contratto, Milano, 1967; nonché al Cap. III, § 5.
La costante oscillazione tra disciplina speciale e teoria generale del contratto caratterizzante la garanzia per vizi è ancor più presente nella fattispecie da ultimo richiamata, dal momento che è lo stesso legislatore ad invocare il rimedio generale della risoluzione per inadempimento, di cui all‟art. 1453 c.c. Un rimedio però sottoposto ai ristretti termini di decadenza e prescrizione previsti per i rimedi edilizi, tant‟è che la risoluzione cui ha diritto l‟acquirente sembra allontanarsi dall‟art. 1453 c.c. per avvicinarsi alla logica cui soggiace la garanzia11.
In uno scenario concettuale caratterizzato da una interrelazione continua tra disciplina speciale (della garanzia) e teoria generale del contratto, appare indispensabile il riferimento al problema del concorso di tutele, quale corollario della difficile collocazione sistematica dell‟istituto della garanzia. La possibilità, infatti, che la fattispecie dazione di cosa viziata o mancante di qualità sia ricondotta a previsioni normative altre rispetto alle norme che prevedono i rimedi edilizi, rende, eventualmente, prospettabile un concorso di rimedi (speciali-generali).
Tradizionalmente la dottrina italiana12, facente capo a Chiovenda, distingueva tra concorso di azioni e concorso di norme, ritenendo ricorrente la prima ipotesi nelle seguenti eventualità: le azioni concorrono tra persone diverse pur tendendo alla stessa prestazione; le azioni concorrono tra le stesse persone, tendono alla medesima prestazione ma differiscono per la causa petendi; le azioni concorrono tra le stesse persone e, pur tendendo a
11 Per la riconducibilità dell‟azione di risoluzione, cui rinvia l‟art. 1497 c.c., all‟istituto della garanzia quale sua sede naturale, si pronuncia X. XXXXXXX, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., 22.
La collocazione del rimedio caducatorio richiamato dall‟art. 1497 c.c. nell‟ambito della garanzia implica, conseguentemente, il riconoscimento dell‟obbiettività dello stesso, e quindi dell‟operatività del rimedio a prescindere dalla ricorrenza della colpa nel venditore. Si vedano sull‟argomento: X. XXXXXX, In tema di compravendita: mancanza di qualità, mancanza di colpa e garanzia, in Riv. dir. civ., 1960, I, 385 ss.; e, da ultimo,
A. XXXXX, Risoluzione per mancanza di qualità e colpa del venditore, in Contratti, 2010, 627 ss.
12 Per una compiuta ricostruzione storica della figura del concorso di azioni si veda X. XXXXX, Concorso delle azioni nel diritto romano, medievale e moderno, in Digesto civ., III, 251 ss.
diverse prestazioni, sono coordinate al medesimo scopo economico. Si riteneva sussistente, invece, la diversa figura del concorso di norme quando la stessa fattispecie concreta cadeva sotto norme diverse.
La classica contrapposizione tra “concorso di azioni” e “concorso di norme” tende nel tempo a sbiadire, traslando la problematica del concorso dal piano processuale al piano sostanziale, ove è più corretto discorrere di concorso di diritti soggettivi piuttosto che di azioni. In altri termini, il concorso di tutela ricorre quando uno stesso fatto è riconducibile a più norme contemplanti distinte fattispecie astratte, rispetto alle quali l‟ordinamento giuridico riconosce differenti diritti e azioni. Il fondamento genetico di un concorso di azioni va dunque rintracciato nel concorso di fattispecie.
Ed è proprio quel che sembrerebbe accadere a fronte della fattispecie “vendita di bene viziato o mancante di qualità”, ove errore e inadempimento, coi relativi rimedi, contendono il campo – non solo a livello teorico, ma anche nella prassi – ai “romanistici” rimedi edilizi.
Xxxxx a tal riguardo menzionare il conflitto-concorso ravvisato tra l‟art. 1497 x.x. x x‟xxx. 0000, x. 0, x.x. Xxxxx regolanti, la prima, la dazione di cosa mancante di qualità essenziali o promesse, e, la seconda, l‟errore ricadente su qualità dell‟oggetto della prestazione che, in considerazione del comune apprezzamento o delle circostanze, devono ritenersi determinanti del consenso. Si tratta di norme che, pur tutelando interessi differenti, risultano invocate dalla giurisprudenza al fine di dare soluzione alla medesima fattispecie concreta13, seppure l‟una in alternativa all‟altra. E‟ la
13 Si intende fare riferimento all‟ipotesi di errore sulla paternità dell‟opera d‟arte compravenduta, ove la medesima fattispecie è stata dalla giurisprudenza ricondotta alla figura dell‟errore, in primo grado, alla mancanza di qualità, in appello, e alla consegna di xxxxx pro alio, in Cassazione (Cass., 14 ottobre 1960, n. 2737, in Foro it., 1960, I, c. 1914). Si veda in tal senso anche Cass., 1 aprile 1976, n. 1151, in DeJure, ove si sancisce la possibilità di proporre l‟azione di annullamento per errore in via subordinata rispetto all‟azione di risoluzione per mancanza di qualità essenziale, non sussistendo tra le due azioni alcun rapporto di incompatibilità o di reciproca esclusione, concernendo la prima
dottrina a ritenere possibile un rapporto concorrenziale, di tipo cumulativo, tra le differenti tutele14.
Ciò posto, al fine di affrontare il problema del concorso delle tutele, si adotterà, dapprima, un approccio “descrittivo”, volto a lumeggiare i contorni delle fattispecie in esame, nell‟ottica di un possibile raffronto con i rimedi di parte generale, per poi in seguito, affrontare il problema in chiave funzionalistica15, e ciò al fine di comprendere se la dazione di cosa viziata o mancante di qualità, per come descritta dal legislatore agli artt. 1490 ss. e 1497 c.c., possa permettere l‟attivazione di meccanismi di tutela di carattere generale quali l‟annullamento16, o la risoluzione (ex art. 1453
azione il momento formativo del contratto, mentre la seconda il profilo funzionale della causa.
14 Si vedano a tal riguardo: X. XXXXXXXXX, L’errore nella dottrina del negozio giuridico, Padova, 1963, 415 ss. e spec. 418, il quale sostiene il cumulo delle azioni di annullamento e di risoluzione, stante l‟inoperatività del criterio di specialità, affermando: «la norma di cui all‟art. 1497 c.c. non prende in diretta considerazione lo stato psicologico chiamato errore, bensì la mancanza delle qualità in sé per cui più che di una disciplina speciale dell‟errore, si deve parlare del pratico conflitto, o concorso di due disposizioni, che richiede un coordinamento»; A. CACCIA, L’errore e l’inadempimento nella compravendita dei dipinti antichi, in Vita not., 1985, 1021 s.
15 L‟ipotetica mancanza dei rimedi edilizi è stata, seppure incidentalmente, presa in considerazione da X. XXXXXX, La compravendita, cit., 757 ss., nei seguenti termini:
«Anche se la legge avesse taciuto al riguardo, la presenza di vizi nella cosa non avrebbe potuto non determinare reazioni di ordine giuridico sul rapporto: reazioni che con contenuto parzialmente diverso, sarebbero derivate dai principi generali. E precisamente avrebbero potuto discendere dai principi dell‟errore. Ed in verità, aprioristicamente sarebbe stato possibile alla legge di configurare questi vizi come un caso di errore del compratore sui requisiti della cosa, tutelandolo quindi con l‟annullabilità del contratto: […] in tanto il compratore vuole e compera quella data cosa, in quanto la ritiene immune dai vizi. Ma il nostro diritto positivo ha preferito configurare l‟ipotesi come sanzione per inadempimento (rectius: inesatto adempimento). […] Sempre aprioristicamente parlando, nell‟ipotesi che la legge avesse taciuto al riguardo, le reazioni alla presenza di vizi nella cosa avrebbero potuto derivare dai principi generali sull‟inadempimento colposo, in caso di colpa del venditore, o da quelli sull‟inadempimento non imputabile, nel caso opposto». L‟Autore non sviluppa ulteriormente la ricordata riflessione e conclude definendo la scelta del legislatore in termini di «speciale sanzione dell‟irregolarità dell‟attribuzione patrimoniale (ad effetto reale) costituita dal trasferimento del diritto» (ID., op. cit., 759). In altri termini, per l‟Autore citato, in ragione di come è delineata la fattispecie “vendita di cosa viziata”, l‟inadempimento “prevale” sulla aprioristica ipotesi dell‟errore.
16 Il rimedio invalidatorio richiamato potrebbe trovare giustificazione nell‟errore (del compratore) o nel dolo (del venditore), sempre che si riesca a dimostrare che la fattispecie “dazione di cosa viziata” sia connotata, in modo più o meno latente, da tali vizi del volere. Inoltre, il richiamo all‟errore non sembra peregrino alla luce della seguente considerazione: identico, seppure ad una prima veloce osservazione del fenomeno, appare
c.c o ex art. 1464 c.c)17. E ciò non al fine di obliterare il dato positivo, ma al fine di meglio comprendere il modo in cui l‟interazione tra istituti di parte generale ed istituti di parte speciale in concreto opera.
Invero, il problema del concorso di tutela, nell‟ambito della fattispecie dazione di cosa viziata o mancante di qualità, potrebbe essere affrontato anche dalla differente ed ulteriore prospettiva delle ricadute pregiudizievoli.
Se, da una parte, il conflitto tra norme attiene alla conservazione/caducazione della fattispecie contrattuale, dall‟altra, il concorso/cumulo di rimedi riguarda l‟eliminazione dei danni consequenziali. Il profilo risarcitorio, infatti, costituisce aspetto peculiare del meccanismo di tutela delle istanze del compratore deluso.
Nella tutela dell‟acquirente di cosa viziata occorre distinguere i seguenti profili: quello attinente al rapporto di proporzionalità tra il valore del bene ed il corrispettivo pagato ed il diverso aspetto dei danni causati proprio dalla dazione di cosa difettosa.
Dal primo punto di vista, è il ricorso alla tutela restitutoria a permettere il ripristino dell‟equilibrio tra le prestazioni contrattuali, equilibrio leso dalla consegna di un bene avente un valore inferiore rispetto a quello dovuto, in quanto contrattato e pagato dall‟acquirente. E tale tutela restitutoria può essere totale, ricorrendo all‟azione di risoluzione, ovvero parziale, ricorrendo alla riduzione del prezzo.
l‟interesse tutelato e dall‟azione di annullamento e dai rimedi edilizi. In entrambi i casi, infatti, si tende a preservare l‟interesse negativo del compratore, ovvero quello mirante al ripristino della situazione giuridica anteriore alla stipula del contratto. La restaurazione dell‟ordine violato può essere conseguito o invalidando il contratto o eliminandone gli effetti; l‟esito pratico non è però diverso nei due casi. Sulla interrelazione tra interesse negativo ed interesse positivo nella disciplina della garanzia redibitoria si veda X. XXXXX, Interesse negativo e responsabilità precontrattuale, Milano, 1990, 618 ss.
17 La dissoluzione del vincolo contrattuale potrebbe invero fondarsi o sull‟inesatta attuazione della attribuzione patrimoniale cui è tenuto il venditore, collocando la vicenda in esame nel campo della responsabilità contrattuale (art. 1453 c.c.), o sull‟impossibilità parziale della prestazione “traslativa”, prescindendo da una valutazione soggettiva della fattispecie in favore di una prospettiva obbiettiva (art. 1464 c.c.). Si veda a tal proposito quanto osservato al Cap. III, § 1.
Sotto la specola, invece, del ristoro delle conseguenze pregiudizievoli, la legge (art. 1494 c.c.) assicura la copertura dei danni in caso di ignoranza colpevole dei vizi, da parte del venditore (art. 1494, 1° comma, c.c.), nonché di quelli derivanti dalla «introduzione dannosa della cosa nella sfera del compratore»18 (art. 1494, 2° comma, c.c.).
Particolarmente dibattuto è il problema dei rapporti intercorrenti tra la tutela assicurata dai classici rimedi edilizi e la tutela risarcitoria, nonché delle interrelazioni tra il primo ed il secondo comma dell‟art. 1494 c.c., che, come già chiarito, prevede esplicitamente nell‟alveo della disciplina della garanzia redibitoria il diritto del compratore al ristoro dei danni patiti.
Si impone allora, nella trattazione del tema in oggetto, il riferimento alla questione concernente l‟aspetto duplice che il fenomeno garanzia assume nel nostro ordinamento giuridico: quello propriamente restitutorio, che ha lo scopo di riequilibrare le prestazioni contrattuali, e quello risarcitorio, teso a ristorare l‟acquirente per i danni subiti a causa del vizio della cosa.
La doppia anima della garanzia induce a riflettere sul modo di intendere le relazioni reciproche tra le due indicate forme di tutela. Più precisamente, occorre vagliare se il risarcimento del danno da vizi sia sanzione accessoria alla garanzia ovvero sia piuttosto rimedio indipendente da essa, in quanto mirante alla tutela di interessi ultronei rispetto a quelli rilevanti in sede “redibitoria”19 e se, quindi, l‟esperibilità della tutela
18 Le parole usate sono di X. XXXXXXXXXX, Problema e sistema nel danno da prodotti, Milano, 1979, 480.
19 Diverso aspetto – non oggetto di specifica trattazione nel presente lavoro, in quanto problema collocabile esclusivamente nell‟alveo della tutela risarcitoria e non anche nel raffronto tra rimedi edilizi e rimedi generali a tutela del compratore – è quello attinente al concorso tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Una delle tipiche ipotesi di concorso di responsabilità (contrattuale ed extracontrattuale) sostenuta in giurisprudenza è rappresentata, infatti, dalla vendita di cosa viziata. In particolare, avuto riguardo al pregiudizio causato al compratore per i vizi della cosa, la Suprema Corte ha stabilito che, ove questo realizzi una lesione di diritti assoluti, la tutela non può essere elisa dalla circostanza che il compratore abbia stipulato il contratto, dal momento che l‟art. 1494, comma 2, c.c., non comprende qualsiasi danno giuridicamente rilevante derivante dai vizi della cosa, ma esclusivamente le ricadute pregiudizievoli della lesione di interessi
risarcitoria sia condizionata dal previo esperimento dell‟azione redibitoria o della quanti minoris, o se piuttosto sia autonoma dalla tutela restitutoria20.
Si tratta di quesiti la cui soluzione presuppone l‟esatta descrizione delle fattispecie generatrici dei rimedi da garanzia, come si tenterà di chiarire nel prosieguo.
2. Delimitazione dei confini della fattispecie “dazione di cosa viziata” (artt. 1490 ss. c.c.)
L‟incertezza e l‟ambiguità che affliggono la garanzia redibitoria nel nostro ordinamento giuridico si scorgono già nel definire la stessa nozione di “vizio”, quale perno attorno al quale ruota l‟intera fattispecie descritta agli artt. 1490 e 1491 c.c. Indispensabile appare la trattazione di tale tema; infatti, in uno studio teso all‟analisi dei rapporti, concorrenziali o di reciproca esclusione, intercorrenti tra rimedi generali e rimedi edilizi non si può che prendere avvio proprio dalla descrizione dei presupposti per
connessi al vincolo negoziale. In riferimento allora ai danni derivanti dalla lesione di diritti assoluti del compratore, si ammette il concorso dell‟azione diretta a far valere la responsabilità contrattuale con l‟azione aquiliana. Per tale orientamento, oggi prevalente, si veda Cass., 5 febbraio 1998, n. 1158, in Giur. it., 1999, 32.
20 In favore dell‟autonomia della tutela risarcitoria rispetto alla tutela “edilizia”, si veda Xxxx., sez. II, 6 dicembre 2001, n. 15481, in Mass. Giur. it., 2001, ove si afferma il seguente principio: «Il compratore, che abbia subito un danno a causa dei vizi della cosa, può rinunciare a proporre l‟azione per la risoluzione del contratto o per la riduzione del prezzo ed esercitare la sola azione di risarcimento del danno dipendente dall‟inadempimento del venditore, sempre che – in tal caso – ricorrano tutti presupposti dell‟azione di garanzia e, quindi, siano dimostrate la sussistenza e la rilevanza dei vizi ed osservati i termini di decadenza e di prescrizione ed, in genere, tutte le condizioni stabilite per l‟esercizio di tale azione».
In dottrina si veda X. XXXXXXXXXX, Problema e sistema nel danno da prodotti, cit., 434 ss. e spec. 451, il quale qualifica la previsione di cui all‟art. 1494, 1° comma, c.c., in termini di responsabilità precontrattuale per violazione del dovere di correttezza nello svolgimento delle trattative, responsabilità perfettamente autonoma ed indipendente dai rimedi edilizi, vista l‟adozione di uno schema atomistico nella previsione della tutela risarcitoria a vantaggio dell‟acquirente di cosa viziata; invece, l‟enunciato normativo di cui al secondo comma dell‟articolo pocanzi menzionato, sempre secondo l‟Autore da ultimo citato, farebbe riferimento ad un‟ipotesi di responsabilità contrattuale derivante dall‟inadempimento di un obbligo accessorio rispetto all‟obbligo di consegna.
l‟attivazione delle azioni redibitoria ed estimatoria. Soltanto l‟individuazione della fattispecie legittimante il ricorso al meccanismo “garanzia” permetterà di stabilire se sussista o meno la possibilità per il compratore di optare anche per l‟operatività di forme di tutela generale, quali l‟annullamento del contratto per errore sulle qualità della res ovvero la risoluzione per inadempimento o per impossibilità della prestazione. Ove la dazione di cosa viziata o mancante di qualità fosse, per come delineata dal legislatore agli artt. 1490 ss. c.c., perfettamente riconducibile ad un‟ipotesi di errore o di inadempimento o di impossibilità della prestazione, chiare sarebbero le ricadute problematiche che ne discenderebbero in ordine alla tutela di cui in concreto l‟acquirente del bene potrebbe usufruire21. Detto altrimenti, l‟ipotetica identità di presupposti, per i rimedi speciali e generali, potrebbe giustificare un concorso di tutele, a vantaggio del compratore il quale si ritroverebbe nella possibilità di scegliere per gli uni o per gli altri, sempre che non si ravvisi nella specialità della disciplina della garanzia redibitoria un limite all‟operatività dei rimedi generali.
Ciò posto, la delimitazione dei confini dei vizi redibitori – come sottolineato da autorevole dottrina22 – è resa particolarmente difficile dalla previsione normativa della distinta figura della “mancanza di qualità”, fattispecie la quale solo in parte permette l‟attivazione del congegno rimediale tradizionalmente previsto in caso di garanzia. L‟art. 1497 c.c., infatti, nel colmare il precedente vuoto normativo sul punto, disciplina in modo specifico le conseguenze cui il venditore si espone nel caso in cui il
21 Le ricadute concrete del problema circa l‟esatta delimitazione della fattispecie in esame sono avvertite anche da X. XXXXXXXXX, La reticenza nella formazione dei contratti, Padova, 1972, 164, limitatamente al concorso tra annullamento per errore e azioni edilizie, chiarendo come «ravvisando un‟identità di fattispecie alla loro base o [si] ammette la facoltà del compratore di scegliere la disciplina a lui più favorevole, o [si] ritiene assorbita l‟azione di annullamento da quelle redibitorie a causa della loro specialità rispetto alla prima».
22 Il riferimento è a X. XXXXXX, La compravendita, cit., 759 ss., ove si legge: «Le maggiori difficoltà teoriche e pratiche in questa materia si sono sempre avute nel determinare l‟ambito della categoria dei «vizi» (detti con termine romanistico, vizi redibitori), per distinguerli dalla ipotesi della mancanza di qualità della cosa».
bene venduto sia sprovvisto delle qualità promesse ovvero essenziali per l‟uso cui è destinato, prevedendo il diritto dell‟acquirente a chiedere ed ottenere la risoluzione del contratto per inadempimento, ai sensi dell‟art. 1453 c.c. Il rimedio risolutorio de quo è però sottoposto ai ristretti termini di decadenza e di prescrizione previsti per i rimedi edilizi dall‟art. 1495 x.x. Xxxx‟è che quasi completa appare l‟assimilazione delle due figure sul piano operativo23. Ma la contemplazione di “vizi” e “mancanza di qualità” in due differenti norme codicistiche impone all‟interprete lo studio delle differenze intercorrenti tra le due fattispecie, pur eventualmente contestandone l‟identità sul piano operativo; identità che metterebbe in crisi la stessa contrapposizione ontologica e concettuale delle due figure24. In altri termini, non si può obliterare il dato normativo, in forza del quale i vizi redibitori sono cosa diversa dalla mancanza di qualità, promesse o essenziali25. E proprio la comparazione tra i concetti di “vizio” e “mancanza
23 Il fine della scelta del legislatore del ‟42 di prevedere esplicitamente la vendita di cosa mancante di qualità, come ipotesi distinta dalla dazione di cosa viziata, ancorchè assoggettata ai medesimi termini di decadenza e prescrizione, e , quindi, di assimilarle sul piano operativo, derivava dalla volontà di ridurre le numerose controversie sorte per la distinzione tra le due categorie (Relazione del Guardasigilli, n. 670). E‟ quanto sottolineano X. XXXXX e X. XXXXXXX, Della vendita, in Comm. Cod. civ., a cura di A. Scialoja e X. Xxxxxx, Bologna, 1981, 237, affermando che: «Disciplina dei vizi e dei difetti di qualità sono accomunate tra di loro sotto l‟aspetto, che maggiormente aveva dato esca un tempo alle liti, quello dei termini di decadenza e di prescrizione».
24 A favore dell‟unificazione di discipline si pronunciava X. XXXXXX, La compravendita, cit., 760.
25 Sulla difficile distinzione concettuale e, primariamente, “pratica”, tra vizi e mancanza di qualità, si veda X. XXXXXXX, Osservazioni in tema di mancanza di qualità ovvero consegna di aliud pro alio, in Rass. dir. civ., 1980, 1086 ss. e spec. 1101, il quale laconicamente conclude: «nonostante i lodevoli tentativi fatti per individuare in ogni caso un criterio distintivo fra le varie ipotesi, non è possibile individuare una «formula magica», una definizione univoca dei vizi, della mancanza di qualità e dell‟aliud pro alio, idonea a risolvere tutte le ipotesi con un minimo di certezza e di uniformità: e la stessa necessità, una volta individuato un criterio (che potrebbe essere, per l‟aliud pro alio, la diversa destinazione economico-sociale), di precisarlo, di correggerlo, di adattarlo nei vari casi, è indicativa di quanto questa tripartizione appaia empirica ed approssimativa. E questo non ci pare certo un argomento a favore dell‟utilità legislativa e pratica della classificazione predetta».
di qualità essenziali o promesse” assorbe la gran parte della produzione giurisprudenziale in tema di garanzia edilizia26.
In un primo tempo la definizione di vizio appariva residuale, in quanto la giurisprudenza lo identificava con «qualsiasi differenza tra cosa pattuita e quella consegnata, che non investa la qualità sostanziale della cosa»27, intendendo per qualità essenziale ogni «elemento intrinsecamente necessario perché si abbia il prodotto che il compratore intese acquistare»28, con la precisazione che l‟essenzialità potesse derivare anche dalla volontà delle parti contrattuali29. A tale orientamento “generico” ne segue uno “dettagliato”, all‟esito del quale il vizio redibitorio acquista un significato proprio e non meramente residuale rispetto alla nozione di qualità; si delinea così una nozione-guida nella materia, al di là del dato normativo, privo di una definizione positiva di vizio. Più precisamente, il vizio inizia ad essere pacificamente definito come quella imperfezione della cosa imputabile ad una anomalia del processo di produzione o fabbricazione30, determinante una diminuzione apprezzabile del valore economico della stessa ovvero l‟inidoneità di essa allo svolgimento della funzione sua propria o contrattualmente indicata31. A tal riguardo, giova precisare che l‟uso rispetto al quale poter valutare l‟inidoneità della res tradita è quello
26 A puro titolo esemplificativo si vedano: Cass., 9 luglio 2008, n. 18859, in Rep. Foro it., 2008, «Vendita», n. 47; Trib. Xxxxxxx, 3 gennaio 2007, in Rep. Foro it., «Vendita», n. 48, ove lapidariamente si afferma: «Il vizio redibitorio della cosa riguarda il processo di produzione e conservazione; il vizio di qualità inerisce agli elementi essenziali e sostanziali della merce che ne distinguono una specie dall‟altra». Per una dettagliata rassegna giurisprudenziale si rinvia a X. XXXXXXX XXXXXXXX XXXX, La compravendita, 2° ed., in Giurisprudenza sistematica civile e commerciale, fondata da X. Xxxxxxx, Torino, 1985, 657 ss.
27 App. Milano, 24 aprile 1942, in Mon. Trib., 1942, 451.
28 Trib. Genova, 22 luglio 1941, in Temi genov., 1942, 27.
29Cass., 13 dicembre 1949, n. 2588, in DeJure.
30 Il concetto di vizio redibitorio viene fissato da Cass., 31 marzo 1952, n. 880 (in Giur. compl. Cass. civ., 1952, II, 109, con nota di E. FERRARA, Azione contrattuale di risoluzione e redibitoria) nel «difetto derivante dal modo imperfetto della fabbricazione».
31 Si veda X. X. XXXXXXXXX, Redibitoria (azione), cit., 8. Incerto appare il concetto di “inidoneità all‟uso”, in ordine alla determinazione del grado di inidoneità rilevante ai fini dell‟attivazione della garanzia ex art. 1490 c.c. (X. XXXXXXX, Xxxxxxx, in Enc. giur. Treccani, XXXVII, Roma, 1994, 25).
determinato in base alle condizioni normali di utilizzo della stessa32. Inoltre, l‟inidoneità di cui sopra non è sinonimo di inutilizzabilità della cosa, sussistendo la rilevanza del vizio anche nel caso in cui esso diminuisca solo in misura minima la funzionalità del bene, incidendo negativamente sul valore economico dello stesso. Si precisa, infatti, che la minore idoneità acquista rilevanza giuridica alla luce dell‟ampia nozione di “diminuzione di valore”, comprendente anche le ipotesi in cui i vizi, pur rendendo solo minimamente inidonea la cosa o non incidendo affatto sulla funzionalità della stessa, ne determinano una apprezzabile diminuzione di valore33.
Il cod. civ. del 42, aggiungendo al criterio funzionale (dell‟inidoneità della res all‟uso cui essa è destinata) il criterio economico della diminuzione del valore del bene, innova la definizione di vizio contemplata nel previgente codice, ove all‟art. 1498 testualmente si prevedeva: «Il venditore è tenuto a garantire la cosa venduta dai vizi o difetti occulti che la rendono non atta all‟uso cui è destinata, o che ne diminuiscono l‟uso in modo che se il compratore gli avesse conosciuti, o non l‟avrebbe comprata o avrebbe offerto un prezzo minore». Scompare altresì nella delimitazione dei confini della fattispecie “dazione di cosa viziata” la formula di sapore subiettivo, in forza della quale occorreva, al fine di stabilire la rilevanza del vizio per l‟operatività dei rimedi edilizi, indagare l‟ipotetica volontà dell‟acquirente in caso di cognizione del vizio34. Oggi, invece, sembra non esserci spazio per un‟indagine di tal sorta, essendo piuttosto condizionata la rilevanza dei vizi al ricorrere di
32 Si vedano sul punto le indicazioni di X. XXXXXXX, Xxxxxxx, cit., 25.
33 X. XXXXXX, La compravendita, cit., 776.
34 Sotto la vigenza del codice civile del 1865, infatti, duplice era il criterio da seguire nella verifica della sussistenza del vizio redibitorio, come testimonia X. XXXXXX, La teoria dei vizi redibitori, Torino, 1906, 337, ove testualmente si legge: «duplice dovrà essere il criterio che deve guidare il giudice nella determinazione del vizio redibitorio: un criterio soggettivo derivato dalla presumibile intenzione del compratore e da trarsi, secondo il nostro avviso, unicamente dalle circostanze nelle quali il contratto ebbe vita, ed un criterio oggettivo dedotto dall‟inettitudine della cosa all‟uso cui essa è destinata».
circostanze obbiettive, quali: la materialità; la preesistenza alla conclusione del contratto; la non facile riconoscibilità.
Il primo dei requisiti sopra elencati, invero, non è espressamente indicato dal legislatore, ma esso è riconosciuto come presupposto necessario per l‟attivazione della garanzia sia dalla dottrina35 sia dalla giurisprudenza36. Tale sicura asserzione si fonda sulla considerazione del dato letterale: l‟art. 1490 c.c. fa espressamente riferimento alla “cosa” e ciò permette di delimitare la figura del vizio come inesattezza materiale della prestazione37. Inoltre, al di là dei riferimenti normativi alla “cosa”, la stessa disciplina della denunzia dei vizi sembra connotarsi per una necessaria “materialità”, stante il riferimento ad una verifica diretta, per mezzo dell‟esame della cosa, della ricorrenza o meno dei difetti che danno adito ai rimedi edilizi. Autorevole dottrina38 ha poi precisato che l‟esclusione dalla garanzia di vizi non materiali dipende, oltre che dall‟interpretazione del dato letterale, anche dalla considerazione che i c.d. vizi del diritto possono essere differentemente qualificati: o ai sensi dell‟art. 1489 c.c., o come ipotesi di inalienabilità o incommerciabilità.
Queste le osservazioni che spingono a ritenere che la garanzia edilizia non si estenda ai c.d. vizi giuridici, né alla cessione di crediti, ovvero alla vendita di beni immateriali e di partecipazioni societarie.
Non mancano però voci contrarie39, espressione della volontà di dare una più ampia tutela al compratore, a prescindere dalla natura
35 Per la tesi che restringe la portata della garanzia edilizia ai soli vizi materiali si vedano:
X. XXXXXX, Vendita. Contratto estimatorio, in Trattato di diritto civile, diretto da G. Grosso e X. Xxxxxxx-Xxxxxxxxxx, V, Milano, 1960, 262 s.; X. XXXXXX, La compravendita, cit., 772 ss.; C. M. BIANCA, La vendita e la permuta, cit., 892 ss.
36 In tal senso si vedano App. Firenze, 7 ottobre 1964, in Giur. tosc., 1965, 39; Trib. Bologna, 17 gennaio 1961, in Giur. it., 1962, I, 2, 215; Trib. Napoli, 23 ottobre 1971, in Dir. giur., 1971, 860.
37 X. X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 892.
38 X. XXXXXX, La compravendita, cit., 773.
39 Per tutti si vedano: X. XXXXX e X. XXXXXXX, Xxxxx vendita, cit., 249, i quali così criticano l‟opinione dominante in ragione della quale l‟operatività della garanzia sarebbe limitata ai soli vizi materiali su beni materiali: «Nulla […] impone di limitare la garanzia per vizi alle solo cose materiali: là dove i beni immateriali – ed anche i diritti (e i titoli di
materiale o meno dell‟imperfezione della res tradita ed a prescindere anche dalla materialità della cosa col contratto ceduta. Riconoscere all‟acquirente di cosa immateriale e/o per vizi “giuridici” la possibilità di adire i rimedi edilizi, invero, non necessariamente è sinonimo di maggiore tutela degli interessi del compratore, stante l‟esperibilità – esclusa l‟operatività della garanzia in caso di vizi immateriali o comunque concernenti beni immateriali – di rimedi generali avverso l‟inesatta attuazione della prestazione traslativa40.
Più convincente appare dunque la ricostruzione “restrittiva”, che limita l‟operatività della garanzia al solo caso in cui la cosa venduta, per la sua materialità, sia suscettibile di essere direttamente esaminata.
Non positivamente affermato è anche l‟altro requisito sopra enunciato, ovvero la necessaria preesistenza del vizio alla conclusione del contratto (rectius: al trasferimento del diritto), per rendere possibile l‟attivazione del congegno rimediale connesso alla garanzia. Per comune affermazione41, più precisamente, la garanzia copre i soli difetti già presenti
credito) – possono costituire oggetto di compravendita o cessione. Né si comprende perché si dovrebbe escludere a priori dalla categoria dei vizi quelli di carattere giuridico allorché incidano sulla utilizzabilità e godibilità della cosa venduta. Gli argomenti addotti in dottrina non paiono né conclusivi né convincenti. La consegna – da cui decorre il termine annuale di prescrizione – ben può coincidere col momento in cui si trasmettono i dati ed elementi informativi, od i documenti relativi al diritto ceduto. […]. Ora, di vizi di carattere giuridico può riconoscersi la presenza sia nelle cose immateriali che nei titoli di credito: nelle prime, allorché […] si qualifichi come principale un‟invenzione derivata […]; nei secondi quando, secondo l‟espressione del Messineo, vi sia un‟imperfezione intrinseca nel titolo»; X. XXXXX e X. XXXXXXXXXX, Le invenzioni e i modelli industriali, in Trattato di diritto civile italiano, fondato da X. Xxxxxxxx, II, Torino, 1968, 269, ove si afferma: «Il venditore è tenuto alla garanzia per i vizi che rendano l‟invenzione inidonea all‟uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore (art. 1490 c.c.)», estendendo quindi la garanzia anche a vizi riguardanti un bene immateriale, come il brevetto. Per ulteriori indicazioni sul punto si rinvia a X. XXXXXXX, Xxxxxxx, cit., 24 s.
40 E‟ quel che afferma X. X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 893 e 895 ss.
41 Per la quale si vedano: X. XXXXXXXX, La compravendita, Torino, 1961, 246; X. XXXXX e X. XXXXXXX, Della vendita, cit., 250 ss.; X. X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 897 ss.; X. XXXXXXX, Xxxxxxx, cit., 25; X. X. XXXXX, La vendita in generale – Le obbligazioni del venditore – Le obbligazioni del compratore, in Trattato di diritto privato, diretto da X. Xxxxxxxx, XX xx., XX, Xxxxxx, 0000, 562; X. XXXXXX, La compravendita, cit., 780 s., il quale chiarisce come la preesistenza del vizio vada riferita a momenti diversi a seconda che la vendita abbia ad oggetto un bene specificamente
al momento del realizzarsi dell‟effetto traslativo, non estendendosi ai vizi sopravvenuti a tale momento.
Si ritiene che i deterioramenti intervenuti dopo il trasferimento del diritto concretizzano quel rischio che il perfezionamento della fattispecie traslativa trasferisce dal venditore al compratore, in quanto proprietario del bene alienato42 (art. 1465 c.c.). Nel nostro ordinamento giuridico, infatti, è stato accolto il sistema della proprietà nella risoluzione del problema concernente l‟imputazione del rischio per perimento o deterioramento della res tradita. In altri termini, il rischio grava su chi è proprietario del bene (res perit domino) e ciò, si ritiene43, in assonanza al principio del consenso
individuato o da individuare. Nel primo caso, anche quando la vendita è obbligatoria (sempre che si tratti di cosa infungibile o di cosa già individuata), i vizi «sopraggiunti dopo la conclusione del contratto e prima della consegna non danno più luogo alla garanzia ma (se colposi) ad inadempimento (inesatto adempimento) dell‟obbligazione di consegnare, dato che in base a questa la cosa va consegnata nello stato in cui si trovava al momento della vendita, cioè il venditore ha l‟obbligo di custodirla fino alla consegna. […] Invece nella vendita di cosa generica, in cui l‟individuazione avviene dopo la conclusione del contratto, i vizi non sono concepibili e considerabili se non nel momento dell‟individuazione, in quanto essi, ovviamente, non sono configurabili se non rispetto ad una cosa ormai individuata: il momento dell‟individuazione sostituisce qui, anche agli effetti della garanzia, quello della conclusione del contratto». Medesima idea era affermata dalla dottrina formatasi sotto il codice previgente, per la quale si veda X. XXXXX, La compravendita e la permuta, cit., 131 s. L‟autore da ultimo citato sostiene che
«ciò che rileva nel tempo è la causa del difetto, non la sua manifestazione; tale causa dev‟essere anteriore all‟atto traslativo, non tanto per effetto dei principi sul rischio nelle obbligazioni (ché, come vedremo al n. 102 c, il difetto non rappresenta quella impossibilità della prestazione che gioca nella teoria del rischio), quanto pel principio che anche la così detta responsabilità obbiettiva (garanzia, n. 71) cessa, secondo l‟intento normale dei contraenti, con la solutio relativa al trasferimento del dominio: la garanzia deve ben avere un limite nel tempo. E così la causa dev‟essere anteriore al contratto nella così detta vendita reale; al trasferimento nella così detta vendita meramente obbligatoria […]. Perciò essa causa rileva, anche se sorta nel tempo intermedio fra contratto e atto traslativo, […]. Quanto alla causa del difetto: se colposa o fortuita o naturale, ciò non rileva certamente pei difetti anteriori al contratto, al sorgere dell‟obbligazione. Ma rileva, nelle vendite di species o di genus limitato, per quelli successivi, fino al momento dell‟atto traslativo».
42 Si riferisce al trasferimento del rischio nel motivare la necessaria preesistenza del vizio
X. X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 897.
43 X. X. XXXXX, La vendita in generale – Le obbligazioni del venditore – Le obbligazioni del compratore, cit., 542, il quale motiva la connessione tra il principio res perit domino ed il principio consensualista adducendo ragioni comparatistiche: «Le legislazioni straniere che tale principio o non accolgano (ad esempio quella tedesca) o che accolgano articolandone o temperandone il rigore (ad esempio la legislazione francese) e le stesse convenzioni internazionali (la Convenzione dell‟Aja del 1964 o la United Nation
traslativo. A tal riguardo, giova precisare che il rischio indica «la eventualità che la prestazione, possibile nel momento in cui l‟obbligazione è sorta, diventi poi impossibile, per causa non imputabile al debitore, prima di essere eseguita»44 e, nel contratto di compravendita, la scoperta di difetti di cui all‟art. 1490 c.c. sembra proprio rendere impossibile la prestazione traslativa (nella vendita obbligatoria) o la consegna della cosa (nella vendita di specie, dove l‟effetto traslativo si è già realizzato), concretizzando il rischio di cui sopra. Pertanto, in sintonia col principio del res perit domino, la disciplina della garanzia per vizi «fa gravare sul venditore solo il rischio di difetti (relativi al bene nella sua materialità o nelle sue qualità giuridiche) che, non essendo imputabili all‟alienante, siano sorti anteriormente al contratto, anche se si siano manifestati successivamente»45.
In merito alla non necessaria imputabilità del vizio all‟alienante, giova precisare – come già anticipato – che la tutela concessa all‟acquirente non è solo oggettiva, in quanto l‟elemento soggettivo della colpa, se presente, amplia lo spettro di tutela riconosciuto al compratore, dovendosi includere tra i rimedi attivabili il risarcimento del danno, ai sensi dell‟art.
Convention of contracts for the International sale of goods del 1980) riguardanti la vendita mobiliare, tendono ad individuare, per evidenti ragioni di indole pratica, nella consegna della cosa, il momento traslativo del rischio facendo, in tal modo, riferimento, per ciò che appunto riguarda il momento traslativo del rischio, alle situazioni di tipo sostanzialmente possessorio (potere di fatto sulla cosa), che alla consegna conseguono, piuttosto che alla titolarità formale del diritto di proprietà». Tale tendenza risulta confermata, sempre in ambito sovranazionale, dalla Proposta di direttiva sui diritti dei consumatori, presentata dalla Commissione nel 2008 al fine di superare alcune direttive, tra le quali la direttiva 44/99, disciplinante, com‟è noto, la vendita dei beni di consumo. La citata Proposta, infatti, prevede espressamente che il rischio per perimento o deterioramento fortuiti trasli a carico del consumatore-acquirente nel momento della consegna del bene alienato (per un‟analisi delle novità che la citata Proposta di direttiva sui diritti dei consumatori apporterebbe alla materia della vendita dei beni di consumo si rinvia a X. XXXXX, Garanzia nella vendita dei beni di consumo: proposte di diritto europeo, in Danno e responsabilità, 2011, 461, spec. 467).
Sul trasferimento del rischio, nel nostro ordinamento giuridico, si vedano altresì: X. XXXXXX, La compravendita, cit., 454 ss.; F. DELFINI, Autonomia privata e rischio contrattuale, Milano, 1999, 144 e ss.; X. XXXXXXX PISU, Dell’impossibilità sopravvenuta, in Comm. Cod. civ. Scialoja e Branca, a cura di X. Xxxxxxx, Bologna, 2002, 166 ss.
44 X. XXXXXX, La compravendita, cit., 447.
45 X. XXXXXXX PISU, Dell’impossibilità sopravvenuta, cit., 167.
1494 x.x. Xxxx i soli rimedi tesi alla caducazione, totale (azione redibitoria) o parziale (quanti minoris), del contratto ad essere attivabili in termini oggettivi, mentre il ricorso alla tutela risarcitoria risulta vincolato, come è noto, all‟accertamento dell‟elemento subiettivo dell‟ignoranza colpevole del vizio da parte del venditore.
Tornando alla tutela oggettiva del compratore, si è inoltre fatto rilevare che il sopravvenire di vizi nella cosa dopo il trasferimento del diritto ma prima della consegna è considerato come fenomeno estraneo alla nozione di garanzia in quanto configurante un‟ipotesi di inadempimento tout court; infatti, in tale eventualità è l‟obbligazione di consegna prevista dall‟art 1477 c.c. a rimanere ineseguita, in quanto la presenza del vizio rende “diversa” la cosa consegnata rispetto a quella contrattata e dovuta46. Ne discende l‟operatività dei rimedi generali previsti nel nostro ordinamento giuridico in caso di inadempimento contrattuale (art. 1453 c.c.), senza il rispetto dei termini di decadenza e prescrizione indicati dall‟art. 1495 c.c.47.
Entrambe le ragioni possono invero essere addotte a sostegno della necessaria preesistenza del vizio alla conclusione del contratto, o meglio alla realizzazione dell‟effetto traslativo, distinguendo due differenti ipotesi: il sopravvenire di vizi derivanti dal caso fortuito e l‟insorgere di difetti imputabili a colpa del venditore. Nel primo caso, i vizi costituirebbero un rischio del compratore (art. 1465 c.c.); nel secondo, invece, essi
46 X. XXXXXXXXX, I singoli contratti, cit., 101; X. X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 898. Il punto non è invero pacifico ed il dibattito ha subito un importante rinvigorimento all‟indomani dell‟entrata in vigore della normativa nazionale attuativa della Direttiva 1999/44/CE sulla vendita di beni di consumo. Per una sintesi si rinvia a X. XXXXXXXXX, Equivoci e concettualismi nel diritto europeo dei contratti: il dibattito sulla vendita dei beni di consumo, in La vendita di beni di consumo, a cura di X. Xxxxxx, Milano, 2005, 317 ss. e spec. 336 ss.
47 X. X. XXXXXXXXX, Redibitoria (azione), cit., 9.
configurerebbero inadempimento dell‟obbligazione di consegna e custodia (art. 1477, comma 1, c.c. e 1177 c.c.)48.
L‟operatività dei rimedi edilizi e, in primis, la rilevanza dei vizi, è infine condizionata dalla ricorrenza del requisito della “ignoranza” o della “non facile riconoscibilità” degli stessi da parte del compratore. La garanzia è infatti esclusa nell‟eventualità in cui l‟acquirente fosse a conoscenza del vizio o questo fosse facilmente riconoscibile, anche se di fatto non riconosciuto (art. 1491 c.c.). Se ne desume a contrario che il difetto, per concretare un vizio redibitorio, debba essere occulto49, ovvero non conosciuto né facilmente riconoscibile dall‟acquirente al momento della conclusione del contratto, se si tratta di vendita di cosa specifica ancorché obbligatoria, ovvero al momento dell‟individuazione, in caso di vendita di cosa generica50.
L‟esclusione di tutela per il compratore che sia a conoscenza del difetto sembrerebbe poggiare – come autorevolmente sostenuto51 – sulla mancanza di “inadempimento”52, in quanto la cosa venduta e consegnata
48 A. LUMINOSO, La compravendita, 6° ed., Torino, 2009, 285. Sulla connessione esistente tra obbligazione di consegna e obbligazione di custodia, gravanti sul venditore, si veda X. X. XXXXX, La vendita in generale – Le obbligazioni del venditore – Le obbligazioni del compratore, cit., 533; l‟Autore da ultimo citato spiega il collegamento tra l‟obbligo di consegna di cui all‟art. 1477 c.c. e l‟obbligo di custodia di cui all‟art. 1177 c.c. nei seguenti termini: «grava […] sul venditore l‟obbligo di custodire la cosa venduta, in modo tale da consentire di mantenere lo stesso stato di fatto che essa aveva quando il compratore l‟ha acquistata».
49 Per una nozione “allargata” di vizio occulto si veda X. XXXXXXXX, La compravendita, cit., 247 ss. e spec. 250, ove si legge: «Alla impossibilità di scoprire il vizio, per la natura di questo (vizio non facilmente riconoscibile, occulto), impossibilità che indusse il legislatore a tenere in vita l‟azione fino alla scoperta del vizio, ed oltre, è logico parificare quella impossibilità che deriva dal modo di conclusione e di esecuzione del contratto, della quale ultima pure la legge ha tenuto conto nell‟art. 1511. Il termine degli otto giorni per la denuncia di vizi apparenti o facilmente riconoscibili decorrerà dunque, anche nelle vendite di cosa certa, dal momento in cui al venditore è stata data, dalla controparte, la possibilità della verifica».
50 Sulla distinzione tra vendita di specie e vendita di genere, si vedano le puntuali osservazioni di X. XXXXXX, La compravendita, cit., 782.
51 X. XXXXXX, La compravendita, cit., 782.
52 Il riferimento all‟inadempimento rende chiaro come, nella ricostruzione dei confini della fattispecie che dà adito ai rimedi edilizi, l‟inadempimento sia indubbiamente uno dei possibili angoli visuali da cui osservare la figura in esame; è quanto dimostra, a puro
non è difforme da come consapevolmente voluta dall‟acquirente. La conoscenza effettiva del vizio fa presumere, in capo al compratore, l‟accettazione della cosa così come era (ancorché viziata) al momento della conclusione del contratto ovvero al momento dell‟individuazione della cosa, giustificando l‟inoperatività dei rimedi edilizi.
Valutazioni differenti possono essere fatte per la distinta ipotesi in cui il vizio non sia effettivamente conosciuto dal compratore ma “facilmente riconoscibile” dallo stesso. In tale eventualità, si ritiene53, la legge non può accordare tutela alla parte che non è sufficientemente diligente nel curare i propri interessi. Il vizio, infatti, avrebbe potuto essere conosciuto dal compratore ma questi, per negligenza, ha accettato la cosa ignorandone l‟esistenza e, quindi, per un principio di autoresponsabilità54, non può esperire alcun rimedio contro la difettosità del bene acquistato. Nella valutazione della diligenza richiesta al compratore, come affermato in dottrina55 e giurisprudenza56, si deve fare riferimento alla persona
titolo esemplificativo, una recente pronuncia giurisprudenziale in tema di incidenza dell‟inadempimento sulla prestazione residua ai fini dell‟operatività dell‟art. 1460 c.c., in caso di vendita di bene viziato, qualificando quindi la dazione di cosa viziata in termini di inadempienza contrattuale tout court (Cass., sez. II, 21 giugno 2010, n. 14926, in Foro it., 2011, I, 833).
53 X. XXXXXX, La compravendita, cit., 782 s.. Ritiene invece che il fondamento dell‟esclusione della garanzia sia sempre e comunque (sia in caso di vizio conosciuto che di vizio facilmente riconoscibile) la mancanza di inadempimento C. M. BIANCA, La vendita e la permuta, cit., 911, così scrivendo: «Non costituisce inesattezza della prestazione traslativa il difetto che al momento della stipulazione del contratto era conosciuto dal compratore o facilmente riconoscibile (art. 14911 cod. civ.). In tal senso non opera un‟esimente di responsabilità o una sanzione a carico del compratore ma semplicemente una della regole di determinazione della prestazione traslativa. La regola dichiara che la contrattazione di un bene specifico implica l‟intento di vendere e comprare il bene nello stato in cui esso si manifesta».
54 A tale principio fa espressamente riferimento, nello spiegare il senso dell‟esclusione legislativa di garanzia in caso di vizi conosciuti o facilmente riconoscibili, A. LUMINOSO, La compravendita, cit., 285.
55 X. XXXXXX, La compravendita, cit., 784 ss., il quale precisa come la riconoscibilità in senso soggettivo è cosa diversa dalla diligenza in concreto, infatti, «Dicendo che la riconoscibilità va intesa in senso soggettivo, si intende dire solo che essa va valutata non con riguardo a qualsiasi uomo che impieghi una diligenza minima, ma con riguardo alle particolari condizioni personali nelle quali si trova di volta in volta ciascun singolo compratore e alle particolari circostanze nelle quali avviene ogni singola vendita». In
dell‟acquirente. In questi termini, la facile riconoscibilità del vizio sembrerebbe assumere un significato di tipo subiettivo, fondandosi tale giudizio sulla considerazione delle qualità e conoscenze tecniche dell‟acquirente rispetto al quale va riferita la “facile riconoscibilità” del vizio.
Di contrario avviso è chi ritiene invece che nell‟accertamento del requisito della facile riconoscibilità del vizio siano bandite valutazioni di stampo soggettivistico, sembrando «più aderente al sistema l‟adozione di un criterio obiettivo che, tenute presenti le peculiarità del contratto e le circostanze della conclusione di questo, prenda come termine di paragone» la diligenza di una persona media che acquisti le cose contrattate57.
Ma qualunque sia l‟opzione prescelta, la diligenza richiesta al compratore è sicuramente quella minima, facendo riferimento l‟art. 1491
c.c. alla facile riconoscibilità piuttosto che alla mera riconoscibilità58. Non si richiede dunque una verifica particolarmente approfondita della cosa, bastando piuttosto un esame superficiale della stessa al fine di stabilire se gli eventuali vizi fossero o meno facilmente riconoscibili dall‟acquirente.
senso adesivo X. X. XXXXX, La vendita in generale – Le obbligazioni del venditore – Le obbligazioni del compratore, cit., 563, nota 276.
56 Cass., 15 marzo 1952, n. 712, in Rep. Foro it., 1952, «Vendita», nn. 185-187; Trib.
Roma, 20 gennaio 1952, in Rep. Foro it., 1952, «Vendita», n. 190; App. Messina, 6
febbraio 1956, in Rep. Foro it., 1956, «Vendita», n. 148; Cass., 28 giugno 1969, n. 2361,
in Giur. agr., 1970, 490.
57 E‟ la posizione di X. XXXXXXXXX, I singoli contratti, cit., 103. Anche in giurisprudenza non mancano pronunce nelle quali il criterio oggettivo nella valutazione della riconoscibilità del vizio trova applicazione: App. Milano, 12 giugno 1953, in Xxxx xxx., 0000, XX, 00; Cass., 20 febbraio 1961, n. 1772, in Rep. Giust. civ., 1961, «Vendita», n. 37;
Cass., 8 maggio 1963, n. 1136, in Rep. Giust. civ., 1963, «Vendita», n. 42; Cass., 17
settembre 1963, n. 2540, in Rep. Giust. civ., 1963, «Vendita», n. 45.
58 E‟ quel che chiarisce X. X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 913, il quale così continua: «La formula non pone una nozione alternativa a quella dell‟apparenza – la quale si risolve sempre in un giudizio di riconoscibilità in relazione a circostanze concrete
– ma richiede che lo stato della cosa si manifesti al compratore senza la necessità di un‟attenta valutazione. E quindi: apparente o normalmente riconoscibile è ciò che può essere avvertito con un normale sforzo diligente, ossia con una buona diligenza; facilmente riconoscibile è ciò che può essere avvertito con uno sforzo diligente minimo». In senso adesivo si veda: X. XXXXXX, La compravendita, cit., 783.
In giurisprudenza si veda: Cass., 28 giugno 1969, n. 2361, cit.
Il compratore è invece esonerato dall‟onere della verifica di vizi facilmente riconoscibili nel caso in cui il venditore abbia dichiarato che la cosa è esente da vizi, ai sensi dell‟art. 1491, ultima parte, x.x. Xxxxx in termini diversi, la garanzia non è esclusa dalla facile riconoscibilità del vizio in quanto la suddetta dichiarazione del venditore ingenera in controparte il legittimo affidamento in ordine alla perfezione del bene compravenduto e, quindi, l‟eventuale vizio, ancorché facilmente riconoscibile, dà spazio ai rimedi edilizi.
La giurisprudenza che si è formata sul punto ha chiarito come la dichiarazione del venditore, perché persista la garanzia, nonostante la riconoscibilità del vizio, non può essere costituita da una semplice affermazione di buon funzionamento, dovendo invece costituire un‟espressa attestazione di esenzione da imperfezioni e difetti59.
Nell‟ipotesi antitetica in cui il venditore, a conoscenza di vizi, li occulti al compratore, questi sarà esonerato dall‟onere di denunciarli, ai sensi dell‟art. 1495, comma 2, c.c. Ma se «l‟occultamento risale al tempo del contratto, ed è stato determinante il consenso del compratore, si profila la figura del dolo con la conseguenza di una diversa natura dell‟azione (annullamento) e del relativo termine (quinquennale)»60. Sempre che si ritenga l‟occultamento dei vizi come un comportamento concretizzante quei “raggiri” cui l‟art. 1439 c.c. fa riferimento nel delineare i presupposti dell‟annullamento per dolo61.
59 Cass., 22 gennaio 2000, n. 695, in Giur. it., 2000, 1804; si veda anche Cass., 13 settembre 2004, n. 18352, in Contratti, 2005, 360, ove si dà rilievo anche al silenzio del venditore, nell‟affermare la garanzia nonostante la riconoscibilità del vizio, in quanto però lo stesso aveva assunto l‟impegno di avvertire il compratore in ordine alla presenza di eventuali imperfezioni.
60 X. XXXXXX, Vendita. Contratto estimatorio, cit., 264, il quale così continua: «è da intendere per occultamento non solo la conoscenza di un vizio ma anche l‟attività rivolta ad impedire al compratore di riconoscere un vizio palese o comunque di nasconderlo con “adeguati accorgimenti”».
61 Sul punto si vedano le osservazioni di X. XXXXXXXX, La compravendita, cit., 273 s. L‟Autore in tal modo si esprime a favore del concorso di tutele: «Dubbio rimane, […], il caso dell‟occultamento del vizio, che costituisce, sostanzialmente, un raggiro, od almeno si avvicina molto a questo; l‟art. 1495, seconda parte, considera questo caso proprio in
La possibile duplice qualificazione della fattispecie in esame fa scorgere in controluce il problema del concorso tra rimedi edilizi e rimedi generali del contratto, problema la cui stessa proposizione implica il disconoscimento di esaustività ed esclusività alla disciplina speciale della garanzia redibitoria. Più precisamente, se si ritiene che la mala fede del venditore, presa in considerazione agli artt. 1490, 2 comma, 1494 e 1495, 2 comma, c.c., rilevi nei limiti della disciplina speciale, determinando specifiche conseguenze operanti sempre entro i confini della disciplina della garanzia, tali da escludere la configurabilità di ricadute rimediali di stampo generale, si dovrà escludere il concorso, ancorché elettivo, delle azioni a tutela del compratore. E‟ allora agevole capire come ciò dipenda dal modo stesso di intendere la specialità della garanzia nel nostro ordinamento giuridico.
3. La “mancanza di qualità, promesse o essenziali” (art. 1497 c.c.): fattispecie di incerta collocazione
Più vicina alla disciplina generale del contratto è la c.d. azione contrattuale62, prevista dall‟art. 1497 c.c. a tutela del compratore di cosa mancante di qualità essenziali o promesse; infatti, la norma de qua rinvia alle disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento (art. 1453 ss. c.c.), nella regolamentazione delle conseguenze rimediali derivanti dalle carenze qualitative di cui sopra63.
tema di azione redibitoria, e sono perciò, senza dubbio, applicabili ad esso le relative norme: ma saremo anche nel campo del dolo contrattuale? Vi sarà concorso elettivo di azioni? Propenderei per l‟affermativa».
62 Espressione usata da X. XXXXXXXX, La compravendita, cit., 266.
63 Il richiamo alle disposizioni generali sulla risoluzione per inadempimento ha rappresentato in dottrina lo spunto per argomentare la distinzione intercorrente tra la garanzia, implicita o esplicita, di cui all‟art. 1497 c.c. e la garanzia per vizi redibitori,
«pur essendo la prima legislativamente assimilata alla seconda per quanto concerne l‟onere della denunzia e la prescrizione breve»; e ciò nell‟ottica dell‟autonomia della
Se da un lato, particolarmente forte appare il legame tra la fattispecie in esame ed i rimedi generali del contratto avverso l‟inadempimento, dall‟altro, rimane pur presente un qualche elemento di specialità, tale da avvicinare l‟ipotesi normativa de qua anche alla disciplina della garanzia per vizi. Il tempo della tutela è, per l‟appunto, il medesimo di quello previsto per i rimedi edilizi (art. 1497, 2 comma, c.c.).
Si discute allora sulla possibilità di estendere o meno alla “mancanza di qualità” l‟intera disciplina prevista dall‟art. 1453 c.c. (contemplante anche l‟azione di esatto adempimento, quale rimedio alternativo alla risoluzione) ovvero l‟intero congegno rimediale connesso al fenomeno “garanzia” (applicando anche, nel silenzio dell‟art. 1497 c.c., la quanti minoris64).
risoluzione riconosciuta in caso di vendita di bene viziato, ex art. 1492 c.c., rispetto al corrispettivo rimedio generale contemplato all‟art. 1453 c.c., pur trattandosi di autonomia “relativa”, in quanto possibile il ricorso a norme collocate al di fuori del congegno garanzia che non ne alterino la struttura, quali ad esempio l‟art. 1456 c.c. Si tende invece ad escludere l‟applicabilità dell‟art. 1455 c.c. in ordine alla gravità dell‟inadempimento, dal momento che la non scarsa importanza dell‟inadempimento del venditore risulta già qualificata dall‟art. 1490 c.c., che del canone di cui all‟art. 1455 c.c. costituirebbe applicazione restrittiva (X. XXXXXXXX, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. civ., 2001, I, 243 ss. e spec. 285 ss.; in giurisprudenza si veda: Cass., sez. II, 29 novembre 2004, n. 22416, in Contratti, 2005, 597).
64 Per la tesi che nega l‟esperibilità dell‟azione di riduzione del prezzo in caso di vendita di cosa mancante di qualità essenziali o promesse si veda X. XXXXXXXXXX, Tutela giudiziaria del compratore nei casi di vizio o mancanza di qualità della merce (nota a Trib. Roma, 18 aprile 1952), in Riv. dir. proc., 1953, II, 191 ss., il quale esclude l‟estensibilità, in via analogica, del rimedio della quanti minoris (art. 1492 c.c.) alla fattispecie “dazione di cosa mancante di qualità”, posta l‟eccezionalità dell‟azione de qua e l‟invulnerabilità del principio di imperatività dell‟autonomia privata sancito dall‟art. 1372, 1° comma, c.c., in assenza di una specifica norma che consenta tale invasione. La riduzione del prezzo – chiarisce l‟Autore da ultimo citato – nel caso della mancanza delle qualità dovute, infatti, comporterebbe una duplice modifica contrattuale: la revisione del prezzo si accompagnerebbe alla dazione di cosa diversa da quella pattuita, determinando la sostituzione del contratto originariamente concluso dalle parti con un contratto totalmente diverso e non solo parzialmente difforme (come avviene in applicazione dell‟art. 1492 c.c.).
La giurisprudenza, invece, sopperisce alla mancata previsione all‟interno dell‟art. 1497
c.c. dell‟azione di riduzione del prezzo, riconoscendo all‟acquirente di cosa difettosa – sempre che l‟inadempimento non sia di tale gravità da giustificare la risoluzione – la possibilità di conseguire una proporzionale riduzione del prezzo mediante il risarcimento del danno (cfr. Cass., 10 gennaio 1981, n. 247, in Rep. Foro it., 1981, «Vendita», n. 98;
Ma prima di affrontare tali interessanti quesiti, la cui trattazione è al momento rinviata ad una fase successiva del lavoro, occorre preliminarmente lumeggiare i contorni della nozione di qualità.
Sono qualità del bene quei requisiti di qualificazione dello stesso, la cui mancanza rende inesatta l‟attribuzione reale dovuta dal venditore in favore dell‟acquirente. Tende infatti a predominare in dottrina l‟idea secondo la quale il difetto di qualità concretizzi una chiara ipotesi di inadempimento contrattuale65, dando per presupposto che le parti si siano bene intese sulle qualità dovute dall‟una all‟altra e, quindi, ritenendosi validamente costituitosi il vincolo contrattuale66.
Tale approccio interpretativo rimane il medesimo nelle due varianti di qualità mancanti, ovvero sia che si tratti di qualità essenziali, sia che si abbia riguardo alle qualità promesse.
Per qualità essenziali si intendono quei requisiti indispensabili per l‟uso cui la cosa è destinata, reputate contrattate anche se non indicate in modo specifico dalle parti. Esse sono quindi dovute dal venditore al compratore in quanto il bene non può che essere inteso come comprensivo di tali caratteristiche, quali attributi espressivi della normale idoneità del bene alla sua tipica funzione67. Detto in altri termini, il bene, seppure
Cass., 30 gennaio 1967, n. 263, in Foro it., 1967, I, 497; Cass., 18 ottobre 1960, n. 2810, in Rep. Foro it., 1960, «Vendita», n. 140; contra: App. Napoli, 14 maggio 1970, in Giur. mer., 1971, I, 354). In dottrina, in favore del meccanismo di tutela ammesso dalla giurisprudenza sopra richiamata si rinvia a X. XXXXXXX, Xxxxxxx (dir.priv.), in Enc. dir., XLVI, Milano, 1993, 496 ss..
65 A tal riguardo si veda X. XXXXXXX, Xxxxxxx (dir.priv.), cit., 496, il quale sostiene la prospettiva dell‟inadempimento nella qualificazione del fenomeno in esame affermando che: «essa [la mancanza di qualità] non è materia, come lo sono i vizi occulti, di un‟obbligazione di garanzia del venditore; sicché l‟azione di risoluzione ex art. 1497 presuppone l‟inadempimento ad un‟obbligazione di comportamento, e il venditore potrebbe eccepire che la prestazione è diventata impossibile per cause a lui non imputabili».
66 X. XXXXX e X. XXXXXXX, Della vendita, cit., 304 ss., i quali limitano l‟operatività della disciplina dell‟errore in questo ambito alla ricorrenza «degli estremi di applicabilità degli artt. 1428 e segg.».
67 Si veda X. X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 890.
realizzato in modo non difettoso, mancherebbe di qualche attributo necessario per servire all‟espletamento della funzione sua propria.
Le qualità promesse68, invece, sono quelle esplicitamente o anche implicitamente previste dalle parti, prescindendo dunque dalla sussistenza o meno di una qualche anomalia funzionale. Il bene potrebbe essere perfettamente adeguato alla funzione alla cui espletazione è chiamato, ma privo degli attributi promessi e tale circostanza permette l‟attivazione del meccanismo rimediale di cui all‟art. 1497 c.c.
La mancanza di qualità essenziali costituisce, invece, indice rivelatore di una qualche anomalia funzionale69.
Medesima rimane comunque la conseguenza sul piano della tutela accordata al compratore: il riconoscimento del diritto alla risoluzione del contratto, ai sensi dell‟art. 1453 c.c.; e ciò sempre che la difformità in questione superi il limite di tolleranza, la cui determinazione è rimessa agli usi (art. 1497 c.c.). Autorevole dottrina70 chiarisce come per «difetto di qualità», ai fini dell‟operatività del limite suddetto, debba intendersi non la mancanza assoluta di qualità ma piuttosto l‟insufficienza delle stesse. Dovendosi ritenere71 non precludibile – eventualmente ricorrendo a valutazioni dettate dalle consuetudini, in ordine alla scusabilità di certe difformità – la risoluzione della compravendita in tutti i casi in cui le qualità dovute, in quanto promesse o essenziali, siano del tutto carenti nella res tradita. Il limite di tolleranza opererebbe allora de residuo, nelle ipotesi in
68 Categoria tripartita da X. XXXXXX, La compravendita, cit., 768 ss., nelle seguenti sottocategorie: a) «requisiti che normalmente sono estranei al tipo cui appartiene la cosa»; b) qualità «costituite da un determinato, speciale grado di una qualità essenziale normale della cosa»; c) «la mancanza di un dato vizio, in quanto sia pattuita non solo esplicitamente ma anche specificamente».
69 E‟ quanto chiarisce X. X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 890 s. L‟Autore da ultimo citato ravvisa nei vizi e nella mancanza di qualità un uguale fenomeno di inesattezza della prestazione traslativa: quanto dato non corrisponde, sotto il profilo qualitativo, a quanto dovuto.
70 X. XXXXXX, La compravendita, cit., 896 ss., il quale, inoltre, distingue diverse ipotesi in ordine al raccordo tra il limite di tolleranza di cui all‟art. 1497 c.c. e la non scarsa importanza dell‟inadempimento di cui all‟art. 1455 c.c.
71 Si fa sempre riferimento all‟opinione di X. XXXXXX, La compravendita, cit., 896.
cui la qualità promessa o essenziale, pur presente nella cosa contrattata e consegnata, non si manifesti nel suo massimo grado di esplicazione.
Chiarito il limite di operatività del rimedio risolutorio positivamente previsto a riparo delle istanze deluse dell‟acquirente di cosa priva dei requisiti dovuti e avendo riguardo alle caratteristiche che le qualità debbano avere per rientrare entro i confini della fattispecie dell‟art. 1497 c.c., è possibile rinviare a quanto detto in riferimento ai vizi redibitori. “Materialità”72, “preesistenza”73 e “non riconoscibilità”74 sono infatti additati dalla dottrina maggioritaria75 come caratteri comuni alle due varianti di inesattezze traslative, varianti che, rimangono comunque distinte sul piano teorico-concettuale, ove al difetto di produzione o fabbricazione (vizio) si contrappongono quelle deficienze qualitative che rendono inservibile la cosa (art. 1497 c.c.), pur perfettamente realizzata, o la privano di attributi dovuti in quanto oggetto di specifico impegno contrattuale76.
72 Sulla necessaria materialità delle qualità di cui all‟art. 1497 c.c. si veda A. LUMINOSO, La compravendita, cit., 284 s., il quale riconduce la mancanza di qualità giuridiche alla fattispecie della “mancanza di vantaggi giuridici promessi”, sottoposta all‟applicazione analogica dell‟art. 1489 c.c.; si veda altresì X. X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 892 ss.
73 Per la necessaria preesistenza del difetto – vizio o mancanza di qualità – rispetto al trasferimento del diritto si pronuncia C. M. BIANCA, La vendita e la permuta, cit., 896 ss. 74 In favore dell‟esclusione di tutela al compratore nel caso in cui la mancanza di qualità fosse riconoscibile al momento della conclusione del contratto si esprimono: X. XXXXXX, La compravendita, cit., 889 ss.; X. X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 911 ss.; X. XXXXXXXXX, I singoli contratti, cit., 104 s., il quale però precisa: «L‟irrilevanza delle qualità apparenti va limitata, peraltro, alle sole qualità essenziali e non è riferibile alle qualità «promesse», giacché la dichiarazione del venditore, che la cosa ha certe qualità, ingenera nel compratore un affidamento pari a quello che ha luogo quando il venditore dichiara che la cosa è esente da vizi, sicché la responsabilità permane (art. 1491)».
75 Per indicazioni dottrinali sul punto si rinvia al § 2 del presente Capitolo.
76 E‟ quel che si legge in giurisprudenza, per la quale si veda, a titolo esemplificativo, Cass., 23 marzo 1982, n. 1839, in Rep. Foro it., 1982, «Vendita», n. 52, per la quale «Il vizio redibitorio (art. 1490 c.c.) e la mancanza di qualità nella cosa venduta (art. 1497 c.c.) presuppongono entrambi l‟appartenenza della cosa al genere pattuito, ma si differenziano perché il vizio redibitorio riguarda le imperfezioni inerenti al processo di produzione, fabbricazione, formazione e conservazione e, in genere, ogni altra imperfezione o alterazione della cosa, laddove la mancanza di qualità è inerente alla natura della merce concerne tutti quegli elementi sostanziali che, nell‟ambito del medesimo genere, influiscono sulla classificazione della cosa in una specie piuttosto che in un‟altra (nella specie: in cui l‟azione proposta dal compratore mirava a far valere vizi della macchina agricola acquistata che la rendevano inidonea all‟uso, il supremo collegio,
Pur sembrando chiara la contrapposizione tra vizi e mancanza di qualità, fondata sui tradizionali criteri direttivi univoci del “difetto di fabbricazione”, da un lato (art. 1490 c.c.), e della “incapacità funzionale della cosa a soddisfare il bisogno”, dall‟altro (art. 1497 c.c.), continue interferenze si riscontrano tra le due nozioni, nella prassi applicativa, ove particolarmente sfumata si fa la distinzione tra “vizio” e “difetto di qualità”, come nel caso di vendita di veicolo usato e riparato al posto di uno nuovo, fattispecie qualificata sia come vizio redibitorio sia come mancanza di qualità77.
Non pienamente soddisfacente appare la tradizionale lettura che, soprattutto nella prassi applicativa, viene data delle nozioni di “vizio” e “mancanza di qualità” e, pertanto, un ulteriore sforzo definitorio va fatto, anche se si tratta di tentativo alquanto ambizioso78, vista l‟eterogeneità delle opinioni registrate e ricordato che intento del legislatore del ‟4279, nel disciplinare la mancanza di qualità all‟art. 1497 c.c., era proprio quello di sopire il vivace dibattito, innescatosi sotto la vigenza di un codice civile, quello abrogato, che ignorava i difetti qualitativi, ed attinente alla difficile distinzione tra vizi e carenze qualitative, posta la divergenza che ne conseguiva sul piano disciplinare80. L‟equiparazione, invero non assoluta81, della disciplina applicabile alle due ipotesi di “difetti” avrebbe dovuto porre
enunciando il surriportato principio, ha ritenuto che correttamente il giudice del merito aveva qualificato detta azione come redibitoria)».
77 Per la prima opzione si veda Cass., 6 luglio 1966, n. 1780, in Foro it., 1966, I, 1507; per la seconda impostazione si veda invece Cass., 4 agosto 1977, n. 3512, in Mass. Foro it., 1977, n. 757. Per ulteriori indicazioni in merito si rinvia a X. XXXXXXXXX, La garanzia per vizi della cosa venduta, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1989, 69 ss., spec. 90 ss. 78 La difficoltà di addivenire ad una compiuta e definitiva delimitazione dei confini delle ricordate ipotesi di difetto “traslativo” è ricordata in dottrina da X. XXXXXX, Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, in Riv. dir. civ., 2001, I, 871, in contrapposizione alla previsione omnicomprensiva del «difetto di conformità al contratto», contemplata, com‟è noto, dalla disciplina della vendita dei beni di consumo (artt. 128 ss. cod. cons.).
79 Come si può agevolmente desumere dalla lettura della Relazione del Guardasigilli (n. 670).
80 Operando per la fattispecie “vendita di cosa mancante di qualità” i rimedi generali avverso l‟inadempimento.
81 Come ritiene X. XXXXXXXX, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, cit., 290 s.
un freno alle dispute originatesi su tale punto, non prevedendosi all‟epoca l‟elaborazione di una ulteriore figura di inesattezza traslativa, distinta sul piano concettuale e quindi anche su quello disciplinare dalla garanzia, che avrebbe nuovamente scardinato il quadro delle inesattezze traslative: l‟aliud pro alio datum. Tant‟è che, per porre un argine al nutrito dibattito formatosi sull‟esatta delimitazione dei confini di tali inesattezze, rilevanti sul piano traslativo, la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita mobiliare internazionale, dapprima, ed in seguito la Direttiva 1999/44 sulla vendita dei beni di consumo, oggi recepita negli artt. 128 ss. cod. cons., hanno previsto un apparato di tutela del compratore uniforme per tutti i casi di difformità della cosa consegnata rispetto a quella pattuita.
Ciò posto, sembra possibile costruire la contrapposizione tra vizi e mancanza di qualità sulla base del seguente criterio discretivo: soltanto i vizi si connotano per un difetto di costruzione o realizzazione. E‟ allora la fonte da cui originano il vizio e la mancanza di qualità ad essere, innanzitutto, diversa nelle due figure di “difetto”. Ma la contrapposizione continua anche sul fronte delle ricadute che ne conseguono; il vizio occulto rende la cosa inutilizzabile o di valore inferiore rispetto a quello atteso e dovuto. Ad esempio rientrano nella categoria dei vizi i difetti di costruzione che ne pregiudicano la stabilità – a causa dell‟errato calcolo del cemento necessario alla realizzazione del fabbricato o a seguito della infausta scelta di costruire su un terreno scosceso – i difetti di fabbricazione di macchinari che ne impediscono l‟utilizzazione da parte dell‟acquirente, perché il bene non funziona del tutto o funziona male82. Ma, come detto, anche la perdita di valore costituisce effetto rilevante del difetto di realizzazione del prodotto, ai sensi dell‟art. 1490, comma primo, c.c.: le impurità o le falle degli oggetti realizzati in cristallo o in materiale metallico. Il bene, pur viziato, potrà essere utilizzato ma risulterà deprezzato.
82 Gli esempi sono tratti da X. XXXXXXX, Trattato di diritto civile, 2° ed., II, Padova, 2010, 594.
La carenza qualitativa, invece, non dovrebbe incidere sulla funzionalità, o meglio sull‟utilizzabilità del bene, ma piuttosto sulla riconducibilità dello stesso ad una specie diversa da quella pattuita. Esempio classico è rappresentato dalla consegna di tessuto non di pura lana, come promesso, ma di lana mista a fibra sintetica83. Si potrebbe rilevare come anche in questa eventualità si determini una perdita di valore nel bene, come nel caso di vizio redibitorio, ma invero, non sembra questa circostanza decisiva, dal momento che carenza qualitativa si ha anche nel caso in cui, paradossalmente, il bene consegnato abbia valore maggiore rispetto a quello dovuto.
Per essere ancora più precisi, la mancanza di qualità sembrerebbe riferirsi ad un dispositivo che, di per sé, funziona ma non serve, in astratto (mancanza di qualità rilevante in ogni caso, in quanto essenziale) o in concreto (mancanza di qualità rilevante solo ove le parti l‟abbiano dedotta nel regolamento contrattuale), a causa, ad esempio, di un errore di progettazione; mentre i vizi redibitori si riferirebbero ad un dispositivo che, di per sé serve, ma non funziona o funziona male (o lo rende di minor valore commerciale), a causa di un difetto di fabbricazione o costruzione.
83 X. XXXXXXX, Trattato di diritto civile, cit., 594.
Capitolo II
Interrelazioni tra disciplina generale del contratto e disciplina della garanzia edilizia nelle ricostruzioni tradizionali
SOMMARIO: 1. Natura e fondamento della garanzia nella tradizione dottrinale italiana. – 2. Segue. Garanzia ed inadempimento. – 3. Segue. Garanzia: tra errore e presupposizione. – 4. Segue. Garanzia come reazione all’inadempimento di obblighi pre-contrattuali. – 5. La garanzia, tra vendita di specie e vendita di genere.
1. Natura e fondamento della garanzia nella tradizione dottrinale italiana
Come anticipato, la figura della garanzia non è di agevole collocazione sistematica nell‟alveo della disciplina generale del contratto e delle obbligazioni; la stessa deduzione in obbligazione84 della garanzia (per vizi, ma anche per evizione) offre, di per sé, interessanti spunti in ordine alla possibile riconduzione di essa nell‟ambito della responsabilità contrattuale. Discussa è invero la stessa natura primaria o secondaria dell‟obbligazione «di garantire il compratore dall‟evizione e dai vizi della
84 Un‟obbligazione avente ad oggetto una prestazione non concretante un comportamento ma l‟assunzione di un rischio, il cui verificarsi provoca solo in parte gli effetti dell‟inadempimento contrattuale, dandosi spazio al rimedio risolutorio e non anche al risarcimento del danno, tranne che risulti la colpa del venditore per omesso controllo di immunità della cosa dai vizi (cfr. X. XXXXXXX, Xxxxxxx (dir.priv.), cit., 491 ss.).
L‟indicazione della garanzia come oggetto di obbligazione (art. 1476, n. 3, c.c.) è stata considerata da X. XXXXXXXXXX, Problema e sistema nel danno da prodotti, cit., 424 s. – il quale rinvia a X. XXXXXXX, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., 135 – «frutto stantìo di una «pessima dogmatica». L‟incociliabilità di termini come obbligazione e garanzia non necessita di alcun chiarimento onde alla norma richiamata non può non rimproverarsi di accostare in una silloge quanto mai inopportuna effetti essenziali e naturalia negotii, anticipando impropriamente la disciplina svolta nelle norme successive, dalle quali soltanto è da trarre la misura precisa di ciò cui è tenuto il venditore in conseguenza della vendita».
cosa» (art. 1476, n. 3), c.c.). In altri termini, la natura apparentemente primaria dell‟obbligazione in questione è contraddetta da chi85 ritiene, in contrasto col dato letterale, che la garanzia, piuttosto che essere oggetto di una specifica e primaria obbligazione, è essa stessa reazione, sanzione, avverso la mancata attuazione di una preesistente e diversa obbligazione primaria, quale quella di trasferire la proprietà.
Ma la riflessione volta ad una comprensione e sistemazione del complesso fenomeno in esame si è anche allontanata dal terreno della responsabilità contrattuale per avvicinarsi a quello dell‟errore o della presupposizione o, ancora, della responsabilità precontrattuale.
La necessità di armonizzare la previsione normativa della garanzia, lasciataci in eredità dalla tradizione romanistica, con la disciplina generale delle obbligazioni e del contratto è stata da sempre fortemente avvertita dalla dottrina italiana, la quale non si è risparmiata nell‟elaborazione di teorie che potessero dare una razionale sistemazione all‟istituto de quo, comprendendone il fondamento86. Ne è derivata una costante oscillazione
85 Si intende fare riferimento all‟opinione di X. XXXXXX, La compravendita, cit., 634 s., il quale chiarisce come «la garanzia è solo una sanzione», non essendo condivisibile l‟opinione in forza della quale «la garanzia costituisce un‟obbligazione primaria a sé stante, e precisamente la terza obbligazione principale del venditore, accanto a quella di far acquistare il diritto e a quella di consegnare la cosa, e che la responsabilità che ne discende per il venditore è una sanzione per l‟inadempimento di questa obbligazione primaria e autonoma. […]. Nell‟ordinamento giuridico, la garanzia può anche costituire una vera e propria obbligazione, cioè il contenuto di un‟obbligazione strutturalmente a sé stante, e che sia oggetto di un apposito negozio: ma ciò può avere luogo solo in altre ipotesi, e cioè solo quando si garantisce l‟adempimento dell‟obbligazione di un terzo (fideiussione). Quando invece si tratta di garantire l‟adempimento di un‟obbligazione dello stesso garante, ovviamente sarebbe inutile ricorrere alla costituzione di una nuova obbligazione (di garanzia) a carico dello stesso garante, perché, siccome il nuovo mezzo giuridico adoperato sarebbe tecnicamente del medesimo tipo del primo, non raggiungerebbe lo scopo di rafforzare la posizione del creditore».
86 Per l‟insussistenza dei tentativi dottrinali di ingabbiare in logiche razionali il fenomeno della garanzia, fenomeno la cui ratio andrebbe ravvisata nel mero dato storico, si pronunciano: X. XXXXX, Considerazioni in tema di garanzia per vizi redibitori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1957, 1272 («La perplessità o il senso di insoddisfazione che lasciano tutte queste teorie potrebbe far sospettare che alla radice vi sia un equivoco di carattere storico, un difetto di prospettiva storica, cioè uno dei tanti tiri giocati da un certo larvato giusnaturalismo»); ID., Azione redibitoria, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 876 («Soltanto il dato storico può renderci una spiegazione adeguata di questo nostro istituto, piuttosto
tra istituti di parte generale e disciplina speciale (della compravendita), tant‟è che il costante intreccio tra la garanzia redibitoria e le figure di generale applicazione di cui sopra ha da sempre connotato la materia in oggetto e legittima, già sul piano concettuale, l‟esame del rapporto tra le forme di tutela, speciale e generale, che il nostro ordinamento riconosce al compratore insoddisfatto.
Ma, giova precisare, le esigenze che giustificano e che hanno effettivamente indotto la dottrina a riflettere su tale questione sono eminentemente pratiche. La necessità di travalicare i ristretti limiti temporali entro i quali è possibile esercitare le azioni edilizie, sia in caso di vendita di cosa viziata sia in caso di vendita di cosa mancante di qualità essenziali o promesse, spingono la dottrina (ed a maggior ragione la giurisprudenza) ad esplorare altri lidi, quali l‟errore o l‟inadempimento in senso proprio (legittimante l‟azione generale di risoluzione), ovvero ad enucleare una terza figura di inesattezza traslativa, quale è quella della consegna di xxxxx pro alio, figura incardinata nell‟ambito della responsabilità per inadempimento contrattuale, a riparo dunque dagli angusti termini di prescrizione e decadenza previsti per le azioni edilizie.
Entrambe le soluzioni, è opportuno sottolineare, giungono al medesimo risultato di accordare una più “lunga” tutela all‟acquirente di cosa viziata o mancante di qualità, ma percorrendo strade differenti. La
che certe teorie, le quali tentano astrattamente di spiegarlo come emanazione dei principi sull‟errore (del compratore) sull‟inadempienza (del venditore), sulla presupposizione o sul giusto e regolare corrispettivo»); X. XXXXX e X. XXXXXXX, Della vendita, cit., 131 («Ragioni storiche e di tradizione hanno indubbiamente giuocato e giuocano un ruolo rilevante nella nostra materia e nella collocazione degli istituti; di esse deve tener conto l‟interprete se non vuole urtare contro ardui ostacoli di ordine sistematico ed ermeneutico o disarmonie apparentemente insuperabili»); X. XXXXXXX PISU, Garanzia e responsabilità nelle vendite commerciali, cit., 55, ove così si legge: «è già un risultato per un‟analisi storica evitare all‟interprete del diritto vigente la ricerca di una supposta « intenzione del legislatore » in un campo, in cui la sostanziale fedeltà alla tradizione non esprime una scelta precisa ed univoca».
Per una ricostruzione storica dell‟istituto della garanzia si rinvia a X. XXXXXXX PISU, Orientamenti in tema di garanzia e responsabilità del venditore (profili storici), in Riv. dir. civ., 1978, II, 410 ss.; ID., Garanzia e responsabilità nelle vendite commerciali, cit., 1 ss.
prima via prospettata, ovvero quella del concorso delle azioni edilizie con l‟azione di annullamento per errore o con la risoluzione per inadempimento contrattuale, muove dalla considerazione dell‟identità dei presupposti, ovvero dall‟identità delle fattispecie la cui realizzazione in concreto permette l‟attivazione dei rimedi citati, speciali e generali; la seconda, invece, parte dall‟assunto antitetico della diversità del presupposto: la cosa consegnata non è semplicemente viziata o carente delle qualità dovute ma compresa in un genere diverso rispetto a quello di appartenenza della cosa contrattata, ovvero inidonea ad assolvere la destinazione economico-sociale ritenuta essenziale per realizzare gli interessi del compratore87, configurandosi in tal modo una sicura ipotesi di inadempimento contrattuale88.
87 Ritiene incerta la nozione di “aliud pro alio”, soprattutto in riferimento alla distinta figura della mancanza di qualità essenziali, X. XXXXXXX, Xxxxxxx, cit., 29 s., il quale così si esprime: «Siamo […] al cospetto di una nozione incerta, che non riesce a sganciarsi dalle notazioni tradizionali della mancanza di qualità. Per quanto si voglia affermare che quest‟ultima attiene ad un profilo strutturale […], mentre l‟aliud pro alio concreta una differenziazione delle ipotesi in base al profilo funzionale, è evidente come il discorso finisca per ruotare intorno a sé stesso: la differenza strutturale tra cosa pattuita e cosa consegnata, alla stregua dei criteri rilevanti secondo le norme codicistiche, si estrinseca ed assume valore sul piano dei difetti funzionali (meglio, della diversa idoneità a soddisfare i bisogni considerati dall‟operazione economica)».
88 Solo a titolo esemplificativo è possibile menzionare quell‟orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato, che in tema di vendita di immobili destinati ad abitazione riconosce nella mancanza del certificato di abitabilità o nella carenza delle condizioni di legge per conseguirlo, un‟ipotesi di consegna di xxxxx pro alio (App. Cagliari, 16 settembre 1985, in Riv. giur. sarda, 1989, 25; Cass., sez. II, 23 gennaio 1988, n. 521, in Giur. it., 1990, I, 1, 316; Cass., sez. II, 5 novembre 1990, n. 10616, in Mass. Giur. it., 1990; Cass., 11 febbraio 1998, n. 1391, in Riv. Notariato, 1998, 1008 ss.; Trib. Torino, 24 maggio 2002, in Giur. it., 2003, 525; Cass., sez. II, 27 luglio 2006, n. 17140, in Mass. Giur. it., 2006). In particolare, si afferma che l‟inesistenza delle condizioni stabilite dalla legge per il rilascio della licenza di abitabilità, in una situazione di insanabile violazione della normativa urbanistica, integra gli estremi della consegna di aliud pro alio, non costituendo mera carenza qualitativa; infatti, l‟abitabilità dell‟immobile, risultante dalla relativa certificazione, è elemento essenziale del bene stesso, dal momento che «lo caratterizza […] in relazione alla sua capacità di assolvere ad una determinata funzione economico-sociale e quindi di soddisfare i concreti bisogni che hanno indotto il compratore all‟acquisto» (Cass., sez. II, 11 febbraio 1998, n. 1391, cit., 1011). L‟intrinseca inidoneità dell‟immobile a soddisfare i requisiti richiesti dalla legge per il rilascio del certificato di agibilità e/o abitabilità permette la configurazione dell‟aliud pro alio datum, diversamente dalla mera carenza dei suddetti certificati, astrattamente conseguibili. Così argomenta la giurisprudenza al fine di lumeggiare i
Tornando alla prima delle strade viste, l‟esito pratico della riconduzione della fattispecie dazione di cosa viziata o mancante di qualità alle tutele contrattuali generali della risoluzione o dell‟annullamento sembrerebbe presupporre l‟adozione di particolari prospettive dogmatiche, individuanti il fondamento da attribuire alla garanzia redibitoria proprio nell‟inadempimento o nell‟errore.
E‟ giunto allora il momento di passare in rassegna le varie teorie che hanno cercato di rappresentare natura e fondamento della garanzia redibitoria, ricordando che il dibattito sorto in Italia all‟indomani dell‟entrata in vigore del Cod. civ. del 1942 è connotato da «echi di argomentazioni che erano state prospettate già sotto il codice previgente e che già allora non avevano il carattere della novità»89. La produzione scientifica italiana relativa al tema della garanzia redibitoria, sotto la vigenza del cod. civ. del 1865 è, infatti, fortemente tributaria della dottrina francese, dal momento che gli artt. 1447 e 1448 cod. civ. abr. erano una fedele trasposizione delle norme vigenti oltralpe90.
contorni della nozione dell‟aliud pro alio datum, fonte di risolubilità del contratto (per un quadro giurisprudenziale si veda, da ultimo, A. XXXXXX, Il requisito di agibilità degli immobili, in Contratto impr., 2011, 560 e spec. 574 ss.).
Altro settore nel quale si è frequentemente verificata l‟applicazione della figura dell‟aliud pro alio è rappresentato dalla vendita di autoveicoli. In particolare, l‟inidoneità del veicolo a circolare su strada, a causa, ad esempio, della contraffazione dei documenti di cui per legge deve essere dotato, è stata considerata ragione sulla quale fondare la riconduzione di tale patologica vicenda all‟inadempimento del contratto di compravendita, qualificandola come aliud pro alio datum (Cass., 1 luglio 1996, n. 5963, in Contratti, 1996, 620 ss.).
89 Le parole riportate nel testo sono di X. XXXXXXX PISU, Orientamenti in tema di garanzia e responsabilità del venditore (profili storici), cit., 412.
90 Si vedano a tal riguardo le osservazioni di X. XXXXXXX PISU, Orientamenti in tema di garanzia e responsabilità del venditore (profili storici), cit., 436 s., che a seguire si riportano: «Anche per quel che riguarda più strettamente le norme sulla garanzia il codice italiano si modella sul francese, sia sotto il profilo sistematico che per il contenuto letterale delle singole norme. Anche qui emerge una nozione unitaria di garanzia, che costituisce il contenuto di una delle obbligazioni principali del venditore e che si specifica in relazione a due distinti oggetti, il pacifico possesso e i vizi redibitori. […]. Il collegamento della garanzia per evizione all‟obbligazione di fare avere il possesso e della garanzia per vizi a quella di far avere un possesso utile diventa poco più di una formula tralatizia, mentre i timidi tentativi di differenziare le due forme di garanzia non vanno al di là del rilievo circa l‟improprietà dell‟impiego di questo termine in tema di vizi
Prima però di procedere alla raffigurazione delle teorie tese a spiegare il fondamento della garanzia nel nostro ordinamento giuridico, sembra opportuno ed indispensabile delineare, seppur brevemente, le origini storiche dell‟istituto in esame.
Com‟è noto, la garanzia riconosciuta in favore del compratore di cosa viziata è un istituto ricalcante il corrispettivo del diritto romano- giustinianeo. Le azioni c.d. edilizie erano state infatti riconosciute nel diritto romano classico, ad opera degli edili curuli (o soprintendenti ai mercati pubblici), nei soli casi di vendite di schiavi e, pare, di certe tipologie di animali. Rimanendo valido per tutte le altre tipologie di compravendita il principio del caveat emptor, in forza del quale era necessaria una garanzia espressa di perfezione della res oggetto di scambio perché il venditore potesse essere chiamato a rispondere di eventuali vizi della cosa alienata. In particolare, al di fuori dei casi in cui la garanzia operava in forma implicita, l‟acquirente di cosa viziata veniva tutelato nella sola eventualità in cui risultasse provato che il venditore fosse a conoscenza dei vizi, mediante il riconoscimento di un‟actio empti per il risarcimento dei danni (azione questa, mantenuta ed ampliata nel contenuto nel diritto giustinianeo).
La garanzia “implicita” era ammessa nelle sole ipotesi di vendita di specie; ma nelle vendite di genere il compratore era comunque protetto avverso situazioni di inesattezze traslative mediante specifici formulari91 i quali contemplavano di norma l‟obbligo per il venditore di dare una cosa non viziata o di buona qualità, nell‟individuazione del bene da trasferire all‟acquirente. La carenza nella cosa della “sanità” promessa esponeva il venditore alle tipiche sanzioni previste in caso di inadempimento di stipulazioni di questo tipo.
redibitori, rilievo peraltro subito controbilanciato dall‟asserita analogia delle due figure sotto il profilo della responsabilità».
91 La vendita di genere non era – come rileva X. XXXXX, Azione redibitoria, cit., 876, dal quale è tratta la ricostruzione storica di cui sopra – conosciuta nel diritto romano come contratto tipico di vendita, essendo piuttosto «rivestita con le forme della stipulazione».
La necessità di una garanzia espressa e, quindi, il principio del
caveat emptor, riaffiora, nella sua generalità, nel diritto comune.
Saranno le codificazioni ottocentesche ad ammettere expressis verbis la figura della garanzia redibitoria, ritornando al modello romano giustinianeo sotto l‟aspetto contenutistico, aggiungendo però alla mera restituito (cui miravano in origine i rimedi apprestati dai pretori romani) il rimedio risarcitorio (actio ex empto).
La contemplazione espressa dell‟obbligo di garanzia tra gli effetti del contratto di compravendita ha fatto poi ampiamente discutere la dottrina in ordine alla possibilità di ravvisare nella garanzia un “elemento” o piuttosto un “effetto naturale” della vendita. Dando per verosimile il primo inquadramento prospettato, la garanzia redibitoria sarebbe insita nello stesso assetto regolamentare divisato dai contraenti; aderendo, invece, alla seconda impostazione, la garanzia sarebbe da ricondurre direttamente alla legge quale fonte esterna di integrazione degli effetti del regolamento contrattuale.
Qualunque sia la via ermeneutica prescelta – consapevoli del fatto che collocare la garanzia tra i naturalia negotii implica l‟idea che tale istituto assuma un certo significato ontologico, di connotazione “in natura” dello scambio di cosa contro prezzo92 – rimane un dato inconfutabile: regola è che il compratore sia garantito, eccezione è, invece, l‟esclusione della garanzia per vizi (nonché per evizione), «perché rappresenta, per il
92 Interessanti su tale aspetto appaiano le riflessioni di X. XXXXXX, Compra-vendita, garanzia per vizi, responsabilità per il danno, in Studi in onore di Xxxxxxxxxx Xxxxxxx, III, Padova, 1970, 18 s.: «Dire che la garanzia per vizi è « effetto » della vendita è ancora poco espressivo di un ordine di idee che prescinde da qualsiasi considerazione di carattere teleologico, ma si esaurisce nella valutazione dell‟essere dell‟istituto; in fondo la sistemazione del momento della garanzia tra i naturalia negotii compiuta dalla dottrina giuridica medievale, acquista un significato veramente istruttivo sia circa la consapevolezza di un carattere ontologico della figurazione (consapevolezza che nell‟eccesso sistematizzare della pandettistica diviene sfumata), sia per quanto vi si può intendere di riferimento ad una fonte (natura) che configura l‟istituto».
compratore, l‟assunzione di un rischio non connaturato all‟idea normale, alla regola della vendita»93.
2. Segue. Garanzia ed inadempimento
Tra le tesi più accreditate in dottrina in ordine all‟inquadramento dogmatico dell‟istituto della garanzia redibitoria si deve, innanzitutto, menzionare quella che ravvisa il fondamento dello stesso in un fenomeno di responsabilità contrattuale.
Diverse sono però le varianti di tale opinione. Le differenze attengono, in misura prevalente, al modo di intendere la relazione intercorrente tra responsabilità del venditore e responsabilità del creditore, o meglio tra disciplina speciale della vendita e disciplina generale dell‟obbligazione. Taluni94, infatti, incardinano la garanzia nell‟alveo della responsabilità contrattuale “generale”, altri95, invece, vi ravvisano una, per dir così, specializzazione dei principi generali validi in tema di inadempimento contrattuale. Matrice comune di tali orientamenti è rappresentata dall‟idea che la garanzia vada intesa in termini di reazione apprestata dall‟ordinamento giuridico al fine di correggere situazioni di malfunzionamento del sinallagma contrattuale, generate
93 FERRI G. B. – XXXXX A., Il contratto di compravendita, in Diritto civile, diretto da X. Xxxxxx e X. Xxxxxxxx, Obbligazioni, III, I contratti, Milano, 2009, 26.
94 X. XXXXXX, La compravendita, cit., 629 ss.; M. BIANCA, La vendita e la permuta, cit., 698 ss.
95 A. LUMINOSO, La compravendita, cit.; ID., Xxxxxxx, cit., 639; X. XXXXXXX PISU, Garanzia e responsabilità nelle vendite commerciali, cit., 261, 284 e 286. L‟Autrice da ultimo citata colloca la garanzia nell‟alveo dell‟inadempimento contrattuale, presentandola come una «specificazione delle più generali regole della responsabilità contrattuale»; i rimedi edilizi sono, infatti, presentati come reazione «al fatto oggettivo dello squilibrio funzionale del contratto e colpiscono il venditore che ha assunto un impegno contrattuale a cui fin dall‟inizio era impossibile adempiere esattamente». Risulterebbe confermata, sempre secondo l‟Autrice citata, la natura obiettiva della responsabilità contrattuale di cui la garanzia è esplicazione nello specifico dei rapporti derivanti dal contratto di compravendita: è l‟inadempimento tout court, e non l‟inadempimento colpevole, a costituire il fondamento di entrambe.
dall‟inadempimento del venditore. Occorre allora capire come la fattispecie dazione di cosa viziata o mancante di qualità possa essere guardata attraverso la lente dell‟inadempimento contrattuale, non essendo tale scelta ermeneutica particolarmente agevole sul piano sistematico.
Più precisamente, ostacolo primario che si frappone all‟adozione di una prospettiva siffatta è costituito dall‟individuazione di quella obbligazione la cui inattuazione possa essere sanzionata dai rimedi edilizi, in un contratto, come è quello di compravendita, ad effetti reali, ove cioè l‟effetto traslativo si produce automaticamente al momento della manifestazione del consenso (art. 1376 c.c.) senza che occorra il medio dell‟obbligazione (tranne che si tratti di vendita “obbligatoria”, per la quale l‟effetto reale è differito ad un momento successivo alla stipulazione del contratto stesso e mediato dall‟imposizione, a carico del venditore, dell‟obbligazione di far acquistare al compratore la proprietà del bene). Se si considera, inoltre, che i difetti rilevanti per la legge sono solo quelli preesistenti o comunque già esistenti al momento della conclusione del contratto (rectius: al momento della produzione dell‟effetto traslativo), il presunto inadempimento cui relazionare la garanzia redibitoria sarebbe anteriore alla conclusione del contratto e alla nascita della stessa obbligazione di fare acquistare il diritto al compratore96.
96 Obbligazione considerata da X. XXXXXX, La compravendita, cit., 635 s., come un‟obbligazione avente un contenuto complesso, «del quale quello anzidetto costituito dal puro e semplice ed immediato acquisto del diritto, è solo uno dei vari aspetti. Ma accanto a quest‟ultimo essa comprende altri aspetti ancora: e precisamente, comprende anche l‟obbligo di fare acquistare il diritto su una cosa esente da vincoli di espropriabilità che possano in seguito causare la perdita del diritto da parte del compratore (ciò, invero, praticamente equivarrebbe a non avere acquistato il diritto); e l‟obbligo di fare acquistare il diritto su una cosa esente da vizi. Non è quindi esatto che questa obbligazione non arriva a sorgere quando il diritto si trasmette immediatamente per effetto del semplice consenso: in tali casi manca solo uno – sia pure il principale – dei vari aspetti del contenuto complesso di essa, e cioè solo l‟obbligo puro e semplice di fare acquistare il diritto al compratore; ma anche in tali casi quell‟obbligazione sorge con gli altri due anzidetti aspetti del suo contenuto, e rimane inadempiuta, o non esattamente adempiuta, se poi il diritto viene espropriato per un vincolo preesistente o se la cosa era viziata».
Tali osservazioni hanno indotto a fruire del concetto di “attribuzione patrimoniale”97, al fine di spiegare il fenomeno della garanzia redibitoria in termini di inadempimento (oggettivo)98, superando l‟imbarazzo legato alla difficoltà di immaginare un inadempimento che precede l‟insorgere della correlativa obbligazione.
In particolare, la garanzia è ricostruita come sanzione avverso l‟inattuazione incolpevole99 dell‟attribuzione patrimoniale ad effetto reale, attribuzione imposta dalla legge a carico del venditore e consistente nel fare acquistare al compratore il bene alienato con i requisiti dovuti100. Con la previsione dei rimedi edilizi – detto altrimenti – l‟ordinamento giuridico reagisce al fatto obiettivo della rottura del sinallagma funzionale; la presenza del vizio nella cosa compravenduta, infatti, impedisce la realizzazione della causa del contratto di compravendita, consistente nello
«scambio del diritto (su cosa esente da vizi) col prezzo»101.
97 E‟ proprio la considerazione che «l‟inadempimento costituito dai vizi preesiste al contratto» a spingere X. XXXXXX, La compravendita, cit., 638, ad adottare una nozione che, seppur diversa dall‟obbligazione, possa spiegare il fenomeno della garanzia in termini di responsabilità contrattuale, dal momento che – continua l‟Autore da ultimo citato – «è illogico sostenere da un lato che l‟obbligazione inadempiuta sorge dal contratto, e dall‟altro lato che l‟inadempimento di essa si è verificato già prima del contratto: l‟inadempimento, infatti, può avere luogo solo in seguito o, al massimo, contemporaneamente al nascere di ciò che viene inadempiuto».
98 In senso sostanzialmente adesivo X. XXXXX e X. XXXXXXX, Della vendita, cit., 132 s., i quali fanno riferimento ad una responsabilità oggettiva del venditore per la mancata realizzazione di un‟attribuzione patrimoniale, a prescindere da qualsiasi indagine colpevolistica.
99 Nel pensiero di X. XXXXXX, La compravendita, cit., 644 ss., si prescinde da un‟indagine colpevolista nella sola ipotesi della vendita di cosa viziata (art. 1490 c.c.) e non anche in caso di mancanza di qualità, essenziali o promesse (art. 1497 c.c.), ove si richiamano i principi validi in tema di responsabilità per colpa.
100 X. XXXXXX, La compravendita, cit., 639.
101 X. XXXXXX, La compravendita, cit., 629, il quale così continua: «Ora la legge non si contenta di richiedere che il contratto di vendita abbia la capacità di esplicare questa funzione (sinallagma genetico), cioè che in esso siano previsti una cosa e un prezzo reali e alienabili, ma si preoccupa anche che effettivamente esplichi questa funzione (sinallagma funzionale). Se invece essa non viene assolta, in tutto o in parte, cioè se il compratore non acquista effettivamente il diritto, o dopo averlo acquistato lo perde per una causa preesistente, o se la cosa è viziata, il rapporto contrattuale non può rimanere in piedi, o almeno non può perdurare senza opportune reazioni e modifiche, perché ormai è rotto il sinallagma, cioè quella relazione di corrispettività tra le obbligazioni, e ancor più in generale fra le attribuzioni patrimoniali (ad effetto reale: n. 114), delle due parti, per
L‟inadempimento sopra delineato (rectius: l‟inesatto adempimento) sarebbe riconducibile, secondo la ricostruzione riportata, al fenomeno posto a fondamento della risoluzione contrattuale di cui all‟art. 1453 ss. c.c., quale reazione prevista in modo generale dalla legge a fronte dell‟inadempimento o dell‟inattuazione incolpevole di obbligazioni rientranti nel sinallagma di qualsiasi contratto (a prestazioni corrispettive), vendita compresa102.
La riconduzione della garanzia nell‟alveo della responsabilità contrattuale generale è stata altresì sostenuta in dottrina ricorrendo all‟idea della «violazione dell‟impegno traslativo», traducendo in termini di meccanismo giuridico quell‟impegnatività che si riscontra sul piano sociale: la presenza del vizio o la mancanza delle qualità dovute nel bene alienato rende ineseguita la pretesa del compratore e, quindi, inadempiente il venditore rispetto al risultato contrattuale programmato103.
cui in tanto si giustifica che il compratore paghi il prezzo in quanto egli consegua i risultati anzidetti e vengano adempiute le obbligazioni del venditore, e ancor più in generale le attribuzioni patrimoniali a carico di costui, correlative a quella del prezzo. E allora il venditore deve subirne le conseguenze, cioè soprattutto perdere in tutto o in parte il diritto alla controprestazione, non per sua colpa ma perché obiettivamente manca ormai la ragione che giustifichi tale suo diritto».
102 X. XXXXXX, La compravendita, cit., 630 s. La valutazione del profilo causale assume particolare spessore nel pensiero di E. RUSSO, La responsabilità per inattuazione dell’effetto reale, Milano, 1965, passim, spec. 139 ss.: la responsabilità del venditore – limitatamente però ai casi di evizione, vendita di cosa altrui e vendita di cosa gravata da oneri – è considerata in termini contrattuali, pur differendo dalla responsabilità per inadempimento, mancando nei contratti ad effetti reali il riferimento ad un comportamento futuro dell‟alienante. Più precisamente, secondo X. Xxxxx, la responsabilità contrattuale non è inscindibilmente legata all‟obbligazione, essendo indicata come «la soggezione alle sanzioni previste per la mancata soddisfazione di una aspettativa» (ID., op. cit., 175, nota 51). Ne discende la possibilità di discorrere di responsabilità per inadempimento anche nei contratti ad effetti reali, ove pur mancando il momento obbligatorio, la responsabilità contrattuale può essere ricostruita come “inattuazione dell‟aspettativa alla realizzazione dell‟effetto reale”.
103 X. X. XXXXXX, La vendita e la permuta, cit., 712 ss., il quale così argomenta: «il venditore non è obbligato in quanto il contratto raggiunge direttamente l‟effetto programmato: ma se l‟effetto reale non è tale da soddisfare esattamente la pretesa del compratore, l‟impegno del venditore non può dirsi realizzato e a suo carico si pone pertanto l‟obbligazione – inadempiuta – in ordine alla esatta esecuzione del contratto».
La necessaria preesistenza del vizio e della “carenza qualitativa” alla conclusione del contratto induce tal‟altro104 a connotare di specialità la responsabilità contrattuale del venditore, non riuscendo altrimenti a spiegare le peculiarità caratterizzanti il fatto generatore di tale responsabilità, essendo esso legato ad anomalie anteriori al perfezionamento della fattispecie contrattuale. Alla configurazione di figure quali “attribuzione patrimoniale ad effetto reale” o “impegno traslativo”, succedanee ad una nozione indefettibile sul terreno della responsabilità contrattuale, quale è quella di obbligazione inadempiuta, si preferisce ripiegare sulla valorizzazione delle caratteristiche proprie delle vicende sottese all‟attivazione dei rimedi da garanzia, anche se conseguendo dei risultati discutibili, visto il ricorso a pallide controfigure di quella “obbligazione di fare avere la cosa utilmente”, riconosciuta dalla pressoché unanime dottrina come un‟obbligazione impossibile da concepire105.
104 Si intende fare riferimento alla posizione di A. LUMINOSO, Xxxxxxx, cit., 639, il quale così chiarisce: «La «garanzia» (artt. 1478-1497 c.c.) si traduce, in vero, in una responsabilità contrattuale – in quanto deriva dalla violazione della promessa (traslativa) connaturata alla vendita, e si traduce nei rimedi tipici della tutela contrattuale – , che non è però quella ordinaria regolata dagli artt. 1218 ss. e 1453 ss. c.c., ma neppure una responsabilità con caratteri eccezionali rispetto a quella ordinaria. Essa concreta una responsabilità speciale perché il suo presupposto è costituito non dall‟inadempimento di un‟obbligazione (come richiede l‟art. 1218 c.c.) nascente dal contratto, ma da anomalie attinenti alla legittimazione a disporre del venditore (nelle ipotesi di cui agli artt. 1479- 1489 c.c.) o all‟idoneità all‟uso della cosa venduta (nelle ipotesi regolate agli artt. 1490- 1497 c.c.); le une e le altre necessariamente anteriori alla stipulazione del contratto. Il fondamento di tale speciale responsabilità è dato perciò dall‟oggettiva inattuazione o imperfetta attuazione dell‟effetto traslativo, derivanti da situazioni preesistenti alla vendita: i rimedi della risoluzione e della riduzione del prezzo previsti dalle disposizioni in esame, infatti, altro non presuppongono».
105 Sulla inconsistenza giuridica di un‟obbligazione di trasferire il bene privo di vizi si veda X. XXXXXXX, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., spec. 22, ove si legge: «quando si avverte che l‟obbligazione del venditore di trasferire la cosa senza vizi non esiste, né può esistere, non è tanto perché l‟ha detto Xxxxxxx, quanto perché lo esige il principio di non contraddizione, che è logica di tutti i tempi. Ciò che esiste o ciò che non potrà esistere non è materia di obbligazione, non è suscettibile di rivestire la forma del dovere».
Si pronuncia in senso critico sulla posizione di X. Xxxxxx X. XXXXXXXXX, La garanzia per vizi della cosa venduta, cit., 80 ove testualmente si legge: «Il richiamo all‟«attribuzione patrimoniale», facendo superare l‟impasse della non configurabilità nei contratti ad effetti reali dell‟obbligazione «di fare in modo che la cosa sia esente da vizi», dovrebbe consentire – nelle intenzioni dell‟autore – di identificare un inadempimento
Ardua appare dunque la riconduzione della garanzia al fenomeno “inadempimento”, se non altro nell‟ipotesi di vendita di specie, ove l‟effetto traslativo è “immediato”, ovvero non collegato ad alcuna obbligazione di trasferire il diritto sul bene106.
3. Segue. Garanzia: tra errore e presupposizione
Le difficoltà derivanti dalla volontà di inquadrare i vizi e la mancanza di qualità nell‟alveo dell‟inadempimento contrattuale hanno indotto la dottrina ad intraprendere altri sentieri, dando prevalenza ad un‟indagine imperniata sul processo di formazione della volontà delle parti del contratto di compravendita.
E‟ emersa così l‟idea che dietro alla garanzia si celi un fenomeno perfettamente riconducibile ad un vizio del consenso, e precisamente all‟errore107. I rimedi edilizi altro non sarebbero che reazione alla falsa rappresentazione della realtà in cui l‟acquirente è inconsapevolmente incorso acquistando un bene che, supposto come perfetto e sul piano
coevo alla conclusione del contratto; evidenzia, invece, l‟ambiguità di una costruzione che insegue un profilo di inadempimento per giustificare un rimedio sostanzialmente inteso come reazione all‟impossibilità oggettiva della prestazione».
106 Per una serrata critica dell‟orientamento che ravvisa nella dazione di cosa viziata o mancante di qualità un fenomeno riconducibile all‟inadempimento contrattuale si veda X. XXXXXXXXX, La tutela del compratore per i vizi della cosa, cit., 51 ss., spec. 61, il quale rileva come in tali ipotesi ad essere frustrato sia un interesse (del compratore) che esula dall‟obbligazione di consegna gravante sul venditore, attenendo piuttosto allo «scopo ultimo avuto di mira». Si tratterebbe dunque di un interesse pratico riconducibile nell‟alveo dei motivi.
107 Tale impostazione, sotto la vigenza del codice civile del 1942, è con vigore sostenuta da X. XXXXXXXXX, I singoli contratti, cit., 90 ss.: «se si tiene presente che i vizi della cosa, di cui si tratta, sono preesistenti alla conclusione del contratto e che presupposto perché possa sussistere una responsabilità del venditore è che il compratore li abbia ignorati al momento della conclusione, non sembra dubbio che, in realtà, il fenomeno consista in una falsa rappresentazione della realtà, che ha condotto una delle parti a stipulare il contratto per un oggetto avente certe caratteristiche negative rimaste ignote o privo di certe caratteristiche positive ritenute esistenti». Contra: A. NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita dei beni di consumo e categorie dogmatiche, cit., 535, nota 16.
strutturale e sul piano funzionale, è invece difettoso o privo degli attributi dovuti, in quanto essenziali o promessi.
Indubbiamente suggestivo appare lo scenario che, aderendo a tale impostazione, si intravede, problematica appare però la riconduzione della fattispecie “dazione di cosa viziata” o “mancante di qualità” all‟errore come disciplinato dal codice civile agli artt. 1428 c.c. ss. Si è, infatti, fatto notare che l‟ipotetico errore sotteso alla vicenda in esame sarebbe, da un lato, privo di un requisito oggi richiesto per la rilevanza dell‟errore e, dall‟altro, connotato da un elemento non più previsto dal Legislatore nella delineazione dei contorni del vizio del consenso in questione. In particolare, per la rilevanza dell‟errore del compratore non è richiesta, dalla disciplina della garanzia, la riconoscibilità di esso da parte del venditore108, dovendo piuttosto il vizio essere occulto, ovvero non riconosciuto né riconoscibile dalla stessa parte in errore (il compratore), riguardando la (non) riconoscibilità del vizio ambiti diversi da quelli coperti dalla riconoscibilità dell‟errore. Il profilo della tutela dell‟affidamento non appartiene, infatti, alla disciplina della garanzia redibitoria, almeno avuto specifico riguardo alla previsione della natura occulta del vizio. La disciplina legale di quest‟ultima non si preoccupa degli stati soggettivi del venditore, se non che ai soli fini risarcitori ai sensi dell‟art. 1494 c.c.109.
108 E‟ quel che rileva A. NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita dei beni di consumo e categorie dogmatiche, cit., 535, nota 16, in un discorso volto soprattutto alla comprensione della garanzia nell‟ambito della vendita di beni di consumo, così chiarendo: «la conoscenza o facile riconoscibilità del vizio è trattata dalla legge come un fatto impeditivo (artt. 1491 e 1519-ter, co. 3, c.c.), non rilevando l‟errore del compratore come fatto costitutivo della tutela predisposta con la garanzia. Sicché il contratto nasce valido, benché il compratore ignori l‟esistenza del vizio, ed è nel momento esecutivo che viene giuridicamente in rilievo l‟esigenza di tutela del compratore».
109 La riconoscibilità dell‟errore in cui è incorso l‟acquirente da parte del venditore, nell‟ambito della disciplina della garanzia per vizi, non è invero privo di ricadute giuridicamente rilevanti. Tale requisito, infatti, pur non essendo espressamente previsto dalla legge al fine di permettere l‟attivazione dei rimedi edilizi, assume rilievo ai soli fini risarcitori, in quanto il venditore è esentato da profili di responsabilità nel solo caso di ignoranza incolpevole dei vizi (art. 1494, comma 1, c.c.).
L‟errore del compratore deve essere, piuttosto, scusabile, nel senso che non deve essergli imputabile alcuna negligenza nell‟accertamento del vizio, perché se ne fosse a conoscenza la tutela apprestata dagli artt. 1490 ss. c.c. sarebbe preclusa. Ma la scusabilità, come è noto, non è più contemplata dalla legge come caratteristica dell‟errore rilevante, avendo il Legislatore del ‟42 preferito optare per la tutela dell‟affidamento della controparte (non in errore), prevedendo il requisito della riconoscibilità del vizio del volere, abbandonando ogni indagine tesa ad accertare una possibile colpa della parte errante110. Altro elemento di discrimine tra errore e garanzia afferisce all‟essenzialità, richiesta per il solo vizio del consenso (artt. 1428 e 1429 c.c.) e non anche per l‟attivazione dei rimedi edilizi111.
La falsa rappresentazione della realtà – o meglio lo stato di ignoranza scusabile in cui versa il compratore circa i vizi del bene – implicitamente sottesa alla vendita di beni viziati o qualitativamente imperfetti, è allora un errore che differisce dall‟errore codicistico, in quanto necessariamente scusabile e non riconoscibile (occulto)112. Sembrerebbe dunque necessario o arricchire la fattispecie in esame con delle varianti che rendano possibile l‟accostamento alla disciplina legale dell‟errore, ovvero ricorrere ad un istituto altro per comprendere il senso ed il fondamento della garanzia.
Tali valutazioni hanno indotto parte della dottrina a cercare riparo in un differente inquadramento dogmatico che, pur condividendo l‟idea
110 L‟abbandono del requisito della scusabilità è confermato dal diritto pretorio, per il quale a puro titolo esemplificativo si veda: Xxxx., sez. II, 2 febbraio 1998, n. 985, in Resp. civ. e prev., 2000, 1093. Si vedano altresì le osservazioni e le indicazioni bibliografiche di
X. XXXXXXX PISU, Garanzia e responsabilità nelle vendite commerciali, cit., 74.
111 E‟ quel che chiarisce X. XXXXXXXXX, La reticenza nella formazione dei contratti, cit., 166.
112 Pur riconoscendo le obbiettive differenze intercorrenti tra l‟errore positivamente regolato e l‟errore latente alla fattispecie “dazione di cosa viziata”, X. XXXXXXXXX, I singoli contratti, cit., 90 ss., ravvisa comunque nella garanzia un fenomeno da ricondurre nell‟alveo dei vizi del consenso, spiegando la superabilità del limite normativo affermando che: «la differenza di costruzione sul piano della legge positiva non è, invero, elemento decisivo per negare la convergenza di più figure sul piano dogmatico, quando si dimostri la similarità dei fenomeni, che la legge prende in considerazione».
secondo la quale la vendita di cosa viziata o mancante di qualità sia da intendere in termini di patologica formazione della volontà contrattuale, presta attenzione anche al rapporto che dal contratto deriva, o meglio all‟equilibrio del sinallagma, alterato proprio dall‟inesattezza dell‟attribuzione reale.
E‟ la nozione di presupposizione a rendere possibile – secondo tale dottrina113 – la conciliazione tra le due alternative letture che tradizionalmente si danno al fenomeno “garanzia redibitoria”, intesa ora come reazione ad un “vizio del consenso”, ora invece come rimedio avverso la “inattuazione dello scambio contrattuale”.
Provando ad entrare nello specifico delle argomentazioni addotte a sostegno dell‟idea secondo la quale la garanzia redibitoria vada spiegata in termini di presupposizione, è possibile affermare che l‟erronea supposizione dell‟integrità qualitativa del bene compravenduto non altera il processo di formazione della volontà del solo compratore, ma piuttosto contamina anche il volere del venditore divenendo «presupposto comune per la valutazione dei rispettivi interessi»114.
La riconoscibilità dell‟errore non è richiesta, secondo tale ricostruzione, in ragione delle peculiarità che connotano l‟errore nella vicenda in esame. Si tratta, infatti, di una erronea rappresentazione della realtà condivisa da entrambe le parti e sulla quale si fondano le volontà contrattuali nonché l‟intero assetto regolamentare, tale per cui il dare una
113 Si intende fare riferimento alla posizione di X. XXXXXXXXX, La tutela del compratore per i vizi della cosa, cit., spec. 177 ss. Contra: X. XXXXXXXXX, La reticenza nella formazione dei contratti, cit., 171 ss.
114 Le parole citate nel testo sono di X. XXXXXXXXX, La tutela del compratore per i vizi della cosa, cit., 215, nel pensiero del quale – come riferito da A. BELFIORE, La presupposizione, cit., 85 – «il termine “presupposizione” designa la circostanza passata, presente o futura che sia: 1) determinante del consenso per uno soltanto dei contraenti; 2) nota, ed anche sotto il profilo della “sua portata determinante”, alla controparte; 3) tenuta in conto (anche) dalla controparte in sede di determinazione delle ragioni dello scambio»; di modo ché la mancanza sia originaria che successiva della circostanza presupposta rileva giuridicamente come causa di annullabilità del contratto ex art. 1428», ovvero come errore sui motivi, giuridicamente rilevante.
cosa viziata a fronte di un corrispettivo commisurato ad una res supposta come non viziata, ed in effetti imperfetta, determina uno squilibrio del sinallagma contrattuale rispetto al quale del tutto ultronea appare la valutazione concernente la riconoscibilità dell‟errore da parte del venditore, essendo esclusa in linea teorica la possibilità di ammettere l‟assenza di qualità e caratteristiche essenziali e, quindi, dovute115.
Ne deriva l‟allontanamento della garanzia dall‟errore, pur dando per supposta, anche nel caso di vendita di bene viziato o mancante di qualità, un‟erronea rappresentazione della realtà, riguardante però non qualsiasi caratteristica attribuita al bene (come in ipotesi di errore ex art. 1428 c.c. e ss.), ma le sole qualità che la cosa contrattata deve possedere in quanto rientrante in una determinata categoria merceologica116.
Anche la teoria della presupposizione, sempre che si ritenga ammissibile tale figura117, fa perno dunque sull‟idea che la controversa figura della garanzia trovi giustificazione concettuale in un fenomeno di
115 X. XXXXXXXXX, La tutela del compratore per i vizi della cosa, cit., 223, ove si legge:
«la mancata statuizione della riconoscibilità dell‟errore del compratore ai fini dell‟esercizio dell‟azione di garenzia si giustifica considerando che il fondamento del potere concesso all‟acquirente di sottrarsi all‟efficacia vincolante del contratto riposa sulla circostanza che, a causa della erroneità del fattore di valutazione (immunità della cosa da difetti) assunto da entrambe le parti a fondamento del contratto e della composizione dei propri interessi antitetici, si verifica uno squilibrio tra prestazione e controprestazione, rispetto al quale la riconoscibilità o meno da parte del venditore della non corrispondenza alla realtà di quel presupposto, in altri termini la sua buona o mala fede, rileva solo agli effetti del risarcimento del danno, non della garenzia vera e propria».
116 X. XXXXXXXXX, La tutela del compratore per i vizi della cosa, cit., 226 s., il quale articola la distinzione tra errore e garanzia nei seguenti termini: «Invero una erronea rappresentazione della realtà sussiste in entrambi i casi, solo che nella ipotesi che dà luogo all‟applicazione delle norme sull‟errore trattasi di un errore nella attribuzione di date qualità, mentre nella ipotesi che dà luogo alla garenzia vi è un errore nel ritenere concretamente esistenti qualità che la cosa contrattata pur dovrebbe possedere in relazione alla categoria cui appartiene».
Avuto particolare riguardo alla distinzione tra errore sulle qualità (art. 1429 c.c.) e mancanza di qualità (art. 1497 c.c.), giova ricordare l‟insegnamento di P. BARCELLONA, Errore (dir. priv.), cit., 272: «il dichiarante è in errore in quanto attribuisce alla cosa qualità che non ha e non deve avere; l‟errore è essenziale se le suddette qualità corrispondono alla funzione economica di un oggetto diverso da quello contrattato. Mentre, nel‟ipotesi dell‟art. 1497 c.c., assumono rilievo le qualità che attengono alla funzione economica dell‟oggetto pattuito, nell‟ipotesi di errore si tratta, invece, delle qualità che appartengono alla funzione economica di un oggetto diverso».
117 Si rinvia alle osservazioni critiche di A. BELFIORE, La presupposizione, cit., passim.
patologica formazione della volontà, ancorché tale errore sia comune alle parti e ricada sui motivi delle stesse; pertanto i dubbi espressi in ordine all‟accostabilità, sic et simpliciter, della garanzia all‟errore possono senz‟altro essere estesi anche a questa distinta impostazione.
4. Segue. Garanzia come reazione all’inadempimento di obblighi pre- contrattuali
L‟attenzione per il momento formativo del vincolo contrattuale connota altresì un diverso orientamento dottrinale, mirante a spiegare il complesso fenomeno in esame ricorrendo alla nozione della culpa in contrahendo.
Il venditore sarebbe esposto all‟eliminazione totale o parziale degli effetti del contratto di compravendita, in presenza di vizi, in quanto inadempiente rispetto ad obblighi di natura precontrattuale. In particolare, la responsabilità cui risulta assoggettato l‟alienante sanzionerebbe la
«violazione del dovere di contrattare cose funzionalmente idonee al soddisfacimento degli interessi prefigurati dalle parti nella fase delle trattative»118, ovvero l‟inadempimento dell‟obbligo di informazione concernente l‟inidoneità del bene all‟uso suo proprio, inadempimento consumato mediante false dichiarazioni o comportamenti reticenti119.
Adottare tale punto di vista sembrerebbe implicare però la soggettivizzazione della tutela accordata all‟acquirente di cosa viziata o mancante di qualità, dal momento che la suddetta responsabilità presuppone l‟accertamento di una negligenza del venditore, il quale, conoscendo il
118 In tal modo si esprime X. XXXXXXXXX, La garanzia per vizi della cosa venduta, cit., 79, nel menzionare il pensiero di X. XXXXXX, Vendita. Contratto estimatorio, cit., 255 ss.
119 E‟ la posizione di X. XXXXXXXXX, La reticenza nella formazione dei contratti, cit., 175 ss., la quale, nel giustificare l‟adozione di tale punto di vista, ricorda come lo stesso Xxxxxxx «argomentasse dalle norme sui vizi nella vendita per trarne il principio generale della c.d. culpa in contrahendo».
difetto lo ha taciuto alla controparte contrattuale. Ma la mala fede dell‟alienante rileva ai soli fini risarcitori (ex art. 1494 c.c.) e non anche per l‟attivazione dei tipici rimedi edilizi, di tipo caducatorio-restitutorio. A tal proposito si presti attenzione alla seguente riflessione: ragionare in termini antitetici, oltre a contrastare col dato normativo, esporrebbe al rischio di escludere la tutela dell‟acquirente di cosa difettosa in tutti i casi in cui chi vende non coincide con chi ha prodotto il bene alienato; infatti, in tale eventualità – sempre più diffusa e predominante nell‟attuale mercato dei beni di consumo – il venditore risulta impossibilitato ad effettuare un soddisfacente controllo sulla res acquistata dal produttore per la rivendita e, quindi, dovrebbe tendenzialmente escludersi la mala fede del venditore, a svantaggio – se il sistema garanzia fosse imperniato sullo stato soggettivo di mala fede dell‟alienante – del compratore.
Xxxxxx, la nozione di culpa in contrahendo qui adottata assume un significato obiettivo, essendo intesa come «comportamento non conforme a quello dovuto»120. Si tratterebbe allora di un illecito oggettivo precontrattuale, cui la legge ricollega dei rimedi speciali quali la risoluzione e la riduzione del prezzo. Ma supporre l‟esistenza a carico del venditore di un obbligo precontrattuale di informare la controparte sulla imperfezione funzionale o strutturale della res tradita implica, a rigor di logica, uno stato soggettivo di previa conoscenza del vizio o della carenza qualitativa in capo all‟obbligato, mentre, come anticipato, la buona o la mala fede del venditore risulta, alla luce del dato positivo, del tutto irrilevante per l‟attivazione dei rimedi edilizi a carattere restitutorio.
Piuttosto, l‟illecito precontrattuale potrebbe invero essere chiamato in causa per giustificare la responsabilità del venditore per i danni cagionati dalla cosa viziata, di cui all‟art. 1494, primo comma, c.c., condizionando il diritto al risarcimento del danno all‟ignoranza colpevole dei vizi della cosa da parte dell‟alienante, ovvero all‟inadempimento dell‟obbligo di
120 X. XXXXXXXXX, La reticenza nella formazione dei contratti, cit., 177.
correttezza che la legge pone a carico delle parti durante lo svolgimento delle trattative121.
Sembra però trattarsi di un diverso e distinto profilo della tutela che il nostro ordinamento giuridico riserva all‟acquirente, da non confondere con i rimedi volti a garantire l‟eliminazione o la correzione quantitativa del sinallagma contrattuale – non funzionante a causa del difetto presente nel bene venduto – quali l‟azione redibitoria e l‟actio quanti minoris. Il vizio, come si è già tentato di chiarire, rappresenta un elemento perturbatore dell‟equilibrio contrattuale, dal momento che il corrispettivo dovuto dall‟acquirente è stabilito in ragione del valore di un bene che si dà per perfettamente sano e funzionante; quindi, l‟accertata presenza del vizio rende squilibrato il rapporto tra le prestazioni: il venditore trasferisce la proprietà di un bene la cui utilità risulta inferiore al prezzo pagato dal compratore. La restituzione in toto o in parte delle prestazioni tende dunque a ripristinare lo status quo ante, permettendo all‟acquirente di cosa viziata di non rimanere vincolato ad un contratto a prestazioni sproporzionate, rimuovendolo – mediante l‟azione di risoluzione – o mantenendolo in vita seppur corretto – ricorrendo all‟azione di riduzione del prezzo.
Il risarcimento del danno, invece, integrando il patrimonio del compratore, minorato dal conseguimento di una cosa viziata, differisce dalla tutela restitutoria per il diverso obbiettivo preso di mira: la traslazione del sacrificio economico patito dall‟acquirente, non coperto dalle
121 Il dovere di buona fede ex art. 1337 c.c. è inteso, nel caso di specie, come «obbligo dell‟alienante di assumere un impegno effettivamente rispondente ad un‟obbiettiva e corretta rappresentazione in trattativa della consistenza e dei connotati reali del bene oggetto del trasferimento» (per tale impostazione si veda: X. XXXXX, Interesse negativo e responsabilità precontrattuale, cit., 634). A tal proposito va precisato come l‟Autore da ultimo citato propenda per l‟inquadramento della fattispecie in esame in termini contrattuali, ravvisando nel comportamento del venditore un vero e proprio inadempimento contrattuale, lesivo quindi dell‟interesse positivo del compratore, interesse con il quale interferisce però l‟interesse negativo, sopra descritto, reso autonomo dalla responsabilità precontrattuale. L‟interferenza tra i due tipi di interesse è giustificata, nel pensiero dell‟Autore, dalla preesistenza del vizio al trasferimento del diritto quale presupposto comune e delle azioni di garanzia e della tutela risarcitoria (ID., op. cit., 618 ss. e spec. 630 ss.).
restituzioni di cui all‟art. 1493 c.c., nella sfera patrimoniale del venditore- danneggiante122.
E‟ la finalità delle due forme di tutela, assicurate dalla legge in favore dell‟acquirente, a renderle diverse e a consigliarne un uso distinto, anche e soprattutto sotto il profilo concettuale della ricerca del fondamento della garanzia redibitoria.
La responsabilità (precontrattuale) più che rappresentare la natura del fenomeno “garanzia” potrebbe piuttosto costituire una tutela ulteriore da riconoscere all‟acquirente di cosa viziata, cumulandosi con la tutela restitutoria assicurata dagli artt. 1492 e 1493 c.c., a presidio del patrimonio dell‟acquirente deluso123. Se, infatti, la risoluzione o la riduzione del prezzo mirano a salvaguardare l‟equilibrio del sinallagma, rimuovendolo in tutto o soltanto in parte – al fine di adeguare «i termini contrattuali al risultato mancato o viziato»124 – la misura risarcitoria, invece, recupera le perdite ed
122 In riferimento alla distinzione fatta in giurisprudenza tra azione di riduzione del prezzo e rimedio risarcitorio (art. 1494 c.c.) si veda: A. XXXXXX, Vizi occulti della cosa venduta e azione di riduzione, in Civilista, 2010, 27 ss., ove si precisa: «vero è che l‟azione per la riduzione del prezzo e quella per il risarcimento del danno spettanti al compratore a norma degli artt. 1492 e 1494 c.c., sono entrambe finalizzate a ristabilire il rapporto di corrispettività tra prestazione e controprestazione, nonché a porre il compratore medesimo nella situazione economica in cui si sarebbe trovato se il bene fosse stato immune da vizi. Esse, tuttavia, sono diverse perché la prima consente al compratore di ristabilire il rapporto di corrispettività tra prestazione e controprestazione solo con riguardo al minor valore della cosa venduta, mentre la seconda gli dà la possibilità di ristabilire tale rapporto con riguardo alla ridotta utilizzabilità di quest‟ultima (Xxxx. civ., sez. II, 8 marzo 2001, n. 3425, in DeJure; Cass. civ., sez. II, 21 luglio 2004, n. 13593, in DeJure). In buona sostanza l‟ordinamento giuridico intende porre l‟acquirente nella situazione economica equivalente a quella in cui si sarebbe trovato se la cosa fosse stata immune da vizi e non a quella in cui si sarebbe trovato se non avesse concluso il contratto o se lo avesse concluso a prezzo inferiore».
123 La responsabilità precontrattuale è richiamata da X. XXXXXXX, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., 21, quale tutela ulteriormente fruibile dal compratore in caso di scadenza dei termini di prescrizione e decadenza di cui all‟art. 1495 c.c., nei limiti dell‟interesse negativo.
124 A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, 4° ed., Milano, 2003, 305; l‟Autore, giova ricordare, muove dall‟idea secondo la quale la garanzia non possa essere intesa in termini di responsabilità per inadempimento, dal momento che essa «tende ad assicurare un risultato e/o parti di un risultato» (ibidem), a nulla rilevando il comportamento del venditore.
i mancati guadagni che il patrimonio dell‟acquirente subisce a causa del difetto funzionale del sinallagma125.
Sembra allora delinearsi uno scenario nel quale forme diverse di tutela tendono ad incontrarsi già sul terreno della specialità. E‟ la disciplina speciale della garanzia a prevedere la cumulabilità di un rimedio generale, quello risarcitorio – sempre che si ritenga il diritto al risarcimento del danno, ivi previsto, un diritto indipendente dalla garanzia – con i rimedi edilizi, dettati ad hoc nell‟ambito della disciplina della compravendita.
In altri termini, posta la natura autonoma del rimedio risarcitorio di cui all‟art. 1494 c.c. rispetto al sistema garanzia – come si tenterà di chiarire nelle pagine seguenti – si intravede la possibilità di ammettere un concorso di tutele nella vendita di cosa viziata. E precisamente, il risarcimento del danno si cumula con i tipici rimedi restitutori da garanzia, delineando in tal modo un sistema “concorrenziale” di tutela dell‟acquirente di bene difettoso. Un concorso che, a detta della giurisprudenza e di parte della dottrina, sarebbe dominato dalla logica della garanzia, dal momento che l‟attivazione della tutela risarcitoria appare condizionata dal rispetto dei limiti di operatività dei rimedi edilizi126, stante la dichiarata identità della
125 Si rinvia a X. XXXXX, L’obbligo precontrattuale di informazione, Napoli, 1990, 233, per una dettagliata e puntuale analisi delle possibili combinazioni di tutela dell‟acquirente di cosa viziata, sul fronte restitutorio e risarcitorio (ID., op. cit., 227 ss.).
L‟espressa salvezza del diritto dell‟acquirente al risarcimento dei danni (art. 1494 c.c.) deporrebbe inoltre a favore dell‟idea secondo la quale la conclusione di un contratto valido ed efficace non elide un‟eventuale responsabilità precontrattuale derivante da scorrettezze commesse durante la formazione del contratto, potendo piuttosto ammettersi la convivenza tra responsabilità contrattuale e precontrattuale là dove appaiano violati interessi distinti ed autonomi, in quanto legati a fasi diverse del complesso procedimento di formazione della vicenda contrattuale (ID., op. cit., 235 ss.). La responsabilità contrattuale, lungi dall‟identificarsi con la garanzia redibitoria, è stata ravvisata nella previsione di cui al secondo comma dell‟art. 1494 c.c., ove i «danni derivanti dai vizi della cosa» costituirebbero le conseguenze pregiudizievoli della violazione di un dovere di protezione accessorio all‟obbligo di consegna del bene.
126 Secondo l‟opinione dominante, infatti, il risarcimento del danno contemplato dall‟art. 1494 c.c. è rimedio che integra il sistema garanzia e, pertanto, esso risulta subordinato al rispetto dei termini “brevi” di cui all‟art. 1495 c.c. (v. X. XXXXXXX, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., 21), pur potendo il compratore decidere di agire in giudizio per il solo ristoro dei danni, indipendentemente dalla attivazione dei rimedi “restitutori” della redibitoria e della quanti minoris. Per tale
fattispecie cui consegue l‟unitarietà della disciplina. Ma invero l‟assunto dell‟unicità del fatto generatore di garanzia e di responsabilità non è affatto inconfutabile, sembrando piuttosto un dato da sconfessare, alla luce delle differenze obiettive intercorrenti tra il fatto generatore di garanzia ed il fatto fonte dell‟obbligo risarcitorio; in particolare, l‟elemento soggettivo della colpa, del tutto irrilevante nel contesto dei rimedi edilizi-restitutori, riemerge sotto il profilo della tutela risarcitoria127. La fattispecie dazione di cosa viziata si arricchisce, dunque, di un‟impronta soggettivistica nella previsione di cui all‟art. 1494 c.c. e tale circostanza sconfessa l‟esito della ricostruzione che vede nel risarcimento del danno un rimedio che, seppur azionabile autonomamente dai rimedi edilizi, soggiace alla medesima disciplina della garanzia in ordine al tempo della tutela128.
Senza dimenticare che il rimedio risarcitorio muove dall‟accertamento di un danno che non può essere assorbito nella mera perdita di valore del bene difettoso, trattandosi di ricadute pregiudizievoli ulteriori, travalicanti i confini dei presupposti per l‟attivazione della tutela redibitoria “pura”, mirante, quest‟ultima, al mero ripristino della situazione anteriore alla conclusione del contratto di compravendita.
tesi si veda in dottrina: X. XXXXXX, La compravendita, cit., 817 ss.; ed in giurisprudenza: Cass., sez. II, 6 dicembre 2001, n. 15481, cit. La giurisprudenza è sul punto monolitica, ma non per questo esente da critiche; infatti, se si considera che essa, nel sottoporre l‟azione risarcitoria di cui all‟art. 1494 c.c. ai termini “ridotti” di cui all‟art. 1495 c.c., prende avvio dalla constatata autonomia del rimedio risarcitorio rispetto ai rimedi edilizi, contraddittoria appare l‟applicazione dei termini “brevi” di prescrizione e decadenza. A tal proposito si vedano le osservazioni di: G. ALPA, Azioni edilizie e risarcimento del danno. In margine all’interpretazione dell’art. 1494, 1° comma cod. civ. (nota a Cass., 14 marzo 1975, n. 987), in Riv. dir. comm., 1977, II, 1; X. XXXXX, L’obbligo precontrattuale di informazione, cit., 217 ss.; X. XXXXXX, Xxxxx di tutela dei contrarenti nella compravendita, in Il diritto privato nella giurisprudenza, a cura di X. Xxxxxx, Compravendita, VIII, Torino, 2007, 83 s.
127 Elemento soggettivo che è stato ravvisato in giurisprudenza nella «inosservanza dell‟obbligo di diligenza relativo allo stato della merce oggetto del trasferimento», al fine di limitare l‟operatività dell‟art. 1494 c.c. al solo rapporto venditore-compratore, escludendone l‟estensione al produttore (Cass, sez. II, 21 gennaio 2000, n. 639, in Contratti, 2000, 903 ss.).
128 Si vedano a tal riguardo le osservazioni di X. XXXXXX, Compra-vendita, garanzia per vizi, responsabilità per il danno, cit., 8 ss.
Se si riflette inoltre sulla ratio che giustifica la previsione dei ristretti termini di prescrizione e decadenza, sembra doversi escludere l‟operatività degli stessi nell‟ambito della tutela risarcitoria, come delineata dall‟art. 1494 c.c.; infatti, il limite temporale ridotto della tutela riconosciuta al compratore di cosa viziata o mancante di qualità è tradizionalmente spiegato alla luce della necessità avvertita dall‟ordinamento giuridico di assicurare stabilità al rapporto instaurato con la conclusione del contrato di compravendita. Si tratta di un‟esigenza di matrice pubblicistica la cui osservanza implica altresì il rispetto di interessi individualistici, facenti capo al venditore, garantendo questi avverso le difficoltà probatorie in cui certamente incorrerebbe qualora dovesse dimostrare l‟insussistenza del vizio al momento della consegna, decorso un particolarmente lungo periodo di tempo.
E‟, invero, l‟esigenza “pubblicistica” della sicurezza degli scambi a risultare in potenziale conflitto col sistema “garanzia”, ove si imputa al venditore il rischio oggettivo del non verificarsi del risultato contrattualmente aspettato (trasferimento del bene strutturalmente e funzionalmente idoneo all‟uso suo proprio), determinando la rimozione dello scambio. L‟eventualità della perdita dell‟affare giustifica allora la brevità dei termini di prescrizione e di decadenza, alla luce della necessità di assicurare scambi sicuri, esigenza messa a rischio proprio dalla tutela restitutoria in cui si incarna la garanzia redibitoria.
La particolarmente forte limitazione temporale della tutela dell‟acquirente di cosa viziata appare invece disarmonica nell‟ottica della tutela risarcitoria, tutela facente perno sulla ignoranza colpevole del vizio da parte dell‟alienante e avente di mira non la distruzione del sinallagma, ma piuttosto l‟eliminazione delle ricadute pregiudizievoli. In altri termini, la necessità di limitare la “responsabilità” del venditore entro ristretti termini ha un senso nel solo caso in cui questi sia chiamato a rispondere dei vizi in modo oggettivo, ovvero a prescindere dalla sua colpa, al fine di assicurare
una più semplice previsione, da parte del venditore, dei rischi di fallimento dell‟operazione economica e ciò in favore anche di più spediti scambi commerciali: se l‟alienante dovesse essere assoggettabile per un lungo lasso di tempo alla rimozione del contratto o alla riduzione del prezzo, tale circostanza potrebbe costituire un deterrente alla conclusione di contratti di scambio, a danno dell‟economia. Tale esigenza di tutela del venditore e del mercato non sembra invece avvertibile nel diverso caso in cui egli conosceva, o avrebbe dovuto conoscere, i vizi o le carenze qualitative al momento della conclusione del contratto, potendo prevedere i rischi cui andava incontro il compratore.
Giova altresì ricordare che la tutela risarcitoria non solo muove da presupposti differenti rispetto a quelli che permettono di azionare la tutela restitutoria, ma soprattutto mira al conseguimento di risultati non demolitori ma reintegratori del patrimonio dell‟acquirente, rispetto ai quali non può essere avvertita quell‟esigenza di certezza dei traffici costituente il cuore della ratio dei brevi termini di prescrizione e decadenza di cui all‟art. 1495 c.c.
Tali argomentazioni depongono a favore del superamento dei ristretti termini di prescrizione e decadenza nel contesto della responsabilità per i danni subiti dal compratore a causa dei vizi, con l‟ulteriore effetto di emancipare la tutela risarcitoria dalla “gabbia” della garanzia, collocandola nell‟alveo delle previsioni generali129.
Per il tramite dell‟art. 1494 c.c. sembra allora possibile affermare che il rimedio generale del risarcimento del danno penetri nella tutela
129 Le osservazioni sulla ratio dei brevi termini di prescrizione e di decadenza sopra riferite inducono, però, taluno (U. M. XXXXXXX, L’azione di risarcimento dei danni derivanti dai vizi della cosa (nota a Xxxx., sez. I, 12 marzo 1965, n. 414), in Foro it., 1965, I, 1497 ss. e spec. 1503 s.) a rinnegare l‟indipendenza della tutela risarcitoria rispetto ai limiti ed alle condizioni delle azioni edilizie, seppur limitatamente alla previsione contemplata al primo comma dell‟art. 1494 c.c., presentando tale scelta ermeneutica come la conseguenza di «un‟anomalia del sistema, […]. Trattandosi infatti di azioni che non sono che un aspetto qualificato della garanzia per vizi, sarebbe stato più coerente ritenere il venditore responsabile anche senza colpa per i danni direttamente connessi alla consegna della cosa viziata».
(speciale) del compratore di cosa viziata, colorando di generalità uno specifico aspetto della disciplina della garanzia edilizia, che sembra presentarsi come crocevia di una molteplicità di tutele, nell‟incontro tra disciplina generale del contratto e disciplina speciale della compravendita130.
130 Con l‟avvertenza che il presente lavoro ha di mira l‟analisi dei rapporti intercorrenti tra rimedi speciali e rimedi generali nel solo caso di vendita “individuale”, alla quale fa riferimento la disciplina codicistica e non anche al più complesso fenomeno della “vendita a catena”, ove la dimensione aquiliana della responsabilità del produttore per beni difettosi prende il sopravvento. Sul punto basti ricordare come, prima dell‟introduzione della specifica normativa in materia di responsabilità del produttore (D.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, attuativo della direttiva comunitaria 25 luglio 1985, n. 374, ed oggi artt. 114 ss. Cod. cons.) la dottrina si interrogava sul tipo di responsabilità invocabile anche alla luce della disciplina contrattuale della garanzia per vizi, disciplina che veniva intesa come non soddisfacente, osservando che: «se si confina la responsabilità del produttore negli schemi della vendita, il consumatore godrà di una ben limitata tutela risarcitoria; e ciò per tre ordini di motivi. In primo luogo, […], le azioni derivanti dal contratto sono soggette a termini di prescrizione e decadenza molto brevi. […]. In secondo luogo esiste un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, nell‟ipotesi di vendita di prodotti sigillati, […], viene esclusa la responsabilità del venditore, presumendosi l‟oggettiva ignoranza dei vizi. […]. In terzo luogo il venditore, molto spesso, è un grande imprenditore che gode di un potere sul mercato tale da poter imporre al pubblico le proprie condizioni. L‟impiego delle clausole vessatorie, che esonerano dalla garanzia per i vizi o dalla mancanza delle qualità, […], si traduce in un privilegio del quale si avvantaggerà pure il fabbricante» (X. XXXXXXXX, Prevenzione e risarcimento nel danno da prodotti industriali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1982, 79 ss. e spec. 89 s.). L‟operatività della disciplina della garanzia redibitoria è oggi esclusa, non solo nel raffronto tra consumatore e produttore, ma anche nel rapporto intercorrente tra fornitore ed acquirente, nell‟eventualità in cui la persona danneggiata da un prodotto difettoso ignori l‟identità del produttore ed il fornitore non renda note le informazioni idonee a consentire l‟effettiva individuazione del costruttore (art. 116 cod. cons.); la dimensione aquiliana connota, in tale eventualità, anche la relazione tra venditore ed acquirente, trattandosi di danni che esulano dall‟inattuazione di aspettative contrattuali e, quindi, «L‟azione risarcitoria proposta dalla persona danneggiata da un prodotto difettoso nei confronti del fornitore è assoggettata ai limiti temporali previsti dalla normativa in tema di responsabilità del produttore, mentre non spiegano alcuna influenza i termini entro cui far valere le garanzia scaturenti dalla vendita» (Xxxx., sez. III, 1 giugno 2010, n. 13432, in Foro it., 2011, I, 523). Per un‟analisi della situazione delineatasi a seguito dell‟entrata in vigore della normativa pocanzi citata si veda X. XXXXXXXXXX, La nuova responsabilità civile, 3° ed., Milano, 2006, 687 ss.
5. La garanzia, tra vendita di specie e vendita di genere
Le osservazioni svolte sul fondamento della garanzia hanno permesso di osservare questa complessa e contraddittoria figura dalla specola di istituti di parte generale, quali l‟inadempimento, l‟errore e la responsabilità precontrattuale, mettendo altresì in luce la difficile, se non impossibile, riconduzione della stessa entro confini “non propri”.
Tale considerazione dovrebbe far propendere per un inquadramento autonomo della garanzia, dando ragione a chi131 in dottrina preferisce raffigurarla come “assicurazione di un risultato”, il cui verificarsi o meno non passa per il tramite della condotta del “promittente” (venditore). L‟assenza di vizi e la presenza delle qualità essenziali rappresentano dei modi d‟essere della res contrattata insuscettibili di essere dedotti in obbligazione, pur costituendo l‟oggetto di una aspettativa contrattuale la cui attuazione non è resa impossibile da un comportamento doveroso del “debitore”, in quanto tali caratteristiche o sussistono ab origine o non potranno esistere in seguito. La garanzia permette di accollare il rischio di un determinato evento, quale è nel caso in esame l‟inesatta attribuzione reale, ad un soggetto, il garante, senza ricorrere al «medio di un dovere possibile»132. E‟, inoltre, l‟adozione del principio consensualista (art. 1376
131 X. XXXXXXX, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., 15 ss., la cui riflessione si riannoda a quanto sostenuto da X. XXXXX, La compravendita e la permuta, cit., 88 ss. Sul solco della “assicurazione” si veda anche A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, cit., 305; ID., Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di consumo, in Europa dir. priv., 2002, 1 ss.
132 A. XXXXXXXXX, Diritto europeo della vendita dei beni di consumo e categorie dogmatiche, cit., 528, il quale ricorda come l‟impossibilità di concepire una “obbligazione di fare avere la cosa utilmente” discende dalla non deducibilità della “sanità” della res in un comportamento obbligatorio, in quanto: «Una volta che l‟oggetto della vendita è individuato, e perciò la cosa è già e non può essere diversa da quella che è, il venditore non può che consegnare quella cosa così come essa è: se è viziata, se il cavallo è malato, se lo schiavo è ladro, non è possibile consegnare quello stesso cavallo non malato, quello stesso schiavo non ladro. Obbligarsi a consegnare quello stesso cavallo sano è impossibile se esso è malato. E impossibilium nulla obligatio: il concetto di obbligazione implica la possibilità di tenere il comportamento dedotto in essa come mezzo per realizzare il risultato in grado di soddisfare l‟interesse del creditore. Tuttavia
c.c.) a far stridere il binomio garanzia-inadempimento, apparendo chiara l‟inconciliabilità tra la ricostruzione dell‟impegno traslativo del venditore in termini di obbligazione ed il dogma del consenso traslativo133; infatti la “immediatezza” dell‟effetto reale impedisce di immaginare una obbligazione traslativa che si frapponga tra consenso delle parti e trasferimento del diritto sul bene.
Si sgancia in tal modo la garanzia dall‟obbligazione e se ne permette l‟attivazione prescindendo dall‟individuazione di una specifica obbligazione rimasta inadempiuta, condizionandone piuttosto l‟operatività alla violazione della lex contractus134, fenomeno distinto dall‟inadempimento dell‟obbligazione, in quanto riferito alla mancata realizzazione di un interesse contrattuale la cui attuazione non passa per il tramite di un comportamento umano. Il contratto può infatti essere fonte sia di obbligazioni sia di garanzia, presentandosi in quest‟ultima eventualità come «strumento di accollo di rischi»135.
Tale ricostruzione, nel divincolarsi dall‟inadempimento di una fantomatica obbligazione avente ad oggetto l‟essenza del bene alienato, sembra da preferire anche perché permette di comprendere la garanzia in una accezione “universale”, ovvero idonea ad operare e nell‟ipotesi di vendita di specie – rispetto alla quale la disciplina codicistica del contratto
se una tutela del compratore in relazione all‟interesse giuridicizzato nel contratto a ricevere una cosa non viziata non può conseguirsi sul piano obbligatorio, perché fuoriesce dai limiti dell‟obbligazione, può essere ricercata sul piano contrattuale, in relazione all‟idea di lex contractus che descrive il contratto come vincolo (atto avente forza di legge tra le parti) funzionale al raggiungimento degli scopi da esse divisati» (ID., op. cit., 534 s.).
133 X. XXXXXX, La «conformità al contratto» tra garanzia e responsabilità, in Contratto impr. Europa, 2001, 2 e spec. 8 e 10, il quale presenta come rivoluzionaria la scelta del legislatore comunitario, nell‟ambito della disciplina della vendita di beni di consumo, di costruire la conformità del bene venduto come «prestazione dovuta dall’alienante a titolo di obbligazione primaria, nascente da contratto».
134 Si vedano al riguardo le indicazioni di X. XXXXXXXXX, Equivoci e concettualismi nel diritto europeo dei contratti: il dibattito sulla vendita dei beni di consumo, cit., 333 ss.
135 A. NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita dei beni di consumo e categorie dogmatiche, cit., 532 s.
di compravendita sembra modellata136 – e nell‟ipotesi di vendita di genere – per la quale, in effetti, non del tutto peregrina appare l‟idea di legare i rimedi edilizi all‟inadempimento dell‟obbligazione di consegnare cose di qualità non inferiori alla media, ex art. 1178 c.c.
Il diritto positivo è, infatti, indifferente, nel disciplinare la garanzia redibitoria, rispetto alla tipologia di vendita conclusa tra le parti: le condizioni ed il contenuto della garanzia non variano al variare dell‟oggetto dello scambio137.
Una distinzione, quella tra vendita di genus e vendita di species, che, non tenuta in considerazione dal legislatore del 1942 per l‟obbiettiva predominanza, in quegli anni, del modello di vendita di beni specifici –
136 La vendita di beni di specie era, infatti, il prototipo di vendita in una economia pre- industriale come quella rappresentante lo scenario di riferimento nella codificazione del
‟42. Un contesto nel quale la vendita di cose generiche costituiva l‟eccezione e tale circostanza è resa manifesta dallo scarso rilievo riconosciuto alla disciplina delle obbligazioni generiche, alle quali è riservato il solo art. 1178 c.c. E‟ quanto osserva X. XXXXXXXXX, Equivoci e concettualismi nel diritto europeo dei contratti: il dibattito sulla vendita dei beni di consumo, cit., 369. Senza dimenticare che la garanzia “implicita” nasce in diritto romano per le sole vendite di specie.
137 E‟ quel che mette in evidenza X. XXXXX, Considerazioni in tema di garanzia per vizi redibitori, cit., 238 ss.
Tale “indifferenza” vale per la sola disciplina codicistica della vendita, ben consapevoli del fatto che negli ultimi anni il nostro ordinamento giuridico si è arricchito di una disciplina che si presenta come il risultato di un processo di ulteriore specializzazione della disciplina della compravendita, già di per sé speciale rispetto alla disciplina generale del contratto; la considerazione del ruolo economico dei soggetti coinvolti nell‟operazione contrattuale, in un‟ottica di tipo funzionale, ha spinto il legislatore comunitario (Direttiva 1999/44/CE) prima ed il legislatore nazionale (art. 1, D.Lgs. 2 febbraio 2002, n. 24, che introdusse gli artt. 1519-bis e ss., in seguito abrogati dall‟art. 146, comma 1, lett. s), D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, e reintrodotti agli artt. 128 xx. xxx xxxxxx X.Xxx. 000/0000, xxxxxxx il Codice del consumo) dopo ad introdurre una normativa ad hoc per la vendita di beni di consumo, ove i rimedi apprestati a tutela dell‟acquirente “insoddisfatto” solo in parte coincidono con i vecchi rimedi edilizi ed ove il modello di riferimento sembrerebbe costituito dalla vendita di beni individuati solo nel genus e caratterizzata dalla serialità (X. XXXXXXXXX, Equivoci e concettualismi nel diritto europeo dei contratti: il dibattito sulla vendita dei beni di consumo, cit., 369). Proprio la serialità e, quindi, la fungibilità dei beni venduti potrebbe giustificare la configurabilità di un‟obbligazione di conformità del risultato traslativo rispetto a certi standards; la vendita di beni di consumo sarebbe, infatti, principalmente una vendita di genere, nella quale la realizzazione dell‟effetto traslativo è mediata pur sempre dall‟obbligazione di trasferire il diritto (cfr. X. XXXXXX, La «conformità al contratto» tra garanzia e responsabilità, cit., 12 ss.). Per uno sguardo d‟insieme sulla vendita di beni di consumo si veda X. XXXXXX (a cura di), La vendita di beni di consumo, Milano, 2005.
rectius: di beni specificamente individuati, sull‟implicito assunto della loro infungibilità – oggi, in una economia di stampo capitalistico appare in un certo qual modo recessiva, o meglio, da declinare in modo differente138.
Fenomeno sicuramente predominante nell‟attuale mercato è quello della vendita di prodotti standards, realizzati in serie ed appartenenti ad una stessa tipologia merceologica, rispetto ai quali difficilmente rilevano peculiarità specifiche139. Sono beni seriali, che, se appartenenti al medesimo genus, sono in grado di soddisfare in egual misura l‟interesse dell‟acquirente, in quanto reciprocamente interscambiabili.
Si evocano in tal modo le nozioni di fungibilità e genericità, le quali richiedono una specificazione per una migliore comprensione del tema in esame.
Tradizionalmente si contrappone la fungibilità alla genericità in ragione del fatto che la prima è obbiettiva, attenendo ad una caratteristica naturale della cosa, mentre la seconda soggettiva, «ciò per la struttura piramidale del concetto di «genere» e per la sua elasticità, che determinerebbe impossibilità di considerazione obbiettiva»140. Detto
138 Il legame intercorrente tra la disciplina codicistica della garanzia redibitoria ed il paradigma della vendita individuale di cose di specie è messo in rilievo da G. XXXXXX XXXXXXX, La tutela del consumatore in una moderna giurisprudenza in tema di garanzia per i vizi occulti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, 1781 ss., il quale ad essa contrappone il modello, di maggiore diffusione nell‟economia già di quegli anni, della vendita di prodotto seriale, ove «Non è più il prodotto singolo, dotato di proprie caratteristiche individuali, a dominare il mercato, bensì la serie, cioè la molteplicità infinita di prodotti aventi caratteristiche uniformi e destinati a soddisfare bisogni spersonalizzati della generalità dei consumatori».
139 Si vedano al riguardo le osservazioni di X. XXXXX, Considerazioni in tema di garanzia per vizi redibitori, cit., 238 ss.
140 E‟ quanto ricorda A. ZARRELLI, Fungibilità ed infungibilità nell’obbligazione, Napoli, 1969, nel menzionare il tradizionale orientamento (X. XXXXXXXX, Delle obbligazioni di genere in diritto romano, in Studi giuridici, III, 1, Milano, 1960, 151; X. XXXXXXXXX, Xxxx (Teoria generale), in Enc. dir., XI, Milano, 1962, 19; X. XXXXXX, Xxxxxxxxxxxx, 0x xx., Xxxxxx, 0000; X. XXXXXX, Cosa fungibile e non fungibile, in Nov. dig. it., IV, Torino, 1959, 1019) che contrappone il giudizio di fungibilità-infungibilità a quello di genericità- specificità, che l‟Autore citato condivide nell‟esito ma non anche nel fondamento, partendo dall‟assunto che la fungibilità non è nozione obbiettiva, esistente in rerum natura, ma sostenendo piuttosto: «La qualifica di fungibilità e d‟infungibilità non può essere ricercata in considerazione delle qualità naturalistiche dei beni, ma della funzione
altrimenti: la fungibilità è sinonimo di sostituibilità con altri beni che, seppur non identici, hanno caratteristiche similari tali da farli rientrare nel medesimo genere; la genericità, invece, non è caratteristica dei beni, ma criterio di determinazione dell‟oggetto del rapporto giuridico141.
Ciò posto, sembra possibile avvicinare la contrapposizione che nell‟attuale economia di massa risulta dominante (cose singolari e cose seriali) al giudizio di (in)fungibilità, tralasciando invece il modo in cui viene determinato l‟oggetto del rapporto contrattuale, attenendo questo, come sopra ricordato, ad un differente piano funzionale, quale è quello della determinazione dell‟oggetto della prestazione.
La singolarità o serialità è caratteristica del bene, indipendente dalla volontà delle parti, costituendo la risultante “oggettiva” di un diverso meccanismo produttivo: artigianale, nel primo caso, ed industriale, nel secondo. La mancanza di un interesse al bene individuale, in quanto bene
che essi assolvono nel concreto rapporto obbligatorio» (A. ZARRELLI, op. cit., 56). L‟interesse creditorio cui parametrare il giudizio di fungibilità – secondo A. Zarrelli – non va inteso in termini astratti, ma concreti, ossia riferito allo specifico rapporto. Sulla necessaria concretezza e non astrattezza della definizione in esame si veda anche G. XXXX, Osservazioni sulla fungibilità dei beni, in Bancaria, 1955, 931 ss., di cui A. Zarrelli condivide le conclusioni: «Esattamente l‟A. critica la pretesa di classificare i beni in fungibili ed infungibili al di fuori del rapporto concreto, in forza di criteri extra giuridici (apprezzamenti economico-sociali), non tenendo conto della loro funzione solutoria» (A. ZARRELLI, op. cit., 57).
141 X. XXXXXXXXX, Xxxx (Teoria generale), cit., 75 s., il quale precisa: «l‟appartenenza al medesimo genus costituisce il presupposto necessario perché si possa parlare di fungibilità. […] La fungibilità si risolve, genericamente, nella equivalenza, e quindi presuppone logicamente la classe o categoria di oggetti (genus). D‟altra parte, il genus costituisce anche il limite, nel senso che se possono considerarsi fungibili le cose appartenenti allo stesso genus, non possono considerarsi fungibili le specie tra loro, e quindi singolarmente le cose dell‟una rispetto a quelle dell‟altra specie: per esempio il vino rispetto all‟olio. […] Il concetto dell‟equivalenza presuppone, appunto, l‟inesistenza di differenze qualitative, di modo che esse possono essere individuate con criteri meramente quantitativi». Per l‟orientamento contrario si veda invece: X. XXXXXXX, La teoria generale delle obbligazioni, I, La struttura, Milano, 1948, 247, il quale afferma la perfetta identificazione tra i due concetti (fungibilità e genericità), così argomentando:
«Ed in questa conclusione ci conforta proprio il testo del codice. Il quale ammette (art. 1243 comma I°) la compensazione legale tra due debiti che abbiano per oggetto il danaro
« o una quantità di cose fungibili dello stesso genere »: dove l‟espressione « fungibile » in apparenza sembra differire dal genere. In realtà la prima vale « sostituibili », e si insiste chiarendo che tale sostituibilità è appunto tra beni dello stesso genere».
esistente in larga massa142, rappresenterebbe la peculiarità dei beni standards, prodotti che pertanto possono ritenersi fungibili. Ed in questi termini si comprende come l‟alternativa fungibilità-infungibilità sia in grado di coprire la contrapposizione intercorrente tra bene prodotto come unicum e bene prodotto in serie. Non rileva invece, nella dialettica beni singolari-beni seriali, il modo in cui i contraenti indicano il bene dovuto, se specificamente o genericamente, ma piuttosto la natura oggettiva dello stesso. Non appare infatti possibile distinguere l‟ipotesi in cui l‟acquirente preleva direttamente dallo scaffale il prodotto prescelto e, recandosi alla cassa, lo acquista, dall‟ipotesi in cui questi si limiti a chiedere al venditore il bene desiderato, che sarà prelevato dalla “massa” ad opera del venditore. In entrambi i casi prospettati l‟interesse del compratore non ha ad oggetto un bene individuo, essendo identici tra loro i beni seriali, a poco rilevando se la res sia già individuata dall‟acquirente o venga individuata dal venditore su indicazione dell‟acquirente.
La distinzione tra genus e species assume indubbiamente notevole importanza ai fini dell‟individuazione del momento traslativo – come dimostra l‟art. 1378 c.c. che, nel disciplinare il trasferimento di cosa determinata solo nel genere, contempla l‟atto di scelta, «considerandolo nel più importante dei suoi effetti giuridici che è la trasmissione della proprietà»143 – ma non anche al diverso scopo di commisurare l‟ampiezza della tutela che il nostro ordinamento giuridico riconosce al compratore di cosa viziata o mancante di qualità, nell‟incontro tra rimedi speciali e rimedi generali, posta l‟assenza di un positivo distinguo tra vendita di genere e vendita di specie nella disciplina della garanzia redibitoria.
142 X. XXXXXX MAGGIORE, Compensazione (diritto civile), in Enc. dir., VIII, Milano, 1961, 25 ss., il quale definisce fungibili i beni esistenti in larga massa, per i quali non rileva generalmente un interesse alle caratteristiche individuali; sono beni considerati per i caratteri comuni e sostituibili tra loro nell‟ambito della stessa specie.
143 X. XXXXXXX, La teoria generale delle obbligazioni, cit., 254.
Si rifletta, al fine di meglio comprendere quanto affermato, sull‟importanza che l‟infungibilità, e non la genericità-specificità, del bene assolve nello stabilire la portata “impossibilitante” del perimento del bene dovuto. Se il bene è infungibile non potrà essere sostituito e, quindi, la perdita dello stesso renderà impossibile la prestazione dovuta, con consequenziale liberazione del debitore, se a sua colpa non imputabile. E al medesimo esito dovrà giungersi anche qualora la cosa infungibile sia venduta come bene generico – sempre che si ammetta la configurabilità di un oggetto indicato genericamente ma infungibile144 – non risultando comunque attuabile la prestazione xxxxxx000. La fungibilità o meno della res tradita condizionerà l‟avvicinamento della fattispecie “dazione di cosa viziata” alla disciplina della risoluzione per inadempimento (art. 1453 c.c.) o per impossibilità sopravvenuta della prestazione (art. 1463 c.c.), potendosi immaginare un‟impossibilità nel solo caso di bene infungibile.
Un‟ultima osservazione: quanto detto in ordine al fondamento della garanzia non esaurisce la differente e centrale questione attinente al concorso tra la tutela “edilizia” e le tutele generali, posto che le teorie sulla natura della garanzia hanno di mira la comprensione dell‟istituto in esame secondo un approccio per così dire descrittivo; esse tendono a fotografare la garanzia ricorrendo a figure generali, studiandone le interrelazioni reciproche sulla base del mero raffronto di fattispecie, speciale e generali.
144 La giurisprudenza tende ad escludere tale possibilità in tema di vendita generica di immobili, posta la loro natura rigorosamente infungibile: «Le cose immobili sono infungibili, sempre ed in ogni caso. Anche quando sia possibile ravvisare una qualche omogeneità fra più cose immobili sotto il profilo funzionale, elemento strutturale essenziale di ciascuna di queste è la sua localizzazione e confinazione, che, perciò, assurge ad elemento individualizzante e diversificante»; si esclude, inoltre, che le parti possano considerare come fungibile un bene immobile. Possibile, invece, la vendita alternativa di immobili, in quanto avente ad oggetto species (Cass., sez. III, 24 novembre 1977, n. 5113, in Giust. civ., 1978, 3, 471 ss., spec. 473). Sul punto si vedano le riflessioni di E. PEREGO, La vendita di immobili non individuati, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1982, 1219 ss.
145 Si veda a tal riguardo la posizione di A. ZARRELLI, Fungibilità ed infungibilità nell’obbligazione, cit., 139 e 150.
Seguendo, invece, un approccio di tipo diverso, ovvero di carattere funzionale, l‟individuazione del tipo di problema risolto dal rimedio generale preso in considerazione, da una parte, e dai rimedi edilizi, dall‟altra, dovrebbe permettere di meglio comprendere se e come i rimedi edilizi possano “dialogare” con le tecniche di tutela previste dal diritto generale dei contratti o se piuttosto la garanzia delinei un sistema di tutela chiuso alle interferenze della disciplina generale del contratto, di modo ché il compratore di cosa viziata o carente sotto il profilo qualitativo possa trovare ristoro esclusivamente ricorrendo a quei rimedi costituenti lascito della tradizione romanistica.
Capitolo III
Dazione di cosa viziata o mancante di qualità e rimedi generali esperibili
SOMMARIO: 1. Presupposti e funzione della tutela risolutoria “generale” e rimedi da garanzia. – 2. Azione di esatto adempimento e rimedi da garanzia. – 3. Segue. La vendita di beni di consumo. – 4. Presupposti e funzione della tutela invalidatoria e rimedi da garanzia. – 5. Errore (art. 1429, n. 2, c.c.) e mancanza di qualità (art. 1497 c.c.).
1. Presupposti e funzione della tutela risolutoria “generale” e rimedi da garanzia
La risoluzione del vincolo contrattuale è rimedio146 previsto nel nostro ordinamento giuridico per offrire tutela al creditore di una prestazione contrattuale rimasta inadempiuta (art. 1453 ss. c.c.) o risultante impossibile (art. 1463 ss. c.c.)147, purché la suddetta prestazione sia sinallagmaticamente legata alla prestazione dovuta dallo stesso creditore nei riguardi del debitore148. Più precisamente, deve trattarsi di un contratto a
146 Sulla natura rimediale o meno della risoluzione si veda X. XXXXX, Il contratto, in
Trattato di diritto privato, a cura di X. Xxxxxx e X. Xxxxx, Milano, 2001, 941 ss.
147 A meri fini di completezza va menzionata la terza causa di risoluzione del contratto, ovvero l‟eccessiva onerosità sopravvenuta, di cui agli artt. 1467-1469 c.c., la quale non rappresenta oggetto di specifica trattazione nel presente lavoro, stante l‟irrilevanza della stessa nello studio dei rapporti intercorrenti tra rimedi generali e rimedi speciali a tutela del compratore di cosa viziata o carente di qualità.
148 In tema di risoluzione del contratto si vedano: A. DALMARTELLO, Risoluzione del contratto, in Nov. dig. it., XVI, Torino, 1969, 126; X. XXXXXX, Risoluzione per inadempimento e tecniche di conservazione del contratto, in Riv. crit. dir. priv., 1984, 55 s.; A. BELFIORE, Risoluzione del contratto per inadempimento, in Enc. dir., XL, Milano, 1989, 1307; ID., Risoluzione per inadempimento e obbligazioni restitutorie, in Scritti in onore di Xxxxxxxx Xxxxxxx, II, Milano, 1988, 243; LUMINOSO A., I rimedi generali contro l’inadempimento del contratto, in Commentario Scialoja-Branca, a cura di X. Xxxxxxx, Della risoluzione per inadempimento, Bologna, 1990, 1; ID., Obbligazioni restitutorie e risarcimento del danno nella risoluzione per inadempimento, in Giur. comm., 1990, I, 19 ss.; X. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto dalla prospettiva del diritto italiano, in Europa dir. priv., 1999, 793 ss.; X. XXXXX, Il contratto, cit., 937 ss. Sulla risoluzione per inadempimento si vedano anche: E. DELL‟AQUILA, La ratio della risoluzione del contratto per inadempimento, in Riv. dir. civ., 1983, II, 836 ss. ; A. DI MAJO, Risoluzione
prestazioni corrispettive perché il sopravvenire di una delle circostanze pocanzi citate possa concedere alla parte che “subisce” l‟inadempimento o l‟impossibilità della prestazione cui ha diritto la possibilità di liberarsi dall‟obbligo di dare adempimento alla propria prestazione, dissolvendo in tal modo il vincolo contrattuale.
La caducazione degli effetti del contratto, resa possibile dalla risoluzione, costituisce la reazione ordinamentale al malfunzionamento, per cause sopravvenute, del sinallagma contrattuale149, consentendo alla parte “pregiudicata” da particolari sopravvenienze di divincolarsi dal vincolo contrattuale. E‟ il «rapporto funzionale tra le reciproche attribuzioni»150 a venire meno in tali eventualità e tale circostanza rende ingiustificato il mantenimento del contratto stesso. L‟inadempimento o l‟impossibilità sopravvenuta della prestazione alterano il programma divisato dalle parti rendendolo irrealizzabile, seppure parzialmente: è solo una delle prestazioni dovute a non essere (inadempimento) o a non poter essere eseguita (impossibilità). Ma l‟(in)attuazione parziale del regolamento contrattuale, esito patologico della sopravvenienza di fattori che rendono inidoneo il contratto a svolgere la funzione sua propria, «che è quella di assicurare il soddisfacimento degli interessi dei contraenti composti nel regolamento»151, reclama un intervento rimediale che possa dare risposta al sotteso bisogno
del contratto ed effetti restitutori: debito di valore o di valuta? (nota a Cass., sez. un., 4 dicembre 1992, n. 12942), in Corr. giur., 1993, 326 ss. Sulla risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione si vedano invece: X. XXXXX, Impossibilità sopravvenuta, eccessiva onerosità della prestazione e «frustration of contract», in Riv. trim. dir. proc. civ., 1973, 1239 ss.; X. XXXXXX XXXXXXXX, La risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione ed il requisito dell’imputabilità (nota a Xxxx., sez. I, 4 luglio 2003, n. 10564), in Riv. not., 2004, II, 753 ss.
149 Il sinallagma indica «il collegamento – genetico e funzionale – che si istituisce fra le obbligazioni assunte dai contraenti e per effetto del quale nessuno di essi può ritenersi obbligato verso chi a sua volta non si obbliga e nessuno è tenuto ad adempiere a vantaggio di chi a sua volta non adempie: con la duplice possibilità di rifiutare l‟adempimento stesso (e fin qui siamo nel campo della exceptio) e di svincolarsi definitivamente dall‟obbligo di adempiere a vantaggio dell‟inadempiente [ed è proprio questo il risultato assicurato dalla risoluzione per inadempimento nell‟ambito di entrambe le categorie di contratti]» (A. DALMARTELLO, Risoluzione del contratto, cit., 128).
150 E‟ quanto chiarisce la Relazione al Codice civile (n. 660).
151 X. XXXXXXX, Manuale di diritto privato, 9° ed., Napoli, 2001, 991.
di riportare le parti nella situazione anteriore alla conclusione del contratto (esito reso possibile dalla portata retroattiva della risoluzione, seppure limitatamente ai rapporti intercorrenti tra le parti, ex art. 1458, comma 1, c.c.). A tale esigenza sembra rispondere il rimedio della risoluzione, la cui fenomenologia “normativa” appare alquanto eterogenea e diversificata in ragione delle distinte cause che permettono l‟attivazione dello stesso. Diversa è infatti la disciplina della risoluzione per inadempimento dalla risoluzione per impossibilità sopravvenuta, pur essendo comune la necessità di rimediare ad un difetto funzionale del sinallagma, derivante appunto da cause sopravvenute.
Nello specifico, se l‟inadempienza espone il contratto alla dissoluzione degli effetti suoi propri – sempre che la parte fedele non preferisca optare per la richiesta di adempimento della prestazione mancata
– senza distinzione alcuna in ordine alla natura dell‟inadempimento (totale o parziale) ai sensi dell‟art. 1453 c.c., l‟impossibilità sopravvenuta, invece, conduce alla sicura risoluzione di diritto del contratto nella sola eventualità in cui l‟impossibilità sia totale (art. 1463 c.c.), prevedendosi, per la diversa ipotesi di impossibilità parziale, la riduzione della prestazione dovuta, qualora il creditore non preferisca determinare unilateralmente la risoluzione, esercitando il diritto di recesso, previsto dalla legge a presidio dell‟interesse del creditore a conseguire un adempimento non parziale, interesse che sarebbe leso dalla manutenzione di un contratto modificato nell‟oggetto a seguito della riduzione della prestazione corrispettiva a quella divenuta parzialmente impossibile (art. 1464 c.c.).
La manutenzione riequilibrante del contratto, resa possibile nel caso di impossibilità sopravvenuta parziale dalla riduzione della prestazione (ancora possibile), è invero alternativa rimediale nota anche nella disciplina dell‟inadempimento di prestazione contrattuale inserita in un contratto sinallagmatico; infatti, l‟art. 1453 c.c. prevede – come è noto – l‟azione di adempimento in alternativa alla risoluzione del contratto, azione la quale
assolve una funzione manutentiva che si colora altresì di istanze satisfattorie: la parte non inadempiente consegue la stessa utilitas che avrebbe conseguito se il regolamento contrattuale avesse trovato spontanea ed esatta esecuzione.
Tralasciando per il momento la tutela satisfattoria e tornando alla risoluzione del contratto, giova porre in evidenza come il rimedio sinallagmatico in esame abbia un raggio di azione tale da sopperire ad ogni situazione di malfunzionamento del sinallagma, prescindendo dalla imputabilità – sia essa intesa in termini obbiettivi o subbiettivi152 – del fattore che sopravvenendo alla conclusione del contratto perturba l‟equilibrio dello scambio di valori contrattualmente programmato. Anche qualora si ritenga necessaria la colpa del debitore, o meglio l‟imputabilità
152 Il concetto di imputabilità dell‟inadempimento è concetto dai contorni non chiari, già nella teoria delle obbligazioni ove trova originaria e naturale collocazione. E‟ il classico problema della natura, soggettiva o oggettiva, della responsabilità contrattuale, le cui propaggini tendono a raggiungere, a torto o a ragione, la disciplina della risoluzione per inadempimento (art. 1453 c.c.), ove il problema concernente i requisiti di cui l‟inadempimento di prestazione sinallagmatica deve risultare dotato per determinare la dissoluzione del vincolo contrattuale appare, ad alcuni, risolvibile alla luce dei medesimi criteri di imputazione della responsabilità contrattuale.
Dallo specifico angolo visuale dell‟imputabilità nell‟adempimento risolutorio, è possibile contrapporre due opposti orientamenti. Il primo (per il quale si veda A. BELFIORE, Risoluzione del contratto per inadempimento, cit., 1316 ss.; X. XXXXXX, Inattuazione e risoluzione: la fattispecie, in Trattato del contratto, diretto da X. Xxxxx, X, Xxxxxx, 0, Xxxxxx, 0000, 70 ss., il quale però addiviene ad una nozione di imputabilità quale sinonimo di “addebbitabilità”; M. TAMPONI, La risoluzione per inadempimento, in Trattato dei contratti, diretto da X. Xxxxxxxx e E. Xxxxxxxxx, I contratti in generale, I, 2° ed., Torino, 2006, 1718 ss.;) incrociando le norme dettate in tema di inadempimento dell‟obbligazione (artt. 1218 e 1256 c.c.) con quelle disciplinanti le conseguenze dell‟inattuazione dello scambio contrattuale (artt. 1453 e 1463 c.c.), fa collimare i presupposti di operatività dei rimedi sinallagmatici con quelli fissati per tutelare il creditore di obbligazione rimasta inadempiuta, ritenendo necessaria l‟imputabilità dell‟inesecuzione della prestazione contrattuale ai fini del vittorioso esperimento della risoluzione per inadempimento (nonché dell‟azione risarcitoria); facendo discendere dall‟inimputabilità dell‟impossibilità sopravvenuta la diversa conseguenza dell‟estinzione dell‟obbligazione e, quindi, la risoluzione del contratto ai sensi dell‟art. 1463 c.c. Il secondo (in dottrina sostenuto da X. XXXXXXXXXX, Inadempimento (dir. priv.), in Enc. dir., XX, Milano, 1970, 886 ss.; X. XXXXXXX, Risoluzione del contratto e imputabilità dell’inadempimento, Napoli, 1988, passim), invece, ravvisando nella risoluzione del contratto un rimedio contro lo squilibrio oggettivo del sinallagma, causato solo dalla mancata esecuzione della prestazione, esclude che debba ricorrere l‟imputabilità dell‟inadempimento perché il creditore possa avere accesso alla tutela risolutoria di cui all‟art. 1453 c.c., residuando l‟elemento della colpa ai soli fini risarcitori.
dell‟inadempimento, per l‟attivazione del rimedio risolutorio di cui all‟art. 1453 c.c., infatti, residua comunque la distinta previsione dell‟impossibilità sopravvenuta (art. 1463 ss. c.c.) per la quale è notoria l‟irrilevanza dell‟imputabilità soggettiva della stessa al debitore153.
In uno sguardo d‟insieme, dunque, il rimedio della risoluzione del contratto opera in termini obbiettivi, reagendo ad una situazione di irrealizzabilità dell‟assetto di interessi divisato dalle parti, ove il quid dovuto non è conseguito dal creditore, o per ragioni riferibili alla sfera del debitore (art. 1453 c.c.) o per l‟impossibilità di effettuare la prestazione (art. 1463 c.c.), nell‟intento di rimuovere gli effetti giuridici di un contratto inidoneo a realizzare le aspettative delle parti.
Il giudizio sul comportamento delle parti non è però privo di rilevanza, riemergendo in ambito risarcitorio, ove la colpa dell‟agente, quale violazione di una regola di condotta, costituisce presupposto per l‟insorgere dell‟obbligazione di risarcimento del danno154. Ma si tratta di
153 Residua però un‟ipotesi distinta da quelle esaminate, ovvero quella in cui l‟inadempimento non derivi dall‟impossibilità della prestazione. Proprio in tale circostanza la questione circa la necessaria imputabilità dell‟inadempimento ai fini della rilevanza risolutoria dello stesso assume decisiva importanza. In tal caso, infatti, la perdurante possibilità della prestazione esclude l‟operatività dell‟art. 1463 c.c., presupponente l‟impossibilità sopravvenuta, e quindi il problema dell‟imputabilità dell‟inadempimento si pone in termini effettivi. Sul punto si vedano le osservazioni di X. XXXXXX, Inattuazione e risoluzione: la fattispecie, cit., 71 ss., il quale propende per il requisito della “addebitabilità” dell‟inadempimento perché possa attribuirsi ad esso portata risolutoria, anche e soprattutto nell‟ipotesi in cui la prestazione sia ancora possibile, chiarendo che : «Certamente mal posta è, poi, l‟identificazione del requisito dell‟imputabilità con il profilo soggettivo della colpevolezza: l‟idea, cioè, che la mancata esecuzione della prestazione, per poter dar luogo allo scioglimento del vincolo, debba potersi ricondurre a una condotta del contraente qualificabile in termini di dolo o colpa soggettiva», dovendosi piuttosto accertare se «la mancata esecuzione della prestazione possa essere « addebitata » al contraente che vi era tenuto, o in quanto derivata da una condotta lato sensu « colpevole », o in quanto dipesa da eventi comunque rientranti nella sua sfera di controllo, e quindi corrispondenti a rischi che egli si è assunto o ha contribuito a creare», sganciandosi così il giudizio sull‟imputabilità dell‟inadempimento da valutazioni di natura colpevolistica in senso proprio (ID., op. ult. cit., 75).
154 Punto, invero, non pacifico in dottrina, come si desume dalla lettura di A. XXXXX, Risoluzione per mancanza di qualità e colpa del venditore, cit., 628 ss. Sull‟argomento si vedano anche G. OSTI, Impossibilità sopravveniente, in Nov. dig. it., VIII, Torino, 1962, 287; X. XXXXXXX, La responsabilità contrattuale, in Jus, 1986, 85 ss.; X. XXXXXXXXXX, La responsabilità per inadempimento da Osti a Xxxxxxx, in Europa dir. priv., 2008, 1 ss.
una forma di tutela diversa da quella restitutoria, essendone differenti i presupposti e la funzione155.
In tal modo, si delinea una convergenza di rimedi, a fronte di un‟inattuazione colpevole del programma contrattuale che ricorda, in parte, il complesso meccanismo di tutela riconosciuto all‟acquirente di cosa viziata dall‟art. 1492 c.c., ove la risoluzione del contratto di compravendita può cumularsi con la tutela risarcitoria, sempre che sussista la colpa del venditore (art. 1494 c.c.).
L‟actio redibitoria, come già chiarito, opera in termini obbiettivi, mirando anch‟essa a ripristinare un equilibrio sinallagmatico pregiudicato dalla presenza del vizio ed in questo suo peculiare aspetto appare assimilabile alla risoluzione, quale rimedio generale previsto nel nostro ordinamento giuridico a tutela proprio del sinallagma, nonché dell‟interesse del creditore a non rimanere vincolato ad un contratto inidoneo al raggiungimento dell‟assetto programmato156, e ciò a prescindere dalla difficile se non impossibile qualificazione del vizio o della mancanza di qualità in termini di inadempimento. E‟ il dato positivo ad imporre lo studio e la comprensione del rimedio risolutorio rispetto al corrispettivo rimedio generale, al fine di comprenderne i reciproci rapporti, esclusa, per le ragioni viste nel primo capitolo del presente lavoro, la riconducibilità della dazione di cosa viziata nell‟alveo della risoluzione, in caso di ipotetica assenza delle norme speciali dettate a tutela del compratore.
Nell‟ambito specifico della compravendita, è necessario discorrere di risoluzione, in termini generici, ovvero senza prestare attenzione alla differente causa generatrice della risoluzione (inadempimento o
155 In tema si vedano le riflessioni di A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, cit., 49 ss., 167 ss., 319 ss., spec. 354 s.
156 Si veda al riguardo: X. XXXXXX, Risoluzione per inadempimento e tecniche di conservazione del contratto, cit., 62 ss. e spec. 67, la quale sintetizza la ratio della risoluzione per inadempimento polarizzandola sulla «tutela dell‟equilibrio sinallagmatico e [sulla] salvaguardia delle ragioni creditorie […] elementi di riferimento […] capaci di esplicitare il fondamento e la ratio della risoluzione per inadempimento e di consentire dunque una definizione abbastanza compiuta di tutta la disciplina generale».
impossibilità sopravvenuta della prestazione), dal momento che unitaria è la previsione della risoluzione redibitoria. E‟ come se il legislatore del ‟42, nel prevedere appositi rimedi avverso specifiche situazioni di malfunzionamento oggettivo dello scambio contrattuale, abbia voluto unificare la disciplina della risoluzione, mutuando alcuni frammenti di disciplina dalla risoluzione per inadempimento (art. 1453 ss. c.c.) ed altri dalla risoluzione per impossibilità sopravvenuta (art. 1463 ss. c.c.). Più precisamente: il giudizio sulla “non scarsa importanza dell‟inadempimento”, sembra essere ripreso e tipizzato dal legislatore nella stessa delimitazione dei confini della fattispecie “dazione di cosa viziata” (art. 1490 c.c.) e “mancante di qualità” (art. 1497 c.c.); la possibilità riconosciuta all‟acquirente di cosa viziata di optare per la riduzione del corrispettivo, in luogo della risoluzione, rievoca il rimedio generale della riduzione della prestazione dovuta dalla parte creditrice di una prestazione parzialmente impossibile, di cui all‟art. 1464 c.c., in alternativa alla dissoluzione del vincolo contrattuale, resa possibile dall‟esercizio del potere di recesso, riconosciuto dalla medesima norma.
Aspetto, invece, peculiare della disciplina della redibitoria, del quale si discute piuttosto la portata generale, è l‟esclusione della tutela risolutoria in caso di perimento della res tradita, dovuto a caso fortuito o a colpa dell‟acquirente, nonché in caso di alienazione o trasformazione della stessa ad opera del compratore (art. 1492, comma 3, c.c.)157. Differiscono inoltre i termini di prescrizione previsti per i suddetti rimedi, operando il termine breve di un anno (dalla consegna) nonché il termine di decadenza
157 Sull‟argomento si vedano: A. DALMARTELLO, Risoluzione del contratto, cit., 144 ss.;
A. LUMINOSO, Obbligazioni restitutorie e risarcimento del danno nella risoluzione per inadempimento, cit., passim; A. DI MAJO, Risoluzione del contratto ed effetti restitutori: debito di valore o di valuta?, cit., passim; X. XXXXXXXXXX, La risoluzione del contratto dalla prospettiva del diritto italiano, cit., 816 ss. In giurisprudenza cfr.: Cass., sez. II, 15 gennaio 2001, n. 489, in Gius, 2001, 1013, la quale lega il carattere ostativo dell‟alienazione o trasformazione della cosa all‟implicita volontà dell‟acquirente di accettare il bene nonostante il vizio, non ritenendo sufficiente la mera impossibilità di ripristinare la situazione in cui le parti si trovavano al momento della conclusione del contratto.
di otto giorni (dalla scoperta del vizio) ai fini dell‟attivazione della sola azione redibitoria.
Per quanto attiene all‟importanza dell‟inadempimento, argine posto dall‟ordinamento a possibili intenti speculativi di un creditore insoddisfatto della convenienza di un affare già concluso158, esso sembrerebbe trovare specificazione nella stessa definizione di vizio redibitorio, contemplata all‟art. 1490 c.c., nonché nella indicazione delle qualità essenziali o promesse, di cui all‟art. 1497 c.c. E‟ quel che sottolinea una abbastanza consolidata giurisprudenza159 – avuto riguardo ai soli vizi redibitori –, la quale ravvisa nell‟inidoneità della cosa all‟uso cui è destinata e nell‟apprezzabile diminuzione del valore della cosa i parametri oggettivi entro cui il generale giudizio di non scarsa importanza si specifica, restringendo la discrezionalità del giudice entro più ristretti parametri di valutazione. L‟eccedenza rispetto ai limiti di tolleranza, stabiliti dagli usi, del difetto di qualità, essenziali o promesse, è stata altresì individuata in dottrina160 come mezzo di riduzione della discrezionalità pretoria, in materia di importanza dell‟inadempimento, in un ambito particolarmente esposto alla disciplina generale, posto l‟esplicito richiamo all‟art. 1453 c.c. contenuto nell‟art. 1497 c.c.161.
158 A. BELFIORE, Risoluzione del contratto per inadempimento, cit., 1320.
159 Cass., sez. II, 29 novembre 2004, n. 22416, cit.; Cass., sez. II, 11 aprile 1996, n. 3398, in Contratti, 1996, 394. In dottrina si veda la posizione di X. XXXXXXXX, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, cit., 288 ss., il quale opta per l‟autonomia dell‟azione redibitoria rispetto alla risoluzione per inadempimento di cui all‟art. 1453 c.c., «pur non rifiutando l‟idea che, per il completamento della sua disciplina, si possa attingere a norme collocate al di fuori degli artt. 1490 ss. che non ne deformino la struttura […] insuscettibile di richiamo ritengo invece l‟art. 1455, tanto più che i « requisiti espressi dall‟art. 1490 », che già « ci dicono … quale misura di gravità debba presentare il vizio per far scattare la garanzia », appaiono « coerenti al principio espresso dall‟art. 1455 », il quale nel passo riportato cita X. XXXXX e X. XXXXXXX, Xxxxx vendita, cit., 252.
160 L‟osservazione è di A. DALMARTELLO, Risoluzione del contratto, cit., 134, il quale passa in rassegna le varie ipotesi di tipizzazione del giudizio di gravità dell‟inadempimento nelle norme locali.
161 La previsione di norme speciali che evocano, specificandolo, il carattere della non scarsa importanza dell‟inadempimento risolutivamente rilevante induce la dottrina ad interrogarsi sulla sussistenza o meno di una logica unitaria, di cui l‟art. 1455 c.c. possa
Altro aspetto della disciplina speciale di derivazione generale è rappresentato dalla previsione della quanti minoris, consistente nel potere riconosciuto al compratore di cosa viziata di ottenere la riduzione del corrispettivo, riportando in equilibrio le prestazioni di un contratto in tal modo conservato, seppure in parte corretto. Esclusivamente sotto il profilo funzionale, chiara e nitida appare la similitudine con il rimedio manutentivo di cui all‟art. 1464 c.c., presupponente l‟impossibilità parziale della prestazione. Il rimedio speciale, pur identico nel contenuto a quello generale, diverge da questo per i presupposti: il vizio non è elemento sopravvenuto ma anteriore o coevo alla conclusione del contratto ed inoltre allude ad una parzialità di tipo qualitativo e non quantitativo162. Tali osservazioni inducono a pensare che in assenza di esplicita previsione normativa, il compratore di cosa viziata non potrebbe conseguire il risultato della riduzione del prezzo.
Così come non sarebbe conseguibile la risoluzione per impossibilità della prestazione contemplata all‟art. 1465 c.c., norma disciplinante i soli contratti ad effetti reali. Tale previsione normativa, nel negare la tutela risolutoria in caso di perimento della res successivo al momento traslativo (ad eccezione di contratto traslativo sottoposto a termine, ove la regola opera comunque anche in mancanza di un effettivo trasferimento della proprietà), dà attuazione al principo del res perit domino, in forza del quale
essere espressione. Se si dovesse ritenere sussistente tale logica unitaria, l‟art. 1455 c.c. avrebbe una portata generale, e rispetto ad esso la tipizzazione di cui sopra risulterebbe integrativa e non sostitutiva; in caso contrario, invece, se ne dovrebbe inferire la portata residuale del generale giudizio di gravità dell‟inadempimento di cui all‟art. 1455 c.c. La riflessione è di X. XXXXXX, Inattuazione e risoluzione: la fattispecie, cit., 121 s., al quale si rinvia per un‟analisi del giudizio sulla non scarsa importanza dell‟inadempimento di cui all‟art. 1455 c.c. (ID., op. ult. cit., 123 ss.).
162 Si è osservato in dottrina come «il concetto di impossibilità parziale è limitato alle ipotesi in cui la impossibilità tocca la quantità, ma non la qualità della prestazione, intesa come destinazione obiettiva della medesima», e presuppone la divisibilità della prestazione (DELFINI F., Dell’impossibilità sopravvenuta, in Il Codice Civile Commentario, fondato e già diretto da X. Xxxxxxxxxxx, continuato da X. X. Xxxxxxxx, Milano, 2003, 33).
il rischio di perimento del bene si trasferisce con il passaggio della proprietà.
La pedissequa applicazione della norma dovrebbe condurre al diniego di tutela nei riguardi dell‟acquirente di cosa viziata, perita a causa del vizio stesso; ai sensi della citata norma, infatti, la perdita del bene non libera il compratore dall‟obbligo di pagare il prezzo in quanto il rischio (sempre che si tratti di vendita ad effetti reali immediati) risulta già trasferito a carico dello stesso. In assenza della specifica tutela da garanzia, quindi, l‟acquirente non disporrebbe del suddetto rimedio. Si ha l‟impressione che la garanzia riesca a colmare il “vuoto” di tutela lasciato dall‟art. 1465 c.c. (lacuna resa necessaria dal rispetto del principio del consenso traslativo e di quello del “res perit domino”), predisponendo una più ampia tutela in favore del compratore, il quale potrà ottenere la risoluzione non solo in ipotesi di perimento del bene (si veda l‟art. 1492, comma 3, c.c.), ma anche, e soprattutto, in caso di difetto non deteriorante.
Quanto esposto in ordine alle peculiarità della disciplina dell‟azione redibitoria rispetto alla risoluzione generale, della quale ripropone l‟aspetto teleologico, deporrebbe in favore della natura speciale dei rimedi da garanzia rispetto al genus “risoluzione”163, intesa in una dimensione omnicomprensiva, apprestante rimedio sia a situazioni di inadempienza sia a fatti sopravvenuti non imputabili. E‟ l‟identità di ratio a rendere possibile l‟avvicinamento della redibitoria alla risoluzione, trattandosi in entrambi i
163 La riconduzione dell‟azione redibitoria nel genus risoluzione, seppur con riguardo specifico allo strumento risolutorio di cui all‟art. 1453 c.c., connota risalente giurisprudenza (richiamata da X. XXXXXXXX, Garanzia per vizi e azione redibitoria nell’ordinamento italiano, cit., 286, nota 244): Cass., 25 febbraio 1963, n. 464, in Foro it., 1963, I, 1396, nella quale si afferma espressamente che «la garanzia per vizi è un rimedio apprestato al compratore per una maggiore tutela dei suoi diritti, ma essa, a prescindere dai diversi requisiti che condizionano l‟esperimento delle relative azioni, si inquadra pur sempre nella generale figura della risoluzione per inadempimento, di cui ha in comune alcuni determinati effetti giuridici. Invero, il compratore che si avvalga dell‟azione redibitoria consegue in sostanza, dal punto di vista obiettivo, la rimessione in pristino, val quanto dire quel risultato concreto che è proprio dell‟istituto della risoluzione ex art. 1453 c.c., onde, in un certo senso, le due azioni possono considerarsi tra loro in un rapporto di genus a species».
casi di tipici strumenti di impugnazione, volti a porre «rimedio alle anomalie funzionali dell‟autoregolamento negoziale, con la eliminazione o la modificazione [riduzione della prestazione], in modo da ristabilire un giusto e/o corretto assetto delle situazioni soggettive (ritenute) meritevole di tutela»164.
La tutela risolutoria che ne risulta è allora una tutela che si sostituisce a quella generale, un sistema che consente al compratore deluso di rimuovere gli effetti di un‟operazione funzionalmente inadeguata ai suoi interessi, o di mantenere in vita il contratto, riequilibrato nel sinallagma mediante la riduzione del prezzo165. E non potrebbe essere diversamente, posta la natura “originaria” e non sopravvenuta del vizio, inteso come impedimento alla esatta realizzazione dello scambio, nei termini pattuiti. Tale carattere della fattispecie legittimante il ricorso ai rimedi edilizi conferma infatti il connotato speciale della tutela restitutoria di cui all‟art. 1492 c.c. e, quindi, la sua portata sostitutiva della risoluzione generale.
Ne consegue la necessità di restringere il problema del concorso di tutele alla sola previsione dell‟azione di adempimento, alternativa satisfattiva a disposizione del creditore non inadempiente, non avente alcun diretto corrispettivo nella disciplina della garanzia redibitoria.
164 X. XXXXXXXXXXXX, Inefficacia (dir. priv.), in Enc. giur. Treccani, XVI, Roma, 1989, 8.
165 Per una non sovrapponibilità della redibitoria sulla risoluzione “generale” si esprime
X. XXXXXXX, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., 6, il quale precisamente sostiene: «L‟azione redibitoria, in quanto effetto del contratto, non è una azione di risoluzione in senso tecnico, direttamente rivolta a distruggere il rapporto contrattuale (impugnazione): si tratta piuttosto […] di una risoluzione per viam restitutionis, ossia di una azione diretta precipuamente a far valere, sulla base del contratto, la pretesa alla restituzione del prezzo. L‟eliminazione degli effetti della vendita è soltanto una conseguenza mediata della restitutio. Fra le due qualifiche, apparentemente discordanti, dell‟azione redibitoria, ravvisata da un lato come azione ex empto, dall‟altro come azione di risoluzione della vendita, si inserisce, conciliandoli, il concetto di restitutio».
2. Azione di esatto adempimento e rimedi da garanzia
L‟analisi concernente la misura della specialità dei rimedi edilizi trova terreno fecondo nello studio concernente la configurabilità dell‟azione di esatto adempimento – sub specie: riparazione o sostituzione del bene viziato – nel quadro della tutela riconosciuta all‟acquirente di bene viziato, posta l‟assenza di una esplicita previsione in tal senso nella disciplina speciale.
Giova a tal riguardo ricordare come l‟esatto adempimento, quale tecnica di reazione all‟inadempimento, tende ad assicurare al creditore le stesse utilità che egli avrebbe ottenuto se il debitore avesse correttamente e spontaneamente adempiuto l‟obbligazione. La “tensione all‟adempimento in natura”166, sicuramente presente nel momento fisiologico dello svolgimento del rapporto obbligatorio – l'art. 1218 c.c. impone al debitore, innanzitutto, di adempiere – continua a sussistere anche nella fase patologica, quando cioè la prestazione risulti non esattamente adempiuta. L‟azione di esatto adempimento167 è un rimedio che assicura una tutela satisfattiva168, in quanto “soddisfa” l'interesse originario del creditore che,
166 L‟espressione è intesa quale sinonimo di «priorità dell‟adempimento in natura», principio ampiamente sviluppato da X. XXXXXXXXX, L’inattuazione dell’obbligazione e l’adempimento in natura, in Il contratto e le tutele, a cura di X. Xxxxxxxxx, Torino, 2002, 526; v. anche ID., Equivoci e concettualismi nel diritto europeo dei contratti: il dibattito sulla vendita dei beni di consumo, cit., 397 ss. Parla di “tensione all'adempimento in natura” anche I. XXXXX, Tutela specifica e tutela per equivalente, Milano, 2004, 73 ss.
164 Secondo I. XXXXX, op. cit., 116 s., in nome dell‟effettività della tutela (art. 24 Cost.), la tutela generale del rapporto obbligatorio non può che essere quella specifica; eventuali arretramenti della tutela specifica a favore della tutela per equivalente dovrebbero fondarsi o sull‟impossibilità dell‟esatto adempimento o sull‟esistenza di un interesse prevalente rispetto a quello dell‟effettività. L‟Autrice definisce l‟effettività della tutela in questo modo: «diritto di ottenere dal giudice una misura adeguata al […] bisogno di tutela di chi abbia agito» (ID., op. cit., 56 s.). Sul punto si veda anche L. P. COMOGLIO, Giurisdizione e processo nel quadro delle garanzie costituzionali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, 1076 ss.
168 Per poter definire l‟esatto significato di “tutela satisfattiva” si impone una precisazione circa il rapporto intercorrente tra rimedio e forma di tutela: «l‟espressione forme di tutela […] intende fare riferimento non alla singola misura di tutela considerata isolatamente, in funzione del risultato cui mette capo, ma ad una categoria più ampia, cui la singola misura di tutela deve essere ricondotta»: così A. DI MAJO, Tutela risarcitoria,
nonostante l'inadempimento, consideri comunque “utile” il conseguimento, ancorchè tardivo, della res debita.
A tale esigenza, connotante il diritto delle obbligazioni, risponde, sul piano contrattuale, l‟art. 1453 c.c., norma che, in alternativa alla risoluzione del contratto prevede l‟azione di adempimento, di cui l‟azione di esatto adempimento dovrebbe costituire una «applicazione»169.
Invero, il rimedio dell‟esatto adempimento, presupponendo una cattiva esecuzione della prestazione e non un mancato adempimento, serve a soddisfare l‟interesse del creditore a ricevere la prestazione originariamente pattuita, per il tramite di una attività che permetta di adeguare quanto fatto a quanto dovuto, per il tramite di una attività consistente in un “perfezionamento” (riparazione del vizio) o in una “ripetizione” (sostituzione del bene) della prestazione male eseguita. Si assume, dunque, come eseguita una porzione, qualitativamente intesa, dell‟intero esatto comportamento debitorio dedotto in obbligazione; cui l‟istanza satisfattoria, espressa in area contrattuale dall‟art. 1453 c.c., impone di reagire mediante il completamento qualitativo della prestazione170.
Campo elettivo di indagine, in ordine alla configurabilità del suddetto rimedio, è rappresentato, come anticipato, dalla dazione di cosa
restitutoria, sanzionatoria, in Enc. giur. Treccani, XXXI, Roma, 1994, 1; secondo la suddetta accezione è possibile parlare di tutela restitutoria, risarcitoria e satisfattiva. I rimedi sono invece i mezzi messi a disposizione del soggetto per rendere effettive le forme di tutela. Il rimedio «gode di autonomia rispetto al diritto e/o interesse alla cui tutela è preordinato e si distingue altresì dall‟azione processuale ossia dallo strumento con cui può essere fatto valere in giudizio» (spiega DI XXXX, La tutela civile dei diritti, cit., 54). L‟area dei rimedi appartiene anch‟essa al diritto sostanziale, là dove gli strumenti diretti a dare ai rimedi effettiva attuazione si inquadrano nell'ambito del diritto processuale (esecuzione forzata) o sostanziale.
169 L‟espressione è di A. LUMINOSO, I rimedi generali contro l’inadempimento del contratto, cit., 10 e 32 ss.
170 L‟affermata generalità del rimedio dell‟esatto adempimento è però rifiutata da X. X. XXXXXX, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1994, 241 ss., il quale esclude che lo strumento in esame possa avere una portata generale, non riconoscendo l‟esistenza di un generale diritto del creditore alla regolarizzazione della prestazione ricevuta: gli unici casi in cui il rimedio può trovare applicazione sarebbero quelli previsti dalla legge (v., ad esempio, artt. 1668 e 2226 c.c.).
viziata, ove già la stessa qualificazione dell‟eventuale attività riparatoria- sostitutoria della cosa viziata in termini “satisfattivi” appare problematica: esatto adempimento o risarcimento del danno in forma specifica? L‟esigenza di assicurare all‟acquirente di cosa viziata un rimedio che permetta la correzione, non del sinallagma (ad appannaggio dei rimedi “restitutori" da garanzia), ma dell‟oggetto della prestazione – risultato, a causa del vizio, inidoneo ad assolvere la funzione sua propria – ha spinto la dottrina a percorrere due distinti percorsi argomentativi, riportando il rimedio in parola, da un lato, all‟area dell‟esatto adempimento, dall‟altro, a quella del risarcimento in forma specifica171.
Ma, invero, è l‟idea di inadempimento contrattuale a cozzare con la logica stessa della garanzia redibitoria ed a rendere difficile l‟accostamento del rimedio riparatorio, comunque esso sia inteso (misura satisfattoria o risarcitoria in forma specifica), alla fattispecie in esame172.
Asse centrale della questione è costituito, nell‟impostazione tradizionale, dall‟individuazione di quella obbligazione di cui l‟attività riparatoria possa costituire esatto adempimento o riparazione in forma specifica. Se, da una parte, si registrano voci contrarie all‟ammissibilità logica, prima ancora che giuridica, di una obbligazione di fare avere la cosa immune da difetti173, dall‟altra, il vizio viene assimilato, seppur in modo
171 Per una puntuale ricostruzione delle voci dottrinali sul tema si veda: A. XXXXX, Sull’ammissibilità dell’azione di esatto adempimento in presenza di vizi del bene venduto o promesso in vendita, in Contratto impr., 1998, 123 ss.
172 La questione dell‟ammissibilità di un‟azione di esatto adempimento, sotto forma di riparazione o sostituzione del bene viziato, era già nota sotto la vigenza del codice civile abrogato, quando la dottrina appariva «divisa, dato che alla soluzione negativa, motivata dall‟idea della specialità e della esclusività dei rimedi della garanzia, si contrapponeva la soluzione affermativa, incline ad accordare ai predetti rimedi, in quanto riconosciuti funzionali all‟interesse del compratore» (X. XXXXXXX, Osservazioni in tema di mancanza di qualità ovvero consegna di aliud pro alio, cit., 1111).
173 Chiaro risulta il riferimento alla posizione di X. XXXXXXX, Profili di una revisione della teoria sulla garanzia per i vizi nella vendita, cit., 15 ss. e spec. 17, il quale ritiene che la violazione della lex contractus, in cui la dazione di cosa viziata è riconducibile, dà spazio alle sole azioni edilizie, costituenti il «surrogato dell‟azione di adempimento». L'ammissibilità dell'azione di esatto adempimento nella fattispecie dei vizi nella vendita è questione affrontata anche dalla giurisprudenza. Il rimedio de quo è stato escluso sulla
diverso, a fenomeni di inadempienza contrattuale174. Ed adottando quest‟ultima opzione ermeneutica si giunge ad ammettere il diritto dell‟acquirente alla rimozione del vizio, qualificandolo, ora come esatto adempimento175, ora invece come risarcimento del danno in forma specifica176.
base di argomentazioni differenti. Si è così sostenuto che nella compravendita il sinallagma esiste tra la cosa e il prezzo, di conseguenza il venditore va considerato adempiente quando consegna la cosa: «prestata la cosa, il venditore non può essere costretto all‟adempimento del contratto, poiché esso è già stato adempiuto, ma può essere soltanto tenuto a rispondere verso il compratore della conseguenze dannose che a questi siano derivate da un inesatto adempimento» (Trib. Milano, 30 giugno 1967, in Xxx. xxx. xxxx., 0000, XX, 00; sentenza preceduta da Trib. Parma, 20 giugno 1960, in Foro it., 1961, I, 162). Si è anche considerato che l‟art. 1494 c.c. esclude implicitamente l‟azione di esatto adempimento per il fatto stesso di aver previsto, in caso di colpa, solo il risarcimento del danno (Trib. Milano, 30 giugno 1967, cit.); sotto un altro profilo, è stato escluso che l‟obbligazione principale del venditore, ex art. 1476 c.c., abbia per oggetto, sia pure in via sussidiaria, un facere relativo alla materiale struttura della cosa venduta (Cass. 5 aprile 1976, n. 1194, Rep. Foro it., 1979, «Vendita», n. 70; Cass., 7 agosto 1979,
n. 4565, ivi, 1979, voce cit., n. 43; Cass., 19 luglio 1983, n. 4980, in Foro it., 1984, I,
780; Pret. Xxxxxxxxxx, 11 aprile 1990, in Rep. Foro it., 1991, «Vendita», n. 47. Per queste ed altre indicazioni giurisprudenziali x. XXXXX, Sull’ammissibilità dell’azione di esatto adempimento in presenza di vizi del bene venduto o promesso in vendita, cit., 39 ss.).
174 Note e già analizzate sono le posizioni di X. XXXXXX, La compravendita, cit., 633 ss.;
X. X. XXXXXX, Dell'inadempimento delle obbligazioni, in Comm. Cod. civ., a cura di A. Scialoja e X. Xxxxxx, Bologna, 1979, 50 ss.; ID., Diritto civile, cit., 3. Si intende ora fare riferimento anche a X. XXXXXXXXXX, L'inadempimento, Milano, 1975, 74 ss., il quale qualifica la presenza di vizi nel bene compravenduto come un‟ipotesi di adempimento qualitativamente inesatto; e a X. XXX, Vendita di cosa viziata e azione di esatto adempimento (nota a Trib. Cagliari, 10 gennaio 1979), in Giur. it., 1981, I, 2, 303, spec. 308 ss.
In giurisprudenza, le pronunce che ammettono il rimedio dell‟esatto adempimento adducono le seguenti ragioni: a) irrilevante è il fatto che l‟eliminazione del vizio consista in un facere, poiché tale attività «non si atteggia come obbligazione originaria, propria del contratto, ma come obbligazione succedanea, posta cioè a titolo di sanzione per l‟inesatto adempimento dell‟obbligo primario; sanzione che, salvo il fatto di essere rivolta alla riparazione in forma specifica, è per il resto analoga a quella del risarcimento del danno» (App. Messina, 10 aprile 1967, in Riv. dir. comm., 1968, II, 50); b) quando la pretesa alla riparazione o sostituzione della cosa è fondata su una obbligazione esplicitamente assunta dal venditore, deve ritenersi ammissibile la pretesa all‟esatto adempimento, come richiesta di eliminazione dei vizi o di sostituzione della cosa viziata (Cass., 5 aprile 1976, n. 1194, cit.; Cass., 11 febbraio 1977, n. 617, Rep. Foro it., 1977, «Vendita», n. 67); c) non si può utilizzare l‟art. 1494 c.c. al fine di escludere l‟azione di esatto adempimento, poiché il vero significato della norma è di riconoscere, in presenza di colpa, anche il pieno risarcimento del danno, altrimenti non dovuto (App. Messina, 10 aprile 1967, cit.).
175 X. XXXXXX, La compravendita, cit., 646, il quale fonda l‟operatività del rimedio “specifico” sulla sussistenza della colpa in capo al venditore, in quanto se non si ammettesse l‟esatto adempimento, «la garanzia, rimedio apprestato per una maggiore tutela del compratore, in quanto lo protegge anche in mancanza di colpa del venditore, si
Adottando invece un diverso punto di vista, che permetta di osservare il problema in termini funzionalistici, si dovrà dare peso primario al ruolo che i rimedi da garanzia assolvono nella disciplina della vendita, al fine di comprendere se in questa possa trovare spazio un rimedio generale, quale è quello dell‟esatto adempimento, nel silenzio della legge.
Da tale angolo visuale sembra indispensabile contestualizzare la scelta del legislatore del „42 di porre rimedio alla vendita di cosa viziata predisponendo un sistema di tutela meramente “correttivo dell‟equilibrio sinallagmatico”.
Il modello di vendita tenuto presente dal legislatore di quell‟epoca storica era indubbiamente rappresentato dalla vendita di bene specificamente individuato, ovvero un‟operazione di scambio avente ad oggetto un bene costituente un unicum, rispetto al quale l‟interesse del compratore risultava modulato; non qualunque bene, ma quello specifico bene oggetto di contrattazione, l‟acquirente intendeva acquisire stipulando il contratto di compravendita. L‟economia di quegli anni era un‟economia pre-industriale, ove i prodotti non erano realizzati in serie, su larga scala, ma piuttosto come prodotti “singolari”, frutto di un lavoro prevalentemente artigianale, tale per cui particolarmente difficile appariva rintracciare sul mercato altri prodotti ad esso eguali e, quindi, fungibili177.
Unica tutela immaginabile per l‟acquirente deluso a causa del ricevimento di un bene difettoso non poteva che essere la rimozione del contratto, quale medio necessario per il recupero, in tutto o in parte, del corrispettivo versato: se il conseguimento dello specifico bene in ragione
risolverebbe qui in un indebolimento della posizione del compratore, il quale si vedrebbe privato di un rimedio che negli altri contratti compete al creditore in caso di inadempimento colposo»; X. XXXXXXXXXX, L'inadempimento, cit., 74 ss., il quale riconosce all‟acquirente insoddisfatto il diritto ad un nuovo esatto adempimento.
176 Per tale posizione si vedano: X. X. XXXXXX, Diritto civile, cit, 241 ss.; X. XXX,
Vendita di cosa viziata e azione di esatto adempimento, cit., 308 ss.
177 Si condividono le osservazioni di X. XXXXXXXXXX, Sostituzione di bene viziato e contrattazione di cosa specifica: i termini della questione nel diritto tedesco e nel pensiero giuridico italiano, in Riv. dir. civ., 2004, II, 635.
del quale il contratto era stato concluso non può ritenersi realizzato, a causa del vizio, il vincolo contrattuale è destinato a venir meno.
Ragioni per dir così, socio-economiche, oltre che storiche, giustificano l‟assenza di rimedi specifici nel quadro della garanzia redibitoria, dove il vizio – come si è in precedenza tentato di mettere in chiaro – rileva quale «elemento perturbatore del sinallagma»178 e, come tale, è causa dell‟adozione di rimedi che mirano a ripristinare, con diversa incisività, l‟equilibrio tra le prestazioni contrattuali. Si tratta di una riparazione che ha ad oggetto non il vizio materialmente inteso, ma il difetto del sinallagma.
Se il tipo di problema posto dalla dazione di cosa viziata e risolto dai rimedi edilizi è quello del malfunzionamento del sinallagma, ne consegue l‟insensibilità della fattispecie esaminanda rispetto ad istanze di tutela “specifica”, la quale mira ad un diverso tipo di correzione dell‟equilibrio tra le prestazioni. La riparazione o sostituzione del bene, infatti, “aggiusta” i termini dello scambio mediante un‟attività riparatoria, di tipo materiale, che consente il mantenimento in vita del contratto. L‟applicazione di una tutela in forma specifica altererebbe la logica della garanzia, espressa in un sistema che si appalesa come autosufficiente e quindi chiuso alle influenze di parte generale, se non altro sul fronte dell‟efficacia della fattispecie contrattuale (risoluzione, riduzione del prezzo).
Al di là del dato strutturale – che, nel far apparire il vizio estraneo ad un fenomeno di inadempienza contrattuale, induce a ritenere più che dubbia l‟operatività del rimedio dell‟esatto adempimento in caso di vendita di bene viziato – è la specialità dei rimedi da garanzia a costituire il perno delle valutazioni. Il problema del ripristino dell‟equilibrio del sinallagma è già risolto dalla disciplina speciale della vendita, ancorché ricorrendo
178 L‟espressione è di L. NIVARRA, I rimedi specifici, in Europa dir. priv., 2011, 187, al quale si rinvia per una acuta ed originale riflessione sul tema in esame.
unicamente a strumenti demolitori e non anche satisfattori, e ciò dovrebbe impedire l‟apertura della vicenda in esame al rimedio generale dell‟esatto adempimento, che appresterebbe soluzione diversa ad un problema già risolto dalla disciplina della garanzia, con i tipici rimedi restitutori ivi predisposti.
3. Segue. La vendita di beni di consumo
Uno scardinamento della logica insita al sistema garanzia si è però avuto nel nostro ordinamento giuridico, seppure su impulso del legislatore europeo, con la previsione del diritto alla riparazione/sostituzione di beni difformi rispetto al contratto di vendita. Si tratta di un mutamento di prospettiva che si spiega in ragione dello specifico settore di riferimento: la vendita di beni di consumo, disciplinata, dapprima agli artt. 1519-bis cc. e ss., e in seguito negli artt. 128 cod. cons. e ss. 179.
Si è così riportata in auge la vexata quaestio della ammissibilità di una “obbligazione di fare avere la cosa utilmente” – sub specie: obbligazione di conformità o di consegna di beni conformi (art. 129 cod. cons.) – della quale il rimedio riparatorio possa costituire esatto
179 Si tratta, come è noto, di intervento normativo attuativo di direttiva comunitaria, precisamente la Dir. 1999/44. Il diritto alla correzione di un inesatto adempimento, non in termini specifici ma generali, è altresì sancito nel soft law, ossia nei progetti di uniformazione del diritto privato europeo; basti a tal riguardo la menzione dell‟art. 9:102 dei Principi di Diritto Europeo dei Contratti. La strada intrapresa con la direttiva di cui sopra non è stata abbandonata, dal momento che la tutela satisfattoria, nella disciplina della vendita trasfrontaliera, risulta altresì confermata nella recentissima Proposal for a Regulation of the European parliament and of the Council on a Common European Sales Law (adottata in data 11.10.2011), ove differentemente da quanto previsto dalla citata Direttiva 1999/44/CE sulla vendita dei beni di consumo, non sussiste una priorità gerarchica in favore della riparazione/sostituzione del bene difforme; tuttavia, qualora il consumatore-acquirente opti per il rimedio satisfattivo, questi non può ricorrere agli altri rimedi se non siano ancora trascorsi 30 giorni dall‟inizio della riparazione/sostituzione, ferma restando la possibilità di sospendere l‟esecuzione della propria prestazione (art. 111).
adempimento. Il rischio che il c.d. mostriciattolo di Xxxxxxx potesse riemergere nella disciplina della vendita di beni di consumo ha innescato un nutrito dibattito scientifico, articolatosi prevalentemente sulla dialettica garanzia-obbligazione, che ha condotto a differenti qualificazioni giuridiche del rimedio stesso: esatto adempimento180 o garanzia specifica181.
Ai fini della presente indagine non interessa tanto constatare l‟esatta collocazione dogmatica della riparazione/sostituzione della res tradita in una operazione di scambio con finalità consumeristiche, quanto capire e rappresentare la logica da cui muove la suddetta novità normativa, in contrapposizione al vecchio modello di garanzia codicistica. In tal modo si potrà infatti tentare di capire a cosa possono agganciarsi tali rimedi “specifici”, ignoti al sistema classico di garanzia.
Quel che muta rispetto al quadro tradizionale, nella disciplina della garanzia, è il modello di vendita: la vendita di consumo non è operazione commerciale ricadente su prodotti singolari, ma è scambio avente ad oggetto beni di carattere seriale, conclusa tra un operatore professionale ed un consumatore, per una finalità di tipo appunto consumeristico. E‟ una vendita avente ad oggetto beni che trovano nel mercato perfetti succedanei, trattandosi di cose standards, suscettibili perciò di essere tra loro sostituiti e, quindi, la sostituzione del prodotto non rischia di entrare in collisione con l‟interesse dell‟acquirente, dal momento che questo è diretto a conseguire un bene “campione” e non un bene specifico. Tale osservazione riesce a spiegare la sostituzione come rimedio avverso la difformità del bene venduto rispetto a quello dovuto. L‟obbligo di riparazione risulta invece omogeneo rispetto alla natura professionale o imprenditoriale del venditore,
180 Si veda, tra le altre, la posizione di A. DI MAJO, Garanzia e inadempimento nella vendita di beni di consumo, cit., 6.
181 Per tale orientamento si vedano: A. NICOLUSSI, Diritto europeo della vendita dei beni di consumo e categorie dogmatiche, cit, 547 ss.; X. XXXXXXXXX, Equivoci e concettualismi nel diritto europeo dei contratti: il dibattito sulla vendita dei beni di consumo, cit., 388 ss.
la quale consente di ampliare l‟area del rischio a suo carico182, salvo agire in regresso nei confronti degli anelli precedenti della catena di produzione- distribuzione183.
In tale scenario socio-economico, si inseriscono i nuovi rimedi della riparazione o sostituzione del bene difforme, previsti in una vendita che «immediatamente rimanda ad un modello di scambio diverso da quello della vendita di cosa specifica, ed adotta conseguentemente un regime giuridico più prossimo invece a quello, già codificato, della vendita di cosa generica»184.
Il ripristino dell‟equilibrio leso dalla “difformità” è dalla nuova normativa assicurato imponendo innanzitutto al venditore un facere (rimozione della difformità) o un dare (sostituzione), rimedi che, nel permettere al creditore-acquirente di conseguire l‟utilità contrattualmente spettante, attuano altresì la lex contractus, consentendo la «soddisfazione dell‟interesse (primario) dell‟acquirente, ad avere cosa idonea all‟uso per il quale la cosa si è acquistata»185.
182 La natura professionale dell‟alienante giustifica il nuovo impianto rimediale, connotato da rimedi satisfattivi la cui realizzazione è resa possibile dall‟inserimento della vendita in un processo distributivo caratterizzato spesso da servizi post-vendita. Sul punto si veda X. XXXXXX, Difetto di conformità e tutele sinallagmatiche, cit., 890 ss.
183 L. NIVARRA, I rimedi specifici, cit., 191 s. mette in rilievo la connessione intercorrente tra la dilatazione del rischio a carico del venditore ed il diritto di regresso dalla legge riconosciuto: «Il diritto di regresso, dal canto suo, è vera e propria misura compensativa, dell‟allargamento della responsabilità al fortuito, accordata a quegli operatori (in primis, il venditore finale) i quali, non potendo esercitare, a differenza dell‟appaltatore, un controllo totale sul ciclo del rischio, possono, però, trasferire sugli anelli precedenti della catena produzione-distribuzione il costo del vizio di cui essi hanno dovuto farsi carico nei confronti del compratore».
184 In tal modo si esprime E. XXXXXXXXX, Garanzia per vizi ed impegno del venditore alla riparazione del bene: note critiche a margine di Xxxx. Sez. un. n. 13294/2005, cit., 500.
185 Interesse non soddisfatto invece dalla tecnica della garanzia, mirante al mero riequilibrio dei termini dello scambio, mediante la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo pagato dal compratore. E‟ quel che chiarisce A. DI MAJO, Adempimento e risarcimento nella prospettiva dei rimedi, in Europa dir. priv., 2007, 10, il quale saluta la novità normativa in esame come occasione per saltare «a piè pari l‟antica diffidenza verso forme di tutela specifica in subjecta materia e derivante storicamente dal principio dell’efficacia immediatamente traslativa del consenso tale da fare degradare l‟obbligo di dare a quello di consegnare ed annullare ogni profilo riguardante il facere del venditore, Antesignana storicamente è la codificazione francese (art. 1138 code civil). La tutela
Ne discende dunque che la riparazione e la sostituzione del bene viziato (o “difforme”) implicano una logica sicuramente non connotante l‟impianto codicistico, una logica peculiare tale da escludere una generalizzazione di tali nuovi strumenti di soddisfacimento del compratore al di là dei limiti della vendita di beni di consumo. Ne risulta quindi ulteriormente confermata l‟inoperatività di rimedi siffatti nella vendita (specifica) di matrice codicistica, in uno scenario in cui il tipo contrattuale in questione risulta particolarmente frammentario ed articolato186.
4. Presupposti e funzione della tutela invalidatoria e rimedi da garanzia
L‟invalidità attiene a situazioni connotate dal contrasto tra l‟atto di autonomia privata e le prescrizioni di legge. Ove il risultato dell‟iniziativa contrattuale dei privati sia difforme, per varie ragioni, dal corrispettivo modello legale, la “sanzione” comminata dall‟ordinamento giuridico per tale violazione è proprio l‟invalidità dell‟atto.
La tutela invalidatoria mira ad eliminare dal mondo del diritto un contratto che, in quanto non rispondente ai dettami della legge, risulta privo di valore giuridico e pertanto deve essere rimosso, o meglio ne devono essere caducati gli effetti187.
dell‟acquirente nella vendita è così tradizionalmente confinata alla (tecnica della) garanzia (per vizi occulti), ove si è costretti a fingere che il venditore (di cosa viziata) sia considerato « adempiente » e solo “garante” dell‟assenza di vizi».
186 Si vedano le osservazioni conclusive di E. XXXXXXXXX, Garanzia per vizi ed impegno del venditore alla riparazione del bene: note critiche a margine di Xxxx. Sez. un. n. 13294/2005, cit., 506 s., il quale, nel mostrarsi particolarmente critico nei confronti delle SS. UU. citate, esclude che rimedi “specifici” possano rientrare nel sistema codicistico di garanzia, affermando che «Le Sezioni Unite, di fatto, prospettano una fisionomia della garanzia edilizia del tutto eversiva rispetto al paradigma generale della vendita, calibrato com‟è sulla vendita di cosa specifica e sul principio del consenso traslativo. Una garanzia la quale infatti non solo viene riguardata quale obbligazione primaria del venditore ma financo ritenuta inclusiva di obbligazioni poste a carico dell‟alienante in vista del soddisfacimento del risultato avuto di mira dal compratore, e così caricata di una tensione verso l‟esatto adempimento che le è viceversa del tutto estranea».
187 Sulla tutela invalidatoria si veda: A. DI MAJO, La tutela civile dei diritti, cit., 373 ss.
L‟invalidità, intesa nei suddetti termini, comprende al suo interno le tradizionali figure della nullità e della annullabilità188, note al nostro sistema giuridico e messe “in crisi” dalla produzione normativa di derivazione europea, ove la nitida contrapposizione tra le richiamate ipotesi di invalidità appare ormai recessiva in favore di una declinazione unitaria della stessa, nella quale posizione centrale è occupata dalla nullità, ma da una nullità diversa da quella codicistica, in quanto multiforme e conformata all‟assetto di interessi divisato dalle parti189.
Tornando all‟invalidità “domestica”, tralaticia, ma non esente da critica, è la contrapposizione tra “regole di validità” e “regole di responsabilità”, riguardando, le une, la struttura della fattispecie e, le altre, il comportamento della parti. Più precisamente, le prime si ritiene abbiano carattere statico, essendo dirette ad offrire parametri per la valutazione della conformità del regolamento di interessi concretamente elaborato dalle parti all‟astratto schema legale; le seconde, invece, detterebbero regole disciplinanti la condotta delle parti, ponendosi, quindi, come mezzo di verifica della correttezza dello svolgimento dinamico dei poteri loro attribuiti190. Diversa è, conseguentemente, la rilevanza delle suddette regole, di validità e di responsabilità, attenendo le prime all‟alternativa mantenimento-caducazione del contratto e le seconde all‟insorgenza o meno dell‟obbligazione risarcitoria. Si noti però che non è tanto la formulazione della norma in termini di “regola di comportamento” o “regola di validità” a poter fondare la distinzione tra piani di tutela (risarcitoria/invalidatoria), quanto piuttosto il diverso modo di violarle: mediante comportamento (responsabilità) o previsione pattizia (invalidità).
188 Sulla dialettica nullità-annullabilità si leggano le pagine di R. SACCO, Xxxxxxx e annullabilità, in Digesto civ., XII, Torino, 1995, 293 ss. In tema, invece, di annullabilità del contratto, si veda X. XXXXXXX, L’annullabilità del contratto, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1969, 1436 ss.
189 A tal proposito si vedano le riflessioni di X. XXXXXXX, Nullità e inefficacia nel sistema europeo dei contratti, in Europa dir. priv., 2001, 489 ss.
190 E‟ quel che ricorda X. XXXXXXXXX, «Vizi incompleti» del contratto e rimedio risarcitorio, Torino, 1995, 5 e passim.
La distinzione dei piani di tutela, seppur delineata in base alla diversa “struttura della norma”191, ha indubbiamente il merito di rendere più agevole la comprensione del principio di “non interferenza” tra disciplina dell‟invalidità e disciplina del comportamento delle parti, in tutte le ipotesi in cui la violazione di regole di condotta (precontrattuale) espone il contraente “infedele” all‟obbligo di risarcire il danno derivatone, nel mantenimento della fattispecie contrattuale come valida. La combinazione tra validità del contratto e responsabilità del contraente che, con la propria condotta possa aver violato il generale obbligo di buona fede durante la formazione del contratto, non è invero pacificamente ammesso in dottrina. L‟insegnamento tradizionale era piuttosto volto a negare la suddetta convivenza, limitando la responsabilità (ex art. 1338 c.c.) del contraente che avesse tenuto una condotta scorretta ai soli casi di avvenuta conclusione di un contratto invalido. Si riteneva, infatti, che la disciplina dei vizi del volere limitasse la tutela della corretta formazione della volontà dei contraenti, di modo ché alterati processi di formazione della volontà contrattuale non superanti la soglia di rilevanza dei vizi del volere non potevano dare ingresso ad alcuna tutela192.
Contro tale assunto si è mossa una certa dottrina, la quale, al fine di riconoscere tutela al contraente che, subendo gli effetti di un vizio del consenso incompleto, ovvero non perfettamente riconducibile alle relative previsioni normative, conclude un contratto non invalidabile, ammette il ricorso al rimedio risarcitorio per violazione del generico dovere di buona fede.
In tale scenario argomentativo il principio della contrapposizione tra regole di comportamento e regole di validità è presentato come risalente,
191 Sembrando preferibile il riferimento, più che alla contrapposizione tra regole di comportamento e regole di validità, al tipo di condotta violativa della norma: comportamentale o negoziale.
192 E‟ quel che ricorda M. BARCELLONA, Trattato della responsabilità civile, Torino, 2011, 493 ss. (da bozze).
in quanto ritenuto enunciato sotto il vigore del codice del 1865, nel quale mancava una norma che ponesse l‟obbligo di buona fede come canone generale cui conformare la condotta delle parti nella fase precontrattuale. Tale assenza consentiva di affermare – nella ricostruzione richiamata193 – in modo pressoché pacifico, la persistente validità del contratto, concluso in un contesto caratterizzato da comportamenti sleali di una delle parti.
Con l‟entrata in vigore del codice del 1942, la questione assume connotati di maggiore problematicità a causa dell‟introduzione dell‟art. 1337 c.c., prevedente, come è noto, l‟obbligo di buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto. La previsione di un generale obbligo di buona fede – che invero segue l‟intera vicenda contrattuale, dalle trattative fino all‟esecuzione del contratto (v. artt. 1175, 1358, 1366, 1375, 1460, secondo comma, c.c.) – ripropone la questione concernente la possibile «incidenza delle valutazioni di carattere etico sul giudizio di validità degli atti»194. Il dibattito che si articola sulla richiamata problematica conduce comunque al medesimo esito enunciato sotto la vigenza del codice del 1865: la violazione del canone di buona fede e, più in generale, delle regole che si dirigono a conformare la condotta delle parti, non può rilevare sul piano della validità dell‟atto. L‟invalidità non è infatti protesa a sanzionare comportamenti scorretti che, in quanto compiuti nella fase di formazione del vincolo contrattuale, abbiano condotto ad un assetto regolamentare squilibrato, a danno di una parte. E‟ funzione, piuttosto, della tutela risarcitoria porre rimedio alle relative ricadute pregiudizievoli, colmando in tal modo i vuoti lasciati dalla tutela invalidatoria. Un sistema a maglie strette – come appare quello dell‟invalidità nel nostro sistema giuridico – non consente di ampliarne il campo di operatività, includendo quelle ipotesi in cui, ad esempio, il vizio
193 Si veda la ricostruzione fatta da X. XXXXXXXXX, «Vizi incompleti» del contratto e rimedio risarcitorio, cit., 5 ss., alla quale si rinvia per specifiche indicazioni bibliografiche.
194 X. XXXXXXXXX, «Vizi incompleti» del contratto e rimedio risarcitorio, cit., 10.
del consenso non riesce a raggiungere la soglia di rilevanza normativamente definita, in quanto privo di qualche elemento peculiare.
Tale constatazione spinge la dottrina richiamata ad affermare che l‟esclusione dell‟annullamento non implichi negazione di tutela in assoluto, sembrando possibile adire la tutela risarcitoria al fine di rimediare ai danni conseguenti all‟inadempimento di quell‟obbligo di correttezza imposto dall‟art. 1337 c.c. alle parti nella fase precontrattuale. Non solo dunque l‟invalidità del contratto può essere foriera della tutela risarcitoria, ai sensi dell‟art. 1338 c.c., ma anche la valida formazione della fattispecie contrattuale si apre a scenari di responsabilità nell‟eventualità in cui risulti la violazione dell‟obbligo di buona fede nella fase precontrattuale; in tal modo si oblitera però la diversa considerazione secondo la quale non ogni mancata previsione rimediale costituisce un vuoto normativo da colmare necessariamente, ricorrendo alla misura risarcitoria195. L‟irrilevanza dell‟errore incidente o della violenza incidente potrebbero rappresentare
195 E‟ la critica di M. BARCELLONA, Trattato della responsabilità civile, cit., 496 (da bozze), il quale spiega: «l‟inoppugnabilità di un contratto che superi indenne le maglie delle discipline dell‟invalidità si prospetta, in linea di massima, non come un deficit equitativo della relativa disciplina da colmare per via aquiliana bensì come l‟esito di una valutazione normativa che non è lecito disattendere per mere ragioni di equità». A tal proposito si ricordi quanto chiarito dalla Relazione al Re, al n. 182, ove si afferma:«Circa i vizi incidenti […] soltanto il dolo produce responsabilità per danni a carico del contraente in mala fede. L‟errore incidente è sempre un fatto dell‟errante, e non può essere fonte di responsabilità per danni a carico della controparte che non lo ha provocato. La violenza, quando esiste, non ha mai carattere incidentale: nel timore provato dalle minacce concernenti punti secondari, il minacciato conclude il contratto anche quando vi avrebbe rinunziato. Prevale, invero, il timore che le minacce si realizzino, qualora il contratto, per la resistenza su clausole secondarie, non viene a conclusione». Dalla lettura della Relazione al Re sembrerebbe allora desumersi che il legislatore del ‟42 non abbia obliterato la distinzione tra vizi determinanti e vizi incidenti nell‟errore e nella violenza, ma che abbia intenzionalmente deciso di non dare rilievo all‟errore e alla violenza non determinanti (incompleti). Questa è la posizione di ID., op. ult. cit., 495 ss. (da bozze), il quale ricorda come «anche ad ammettere che la pur manifesta intenzione del legislatore storico non costituisca un criterio ermeneutico sempre vincolante, si deve tuttavia riconoscere che per disattenderla occorrono quanto meno significative indicazioni normative di segno contrario ovvero una ratio insopprimibilmente espansiva della norma da interpretare. Né l‟una né l‟altra di queste condizioni ricorrono rispetto al dispositivo dell‟art. 1440, sicché non si dà che ad esso si imputi un principio più generale che ne consenta l‟estensione alle altre “fattispecie incomplete” di vizi della volontà».
una scelta sistemica delineante «intenzionali ambiti di immunità»196, ove la scorrettezza del contraente, non avendo viziato la volontà dell‟altro, è da ritenere giuridicamente irrilevante. E, in tale prospettiva, a nulla rileverebbe il richiamo all‟art. 1440 c.c., xxxxx che, nel consentire espressamente la convivenza tra il rimedio risarcitorio e la validità del contratto, limitando la tutela demolitoria del deceptus, non contemplerebbe un principio generale estensibile oltre i confini del dolo incidente197.
Condivisibili appaiano, indubbiamente, le considerazioni critiche di cui sopra, alle quali non è possibile dedicare ulteriore attenzione, essendo il tema dei vizi incompleti non direttamente pertinente alla questione oggetto del presente lavoro. Basti a tal fine ricordare che è il dato positivo (art. 1440 c.c.) ad ammettere la conservazione del contratto, seppure compensata dalla tutela risarcitoria. Su tale norma ci si concentrerà, per poi passare ad una previsione normativa di diretta rilevanza, quale è l‟art. 1494 c.c., non essendo questa la sede per affrontare la diversa è più complessa questione dell‟ammissibilità nel nostro sistema giuridico dei c.d. vizi incompleti198.
Il rinvio alla responsabilità precontrattuale, nell‟ambito dell‟art. 1440 c.c., non costituiva, in origine, sicuro approdo dell‟interpretazione dottrinale; infatti, suadente appariva, all‟indomani dell‟entrata in vigore del codice del ‟42, il richiamo alla romanistica figura del dolo-delitto, aprendosi in tal modo ad una prospettiva aquiliana (art. 2043 c.c.), nella quale riemergeva l‟antica anima del dolo come illecito extracontrattuale199.
Soltanto la “scoperta” della connessione esistente tra l‟art. 1440 c.c. e l‟art. 1337 c.c. ha permesso di allocare la responsabilità del contraente in
196 L‟espressione è usata da M. BARCELLONA, Trattato della responsabilità civile, cit., 496 (da bozze).
197 Si vedano le osservazioni di M. BARCELLONA, Trattato della responsabilità civile, cit., 505 ss. (da bozze).
198 Per la trattazione della quale si rinvia a M. BARCELLONA, Trattato della responsabilità civile, cit., 469 ss. (da bozze).
199 Per ulteriori indicazioni sul punto si rinvia a X. XXXXXXXXX, «Vizi incompleti» del contratto e rimedio risarcitorio, cit., 19 ss.
mala fede nell‟alveo della responsabilità precontrattuale200, attribuendo alla misura risarcitoria una funzione per così dire correttiva «dei risultati economici pregiudizievoli di un regolamento di interessi, pur validamente stipulato, ma che, in ragione di un contegno sleale e scorretto di una delle parti, si rivela in qualche misura «squilibrato» e, comunque, lesivo all‟interesse dell‟altra»201. Si tratta di una via ermeneutica che, se intrapresa, permetterebbe di dare rilievo giuridico ai c.d. vizi incompleti, ossia a quelle ipotesi di vizi del consenso non pienamente e perfettamente sviluppate e, quindi, non determinanti l‟invalidità del contratto, ma reclamanti tutela sotto il profilo risarcitorio, ai sensi dell‟art. 1337 c.c.202,
200 Non è questa la sede per trattare ed approfondire il tema della natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilità da illecito precontrattuale, per il quale si rinvia, per una sintetica esposizione delle teorie a sostegno dell‟uno e dell‟altro orientamento, a X. XXXXXXXXX, «Vizi incompleti» del contratto e rimedio risarcitorio, cit., 23, nota 54. Nell‟ottica dell‟inquadramento della responsabilità in contrahendo, utile appare la delimitazione dei confini della responsabilità extracontrattuale, rispetto al distinto paradigma della responsabilità contrattuale; distinzione che M. BARCELLONA, Corso di diritto civile. La responsabilità extracontrattuale. Xxxxx xxxxxxxx e danno non patrimoniale, Torino, 2011, 44, nel modo seguente raffigura: «La responsabilità contrattuale si situa in un circuito acquisitivo, ove il risarcimento è chiamato a surrogare un risultato modificativo/incrementativo dell‟altrui sfera patrimoniale o spirituale programmato da un atto (o fatto) di circolazione della ricchezza: essa è rivolta, perciò, a realizzare per equivalente ciò che il programma negoziale (o la legge) prometteva e che l‟inadempimento ha fatto mancare. […]. La responsabilità extracontrattuale, per contro, adempie ad una funzione propriamente conservativa, la quale suppone che la ricchezza sia, e in linea di massima debba rimanere, proprio colà ove già si trovava, tutte le volte in cui sia stata «ingiustamente» distrutta».
201 X. XXXXXXXXX, «Vizi incompleti» del contratto e rimedio risarcitorio, cit., 25. Contra M. BARCELLONA, Trattato della responsabilità civile, cit., 507 ss., spec. 511 (da bozze).
202 Si dà in tal modo per risolta positivamente la vexata quaestio della sopravvivenza della responsabilità precontrattuale alla valida conclusione del contratto; la tesi contraria prendeva le mosse dalla seguente considerazione: «Il momento della conclusione del contratto – si potrebbe osservare – segna l‟inizio di una nuova tappa della relazione tra le parti, disciplinata dalla lex contractus, di modo che solo le violazioni di questa – sotto il profilo dell‟inadempimento di obbligazioni che hanno base nel contratto – possono spiegare rilievo, non, invece, quelle pregresse e riferibili alla fase precontrattuale: queste ultime essendo, per così dire, «assorbite» o «coperte» dalla «forza di legge» del contratto, successivamente concluso» (X. XXXXXXXXX, «Vizi incompleti» del contratto e rimedio risarcitorio, cit., 156, la quale, nel passo riportato, si limita a ricordare le basi concettuali dell‟orientamento tradizionale che ravvisava nella valida conclusione del contratto il momento oltre il quale la responsabilità precontrattuale non sopravviveva; l‟Autrice da ultimo citata ritiene invece che la pretesa risarcitoria da violazione dell‟art. 1337 c.c.
percorso interpretativo non scevro di critiche, come precedentemente esposto.
Lasciando sullo sfondo il problema dell‟ammissibilità di una
«estensione orizzontale»203 dell‟art. 1440 c.c. agli altri vizi incompleti, non si può revocare in dubbio che il rimedio risarcitorio si inserisca in una fattispecie negoziale assunta come valida nell‟ipotesi di dazione di cosa viziata, confortati altresì dal dato positivo che, come si vedrà, nel considerare validamente concluso il contratto di compravendita, offre al compratore deluso anche il risarcimento del danno, generato, si ritiene204, dal comportamento sleale del venditore il quale, nell‟ignorare in modo colpevole la presenza del vizio nel bene venduto, è considerato responsabile205.
Tralasciando i risvolti “atipici” dell‟incidenza dei vizi del volere sulla contrattazione – ovvero la possibilità di ammettere un errore ed una violenza “incidenti” quali figure generali espressive di un bisogno di tutela che conduce al sorgere dell‟obbligazione risarcitoria, posta la validità del contratto – giova ricordare come la dottrina abbia individuato nella previsione del risarcimento dei danni da vizi della cosa (art. 1494 c.c.) una tipica ipotesi in cui il comportamento negligente tenuto da una parte (il
xxxxx sopravvivere alla chiusura del procedimento di formazione del contratto, in quanto da questo indipendente).
203 M. BARCELLONA, Trattato della responsabilità civile, cit., 512 (da bozze).
204 Si rinvia alle indicazioni di X. XXXXXXXXX, «Vizi incompleti» del contratto e rimedio risarcitorio, cit., 171 s.
205 Per l‟omessa informazione a danno dell‟acquirente. Giova chiarire come la conoscenza del vizio da parte del venditore non appartiene alla logica della tutela redibitoria (restitutoria) e come la condotta sleale dell‟alienante che, a conoscenza del vizio, non lo comunichi prontamente al compratore non è presupposto positivamente contemplato per l‟attivazione della tutela codicistica (risarcitoria), trattandosi piuttosto di una particolare lettura del dato normativo, in base alla quale il contegno del venditore, responsabile ai sensi dell‟art. 1494 c.c., va qualificato in termini precontrattuali, come si chiarirà nel prosieguo della trattazione.
venditore) durante la conclusione del contratto e, quindi, l‟annessa responsabilità precontrattuale, convive con la validità del contratto206.
Conseguentemente, si potrebbe concludere per la rilevanza dell‟errore, latente alla fattispecie dazione di cosa viziata, esclusivamente in termini risarcitori: la previsione di cui all‟art. 1494 c.c., nel sanzionare la condotta negligente del venditore, il quale, a conoscenza del vizio non lo comunica alla controparte, consentirebbe di rimediare alle ricadute pregiudizievoli di una erronea rappresentazione della realtà che, priva del requisito della riconoscibilità (indagine ignota alla disciplina dei vizi redibitori), non può assurgere a causa di annullamento del contratto. La rilevanza, per così dire, risarcitoria, dell‟errore si potrebbe dunque apprezzare nei seguenti termini: la mancata percezione, da parte dell‟acquirente, del vizio, noto al venditore, potrebbe esporre quest‟ultimo ad un processo di responsabilizzazione ai sensi dell‟art. 1337 c.c. E ciò in considerazione della collocazione temporale del fatto generatore dell‟obbligazione risarcitoria; la responsabilità, infatti, consegue ad un fatto antecedente alla conclusione del contratto (id est: il vizio redibitorio) e alla violazione di un correlato dovere precontrattuale di verificare l‟immunità del bene da vizi e difetti, nonché di informare l‟acquirente circa la non sanità del bene207.
206 E‟ la posizione di X. XXXXXXXXX, «Vizi incompleti» del contratto e rimedio risarcitorio, cit., passim e spec. 171 s.
207 Con la precisazione che la dimensione precontrattuale del danno derivante dalla dazione di cosa viziata costituisce una delle due lenti per il cui tramite osservare il fenomeno in esame. Si è, infatti, sostenuta, da parte di autorevole dottrina (si intende fare riferimento alla posizione di M. BARCELLONA, Trattato della responsabilità civile, cit., 83 ss., da bozze), la natura ambivalente della responsabilità del venditore per i pregiudizi derivanti dal vizio della cosa venduta, dal momento che «il medesimo “fatto” del vizio può ben rilevare due volte ed in modo diverso: una prima volta come oggetto di un preliminare dovere informativo ed una seconda volta come causa di un‟attribuzione (o di una prestazione) inesatta che viola il dovere contrattuale di far conseguire all‟acquirente» una cosa che sia «immune da vizi che la rendono inidonea all‟uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore» (art. 1490, comma 1, c.c.). Ne discende che il vizio «può dar luogo a due differenti tipi di danno e a due ragioni diverse di responsabilità: – ad un danno consistente nel c.d. interesse negativo e ad una responsabilità precontrattuale, nel caso che chi ne stava trattando l‟acquisto (la locazione
La norma che responsabilizza il venditore di cosa viziata (art. 1494 c.c.) riporterebbe ed attuerebbe, nella disciplina speciale, la medesima esigenza di tutela sottesa alla previsione di cui all‟art. 1337 c.c., unica fonte invocabile per sanzionare la condotta negligente di un contraente nella fase precontrattuale, non essendo l‟obbligo di informazione direttamente desumibile dalla previsione del requisito della riconoscibilità dell‟errore (art. 1431 c.c.)208.
Xxxxxx appare dunque l‟incidenza che la falsa rappresentazione della realtà, implicitamente sottesa alla vendita di bene viziato, ha nella disciplina della garanzia, tecnica ruotante intorno a due assi centrali: il ripristino dell‟equilibrio del sinallagma, assicurato dai due rimedi restitutori della redibitoria e della quanti minoris, e la rimozione delle ricadute pregiudizievoli (art. 1494 c.c.), derivanti dal vizio, purché noto al venditore. Non sembra allora residuare spazio per un‟autonoma considerazione, entro i confini della “garanzia”, dell‟errore latente alla fattispecie “dazione di cosa viziata”. Ma tale conclusione non impedisce, ovviamente, che esso, sempre che ne ricorrano i presupposti di rilevanza, possa operare in via autonoma
o la concessione in comodato o la dazione a mutuo) si sia accorto del vizio prima della conclusione del contratto e chieda di essere risarcito delle spese affrontate e delle occasioni mancate a causa di una trattativa che lo ha inutilmente impegnato, e – ad un danno consistente nel c.d. interesse positivo e ad una responsabilità contrattuale, ove, intervenuta la vendita (la locazione, il comodato o il mutuo), l‟acquirente chieda il risarcimento dei lucri impediti dal vizio della cosa vendutagli (locatagli o datagli in comodato o a mutuo) e/o dei danni da essa cagionati ad altri suoi beni o attività». La conclusione del contratto, quindi, determinerebbe il superamento del preliminare dovere di informazione in favore del dovere contrattuale di far conseguire il “dovuto”, ovvero il bene esente da vizi e difetti (ID., op. ult. cit., 84, da bozze). Indubbiamente prevalente appare, nelle riflessioni dell‟Autore da ultimo citato, la prospettiva contrattuale, collegando la responsabilità del venditore di cui all‟art. 1494 c.c. alla «attribuzione di un bene che per i suoi vizi non consente all‟acquirente di appropriarsi di tutte le utilità ulteriori che dal suo uso si aspettava e che gli spettavano e/o dai cui vizi è derivato il danneggiamento di altri suoi beni» (ID., op. ult. cit., 83, da bozze). Per una ricostruzione in chiave storica del danno da dazione di cosa viziata, nell‟alveo della responsabilità contrattuale, si veda ID., Inattuazione dello scambio e sviluppo capitalistico: formazione storica e funzione della disciplina del danno contrattuale, Milano, 1980, 141 ss.
208 Come autorevole dottrina insegna: è la posizione di P. BARCELLONA, Errore (dir. priv.), cit., 277 ss. Con la precisazione che nel caso di specie (vendita di bene “difettoso”) si esclude il richiamo dell‟errore disciplinato dal codice civile agli artt. 1428 ss., per le ragioni esposte nel Capitolo II, § 3, del presente lavoro.
dai rimedi edilizi, esclusa l‟operatività degli stessi. La ricorrenza dei presupposti del rimedio di parte speciale, infatti, esclude in radice l‟operatività del rimedio di parte generale, in ossequio al principio in forza del quale la legge speciale prevale su quella generale209.
5. Errore (art. 1429, n. 2, x.x.) x xxxxxxxx xx xxxxxxx (xxx. 0000 x.x.)
Xxx xxxxx, xxxxxx in apparenza, è il nesso che lega l‟errore su qualità essenziali, di cui all‟art. 1429, n. 2, c.c., alla disciplina della mancanza di qualità, contemplata all‟art. 1497 c.c., pur rinviando, quest‟ultima, alla disciplina generale della risoluzione per inadempimento. Xxxxxx appare la scelta normativa in ordine alla riconduzione della fattispecie “vendita di cosa carente di qualità essenziali o promesse” nell‟alveo dell‟inattuazione del regolamento contrattuale. Eppure più di un dubbio è stato espresso in dottrina ed in giurisprudenza nel ricostruire le reciproche relazioni tra le suddette norme.
In effetti, studiando l‟argomento, si ha come l‟impressione che il rimedio risolutorio richiamato dall‟art. 1497 c.c. abbia occupato spazi che aprioristicamente potevano essere coperti dalla disciplina dell‟errore210. La natura «essenziale» o «promessa» della qualità, la cui assenza legittima il ricorso alla risoluzione per inadempimento, induce a ritenere che essa (qualità) sia supposta come presente dall‟acquirente, spingendolo a contrarre. In questo senso l‟errore avrebbe potuto coprire la fattispecie in esame, posto altresì il rapporto di pressoché identità tra le qualità
209 Per i rapporti tra disciplina generale e disciplina speciale dei contratti, si rinvia alle indicazioni contemplate nel Cap. IV, § 1.
210 A tale possibilità fa un mero accenno X. XXXXXX, In tema di compravendita: mancanza di qualità, mancanza di colpa e garanzia, cit., 393: «in mancanza di tale espressa previsione, la applicazione delle norme generali avrebbe portato, in molti casi, all‟applicazione dell‟azione di annullamento per errore».